Giustizia: ministro Orlando; programma riforme, nessun trionfalismo ma soddisfazione Askanews, 10 luglio 2015 "Nessun trionfalismo, ma soddisfazione per il lavoro fatto perché credo sia a portata di mano la realizzazione dei 12 punti sulla riforma della giustizia che un anno fa avevamo presentato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, presentando i risultati raggiunti nell'ultimo anno con la riforma del sistema giustizia. "Oggi entriamo in una fase interessante perché non si discute più di emergenze, né di patologie, né di come si risolve il conflitto tra magistratura e politica, come negli anni precedenti, ma invece possiamo discutere di come si costruisce un sistema di autogoverno che garantisca pienamente l'indipendenza e l'autonomia della magistratura nell'interesse dell'efficienza e della qualità del servizio giustizia", ha aggiunto sottolineando che "il fatto che negli ultimi mesi si sia discusso su questioni di carattere organizzativo della magistratura credo sia il segno dell'apertura di una vera e propria nuova fase". Dal 30 giugno 2014, giorno in cui sono stati presentati i 12 punti della riforma, ecco i risultati più significativi raggiunti dal governo: - Civile: a fine luglio 2014 approvato il decreto sul processo civile telematico che ha già garantito un risparmio di 48 milioni di euro e una riduzione del 50% dei tempi di emissione del decreto ingiuntivo. Negli ultimi 12 mesi sono stati trasmessi quasi 14 milioni di atti telematici. L'avvio del progetto "Strasburgo 2" per l'abbattimento dell'arretrato civile sta dando i suoi frutti: le cause pendenti sono passate da 5,2 milioni a fine 2013 a 4,9 milioni a fine 2014; avviato il piano di smaltimento della Legge Pinto in accordo con la Banca d'Italia. - Penale: a fine agosto 2014 il governo approva pacchetto riforme riguardanti la giustizia penale; a dicembre approvato dl su "particolare tenuità del fatto"; marzo 2015 Camera approva riforma prescrizione, attualmente all'esame al Senato; aprile 2015 approvazione definitiva ddl "misure cautelari". Lotta a criminalità, corruzione, terrorismo: nomina di Raffaele Cantone alla presidenza dell'Anac; nell'aprile 2015 approvato ddl antiterrorismo con norme contro i "foreign fighters" e ddl anticorruzione con inasprimento pene e sconti per chi collabora; nel maggio 2015 Parlamento approva ddl Eco-reati; nel luglio 2015 approvata la banca dati del Dna. - Carceri: a fine 2013 i detenuti presenti nelle carceri erano 62.536 con una capienza di 47.709 a giugno 2015 sono 52.706 con una capienza di 49.427; il 31 marzo scorso sono stati chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari; sono in corso gli Stati generali dell'esecuzione penale che si concluderanno a novembre. - Organizzazione: per contrastare la carenza di personale amministrativo negli uffici giudiziari sono state reclutate oltre 3.300 persone attraverso la mobilità; la legge di stabilità 2015 ha assegnato 260 mln di euro nei prossimi tre anni per l'efficienza della giustizia; altri 100 mln sono arrivati dai fondi europei. Giustizia: Orlando "accordo su riforma prescrizione, entro fine anno riforma del Csm" di Giovanni Tizian L'Espresso, 10 luglio 2015 Il ministro presenta gli obiettivi raggiunti e quelli ancora da realizzare. A un anno dalla presentazione dei dodici punti di riforma al Consiglio dei ministri restano due grandi temi ancora da affrontare: Csm e intercettazioni. Entro fine anno la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Le intercettazioni, invece, non verranno stralciate dal disegno di legge sul processo penale. E sulla prescrizione l'accordo porterà sicuramente a un aumento significativo dei tempi di cancellazione del reato. Il percorso di riforma della Giustizia è ancora lungo. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando a un anno dalla presentazione delle riforme al Consiglio dei ministri ha tracciato il bilancio di quelle già realizzate e indicato il percorso da seguire per portare a termine tutti i 12 punti del programma. Sul Csm, una riforma non facile per via delle numerose correnti interne alla magistratura, il guardasigilli ha assicurato che a ottobre sarà pronto l'impianto complessivo mentre per il testo definitivo bisognerà aspettare la fine dell'anno. "Siamo in una fase interessante perché non si discute più di emergenze, né di patologie, né di come si risolve il conflitto tra magistratura e politica, come negli anni precedenti, ma invece possiamo discutere di come si costruisce un sistema di autogoverno che garantisca pienamente l'indipendenza e l'autonomia della magistratura". Secondo il ministro, dunque, archiviata la stagione del berlusconismo i tempi sono maturi per discutere con serenità di come modificare il Csm. Altro tema delicatissimo è quello delle intercettazioni. Non c'è ancora una bozza di testo, ma Orlando ha assicurato che non verrà slegato dal ddl sul processo penale che contiene la delega alle intercettazioni. Segno questo che non c'è fretta da parte del governo di stringere i tempi su un argomento che sarà probabile terreno di scontro su più fronti, interni e con la minoranza. Infine la prescrizione: "Ci sono molti punti su cui si è consolidato un accordo di maggioranza e siamo arrivati a riconoscere tutti la specificità dei reati contro la pubblica amministrazione: resta da stabilire come la si riconosce e il quanto. Stiamo discutendo sul quanto, di quale sia l'elemento congruo", ha spiegato il ministro riferendosi al dibattito in atto nella maggioranza tra Pd e Ncd in particolare sull'allungamento dei termini per i reati di corruzione. Su questi tre grandi temi, quindi, il confronto e lo scontro prosegue, mentre su altri il governo ha chiuso la partita. Nel processo civile, per esempio, dopo l'approvazione, a fine luglio 2014, del decreto sul processo telematico, il ministero segnala un risparmio di 48 milioni di euro e una riduzione del 50 per cento dei tempi di emissione del decreto ingiuntivo. Negli ultimi 12 mesi sono stati trasmessi quasi 14 milioni di atti telematici. È stato poi avviato il progetto "Strasburgo 2" per l'abbattimento dell'arretrato civile: le cause pendenti sono passate da 5,2 milioni a fine 2013 a 4,9 milioni a fine 2014. C'è poi la questione carceri. Dal 31 dicembre 2013, quando il numero di detenuti aveva raggiunto quota 62.536, per una capienza regolamentare di 47.709 posti, si è passati, al 30 giugno scorso, a 52.706 detenuti e 49.427 posti. L'indice di sovraffollamento è dunque diminuito del 24 per cento. Decisive per la riduzione dei detenuti alcune misure prese da Orlando: sono state firmate 11 convenzioni con le Regioni per i detenuti tossicodipendenti, aumentate le procedure di rimpatrio stranieri e rafforzate le misure alternative (da 29.747 nel dicembre 2013 a 31.404 dello scorso giugno). Infine, nel bilancio di risultati raggiunti c'è il pacchetto di provvedimenti per il contrasto di mafia, corruzione e terrorismo. Pene più severe per i mafiosi e auto-riciclaggio. Approvazione del ddl, nell'aprile 2015, sul contrasto ai "foreign fighters". Il pacchetto anticorruzione, con inasprimento pene e sconti per chi collabora. Fino all'approvazione del ddl sugli eco-reati e la banca dati del Dna. Giustizia: Orlando definisce "criminogene" le carceri, ma poi vuole aumentare le pene di Rita Bernardini (Segretaria di Radicali Italiani) radicali.it, 10 luglio 2015 C'è da chiedersi chi impersonifichi il ministro della Giustizia nei diversi momenti del suo mandato. Le agenzie di stampa hanno diramato il suo soddisfatto comunicato per la diminuzione del sovraffollamento carcerario: 52.706 detenuti rispetto ai 62.536 di fine anno 2013 e, posso aggiungere, ai 69.155 del novembre 2010. A parte il fatto che ci sono almeno una cinquantina di istituti su 200, che hanno ancora un sovraffollamento tra il 130 e il 200 per cento, mi chiedo se, con le dichiarazioni di oggi, abbiamo a che fare con Andrea Orlando 1 oppure con Andrea Orlando 2. Già perché Orlando 1 (quello che preferisco) è il primo ministro della Giustizia italiano che afferma che le carceri sono "criminogene" e che perciò occorre fare maggiore ricorso alle pene alternative, il carcere rimanendo l'estrema ratio. Orlando 2, invece, è quello che a nome del Governo deposita una raffica di emendamenti per aumentare le pene detentive per gli autori di scippi, furti in casa e rapine senza minimamente porsi il problema delle pene alternative alla galera, molto più efficaci ai fini della recidiva (cioè del tornare a delinquere), della reclusione in cella. Ce lo aveva detto Orlando 1, lo stesso che ha indetto gli Stati Generali sull'Esecuzione Penale per rendere attuale ed efficace anche ai fini della sicurezza il mai rispettato Ordinamento Penitenziario che sta per compiere i suoi primi 40 anni. Gli avevamo creduto ma ora, come la mettiamo con Orlando 2, che le patrie galere le vuole riempire?. Giustizia: tortura, dal Senato la legge del partito della polizia di Lorenzo Guadagnucci (Comitato Verità e Giustizia per Genova) Il Manifesto, 10 luglio 2015 Un chiaro segno di declino della cultura democratica è ben visibile nella diversa reazione suscitata a distanza di poco tempo (11 anni) da una proposta più che indecente, ossia la definizione normativa della tortura come esito di "violenze o minacce reiterate". Nel 2004 la locuzione - proposta dalla Lega Nord come emendamento - suscitò tanto scandalo da affossare l'approvazione della legge: i leghisti non solo rompevano l'asse bipartisan che aveva condotto alla stesura di un testo comune, ma in pratica proponevano di legittimare la tortura, purché compiuta con azione unica, non ripetuta. Stavolta sono stati i senatori di maggioranza Buemi e D'Ascola a proporre un emendamento per stabilire che il crimine di tortura si configura solo in caso di "reiterate violenze o minacce gravi" e la commissione Giustizia del Senato ha incredibilmente detto sì. Se nel 2004 il caso arrivò sulle prime pagine dei quotidiani e suscitò lo sdegno di professori, associazioni, giornalisti e commentatori, stavolta la norma pro tortura è stata a mala pena notata dai cronisti parlamentari degli altri quotidiani. Assuefazione? Rassegnazione? Il testo uscito dal Senato può essere definito certamente una legge sulla tortura, ma non una legge contro la tortura, e ha l'unica funzione di inviare un messaggio di vicinanza e complicità al "partito della polizia", che si è battuto contro la legge e per il suo svuotamento dall'interno, con argomenti pretestuosi e in qualche caso anche pericolosi (come l'assurda tesi che il divieto di tortura "legherebbe le mani" agli agenti). Il testo approvato il 9 aprile alla Camera era già pessimo e andava rifiutato; è stato invece considerato una base di discussione per ulteriori correzioni, inevitabilmente al ribasso, visto lo strapotere del "partito della polizia", temuto dalla politica e vezzeggiato dai maggiori media. Si conferma anche stavolta il disagio delle nostre forze dell'ordine rispetto agli standard normativi internazionali, ma il parlamento, assecondando posizioni così arretrate, tradisce il suo compito di indirizzo e controllo e acuisce il discredito che grava sulle nostre istituzioni, colpite appena tre mesi fa dal durissimo giudizio della Corte europea per i diritti umani sul caso Diaz. Questo testo di legge dev'essere rifiutato con forza, perché è un'offesa ai cittadini che hanno subito gli abusi e vorrebbero sentirsi tutelati invece d'essere prima ignorati e poi sbeffeggiati; perché è una norma paradossale e antidemocratica, che finisce per legittimare certe forme di tortura; perché allontana le forze dell'ordine dalla cultura democratica; perché comporta - di fatto - una secessione dell'Italia dalla Convenzione europea sui diritti fondamentali e dalla Corte di Strasburgo, che ne tutela l'applicazione. Meglio nessuna legge che una legge così: il parlamento si assuma la responsabilità di riconoscere di non essere in grado di approvare una seria normativa sulla tortura. I singoli parlamentari coscienti di questa situazione - e non sono pochi - escano dal silenzio e rompano questo scellerato patto con "il partito della polizia"; un patto che nuoce alle stesse forze dell'ordine, alla loro credibilità agli occhi dei cittadini e delle istituzioni internazionali. Ci sarà da lottare, da ricostruire una cultura dei diritti, ma non esistono scorciatoie, a meno di rassegnarsi all'idea che l'Italia dev'essere un Paese a statuto speciale, sottomesso a un'imponderabile e poco democratica "ragion di Stato". Giustizia: lo strappo dei figli di Borsellino "in Sicilia antimafia di facciata" di Laura Anello La Stampa, 10 luglio 2015 Manfredi: non andremo alle cerimonie in ricordo di mio padre. "Il 19 luglio? Non ci sarò. Mi sono messo di turno al lavoro, a cercare di fare qualcosa di concreto, non ho tempo per commemorazioni senza senso. Per me, appassionato di calcio, i memorial sono quelli sui campi, non ne esistono altri". L'ironia supera l'amarezza negli occhi di Manfredi Borsellino, figlio del giudice ucciso ventitré anni fa in via D'Amelio e oggi commissario di polizia a Cefalù. Se la sorella Lucia si è appena dimessa da assessore regionale alla Sanità attaccando l'"antimafia di facciata" e invitando tutti a non invitarla per l'anniversario, adesso è lui a smarcarsi dalla commemorazione. Profezia di Sciascia Quest'anno, insomma, dei tre figli non ci sarà nessuno. Segno dell'implosione dell'antimafia, dopo le inchieste e gli arresti sui suoi presunti paladini. Segno, paradossalmente, dell'avverarsi della profezia di Leonardo Sciascia che contro i "professionisti dell'antimafia" tuonò profeticamente nel 1987 sbagliando però bersaglio: Borsellino, appunto, con cui poi chiarì e fece pace in un incontro memorabile. "Noi figli non ci saremo. Fiammetta da sei anni - racconta Manfredi - passa questo periodo a Pantelleria. Il 19 luglio fa celebrare una messa in memoria di papà in una chiesetta di contrada Khamma, sull'isola, dove entrano a malapena dieci persone. Lucia quest'anno sarà lì con lei. E io sarò in servizio, il 17, il 18 e il 19. Sono stato educato da mio padre all'etica del lavoro, alla concretezza, al rifiuto delle passerelle. Tre anni fa, pochi giorni prima dell'anniversario, abbiamo fatto un blitz contro la criminalità delle Madonie, il migliore modo di commemorarlo". Antimafia di facciata Non commenta gli ultimi casi che su quell'antimafia di facciata hanno alzato il velo - l'arresto per tangenti del presidente della Camera di Commercio di Palermo, Roberto Helg; l'inchiesta sul leader della Confindustria regionale Antonello Montante, entrambi campioni di parole sulla legalità - una cosa però la dice: "Mia sorella ha parlato di antimafia di facciata, e io quelle parole me le sono appese in ufficio, tanto le condivido, tanto mi sembrano arrivare dritte dalla voce di mio padre. Lei è la più figlia di Paolo Borsellino, è quella che ha nel sangue i suoi geni migliori". Fu lei che volle entrare nella camera mortuaria, quel 19 luglio 1992, lo guardò, lo accarezzò per l'ultima volta e disse alla famiglia: "Tranquilli, sotto i baffi papà sorrideva". Senso del dovere Una roccia. Una donna con un senso del dovere smisurato. Che è rimasta al suo posto di assessore alla Sanità nella giunta Crocetta - pur con molti mal di pancia - fino a quando è stato arrestato il pupillo del presidente, Matteo Tutino, chirurgo plastico accusato di fare lifting e liposuzioni in un ospedale pubblico, a spese del contribuente. Lucia di fare l'orpello Anti-mafioso, la foglia di fico non aveva proprio voglia. Se n'è andata dicendo basta con la politica e tagliando corto: "Non capisco l'antimafia come categoria, sembra quasi un modo di costruire carriere. La legalità per me non è facciata, ma la precondizione di qualsiasi attività". E Manfredi rincara la dose. "Io penso che le parole di mia sorella dovrebbero aprire un dibattito, ma non tocca a me farlo. Quel che posso dire è che tutti noi fratelli, anche Fiammetta che appare più defilata ma segue tutto con grande attenzione, la pensiamo esattamente come Lucia". Fratelli uniti E tutti insieme, i tre fratelli, hanno detto di no alla traslazione della salma del padre nella chiesa di San Domenico, Pantheon della città, come invece è avvenuto per Falcone. "Non c'è stata alcuna opposizione polemica - spiega Manfredi - mia sorella Lucia da assessore alla Sanità ha pure dato il nulla osta a quel trasferimento. Noi semplicemente abbiamo ringraziato e detto di no. Per noi era inconcepibile separare mio padre da mia madre. Mia madre ha fatto tanti sacrifici per costruire la cappella al cimitero di Santa Maria di Gesù, per stare insieme con lui. Dopo la strage, sempre più credente, ha aspettato ogni giorno di ricongiungersi a papà. È rimasta qui, ha resistito, grazie all'amore per noi e per i suoi nipoti che ha visto nascere. Tutti, a eccezione della più piccola, la seconda bambina di Fiammetta, che è nata dopo la sua morte. Mai li avremmo separati". Giustizia: la relazione di Gabrielli si Mafia Capitale "Roma devastata dalla corruzione" di Carlo Bonini La Repubblica, 10 luglio 2015 Come in certe sentenze di assoluzione per insufficienza di prove, che finiscono con l'essere peggiori di una condanna, la Relazione Gabrielli al ministro dell'Interno Alfano che esclude l'ipotesi di scioglimento del Consiglio comunale di Roma consegna all'opinione pubblica un sindaco e una Giunta se possibile ancora più fragili. Naufraghi scampati a una tempesta e a un abisso di cui- se non fosse stato per il lavoro della magistratura - non avevano e non avrebbero forse mai avuto reale percezione. Nelle 103 pagine del documento, di Fronte all'oggettivo e "devastante" spettacolo di una "amministrazione locale devastata", Ignazio Marino appare infatti ora "inconsapevole", ora oggettivamente "inerme". Certamente volitivo e moralmente immacolato, ma sicuramente sempre in ritardo nel tamponare gli squarci che, tra il dicembre 2014 e il giugno scorso, vengono aperti dall'inchiesta Mafia Capitale. Un Forrest Gump che, aiutato dalla fortuna, dalla dirittura morale e se si vuole dalla sua assoluta estraneità a Roma e al suo sistema malato di relazioni, non se ne lascia travolgere. Non a caso, a salvarlo dallo scioglimento, come si legge nella relazione, è soltanto l'interpretazione e l'applicazione che dell'articolo 143 del Testo Unico di legge sugli Enti Locali decide di dare il prefetto Franco Gabrielli in disaccordo con le conclusioni della commissione prefettizia di accesso agli atti insediata dal precedente prefetto Giuseppe Pecoraro. Secondo quella norma è necessario, per poter parlare di inquinamento mafioso, che gli "elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata siano concreti, univoci e rilevanti". Ebbene, "non appare irragionevole ritenere - scrive il prefetto nelle conclusioni - che gli elementi emersi di Roma Capitale, riferiti evidentemente alla sua gestione sotto la Giunta Marino, pur presentando i caratteri di rilevanza e concretezza, non riuniscano l'indispensabile tratto della univocità che consente di escludere in toto letture delle situazioni riscontrate". L'aggettivo che salva Sindaco, Giunta e consiliatura, sinonimo di "ambiguo", "equivoco", "passibile di doppia interpretazione" finisce per essere un epitaffio che fotografa una stagione politica. E, con lei, numeri e atti della Giunta Marino almeno nel suo primo anno e mezzo di vita, fino cioè al dicembre2014, quando Roma e il Paese scoprono la coppia Buzzi-Carminati e al capezzale del Campidoglio viene chiamato in gran fretta come assessore alla legalità il magistrato antimafia Alfonso Sabella. La Commissione prefettizia, infatti, per provare a misurare la qualità della "discontinuità" politica e amministrativa tra la Giunta Alemanno e quella della "rinascita" di Marino, lavora su una statistica: "Tra il primo gennaio 2011 e il 13 giugno 2013 (gli ultimi due anni della Giunta Alemanno) le procedure negoziate (affidamenti di appalti senza gara) rappresentano il 36,28 per cento del totale degli affidamenti del Comune, per un valore di 5 miliardi e 108 milioni. Tra il 13 giugno 2013 e il 31 dicembre 2014, le procedure negoziate della Giunta Marino sono pari al 72 per cento del valore complessivo degli affidamenti, per un valore di 1 miliardo e 73 milioni". Di fatto, per almeno un anno e mezzo, la Giunta Marino non fa gare. Schiacciata dalla coda della gestione Alemanno procede per "somma urgenza" rinnovando affidamenti che fanno grassa la "mucca" di Buzzi e Carminati. Dunque? Dunque, osserva la Commissione, "il condizionamento mafioso si è realizzato secondo schemi e copioni non intaccati dal cambio di amministrazione" e "si ritengono sussistenti i presupposti per l'applicazione di tutte le misure contenute nell'articolo 143: lo scioglimento dell'organo consiliare di Roma capitale per infiltrazioni mafiose e l'applicazione di misure di rigore di cui al quinto comma della medesima disposizione nei confronti di un'ampia serie di soggetti della componente burocratica dell'Ente". Gabrielli, al contrario, intravede la "discontinuità" politica e amministrativa che la Commissione nega. E tuttavia ne dà un quadro obiettivo che non consente a Marino di considerare queste 103 pagine come un salvacondotto. "Va evidenziato - scrive infatti - come la Giunta Marino abbia dato alcuni precisi e non trascurabili segnali di discontinuità. Ma va anche evidenziato per dovere di obiettività che, almeno all'inizio della gestione, si tratti di scelte non dettate da una precisa e consapevole volontà di contrastare l'illegittimità ed il malaffare, quanto piuttosto di comportamenti ispirati agli ordinari parametri di legalità cui, di norma, dovrebbe uniformarsi l'azione amministrativa, che diventano "straordinari" solo se correlati ex post alle dimensioni e alla pervasività del sistema corruttivo disvelato dalle indagini giudiziarie". Qualcuno dunque, deve pagare. "Sicuramente ricorrono tutti i presupposti per lo scioglimento del X Municipio di Ostia - scrive Gabrielli - dove va segnalato che l'accesso sia stato disposto solo dopo l'esecuzione della prima ordinanza di custodia cautelare di Mafia Capitale". Sicuramente almeno una ventina tra dirigenti e funzionari pubblici vanno rimossi. Liborio Iudicello, segretario generale del Comune, ha provveduto da solo dimettendosi ieri sera. E, altrettanto sicuramente, annota il prefetto con un affondo che suona censura al suo predecessore Pecoraro, "la Giunta Marino ha operato in assenza di precisi segnali di allarme che sarebbero dovuti provenire da organi terzi e che ben avrebbero potuto indirizzare l'azione di ripristino della legalità verso percorsi più decisi". Istituti di prevenzione e pena, perquisizioni ed ispezioni personali Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015 Istituti di prevenzione e pena - Perquisizioni personali per motivi di sicurezza - Modalità d'esecuzione - Legittimità - Condizioni. Le perquisizioni personali per motivi di sicurezza di cui all'articolo 34 ord. pen. sono legittime in quanto rientrano nel sacrificio della libertà personale derivante dallo stato detentivo, a condizione che vengano eseguite nel rispetto dei diritti del detenuto. • Corte di cassazione, sezione VII, ordinanza 11 marzo 2015 n. 10256. Istituti di prevenzione e di pena - Regime penitenziario differenziato - Articolo 41 bis O.P. - Perquisizione personale - Denudamento - Presupposti - Pericolosità sociale - Ragioni di sicurezza - Tutela dei diritti fondamentali dell'uomo - Situazioni ordinarie - Rigetto. Le perquisizioni ordinarie, con le modalità previste dal regolamento carcerario, debbono essere ovviamente effettuate in tutti i casi in cui il suddetto regolamento le prevede. Sono previste anche perquisizioni straordinarie, per fronteggiare particolari situazioni ovvero nel caso in cui il comportamento del detenuto dia adito ad un legittimo sospetto. Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, la misura del denudamento, in quanto particolarmente invasiva e potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali dell'individuo, non può essere prevista, in astratto e in situazioni ordinarie nelle quali il controllo può avvenire senza ricorrere alla suddetta misura, ma deve essere disposta con provvedimento motivato, solo nel caso in cui sussistano specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna o in ragione di una pericolosità del detenuto risultante da fatti concreti. In particolare la misura del denudamento del detenuto per lo svolgimento della perquisizione personale prima del colloquio dello stesso con il difensore è legittimamente imposta dall'amministrazione penitenziaria soltanto ove sussistano specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna, in riferimento a particolari situazioni di fatto che non consentano l'accertamento con strumenti di controllo alternativi, oppure in riferimento alla pericolosità dimostrata in concreto dal detenuto, che renda la misura ragionevolmente necessaria e proporzionata. • Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 maggio 2014 n. 20355. Istituti di prevenzione e pena - Perquisizioni e ispezioni personali - Denudamento totale - Legittimità - Condizioni. È legittimo il provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria che disponga la perquisizione personale del detenuto mediante denudamento con flessione qualora effettive, specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza, in riferimento alla peculiare situazione di fatto o alla pericolosità dimostrata in concreto dalla condotta del detenuto, rendano la misura ragionevolmente necessaria e proporzionata. • Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 giugno 2008 n. 24715. Istituti di prevenzione e pena- Perquisizioni e ispezioni personali - Modalità di esecuzione - Denudamento totale - Legittimità - Condizioni. È illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria che disponga l'ispezione e la perquisizione personale del detenuto mediante denudamento totale, allorché non sia motivatamente sorretto da effettive, specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna, in riferimento alla peculiare situazione di fatto che non consenta l'accertamento con strumenti di controllo alternativi o alla pericolosità dimostrata in concreto dalla condotta del detenuto che rendano la misura ragionevolmente necessaria e proporzionata. • Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 25 febbraio 2004 n. 8411. Accesso al rito abbreviato anche se l'aggravante già nota è contestata in ritardo di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015 Corte costituzionale - Sentenza 9 luglio 205 n. 139. È illegittima la norma del codice di rito che impedisce all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato per la contestazione tardiva di un'aggravante che già nota. La Consulta con la sentenza 139, trova fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dai tribunali di Lecce e di Padova sull'articolo 517 del codice di procedura penale, che blocca la strada al rito premiale a causa di una "svista" del pubblico ministero. Nel mirino dei giudici remittenti finisce la mancata possibilità per l'imputato di recuperare la possibilità di chiedere l'accesso al rito abbreviato perché la pubblica accusa contesta un'aggravante quando il tempo per la domanda è scaduto. Le contestazioni suppletive, cosiddette tardive o patologiche, sono, infatti, basate non su nuovi elementi emersi in dibattimento, ma su quelli già presenti nella fase delle indagini preliminari. Si tratta in realtà di un mezzo per "porre rimedio alle incompletezze o agli errori del pubblico ministero nella formulazione originaria". Una "pecca" le cui conseguenze ricadono sull'imputato. La Corte costituzionale riconosce fondata la violazione degli articoli della Costituzione sul diritto di difesa e sul divieto di discriminazione (24 e 3 della Carta). Alle stesse conclusioni i giudici delle leggi erano arrivati con la sentenza 265 del 1994, bollando come illegittimi gli articoli 516 e 517 del codice di rito, per la parte in cui escludevano la possibilità di chiedere il patteggiamento (articolo 444 del Cpp) se la contestazione tardiva riguardava un fatto diverso o un reato concorrente. Una declaratoria di illegittimità successivamente estesa (sentenza 184 del 2014), sempre in merito all'impossibilità di accedere alla pena su richiesta della parti, anche alla contestazione tardiva delle circostanze aggravanti. Mentre con la sentenza 333 del 2009 la Consulta ha aperto al giudizio abbreviato nel caso di contestazione tardiva di un fatto diverso o di reato concorrente. Situazioni del tutto assimilabili che renderebbero non giustificabile una disparità di trattamento. La Consulta sottolinea che il no al rito abbreviato lede il diritto di difesa per l'impossibilità di rivalutarne la convenienza e il principio di uguaglianza perché fa dipendere la "sorte" dell'imputato dall'esattezza della valutazione delle indagini da parte del Pm. Mafia: l'aggravante dell'agevolazione scatta solo se "l'aiuto" era scopo principale del favore di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015 Corte di cassazione - Sezione VI - sentenza 9 luglio 2015 n. 29311. L'aggravante di aver agito allo scopo di agevolare l'associazione mafiosa non può essere contestata se manca la prova che lo scopo che ha mosso l'imputato era proprio quello di favorire il clan. Non basta infatti, che chi ha messo in atto la condotta contestata abbia accettato l'eventualità che questa andasse a vantaggio della "famiglia", come non è sufficiente neppure la certezza del favore. La Corte di cassazione, con la sentenza 29311 depositata ieri, annulla con rinvio la condanna per corruzione aggravata, limitatamente all'aggravante del favoreggiamento (articolo 7 del Dl 152/1991) disposta dai giudici di merito a carico di un carabiniere che aveva accettato denari e altri beni da un boss della camorra in cambio della rivelazione di alcuni atti di indagine. Pur dando atto che la giurisprudenza sul punto non è lineare, la Cassazione afferma che la corretta interpretazione della norma, impone la prova "che l'agevolazione rappresenti il movente esclusivo o anche solo dominate dell'azione criminosa". I giudici precisano, infatti, che la spinta ad aiutare il clan può essere determinata anche da finalità diverse ad iniziare dal lucro personale. Sulla droga depenalizzazione anche per le sostanze previste da atti amministrativi di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015 Corte di cassazione, Sezioni unite penali, sentenza 9 luglio 2015 n. 29316. La sentenza della Corte costituzionale del 2014 sugli stupefacenti, che ha imposto il ripristino della distinzione tra droghe leggere e pesanti, continua a dispiegare i suoi effetti. Sino a un'ampia abolitio criminis sancita ieri dalle Sezioni unite penali della Cassazione con la sentenza n. 29316. La pronuncia conclude che non hanno più rilevanza penale le condotte e neppure le relative condanne con oggetto le sostanze che via via sono state inserite nelle tabelle previste dalla vecchia disciplina nel periodo 2006-2014 (sino al 2 aprile 2014, per la precisione, quando sono entrate in vigore le misure d'urgenza prese dal Governo, con decreto legge, per fronteggiare le conseguenze del giudizio della Consulta). Si tratta di alcune centinaia di sostanze che nel corso degli anni sono andate a riempire di contenuti, attraverso atti amministrativi, una norma penale dai contenuti abbastanza vaghi. In sostanza, sottolineano le Sezioni unite, si è adottato un metodo che non trasgredisce i principio di legalità perché, in realtà corrisponde alla necessità di un rapido adeguamento della disciplina penale ai cambiamenti scientifici e criminologici, ai quali la legge potrebbe non essere in grado di far fronte con tempestività. Resta però da verificare, ed è oggetto di uno dei passaggi chiave della sentenza, se il verdetto della Corte costituzionale, oltre a travolgere le norme del Testo unico ha trascinato nell'illegittimità anche gli atti amministrativi a queste collegati. La risposta delle Sezioni unite è affermativa: "una diversa soluzione d'impronta sostanzialistica, determinando la sopravvivenza di atti amministrativi non più sorretti dalle norme di carattere direttivo che li avevano ispirati, determinerebbe sicura violazione del principio di legalità". Subito dopo le Sezioni unite sciolgono altri due nodi, chiarendo, dopo una non facile ricostruzione del panorama normativo venutosi a creare, che le sostanze in discussione previste dai "vecchi" atti amministrativi bocciati dalla Consulta sono poi, almeno in larghissima parte, confluite anche nelle attuali tabelle. L'altra questione risolta attiene alla possibilità di applicare retroattivamente la nuova incriminazione. La sostanza, il nandrolone, sulla quale era incentrato il procedimento arrivato in Cassazione è stata infatti compresa tra quelle che continuano ad avere una rilevanza penale. Le Sezioni unite che ricordano una tesi, fatta propria soprattutto dalla dottrina, ammette questa possibilità. In sintesi questa linea interpretativa ritiene che l'intervento del Governo del 2014 è ispirato dal proposito di evitare una frattura tra il prima e il dopo la sentenza della Corte costituzionale. Così, gli atti che continuano a produrre effetti sono i provvedimenti amministrativi travolti dalla Consulta: "tale "ripresa" non può che essere orientata alla permanenza della pregressa efficacia degli atti amministrativi. Si tratta di una disposizione transitoria volta a derogare ai principi di diritto intertemporale e segnatamente alla retroattività della norma penale più favorevole". Tuttavia la conclusione delle Sezioni Unite è di segno opposto: la Corte costituzionale ha cancellato di fatto la disciplina del 2006, facendo venire meno l'oggetto materiale del reato, cioè il suo nucleo essenziale. Il nuovo inserimento delle sostanze nella tabelle attuali provoca nuove incriminazioni che non possono essere applicate per il passato. Violenza sessuale, no alla costituzione di parte civile del Comune di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015 Tribunale di Trento - Sentenza 17 giugno 2015 n. 342. Dal tribunale di Trento arriva uno stop alla prassi sempre più diffusa nei comuni di costituirsi parte civile "per manifestare la propria solidarietà nei confronti della vittima" nei processi per violenza sessuale all'interno del proprio territorio. Il Gup trentino, Francesco Forlenza, con la sentenza n. 342/2015, andando consapevolmente contro l'indirizzo prevalente in Cassazione, ha infatti rigettato la domanda di costituzione del municipio. Il caso - La vicenda origina dall'aggressione subita da una donna all'interno di un parcheggio da parte di un uomo che dopo averla scaraventata a terra aveva cercato di violentarla non riuscendovi a causa delle gente accorsa per le urla. Nell'udienza preliminare veniva accolta la costituzione di parte civile della vittima ma non quella del Comune di Trento con la motivazione che "la legittimazione dell'ente territoriale che invoca un danno alla propria immagine è ammissibile anche in riferimento ad un reato commesso da privati in danno di privati, purché tale tipologia di danno sia in concreto configurabile" (Cass. n. 13244/2014). Invece, il comune aveva chiesto la costituzione "soprattutto per manifestare la propria solidarietà nel caso di specie e di tutte le vittime di violenza". Con uno scopo, dunque, prosegue la sentenza, "politicamente ed eticamente encomiabile ma di nulla rilevanza sotto il profilo ex art. 185 c.p.", e cioè del danno patrimoniale. Mentre il danno all'immagine "non è comprovato non essendo stata allegata né dedotta prova di un pregiudizio" né alla città di Trento né al suo sviluppo turistico. La motivazione - Ma il giudice non si ferma qui e criticando l'eccessiva estensione del concetto di "causa" operato dalla giurisprudenza di Cassazione, argomenta che il danno non può essere neppure identificato nelle spese sostenute dal municipio per i servizi offerti alla vittima dell'abuso (29905/2011), in quanto frutto di una scelta "politica" e non "conseguenza immediata e diretta" dell'azione del reo, come richiede la norma civile e penale. Inoltre, osserva la sentenza, moltiplicare la platea dei creditori produce l'effetto, certamente non cercato, di ridurre proporzionalmente il quantum spettante alla vittima. Inoltre, ammettere la costituzione del Comune "in quanto statutariamente e concretamente impegnato contro la violenza alle donne" (n. 29905/2011) porta ad una vera e propria "spiritualizzazione" del danno, ravvisandolo non in una lesione economico-patrimoniale, ma nella compromissione di valori eterei quali la "violazione del fine statutario essenziale dell'associazione", la "offesa dello scopo sociale che costituisce la finalità propria del sodalizio", la "lesione di quelle finalità di salvaguardia proprie della associazione medesima", che però "poco o punto hanno a che fare col danno non patrimoniale (oggettivo)". Del resto, l'imputato ha fatto di peggio che violare "lo statuto" del Comune avendo infranto la legge penale. Diversamente opinandosi, conclude il giudice, "potrebbe egualmente dirsi che chi guida in stato di ebbrezza alcolica viola lo statuto dell' "Esercito della Salvezza" che promuove l'astinenza dall'alcol, e chi infligge un pugno al suo prossimo viola lo statuto delle associazioni che propugnano la non violenza, e così via di seguito in una sequela che non può essere condivisa, vietandolo i criteri dell'umana ragione prima che il diritto". Infortuni sul lavoro, reato di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015 Prevenzione degli infortuni sul lavoro - Reato di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi - Soggetto attivo - Individuazione. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora in un medesimo ambiente operino stabilmente più lavoratori, dipendenti da datori di lavoro diversi e non legati tra loro da alcun rapporto di appalto o da altro rapporto giuridicamente rilevante, ciascun datore di lavoro è tenuto alla elaborazione del documento di valutazione dei rischi, ai sensi degli articoli 28 e 29 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che contemplano fattispecie di reato le quali si pongono in relazione di continuità normativa con l'ipotesi contravvenzionale prevista dall'articolo 4 D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 24 aprile 2015 n. 17119. Prevenzione degli infortuni sul lavoro - Subappalto - Piano operativo di sicurezza delle imprese subappaltatrici - Trasmissione al coordinatore per l'esecuzione dei lavori - Obbligo - Violazione - Reato di cui agli articoli 97 e 159 D.Lgs. n. 81/2008 - Configurabilità - Esclusione - Illecito amministrativo di cui agli articoli 101 e 159 D.Lgs. n. 81/2008 - Sussistenza. Il legale rappresentante della società appaltatrice che omette di trasmettere al coordinatore per l'esecuzione dei lavori i piani operativi della sicurezza relativi alle imprese affidatarie delle opere in regime di subappalto, dopo averne verificato la congruenza rispetto al proprio, risponde dell'illecito amministrativo di cui agli articoli 101 e 159, comma II, lett. d), del D.Lgs. n. 81/2008 e non del reato previsto dagli articoli 97 e 159, comma II, lett. c), del citato D.Lgs., atteso che quest'ultimo sanziona la condotta di mancata verifica della congruenza dei piani operativi di sicurezza delle imprese rispetto al proprio, anteriormente alla trasmissione degli stessi, mentre il primo presidia l'inadempimento dell'obbligo meramente esecutivo dell'invio dei documenti. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 4 febbraio 2015 n. 5172. Prevenzione degli infortuni sul lavoro - Documento di valutazione dei rischi - Obbligatorietà - Sussistenza - Modalità di Redazione - Contenuto. Il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'articolo 28 del D.Lgs. n. 81/ 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. • Corte di cassazione, sezioni Unite, sentenza 18 settembre 2014 n. 38343. Lavoro - Prevenzione infortuni - Sul lavoro - Contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione - Reati - Omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi - Soggetto attivo - Individuazione. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la contravvenzione di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi in caso di contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - già denominato come piano di sicurezza e coordinamento nel d. lgs. n. 626 del 1994 - deve ritenersi, a seguito della sua riconfigurazione ad opera dell'articolo 26 d. Lgs. n. 81 del 2008, un reato proprio del committente e non può pertanto più essere imputata anche al datore di lavoro appaltatore. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 16 gennaio 2013 n. 2285. Lettere: la giustizia non è vendetta, senza misericordia muore di Giuseppe Fiorini Morosini (Vescovo di Reggio Calabria) Il Garantista, 10 luglio 2015 Una lettera ai detenuti in occasione del Giubileo sul perdono indetto da Papa Francesco. Dopo il suicidio del detenuto Giuseppe Panuccio, avvenuto la settimana scorsa nel carcere di Arghillà, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Arcivescovo di Reggio Calabria - Bova, ha deciso di scrivere una lettera indirizzata a tutti i carcerati. Si tratta di una lunga lettera che racchiude un messaggio di speranza, ma anche un invito alla riflessione, all'espiazione, al riconoscimento pubblico della colpa commessa e la richiesta di perdono, alla dissociazione e alla collaborazione con le autorità dello Stato. Qui di seguito il testo integrale della missiva. Carissimi fratelli, avevo pensato di scrivervi questa lettera in ottobre per annunziarvi le iniziative che con i vostri Cappellani prenderemo per il prossimo Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco e che, per l'appunto, inizierà il prossimo 8 dicembre. La triste vicenda del suicidio, l'altro giorno, nel Carcere di Arghillà, mi ha spinto a farlo subito. Solo qualche commento è stato fatto su quella morte, quasi fosse stata una morte naturale. Dinanzi a quella salma Chiesa e Società abbiamo raccolto un fallimento della nostra azione nelle Carceri. La disperazione ha prevalso sulla certezza della misericordia e del perdono. Vi scrivo, pertanto, per darvi speranza. Con la celebrazione di questo Giubileo il Papa ha voluto ancora una volta presentare il volto materno della Chiesa, che, a sua volta rivela quello misericordioso di Dio. Scrive Papa Francesco nel documento di indizione del Giubileo: L'architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell'amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia. So quanto sia difficile aprire con voi e su di voi un discorso sulla misericordia, in un contesto culturale e mediatico esasperato da un concetto di giustizia, che alcune volte ha solo il sapore amaro e sterile della vendetta. È lo stesso Papa che lo afferma citando le parole di S. Giovanni Paolo II: La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l'uomo, il quale, grazie all'enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28). Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia. Ma, a costo di essere frainteso, io voglio farlo, richiamandovi alla mente alcuni valori e impegni cristiani, che dovranno essere vissuti in questo prossimo Giubileo della misericordia. Lo faccio nella prospettiva di offrire a tutti l'occasione della misericordia, secondo quanto scrive il Papa: La parola del perdono possa giungere a tutti e la chiamata a sperimentare la misericordia non lasci nessuno indifferente. Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. 1. La misericordia di Dio è speranza che apre alla vita non alla morte. La rivelazione cristiana di Dio, che mostra la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, vi deve accompagnare sempre, soprattutto nei momenti più difficili della vostra detenzione, durante i quali voi ripensate in modo forse drammatico la vostra vita. Dio vuole il pentimento che redime e dà pace, non il rimorso che distrugge la speranza ed uccide. Il Giubileo della misericordia vuole ricordare anche a voi che c'è misericordia e perdono per ogni colpa, se si torna a Dio veramente pentiti e disposti a cambiare vita. Non imitate Giuda, ma Pietro, che, dopo aver preso coscienza di averlo tradito, pianse amaramente il suo peccato e chiese perdono a Gesù, che glielo ha concesso. 2. Ma che cosa è il pentimento? È l'atto con il quale si prende coscienza delle proprie colpe e si decide di cambiare. Ci si accorge, ad esempio, che è stato un errore aver usato violenza fisica o morale ad una persona, o aver danneggiato il bene comune o recato danno in qualsivoglia modo alla società o ai singoli. Chi ha preso coscienza di ciò dice: ho sbagliato; mi pento; riparo. 3. A chi dobbiamo consegnare il nostro pentimento? A Dio soprattutto, mediante la Chiesa, nel sacramento della confessione. Gesù ci ha lasciato questo sacramento per dirci che nulla è perduto nella vita e sempre si può ricominciare. Basta volerlo; basta decidersi; basta ripartire. Lui è sempre pronto per accoglierci. E poi ai fratelli. Quando la nostra colpa ha toccato i diritti di un altro, della collettività, dello Stato; quando il nostro peccato è stato causa di scandalo per altri, di paura, di violenza, noi siamo tenuti a riparare nei confronti anche degli altri. Dio ci perdona, ma a noi resta l'obbligo della riparazione ai fratelli. Se abbiamo peccato contro il fratello, dobbiamo consegnare anche a lui la nostra decisione di pentimento. 4. Come dobbiamo riparare? Qui il discorso diventa più difficile, ma non impossibile, perché ci sono danni arrecati che non sempre possono esser valutati con i beni materiali. Chi può ripagare l'uccisione di una persona? Chi può valutare e pesare il dolore arrecato ad un uomo? Certe ferite sono così profonde che non basta una vita per rimarginarle. Possiamo però tentare qualche cosa, che faccia apparire la nostra buona volontà e il pentimento sopravvenuto. 5. Riconoscere pubblicamente la colpa commessa e chiedere perdono È il primo passo verso la riparazione. Bisogna avere il coraggio di arrivare a fare anche una pubblica dichiarazione, se è necessario ed educativo per gli altri, per riconoscere i propri errori, per dissociarsi da associazioni malavitose. Oppure si può scrivere una pubblica lettera alla famiglia che è stata oltraggiata e dire: riconosco di avere sbagliato, chiedo perdono, voglio riparare. È un segnale forte inviato alla famiglia offesa e alla società intera, educativo anche per i giovani. soprattutto per quelli caduti già nelle maglie della delinquenza. 6. La restituzione Bisogna restituire tutto ciò di cui ci si è ingiustamente impossessati, con la violenza, con lo spaccio di droga, con le tangenti, con le intimidazioni, con la truffa e la corruzione. Zaccheo nel Vangelo si è convertito ed ha restituito i soldi presi ingiustamente, lo ha fatto addirittura in maniera sovrabbondante. 7. La dissociazione Questo passo deve essere compiuto da chi è coinvolto in associazioni delinquenziali, come la ‘ndrangheta e in genere la mafia; da chi ha partecipato a strutture politiche affaristiche. Quando si è consapevoli di aver fatto passi sbagliati, che hanno inciso negativamente sulla società, bisogna manifestare pubblicamente, soprattutto con la testimonianza della vita, la propria dissociazione da ogni aggregazione illegale. Bisogna manifestare la propria volontà di riconquistare la dignità di uomo. Fare tutto questo è di esempio per i vostri figli e può spingere anche altri a compiere lo stesso gesto. Saranno gli stessi vostri figli a beneficiare della vostra dissociazione e a sentirsi liberi da un peso gravoso, qual è il disonore. 8. La collaborazione con lo Stato È un impegno morale auspicabile, ricordando che nessuno è tenuto ad accusare se stesso o gli altri. Occorre, però, tener presente che la propria coscienza deve spingere a questa collaborazione quando si è certi che la criminalità può colpire ancora, quando un innocente paga ingiustamente colpe che altri hanno commesso, quando bisogna garantire la vita ad altre persone. In questi casi è molto importante il dialogo spirituale con il sacerdote. 9. Esortazione a parenti ed amici Un grande segno di conversione è quello di scrivere ai propri parenti (figli, genitori, zii, nipoti ecc.) che sono fuori dal carcere e che sono finiti anch'essi nella rete della criminalità organizzata o vivono nell'illegalità, senza aver avuto ancora problemi con la giustizia: bisogna invitarli a correggere la loro vita per non finire anch'essi nel vicolo cieco del peccato, che spegne la vita. Anche per loro è scoccata l'ora della misericordia. Esortateli ad approfittarne. 10. La dialettica tra giustizia e misericordia La misericordia di Dio, espressa con il perdono sacramentale, non ha nulla a che fare con la giustizia dello Stato e dei tribunali. La misericordia di Dio elargita dalla Chiesa attraverso il sacramento della riconciliazione non cancella la pena da scontare per le colpe commesse. Anzi, la paziente accettazione della punizione inflitta dallo Stato, che ha il fine della rieducazione, è uno dei segni della vera conversione. 11. La misericordia nella prospettiva anche della giustizia terrena Quanto sia difficile questo tema, anche nell'amministrazione della giustizia terrena, a nessuno sfugge. Fin dove può estendersi la misericordia senza ledere la giustizia? Fino a quando la giustizia deve essere certa senza mancare di misericordia? S. Francesco di Paola dava queste indicazioni ai superiori della sua famiglia religiosa: Correggete le colpe commesse con vera giustizia sì da non dividere da essa la misericordia, ed esercitate la misericordia sì da non separare da essa la giustizia. Il criterio, che si deduce dai suoi scritti e dal suo comportamento, è quello del bene della persona; per cui, con uno è meglio insistere sulla misericordia, se la ferrea giustizia lo può portare alla disperazione; e con un altro, invece, occorre tenere duro sulla giustizia, se l'eccessiva misericordia può condurlo ad un comportamento irresponsabile e recidivo. Se viene accettata una visione di giustizia all'interno della quale prevale la vendetta, non capiremo mai l'esigenza evangelica ed umana della misericordia. Non dimentichiamo che anche la Costituzione Italiana stabilisce la pena come via alla riabilitazione del colpevole. 12. L'accompagnamento della Chiesa La Chiesa non lascia solo chi sbaglia, e lo riafferma soprattutto con l'indizione di questo Anno Giubilare. Nelle carceri ci sono i cappellani, che vi seguono, vi ascoltano, celebrano la messa per voi, vi fanno pregare, vi parlano di Dio, vi confessano, vi danno la comunione, anche se non sempre ci sono risposte chiare di conversione da parte vostra. Ma la Chiesa sa attendere, come Dio, che rispetta la libertà dell'uomo, che si allontana da lui. Ne rispetta i ritmi di crescita. La parabola del Figliol prodigo ci insegna che Dio sa attendere. 13. La fiducia nella Chiesa Della Chiesa potete fidarvi. Sul sacerdote che ascolta le vostre confidenze e i vostri problemi, che raccoglie la vostra confessione sacramentale, potete scommettere. Il Ministro sacro ha il dovere di mantenere il segreto della confessione a costo anche della vita, come ci hanno insegnato tanti santi sacerdoti, che sono stati uccisi per non aver svelato il segreto confessionale. Se il cappellano nulla può fare nei processi di giustizia, tutto gli è possibile per darvi la misericordia di Dio. 14. Gradualità del cammino di conversione e sacramenti Tanti oggi, condizionati dalla cultura dominante nella società, vorrebbero che la Chiesa vi concedesse i sacramenti solo dopo una vostra dichiarata conversione, richiesta di perdono, riparazione effettuata. Ma lo Stato e la Chiesa hanno compiti diversi. La Chiesa sa che Dio le ha affidato il ministero della riconciliazione e del perdono, che essa deve esercitare come lo ha esercitato Gesù: con la pazienza, l'accompagnamento, l'attesa. Ricordate la parabola del buon seme e della zizzania: Gesù dice che il padrone del campo fa crescere insieme grano e zizzania, sino al momento della mietitura. Poi, a tempo debito, ha fatto giustizia: il grano nei granai e la zizzania al fuoco. Miei cari, ricordate che l'attesa non può essere infinita: se non ci sono segni di conversione il sacerdote può arrivare anche a negare i sacramenti. Gesù ha accompagnato Giuda, che si andava allontanando gradualmente da lui. Gli ha dato continuamente la possibilità di ravvedersi, senza mai scacciarlo. Ha sperato sempre in suo ravvedimento, senza mai isolarlo dagli altri apostoli. Ma alla fine la separazione c'è stata, anche se è stato lui a voltargli le spalle, tradendolo. La notte del Giovedì Santo Giuda scelse l'oscurità della notte alla luce del giorno che Gesù voleva dargli. La Chiesa seguita ad accompagnarvi e a non privarvi dei sacramenti, perché sa che i sacramenti danno forza nel cammino verso la conversione, la richiesta di perdono, la riparazione. Ma arriverà il momento in cui bisognerà pur dirvi: o con Gesù o contro di lui, perché con Gesù si può stare solo come lui vuole, osservando la sua legge. Non è possibile illuderci che possiamo crearci una fede su nostra misura. 15. Il reinserimento nella società Il reinserimento nella società è il momento più delicato del vostro cammino di conversione. Sappiamo le difficoltà oggettive: i preconcetti, la mancanza di lavoro, la riconciliazione dei cuori. Anche in questa fase la Chiesa vi accompagna, pur non nascondendosi le difficoltà, soprattutto in riferimento alla garanzia del lavoro. Sono numerose le iniziative in tal senso, soprattutto da parte delle Caritas diocesane e parrocchiali. Ci auguriamo che tutta la società civile senta vivo questo problema e che la politica si impegni realmente in tal senso. 16. Il Crocifisso è il volto della misericordia di Dio In questo Anno Giubilare dobbiamo guardare al Crocifisso con occhi di fede, perché lì noi incontriamo il volto misericordioso di Dio, che ci apre le braccia e ci invita ad avere speranza. Al Crocifisso guardi soprattutto chi soffre una pena ingiusta. Anche per lui si apre il Giubileo della misericordia, che egli vivrà nel segno della fede, della conversione e del perdono. Nel Crocifisso, il giusto per eccellenza ingiustamente condannato, ogni uomo incontra le proprie sofferenze. In lui troverà la forza e il coraggio della sopportazione, attendendo il compiersi della volontà di Dio. Nel Vangelo di S. Giovanni leggiamo: Guarderanno a colui che hanno trafitto. Sia per tutti voi uno sguardo di fiducia e di speranza. Dio è amore, è misericordia, è perdono. Dipende da noi accoglierlo. Carissimi, non lasciate passare invano questo tempo di grazia. Ve lo chiede anche il Papa. Vi riporto ancora un altro brano di quanto egli ha scritto indicendo il Giubileo: Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un'illusione. Non portiamo il denaro con noi nell'al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o nessuno potrà sfuggire. complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l'illusione del denaro come forma di potenza. È un'opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall'intrigo. Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch'io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l'invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia. Carissimi, se mi sarà concesso dalle autorità, durante questo Anno Giubilare della Misericordia, verrò a visitarvi nelle carceri, a confessarvi io stesso, almeno alcuni di voi. Sogno, lo spero, e per questo prego, che in questo anno nella nostra Diocesi di Reggio Calabria-Bova ci sia qualche segnale forte di dissociazione dalla ‘Ndrangheta. Siate coraggiosi! Fatelo! Ciò significa essere uomini coraggiosi e veri cristiani. Sarà il primo di tanti altri passi, che cambieranno la nostra Città e la nostra Regione. Lo spero e prego per tutti voi, mentre vi benedico di cuore. Lettere: Roma e la finzione di House of Mafia di Giuliano Ferrara Il Foglio, 10 luglio 2015 Se un pm fa lo sceneggiatore l'inchiesta non può che diventare una fiction. Vorrei aggiungere un mio mattoncino alla bella rubrica di Mariarosa Mancuso, che tutte le settimane mi spiega l'importanza delle fiction seriali, da me trascurate. Sarà presto una fiction, prodotta da Cattleya, la storia o story di Mafia Capitale. Il magistrato comincia come romanziere (Romanzo criminale, opera del pm Giancarlo De Cataldo), procede come consulente cinematografico e di serial (film di Michele Placido e serie di Sky), va avanti come automa dell'azione penale obbligatoria, origliatore, trascrittore di codici telefonici di comunicazione, reporter con manette e ampio corteggio di media-system (le "inchieste reportage" di cui parla Piero Tony nel suo pamphlet), infine mette un bel titolo utile alla bisogna (Mafia Capitale) ed ecco lo sceneggiatore. Sono i pm che fanno male alle fiction o sono le fiction che danno alla testa ai pm? Sbaraccare identità e dubbia dignità di una città da sempre affetta da corruttela, mutando la corruzione di parte del suo personale amministrativo in articolo 416bis o associazione di stampo mafioso, è tipica operazione fictional, è opera aperta, è work in progress, è serialità televisiva. Basta imbolsire la testa dei cittadini con palle colossali ma ben raccontate, e qui è il momento dello storytelling; farlo a ritmi incalzanti, trasformando i cravattari che si riuniscono presso una pompa di benzina di Roma Nord in padrini di Corleone, coltellini giapponesi per tagliare il pesce crudo in arsenale, avidità di potere di cooperatori redenti già ergastolani e di vecchie e onorate figure che hanno allignato nella criminalità comune in gente di Cosa Nostra o famiglie dell'onorata società. Il gioco del pm produttore, incrocio tra Tonino Di Pietro e Samuel Goldwyn, è fatto: Mafia Capitale, che storia per la televisione. È il modello Gomorra, tristemente noto per la santificazione in vita del suo banalissimo inventore fictional, un ragazzotto rovinato da giornali, retorica, scorte e politica. Il modello è anch'esso seriale e si fonda sullo scambio dei ruoli, il pm fa storytelling, gli autori rifanno l'inchiesta per il palato fine o grossolano (la serie dobbiamo ancora vederla) dello spettatore auditel. Lo streaming criminale non basta. La ovvia sicurezza che ci sia stata corruzione nelle coop, nelle municipalizzate, nell'apparato municipale, in certi bei quartierini dell'assistenzialismo democratico e solidale e in certi ufficietti della sotto politica, non basta. Ce vò la Mafia. Che genera l'antipolitica, lo strepito plebeo, il qualunquismo, il seguito giornalistico e televisivo capace di creare l'evento e la sua riproducibilità tecnica in serie. Con la complicità beota della politica e degli amministratori, dei partiti e delle associazioni che fino al giorno prima stavano con il muso nella greppia mafio-romanesca. Roma mafiosa è meglio di Roma ladrona, permette allo sceneggiatore capo, il molto insigne dottore Giuseppe Pignatone, di annunciare la serie a un convegno del Pd, prima che scattino gli arresti, e consente agli arrestati e ai loro ex manutengoli o agli amministratori solidali di destra e di sinistra di sperare, dopo la giusta punizione in carceri speciali, in un riscatto almeno cinematografico o da piccolo schermo. Ecco, Mariarosa, la fase suprema della serialità televisiva, House of Mafia, si spalma in attesa di Netflix sulle nostre vite e sulla fruizione artistica della realtà. Con qualche conseguenza quanto alla credibilità della giustizia penale, subito compensata dalla finzione che la imita. Mentre il prefetto non scioglie il comune di Roma ma quello di Ostia per infiltrazioni mafiose: Mafia Balneare. Buona visione e complimenti per la trasmissione. Sardegna: il Provveditore De Gesu lascia l'isola "i detenuti in 41bis non portano la mafia" di Alessandra Sallemi La Nuova Sardegna, 10 luglio 2015 Il provveditore dei penitenziari sardi si trasferisce a Roma dove è a capo di una delle direzioni del ministero della Giustizia. Sul nuovo istituto di Uta: "Bisogna fare in modo che la distanza dal capoluogo non scoraggi le forze sociali a contribuire ai programmi di rieducazione". I mafiosi nelle carceri sarde non vengono per scelta dell'amministrazione penitenziaria ma per un comma del secondo pacchetto sicurezza del governo Berlusconi (2009) che indica la necessità di inviare i detenuti del 41 bis "preferibilmente in aree insulari". Quella legge fu firmata anche da parlamentari che, adesso, protestano a ogni arrivo di malavitosi da regime di alta sicurezza. Lo dice in chiaro Gianfranco De Gesu nel lasciare l'incarico di provveditore dell'amministrazione penitenziaria a Enrico Sbriglia, che viene dal Triveneto e sarà reggente. Ieri De Gesu ha accettato di fare un bilancio di quattro anni in Sardegna, dove ha chiuso vecchi istituti (San Sebastiano a Sassari e Buoncammino a Cagliari) per aprirne di nuovi (Bancali e Uta) oppure ha chiuso non senza sofferenza istituti che non reggevano alle nuove necessità del risparmio amministrativo (Macomer e Iglesias). Nel suo curriculum ci sono anche la direzione di Palmi e dell'Ucciardone. Sulla mafia, insomma, non improvvisa: "La mafia va dove ci sono soldi, non le carceri. I mafiosi bisogna allontanarli dalle zone dove esercitano la loro influenza. In Sardegna ce ne sono da anni e non c'è riscontro a ciò che qualcuno teme, vale a dire che le famiglie si spostino dove ci sono le carceri del 41 bis". A proposito di spostamenti De Gesu, chiamato a una delle direzioni generali del ministero della Giustizia (edilizia penitenziaria e approvvigionamenti di beni materiali), segnala il problema Uta: "La legge italiana affida la rieducazione anche alle forze sane della società, non vorrei che la distanza (20 chilometri) fosse una scusante per non fare. La direzione di Uta compie ogni sforzo per garantire le attività, pochi sanno che ogni giorno alcuni detenuti raggiungono la Procura per il progetto sulla digitalizzazione degli uffici". C'è un'idea da sviluppare: "A chi chiederà spazi a Buoncammino per attività culturali, si può proporre di replicare l'iniziativa a Uta". Nell'ora del congedo, al dirigente piace sottolineare che uno studio universitario sulle recidive dopo la detenzione dimostra che in Sardegna sono la metà rispetto al resto d'Italia, segno anche, secondo De Gesu, di quel che fanno ogni giorno volontari e dipendenti dell'amministrazione. Le colonie penali (Is Arenas, Mamone, Isili) hanno una produzione agricola da migliaia di euro l'anno che contribuisce a finanziare progetti di reinserimento in tutta Italia. Sulle colonie penali, che esistono solo qui: "Richiedono una gestione accurata, abbiamo scelto di specializzare gli istituti e di non accettare arrivi indiscriminati: chi arriva in Sardegna - dice De Gesu - è già destinatario di un progetto trattamentale. Ottenerlo è stato un successo, possibile anche grazie ai sindacati". Non è lontano il ricordo dell'omicidio avvenuto a Is Arenas dopo l'arrivo di cento detenuti inviati solo per alleggerire un carcere della penisola. Non è la nazionalità il problema, si è arrivati ad averne anche 90 diverse. È spagnolo il detenuto che, tornato a casa, ha avviato un'azienda con l'apicoltura imparata in Sardegna. Infine una parola sul personale: 600 agenti sardi sono tornati, ma, dice De Gesu: "l'organico è ancora sottodimensionato, avrei voluto farne rientrare di più. E poi avrei voluto lasciare un direttore per ogni struttura invece ce ne sono sei e gli istituti sono dieci". Sardegna: Sdr; Enrico Sbriglia provveditore reggente dell'Amministrazione Penitenziaria Ristretti Orizzonti, 10 luglio 2015 "Enrico Sbriglia è il nuovo Provveditore regionale dell'Amministrazione Penitenziaria della Sardegna. Lo ha nominato il Ministro della Giustizia con apposito decreto. Sostituisce nell'incarico Gianfranco De Gesu, che ha guidato il Prap isolano negli ultimi 4 anni. Nel formulare gli auguri di buon lavoro per l'incarico non si può non rilevare che si tratta purtroppo di una reggenza. Il dott. Sbriglia infatti continua a gestire il Triveneto (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) e verrà nell'isola in missione. La nostra regione avrebbe meritato una maggiore attenzione trattandosi di un territorio con particolari condizioni geografiche e ambientali". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento alla decisione del Ministero di non assegnare alla Sardegna un Provveditore regionale stabile. "Non sono in dubbio - sottolinea Caligaris - le qualità del neo Provveditore che vanta una notevole esperienza ma esiste un problema di disponibilità oggettiva di tempo. Occorre ricordare che nell'isola c'è una carenza cronica di Direttori, non ci sono vice Direttori e ogni qual volta uno di loro fruisce delle ferie chi lo sostituisce ha la responsabilità su altri tre Istituti. In questo modo si può soltanto intervenire sulle "carte". Ma la normale amministrazione non è sempre sufficiente a dare risposte ai problemi". "Nelle prossime settimane - conclude la presidente di Sdr - il nuovo Provveditore giungerà in Sardegna. L'auspicio è che la "missione" possa trasformarsi presto in un incarico effettivo ed esclusivo considerati anche i problemi derivanti dalla presenza nell'isola dei detenuti in regime di 41bis attualmente a Sassari-Bancali e in prospettiva a Cagliari-Uta". Napoli: avvocati in sciopero, protestano contro lungaggini del Tribunale di Sorveglianza di Viviana Lanza Il Mattino, 10 luglio 2015 Accade che la decisione arrivi quando il detenuto è già tornato libero: gli effetti della carenza di personale amministrativo sull'attività del Tribunale di Sorveglianza costituiscono forse il capitolo più allarmante tra le criticità irrisolte che hanno spinto gli avvocati della Camera penale di Napoli e quelli di tutte le Camere penali del distretto a proclamare tre giorni di astensione dalle udienze, dal 6 all'8 luglio, e a votare all'unanimità nell'assemblea napoletana la proposta di inoltrare al ministero una richiesta di una ispezione straordinaria. Fascicoli incompleti che costringono a rinvii, istanze per la liberazione anticipata sulle quali accade che la decisione arrivi quando il detenuto è già tornato libero: gli effetti della carenza di personale amministrativo sull'attività del Tribunale di Sorveglianza costituiscono un capitolo a sé, e forse il più allarmante nel quadro delle disfunzioni e delle criticità irrisolte che ha spinto gli avvocati della Camera penale di Napoli e quelli di tutte le Camere penali del distretto a proclamare tre giorni di astensione dalle udienze nei giorni scorsi, dal 6 all'8 luglio, e a votare all'unanimità nell'assemblea indetta dalla Camera penale napoletana guidata dall'avvocato Attilio Belloni la proposta di inoltrare al ministero una richiesta di una ispezione straordinaria allo scopo di verificare le disfunzioni lamentate e individuare le soluzioni più opportune per superarle. "L'ispezione - chiarisce l'avvocato Belloni - è ai sensi dell'articolo 7 della legge 1311 del 1962. Auspichiamo che siano individuate le soluzioni più opportune per superare le criticità che denunciamo da tempo". I penalisti sono pronti a indire nuove giornate di astensione se non saranno adottati provvedimenti. "C'è bisogno di un confronto dialettico con tutti i protagonisti della giustizia e quindi non solo la magistratura ma anche l'avvocatura, altrimenti si rischia un autismo culturale, un solipsismo che non giova" afferma Domenico Ciruzzi, vice presidente dell'unione Camere penali nazionali. Intanto le udienze in Corte d'Appello iniziano un po' prima al mattino, il presidente del Tribunale Ettore Ferrara ha previsto un incontro con i rappresentanti della classe forense per presentare il progetto di riorganizzazione dei servizi amministrativi, il procuratore Giovanni Colangelo ha promesso di intervenire sulla questione relativa alle informazioni relative alle pendenze dei procedimenti. Insomma qualcosa si muove, anche se restano irrisolti aspetti che rendono grande il problema della giustizia a Napoli. Uno su tutti la carenza di personale amministrativo, motivo che ha spinto il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Carminantonio Esposito, a disporre la riduzione dell'attività degli uffici. Dal giorno in cui ha assunto l'incarico (20 settembre 2010) ad oggi "la riduzione del personale amministrativo ha raggiunto la cifra del 30% mentre il numero dei procedimenti è in costante aumento" ha sottolineato. Basta leggere i numeri: 39.491 procedimenti sopravvenuti e 37.894 definiti nel 2012, 41.882 sopravvenuti e 38.588 definiti nel 2013, 47.079 sopravvenuti e 39.497 definiti nel 2014. Nell'ufficio ci sono dipendenti che necessitano di assenze anche di lunga durata per motivi di salute, tre che godono di permessi sindacali, 8 dei benefici della legge 104 e due di concedo parentale. "Questa situazione, già ripetutamente comunicata ai competenti organi amministrativi, consente allo stato soltanto l'adempimento degli atti urgenti" ha concluso comunicando la riduzione del numero di udienze, del numero di procedimenti per ogni udienza e l'attività informativa dell'ufficio relazione con il pubblico, fatti salvi i casi di particolare urgenza. "Siamo al collasso" denuncia l'avvocato Sergio Schlitzer, presidente del Carcere Possibile, la Onlus della Camera penale di Napoli impegnata a tutela dei diritti dei detenuti. "Ci auguriamo che il ministro della Giustizia intervenga il più presto possibile". Per questo da Napoli sarà inviata una lettera aperta al Guardasigilli per denunciare tutte le criticità non sanate da anni. "Il problema del Tribunale di Sorveglianza non è solo napoletano" spiega l'avvocato Riccardo Polidoro, responsabile dell'Osservatorio carcere della Unione Camere penali italiane. Con uno sguardo a livello nazionale, il caso Napoli non appare come una eccezione, altrettanto allarmante è la situazione a Bologna. "Il problema della carenza di personale è nazionale". Alba (Cn): dall'1 luglio il personale della Casa circondariale in sciopero della mensa La Stampa, 10 luglio 2015 Dopo le polemiche a distanza tra la deputata cuneese del Movimento 5 Stelle, Fabiana Dadone e il viceministro alla Giustizia, Enrico Costa, sulla situazione nel carcere di Alba, dove il personale dal 1° luglio applica lo sciopero della mensa. Dadone aveva accusato il governo (Costa) di non interessarsi alla vicenda. Il viceministro aveva prontamente replicato spiegando di aver attivato il dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e di essere pronto ad incontrare gli addetti. L'esponente Cinque Stelle si dice ora in parte soddisfatta dell'azione intrapresa da Costa. "A leggere le pagine de La Stampa - scrive in una nota la parlamentare - posso quindi dirmi in parte soddisfatta dalla notizia che il viceministro Costa si sia impegnato a "incontrare il personale albese e parlare con gli operatori per cercare una soluzione" sulla scorta della relazione del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, ma nutro qualche perplessità in merito. Innanzi tutto perché lo stesso Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria appena il 1° luglio ha comunicato il progetto di mobilità del personale in cui si evince che in Piemonte tutti i penitenziari ad esclusione appunto di Alba, Verbania e Alessandria riceveranno nuovi agenti. Il quadro complessivo regionale appare sconfortante, a fronte della carenza di 85 unità ne saranno integrate a mala pena 45. Sinceramente, pensare di dover giocare a Tetris, togliendo agenti da alcuni penitenziari per poterne dare ad altri, appare ancora più preoccupante. Si tratterebbe solo di consumare una guerra tra poveri e d'altro canto chissà cosa farà cambiare idea al Dap che, immagino, avrà predisposto il piano di mobilità rispettando una serie di parametri oggettivi. In secondo luogo spero vivamente che Costa, oltre che a mezzo stampa, risponda all'atto di sindacato ispettivo da me depositato, in maniera tale che tutto rimanga agli atti, come si suole dire". Santa Maria Capua Vetere (Ce): quando la start-up nasce dietro le sbarre Roma, 10 luglio 2015 I detenuti realizzeranno le loro idee con un software ideato da Aldo Chiapparino. Tour cittadini a bordo di vespe d'epoca, "street food" su camioncini attrezzati con prodotti tradizionali per girare l'Italia e cooperative dedicate all'addestramento di quattro zampe. Queste sono solo alcune delle idee imprenditoriali dei detenuti del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, coinvolti in un rivoluzionario progetto iniziato a febbraio scorso e da poco terminato. L'iniziativa, promossa dalla società di formazione Meta Spa, in collaborazione e finanziata dalla Regione Campania, è stata realizzata attraverso 300 ore di tutoraggio a cui hanno partecipato 15 detenuti impegnati in attività didattiche e di laboratorio informatico al fine di stilare i business pian per realizzare le loro idee imprenditoriali. "L'obiettivo è quello di favorire la riammissione in società dei detenuti, una volta scontata la pena, per riabilitarli non solo a livello professionale ma anche in termini di dignità" ha dichiarato Donato Alberico, direttore di Meta S.p.a., in occasione della presentazione del libro "Idee d'Impresa per la libertà", edito da Booking.com di Vito Pacelli che ha raccolto e descritto dettagliatamente l'intera esperienza e le idee dei carcerati impegnati nel loro riscatto sociale e professionale. Ciò che ha reso e renderà possibile la "trasformazione" delle idee proposte dagli ex detenuti in realtà è "Prevedo-Start Up", un software per lo sviluppo di business pian ideato da Aldo Chiapparino e donato gratuitamente dai familiari dell'ingegnere scomparso e pioniere di programmi per la nascita di nuove imprese. A coordinare il corso sono stati il colonello comandante Raffaele D'Ambrosio, direttore del carcere ed il colonello Nicola Cacciuolo in sinergia col corpo docente composto da Donato Alberico, Mario Miglinolo, Alfredo Beneduce, Francesco Cardiello, Roberta Moreno, Domenico D'Amato e Antonio Calandriello. "Dopo il tutoraggio i detenuti hanno tutti gli strumenti per realizzare i loro progetti ma vogliamo seguitare per supportarli anche nella fase realizzativa" ha dichiarato Alberico durante la conferenza stampa, svoltasi lo scorso mercoledì nel carcere militare alla presenza dei detenuti, che hanno ricevuto gli attestati, del corpo docente, di Raffaele D'Ambrosio, direttore del carcere, di Adriana Tocco, Garante dei detenuti per la Regione Campania, dei magistrati dì sorveglianza coinvolti nell'iniziativa e dei familiari dì Aldo Chiapparino, la moglie Stella ed i tre figli Giuseppe, Melina e Mario. Avellino: in attesa per la Rems di San Nicola Baronia, ecco le criticità della struttura Quotidiano del Sannio, 10 luglio 2015 Sulla riconversione in corso della struttura da adibire a Rems, il cittadino Antonio Capodì-lupo, attivista politico locale, comunica in forma scritta alcune considerazioni. Il tutto si concentra su tre punti: "sub appalto dei lavori; spesa per arredi ed attrezzature per un importo di oltre 100.000 euro; sicurezza sismica, spazi al verde (circa 9 mq a detenuto) e salubrità degli ambienti". Capodilupo dichiara: "l'immobile è stato interessato già da un finanziamento di oltre 800.000 euro essendo stato destinato a R.S.A. Successivamente ed in corso d'opera, vi fu il cambio di destinazione e quindi l'odierna riconversione ad ex O.P.G. con ulteriore puntello di oltre 600.000 euro. L'Asl di Avellino ad aprile scorso ha indetto una gara per la fornitura di arredi per la modica cifra di 200.000 euro. Il progetto presentato e finanziato è esecutivo cioè le somme contabilizzate riguardano tutte le forniture e infatti con il decreto n. 104 del 30/09/2014 la Regione Campania ha preso atto delle somme richieste dall'ASL di Avellino, approvando il quadro economico del progetto esecutivo tra cui la voce arredi ed attrezzature per un importo di oltre 100.000 euro". La nota scritta prosegue ponendo due domande - Com'è possibile che per provvedere solo agli arredamenti si spendano, per ognuno dei 30 ospiti previsti, circa 15.000 euro e perché è stata disposta un'ulteriore gara i cui commissari giudicanti potrebbero risultare incompatibili avendo preso parte alla progettazione esecutiva? I 200.000 euro della procedura negoziata dì cui alla delibera ASL n, 516 del 3 aprile u.s. in quale capitolo di spesa sono stati messi in conto, essendo evidente che non erano stati compresi nel decreto n. 104 del 30/09/2014 della Regione Campania? Queste domande dovrebbero interrogare le Autorità di controllo e ì cittadini". Spoleto (Pg): corruzione in carcere, parla un detenuto "pagavo per ottenere domiciliari" di Jacopo Brugalossi tuttoggi.info, 10 luglio 2015 Processo alle battute finali, l'ex dirigente sanitario di Maiano si è avvalso della facoltà di non rispondere. Corruzione nel carcere spoletino di Maiano. È arrivato alle battute finali il processo che deve far luce sui fatti avvenuti all'interno del penitenziario fino al 2009. Un giro di certificazioni mediche false, prodotte sotto compensi in denaro e preziosi, che permettevano ai detenuti di ottenere sconti di pena o addirittura gli arresti domiciliari. Una ventina le persone coinvolte nelle indagini, tra cui spicca il nome dell'allora dirigente sanitario del carcere. Il quale in realtà, avendo chiesto all'epoca di essere giudicato con la formula del rito abbreviato, è stato già condannato in primo grado a 3 anni e dieci mesi di reclusione. Condanne anche per altre sei persone coinvolte a vario titolo nell'inchiesta, mentre in 15 erano stati rinviati a giudizio e sono ancora in attesa di conoscere le loro sorti. Ieri, di fronte al collegio penale del tribunale di Spoleto composto dai giudici Bellina (presidente), Laudenzi e Olivieri (a latere), è stato escusso uno degli imputati, un detenuto. Stando alla sua testimonianza l'ex dirigente sanitario avrebbe avvicinato sua moglie per suggerire un metodo illecito per far ottenere i domiciliari al marito. Nello specifico l'uomo ha parlato di una decina di certificati medici che sarebbero costati la bellezza di 5mila euro cadauno. C'era anche il medico ieri in aula, per testimoniare. Si è però avvalso della facoltà di non rispondere, che gli è stata concessa visto il suo coinvolgimento come imputato in un processo sostanzialmente parallelo. La prossima udienza è stata calendarizzata il 4 novembre prossimo, data in cui dovrebbe finalmente arrivare la sentenza. Firenze: detenuto evade dall'ospedale, le sue condizioni di salute sarebbero molto gravi Ansa, 10 luglio 2015 Un detenuto del carcere di Sollicciano è evaso ieri pomeriggio dell'ospedale fiorentino di Torregalli, dove era stato trasferito in regime di arresti domiciliari il 7 luglio scorso per motivi di salute. A dare notizia dell'episodio è l'Azienda sanitaria di Firenze, che ha avvisato dell'accaduto le autorità competenti. L'uomo, un 62 enne originario della provincia di Perugia, si trovava nel carcere fiorentino, dove stava scontando un cumulo di pene, dal gennaio del 2015. In passato era già evaso dagli arresti domiciliari. Secondo quanto appreso, le sue condizioni di salute sarebbero molto gravi. Firenze: Opg, torna l'appuntamento con la merenda dentro la Villa Ambrogiana gonews.it, 10 luglio 2015 Mercoledì 15 luglio prossimo torna "R… estate a merenda", il secondo appuntamento con la convivialità e l'intrattenimento nei locali dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino. Dopo il primo ed apprezzato incontro, svoltosi il 30 giugno scorso, si potrà tornare nella Villa Ambrogiana per ammirare le opere del pittore volterrano Enrico Pantani ed assistere al concerto del gruppo musicale Madaus. Inoltre, alle ore 18, è prevista un'appetitosa merenda per ristorare tutti i partecipanti. Ad ogni appuntamento possono partecipare massimo 30 persone. Le prenotazioni devono essere fatte con congruo anticipo inviando via e-mail copia del documento di identità al seguente indirizzo: areatrattamento.op.montelupofiorentino(et)giustizia.it (per info: 0571 913098 ufficio educatori). L'iniziativa, promossa dall'unità operativa complessa Salute in Carcere dell'Ausl 11 di Empoli, condivisa e sostenuta dal Ministero della Giustizia-Direzione O.P.G., si ripeterà il 31 luglio e l'11 agosto. Il programma della serata del 31 luglio prossimo prevede musica a cura del dj Stefano Imperio e mostra d'arte a cura di EDFcrew. Coloro che faranno richiesta di partecipazione, saranno sottoposti ai controlli previsti per l'ingresso e dovranno rilasciare autocertificazione per carichi pendenti e pregiudiziali penali. L'iniziativa è finalizzata a sensibilizzare la popolazione e l'opinione pubblica sul tema della salute mentale e a favorire la reciproca conoscenza soprattutto in previsione anche della chiusura dell'O.P.G. e del ritorno dei pazienti psichiatrici autori di reato nei territori di appartenenza. Droghe: Cassazione; dal 2014 "abolitio criminis" per circa 500 sostanze stupefacenti di Dario Ferrara Italia Oggi, 10 luglio 2015 Nandrolone depenalizzato. E assieme alla sostanza dopante dei ciclisti sono "scriminate" anche tutte le nuove droghe inserite nelle tabelle degli stupefacenti a partire dal 27 febbraio 2006, dopo l'entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi dichiarata incostituzionale con la sentenza 32/2014. Ma solo per le condotte poste in essere prima dell'entrata in vigore del decreto 36/2014, avvenuta il 21 marzo 2014, con cui il Governo ha posto rimedio alla declaratoria di illegittimità della legge 49/2006 che ha travolto anche gli atti amministrativi sottesi. E il reinserimento delle sostanze non può far scattare un'incriminazione retroattive perché è venuto meno il nucleo essenziale, l'oggetto materiale del reato. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza 29316/15, pubblicata il 9 luglio dalle Sezioni unite penali della Cassazione. Sono circa 500 le sostanze per le quali scatta l'abolitio criminis secondo la stessa stima contenuta nell'ordinanza di rimessione 50055/14 al collegio esteso, fondata sul ripristino "delle sostanze tabellarmente classificate a partire dal 27 febbraio 2006" avvenuto ad opera del decreto legge 36/2014. Frattura inevitabile. Accolto il ricorso dell'imputato di detenzione e commercializzazione di medicinali contenenti nandrolone. La Consulta ha resuscitato la vecchia legge Vassalli-Jervolino fondata sulla distinzione fra droghe legge e pesanti. Come emerge dagli atti che hanno accompagnato l'introduzione del decreto 36/2014, la declaratoria di incostituzionalità della Fini-Giovanardi ha travolto anche i provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina illegittima. E ciò perché c'è "un legame inscindibile e biunivoco" fra la legge e gli atti amministrativi che ne costituiscono l'espressione. La tabella individua l'oggetto del reato in base al progredire delle conoscenze sugli stupefacenti in base alle direttive di carattere generale indicate dalla legge. Caduta la legge, vengono meno anche i provvedimenti ministeriali: diversamente si verificherebbe una violazione del principio di legalità. Oggi il nandrolone e le altre nuove droghe sono tornate nelle tabelle ma la circostanza non può avere effetti retroattivi, anche se la tesi contraria punta ad arginare gli effetti della frattura fra il prima e il dopo la sentenza 32/2014. E il decreto 36/2014 è stato approvato proprio per far fronte alle criticità dovute alle innovazioni introdotte a suo tempo dalla legge del 2006. Il punto è che senz'altro il legislatore può derogare al principio della legge più favorevole per l'imputato in nome di altri importanti principi costituzionali, ma nel nostro caso non si tratta della sola reviviscenza di una disposizione con sanzioni più miti: la pronuncia caducatoria della Consulta ha invece prodotto l'ablazione della fattispecie con riferimento alle sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della Fini Giovanardi. Insomma: il fatto non è previsto dalla legge come reato. E scatta anche la restituzione dei beni confiscati. Droghe: facile arrestare il dott. Cinquini, difficile ascoltare quel che suggerisce la DNA di Rita Bernardini (Segretaria di Radicali Italiani) radicali.it, 10 luglio 2015 "Ho pensato con tristezza al Dott. Fabrizio Cinquini che di notte si avvia con una pesante tanica per andare ad innaffiare le sue piante di marijuana cercando di non farsi scoprire. Lo sconforto è cresciuto quando ho considerato che le forze dell'ordine sono state appostate da qualche parte per chissà quanto tempo per beccarlo in flagranza, cosa che hanno fatto puntualmente a seguito della segnalazione di qualche solerte vicino di casa del medico". "Ripenso così alla Direzione Nazionale Antimafia che, a proposito della cannabis, nella sua relazione annuale, ha detto al Parlamento che: si deve registrare il totale fallimento dell'azione repressiva; il fenomeno è oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite quali tabacco ed alcool; la depenalizzazione avrebbe effetti positivi in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell'ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite. "E, invece, in barba a quanto suggerisce l'Antimafia, a causa delle leggi proibizioniste tuttora vigenti, sono dieci anni che il dott. Cinquini e centinaia di migliaia di cittadini incolpevoli hanno a che fare con la giustizia italiana. Difficile che i grandi trafficanti finiscano sotto processo e in galera dove, invece, è stato sbattuto per 5 mesi il Dott. Cinquini che non ha mai fatto del male a nessuno, anzi, ha cercato - sembra anche con successo - di curare se stesso e suoi familiari con le infiorescenze opportunamente da lui stesso selezionate quanto a contenuto di thc e cbd". "Facile, dunque, arrestare Cinquini. Da disobbediente civile recidiva (quale sono) - che, al contrario del medico di Lucca, non riesco a farmi arrestare per sollevare il problema dell'irragionevolezza delle leggi italiane - esprimo la massima vicinanza e solidarietà al dottor Cinquini e alla sua famiglia". P.S.: la relazione della DNA è ben visibile sul sito radicali.it nella versione in italiano, inglese, francese, spagnolo. Immigrazione: Ventimiglia finis terrae di Luca Fazio Il Manifesto, 10 luglio 2015 Immigrazione. L'interminabile attesa dei migranti africani che da un mese protestano sulla scogliera dei Balzi rossi, a pochi metri dal confine francese. Vogliono raggiungere i paesi del nord ma l'Europa li rifiuta. Una avanguardia abbandonata da tutti che ha smascherato il fallimento della fortezza Europa ormai decrepita che si sta sgretolando nelle sue fondamenta. I migranti aspettano. Sdraiati all'ombra delle palme con gli occhi chiusi o con le braccia penzoloni sulle ginocchia. Fissano il vuoto. Se si alzano camminano piano. Se prendono un frutto dal tavolo della Croce Rossa lo mangiano piano. Il silenzio è assoluto, anche le cicale danno meno fastidio del solito. Sotto la pineta, ma è solo uno spartitraffico, sono quasi tutti sudanesi. Ci sono anche eritrei, qualcuno arriva dal Mali. Sugli scogli adesso fa troppo caldo. Solo un uomo in riva al mare con il suo ombrellone rompe la linea dell'orizzonte. Cosa pensano? Quelle ore di riflessione silenziosa devono passare come minuti, non può che essere così, altrimenti sarebbero tutti impazziti. Sono lì da un mese. Adesso in trenta e si danno il cambio. Gli altri, circa centocinquanta, sono alloggiati nei locali della stazione di Ventimiglia. Sono tutti liberi ma non li vuole nessuno. Vanno e vengono come se fossero fantasmi. Sono giovani, hanno tutto il tempo che vogliono e se lo prendono per vivere. Alcuni ci hanno messo mesi o anni per arrivare su quella soglia che è la conferma di un miracolo: una nuova vita in un altro mondo. Adesso aspettano. La solitudine, l'attesa e l'idea della morte - perché potrebbero essere tutti annegati - sembrerebbero impossibili da sopportare, per loro invece sono niente. Aspettano. Sembra la scena di una partenza, ma l'immobilità è assoluta. Anche del paesaggio. Il mare è fermo. Le tende, i teloni e i materassi appoggiati sugli scogli sono scoloriti dal sole. Non c'è un filo di vento, le carte da gioco sparpagliate dappertutto sono incollate ai sassi. Gli striscioni sul lungomare ricordano una protesta che non c'è più e dire che un mese fa, quando è cominciato tutto, c'era spazio anche per i sogni: una girandola di foglie secche volta le spalle al posto di frontiera, sulla corolla hanno scritto Citoyen du monde soyons partisans d'un monde sans frontieres. La Francia è cinquanta metri più in là. Quello è il muro. Non c'è niente da fare. Bisogna prendersi tutto il tempo che serve per aspettare che in questi cento metri di confine dove non succede niente, sotto la scogliera dei Balzi rossi, ogni dettaglio ricomponga l'immagine dell'impalpabile destino che attende il vecchio continente. L'Europa oggi è questa. La parete rocciosa che incombe e che conserva tracce dell'antica via romana che portava in Gallia -"una continuità eccezionale in un sito eccezionale" (ironia per turisti) - il mini market di sotto, ultimo avamposto italiano per consumare cose inutili, gli europei sudati e distratti che fanno la fila al bar e al bagno e quelli con un briciolo di umanità che scendono dall'auto con l'imbarazzo di chi porta un'anguria per dissetare degli sconosciuti. La solidarietà, anche quella militante. Sincera ma desolata, destinata a non mutare il corso degli eventi. Sono i ragazzi del presidio permanente No Border. Per alcuni, quei pochi rimasti, è un'esperienza che ha cambiato lo sguardo sulle cose, anche sulla vita. Tre poliziotti francesi vigilano su tutto con l'ingrato compito di prestare il volto all'Europa peggiore degli ultimi settanta anni. Di inquietante c'è che l'attesa in un luogo così si trasforma in una tensione verso qualcosa di ignoto. Dove andranno? Cosa ci starà per succedere? Le loro storie si somigliano. Non sono rassegnati. Dietro le quinte dei Balzi rossi ogni giorno qualcuno tenta di arrampicarsi lungo sentieri mai esplorati e così nascono nuove storie - tutti ormai conoscono quei passaggi delle Alpi marittime. Ahmed ha finito i soldi perché due volte ha provato a prendere il treno per Parigi e due volte i francesi lo hanno ricacciato indietro. Ha solo cinque euro. Anche se i ministri europei hanno già mostrato di voler perseverare nella politica criminale che lo ha portato a Ventimiglia, Ahmed confida in un altro "meeting" dopo il fallimento di due settimane fa e ancora non se la sente di seguire i suoi amici nei boschi. Ha paura di non farcela, servono gambe forti. Sarebbero dieci o quindici chilometri di arrampicata, però qualcuno ce l'ha fatta, hanno telefonato dalla Svezia e dalla Germania. Ma lui vorrebbe vivere proprio in Francia e con un dito indica Mentone. In Libia si è fermato alcuni mesi per fare un po' di soldi, ha imbiancato case ed è riuscito a racimolare 600 dollari, quanto basta per una traversata. Poi Sicilia, Roma e Ventimiglia. Dice che i libici sono tutti vestiti come militari per cui è come se la polizia fosse ovunque. Non gli hanno fatto del male, forse ha subito qualcosa di peggio, per la prima volta in vita sua si è sentito trattato come "uno zingaro". Lui è un ingegnere petrolifero: solo dopo questa affermazione concede il suo sguardo, difficile da sostenere. Allora buona fortuna. Gli africani hanno poca voglia di parlare. Hanno già detto tutto quando Ventimiglia era il centro dell'Europa e meno male che qualcuno ha scattato quella foto dei migranti infreddoliti sugli scogli con addosso le coperte termiche della Croce Rossa, una immagine potente e dolorosa della condizione di ogni esule umiliato in mezzo ai propri simili. La foto rimarrà ma l'indignazione è durata tre giorni. Quando si sbloccherà la situazione? I migranti aspettano l'Europa e dicono che sugli scogli potrebbero rimanerci anche un anno. Impossibile. Per il giovane sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano (Pd), che da un mese gestisce con saggezza l'accoglienza dei profughi, un flusso regolare di migranti in città è quasi ordinaria amministrazione. Ma questa volta ne sono arrivati troppi. Non si sente abbandonato, anzi, la "disattenzione" dei media per lui è una buona notizia. In silenzio, lascia intendere, qualcosa comincia a muoversi. Non per merito della politica. Il governo Renzi-Alfano? Non sta a lui dire dell'incapacità di questo governo, per cui se la cava con diplomazia. Ma non si lamenta. "In questo momento - spiega - diamo ospitalità a circa duecento persone ma non possiamo farlo a lungo. I residenti sono stati splendidi, ancora adesso prevale uno spirito di solidarietà ma qualcuno comincia a lamentarsi. Dobbiamo cominciare a ragionare su un orizzonte temporale, il cerino non può rimanere in mano al Comune di Ventimiglia". Ioculano non si nasconde. Questa esperienza straordinaria fa di lui uno dei sindaci più titolati a parlare di immigrazione (al Pd…) tentando di infrangere qualche tabù. "Non dobbiamo predicare solidarietà a tutti i costi - spiega - ma dico che dobbiamo ragionare seriamente su come gestire questo fenomeno strutturale dotandoci di strutture operative e di risorse per l'accoglienza. Se tranquillizziamo l'elettore medio sul tema della sicurezza sarà chiaro a tutti che i profughi sono brave persone che vanno aiutate". A Ventimiglia ormai la polizia lascia fare e la latitanza del governo sembra essere l'unica strategia utile per uscire dall'emergenza. La situazione, lentamente, si sbloccherà: all'italiana. I migranti non sono più gli stessi del primo blocco di giugno, alcuni sono riusciti a partire, altri sono tornati sui propri passi. Ci riproveranno. La soluzione sta nel chiudere un occhio, o due. Qui, in stazione, in pineta, tra gli agenti che sorvegliano il litorale, tutti parlano di frontiere più permeabili: il Brennero, per esempio. Ma bisogna dirlo sotto voce e soprattutto bisogna procurarsi un altro biglietto per un'altra destinazione. I cinque dollari di Ahmed non bastano. I liguri che vivono sul confine conoscono bene i passaggi per raggiungere la Francia, il problema non è arrivarci, è attraversarli. Eppure sembra che i mastini della gendarmerie appostati sulle montagne abbiano abbassato un po' la guardia: la chiameremo "soluzione alla francese". Questo e nient'altro è capace di fare l'Europa dei "meeting", come se la silenziosa avanguardia sui Balzi rossi non avesse già smascherato il fallimento di una fortezza ormai decrepita che si sta sgretolando nelle sue fondamenta. Immigrazione: Crotone, una favela nella stazione della vergogna di Marco Omizzolo e Roberto Lessio Il Manifesto, 10 luglio 2015 Dal 2013 circa 110 tra profughi e richiedenti asilo vivono tra i binari o dentro i vagoni merci abbandonati alla stazione ferroviaria di Crotone. Sono tutti uomini originari di paesi diversi che sopravvivono grazie al cibo portato loro dai volontari del camper "On The Road" mentre si lavano con la poca acqua a loro disposizione. Una condizione determinata da una grave sottovalutazione istituzionale che ha trasformato un'emergenza umanitaria in una vergogna nazionale. A curarsi di loro ci pensano soprattutto le cooperative Agorà Kroton, Kroton Community e Baobab, e le associazioni Prociv di Isola Capo Rizzuto e Intersos. La stazione ferroviaria crotonese vede una precisa organizzazione ispirata dalle diverse comunità migranti presenti. Subsahariani, afghani e pakistani si ritrovano in zone distinte. I pakistani sono la maggioranza e dimorano nella zona dei vagoni merci dismessi. Camminare accanto a quei vagoni mette i brividi. Ogni tanto qualcuno spunta da dietro una grata dalla quale fino a qualche anno fa usciva solo mais o grano. All'interno si notano i miseri giacigli fatti di coperte e vestiti, mentre si può solo immaginare il caldo torrido che si prova a vivere d'estate dentro quei loculi di ferro. Il nostro sguardo non può che abbassarsi mentre la vergogna e l'indignazione si celano con fatica dietro un timido sorriso. Al centro della stazione, in una ex struttura manutentiva, dormono ragazzi africani e afghani, mentre altri connazionali sono accampati sotto un vecchio cavalcavia che domina la ferrovia. Molti subsahariani orbitano invece attorno all'attuale struttura di manutenzione e all'ampio piazzale antistante. È qui che passano le loro notti, tra topi, serpenti e insetti, su letti improvvisati. Ed è qui che si ammalano, nell'indifferenza quasi generale. Intersos e Agorà Kroton fanno notare che il problema igienico- sanitario principale all'interno della stazione è l'acqua. Le fontanelle pubbliche risultano chiuse, l'accesso alla toilette della stazione limitato e non sono presenti alternative praticabili. I ragazzi in passato raccoglievano le acque reflue per soddisfare, per come possibile, l'igiene personale. Oggi si riforniscono arrivando alle fontane pubbliche più vicine, percorrendo lunghi percorsi a piedi. L'amministrazione e la Prefettura dovrebbero intervenire celermente, per esempio agendo sulle Ferrovie dello Stato per garantire di concerto condizioni igieniche migliori a partire dalla fornitura idrica, bagni chimici e docce, corredate da un'accurata pulizia dell'area. Ma una spessa coltre di inefficienza impedisce di affrontare la questione in modo serio e definitivo. Per esempio si potrebbe individuare una struttura di ricovero notturno necessaria per garantire condizioni minime di sicurezza e dignità. Intanto l'impegno del sindaco di Crotone di non procedere ad alcuno sgombero è già un risultato: la priorità è trovare una sistemazione dignitosa per questi ragazzi e non di usare la forza. Intersos a Crotone ha aperto anche un ambulatorio (progetto Mesoghios) per prestare soccorso e assistenza sanitaria ai richiedenti asilo. Dopo 11 mesi di attività hanno avuto 1.355 accessi, di cui il 54% proviene dalla stazione ferroviaria. Sul totale delle patologie riscontrate più di una su quattro è dovuta alle condizioni totalmente insalubri nelle quali sono costretti a vivere. Intanto le proposte della peggiore destra xenofoba e razzista non si sono fatte attendere. Forza Nuova, guidata da una signora in precedenza iscritta a Rifondazione Comunista, ha dichiarato di voler organizzare le ronde. Non si capisce bene per fare cosa, considerando che i richiedenti asilo sono facilmente individuabili e tutti presenti in stazione. Salvini, invece, già alleato coi fascisti di Casa Pound, nei giorni scorsi è andato a Crotone a manifestare davanti al Cara di S. Anna e poi alla stazione ferroviaria dove ha fatto sfoggio ancora una volta della sua delirante ansia da esibizione mediatica, presentando il suo pericoloso armamentario xenofobo. Un volgare atto di speculazione politica su una tragedia umanitaria. Basterebbe un po' di buon senso e buona volontà politica per risolvere il problema. Merce rara di questi tempi. Immigrazione: tornano i muri nell'Europa centrale di Jakub Hornacek Il Manifesto, 10 luglio 2015 A meno di un mese dall'annuncio della costruzione di un steccato alto quattro metri sui 175 chilometri di frontiere con la Serbia, il parlamento ungherese ha approvato lunedì 7 luglio la Legge, che permetterà la costruzione del nuovo muro. A favore 151 deputati di Fidesz, il partito di maggioranza del premier - padrone Viktor Orban, mentre votano contro 41 parlamentari delle opposizioni socialiste e liberali. Secondo l'esecutivo, che ieri ha confermato l'"impegno verso la decisione del parlamento", la nuova barriera dovrebbe rallentare i flussi migratori provenienti dal corridoio balcanico. Le cifre date dal governo ungherese sembrano notevoli: nei primi sei mesi avrebbero varcato il confine ungherese più di 63 mila migranti, quasi ventimila in più rispetto al 2014. Numeri significativi, che fanno dell'Ungheria assieme alla Grecia e all'Italia uno dei principali varchi d'entrata per i migranti e i rifugiati in fuga dalle disgrazie economiche, dalla guerra e dalle varie tirannie, che opprimono i quattro angoli del Continente nero. La decisione di costruire il muro anti-migranti ha già scatenato le ire della Serbia, che teme che la situazione diventi incontrollabile al suo confine. "Costruire un muro non è una soluzione e la Serbia non è responsabile per la situazione, che si è venuta a creare a causa dei migranti. Siamo solo un Paese di transito," aveva reagito ai piani ungheresi il primo ministro serbo Aleksander Vucic. Tuttavia il governo ungherese si è rivelato sordo a ogni possibile trattativa con la Serbia, che è uno dei Paesi candidati all'entrata nell'Unione Europea. "La decisione di costruire il muro è legittima, non viola alcun trattato internazionale ed è stata già adottata da altri governi", ha ribattuto il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjártó. Il riferimento, a cui fa cenno il ministro degli esteri ungherese, è ovviamente il muro costruito dalla Spagna nell'enclave di Ceuta e Melilla. Ed è per questo motivo probabilmente, che gli organi comunitari hanno tenuto basso il profilo rispetto al muro ungherese non ripetendo critiche forti ed esplicite fatte ad esempio rispetto alla campagna anti-immigrati del governo Orban. Il governo ungherese si è infatti deciso di trarre frutto fino in fondo della crisi dei migranti inseguendo sempre più apertamente le posizioni del partito Jobbik, uscito vincente da un'elezione parziale per un seggio parlamentare rimasto vacante. Negli ultimi mesi il governo ha piazzato in giro per il Paese decine di cartello con scritte, che riproducono i soliti cliché sui migranti riottosi e ruba lavoro. Inoltre il governo Orban ha promosso una consultazione popolare sul tema dell'immigrazione, dove non mancano questioni come "È d'accordo che errori nella politica migratoria portano a una diffusione del terrorismo?" oppure "È d'accordo con il governo che invece di stanziare i fondi per i migranti si dovrebbero aiutare le famiglie ungheresi e i bambini nati qui?". Nel caso del questionario era però intervenuto il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmersmans definendolo "tendenzioso e sbagliato". La situazione ungherese è solo la punta dell'iceberg del clima generale nel centro-est Europa. Nelle ultime settimane in numerose città ceche, slovacche e polacche si sono tenute manifestazioni contro l'accoglienza dei profughi. Una delle proteste più massicce è stata la marcia dei hooligans a Bratislava sabato 20 giugno, a cui hanno partecipato circa cinque mila persone. Altre proteste sono state più ridotte di numero e la mobilitazione passa soprattutto su rete. Per ora nelle strade sono uscite solo le vecchie conoscenze della destra radicale, che però si sentono ringalluzzite da un clima nell'opinione pubblica a loro favorevole. Anche per questo i governo del centro-est Europa hanno chiuso le porte alla proposta della Commissione Europea sulle quote di accoglienze. E i non sono pochi i ministri degli interni, ispirati probabilmente dall'esempio ungherese, che parlano apertamente di chiudere e presidiare le frontiere. Un cambiamento di clima notevole. Fino a qualche anno fa le frontiere aperte erano il simbolo intoccabile della caduta dei vecchi regimi a partito unico e del rientro in Europa. Oggi non più. Bolivia: il Papa in visita al carcere-inferno di Palmasola, dove vivono anche bambini Agi, 10 luglio 2015 Papa Francesco conclude oggi la visita pastorale di tre giorni in Bolivia, una missione impregnata di forti contenuti sociali, visitando il carcere più violento e sovraffollato del Paese, e poi si sposterà in Paraguay, ultima tappa del suo periplo sudamericano, che ha toccato anche l'Ecuador. Il pontefice di origine argentina ha chiesto espressamente di visitare Palmasola, un'affollata struttura carceraria in cui sono rinchiusi uomini e donne e che potrebbe ospitarne 600 ma è affollato da 4.800 detenuti. Tristemente celebre in America Latina, il carcere balzò sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo quando, nel 2013, fu teatro di una maxi-rissa, seguita da un incendio che costò la vita a 35 persone. Tra i cadaveri carbonizzati, anche quello di un bimbo, in violazione a tutte le regole: il governo promise di dare soluzione al problema, ma due anni più tardi, dietro le alte mura ci sono ancora 120 bambini, che non hanno altro posto dove vivere perché i genitori sono in prigione. La legge vieta la loro presenza dietro le sbarre, ma lo Stato non ha ancora trovato una soluzione. "Palmasola non fornisce le condizioni per lo sviluppo di un bambino o di una bambina, perché qui ci sono 4.800 detenuti per vari reati, il 30% per stupro", spiega il delegato del Difensore del Popolo, Herman Cabrera. L'ong Assemblea Permanente dei Diritti Umani della Bolivia fa la stessa analisi: "Le prigioni sono come i villaggi poveri, dominati da gruppi di potere che utilizzano la repressione fisica per influenzare in maniera significativa la vita delle persone", denuncia il suo presidente, Yolanda Herrera. L'annuncio dell'arrivo del papa ha provocato un terremoto nella giustizia boliviana (dove l'85% dei detenuti sono ancora in attesa di giudizio): sono state accelerate alcune procedure per cercare di sollevare le condizioni di vita dei detenuti e il Parlamento ha anche approvato un condono "per ragioni umanitarie" per le detenute incinte e per i malati e i disabili. Medio Oriente: due civili israeliani prigionieri, uno da dieci mesi nelle mani di Hamas di Maurizio Molinari La Stampa, 10 luglio 2015 Per riportarli a casa chiesto il rilascio di 80 militanti palestinesi arrestati. Israele e Hamas duellano nell'anniversario dell'ultima guerra: due cittadini dello Stato ebraico sono Gaza e il premier Netanyahu ne pretende la restituzione ma Hamas tace, chiedendo prima di "riavere i nostri prigionieri". Il braccio di ferro fra arci nemici conferma l'esistenza di trattative segrete negli ultimi mesi. I due israeliani a Gaza hanno attraversato il confine spontaneamente. Avraham Mangisto, 28 anni, di origine etiope, lo scorso 9 settembre lasciò Ashkelon varcando la frontiera sulla spiaggia, ignorando i moniti dei soldati e confermando una debolezza mentale per la quale era in cura. L'altro israeliano è un arabo-beduino - il cui nome non è stato rivelato - che lavorando nelle serre di Erez ha superato il confine finendo nelle mani di Hamas. La loro presenza a Gaza è stata svelata da Khaled Mashaal, capo politico di Hamas all'estero, che in un'intervista ha detto "abbiamo due israeliani e due salme" ovvero i corpi dei soldati Goldin e Shaul caduti nell'operazione "Margine Protettivo". La rivelazione di Mashaal ha spinto Israele a far cadere il segreto sui due cittadini ed il ministro della Difesa Moshe Yaalon ha reagito: "Sono nelle mani di Hamas, ne risponderanno". Per il presidente israeliano Reuven Rivlin "è una questione umanitaria" e Netanyahu assicura: "Facciamo di tutto per riportarli a casa". Ma Hamas con Mahmoud Zahar, leader di spicco nella Striscia, ribatte: "Non diremo nulla sui due israeliani fino a quando il nemico non libererà i nostri leader che scarcerò nel 2011 in cambio di Gilad Shalit ma poi ha riarrestato". Il riferimento è a circa 80 militanti che Israele ha ricatturato durante "Margine Protettivo" - sui 1000 liberati per riavere Shalit - di cui a Gaza pretendono la consegna. L'ala militare di Hamas, Izzadin al-Qassam, diffonde il video "La liberazione dei nostri prigionieri è questione di tempo" a conferma del tentativo di ottenere uno degli obiettivi della guerra del 2014. La vicenda si sovrappone al negoziato, finora segreto, fra Hamas e Israele sull'ipotesi di una tregua prolungata. I contatti, tramite Qatar e Turchia, hanno preso in esame l'apertura di un porto di Hamas a Cipro ma adesso tutto torna in forse per il duello sui "prigionieri". Fonti israeliane affermano che Mashaal avrebbe rivelato l'esistenza dei due israeliani per sollevare l'opinione pubblica contro Netanyahu, come fu per Shalit. Ma l'impatto è diverso perché non sono soldati e, nel caso di Mangisto, non è chiaro dove sia. Fonti di Hamas affermano che dopo essere stato "interrogato" e "rilasciato" avrebbe scelto di "non tornare in Israele": potrebbe essere nelle mani di Isis o Jihad islamica, oppure aver raggiunto il Sinai per dirigersi in Etiopia. Etiopia: il governo rilascia 5 giornalisti e 6 studenti, per la prima della visita di Obama Askanews, 10 luglio 2015 Almeno altri 12 giornalisti sono ancora in carcere per terrorismo. A poche settimane dall'arrivo del presidente americano Barack Obama, le autorità etiopi hanno fatto cadere le accuse mosse contro cinque giornalisti e blogger detenuti da oltre un anno. Altri cinque giornalisti, arrestati sempre nell'aprile 2014, sono invece rimasti in carcere con l'accisa di progettare attentati terroristici e di collaborare con il gruppo di opposizione Ginbot 7. "Il rilascio di questi giornalisti è una svolta positiva in Etiopia, dove il numero dei giornalisti in prigione è costantemente aumentato negli ultimi anni - ha detto Tom Rhodes, rappresentante nell'Africa orientale del Committee to Protect Journalists (CPJ) - noi chiediamo alle autorità di rilasciare gli altri blogger di Zone 9 e tutti i giornalisti finiti in carcere per il loro lavoro e di far cadere tutte le accuse contro di loro". Secondo l'ong, ci sarebbero almeno altri 12 giornalisti ancora in carcere, la maggior parte dei quali con l'accusa di terrorismo. L'Etiopia è il secondo Paese africano con il più alto numero di giornalisti in carcere, dopo l'Eritrea. Obama è atteso in Etiopia alla fine del mese, dopo una tappa in Kenya. Liberati anche sei studenti Oromo arrestati 15 mesi fa Oltre a cinque giornalisti, le autorità etiopi hanno rilasciato oggi anche sei studenti universitari Oromo, a poche settimane dall'arrivo ad Addis Abeba del presidente americano Barack Obama. Secondo quanto riportato dal quotidiano Addis Standard, gli studenti erano stati arrestati durante la brutale repressione lanciata dalle autorità nel maggio del 2014 contro le proteste organizzate nelle università della regione centro-meridionale Oromia contro il piano di sviluppo di Addis Abeba, che prevede l'annessione di località vicine alla capitale. Durante i 15 mesi di prigionia, contro molte delle persone arrestate, ha sottolineato il quotidiano, non sono mai stati formalizzati capi di accusa. Due mesi fa, uno degli studenti detenuti è stato rilasciato senza accuse; un altro è invece morto in carcere. Le autorità hanno parlato di suicidio, ma molti credono sia morto per le torture subite, ha scritto il quotidiano, sottolineando che non è stata avviata alcuna indagine indipendente. Durante la repressione, secondo i dati del governo, furono 11 le persone rimaste uccise, ma altre fonti hanno riferito di 50 morti. Gli Oromo rappresentano il 32% della popolazione e sono il primo gruppo etnico dell'Etiopia, stando al censimento del 1994. Obama è atteso in Etiopia alla fine del mese, dopo una tappa in Kenya. Burundi: delegato Usa; responsabili delle violenze potrebbero essere processati dalla Cpi Nova, 10 luglio 2015 I responsabili delle violenze in atto in Burundi potrebbero essere processati dalla Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aia. Lo ha dichiarato il delegato degli Stati Uniti per le questioni legate ai crimini di guerra, Stephen Rapp, in un'intervista rilasciata all'emittente "Voice of America". Secondo Rapp, i manifestanti pacifici continuano ad essere attaccati per le strade della capitale Bujumbura e gli Usa sono particolarmente preoccupati per le violenze commesse dagli Imbonerakure, le milizie giovanile del partito di governo. "Abbiamo intenzione di lanciare un messaggio forte circa il fatto che chi commette atti di violenza, in particolare coloro che li incitano e li alimentano, pagheranno il loro conto", ha detto Rapp. "Il Burundi è uno Stato membro della Corte penale internazionale, per cui i singoli individui, compresi i leader del Burundi, potrebbero essere chiamati a rispondere alla Corte per questi crimini", ha aggiunto. Rapp, che è stato procuratore presso il Tribunale speciale per la Sierra Leone e avvocato presso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha inoltre esortato gli attori politici burundesi ad evitare di giocare la "carta etnica".