Giustizia: aumento di pena per i furti, ovvero il ritorno delle carceri piene di Stefano Anastasia e Luigi Manconi Il Manifesto, 14 luglio 2015 La schizofrenia del governo bipartisan. Caro ministro Andrea Orlando, e allora che li facciamo a fare, questi Stati generali dell'esecuzione penale? È stata dura. E tuttavia, nei tempi richiesti dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani, il sistema penitenziario italiano è tornato (quasi) in equilibrio. È stato questo il risultato dell'azione congiunta degli ultimi due ministri della Giustizia, del Parlamento, della Corte costituzionale e degli stessi operatori del sistema penale. E indubitabilmente decisivo è stato il ruolo del presidente emerito Giorgio Napolitano, dei Radicali Marco Pannella e Rita Bernardini, dell'associazionismo e di alcune rare e intrepide testate quale questa su cui scriviamo. Ma i risultati conseguiti e l'approvazione ricevuta dal Consiglio d'Europa lo scorso anno sono appesi a un filo, sempre pronto a spezzarsi quando le pressioni di quel populismo penale che aveva prodotto il sovraffollamento penitenziario dovessero tornare a prevalere. La leadership leghista sulla destra all'opposizione ne è la condizione ideale: e non a caso negli ultimi mesi l'abbiamo vista tornare alla carica contro i migranti, i rom e ogni altro fantasma dell'insicurezza collettiva. Nonostante qualche cedimento alle suggestioni della penalizzazione simbolica, finora governo e parlamento hanno tenuto in qualche modo, evitando di riaprire i cordoni della incarcerazione di massa e mantenendo il sistema in quel precario equilibrio di cui si è detto. E giustamente il Ministro Andrea Orlando ha messo in moto una procedura pubblica e partecipata di discussione sul futuro del nostro sistema penale e penitenziario che va sotto il nome di Stati generali: sanata la vergogna della condanna europea per violazione strutturale del divieto di trattamenti inumani o degradanti, come vogliamo che sia il sistema dell'esecuzione penale? Ancora carcerocentrico? Con quali diritti per le persone private della libertà? Con quali prospettive di reinserimento sociale dei condannati? Domande fondamentali che alludono a modelli diversi di sicurezza: una sicurezza fondata sull'esclusione della marginalità sociale o, all'opposto, una sicurezza fondata sull'integrazione sociale e la tutela universalistica dei diritti? Non sembri velleitaria l'alternativa: in fondo la sentenza Torreggiani e la giurisprudenza umanitaria che si è affermata negli ultimi anni in molti Paesi occidentali hanno dichiarato il fallimento del modello di sicurezza propugnato dal salvinismo, che riproduce stancamente quello che prima di lui hanno detto e fatto i suoi predecessori locali, da Bossi a Fini, da Giovanardi a Maroni. Un modello dai costi economici e sociali altissimi, incompatibile con la garanzia di standard minimi di rispetto dei diritti umani, insostenibile in regime di spending review. Ma ecco che, in questo accaldato e soporifero stato di sospensione, un fulmine a ciel sereno si abbatte lì, a pochi centimetri dal nostro naso e dalle nostre aspettative. Fermi in mezzo al guado, intenti a orientare la bussola sull'altra riva, veniamo colti a bruciapelo dalla notizia di una nuova emergenza, annunciata dallo stesso governo per bocca del vice-ministro alla giustizia, Enrico Costa. Il quale propone di alzare i minimi di pena per i reati di furto in abitazione, furto con strappo e rapina. La motivazione dichiarata è quella di "riallineare l'attuale sistema sanzionatorio alla gravità dei fatti", quella implicita - evidente nella modifica dei minimi di pena - è di evitare che i condannati per questi reati possano godere di alternative al carcere. Infine, la motivazione politica è di competere con Salvini sul suo stesso terreno elettorale (dove, fin troppo facile prevederlo, è lui che vincerà). Ma qui non siamo nel campo del diritto penale simbolico: furti, scippi e rapine sono i reati con cui si riempiono le galere e se l'intento del governo è che tutti, ma proprio tutti gli autori di questi reati, anche i ladri di polli, debbano andare in galera, il rischio è che le incarcerazioni tornino ad aumentare e, con esse, il sovraffollamento. E, allora, che li facciamo a fare, questi Stati generali dell'esecuzione penale? Giustizia: Amnesty; testo ddl sul reato di tortura peggiorato, così com'è è inaccettabile Adnkronos, 14 luglio 2015 Amnesty: illogico concetto di "reiterate violenze". Manconi (Pd): dopo le modifiche è un testo pessimo. Continua il rimpallo del ddl sul reato di tortura tra Camera e Senato. La commissione Giustizia di Palazzo Madama ha infatti apportato modifiche al testo, allungando ulteriormente l'iter parlamentare. E non mancano le polemiche. "Ritenevo il testo approvato dalla Camera mediocre - dichiara all'Adnkronos Luigi Manconi, Presidente della Commissione diritti umani - Dopo le modifiche introdotte dal Senato lo ritengo pessimo". Giudizio negativo anche dal presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi: "Ne è uscito un testo notevolmente peggiorato al punto che così com'è è inaccettabile. Se va avanti così l'alternativa è un pessimo testo o nessun testo". Dopo la ratifica da parte dell'Italia della Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura nel 1988, in cinque legislature si è cercato di introdurre il reato di tortura nell'ordinamento italiano. Da marzo 2013 il disegno di legge sulla tortura rimbalza da un ramo all'altro del Parlamento. Dopo lo stop della Commissione Giustizia al Senato, il ddl rischia di bloccarsi definitivamente. Secondo il responsabile dell'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali, Riccardo Polidoro, il continuo rimpallo tra Camera e Senato fa pensare che "evidentemente ci sono interessi corporativi che spingono in direzione contraria e che alcuni politici avallano". Sotto accusa soprattutto il fatto che al rallentamento dell'iter parlamentare si è aggiunto un peggioramento del testo di legge. A essere criticata è in particolare l'introduzione, da parte della Commissione Giustizia del Senato, del concetto di "reiterate violenze": per essere considerata tortura il comportamento deve essere ripetuto. "Questo - spiega all'Adnkronos il presidente di Amnesty International Italia - è incompatibile con la Convenzione delle Nazioni Unite ma è anche illogico: la tortura può essere grave anche se si esaurisce in un'unica condotta, non necessariamente deve protrarsi nel tempo". Una definizione contro cui si scaglia anche l'Associazione Antigone, giudicandola "priva di senso, priva di logica, tragica e ridicola allo stesso tempo". Antigone, si ritarda approvazione legge per farla finire nel cestino. C'è poi un'ulteriore modifica considerata "incredibile" da Luigi Manconi: "laddove c'era scritto "acute sofferenze fisiche e psichiche" si è introdotta la formula "trauma psichico verificabile" che riduce al minimo la possibilità di verifica". Modifica ritenuta "inaccettabile" anche dall'Associazione Antigone. "Comincio a pensare - continua il presidente della Commissione diritti umani - che forse nessuna legge sia meglio di una normativa così insignificante. Oltretutto non è difficile immaginare che sia in atto un gioco indecente che avrà come suo risultato il rinvio alla prossima legislatura". Sulla stessa linea l'associazione Antigone: "L'intenzione è quella di ritardare la legge per farla finire nel cestino". Il presidente di Amnesty International Italia si chiede se sia "meglio non farne nulla o approvare questo testo". Una domanda che tuttavia rimane senza risposta: "Non saprei come rispondere - confessa Marchesi. È un testo pessimo". E spera che "quando verrà portato in aula in Senato ci sia un numero significativo di senatori che si renda conto che questo testo non può passare così com'è". Giustizia: Unione Camere Penali; sul delitto di tortura un preoccupante passo indietro camerepenali.it, 14 luglio 2015 Dopo 26 anni dalla ratifica della Convenzione Onu e ben 5 legislature che si sono occupate della materia, il Parlamento non riesce a definire il delitto di tortura. L'Unione della Camere Penali Italiane, con il proprio Osservatorio Carcere, esprime profonda delusione e preoccupazione per i recenti sviluppi del tormentato iter parlamentare del disegno di legge finalizzato all'introduzione del reato di tortura. Colpisce non tanto il fatto che la Commissione Giustizia del Senato abbia licenziato un testo nuovamente modificato rispetto a quello approvato dalla Camera dei Deputati, prefigurando la necessità di ulteriori letture parlamentari, con il conseguente deprecabile effetto di prolungare i tempi di approvazione della legge, quanto il merito e soprattutto l'ispirazione delle modifiche apportate. Si evoca l'esigenza di evitare che siano messe in discussione le prerogative costituzionalmente previste delle forze dell'ordine per sostenere la previsione - che citiamo, fra le altre, perché ci pare la più inquietante - della necessaria reiterazione dell'uso della violenza quale forma di tortura, che relega al di fuori della tutela penale la tortura una tantum, dimenticando che la Costituzione, nell'unica norma pertinente (art. 13 c. 4), sancisce perentoriamente che "é punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà". L'Unione Camere Penali non ha mai condiviso la posizione, pur autorevolmente espressa, di coloro che auspicavano una rapida approvazione della legge sulla tortura benché la giudicassero insoddisfacente, pur di vedere finalmente attuato l'impegno che l'Italia, ratificando la convenzione dell'Onu sulla materia, ha assunto fin dal lontano 1989, ed ha sempre rivendicato la necessità che una simile operazione rispondesse al valore fondamentale che la condanna della tortura riveste nella cultura democratica e nella normativa internazionale sui diritti umani. E ciò richiede la consapevolezza che la specifica area di tutela penale a cui occorre rivolgersi è quella della difesa dell'individuo da ogni forma di abuso dell'autorità costituita. Per questo non ha mai convinto anzitutto la prospettiva dell'introduzione di una fattispecie penale comune piuttosto che di un reato proprio del pubblico ufficiale e dell'incaricato di pubblico servizio. Oggi più che mai occorre denunciare con chiarezza che le istanze a cui le istituzioni parlamentari si mostrano tanto sensibili, non a caso provenienti dai settori più retrogradi (e minoritari) delle forze di polizia, sono sostanzialmente antitetiche rispetto ai valori che si dovrebbero perseguire ed ai quali, da ultimo, anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, con la condanna sul caso della scuola Diaz, ci ha richiamato. Il reato di tortura è definito dall'art. 1 della Convenzione dell'Onu contro la tortura, approvata a New York il 10 novembre 1984. Se il Parlamento italiano intende introdurlo è sufficiente che recepisca quella definizione, senza ulteriori tentennamenti. Giustizia: perché è il caso di scuotere più forte il sistema giudiziario di Alberto Brambilla Il Foglio, 14 luglio 2015 Il Ministro Orlando vuole dei tribunali a misura di investitori, ma velocizzare i processi civili è solo l'inizio. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha tenuto una conferenza alla Law Society di Londra per dimostrare a legali di banche d'affari e fondi di investimento la volontà del governo italiano di migliorare un ingolfato sistema giudiziario con l'ottica di preservare gli investimenti esteri. "Sappiamo che chi entra in contatto con un sistema come quello italiano può essere spaventato e spinto a scappare", ha detto al Financial Times in un'intervista che ha preceduto la visita al suo omologo inglese Michael Gove. "Ma possono stare tranquilli, ci sono tribunali che possono assicurare tempi più rapidi della media" grazie a una "corsia preferenziale" per le aziende internazionali. Il governo Renzi, come a inizio legislatura, torna a mostrare l'intento di aggredire i bizantinismi del sistema giudiziario che, assieme all'incertezza fiscale, da tempo rendono l'Italia un paese inospitale agli occhi degli investitori. Secondo la Banca mondiale è più difficile fare rispettare un contratto in Italia che in altri 100 paesi, tra cui Haiti. Nel 2013, il fatto di non vedere tutelata la protezione del suo know how ha trattenuto Alps South, società biomedica americana, dall'aprire uno stabilimento da 400 addetti in Italia; ha preferito l'Est Europa. Oggi Terravision, compagnia di autobus attiva in Italia da un decennio, sostiene serva più della "buona volontà". Il malfunzionamento della giustizia civile costa in termini operativi un punto di pil all'anno, secondo Banca d'Italia, ma il costo è imponderabile in termini di occasioni d'investimento sfumate. Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, aveva detto che una misura decisiva per creare crescita e lavoro è aggredire i problemi della giustizia. Una disputa civile richiede in media quasi otto anni per arrivare a una soluzione, circa il quadruplo rispetto alla media dei paesi Ocse e otto volte in più della Svizzera. La riduzione a tre anni dei tempi di risoluzione - obiettivo suggerito al Financial Times da Francesco Mannino, presidente della terza sezione civile del Tribunale di Roma - è un passo avanti rispetto ai bassi standard generali ma è comunque un tempo eccessivo rispetto alle performance dei tribunali per l'impresa più efficienti all'estero. Infatti per un'impresa moderna, le cui strategie d'investimento dipendono anche dalla risoluzione di una disputa, tre anni sono il doppio rispetto, ad esempio, all'ottimo raggiunto in Gran Bretagna e Germania dove una causa civile viene portata a termine in un anno e mezzo. Il presidente del Tribunale di Torino, Mario Barbuto, stimato magistrato, un decennio fa aveva più che dimezzato la lunghezza media delle cause civili, portandole appunto a tre anni, attraverso tecniche manageriali semplici adottate nel suo tribunale. Tuttavia anche gli studi di Barbuto, chiamato da Orlando a capo del Dipartimento dell'Organizzazione giudiziaria, evidenziano che ridurre i tempi medi di risoluzione è necessario ma non sufficiente per spingere un investitore a correre il rischio di dovere intraprendere una causa in Italia. Il governo Renzi oltre a volere velocizzare i processi s'è concentrato sulla decongestione dei tribunali scoraggiando le liti temerarie attraverso la prevenzione dei conflitti legali, favorendo soluzioni extragiudiziali mediante l'aumento della tassazione per l'apertura di un contenzioso e l'aumento delle spese legali a carico del soccombente. Tuttavia servirebbero altre soluzioni pratiche per recuperare prestigio agli occhi degli investitori esteri, dice al Foglio Gabriele Cuonzo, legale dello studio Trevisan & Cuonzo di Milano che cura gli interessi di multinazionali estere di farmaceutica, elettronica, automotive e di altri settori. "Il governo ha ottime intenzioni, l'approccio è positivo soprattutto se, come dice il ministro Orlando, si vuole aprire una corsia preferenziale per le aziende internazionali; i nostri clienti lo chiedono da tempo. Ma bisogna capire come farlo in concreto e per ora non vedo cambiamenti sostanziali per quel che riguarda la qualità dei processi". Secondo Cuonzo la velocità è infatti solo una parte del problema. "Non vorrei essere operato da un chirurgo rapido, ma da un chirurgo molto attento al mio caso", dice. C'è un macro problema: "La procedura civile - dice Cuonzo - è percepita come poco trasparente, riflette un'Italia da mondo agricolo. C'è una produzione eccessiva di atti scritti, spesso superflui e ripetitivi, mentre nella tradizione anglosassone buona parte del procedimento è orale. Un punto molto rilevante è il modo in cui vengono raccolte le testimonianze orali. Nel processo italiano quel che dice il testimone viene riassunto dal giudice senza che vi sia un interrogatorio da parte dei difensori. Ciò è difficile da comprendere all'estero". C'è poi un problema pratico: "L'infrastruttura del tribunale è in condizioni precarie. Le cause vengono discusse nelle piccole e affollate stanze dei giudici. Ci sono poche aule per i contenziosi riguardanti le imprese. È difficile proiettare slide o documenti multimediali in udienza. È il regno della carta e dell'informalità; e anche l'estetica ha un certo peso", dice Cuonzo i cui clienti sono al 70 per cento società straniere. "Questo modello va cambiato investendo in maniera selettiva su due o tre tribunali d'impresa, dei progetti pilota, fissando quindi dei benchmark verificabili, un po' quello che dovrebbe accadere nel mondo universitario. Non serve spargere pochi soldi su molti tribunali ma concentrarsi su pochi e selezionati tribunali dove si discutono le cause rilevanti. Basterebbero 100 milioni di euro per rafforzamento del personale, ristrutturazioni e acquisto materiali". Dal punto di vista politico - nota Cuonzo - significa "superare le resistenze dei piccoli tribunali e far accettare una giustizia a due velocità secondo l'importanza dei casi, per cui le corporation vengono prima di un garage conteso. Ci vuole un'azione forte per superare un egalitarismo che conduce al livellamento nella mediocrità della giustizia per garantire un servizio degno di un paese del capitalismo avanzato", dice Cuonzo. Giustizia: il Ministro Orlando "adesso siamo in grado di garantire tempi certi nel civile" di Andrea Cabrini Milano Finanza, 14 luglio 2015 Il titolare del dicastero: la riforma comincia a dare risultati, il tribunale delle imprese ha definito l'83% dei procedimenti in un anno, i contenziosi calano ed è partito il processo telematico. Più garanzie per gli investitori stranieri. Ilva e Fincantieri? Occorre evitare di generare un impatto drammatico sull'attività. Il problema dell'inefficienza della giustizia italiano è sempre stato indicato dagli investitori internazionali e dalla comunità finanziaria come uno degli ostacoli che si frappongono agli investimenti diretti nel Paese. Per questo il ministro Andrea Orlando è in tour nella capitali economiche e finanziarie per spiegare come la riforma della giustizia civile possa migliorare i rapporti tra le aziende, gli investitori e il sistema Paese. D.. Ministro, quali sono gli elementi portanti delle sue presentazioni e che tipo di riscontri sta raccogliendo? R.. Grande interesse e anche talvolta sorpresa non solo per i primi risultati che arrivano, ma anche perché noi italiani spesso siamo vittime di luoghi comuni e stereotipi che descrivono una situazione addirittura peggiore di quella già difficile che caratterizza la giustizia. Il messaggio che lancio nel corso degli incontri è chiaro: per gli investitori esteri siamo in grado di garantire tempi certi, perché mentre ci confrontiamo con una riforma - quella della giustizia civile - complessa, che comincia a dare dei risultati ma che dovrà vedere uno sviluppo nei prossimi anni, abbiamo però già uno strumento che possiamo mettere sul tavolo: il tribunale delle imprese, il foro naturale per i gruppi di altri Paesi che investono in Italia e che nel 2014 - questo è un dato che possiamo dare come fatto, non come ambizione - ha definito l'83% dei procedimenti in meno di un anno. D. Quali altri dati è in grado di produrre? R. Poi possiamo parlare dei primi dati: abbiamo una diminuzione del contenzioso civile, in termini molto consistenti; un calo che ci ha visto scendere dai 6 milioni ai 4 milioni e mezzo di cause trattate. Quest'anno, poi, è partito il processo civile telematico: siamo uno dei pochi Paesi del mondo che ha informatizzato tutto il primo grado di giudizio civile. Il disegno che stiamo impostando comincia a piacere. D. Ma è sufficiente a riguadagnare fiducia dopo che l'Italia è diventata famosa per cambiare le regole in corsa? R. Qui non si parla solo di promesse ma di fatti già concreti. Per quanto riguarda il diritto sostanziale, che caratterizza più direttamente l'attività di impresa e l'attività finanziaria, ad esempio, siamo forti di un intervento che riguarda la dimensione dell'esercizio della delega fiscale, un intervento che tende a stabilizzare proprio il quadro di riferimento delle regole relative al prelievo fiscale e le modalità di accertamento. Un dato che segna una condizione nuova per il nostro Paese. D. Eppure gli ultimi casi, come l'Ilva e quello più recente di Fincantieri, che stanno mettendo a rischio impianti strategici, dimostrano che la macchina non è perfettamente oliata. Lo stesso presidente di Confindustria parla di "manona anti-impresa". R. Stiamo parlando di due cose diverse. Squinzi citava le norme sugli eco-reati e quelle sul falso in bilancio. La riforma che stiamo sviluppando favorisce le imprese che rispettano le regole e tra l'altro si tratta di norme che allineano la nostra legislazione a quella europea. Bisogna evitare - come talvolta accaduto per eccesso di zelo - che le regole per le aziende italiane siano peggiori di quelle che gravano sul resto d'Europa e mi pare che questa sia la linea che stiamo adottando. Per quanto riguarda i due casi che lei richiamava, sono anzitutto due vicende molto diverse. L'una - e mi riferisco a Taranto - riguarda un problema ambientale di inquinamento che avrebbe generato un impatto molto simile anche all'estero. L'altra, invece, riguardava una fase molto marginale della produzione. In ogni caso credo che il governo abbia dimostrata una capacità di intervento, più complicata e articolata nel caso di Ilva, relativamente più semplice nel caso di Fincantieri. Ma il segno è stato chiaro: l'intervento della magistratura che deve assolutamente perseguire il perseguimento di reati, deve va però proporzionato e nell'ambito dei poteri discrezionali occorre evitare di generare un impatto drammatico sull'attività di impresa. D. Un altro tema chiave è quello dei tempi delle procedure fallimentari, una misura sensibile per i bilanci bancari, su il governo è intervenuto nei giorni scorsi. R. C'è una riforma complessiva del settore che stiamo portando avanti, con una commissione di studio che sostanzialmente mira ad allineare le nostre procedure sulla crisi di impresa a quelle europee, tra l'altro con un riferimento, quello del regolamento approvato su questo tema proprio durante il semestre di presidenza italiano. E poi c'è una novità molto importante, passata forse un po' in secondo piano, ma che vorrei sottolineare: l'avvio del portale unico per le procedure fallimentari. Si tratta di un elemento che può accelerare molto le procedure, dare trasparenza e soprattutto può dare ai creditori più possibilità di soddisfazione. In questo senso, può essere un primo passo verso un vero e proprio mercato parallelo della dinamica fallimentare che può consentire proprio di evitare quella distruzione di ricchezza che spesso ha caratterizzato le vicende fallimentari. Giustizia: il Ministro Orlando a Londra, le riforme del processo alla prova della City di Leonardo Maisano Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 "La giustizia civile in Italia? Per gli investitori domiciliati all'estero è già cambiata. Il forum naturale per loro è il tribunale delle imprese". La trasferta londinese del ministro della giustizia Andrea Orlando si concentra in tre appuntamenti, ma ha un obbiettivo prevalente: convincere la City che l'Italia non è più la patria del diritto mutilato dal rinvio di una tempistica senza fine. La zavorra del contenzioso arretrato che è tre volte e mezzo quello tedesco - ovvero di un Paese con una popolazione il 40% più numerosa - si va smaltendo. "Sono rimasto sorpreso anch'io - ha detto il ministro nell'incontro alla Law Society dove si è rivolto alla comunità di avvocati che operano a Londra - dalla rapida ricaduta delle misure introdotte che hanno portato a una riduzione del 20% delle cause. Questo significa che nel volgere di tre o quattro anni l'arretrato potrà essere interamente smaltito". Si contrae l'eredità del passato e accelera, nelle tabelle del ministro, la giustizia nelle 22 corti per le imprese. Nel biennio 2012-2014 è stato rilevato un tempo medio di un anno per la definizione dell'80% delle liti. Un successo che Orlando "vende" sulla piazza di Londra consapevole che la relativa certezza del diritto civile in Italia è stata una delle cause principali degli scarsi investimenti esteri. "Intendiamo potenziare l'azione del tribunale delle imprese - ha aggiunto - e un passo in tal senso è inserito nella riforma organica della giustizia civile. Se fino ad ora abbiamo adottato una terapia d'urto, adesso è necessario un cambio fisiologico che dovrà passare per la specializzazione dei giudici su imprese da un lato, famiglie e individui dall'altro. Prevedo che l'approvazione finale della riforma possa avvenire entro la fine del 2015, tempi parlamentari permettendo anche prima". L'appuntamento alla Law Society è servito al ministro Orlando per presentare i progressi di un sistema giudiziario che a suo avviso è stato riformato nella dimensione geografica, con una storica sforbiciata a giudici di pace, sedi distaccate e tribunali; nella tecnologia, con una progressiva informatizzazione; nella dinamica con lo sviluppo degli strumenti stragiudiziali. La visita dal collega britannico Michael Gove è servita, invece, al ministro per mettere a punto aspetti bilaterali sull'estradizione, mentre la tavola rotonda in ambasciata, appuntamento finale della missione londinese lo ha messo a confronto con il mondo del business. Un incontro che ha visto gruppi del calibro di Blackrock e Kkr sollecitare il responsabile della Giustizia su punti specifici. Ad esempio l'accelerazione dell'iter giudiziario collegato alle garanzie sui cosiddetti "non performing loans". Asset per lo più immobiliari che restano imbrigliati nella rete delle lentezze giudiziarie. Anche in questo caso, probabilmente, il tribunale delle imprese potrebbe divenire strumento utile per superare l'impasse. La visita di Andrea Orlando ha dato una prima risposta alle ansie degli investitori che si concentrano a Londra, ma solo il tempo, con la conferma della "performance giudiziaria" descritta dal ministro, potrà abbattere l'aura di scetticismo che spinge i capitali esteri a stare alla larga dall'Italia. Giustizia: Legnini (Csm); caso Renzi-Adinolfi, fare luce sugli omissis, ma la legge c'è già di Vincenzo Iurillo Il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2015 "Se una intercettazione telefonica appare manifestamente irrilevante va stralciata. Ma su questa doverosa attività non occorrono innovazioni legislative: basta applicare con scrupolo il codice di procedura penale. Ogni distrazione, errore o non corretta applicazione delle norme vigenti rischia di determinare discredito sui magistrati e sugli uffici giudiziari". Sala Arengario del Tribunale di Napoli, cerimonia di insediamento del procuratore generale Luigi Riello. Silenzio, sta parlando il vice presidente del Csm Giovanni Legnini. Sta dicendo cose che è impossibile non collegare al putiferio mediatico, giudiziario e politico scatenato dalle intercettazioni depositate dalla Procura partenopea nell'inchiesta sul colosso del metano Cpl Concordia, e svelate da Il Fatto Quotidiano. La telefonata dell'allora sindaco di Firenze e segretario Pd Matteo Renzi che definisce il premier Enrico Letta "incapace" al telefono col generale della Finanza Michele Adinolfi (indagato a Napoli e poi archiviato a Roma per una presunta fuga di notizie che avrebbe favorito i vertici Cpl). Le conversazioni al ristorante tra alti ufficiali delle Fiamme Gialle sulla presunta ricattabilità della famiglia Napolitano. Il Pg della Cassazione Pasquale Ciccollo ha aperto un fascicolo per capire come queste registrazioni, trascritte in u n'informativa del Noe, siano finite senza ‘omissis' nelle carte delle indagini. Attende i risultati dell'audit interno disposto dal procuratore capo di Napoli Giovanni Colangelo. E la politica accende un faro sulle dispute in corso: torna una voglia matta, e bipartisan, di bavaglio. Una stretta, se non sull'uso delle intercettazioni, quanto meno sulla loro diffusione e pubblicazione. La questione è in Commissione Giustizia. Vicepresidente Legnini, lei in sostanza afferma che la riforma della legge sulle intercettazioni non è necessaria. Ma fa capire che a Napoli qualcosa è sfuggita di mano. Non ho detto questo. La posizione del Csm è nota: non bisogna indebolire lo strumento investigativo delle intercettazioni, ma il legislatore valuti un intervento. Ho detto solo che già con le norme vigenti, casi come quelli assurti alle cronache possono essere evitati. Ma non è una critica ai magistrati napoletani. Stiamo aspettando l'esito degli accertamenti e solo dopo decideremo il da farsi. Se non è una critica ai magistrati, cosa è? Non sempre è la magistratura a rendersi responsabile di errori. L'ho detto nel mio intervento. Non l'ho detto a caso. Sta dicendo che qualcuno esterno alla magistratura ha inserito nel fascicolo quelle carte senza omissis? Non lo so come sono andate le cose. Il procuratore a breve farà le sue valutazioni. Il Csm chiederà verifiche anche a Modena e Roma, le altre Procure destinatarie di atti provenienti da Napoli sulle inchieste Cpl Concordia? Il Csm non ha chiesto nulla, allo stato. Non abbiamo elementi. Aspettiamo prima gli accertamenti avviati dal Pg della Cassazione e dal procuratore capo di Napoli. Non ci sottrarremo ad assumere i doverosi provvedimenti conseguenti agli eventuali esiti. Giustizia: in cella dai genitori di Lady Jihad "credere in Allah non è terrorismo" di Paolo Berizzi La Repubblica, 14 luglio 2015 La sorella Marianna indossa il hijab e si lamenta. "Vorrei un velo più adeguato, l'ho chiesto ma non posso averlo". Un velo più coprente di questo che le lascia il volto a vista. Mamma Assunta no, è vestita all'occidentale, molto provata. "Difficile stare qui, isolati da tutto da un momento all'altro". Valle a dire che la figlia in nero, cella al primo piano e Corano sempre aperto, desidererebbe tanto "farle gli auguri ora che sta finendo il Ramadan". Basterebbe questa frase per capire le sfumature. Poi c'è Papà Sergio. Ha accorciato la barba, di pochissimo. Dice: "Prego Allah perché questa storia finisca. Il digiuno? Purtroppo non posso: devo prendere delle medicine". Carcere di San Vittore. Quaranta e passa per cento di detenuti musulmani: il resto, direbbe Maria Giulia Sergio, la Fatima che col lavaggio del cervello jihadista ha fatto finire dietro le sbarre padre, madre e sorella, sono "miscredenti". Eccoli i Sergio di Inzago. Dall'hinterland milanese all'Is (quasi): e poi in carcere. Dentro da 13 giorni. Isolati. Non possono comunicare né tra loro né con altri detenuti. Ricapitoliamo: i poliziotti della Sezione Antiterrorismo della Digos di Milano li arrestano nella villetta color ocra alle porte di Milano dopo avere ascoltato per mesi le conversazioni ad alto tasso terroristico con Maria Giulia, la 28 enne arruolata nelle file dell'Is assieme al marito albanese Aldo "Said" Kobuzi. Lei in Siria a decantare via Skype lo "Stato perfetto" fondato sulle "decapitazioni in nome di Allah" e via delirando; loro nella casetta di periferia ormai pronti a lasciarsi alle spalle l'Italia miscredente e a imbarcarsi su un volo per la Siria, "con una sola valigia", come li aveva istruiti Fatima. La famiglia jihad adesso parla. L'occasione è la visita nel carcere di San Vittore-ieri-di Khalid Chaouki, parlamentare marocchino del Pd. "Volevo capire, guardare negli occhi questa drammatica e pericolosa realtà". Lo chiamano il jihadismo della porta accanto. La porta della cella di Assunta - riferisce a "Repubblica" Chaouki - ha griglie che sembrano enormi rispetto alla presa delle mani sottili di questa donna che pare portare con fatica i suoi 60 anni. Li incontra tutti e tre i Sergio, Chaouki. I colloqui avvengono in cella. Reparto "protetti" (transessuali, pedofili, collaboratori di giustizia, ex appartenenti alle forze dell'ordine). La moglie Assunta occupa una cella dell'infermeria, secondo piano della sezione femminile. La figlia Marianna è un piano sotto, anche lei cella singola. Trent'anni, la sorella maggiore di "Fatima" era ed è la più convinta. Quella che per prima ha "trapassato", quella che forse, chissà, se non l'avessero arrestata avrebbe gia imparato a usare il kalashnikov per eliminare i "non convertiti". "Non esco durante l'ora d'aria, mia madre sì. Sono molto preoccupata per lei e non capisco che senso ha averci messo in prigione. Soprattutto i miei genitori che sono anziani", si sfoga. Maria Giulia ha usato parole più nette per definire gli arresti del suo doppio nucleo familiare (italo-albanese): "Un buco nell'acqua". Ai parenti più stretti della jihadista al servizio del califfo Al Bagdadi è stato contestato l'articolo 270 quater del codice penale che punisce chi organizza la partenza di combattenti con finalità terroristiche. Marianna ha altri pensieri. "Questo velo non va bene, non copre...", riferisce al suo interlocutore. Ha appena infilato un segnalibro nel Corano, dice che non può parlare con le altre donne del reparto e che prega sempre, e lo stesso fa papà Sergio. Annuisce, Marianna, quando Chaouki le spiega: "La giustizia a volte è lenta ma giusta". I tempi lei li affida a Allah. "Prego perché ci faccia uscire da questa storia". Ci sono intercettazioni che di Marianna raccontano un grado di coinvolgimento nel progetto del jihad molto meno passivo rispetto a quello dei genitori. Del padre Sergio costretto da Fatima a prendere i 25mila euro della liquidazione e a unirsi all'Is. Della madre Assunta circuita con pressioni psicologiche di ogni tipo. L'ex operaio sessantunenne con la barba da imam rompe per qualche minuto il silenzio nel quale si è rifugiato dentro il reparto dei detenuti sgraditi al resto della popolazione carceraria. "Non siamo terroristi, siamo persone normali. Non abbiamo fatto niente di male. Sono ancora molto scosso e devo prendere dei farmaci perché non sto bene". Niente ora d'aria nemmeno per Sergio: sua scelta. Stando alle frequenze di radio carcere, che non hanno nulla di probatorio ma a volte rendono il clima, il padre di Maria Giulia sarebbe sì molto scosso, ma tutto fuorché pentito della sua conversione. "La più provata dei tre è certamente la madre", sintetizza Chouaki. Le parole di Assunta: "Voglio ringraziare le guardie carcerarie e il personale dell'infermeria per come mi hanno trattato. È difficile stare qui, isolati da tutto da un momento all'altro. Sono in pena per mio marito, per le mie figlie. Non so cosa succederà adesso...". Il velo, se c'è, è in cella, o è rimasto a casa. Non lo indossa. "Quando verrai qui ti compro tutto", era stata la promessa da lucignolo di Maria Giulia ormai Fatima. La figlia aveva rassicurato la madre per sfaldarne le resistenze. "Il Califfato non ti farà mancare niente... nemmeno la lavatrice". Era tutto pronto per la hijra (la migrazione) nello stato islamico. Anche gli elettrodomestici. Ma la polizia è arrivata prima. Giustizia: Bankitalia "la Pa insensibile sulle segnalazioni antiriciclaggio" di Marco Ludovico Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 Si fa presto a dire lotta alla corruzione, principi di trasparenza, garanzie di concorrenza e legalità negli appalti: è proprio la pubblica amministrazione, per prima, a dimostrare "scarsa sensibilità" quando deve segnalare i fenomeni di riciclaggio. La denuncia arriva dal rapporto annuale dell'Uif-unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, presentato ieri. C'è di più:?davanti alla "revisione della normativa nazionale" nel settore, dettata "dal prossimo recepimento della quarta direttiva antiriciclaggio" il rapporto Uif stigmatizza la necessità di "contrastare le spinte, che già si colgono, per una generale attenuazione degli obblighi". Le lobby, dunque, sono al lavoro. Peccato che "la direttiva, sotto diversi profili, richiede invece un innalzamento dei livelli di presidio". Alla presenza del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, il numero uno dell'Uif, Claudio Clemente, apprezza l'introduzione del reato di autoriciclaggio, ma poi fa una considerazione amara: "Norme adeguate sono essenziali ma sono destinate a restare inefficaci se manca la condivisione di fondo degli obiettivi da parte della società civile" invitata a fare "una precisa scelta di campo, abbandonando agnosticismi e disponibilità alla connivenza". Dall'altra parte, rileva Clemente, "dietro le oltre 70mila segnalazioni vi sono migliaia di persone - presso banche, imprese, studi professionali - che hanno dato prova di impegno civile, che non hanno accettato di far parte della zona grigia di operatori disponibili a rendersi strumento di riciclaggio". Il quadro, insomma, è pieno di preoccupazioni:?alcune vicende "pongono in luce come la corruzione sia divenuta anche il mezzo attraverso il quale forme sempre più evolute di criminalità organizzata si infiltrano nell'apparato pubblico, ne condizionano le scelte". La relazione stigmatizza come sia "una criminalità che ha sempre meno bisogno di ricorrere all'intimidazione e alla violenza, perché mira a integrarsi nelle istituzioni, a minarle dall'interno". Ma la corruzione viene considerata "una minaccia estremamente preoccupante per il sistema economico-sociale del Paese" perché "mina la fiducia del cittadino nelle istituzioni e nella politica". Senza trascurare l'evasione fiscale che "coinvolge in modo diffuso e trasversale vaste fasce di cittadini" e che con i reati connessi è"un presupposto ricorrente all'attività di riciclaggio". Le segnalazioni di operazioni sospette sono comunque in crescita. Sono state circa 71.700 nel 2014, circa 7mila in più dell'anno precedente, con qualche novità: di queste 59.594 sono poi state inviate agli organi investigativi per un eventuale seguito di indagine, 24.633 con valutazione di rischio "alto" o "molto alto". Le 24 ispezioni condotte dalla Uif nel 2014 hanno riguardato anche comparti diversi dall'intermediazione bancaria, quali il risparmio gestito, il private banking, il trading online e l'operatività degli istituti di pagamento; per la prima volta l'Unità ha effettuato accertamenti presso società di revisione, esercenti attività di custodia e trasporto di valori e operatori di gioco. Giustizia: il fisco si è incartato, annullati sempre più accertamenti di dirigenti illegittimi di Marino Longoni Italia Oggi, 14 luglio 2015 Il braccio di ferro tra governo e Agenzia delle entrate blocca tutta l'attività. Dieci sentenze favorevoli al contribuente e solo tre favorevoli al fisco. La questione della nullità degli atti di accertamento sottoscritti da dirigenti dell'Agenzia delle entrate dichiarati decaduti si può riassumere anche così. Nel frattempo sono anche passati quattro mesi dalla sentenza della Corte costituzionale e non si è riusciti a trovare una soluzione al problema che sta scardinando la macchina dell'Agenzia delle entrate. Il direttore, Rossella Orlandi, all'indomani della sentenza, aveva stigmatizzato il tentativo di impugnazione degli atti firmati dai dirigenti decaduti ("smettiamola di far girare sciocchezze, gli atti sono validi, non si facciano spendere soldi inutili ai cittadini per i ricorsi"). Non è stata l'unica a prendere una cantonata: certa stampa specializzata ha sostenuto la tesi che l'impugnazione degli atti di accertamento avrebbe esposto il contribuente al rischio di lite temeraria. I fatti sono andati in maniera molto diversa. Non solo la gran parte dei giudici di merito ha aderito alla tesi della nullità degli accertamenti, ma in alcuni casi sono state ritenute nulle anche le iscrizioni a ruolo e le cartelle esattoriali emanate in seguito agli atti di accertamento nulli. Una recente sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia ha addirittura mandato gli atti alla corte dei conti ipotizzando un danno erariale dalla perdita di gettito conseguente alla nullità degli accertamenti. All'interno dell'Agenzia delle entrate, intanto, la situazione si è fatta esplosiva. Alcuni dei dirigenti retrocessi hanno continuato a svolgere le stesse funzioni, con lo stipendio ridotto a un terzo, nella speranza di una soluzione il più possibile rapida e indolore. Altri hanno gettato la spugna e, abbandonate le funzioni e le responsabilità dirigenziali sono tornati nei ranghi dei semplici funzionari. Molte delicate posizioni rimangono così scoperte, minando l'operatività dell'Agenzia, mentre infuria la polemica tra chi invoca un provvedimento per legittimare i dirigenti decaduti e chi invece chiede un concorso aperto a tutti e senza posti riservati. Una situazione insostenibile, aggravata da centinaia di migliaia di documenti che ora rischiano di finire nel tritacarte (ruoli, avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione delle imposte, cartelle, provvedimenti irrogativi di sanzioni, atti riguardanti le operazioni catastali, atti di diniego espresso emessi dalle Agenzie fiscali, atti processuali). E dal rischio di perdite erariali enormi. Eppure non si vede all'orizzonte nessuna soluzione in grado di ripristinare il normale svolgimento dell'attività delle Entrate: anzi a quattro mesi dalla sentenza è evidente che tra il governo e l'Agenzia delle entrate si è scatenata una lotta neanche tanto sotterranea, con il primo intenzionato a ripristinare la legalità violata mediante un concorso aperto a tutti e la seconda invece ostinatamente impuntata sull'esigenza di ripristinare il più velocemente possibile la posizione della maggior parte dei dirigenti decaduti. Il braccio di ferro sta impantanando l'operatività dell'Agenzia, mettendo in difficoltà anche i contribuenti, che devono sopportare i ritardi nei rimborsi Iva, la mancanza di indicazioni sulla procedura della voluntary disclosure, la difficoltà ad ottenere risposte da una controparte sempre più evanescente. A essere soddisfatti sono solo i contribuenti disonesti che, in queste condizioni, trovano più facilmente il modo di sfuggire alle loro responsabilità. Doppia violazione, niente tenuità del fatto di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 Corte di cassazione - Sentenza 29897/2015. Il giudice può affermare l'esistenza del reato continuato, e dunque escludere la particolare tenuità del fatto per abitualità della condotta, anche basandosi su più azioni contestate nel solo procedimento preso in considerazione. La Corte di cassazione, con la sentenza 28897 depositata ieri, respinge una richiesta di applicazione dell'articolo 131-bis del Codice penale (Dlgs 28/2015) avanzata dal ricorrente, accusato di aver tolto per due volte i sigilli messi al suo appartamento sottoposto a sequestro penale. I giudici, nel verificare le condizioni per applicare il nuovo istituto, individuano un ostacolo proprio nell'abitualità della condotta. La Suprema chiarisce che, mentre nel caso di un soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale si fa riferimento a condizioni specifiche di pericolosità che presuppongono un accertamento da parte del giudice, lo stesso non vale per chi è accusato di aver commesso più reati della stessa indole. In quest'ultima ipotesi - precisano i giudici - non c'è nel testo della relazione che illustra la legge, alcun indizio dal quale sia possibile dedurre che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria. Al contrario, secondo la Suprema corte sembra che si possa arrivare alla conclusione diametralmente opposta "con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento". Una lettura che amplia ulteriormente il numero dei casi in cui il comportamento può essere ritenuto abituale "considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle condotte plurime, abituali e reiterate" e che consente di far scattare il semaforo rosso, previsto dal terzo comma, anche per i reati continuati. Sulla scia di questa interpretazione a maglie strette la Cassazione afferma che nel caso esaminato, benché il reato contestato per la violazione dei sigilli (articolo 349 del codice penale) preveda una pena massima di tre anni, la strada della legge più favorevole è comunque preclusa dalle due azioni commesse in tempi diversi: una a febbraio 2007 e l'altra a giugno dello stesso anno. Le decisioni sull'aggravante speciale dell'utilizzo del metodo mafioso Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 Reato - Aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso - Applicazione al delitto di cui all'art. 319 cod. pen. Finalismo tipico della fattispecie aggravata - Esclusione della sufficienza del dolo diretto - Effetto intenzionale della condotta riconducibile al movente - Presupposti Il vantaggio in capo all'associazione mafiosa non deve essere necessariamente perseguito in termini di "adesione psicologica" o addirittura in ragione dell'affectio societatis essendo sufficiente un personale interesse dell'agente affinché sia prodotto un vantaggio a favore dell'ente, nella consapevolezza delle sue caratteristiche di "mafiosità". È necessario che l'effetto di favorire il gruppo criminale costituisca lo scopo - almeno concorrente - dell'agire delittuoso, cioè che ne costituisca un movente, non necessariamente il solo, non bastando che si tratti di una conseguenza accettata, in termini di maggiore o minore probabilità, del comportamento dell'agente. • Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 9 luglio 2015 n. 29311. Reato - Aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso - Contestazione o dimostrazione dell'esistenza di un'associazione a delinquere - Necessità - Esclusione. Ai fini della configurabilità dell'aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso", prevista dall'art. 7 D.L. 13 n.152 del 1991 non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 17 aprile 2015 n. 16053. Reato - Aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso - Aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso - Contestazione o dimostrazione dell'esistenza di un'associazione a delinquere - Necessità - Esclusione. Per la configurabilità dell'aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso", prevista dall'art. 7 D.L. 13 n.152 del 1991, non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 8 gennaio 2014 n. 322. Reati contro l'ordine pubblico - Associazione per delinquere - Associazione di stampo mafioso - Circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso - Applicabilità agli associati anche per i reati fine. La circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 nelle due differenti forme dell'impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l'attività dell'associazione a delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento ai reati fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso. • Corte di cassazione, sezione I, sentenza 22 gennaio 2015 n. 3137. Reato - Circostanza aggravante speciale di cui all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 conv. in l. n. 203 del 1991 - Metodo mafioso - Nozione - Elementi costitutivi - Fattispecie in tema di associazione dedita al narcotraffico. Ai fini della configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 7 del D.L. n. 152/1991 l'avvalersi delle condizioni previste dall'art. 416 bis cod. pen. è nozione che si determina avendo riguardo ai profili costitutivi dell'azione propria dell'associazione di tipo mafioso, consistenti nell'impiego della forza di intimidazione del vincolo associativo e nella condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, con la conseguenza che gli ulteriori aspetti presi in considerazione dall'art. 416 bis cod. pen. non assumono valore qualificante. • Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 15 gennaio 2015 n. 1783. Reato - Mancato riconoscimento dell'aggravante speciale dell'utilizzo del metodo mafioso - Sussistenza dell'interesse della parte civile ad impugnare. Sussiste l'interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che non abbia riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 potendo da quest'ultima derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del patema d'animo sofferto dalla vittima, che può risultare più intensamente intimidita da una condotta posta in essere con l'utilizzo del metodo mafioso o con finalità di agevolazione mafiosa. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 25 novembre 2014 n. 49038 È peculato per l'agente che si appropria di stupefacenti sequestrati di Daniela Casciola Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 Corte di cassazione - Sezione - Sentenza 13 luglio 2015 n. 30141. Commette peculato il poliziotto che si appropria per uso personale degli stupefacenti sequestrati. Il reato c'è anche in assenza di un danno economico consistente per la Pa essendo la merce destinata alla distruzione. Lo ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 30141/15, depositata ieri. La vicenda - La decisione riguarda il ricorso contro la sentenza della Corte d'appello di Venezia che aveva condannato un sovrintendente della Polizia municipale di Stato per essersi appropriato di quantitativi "imprecisati" di sostanze stupefacenti sottoposte a sequestro. L'uomo avrebbe agito con l'intenzione di utilizzare la droga a fini personali. La decisione - La Cassazione ha rigettato il ricorso muovendo dalla premessa che l'appropriazione di cose o danaro da parte di un agente pubblico, anche quando non arreca danno patrimoniale alla Pa, è comunque lesiva dell'altro interesse tutelato dall'articolo 314 del codice penale che si identifica nella legalità, imparzialità e nel buon andamento del suo operato. Non occorre, quindi, che si sia realizzato un ingiusto profitto. La Corte ricorda, infatti, in via generale che il peculato è un reato a carattere plurioffensivo: da un lato tutela l'interesse della "funzionalità operativa della Pa", dall'altro riguarda la protezione dei beni patrimoniali che sono affidati - come nel caso di specie - alla custodia dei pubblici funzionari. Da questo deriva che l'irrilevanza del danno patrimoniale non esclude la sussistenza del reato. L'agente ha infatti leso l'interesse non patrimoniale, cioè il buon andamento della pubblica amministrazione. Non rileva che il bene oggetto dell'indebita appropriazione fosse destinato alla distruzione. La sostanza, una volta sottoposta a sequestro, doveva rimanere nella sfera di esclusiva disponibilità dell'amministrazione per essere sottoposta a valutazioni ed accertamenti che ne autorizzassero la distruzione. La Corte sottolinea, a proposito e in riferimento specifico al caso in giudizio, che integra il reato di peculato anche l'appropriazione di cose il cui commercio è vietato. Se manca la formazione datore responsabile dell'infortunio del lavoratore di Andrea Alberto Moramarco Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 Tribunale di Ivrea - Sezione penale - Sentenza 2 febbraio 2015 n. 684. Se l'infortunio occorso al lavoratore è dipeso da un suo stesso comportamento imprudente, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza contro gli infortuni, non può essere considerato esente da colpa se non sono state adottate le cautele minime, come l'individuazione dei rischi e una adeguata formazione, che avrebbero neutralizzato il rischio di incidenti. Questo è quanto affermato dalla sentenza del Tribunale di Ivrea 684/2015. La vicenda - A subire l'infortunio, verificatosi all'interno di una fabbrica, era stato un lavoratore addetto al tornio, il quale dopo aver smussato l'utensile procedeva alla lucidatura dello stesso afferrando un pezzo di tela con due dita della mano. Questa attività gli era stata mostrata direttamente dal suo datore di lavoro, ma essendo alquanto azzardata, gli provocava lo schiacciamento della mano con diverse fratture scomposte, guarite poi in 8 mesi. Dopo le verifiche effettuate, il datore di lavoro veniva tratto a giudizio con l'accusa di aver violato le regole di diligenza, prudenza e perizia con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Dlgs 81/2008), in quanto non aveva fornito al suo dipendente, assunto da poco con contratto a tempo determinato tramite agenzia interinale, le informazioni e istruzioni necessarie per l'utilizzo in sicurezza del macchinario. Dal canto suo, il datore responsabile della sicurezza riteneva che l'infortunio era da addebitare alla assoluta imprudenza del comportamento tenuto dal lavoratore. La condotta del lavoratore non esclude la colpa del datore - Il Tribunale respinge la tesi difensiva, che faceva leva sulla negligenza del lavoratore, e spiega che la responsabilità penale del datore di lavoro non può venir meno se la condotta imprudente del lavoratore sia stata determinata dalla mancata adozione da parte del titolare dell'impresa di quelle misure minime necessarie volte ad evitare infortuni. In sostanza, nel caso di specie, se è vero che il lavoratore ha "messo le mani là dove non avrebbe dovuto", è anche vero che "lo ha fatto perché così gli era stato detto di fare e senza che nessuno lo avesse adeguatamente formato sul corretto funzionamento della macchina". Dunque, l'infortunio si sarebbe potuto evitare "se fossero stati individuati i rischi connessi alla lavorazione e fosse stata fornita al lavoratore adeguata formazione". A ciò, il giudice aggiunge che il responsabile della sicurezza del lavoro che ha omesso negligentemente di attivarsi per impedire l'evento non può invocare la condotta imprudente del lavoratore quale causa di esenzione da colpa perché "il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche da rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze, purché connesse allo svolgimento della attività lavorativa". Nozze gay contratte all'estero, Avvocatura e Governo su binari diversi di Enrico Bronzo Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2015 L'Avvocatura di Stato, per conto del ministero dell'Interno, ha depositato appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar Lazio che bocciava la circolare del 7 ottobre 2014 del ministro Alfano contro la trascrizione delle nozze gay contratte all'estero. E ciò - sottolinea il Codacons, autore del ricorso al Tar Lazio - mentre il Governo annuncia da tempo di voler giungere a breve a una legge in materia. Il Consiglio di Stato (sezione III, presidente Romeo, relatore Deodato) deciderà giovedì 16 luglio sull'appello, presentato dal ministero e dai prefetti delle province di Roma, Napoli, Pesaro Urbino, Milano, Udine. Il Codacons critica in particolare il passaggio del ricorso in cui, "con riferimento alla sussistenza del requisito del "periculum", l'Avvocatura rileva che l'interesse pubblico all'unitarietà dell'ordinamento e all'esercizio della funzione dello stato civile in maniera uniforme a livello nazionale, rischierebbe di essere compromesso ove fosse consentita l'introduzione surrettizia di una tipologia di matrimonio al momento non prevista dall'ordinamento". Anche Paola Binetti, deputata di Area popolare, in una nota evidenzia come il desiderio del premier di accelerare l'iter di approvazione delle norme sulle unioni civili cozzi con l'azione dell'Avvocatura. Cogliendo l'occasione per dare la colpa anche al "tentativo di fare delle unioni civili una sorta di manifesto copia-incolla rispetto al matrimonio, come accade con il ddl Cirinnà" ora all'esame del Senato. Lettere: i baby boss e la politica svuotata di Luisa Cavaliere Corriere del Mezzogiorno, 14 luglio 2015 Rischiamo di essere sommersi da un'onda dì retorica repressiva che invoca militari, polizia, impossibile controllo del territorio) o dallo speculare elogio astratto della cultura e della bellezza miracolose redentrici del mondo addomesticate in manifestazioni, rassegne, "interpretazioni" intellettuali della realtà. Sta accadendo questo anche di fronte alla recrudescenza della violenza a Forcella. Le cause vere vengono occultate e i rimedi sono sempre farmaci "estranei" al contesto) anticorpi che rischiano addirittura di nascondere le cause prime di ciò che accade. Nel centro della città (a piedi si raggiunge piazza municipio in non più di un quarto d'ora e l'università è li a due passi) una ragnatela di strade apparentemente innocenti. Rumorose) piene dì bei palazzi spesso degradati) di chiese, bancarelle, negozi. Richiami, canzoni, panni stesi, pizzerie. Un condensato a cielo aperto della retorica sulla città, omicidi e faide comprese. Un poligono di tiro per l'apprendistato dei più giovani allestito sul terrazzo che fa da tetto ad uno dei condomini più popolato del quartiere. E, infine, l'omicidio (quasi si dovrebbe dire l'infanticidio) di un ragazzino che, sfuggito all'arresto non è, poi, riuscito ad evitare i suoi killer che implacabili, conoscevano bene il suo nascondiglio. Una guerra per bande che assicurerà nuovi equilibri e segnerà il predominio di un'altra famiglia. Manca il lavoro certo. Il tasso di abbandono scolastico è altissimo, certo. I modelli culturali sono efficacissimi trasmettitori di valori e simboli. Il padre carcerato o il fratello rispettato generano il desiderio di essere uguali. La madre fedele che copre i reati dei figli fino ad assumersene la responsabilità e ad andare in carcere al posto loro (la Casa circondariale di Pozzuoli è piena di questo perverso amore materno) è un esempio straordinariamente seducente. Ma che cosa è stato fatto o è fatto dalla Regione, dal Comune, dalle associazioni di impresa, dai sindacati, dall'Università? Quale proposta politica e culturale fanno i partiti sulle periferie di Napoli che si annidano anche nel suo cuore di tenebra? Quale idea di città si disegna nei singoli atti amministrativi e nelle strategie? Nessuna. Solo (quando c'è e non sempre c'è) condanna moralistica. Parole svuotate di qualsiasi capacità di nominare la realtà. Meno che mai di tentare di cambiarla. Ho lavorato, indagato, cercato di capire quei vicoli, quelle donne piene di solitudine, quel mix perverso di tradizioni e modernità. Ho seguito come se fosse mio, l'esempio della "scena delle donne", un laboratorio teatrale che Marina Rippa coraggiosa e instancabile promuove da anni. Ispirata dall'idea che "attraverso l'arte si possa agire sulla qualità della vita che il teatro è il luogo di efficaci percorsi di autocoscienza dove si generano la conoscenza e la consapevolezza di se stessi e degli altri". In quell'esperienza seguita dalla sciattissima attenzione pubblica e istituzionale che fa diventare meta ambita e quasi irraggiungibile perfino l'assegnazione definitiva di uno spazio in una città piena di "spazi" e di vuoti, c'è non la soluzione miracolistica dei problemi. Lì c'è una strada che si può seguire, copiare, adottare come esempio virtuoso. Si parte dal vissuto e dalla sua narrazione. Sì guardano le proprie esistenze. Si scrive, si recita il copione dei propri sogni delle ambizioni) delle gabbie simboliche alle quali si è vocate come ad un destino Solo dentro il corpo malato si può costruire la reazione e, insieme, il sogno concreto della guarigione. Si usa il teatro e a sua antichissima, straordinaria funzione maieutica. Toscana: i detenuti dell'Opg di Montelupo sottoscrivono un ricorso per mancanza Rems Ansa, 14 luglio 2015 A causa della mancanza della Rems a Volterra, l'internamento all'interno dell'Opg di Montelupo fiorentino è oggi "illegittimo e in violazione dell'art. 13 della Costituzione che sancisce l'inviolabilità della libertà personale", su questo principio il Centro di documentazione sul carcere "L'Altro diritto" ha avviato una campagna per la raccolta e la compilazione dei modelli di ricorso che è stato sottoscritto da 58 degli 85 internati nell'ospedale psichiatrico toscano. È quanto reso noto oggi dal garante dei diritti dei detenuti toscani Franco Corleone insieme al direttore del centro di documentazione Emilio Santoro. I due hanno presento un volume dal titolo ‘L'abolizione del manicomio criminale tra utopia e realtà', a cura della Fondazione Giovanni Michelucci. "Gli internati degli Ospedali psichiatrici giudiziari - ha osservato Corleone - considerati folli dimostrano invece di essere molto più sani e capaci di intendere quali sono i loro diritti". Per Corleone "non ci sono scusanti. In Toscana è stata individuato l'ex manicomio di Volterra per realizzare una Rems che, si dice, sarà pronta ad agosto. Fino ad allora si protrae questa situazione illegittima". "Auspichiamo un'accelerazione perché - ha spiegato ancora Corleone - se il magistrato di sorveglianza accoglierà il ricorso e quindi le istanze firmate che trasmetteremo a tutti gli altri garanti in Italia, la Regione si troverà in grave difficoltà". Toscana: Corleone "necessario accelerare per il superamento del manicomio criminale" gonews.it, 14 luglio 2015 Chiusura Opg, cento giorni dopo una sola cosa pare essere certa: il lungo e faticoso processo di riforma se è partito procede a rilento e a farne le spese sono gli "ultimi tra gli ultimi". Gli internati degli Ospedali psichiatrici giudiziari che, rileva Franco Corleone garante regionale dei diritti dei detenuti, "considerati folli dimostrano invece di essere molto più sani e capaci di intendere quali sono i loro diritti". Nel corso di una conferenza stampa svoltasi oggi, lunedì 13 luglio in sala Montanelli di palazzo Panciatichi a Firenze, Corleone ha infatti anticipato alcuni temi che saranno discussi nel convegno intitolato "La chiusura dell'Opg alla prova dei cento giorni" (a partire dalle 9.30 di domani nella sala delle Feste di palazzo Bastogi, via Cavour 18). "Un seminario che segue i due già organizzati e che vuole offrire proposte politiche che ci auguriamo la Regione ascolti". Un auspicio che appare "necessario", vista la condizione "anticostituzionale" che stanno vivendo gli 85 internati di Montelupo. Affiancato da Emilio Santoro, direttore del Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità L'Altro diritto, il garante ha infatti spiegato come l'internamento sia, oggi, "illegittimo" e in violazione dell'art. 13 della Costituzione che sancisce l'inviolabilità della libertà personale. E su questo principio il Centro fondato nel 1996 ha avviato una campagna per la raccolta e la compilazione dei modelli di reclamo ex art. 35 bis per gli internati ancora presenti negli Opg. "Siamo stati a Montelupo - ha detto Santoro nel corso della conferenza stampa - e 58 degli 85 internati hanno firmato dimostrando di aver ben chiara la loro situazione". L'incontro con i giornalisti è servito da un lato ad anticipare i temi in discussione al seminario cui parteciperanno anche i presidenti di Giunta e Consiglio Enrico Rossi ed Eugenio Giani, e l'assessore regionale Stefania Saccardi, dall'altro per illustrare i contenuti del libro di Corleone "L'abolizione del manicomio criminale tra utopia e realtà", a cura della Fondazione Giovanni Michelucci. "Mantenere alta l'attenzione sulle persone in misura di sicurezza, sulla tutela dei loro diritti e sui percorsi di riabilitazione, è necessario oltre che doveroso" ha spiegato il garante. Le alternative ai manicomi criminali, le Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) dovrebbero essere garantite dal primo aprile di quest'anno. "Non ci sono scusanti. In Toscana è stata individuato l'ex manicomio di Volterra che, si dice, sarà pronto ad agosto. Fino ad allora si protrae questa situazione illegittima". "Auspichiamo un'accelerazione perché - ha spiegato ancora Corleone - se il magistrato di sorveglianza accoglierà il ricorso e quindi le istanze firmate che trasmetteremo a tutti gli altri garanti in Italia, la Regione si troverebbe in grave difficoltà". Lazio: senatrici Pd visitano Rems Pontecorvo "ottimo per ricovero dei pazienti ex Opg" Ansa, 14 luglio 2015 "La valutazione della Rems di Pontecorvo è senz'altro positiva. La struttura è il frutto di un percorso virtuoso che ha visto interagire tutti gli attori coinvolti, dalla Asl locale guidata dalla Professoressa Mastrobuoni, agli amministratori locali, alla Regione e soprattutto alla popolazione della cittadina che ha saputo accogliere con grande generosità la nuova struttura e le sue ospiti": Così le senatrici Giuseppina Maturani, vicepresidente del gruppo e membro della commissione Sanità, e la senatrice Nerina Dirindin, capogruppo Pd della stessa commissione, che stamattina hanno visitato la Rems di Pontecorvo in provincia di Frosinone. "La Rems - proseguono le senatrici - è ospitata in una struttura Asl adeguatamente ristrutturata che si trova alle spalle della Casa della Salute e al centro del Paese, per favorire una completa sinergia di tutti gli attori coinvolti nel suo funzionamento in un momento delicato quale quello del passaggio dagli Opg alle Rems". "Sono tutte donne le pazienti della Rems - sottolinea Dirindin - provenienti dall' Opg di Castiglion delle Stiviere e tornate nella loro Regione, come prevede la legge. Nel loro inserimento sono seguite dal personale, tutto del Ssn, altamente specializzato e preparato per assisterle al meglio". "Nella nostra visita - aggiunge Maturani - abbiamo potuto apprezzare l'ottimo lavoro svolto e la grande corrispondenza con lo spirito della legge che ha portato finalmente alla chiusura degli Opg e riaffidato alla civiltà persone costrette a vivere in modo indegno. Ora la speranza è che anche nel resto del Paese si faccia presto e bene". "Noi assicuriamo il nostro impegno per garantire il rispetto della legge e chiudere definitivamente la brutta pagina degli Opg", concludono le senatrici Pd. Emilia Romagna: "c'è poca sicurezza", gli psichiatri hanno paura di lavorare nella Rems La Repubblica, 14 luglio 2015 A Bologna 41 psichiatri chiedono ulteriori misure di sicurezza nella struttura aperta a marzo. La replica del direttore Bartoletti: "È più sicura di qualsiasi reparto psichiatrico, ma non è un carcere: la legge prevede che le persone scontino la pena in maniera riabilitativa". La difesa dell'ordine dei medici Una lettera firmata da 41 psichiatri dell'Ausl per denunciare le insufficienti misure di sicurezza nella "Rems" della città, ovvero la "Casa degli svizzeri" in via Terracini a Bologna che ha aperto le porte a 14 ospiti dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio, considerati "i soggetti ad alta pericolosità" a cui devono garantire l'assistenza. Spedita attraverso un avvocato a Giancarlo Pizza, presidente dell'ordine dei medici (che a sua volta l'ha girata al prefetto), la lettera sottolinea, in primo luogo, "l'assoluta inopportunità" della struttura (una casa colonica su due piani), che "non consente un controllo del reparto". I medici denunciano anche l'inadeguatezza della dotazione di due operatori durante il turno di notte. Infine, segnalano che "il turno di reperibilità del personale medico, potendo essere temporalmente coincidente con la reperibilità in altre strutture, è potenzialmente foriero di un vuoto di tutela." In particolare, si legge, "in materia di sicurezza occorre, come condizione imprescindibile, che vengano emesse linee guida dettagliate sul comportamento degli operatori in caso di emergenza". La Rems di Bologna, aperta il 27 marzo come conseguenza dell'obbligo di chiusura degli Opg, oggi ospita 14 pazienti giudiziari (la quota massima) ed è una struttura provvisoria in attesa della realizzazione della Rems di Reggio Emilia. È diretta da Claudio Bartoletti, che respinge le accuse: "Quello della sicurezza è un problema affrontato: c'è un sistema di videosorveglianza, una guardia giurata presente 24 ore su 24, una recinzione. È una struttura naturalmente più sicura di un qualsiasi reparto psichiatrico, ma non è un carcere. Non lo è e non lo sarà: la legge prevede che le persone in Rems scontino la loro pena in maniera riabilitativa. Senza dimenticare che le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria sono misure, come dice il nome, socio-sanitarie". Trentino: chiusura Opg, sarà realizzata a Pergine la Residenza per le misure di sicurezza 9Colonne, 14 luglio 2015 Sarà realizzata presso il presidio della riabilitazione di Pergine, la Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), che accoglierà le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici giudiziari di Trento e di Bolzano, in linea con quanto stabilito dalla normativa nazionale che aveva fissato all'1 aprile scorso il termine per completare il percorso di chiusura di queste strutture. "È stata ormai assodata l'inefficacia degli ospedali psichiatrici giudiziari, eredi diretti dei manicomi giudiziari - spiega l'assessora alla salute e solidarietà sociale Donata Borgonovo Re -. Individuare un luogo dove queste persone, peraltro in numero ridottissimo, possano trovare dignità e cura, sulla base di precisi programmi di riabilitazione, è una dimostrazione di civiltà e di impegno". Dopo la deliberazione dello scorso marzo con la quale la Giunta provinciale aveva dato mandato all'Azienda sanitaria di realizzare i programmi di intervento terapeutico riabilitativi per le persone dimesse da questi ospedali, oggi l'esecutivo ha approvato le direttive per la realizzazione della struttura di cura e custodia. Abruzzo: dalla Uil servizi di patronato gratuiti per i detenuti nelle carceri regionali asipress.it, 14 luglio 2015 "In attesa dell'avvento del garante dei detenuti, la cui elezione da parte della Regione Abruzzo sembra essere in dirittura di arrivo, la Uil Abruzzo, attraverso il prezioso contributo dell'Ital Uil, si metterà a disposizione dei detenuti fornendo loro servizi di patronato del tutto gratuiti". Lo annuncia Mauro Nardella, vice segretario regionale della Uil penitenziari. "Tale importante realtà - spiega Nardella, coordinata dal responsabile dell'Ital Uil Abruzzo, Lucio Giancola, avrà il merito di fornire assistenza in campo previdenziale, assistenziale, fiscale e sindacale nei confronti di chi sino ad oggi ha vissuto marginalmente il rapporto con il diritto del lavoro e non solo". Obiettivo del progetto, che ha trovato il supporto del segretario Uil Abruzzo Roberto Campo e dalla Uil Penitenziari "è quello di garantire ad ogni livello sociale pari dignità e diritti con l'attivazione di una rete istituzionale e sociale che possa realizzare e promuovere la cultura della legalità. Attraverso la professionalità degli operatori Uil i detenuti riceveranno le risposte alle numerose domande su pensioni, contributi, ammortizzatori sociali, infortuni e malattie professionali oltre che per le disabilità". I lavori per la predisposizione di questo protocollo di intesa tra Uil e Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria "sono cominciati esattamente un anno fa - prosegue Nardella. L'8 luglio c'è stato il varo con la firma della convenzione con la Casa di Reclusione di Sulmona, il quinto carcere ad avvalersi di ciò dopo quelli di Pescara, Lanciano, Chieti e Vasto. Seguiranno certamente convenzioni con le restanti istituzioni penitenziarie. La Uil contribuirà - conclude Nardella - a fornire supporto alla preziosa opera di tutti gli operatori penitenziari volta al reinserimento sociale del detenuto. Il tutto con la speranza che attraverso questo supporto chi ne usufruirà possa capire che di legalità si vive, di criminalità si muore". Spoleto (Pg): una "freedom room" per liberare la creatività dei detenuti di Alessio Sartore Corriere della Sera, 14 luglio 2015 Il progetto di un designer vicentino con Aldo Cibic, Marco Tortoioli Ricci e i carcerati della casa penitenziaria di Spoleto. "Un progetto di design è vincente quando chi lo usa se ne può appropriare". A dirlo è Tommaso Corà, designer vicentino e speaker all'ultimo Ted X Vicenza con il tema Planting the Seeds. Fa un esempio. In Turchia dopo il terremoto del 1976, militari americani arrivarono con una betoniera a spruzzo e stampi in vetroresina e stamparono case in cemento per dare un rifugio alla popolazione terremotata. Dopo sei mesi la popolazione locale aveva costruito delle baracche con dei pezzi di legno dove viveva e nelle case in cemento costruite dagli americani teneva i polli. Questa storia dimostra l'importanza del senso di appartenenza nella progettazione architettonica. Corà, con i designer Aldo Cibic e Marco Tortoioli Ricci, ha dato vita nel 2013 a Freedom Room, un nuovo modo di pensare alla cella in co-creazione con i detenuti del carcere di massima sicurezza di Spoleto. "L'obiettivo era ridurre ogni centimetro fino a raggiungere l'essenziale - racconta Corà - nove metri quadrati nuovi per due detenuti". La creazione progettuale e manuale in condivisione ha permesso ai carcerati di appropriarsi di un simbolo di redenzione: diventare falegnami e progettisti, non più soltanto detenuti. "Siamo stati travolti da una creatività generalmente molto diffusa nata per necessità proprio nell'immaginare lo spazio in un luogo del limite". Oggi il design ha la grande capacità di attivare processi che derivano dalla relazione porosa tra designer e pubblico in ottica di creazione condivisa: il design come attivatore sociale di benessere. "Noi ci relazioniamo con gli oggetti tutto il giorno - continua - e questi oggetti influenzano la nostra vita. Occorre vivere la progettazione come un servizio e fare una grande operazione di ascolto. In qualche modo l'oggetto che si produce non è altro che la messa a sistema dei valori che già si trovano ascoltando gli utilizzatori di quell'oggetto". La tesi è questa: il designer reinterpreta i bisogni dell'utilizzatore migliorandone ancora di più la funzione. Nel prossimo futuro Freedom Room diventerà probabilmente un'impresa sociale all'interno del carcere di Spoleto per creare moduli abitativi appetibili per il mercato. In tempi di consumi sempre più nomadi, il progetto si è infatti già espanso al social housing, agli studentati e agli hotel diffusi. E ha calamitato l'attenzione del New Yorker. Oggi negli Stati Uniti infatti la gestione di uno spazio abitativo ridotto nei centri urbani è un tema caldo. Corà parla del valore sociale del design e suggerisce che la progettazione va fatta prima ascoltando attivamente l'utilizzatore futuro dell'oggetto e poi creandolo insieme. Una volta che il prodotto è finito e migliorato grazie alle competenze del designer, questo processo produce benessere perché permette all'utilizzatore stesso di potersene facilmente appropriare. Bologna: al Pratello la sicurezza va garantita sempre, intervengano gli organi preposti di Salvatore Bianco (Fp-Cgil) Ansa, 14 luglio 2015 Leggendo alcuni recenti articoli di stampa, in cui la Garante Regionale dei detenuti ha lanciato l'allarme per la chiusura temporanea al pubblico del teatro del Pratello (un ex chiesa all'interno del carcere adibita a palcoscenico) con il rischio concreto di dispersione del patrimonio formativo di tutti questi anni, a seguito della perizia effettuata di recente dai Vigili del Fuoco, la Cgil-Fp non può fare a meno di condividere la preoccupazione e rilanciare l'allarme estendendolo alla tenuta complessiva dell'intera struttura. Pensiamo pertanto che sia necessario, nell'interesse di tutti i soggetti coinvolti, andare a fondo sui rilievi mossi e sulle eventuali prescrizioni indicate dagli organi preposti, per permettere lo svolgimento dell'attività teatrale in assoluta sicurezza. Al riguardo, questa ed altre organizzazioni sindacali negli scorsi anni hanno più volte denunciato la scarsa sicurezza della struttura e di vari locali interni alla stessa, denunce finite sistematicamente nel dimenticatoio. Pertanto questa O.S., approfittando della finestra aperta sul Pratello in questa circostanza, ritiene utile, nell'interesse di tutti coloro che a vario titolo frequentano il Pratello, dal personale di Polizia Penitenziaria agli operatori che prestano servizio nella struttura, e soprattutto dei minori ospiti della struttura, rilanciare l'allarme sulle condizioni precarie dell'intero complesso - non solo dei locali adibiti a teatro - che vedono ad esempio un tetto danneggiato da tempo, anche a seguito dei recenti e meno recenti fenomeni sismici ed atmosferici. La Dirigente del Cgm Dott.ssa Mei, che sollecitamente ha rilasciato dichiarazioni a seguito della perizia dei vigili del fuoco, non ci ha ancora fornito notizie in merito ai lavori che dovrebbero mettere in sicurezza il tetto dell'Istituto e sulle modalità con cui verrebbero eventualmente effettuati. Siamo convinti che la sicurezza nei locali del Pratello debba essere una preoccupazione costante di chi ne ha la responsabilità, e che non ci si possa limitare a mettere in sicurezza solo gli eventi che garantiscono magari prestigio ed un ritorno d'immagine positivo. Chiediamo pertanto a tutti i soggetti che ne hanno titolo ed alle Autorità politiche di intensificare e approfondire i controlli sulla struttura per giungere alle condizioni di sicurezza da cui fino ad oggi il Pratello, purtroppo, pare ancora assai lontano. Livorno: decolla il progetto Gorgona, detenuti "vignaioli" imparano l'arte di fare il vino huffingtonpost.it, 14 luglio 2015 È un progetto che risale al 2012. Un accordo fra una azienda vinicola italiana tra le più conosciute nel mondo, la Frescobaldi, e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria. Una sperimentazione assolutamente nuova nel settore dei vini che consente ai detenuti di acquisire una competenza professionale molto ambita che possono fare fruttare una volta tornati in libertà. La prima bottiglia figlia di questo connubio - per l'anno 2014 - è stata stappata giovedì 18 giugno. Erano presenti Lamberto Frescobaldi e gli stessi detenuti. Si tratta di una magnum - di "Gorgona". Questo è il nome del vino, che si identifica così in tutto e per tutto con il territorio, di cui è considerato la massima espressione. Un vino fresco e giovane, metà ansonica e metà vermentino, vitigni autoctoni dell'isola, dai profumi molto intensi. Creato interamente dai detenuti del Carcere di Gorgona. Di fatto la casa circondariale è costituita da una bellissima isola toscana dove i singolari ospiti possono circolare e dalla quale è impossibile "evadere". Per l'occasione Frescobaldi ha organizzato una gita in Gorgona, in cui erano presenti fra gli altri, la direttrice del carcere Santina Savoca, il provveditore di Firenze dell'amministrazione penitenziaria Carmelo Cantone, la direttrice del tribunale di sorveglianza Antonietta Fiorillo, il portavoce del sindaco di Livorno Andrea Morini, il garante dei detenuti Marco Solimano. E tra gli ospiti speciali, lo chef stellato Luciano Zazzeri, titolare del ristorante La Pineta a Marina di Bibbona, cliente d'eccellenza di Frescobaldi. La gita è stata l'occasione per visitare la vigna di Frescobaldi, grande poco più di un ettaro, la cantina, l'orto, tutto gestito dai detenuti, e le parti principali dove si svolge la vita dell'isola. Grande soddisfazione è stata espressa sia dall'amministrazione penitenziaria sia da Frescobaldi che insieme hanno una convenzione che dura da ben 14 anni. Una speranza per il futuro e un progetto importante, soprattutto per il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Attualmente nei vigneti della Gorgona lavorano, a rotazione, sei dei settanta detenuti che vivono sull'isola. Cagliari: Ugl; la mensa degli agenti nel carcere di Uta chiusa per la presenza di topi Ansa, 14 luglio 2015 Mensa degli agenti della Polizia penitenziaria all'interno del carcere di Uta chiusa per la presenza di topi. È accaduto oggi e nessuno ha potuto mangiare. "La scorsa settimana - racconta Alessandro Cara, segretario Ugl Penitenziaria - erano stati segnalati dei grossi ratti nella mensa ma solo oggi è stato preso il provvedimento di chiusura". "Alcuni roditori - aggiunge - sono stati visti anche nel settore detentivo, uno è stato ucciso davanti alla porta carraia. Gli agenti - sottolinea il sindacalista - non erano stati informati della chiusura della mensa, non si erano quindi organizzati e per questo non hanno mangiato". Secondo Cara il problema dei topi è solo l'ultimo del carcere di Uta. "La struttura è alla deriva, mancano le linee guida - denuncia il rappresentante dell'Ugl - Il complesso penitenziario necessita l'impegno di persone esperte che sappiano confrontarsi con una struttura di questo genere e siano preparate nella gestione delle risorse umane". Voghera (Pv): in cella hascisc mescolato al caffè, blitz nel reparto di massima sicurezza di Nicoletta Pisanu Il Giorno, 14 luglio 2015 Hascisc, avviluppato in un involucro e nascosto in un barattolo del caffè. In questo modo, un detenuto della sezione di massima sicurezza del carcere di Voghera aveva occultato nella sua cella alcuni grammi di fumo, ancora da quantificare con precisione. L'aroma dell'arabica non ha però ingannato il fiuto dei cani dell'Unità cinofila antidroga della Polizia penitenziaria di Bollate, che hanno permesso di trovare la sostanza stupefacente ieri mattina, durante un controllo. Il blitz degli agenti è scattato nella terza sezione AS3 della casa circondariale di via Prati Nuovi, un'area suddivisa in sei sezioni dove sono detenute circa 350 persone, molte delle quali condannate per associazione a delinquere di stampo mafioso, con pene medie di 30 anni. In quest'area, durante la perquisizione di una delle celle, appartenente a un 50enne italiano, i cani dell'Unità cinofila hanno iniziato ad agitarsi e a puntare un anonimo barattolo del caffè. I loro nasi non hanno sbagliato, lì c'era la droga. Sono in corso le indagini per approfondire la vicenda, il detenuto nelle prossime ore sarà interrogato per capire come si è procurato la sostanza. La vicenda di Voghera, secondo il sindacato di polizia penitenziaria Sippe "indica che nonostante la forte carenza di personale, gli agenti siano preparati, riuscendo a intercettare le sostanze illecitamente introdotte nel carcere -, commenta il segretario generale Carmine Olanda. Ci congratuliamo con il personale per aver fatto fronte alla situazione". Critica la Cgil Funzione pubblica: "Al carcere di Voghera la strumentazione in dotazione agli agenti per effettuare le perquisizioni non è idonea", sottolinea il segretario provinciale Fabio Catalano. E spiega: "Questo è dovuto anche ai pesanti tagli del Governo verso il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, con riduzioni del 50% in valori reali negli ultimi dieci anni". Come indicato anche dal Sippe inoltre, "un'altra importante questione è legata alla carenza di risorse umane - prosegue Catalano. Nei giorni scorsi è stata diramata la comunicazione dell'arrivo a Voghera di quattordici unità, ma contando le fuoriuscite, il personale effettivo in più sarà di quattro o cinque unità. Un numero insufficiente per garantire la sicurezza, anche in relazione alla recente apertura del nuovo padiglione". Non è la prima volta quest'anno che la situazione sicurezza viene affrontata nel carcere iriense. Ad aprile, un detenuto dell'istituto era riuscito ad arrampicarsi su un albero nel cortile interno del carcere, per protesta. Si trattava di un collaboratore di giustizia, che inoltre, il giorno dopo l'episodio, aveva spaccato un tubo nella sua cella, allagando un corridoio. La situazione poi era tornata alla normalità. Napoli: scuola in carcere, detenuti di Secondigliano ragionieri con votazioni superiori al 90 di Marcello Cocchi Corriere del Mezzogiorno, 14 luglio 2015 Al carcere di Secondigliano sono stati consegnati i diplomi di Ragioniere-Perito Commerciale a venti alunni detenuti della sezione distaccata dell'Istituto tecnico commerciale "Enrico Caruso", che opera presso la struttura penitenziaria. A conclusione di un percorso di studio superiore, didattico, culturale e formativo di cinque anni, la prima commissione sperimentale, presieduta dal Pietro Nardiello e la XIII Commissione, presieduta dalla Patrizia Assalite, hanno attribuito ai venti neo diplomati votazioni superiori al novanta ed un "cento" al migliore. Un successo storico. Oli alunni hanno inoltre ricevuto dall'Amministrazione penitenziaria l'encomio che simbolicamente vuol sottolineare l'importante tappa dagli stessi meritatamente raggiunta. Alla manifestazione, organizzala dalla dedizione e dall'impegno costante di Vittorio Delle Donne, dirigente Scolastico dell'Itc "Enrico Caruso" e Antonella Capasso, vicepreside nonché referente della sede distaccata e da Liberato Guerriero, direttore del centro penitenziario di Secondigliano con il Comandante Antimo Cicala ed il Capo Area Orlando Olmo, sono intervenuti i rappresentanti delle Amministrazioni regionali e cittadine nonché Maria Luisa Franzese, direttore Generale dell' Ufficio Scolastico Regionale della Campania. In un momento di sovraffollamento delle carceri, la mancanza di strutture rieducative valide e le carenze del sistema penitenziario gravano sulla dignità umana di coloro che tendono al reinserimento sociale consapevole con la prospettiva di un lavoro adeguato che possa garantire loro dignità. La funzione rieducativa della pena deve valorizzare ogni singola individualità e questa è la finalità da cui non si dovrebbe prescindere. L'istruzione pertanto, intesa come formazione culturale e come diritto riconosciuto dal punto di vista costituzionale, deve tendere soprattutto ad una riqualificazione umana, culturale, sociale, degli allievi detenuti finalizzata al miglioramento in toto del loro essere. Carmine Antonio Esposito, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, afferma infatti che "cultura significa sempre libertà, cultura significa sempre emancipazione, cultura significa sempre civiltà, ma la cultura negli istituti penitenziari acquista sempre un significato più ampio perché fa conoscere la differenza tra il bene ed il male nonché la funzione della pena e la riqualificazione. Perché quando si getta il seme della cultura, allora, qualcosa nasce". A tale proposito Salvatore Pace prendendo atto di una diversa realtà e della maturazione degli allievi, clic iniziano per curiosità per motivarsi poi con impegno e passione, considera come il percorso scolastico abbia loro restituito rispetto ed amore, prima depotenziali dalla rabbia, sottolineando che essi maturano un amore differente anche rispetto alla consapevolezza dei loro ruoli sociali di fidanzati o mariti o padri... un amore verso ì figli più maturo e purificato. Il diritto all'istruzione superiore pertanto dovrebbe essere garantito a tutti e non solo ad un esiguo numero che riesce a concentrarsi ed applicarsi. Il direttore Liberato Guerriero auspica che nei prossimi anni si possa avviare anche un corso universitario, confidando in un insegnamento fallo con il cuore da docenti di grande professionalità, come conferma anche Patrizia Assante che, soddisfalla della stupenda esperienza fatta, segnala che, per meglio operare didatticamente in simili strutture, occorrerebbe maggiore elasticità delle procedure ministeriali e di sicurezza e specifica competenza. Per gli allievi - che manifestano gratitudine ai loro insegnanti e particolare simpatia verso le professoresse Francesca Barone, Matilde Merendi e Iolanda Trasacco - come afferma Mauro Sorrentino, "la scuola è stata speranza ed il percorso seguito un insegnamento di vita ed un aiuto per trasformare la negatività in positività". Lecce: studenti modello anche in carcere, detenuto si diploma con il massimo dei voti corrieresalentino.it, 14 luglio 2015 Studenti modello anche in carcere. Gli esami sono finiti e tra gioia e delusione i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I ragazzi pensano già a cosa faranno domani, a quale università iscriversi, a progettare il loro futuro. E quale futuro stanno progettando quegli alunni per i quali il diploma di maturità è già una grande conquista? Ci riferiamo a tutti coloro che, adulti negli Istituti Penitenziari, hanno realizzato un sogno: diplomarsi. A Borgo "San Nicola" quest'anno hanno sostenuto l'esame di maturità due alunni, Cosimo Magrì, 43enne di Taranto e Pietro Liuzzi, 47, di Monteiasi (comune della provincia di Taranto); il primo si è diplomato con 100/100, il secondo con 90/100. Non è facile infatti nel contesto problematico e difficile come quello di un carcere studiare senza libri e strumenti didattici che facilitano l'acquisizione dei vari contenuti e lo sviluppo di adeguate competenze e abilità. Eppure questi alunni ce l'hanno fatta e meritano un applauso per i sacrifici e la tenacia dimostrata, supportati unicamente dalla loro buona volontà e da una forte motivazione unite alla professionalità e alla instancabile disponibilità dei docenti che li hanno accompagnati nel loro percorso educativo e didattico. Un percorso finalizzato non solo allo sviluppo delle diverse tematiche disciplinari ma arricchito da un sostegno morale e psicologico continuo. Alla fine del suo colloquio d'esame Magrì ha voluto leggere alla Commissione una lettera che ha commosso tutti: ha ripercorso gli anni scolastici, le difficoltà, la scarsa autostima, la consapevolezza che l'impegno scolastico dal pensiero del male gratuito ricevuto da chi lo aveva fatto entrare in carcere. E ha concluso dicendo che la scuola è finita, il diploma è suo, ma già sente nostalgia del fantastico lato umano che fa miracoli. Una nota amara, però, è che purtroppo quest'anno nel carcere di Lecce il numero delle classi è stato dimezzato con gravi disagi per i detenuti con il sogno di un diploma. Cosenza: domani detenuti-attori in scena con "Amore sbarrato, il sogno continua" notizie.tiscali.it, 14 luglio 2015 "Amore sbarrato, il sogno continua". È il titolo dello spettacolo teatrale che andrà in scena al Teatro "Morelli" il prossimo 15 luglio, alle ore 18,00. Si tratta dell'allestimento che arriva a conclusione del laboratorio teatrale che, per il secondo anno consecutivo, l'attore e regista cosentino Adolfo Adamo ha tenuto nella casa circondariale "Sergio Cosmai" di Cosenza con la partecipazione di un gruppo di detenuti. Il progetto è ancora una volta promosso dall'Amministrazione comunale con la collaborazione della Casa Circondariale di Cosenza, diretta da Filiberto Benevento. "La novità più importante - afferma l'attore Adolfo Adamo che dal mese di gennaio ad oggi ha diretto il laboratorio all"interno del carcere di via Popilia - è data dal fatto che dei dieci attori che saranno in scena mercoledì 15 luglio al "Morelli", otto sono detenuti che per la prima volta hanno partecipato al laboratorio teatrale, mentre gli altri due sono ex detenuti che hanno finito di scontare la pena e che hanno accettato di partecipare ugualmente al progetto. Non era affatto scontato che si rimettessero in gioco. Invece hanno voluto, con mia somma soddisfazione, ripetere l'esperienza dello scorso anno". Per "Amore sbarrato, il sogno continua" Adolfo Adamo ha scritto una storia ex novo che si pone in continuità con il lavoro dello scorso anno. Il regista ed autore del testo che quest'anno, al contrario di quanto era accaduto al "Rendano" nello spettacolo del giugno 2014, non sarà direttamente impegnato in scena, pur essendo pronto ad intervenire qualora ce ne fosse bisogno, ha immaginato uno sviluppo narrativo che sta a metà tra i "Sei personaggi in cerca d'autore" di pirandelliana memoria e il teatro di William Shakespeare. "In questo nuovo lavoro c'è più teatro e meno laboratorio" - dice ancora Adamo - e spiega che la rappresentazione parte dalla platea con due dei detenuti-attori in veste di spettatori che, man mano che l'azione va avanti, vengono coinvolti sulla scena. Sarà uno spettacolo multimediale, con l'utilizzo di alcune videoproiezioni cui è affidata, in una sorta di flashback, la sintesi di quanto accaduto sulla scena lo scorso anno ed alla quale fa seguito una riscrittura completamente nuova che attinge a piene mani ad alcune delle personalità più rappresentative del teatro shakespeariano : da Riccardo III a Macbeth ad Amleto. Adolfo Adamo ha immaginato delle similitudini tra la scrittura drammaturgica che di questi personaggi ha fatto Shakespeare e, specularmente, le vite, i destini e la condizione dei detenuti. "Amore sbarrato, il sogno continua" risulta essere una visual performance nella quale Adolfo Adamo si fa affiancare, per la parte elettronica, tutta campionatura di voci e ricorso alla grafica, da un esperto del settore, Luigi Mazzei. Entusiasta del nuovo progetto l'Assessore al teatro e alla comunicazione di Palazzo dei Bruzi Rosaria Succurro. "Dopo il successo dell'esperimento dello scorso anno - ha sottolineato la Succurro - non potevamo non dare seguito ad una iniziativa sulla quale l'Amministrazione comunale guidata da Mario Occhiuto ha inteso puntare con decisione, grazie anche e soprattutto alla collaborazione del direttore della Casa circondariale di Cosenza Filiberto Benevento. Siamo certi del fatto che anche in questa nuova occasione, conoscendo la professionalità dell'attore e regista Adolfo Adamo, sono state profuse grandi energie per arrivare all'obiettivo finale che resta quello di accorciare le distanze tra il mondo esterno e l'universo carcerario, promuovendo e favorendo quei percorsi riabilitativi indirizzati verso chi è privato della libertà personale". Benevento: il "fuori programma" di Riverberi, un concerto a sorpresa per i detenuti ntr24.tv, 14 luglio 2015 Domani pomeriggio "Riverberi" realizzerà il suo primo, straordinario fuori programma: un concerto a sorpresa per i detenuti della casa circondariale di Benevento. Un progetto ideato e appositamente studiato per l'occasione: Luca Aquino e il chitarrista/cantautore Giacinto Iannace si esibiranno in un omaggio alla musica napoletana, da Pino Daniele a Murolo, alle 15, nella palestra dell'istituto penitenziario. Un regalo che lo staff di Riverberi e il direttore artistico intendono fare alle persone che stanno pagando il loro debito con la giustizia e che altrimenti non avrebbero la possibilità di assistere agli eventi del festival. "Abbiamo scelto di dare il valore che merita al cantautorato partenopeo - ha spiegato Luca Aquino - spesso relegato in contesti ristretti e capace, invece, di rafforzare l'identità sociale, favorendo solidarietà e coesione in alcune realtà problematiche come quelle del carcere. La speranza è che possa essere una giornata di festa per tutti i detenuti, e che la musica che proporremo in qualche modo possa anche servire ad alleviare la sofferenza per queste torride giornate trascorse all'interno di una cella. Persone che di sicuro fuori hanno qualcuno che aspetta il loro ritorno e che per questo non devono mollare". Il concerto è frutto della testardaggine di Luca Aquino, che nei mesi scorsi aveva esposto la sua idea al direttore della Casa circondariale Maria Luisa Palma, che aveva accettato entusiasta la proposta e che si è immediatamente attivata affinché l'evento potesse realizzarsi. Ricordiamo che la prima ufficiale di Riverberi è in programma mercoledì 15 alle 21 con la presentazione del disco della Banda del Bukò e il "Solo" del norvegese Hakon Kornstad all'Arco del Sacramento. Tagliandi e abbonamenti sono disponibili sul sito ufficiale riverberi.eu. Padova: se l'amore vive dietro le sbarre, al Due Palazzi nozze religiose di un detenuto di don Marco Pozza Avvenire, 14 luglio 2015 La voce ferrosa delle sbarre si scioglie all'allegrezza musicale della marcia nuziale di Mendelssohn. Quasi un ossimoro: la musica e il ferro, lo spartito e i cancelli, la galera e l'amore. Il carcere di Padova come scenario per la celebrazione del matrimonio di un uomo che porta all'altare la sua donna, la mamma dei suoi due figli. Da oggi sua moglie: "Io accolgo te come mia sposa". Una storia d'amore e d'affetti che poggia le fondamenta in una terra di gesta delittuose e di rammendo dell'umano, di crimini, lutti e rimaneggiamenti. L'amore che subisce i tempi dell'arresto, quel fulmine che sovente fa scivolare un'intera famiglia nella follia. Dopo, tutto ciò che verrà altro non sarà che "la lunga coda di una vita sconvolta e svuotata", come scrisse Solzenicyn in "Arcipelago Gulag". Come narra la storia dello sposo: "Solo oggi mi rendo conto che gli episodi vissuti sono stati una fortuna per me, senza non sarei mai riuscito a rendermi conto di tutto quello che, toccandomi, diventa speciale". Il cuore della propria donna, il volto dei figli, un sogno condiviso. Il tutto collaudato da quasi tre lustri di notti trascorse nell'angustia di una cella: notti insonni, notti nelle quali non si chiude occhio, notti infami perché popolate di stelle e di saette. Di ricordi e di malcelate nostalgie. Di un passato che non sarà mai così tragico da potersi illudere di reggere i contraccolpi dell' amore: "Fino a qualche anno fa mi sentivo l'ultimo. Mai avrei pensato che un Uomo, vissuto anni fa, potesse cambiare la mia vita. La nostra storia". Eppur il bandito cederà. Quell'Uomo ha un nome, è una presenza in perpetuo agguato, che s'imbosca per conquistare: "Quest'Uomo mi porta a credere che non sono davvero l'ultimo, ma uno di quegli ultimi che Lui non ha mai abbandonato". Il passato di una storia, in Sua compagnia, non va cestinato: con le pietre di un tempo s'innalzeranno nuove dimore. Il futuro va organizzato, ad oltranza. Il passato e il futuro, nel tempo presente: quello meno adatto per gli uomini, quello preferito dal Cielo. Nonostante i dubbi: "Non sopportavo sentire dire da mia moglie che Gesù ci avrebbe aiutato. Oggi per me questa celebrazione è sacra tanto quanto per lei". Sacra per tutti loro, il popolo dei galeotti. Seppur uomini d'armi e di rude orgoglio, nulla possono contro la commozione: "Ho scelto questo luogo per il mio matrimonio perché qui sono rinato, ho visto amici rinascere, qui sono piantate le nuove radici di una storia che ci ha fatti incontrare". Certi luoghi sono simboli e simboliche, liturgie e cerimoniali, lacrime e mani in pasta: "Prometto di esserti fedele sempre: nella gioia e nel dolore. Di amarti e di onorarti". Le parole hanno un peso: anche la legge lo sa. L'abito da sposa e il vestito da sposo, le mani strette e l'anello al dito, il Pane e il Vino. Il tutto dirimpetto ai chiavistelli e alle divise, agli agenti e alle guardiole, al ferro e al cemento. Tutto dentro, tutto assieme, tutto nuovo: "Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? - si chiedeva Van Gogh - Amare spalanca la prigione. Chi non riesce, rimane chiuso nella morte. Dove rinasce la simpatia, lì rinasce anche la vita". Per anni il loro amore si è retto su fili fragilissimi: una telefonata, un colloquio, una lettera. Un pensiero notturno, una fotografia in branda, un cimelio della propria donna. Il carcere è separazione e lontananza, privazione e lacerazione: il divieto di transito degli affetti. Poi, per un giorno, tutto questo scompare, vien quasi messo in ridicolo. Sono i giorni dell'amore folle e bambino, dell'amore nuziale: "L'uomo e la donna che si amano. Questo è il capolavoro" (papa Francesco). Aggrappati a quella vecchia anticaglia che gli uomini chiamano "cuore" e che, unico, riesce laddove anche la legge fallisce. Sono i giorni in cui credere nella Risurrezione dei morti è dogma di fede; credere in quella dei vivi è uno spettacolo, immenso quanto il mare da contemplare. Fine delle promesse: "Che la grazia di questo giorno si estenda a tutta la loro vita". Inizio di un nuovo vivere, dai bassifondi luridi della galera: perché la grazia di questo giorno si estenda per tutta la vita. Per tutte le vite di quaggiù. India: caso marò, sull'arbitrato la Corte suprema indiana è pronta a collaborare di Matteo Miavaldi Il Manifesto, 14 luglio 2015 Girone e Latorre. Ora Calcutta deve nominare un giudice terzo. Nel pomeriggio di ieri la Corte suprema indiana ha annunciato di voler collaborare con l'Italia nel procedimento di arbitrato internazionale per il caso dei due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone attivato dalla Farnesina lo scorso 26 giugno. L'annuncio arriva dopo che nel weekend il quotidiano indiano Hindustan Times aveva riportato indiscrezioni provenienti da ambienti governativi che lasciavano intendere come l'India, in quanto aderente alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos), non potesse opporsi alla richiesta di arbitrato internazionale. L'arbitrato prevede che un pool di giudici terzi, probabilmente all'interno del Tribunale internazionale dell'Aja, decida chi tra India e Italia abbia la giurisdizione esclusiva per procedere con l'apertura del processo che vede i due fucilieri italiani accusati della morte di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, due pescatori indiani secondo le ricostruzioni della scientifica indiana colpiti da proiettili esplosi dalla petroliera italiana Enrica Lexie nel febbraio del 2012. L'arbitrato, dunque, non si occuperà del merito delle accuse, bensì individuerà chi, tra la giustizia indiana e quella italiana, sarà chiamata a farlo. Secondo diversi esperti consultati nei mesi scorsi da il manifesto, i tempi per una sentenza dell'arbitrato variano tra i due e i tre anni. Accettando il giudizio terzo sulla giurisdizione del caso, ora l'India è chiamata a nominare un giudice di parte entro 30 giorni dalla notifica di apertura del procedimento per l'arbitrato (che New Delhi ha ricevuto, non è chiaro se il 26 giugno stesso); in caso contrario, l'Italia può chiedere che ne venga nominato uno d'ufficio, entro 15 giorni dalla scadenza dei 30 precedenti. La Corte suprema ha disposto inoltre una nuova estensione di sei mesi della licenza accordata a Massimiliano Latorre, in Italia dal settembre scorso in seguito a un attacco ischemico di cui ha sofferto a New Delhi. L'estensione è stata accordata a due giorni dalla scadenza entro la quale Latorre avrebbe dovuto fare ritorno in India, fissata per il prossimo 15 luglio. Dalla prima estensione della licenza, nel mese di gennaio, a quest'ultima, la Corte suprema ha prolungato per quattro volte il permesso iniziale per "motivi umanitari" richiesto dalla difesa italiana per il fuciliere di Marina, portandolo a un totale di un anno e tre mesi. Durante il periodo di riabilitazione in Italia, Massimiliano Latorre si è sottoposto a un intervento al cuore "di routine" per scongiurare ulteriori complicazioni post trauma. Salvatore Girone alloggia invece ancora nelle strutture dell'Ambasciata italiana a New Delhi in regime di semilibertà, con obbligo di firma settimanale presso la stazione di polizia di Chanakyapuri, il quartiere diplomatico della capitale indiana. La Farnesina, aprendo il procedimento per l'arbitrato alla fine del mese scorso, in un comunicato aveva spiegato che "l'Italia chiederà immediatamente l'applicazione di misure che consentano la permanenza di Latorre in Italia e il rientro in Patria di Girone nelle more dell'iter della procedura arbitrale". Se l'eventualità di un ritorno in India di Latorre è stata definitivamente scongiurata con la sentenza di ieri, la sorte di Girone rimane legata al buon esito delle fasi iniziali di formazione della Corte terza all'Aja. La questione del suo rientro in Italia non è stata infatti ancora avanzata dai legali italiani, probabilmente in attesa di sollevare il tema direttamente all'Aja. Usa: a Los Angeles detenuto ammanettato mani e piedi per 32 ore senza cibo né acqua blitzquotidiano.it, 14 luglio 2015 Lo hanno ammanettato mani e piedi e lasciato senza cibo né acqua per 32 ore. È quanto accaduto in una prigione di Los Angeles ma non sarebbe la prima volta. Secondo l'ispettore generale Max Huntsman almeno altri tre casi simili si sarebbero verificati nelle carceri della contea di Los Angeles dall'inizio dello scorso anno. In un episodio definito "particolarmente umiliante" un detenuto è stato abbandonato completamente nudo in una zona in cui tutti i visitatori del carcere hanno potuto assistere al triste spettacolo. L'ultimo caso risale allo scorso 19 giugno: l'uomo, che era stato arrestato per incendio doloso, si trovava in una cella di detenzione sanitaria poiché affetto da problemi psichici e identificato come a rischio suicidio. Il detenuto avrebbe tirato una testata ad un'agente di sesso femminile, motivo per cui sarebbe poi stato ammanettato alla sedia e lasciato lì per circa 32 ore. La regola vuole che i detenuti ammanettati andrebbero controllati ogni 15 minuti. A coloro che vengono ammanettati per un lungo periodo deve comunque essere garantita la possibilità di andare al bagno e di consumare regolarmente i pasti. Per tutto il tempo non gli sono stati serviti pasti e gli è stato offerto un solo bicchiere d'acqua. Dieci dipendenti del carcere, tra cui tre appartenenti all'autorità di vigilanza, sono stati licenziati. Secondo quanto riportato dal Los Angeles Times i maltrattamenti nelle carceri californiane sarebbero all'ordine del giorno. L'uso delle telecamere all'interno delle strutture e le nuove regole che limitano l'uso della forza da parte degli agenti nei confronti dei detenuti, hanno contribuito a renderle meno violente ma il problema persiste. "Sembra che ci sia un sistema e non è solo dei singoli agenti, il problema è sistemico", ha detto l'ispettore Huntsman. Egitto: presidente al Sisi concede grazia ad alcuni detenuti in occasione dell'Eid al Fitr Nova, 14 luglio 2015 Il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi ha emesso un decreto di grazia in occasione della festa dell'Eid al Fitr, che sancisce la fine del mese sacro del Ramadan, e per il 56mo anniversario della rivoluzione del 1952. Lo ha reso noto il portavoce presidenziale, Alaa Youssef. A beneficiare della grazia saranno i detenuti che hanno trascorso più di 15 anni di carcere prima del 25 gennaio 2015 e coloro che hanno scontato più di metà della pena per i reati puniti con più di sei mese di carcere. I primi saranno rimessi in libertà vigilata per cinque anni, come vuole la legislazione egiziana. Il decreto, tuttavia, non si applica per alcuni reati, tra cui i crimini e delitti che danneggiano il governo internamente o esternamente; detenzione e l'utilizzo illegale di esplosivi; tangenti; possesso di armi, munizioni, droga. Il capo dello Stato è solito garantire la grazia ad alcuni gruppi di detenuti per le festività nazionali e religiose. Cina: forte tensione per morte in carcere del Lama tibetano Tenzin Delek Rinpoche di Beniamino Natale Ansa, 14 luglio 2015 Dopo 13 anni trascorsi in carcere il Lama tibetano Tenzin Delek Rinpoche è morto in una prigione nel sudovest della Cina dove stava scontando una condanna a 20 anni, e la sua scomparsa rischia di infiammare ulteriormente una delle aree a popolazione tibetana più irrequiete. È stata la famiglia ad annunciare la morte di Rinpoche, che aveva 65 anni ed era estremamente popolare in tutto il Tibet e in particolare nella regione di Kardze, provincia del Sichuan, dove aveva fondato tre monasteri e strutture sociali di sostegno per gli orfani e gli anziani. Inoltre, si era battuto contro un progetto di deforestazione conquistandosi ulteriori simpatie da parte della popolazione locale. Aveva trascorso alcuni anni a Dharamsala in India, dove si trova il grosso della diaspora tibetana ed aveva studiato con il Dalai Lama, il leader buddhista considerato un pericoloso nemico da Pechino. Proprio il suo legame col Dalai Lama, secondo gli attivisti pro-Tibet, lo avrebbe portato nel mirino dei servizi di sicurezza cinesi, che dal 1987, quando rientrò a Kardze, avrebbero cercato un motivo per "incastrarlo". L' occasione si presentò nel 2002, quando una bomba esplose in un'affollata area di Chengdu, capitale del Sichuan e metropoli in rapido sviluppo considerata la "porta" verso la Cina del sudovest. Tre persone rimasero ferite dal rudimentale ordigno e nessuno rivendicò l'attentato. Poi giorni dopo l' esplosione, la polizia arrestò un tibetano di nome Lobsang Dondrup, che aveva 28 anni e che fu indicato come il responsabile dell' attentato. Nella sua "confessione" Dondrup avrebbe affermato che l' attentato era stato finanziato da Delek Rinpoche. La confessione ha un ruolo centrale nel sistema giudiziario cinese. Spesso è la "prova" in base alla quale gli imputati vengono condannati e spesso sono estorte con la tortura. Il processo nel quale i due tibetani furono condannati a morte si svolse nel gennaio del 2003, senza che gli imputati avessero avuto la possibilità' di nominare legali di fiducia e a porte chiuse. Fonti tibetane affermano che Dondrup avrebbe rinnegato la confessione davanti al tribunale e avrebbe affermato con forza la propria innocenza. Il giovane si rifiutò di presentare un appello e fu fucilato pochi giorni dopo. Tenzin Delek Rimpoche si dichiarò "completamente innocente" delle accuse e ricordò che i tibetani non hanno mai fatto ricorso ad atti terroristici per sostenere la loro causa. In appello, la sua condanna fu commutata in ergastolo e successivamente in 20 anni di reclusione. "Ho sempre insegnato che non bisogna danneggiare nessuna forma di vita, neanche una formica, come potrei essere responsabile di un'azione del genere?", avrebbe detto il monaco ad un familiare che lo ha visitato in carcere nel 2009. Familiari e amici affermano che da alcuni anni la sua salute si era deteriorata, e che soffriva di attacchi di cuore e di alta pressione. Gli sforzi dei suoi sostenitori per ottenere che fosse rilasciato in libertà provvisoria per potersi curare non hanno dato frutti. Kardze è stata al centro delle proteste anticinesi del 2008 e del 2009 con il movimento delle immolazioni con il fuoco, cioè dei suicidi di protesta contro la politica cinese nel territorio. Fino ad oggi oltre 140 tibetani hanno usato questa tragica forma di protesta contro la politica cinese del territorio. Decine di immolazioni si sono verificate nel Sichuan.