"Che la piasa.. e che la tasa": questo le istituzioni chiedono al volontariato? di Carla Chiappini Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2015 "Ormai diversi anni fa avevo un suocero che amava recitare come in un mantra le caratteristiche venete di una buona moglie: "Che la piasa, che la tasa e che la staga in casa!". Da giovane inesperta quale ero, pensavo che la sfida fosse "piasergli" sempre, al marito naturalmente! Ma quasi subito mi sono accorta che la vera missione impossibile era tacere e stare in casa, indicibile frustrazione. In questi giorni questa "prescrizione popolare" mi torna in mente a tutt'altro proposito; sappiamo da una recente indagine condotta da Comieco in collaborazione con un noto quotidiano a tiratura nazionale, che gli italiani credono nel volontariato e lo praticano in misura rilevante. Una buona notizia senza dubbio, che libera commenti grondanti entusiasmo e positività. Da parte mia, però, ogni volta che sento lodi sperticate al volontariato ripenso al ritornello di quei vent'anni perché sempre più spesso - ahimè - ho l'idea che il volontariato sia apprezzato per l'appunto quando opera, lavora in silenzio, senza sconfinare dal mero servizio pratico magari anche in sostituzione a enti pubblici carenti un po' di tutto: di personale, di risorse economiche e, talvolta, anche di idee. Da qui si disegna l'immagine di un volontariato un po' appiattito alle esigenze istituzionali, che ha perso la sua forza critica, la passione di advocacy, la capacità di giudizio che, si badi bene, non si configura in lamentela o lagnanza ma in stimolo, capacità progettuale, impegno di rappresentanza. Un volontariato all'Abbé Pierre, per intenderci. Con il fuoco e la missione di combattere le ingiustizie, di prefigurare nuovi modi di vivere insieme. Un volontariato un po' "visionario" che porti in sé semi di futuro, che sia in grado di discutere e dialogare alla pari con le istituzioni. Cittadini attivi e responsabili, non lavoratori a costo zero". Ora, appena tornata da Roma dove ho assistito ai lavori della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, ancora e ancora di più mi interrogo sull'idea che le Istituzioni - in questo particolare caso le Istituzioni che sovrintendono e organizzano l'area penale del nostro Paese - hanno del volontariato. Quando si parla di rispetto dei ruoli a quale immagine si fa riferimento? A quella di un soldato ubbidiente e acritico o piuttosto a quella di un soggetto realmente alla pari, magari anche ricco di competenze certificate in grado di integrare e interagire con quelle dell'Amministrazione? E i volontari che immagine hanno di se stessi? E poi: cosa significa compiere un'azione sostitutiva - come è stato detto con grande chiarezza - per ottemperare alle mancanze dell'Istituzione? Significa forse lavorare a testa bassa, in silenzio, senza alcuna garanzia? Magari continuando a ringraziare in modo stucchevole l'Istituzione che offre la possibilità di fare del bene gratuitamente, impegnando tempo, energie e risorse personali? Non è una questione banale; si tratta di capire come ci si pensa all'interno di un sistema che è comunque un sistema pubblico, finanziato cioè da noi cittadini. Quale postura si intende assumere. A quale idea culturale di cittadinanza si intende aderire? A Roma faceva un caldo bestiale; ho ascoltato alcuni interventi davvero interessanti, incontrato persone che stimo e amo molto, allenato la pazienza stando seduta quasi immobile per sei ore. E' stato stimolante ma sono tornata a casa con tanti dubbi. Carcere, volontariato: "bene calo detenuti, ma attenti a riforme a metà" di Giovanni Augello Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Tanti ancora i nodi da sciogliere, dalla nomina del garante nazionale ai minori in carcere. Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale Volontariato e giustizia: "Agli Stati generali non si ragioni solo sull'ordinamento penitenziario". Bene la riduzione della popolazione detenuta, ma il rischio per il sistema penitenziario italiano è che per tener d'occhio il sovraffollamento delle carceri dimentichi tutto il resto. È questo l'allarme lanciato dalla Conferenza nazionale Volontariato e giustizia (Cnvg) riunitasi nell'ottava assemblea nazionale in corso a Roma. A sintetizzare le preoccupazioni del mondo del volontariato in carcere è Elisabetta Laganà, presidente della Cnvg, che mette in guardia dal rischio di una "riforma a metà" del pianeta carcere. "Pur notando una diminuzione della popolazione - spiega Laganà, il volontariato ha ragionato su come l'intervento fatto sul sovraffollamento possa avere poi trascurato altri elementi altrettanto importanti rispetto al tema della carcerazione. Si è detto che doveva essere nominato il garante nazionale ma ancora non c'è. È stato detto che era importante approvare il reato di tortura, ma il reato è ancora lì. Si è detto che i bambini non devono più stare in carcere, ma di fatto i bambini sono ancora in carcere". Per Laganà, sul carcere in questi anni si è lavorato soltanto in termini "catastali", preoccupandosi unicamente di rientrare nei "tre metri quadri" a cui hanno diritto i detenuti. "Crediamo che la stessa urgenza posta sul discorso delle metrature vada riferita anche al tema più complessivo della qualità della carcerazione - spiega Laganà - e che anche l'occasione degli Stati generali dell'esecuzione penale non sia perduta per ragionare solo sull'ordinamento penitenziario". Per Laganà, infatti, il rischio di una riforma a metà è dovuto anche dal tenere separata la legislazione complessiva dal sistema carcere. "Il fatto di mettere mano all'ordinamento senza mettere mano alla legislazione complessiva rischia di essere anch'essa una riforma a metà - sottolinea. Discorso che si può fare per le tossicodipendenze. Dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla Fini Giovanardi potrebbe essere l'occasione per mettere veramente mano ad una legislazione più coraggiosa". Anche per Stefano Anastasia, presidente onorario di Antigone, sono le sfide non ancora affrontate quelle che preoccupano di più. Tuttavia, la riduzione della popolazione è un segnale positivo. "Si tratta di un risultato raggiunto soprattutto grazie ad una straordinaria riduzione degli ingressi in carcere che solo parzialmente dipende dalla modifica delle normative per esempio sulla custodia cautelare - spiega Anastasia. Molto, a mio parere, dipende dall'attenzione con cui l'intero sistema ha preso in carico il problema del sovraffollamento. L'anno passato abbiamo avuto 50 mila ingressi in carcere in un anno, mentre veniamo da esperienze di 95 mila ingressi in un anno. Cosa ha prodotto questo mutamento? È stata una diversa sensibilità degli operatori dei penitenziari e delle agenzie di controllo sociale sul territorio. Il messaggio della Torreggiani ha investito tutti gli apparati dello Stato". Il futuro, però, anche per Anastasia è nelle scelte coraggiose. "Il mio timore è che si tratti di un risultato che non si è ancora consolidato in una riforma più coraggiosa. Bisogna fare attenzione. Un carcere ci vuole niente a riempirlo se la polizia va a fare controlli per strada". A chiedere un maggiore coinvolgimento del volontariato nelle sue tante e diverse esperienze all'interno della discussione degli Stati generali avviati dal ministero della Giustizia, invece, è Ornella Favero, direttrice di Ristretti orizzonti. "Ho l'impressione che bisognerebbe trovare un modo nuovo di coinvolgere il volontariato - sottolinea. Dal punto di vista delle proposte abbiamo le cose chiare da anni, ma c'è bisogno di un confronto vero e di proporre strade di confronto nuove. Di commissioni che hanno fatto un lavoro di studio per proporre nuove leggi ne abbiamo avute tante. Per questo chiediamo che gli Stati generali possano entrare di più nella realtà". Carcere: stranieri e strutture più aperte, il Dap chiede aiuto al volontariato di Giovanni Augello Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Per Santi Consolo, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, intervenuto durante l'assemblea della Conferenza nazionale volontariato e giustizia in corso a Roma, occorre un nuovo "progetto collaborativo". E sul lavoro dei detenuti: "Adeguare subito la disciplina". Avviare una ricognizione dell'impegno del volontariato in carcere, stabilire delle linee guida chiare e puntare maggiormente sul lavoro dei detenuti per migliorare il sistema detentivo italiano. Sono queste le sfide future del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) snocciolate ieri da Santi Consolo, capo del Dap, durante l'ottava assemblea della Conferenza nazionale volontariato e giustizia in corso a Roma. Per Consolo, il volontariato in carcere rappresenta una "enorme risorsa per l'amministrazione penitenziaria" di cui bisogna "avvalersene al massimo", ma a oggi serve anche un quadro ben definito di quelli che sono gli interventi, sulla base delle necessità all'interno dei penitenziari. "Dobbiamo avviare un progetto collaborativo ulteriore - spiega Consolo -: una ricognizione dell'esistente e la traduzione in linee chiare, brevi e comunicative per tutti. Una ricognizione sui dati riguardo le persone che possono entrare negli istituti e il contributo che possono dare, un'altra al nostro interno sia per provveditorati che per istituti circa i progetti e quanti volontari hanno coinvolto. Laddove ci sono carenze cerchiamo di intervenire per aiutarci reciprocamente". Per Consolo, una delle urgenze a cui il volontariato può dare un proprio contributo riguarda la presenza degli stranieri in carcere. "La realtà negli istituti è cambiata - spiega Consolo, soprattutto per quel che riguarda la composizione della popolazione detenuta. Abbiamo una percentuale consistente di detenuti stranieri che spesso non è radicata nel territorio e quindi non ha riferimenti esterni". Si tratta, sottolinea Consolo, di una realtà "che forse soffre più degli altri. Avverte il disagio, ha delle difficoltà maggiori in termini di comunicazione, perché a volte ci sono anche problemi nel farsi comprendere e spesso hanno carenze affettive". Per questo, spiega Consolo, "bisogna orientare l'attività del volontariato per una maggiore attenzione verso i più deboli e bisognosi di affetto, attenzione e assistenza". Un impegno, quello del volontariato, che può sostenere l'amministrazione penitenziaria nel "difficile percorso verso un carcere più aperto", spiega Consolo, che si dice soddisfatto dei risultati raggiunti negli istituti penitenziari di Milano, dove un detenuto può restare al di fuori della cella fino a 11 ore. "Vogliamo che non diventi un luogo più ampio di parcheggio per i detenuti - aggiunge il capo del Dap, ma che ci sia la possibilità effettiva di variare le attività nell'arco della giornata, di renderle più interessanti e di attenuare la sofferenza con beneficio del benessere per tutti. Dobbiamo tendere a questo, anche se abbiamo delle controspinte: c'è chi crea paure, insicurezze, chi sposa la filosofia del timore". Al volontariato Consolo chiede "aiuto - spiega - nella consapevolezza che all'interno siamo carenti su alcune professionalità. Sappiamo che educatori ce ne sono sempre meno e che l'area pedagogica è carente all'interno degli istituti e quindi dobbiamo fare un'attività di supplenza, tutti". Tra le sfide da affrontare c'è anche quella di implementare quelle attività che puntino alla "creazione di abilità anche professionali", spiega Consolo. E proprio sul fronte del lavoro, il capo del Dap annuncia di aver ripreso un progetto implementato quando era vice capo del Dipartimento che oggi guida. "Stiamo approvando molti progetti con notevole fatica. Siamo a 600 progetti presentati in pochissimi mesi e ad ogni riunione di Cassa Ammende ne approviamo tra i 40 e i 60. Non sono progetti grossi, ma fatti in economia, in amministrazione diretta ed esclusivamente col lavoro dei detenuti perché stiamo cercando di incrementare il lavoro dei detenuti. Entro la fine dell'anno vorrei impiegare tutte le risorse di cassa ammende". Sul fronte lavoro, però, occorre "adeguare la disciplina", sottolinea Consolo. "Come dipartimento abbiamo fatto la nostra parte - spiega -. È stato ripreso quel progetto di riforma che avevamo fatto quando ero vicecapo, è stato aggiornato alle attuali esigenze ed è stato presentato al legislativo. Si tratta di una riforma che va fatta subito, senza aspettare quella dell'ordinamento penitenziario, perché dobbiamo avere sempre più detenuti che hanno la possibilità di impegnarsi anche nel settore lavoro. Occorre ragionare su tutti quei sistemi di inclusione che prevedono produzioni con possibilità di autoconsumo. Laddove non ci sono soldi per poter pagare i detenuti, almeno che possano usufruire di quello che producono". Stati generali carcere, Palma: "non avrebbero senso senza consultare detenuti" di Giovanni Augello Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Così il Consigliere del ministro della Giustizia intervenuto all'assemblea della Conferenza nazionale volontariato e giustizia in corso a Roma. Sul ruolo del volontariato nella consultazione: "Sarà presenza strutturale nei 18 tavoli". "Gli Stati generali dell'esecuzione penale non avrebbero senso se non consultassimo anche i detenuti". È quanto ha affermato Mauro Palma, consigliere del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, intervenuto questa mattina all'assemblea della Conferenza nazionale volontariato e giustizia in corso a Roma. Nel suo intervento, Palma ha approfondito il ruolo dei 18 tavoli istituiti in occasione degli Stati generali voluti dal ministro e dato alcuni dettagli sulle prossime scadenze dei lavori. Palma ha anche risposto ad una delle richieste avanzate proprio dal mondo dell'associazionismo, cioè quella di non lasciare fuori dalla discussione le persone detenuta. "I tavoli avranno l'indicazione di organizzare una discussione con i detenuti stessi - ha affermato -, scegliendo l'esperienza che riterranno più opportuna. I tavoli individueranno, a seconda della propria specificità, quale possa essere il luogo dove andare a realizzare questo tipo di dibattito. Spetterà a tutti noi saper adeguatamente organizzare e avere il ricavato di queste discussioni in termini positivi". Le discussioni e i materiali prodotti nei diversi tavoli, ha spiegato Palma, serviranno a "dare contenuti ai nove punti della legge delega che tocca l'ordinamento penitenziario e che il Parlamento sta iniziando ad esaminare - ha aggiunto Palma. In questo modo, la legge delega non sarà riempita da una elaborazione meramente teorica". I lavori dei 18 tavoli inizieranno presto, ha sottolineato Palma. "Il comitato scientifico si riunirà le settimana prossima per varare lo schema dei tavoli - ha aggiunto. Faremo una riunione tra il comitato scientifico e tutti i coordinatori, per vedere come funziona la piattaforma. Per ogni tavolo, oggi, stiamo preparando un blocco di documenti e stiamo preparando la griglia di problemi che quel tavolo dovrà affrontare per evitare sovrapposizioni". La novità per questa consultazione sta anche nelle modalità scelte. "Molto avverrà su base informatica - ha spiegato Palma, su tavoli che si vedranno attraverso una piattaforma informatica". Uno "stile un po' social, dove il coordinatore è come un amministratore di un blog", ha spiegato Palma a margine dell'incontro. Il lavoro dei tavoli terminerà in autunno, ha aggiunto, e i risultati verranno presentati con un evento ad hoc entro la fine dell'anno. "Vorremmo organizzare un convegno di un paio di giorni - ha aggiunto Palma, un po' come un festival, in modo che nella città in cui si farà si facciano anche altre iniziative". L'organizzazione dei diversi tavoli, infine, vedrà la partecipazione stabile del mondo del volontariato. "Abbiamo fatto una sorta di filiera per ogni tavolo - ha detto Palma: ci deve essere una presenza di tipo accademico, del Dap, dell'avvocatura, dei magistrati e del volontariato che sarà presente in ogni tavolo in maniera strutturale". "Lo stato della pena", esperienze dal volontariato nelle carceri radiovaticana.va, 6 giugno 2015 "Lo Stato della pena" è il titolo del convegno scelto dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Un appuntamento giunto alla sua ottava edizione a Roma, ricordando la sentenza pilota del gennaio 2013 della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha giudicato le condizioni dei detenuti in Italia una violazione degli standard di vivibilità. Il servizio di Alessandro Filippelli. Un tavolo per discutere delle esperienze e delle proposte provenienti dal volontariato nelle carceri. Un'occasione per fare il punto della situazione su carcere e giustizia in Italia. Se a marzo 2014 si contavano oltre 60 mila detenuti, un anno dopo si è scesi ai 53 mila reclusi attuali. "Il periodo è ottimale, bisogna sfruttarlo il più possibile" afferma Luigi Pagano, attuale Vice Capo Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria: "Credo che il sistema si sia riequilibrato. Adesso bisogna fare lo sforzo maggiore, che è quello di lavorare sull'organizzazione degli istituti penitenziari, quindi cercare di migliorare qualitativamente la vita dei detenuti, dello stesso personale, creando spazi dove il detenuto possa socializzare con gli altri, con la società esterna perché è fondamentale che la cella ritorni a quello che fu previsto nella legge del 1975, ovvero soltanto a luogo di pernotto. Io credo che questo lavoro e queste riforme in parte siano andate a compimento ma, ripeto, c'è ancora tutta la partita da giocare proprio sulle pene alternative". Intanto enti e associazioni sono impegnati quotidianamente in esperienze di volontariato all'interno e all'esterno degli istituti penitenziari per affrontare ogni tematica legata alla realtà della reclusione. Don Virgilio Balducchi, Ispettore Generale dei cappellani delle carceri italiane: "Il cambiamento che si sta realizzando avviene da due punti di vista: man mano nell'istituzione carcere da una parte decresce la presenza, e speriamo che decresca ancora di più, e dall'altra parte nel carcere oggi si fanno molte più attività, scuola, corsi, che richiamano il volontariato in senso stretto a riprendere in mano il proprio rapporto personalizzato con le persone per accompagnarle dal punto di vista della crescita della propria coscienza e dal punto di vista dell'inserimento sociale, che è l'obiettivo principale da cui era partito il volontariato". Giustizia: mai più udienze a "porte chiuse" nei Tribunali di sorveglianza Il Garantista, 6 giugno 2015 La Consulta: diritti umani negati se non c'è il "pubblico". Processi "aperti" se l'imputato lo chiede e si deve decidere sulle misure alternative, dice la Corte Costituzionale. Sarà pure delicata la condizione in cui si svolgono le udienze pressi i magistrati di sorveglianza, ma questo non può impedire che il procedimento si svolga in forma pubblica, qualora l'imputato lo richieda e nel caso in cui si debba decidere sulle misure cautelari, è quanto afferma una sentenza della Corte costituzionale destinata a cambiare in modo radicale le procedure previste per i detenuti. E peraltro a ritenere non infondata l'eccezione di costituzionalità, e a rimettere gli atti alla Consulta, è stato proprio un magistrato di sorveglianza, sei Tribunale di Napoli, che si è trovato ad ascoltare le ragioni della difesa in un'udienza relativa a una richiesta di concessione dei domiciliari. Vengono dunque cancellati perché incompatibili con la Carta gli articoli 666, comma 3, e 678 al primo comma, del Codice di procedura penale "nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell'udienza pubblica". Nel caso sollevato, il Tribunale eccepiva il contrasto tra gli articoli del codice e la Convenzione europea sui diritti dell' uomo. La Consulta, dopo aver rilevato che anche "la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già avuto modo di ritenere in contrasto con l'indicata garanzia convenzionale taluni procedimenti giurisdizionali dei quali la legge italiana prevedeva la trattazione in forma camerale", sottolinea che "per un verso la posta in gioco nel procedimento in questione è elevata" e "per altro verso non si è neppure di fronte ad un contenzioso a carattere spiccatamente tecnico, rispetto al quale il controllo del pubblico sull'esercizio dell'attività giurisdizionale possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate. Deve, di conseguenza, concludersi che, anche nel caso in esame, ai fini del rispetto della garanzia prevista dall'articolo 6, paragrafo 1, della Cedu, occorre che le persone coinvolte nel procedimento abbiano la possibilità di chiedere il suo svolgimento in forma pubblica". Giustizia: in Italia 60% dei detenuti fa uso di droghe; il 33% cannabis, il 40% cocaina di Cinzia Ferilli Ansa, 6 giugno 2015 In Italia il 60% dei detenuti fa uso di droghe. A rivelare questa e altre specifiche stime è stata la nuova Federazione europea per la salute penitenziaria nell'ambito del Congresso nazionale della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria che si è tenuto in questi giorni a Cagliari. Secondo i dati del Centro Europeo per il Monitoraggio sulle Droghe e le Dipendenze (Emcdda), quando un utente arriva in carcere con un'incriminazione o una sentenza relativa all'uso ed allo spaccio di droghe, è soprattutto la cannabis la sostanza incriminata, per il 73,7% delle persone. Ma la dipendenza colpisce ed affligge anche all'interno delle mura carcerarie: in Italia circa il 60% dei detenuti fa uso di droghe, il 33% cannabis, il 40% cocaina e circa il 5% anfetamine. Tra i Paesi che vedono il maggior uso in carcere di droghe, l'Olanda raggiunge quota 80%, soprattutto per quanto riguarda la cannabis. Questi ed altri dati sono emersi durante l'incontro annuale della neonata Federazione Europea per la Salute Penitenziaria Health Without Barriers/Hwbs (lett. Salute Senza Barriere) che si è riunita il 3 Giugno a Cagliari nella cornice dell'Agorà Penitenziaria. La Federazione Europea, composta da esperti e società scientifiche nazionali indipendenti come la Simspe-Onlus, la Sesp (Spagna), l'Apsep (Francia), il Napduk (Regno Unito), il Dij (Olanda), si adopera per la promozione della salute e i diritti umani nelle carceri europee, per il beneficio della popolazione nella sua collettività. Si conclude oggi a Cagliari il XVI Congresso Nazionale Simspe-Onlus-L'Agorà Penitenziaria 2015: "Se il Paziente è anche Detenuto". L'appuntamento, che ha visto presenti 250 specialisti, italiani ed europei, è organizzato e presieduto da Sergio Babudieri, Professore di Malattie Infettive all'Università di Sassari nonché Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simspe). "Il titolo "Se il Paziente è anche Detenuto" è già eloquente - spiega il Prof. Sergio Babudieri, Coordinatore Scientifico del Congresso e Presidente della Simspe - Si tratta di un richiamo per tutta la nostra categoria di medici, ma anche per infermieri, operatori sanitari, agenti di polizia penitenziaria che operano all'interno dei 199 istituti penitenziari italiani, che deve ricordare che stiamo parlando di pazienti. Sono detenuti, ma in primo luogo sono dei pazienti. La peculiarità della medicina penitenziaria è che anche le persone che sono sane ricadono sotta la giurisdizione del magistrato di sorveglianza che ha la responsabilità della loro salute; peraltro, per sapere che una persona non è malata è necessario comunque un atto medico". "La Simit, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali - dichiara Massimo Andreoni, Professore di Malattie Infettive, Università di Roma "Tor Vergata" e Presidente Simit - è molto interessata al prossimo convegno nazionale di medicina penitenziaria in quanto ritiene che le istituzioni nel mondo carcerario rappresentano una priorità. Recenti studi condotti in merito, infatti, dimostrano come la percentuale di detenuti con infezioni da virus epatitici, dal virus dell'Aids e da tubercolosi sia rilevante". "La sanità penitenziaria appartiene alla medicina sociale - aggiunge il Prof. Luciano Lucanìa, attuale vice-Presidente Simspe - il carcere non è un luogo di cura o di ricovero, ma una residenza, ospitando coattivamente delle persone che altrimenti sarebbero altrove. Ciò che avviene nelle carceri ha dunque una valenza socio-sanitaria, in quanto il carcere resta una parentesi transitoria nella vita di un individuo: la questione sociale è dunque una componente del problema". Sono due milioni in Europa i detenuti ospitati nelle strutture penitenziarie, con un tasso di occupazione media del 104%. Il Paese con il maggior tasso di sovraffollamento, rispetto alla capienza massima tollerabile, è la Grecia, con il 133,9%, mentre 680mila sono gli utenti delle prigioni russe. Numeri alti, che aiutano a fotografare un ambiente che ha bisogno di un forte cambiamento, soprattutto a causa di un sistema penitenziario che non riesce a controllare adeguatamente la popolazione presente. Lo scambio di Buone Pratiche in ambito Sanitario Penitenziario è stato il tema dell'incontro, nel quale sono emersi dati che riportano però ad una realtà europea penitenziaria allarmante: la popolazione europea che è transitata durante un anno in carcere si aggira a 6 milioni. Molto spesso per reati legati alle droghe le cause principali della detenzione in carcere, ma la problematica non si ferma all'esterno delle mura penitenziarie, ma colpisce anche il loro interno. Secondo i dati del Centro Europeo per il Monitoraggio sulle Droghe e le Dipendenze (Emcdda) presentati nello stesso incontro, quando un utente arriva in carcere con un'incriminazione o una sentenza relativa all'uso ed allo spaccio di droghe, è soprattutto la cannabis la sostanza incriminata, per il 73,7% delle persone. Di questa percentuale, l'84,9% arriva in carcere per uso, il 12,6% per spaccio. A seguire, le altre sostanze stupefacenti sono la cocaina (8,4%), anfetamine (5,7%), altre sostanze (5,3%), eroina (4,7%), ecstasy (1,2%). Dipendenza nelle carceri Ma la dipendenza colpisce ed affligge anche all'interno delle mura carcerarie: in Italia circa il 60% dei detenuti fa uso di droghe, il 33% cannabis, il 40% cocaina e circa il 5% anfetamine. Tra i Paesi che vedono il maggior uso in carcere di droghe, l'Olanda raggiunge quota 80%, soprattutto per quanto riguarda la cannabis. Anche in Spagna si consuma principalmente la stessa sostanza, circa il 58% dei detenuti, ma percentualmente l'Olanda ed il Regno Unito (70%) sono i Paesi con maggior consumo di cannabis in Europa. Sempre nelle carceri degli stessi due Paesi il 79% della popolazione penitenziaria usa sostanze stupefacenti. Una situazione che preoccupa anche le strutture italiane: nella classifica il nostro è al 7° posto, su 17 Paesi monitorati. I detenuti che registrano un minor consumo di stupefacenti sono invece in Slovenia, Romania e Croazia. Oggi c'è ancora una elevata percentuale di persone che muore di overdose nelle prime settimane successive all'uscita dal carcere, oltre a persone che nel primo anno rientrano in carcere perché compiono nuovamente dei reati. "Lasciare a se stessi questi pazienti - chiosa il Prof. Monarca - espone loro stessi a elevati rischi per la loro salute e la società stessa per la recidività dei reati. Studi americani confermano che nei primi 5 anni dalla liberazione, circa il 75% rientra in carcere; il 43% solo nel primo anno. In Italia non abbiamo percentuali così elevate, ma nel primo anno siamo comunque intorno al 30%. Questi sono dati che vengono dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, dove esiste una capacità di monitoraggio di queste situazioni molto precisa". Giustizia: ecco "bufala capitale" numero due…. retate, arresti e foto di Errico Novi Il Garantista, 6 giugno 2015 Ecco il sequel: Mafia Capitale 2. In realtà l'inchiesta è la stessa, alcuni dei 44 nuovi provvedimenti cautelari sono notificati a soggetti già colpiti dal primo uragano, ed è il caso di Salvatore Buzzi. Ma questo secondo filone scoperto dalla Procura di Roma aggiunge al vecchio romanzo criminale qualche tratto nuovo. Resta il primo teorema: i consiglieri comunali ma anche regionali sono ordinariamente "in vendita", pronti a concedere piaceri, a spianare appalti per la Coop regina, la 29 Giugno, e non solo. Secondo, che l'irresistibile e greve humor romanesco pervade ogni parola. Soprattutto quando i responsabili delle società, che gestiscono il business dei migranti come quello delle case popolari, si esprimono sui politici: trattati ora con disprezzo, altre volte con considerazione per la "serietà" e la "discrezione", in certi casi con rabbia. Gli inquirenti,e il gip di Roma Flavia Costantini che firma le ordinanze, ci mettono il carico da novanta, soprattutto per i personaggi più in vista. Il top della classifica spetta in questo senso a Luca Gramazio, consigliere regionale eletto con il Pdl dopo esserne stato capogruppo anche al Comune. Lui è tra i 19 che finiscono materialmente dietro le sbarre (ad altri 25 toccano i domiciliari, mentre la lista dei 48 indagati si completa con 4 nomi che non subiscono in questa tornata ulteriori provvedimenti restrittivi). Gramazio sarebbe l'uomo capace di mettere in comunicazione la rete di Carminati e Buzzi con le istituzioni. Tutte le istituzioni capitoline, evidentemente. Un'opera diplomatica condotta con una competenza non limitata a poche specializzazioni, dicono i pm. Secondo i quali l'esponente del centrodestra sarebbe persona di "straordinaria pericolosità". Gramazio è una delle icone di questa bufera, in effetti la più appariscente. Anche a lui vengono contestate l'associazione a delinquere di stampo mafioso, la corruzione e la turbativa d'asta. Altri reati che ricorrono nelle ordinanze eseguite ieri sono la turbativa d'asta, le false fatturazioni e il trasferimento fraudolento di valori, sempre con l'aggravante delle modalità mafiose. Ma se Gramazio è la star di questa seconda puntata, c'è un esempio ancora più calzante, per comprendere che considerazione avevano i capi delle coop dei loro interlocutori politici. Si tratta dell'ex presidente del Consiglio comunale Mirko Coratti, del Pd. Uno che insieme con il capo segreteria Franco Figurelli avrebbe ricevuto soprattutto una promessa, 150mila euro, in pratica un modesto anticipo, 10mila euro, e che soprattutto, secondo Buzzi, "non fa gioco di squadra". Da qui il soprannome: "Balotelli". Ecco, pare di vederlo, il ghigno irridente tipico della romanità un po' triviale ma implacabile, geniale nel ritrarre le persone con un nomignolo. In tutto questo la mafia non c'è. Ma nessuno tra il procuratore aggiunto Michele Prestipino e i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, si fa venire lo scrupolo di precisare che stavolta c'è sì tanta "Capitale" ma di mafia davvero poca e collaterale. Peraltro resta ancora da capire quale fosse la tara mafiosa del troncone principale, quello che ripercorreva anche le gesta dell'eminenza grigia Massimo " er cecato" Carminati. Qui si incrocia appena una conversazione telefonica tra l'instancabile Buzzi e un presunto ambasciatore della famiglia Mancuso, organizzazione ‘ndranghetista. In ballo il sostegno alla campagna elettorale di Gianni Alemanno per le Europee di maggio 2014. Il capo della coop 29 Giugno dice a tale Giovanni Campennì: "Basta che non sia voto di scambio… tutto è legale… uno po' votà gli amici?!". E quell'altro non si sottrae: "Va bene… allora… è qua la famiglia? La famiglia è grande… un voto gli si dà". E poi però, come fa notare lo stesso Alemanno, "nei due comuni controllati dalla famiglia Mancuso ho preso un numero ridicolo di preferenze". Più che mafia calabrese, una classica sòla romana. Però lo spettro del malaffare, della tangentopoli alla vaccinara, quello sì è amplissimo. Ci sono di mezzo pure le coop bianche, in particolare una piuttosto nota, "La Cascina", che si è vista arrivare ieri mattina i carabinieri per una perquisizione. Quattro manager dell'azienda sono stati arrestati: si tratta di Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita e Francesco Ferrara. Solo quest'ultimo finisce in carcere, gli altri tre vanno ai domiciliari. Questo particolare segmento dell'inchiesta romana vede tornare in scena un altro nome forte della prima ondata, Luca Odevaine. Che avrebbe ricevuto anche lui una "promessa", così definita: "Una retribuzione di 10.000 euro mensili, aumentata a euro 20.000 mensili dopo l'aggiudicazione del bando di gara del 7 aprile 2014". La Cascina si occupa dell'accoglienza dei migranti. E si sarebbe messa d'accordo con le coop rosse di Salvatore Buzzi su una "gara per l'individuazione dei centri in cui accogliere 1278 migranti già presenti a Roma e altri 800 in arrivo". Odevaine però è tra quelli per i quali il gip non accoglie la nuova richiesta di custodia cautelare, per quanto l'ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni sia comunque, da 6 mesi, in carcere a Torino. La vicenda sciocca i politici e c'è da crederlo. In ore non semplici per il Pd Matteo Renzi reagisce con uno stentoreo "in galera chi ruba". L'altro Matteo, Salvini, chiede la testa di Marino, il quale si fa spalleggiare dall'assessore magistrato Sabella per ricordare che da quando c'è lui è tutto diverso. Matteo Orfini dice che è solo una "banda di destra". Copione prevedibile, e non troppo appassionante. Sempre colorite sono invece le conversazioni tra Buzzi e Carminati, di cui le ordinanze offrono nuovi estratti (in una l'ex Nar adombra vaghe ipotetiche minacce, del tipo che se i politici non rispettano "gli accordi" lui proromperebbe in un "ahò", seguito dall'ovvio "te ricordi da dove vengo?". Ma stavolta la telefonata del giorno è tra Buzzi e Figurelli, quello che stava nella segreteria del Coratti-Balotelli. Si parte sempre con un "ahò", seguito da un haiku: "Ma la sai la metafora? La mucca deve mangiare". Buzzi rafforza: dì al tuo capo (sempre quello che "non fa squadra" finché Buzzi nun s'o compra) che "qui la mucca l'amo munta tanto". Quell'altro abbozza e media: "Ahò, ma questa metafora io gliela dico sempre al mio amico, mi dice: non mi rompere il cazzo perché se questa è la metafora lui ha già fatto, per cui non mi rompere". Tradotto: Buzzi, che sarebbe grosso modo la mucca, aveva già avuto appalti, favori e così via. Alla fine è una trattativa come tutte, è consisteva nel tentativo di Coratti, per interposto Figurelli, di pagare un prezzo non eccessivo per far assumere alla 29 Giugno una ragazza. In un'altra telefonata Buzzi si sperticherebbe in complimenti non proprio da galantuomo per una "fica da paura" che avrebbe preso in cooperativa. Secondo i pm è la stessa della telefonata precedente. Di sicuro sono gli stessi il linguaggio e le scene della prima volta. Giustizia: se gli arresti per Mafia Capitale sono stati fatti a uso e consumo dei media di Angela Azzaro Il Garantista, 6 giugno 2015 Il copia e incolla i giornalisti ormai non lo fanno solo rispetto alle ordinanze dei pm. È nata una nuova moda. Anche le immagini vengono dalle procure e dalle questure. Gli arresti per mafia capitale sono stati fatti a uso e consumo dei media e per evitare che qualche giornalista avesse un guizzo di autonomia e facesse riprese non consentite, hanno filmato tutto loro, i Carabinieri Ros. Le immagini che accompagnano le notizie erano rimaste, fino a qualche mese fa, l'ultimo baluardo in difesa dell'autonomia dei giornalisti. Sì, è vero quando ci sono rinvii a giudizio o ancora meglio arresti, gli articoli sono il copia e incolla delle ordinanze. Da tempo immemorabile ormai il lavoro dei giornalisti è diventato quello di riportare ciò che dicono i magistrati: gli operatori dell'informazione si sono dimenticati che il giornalismo nasce come contropotere non solo della politica e degli affari, ma anche delle procure e dei tribunali. Ma anche se la situazione era tragica, si poteva sperare in una rinascita legata alle immagini che coraggiosi videomaker andavano a fare sul luogo del "delitto". Adesso anche questa piccola luce, questa flebile speranza si è dissolta. Non so se lo avete notato, ma adesso anche le immagini vengono "passate" direttamente dalla procura. Non sono fatte dai cameraman di Rai, Mediaset o La7 ma direttamente dai carabinieri o dalla polizia che compiono gli arresti per poi distribuirle insieme alle ordinanze. Copia e incolla anche per le immagini. Non vogliamo essere a tutti i costi innocentisti o garantisti. È invece una questione di metodo. Le accuse, non solo non sono una condanna come dice la Costituzione, ma vanno sempre verificate… andrebbero sempre verificate facendo un lavoro di inchiesta autonomo da quello dei pm e delle forze dell'ordine. Invece, anche nel caso di mafia capitale, tutto ciò che esce dalla Procura viene considerato oro colato, a tal punto da essere riportato senza nessuna distinzione o considerazione autonoma. Ora si è aggiunto un nuovo tassello. Gli arresti vengono fatti in diretta tv, filmati da coloro che dovrebbero avere un altro ruolo. Non è un passaggio qualsiasi. E un ulteriore deterioramento del ruolo che dovrebbe svolgere l'informazione. Ma non solo. In primo luogo testimoniano la gestione spettacolare di un'inchiesta, la cui valenza stabiliranno i diversi gradi di giudizio, ma che indubbiamente è stata condotta in modo da fare breccia nei media. In questi anni è stato usato dalle procure ogni mezzo: intercettazioni sbattute in prima pagina, vite private rovinate, avvisi di garanzia che arrivano prima ai giornali che ai diretti interessati. L'aggiunta delle immagini che sfociano direttamente da procure e forze dell'ordine incrina ancora di più la nostra capacità di comprensione. L'immagine gode di uno status di oggettività. Pur essendo un punto di vista sulla realtà ha un'immediatezza che tende a confondersi con la "verità". Ho visto quindi è. Per questa ragione il lavoro sulle immagini è simile alle intercettazioni: lasciano poco spazio al dubbio, alla verifica, alla possibilità di ricostruire il contesto. Ma finché erano immagini che nascevano da un occhio terzo, quello dell'operatore dell'informazione, si creava un'alterità che dava la possibilità di ragionare, di usare il senso critico, di non fermarsi a una sola versione. Questo lavoro, che è non il succo del garantismo ma del giornalismo, sta diventando sempre più difficile, complicato per chi lo fa e per chi legge, sente o vede le notizie. Ieri le immagini degli arresti che avete visto non godevano di questa alterità, non provavano minimamente a essere un occhio terzo tra chi arresta e chi viene arrestato. È vero che negli ultimi anni l'uso delle immagini è diventato sempre più descrittivo rispetto al testo della voce fuori campo. Non un'aggiunta, non uno strumento in più, ma quasi una sorta di sottofondo privo di vita propria. Oggi è peggio. Anche quel poco di autonomia è perduta: ci dobbiamo accontentare delle immagini con sopra il timbro Carabinieri-Ros. Giustizia: basta video-manette! lenzuola regalate ai pm, nella protesta dei penalisti baresi Il Garantista, 6 giugno 2015 Sono giorni caldissimi anche sul fronte giudiziario. Prima la scossa degli arresti alla Regione in Sicilia, ora il ritorno di fiamma dell'inchiesta Malìa Capitale. In mezzo ci finiscono puntualmente indagati ai quali, come nel caso di Luca Gmmazio, viene inflitta la pena anticipata dell'esposizione con le manette ai polsi. A riguardo, la Camera Penale di Bari ha assunto un'iniziativa simbolica prendendo spunto dalle immagini degli arresti eseguiti a Zurigo per il caso Fifa. "La polizia elvetica, per evitare riprese indebite da parte dei media, ha utilizzato un lenzuolo bianco per tutelare la dignità degli arrestati", si osserva in una nota dell'Unione Camere penali, "in Svizzera esiste infatti una legge dello Stato che vieta di riprendere e diffondere immagini di cittadini in vincoli". In realtà "lo stesso divieto esiste anche in Italia, ma come abbiamo avuto modo di rilevare tristemente nel tempo, non viene rispettato. Ultimi esempi, la diffusione delle immagini dell'arresto di Carminati e Bossetti. Potremmo andare oltre ricordando le continue violazioni costituite dalla pubblicazione di foto segnaletiche sulla stampa". I penalisti fanno notare come il professor Pizzetti, già Garante della Privacy, in un convegno organizzato dalla Camera Penale del Piemonte Occidentale e dall'Ucpi, abbia "rilevato di vivere in un Paese indecente per queste prassi diffuse". E ciò che appare più grave, secondo gli avvocati è "il fatto che ci si stia abituando a questo genere di violazioni". Il presidente della Camera Penale di Bari, in merito alla dilagante prassi della divulgazione delle immagini di persone in vincoli, ha affermato: "Io mi vergogno, non so voi", e ha deciso di consegnare, come gesto simbolico, al Procuratore della Repubblica di Bari, e al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello del medesimo foro, un lenzuolo bianco, come quello utilizzato in Svizzera, perché ci si rammenti di rispettare e far rispettare la legge, proponendo alle Camere penali territoriali di condividere l'iniziativa. "L'Ucpi, sempre pronta nel difendere i diritti delle persone, troppo spesso calpestati dal disinteresse collettivo, condivide l'impegno delle Camere territoriali per un forte richiamo al rispetto delle regole e della dignità", conclude la nota. Lettere: l'ingiustizia delle carceri di Marina Terragni (Membro della Direzione nazionale Pd) Io Donna, 6 giugno 2015 quando entri in un carcere - per me l'ultima volta è stata un paio d'anni fa, alle ex-Vallette di Torino, ma non dimenticherò mai la prima, con Enzo Tortora, nell'orribile carcere di Monza - non puoi non domandarti se non si possa congegnare qualcosa di diverso per garantire una convivenza buona e giusta. Detto dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky "non ci appare stupefacente che in tanti secoli l'umanità che ha fatto tanti progressi... non sia riuscita a immaginare nulla di diverso da gabbie, sbarre, celle dietro le quali rinchiudere i propri simili come animali feroci?". In tempi di forcaiolismo e di una percezione abnorme del rischio indotta da populisti in cerca di voti (nel 2014 l'indice di delittuosità, cioè i reati per numero di abitanti, è diminuito del 14 per cento), Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta firmano "Abolire il carcere" (Chiarelettere). Proposta in sintonia con le politiche dell'Europa più avanzata: in Francia e Gran Bretagna va in carcere solo il 24 per cento dei condannati contro l'82 per cento dell'Italia (per non contare i detenuti in attesa di giudizio, un terzo della popolazione carceraria). Misure alternative alla detenzione, sanzioni pecuniarie, pene interdittive: per garantire il reinserimento dei condannati e costruire una società più sicura. Perché, a fronte della spesa per la gestione del sistema carcerario - tre miliardi l'anno - quasi il 70 per cento dei detenuti tornerà a delinquere: record italiano. Il sistema carcerario non è soltanto inumano, è inefficace: una macchina che produce criminalità. Leggete questo libro. Lettere: caro Gramellini, sapevi che esiste il diritto? di Beniamino Migliucci (Presidente dell'Unione Camere Penali) Il Garantista, 6 giugno 2015 Scrive su La Stampa di ieri Massimo Gramellini che i giudici (romani) che hanno liberato i rom dovrebbero usare di più la "prudenza" ed il "buon senso" al fine di non innescare o fomentare recrudescenze razziste. L'invito è fatto evidentemente in buona fede, pensando che il giudice del processo penale non sia il tutore della legalità, che applica e mantiene misure cautelari privative della libertà in base agli elementi di prova di cui dispone, ma sia una sorta di operatore sociale, di mediatore di interessi politici contrapposti: un vigile urbano, un barista alle prese con clienti indisciplinati. Basta leggere magari qualche libro di Montesquieu, di Monsieur Arouet o, per restare nel nostro paese, di Cesare Beccaria o di Mario Pagano, o magari alla fine anche l'articolo 273 del nostro codice di rito, per comprendere tuttavia come il solo vero insegnamento che uno Stato laico, liberale e democratico può dare in proposito, è quello secondo cui non si può mai violare la legge per affermare la legalità. Ma a questa obiezione che a qualcuno potrà sembrare troppo formale, ne aggiungiamo un'altra più sostanziale. Ben venga dunque lo Stato, e il giudice, che incarcera tutti, colpevoli e innocenti, sospettati ed incolpati, testimoni e autori del fatto, figli, fratelli e genitori, e vicini di casa: nel dubbio tutti dentro per placare l'odio dei razzisti che - ad onta di chi, come le vittime dolenti, chiede solo giustizia - pretendono invece che si soddisfi la loro sete di vendetta ed il loro rancore sociale. Teniamoli dunque buoni ad ogni costo, magari violando la legge, la giustizia, e infine proprio la "prudenza" ed il "buon senso". Autorizzandoli magari (sempre in buona fede) in nome di questa bizzarra "ragion di Stato" a minacciare di morte la giovane collega che difende in quel processo i diritti della famiglia rom confondendo così la difesa dei diritti con la difesa dei reati. Lettere: così viviamo, con le telecamere che ci spiano anche in bagno di Ivanhoe Schiavone Il Garantista, 6 giugno 2015 Chi le scrive, gentile direttore, è un detenuto ristretto presso la Casa circondariale di Tolmezzo, reparto "AS3". Mi chiamo Ivanhoe Schiavone, ho 27 anni, di cui 3 trascorsi in attesa di primo giudizio per 416 bis. Leggo con assiduità il suo giornale e, conoscendo la sensibilità dell'intera redazione in materia di giustizia e diritti umani, ho deciso di porre a lei e a tutti i lettori non giustizialisti un problema o vanto, dipende dai punti di vista, che si verifica nelle carceri italiane, più precisamente nelle sezioni dove vige la "tortura democratica" del 41 bis. Pochi sanno che nelle sezioni del 41bis, lo Stato italiano tiene nascoste le cosiddette "aree riservate". Altro non sono che il carcere duro nel carcere duro. In questi lager contemporanei, ogni angheria è permessa a chi le amministra. In pratica le innumerevoli restrizioni del "classico" 41bis comma II" vengono amplificate all'ennesima potenza nei confronti dei pochi "eletti" che ci vivono. Si varia dalla telecamera nel bagno della cella all'ora d'aria in due. Insomma tutto il sadismo viene esercitato legalmente in questi posti. Purtroppo ho la sfortuna di conoscere tali fatti, poiché mio padre, mio fratello e due zii, le vivono in prima persona. Mio padre da 17 anni le ha visitate tutte: da Opera a Viterbo, L'Aquila, Ascoli e infine la peggiore, Parma. Deve sapere, caro direttore, che nonostante ci siano sentenze della Corte Suprema che ordinavano lo spegnimento delle telecamere nei bagni, l'Amministrazione se ne frega e le tiene accese ugualmente. Potrei continuare ma preferisco soprassedere. Lo scopo di questa mia è far sì che ciò non resti ignoto. La gente ha il diritto di sapere cosa accade nelle prigioni italiane. Ovviamente non voglio giustificare o contestare le sentenze (definitive) a carico di mio padre, ma semplicemente far capire che lo Stato, torturando i rei, non fa che disattendere i principi costituzionali. E il fine di dette torture è noto: il pentimento. Come si può rimanere indifferenti dinnanzi a tali barbarie? A vedere l'andazzo attuale, mi vien da dire che il confine tra legalità e illegalità si va sempre più assottigliando e che chiunque è esposto a detti rischi. Veneto: Zaia "serve la certezza della pena, se le prigioni sono già affollate usiamo le isole" di Cristina Giacomuzzo Giornale di Vicenza, 6 giugno 2015 "Le isole diventino carceri". Servono pene certe e più severe. Le carceri sono già strapiene? "Ci sono un sacco di immobili nelle campagne e anche in qualche isola qui in Veneto dove poter realizzare dei centri per i carcerati: possiamo metterle a disposizione". Luca Zaia, forte della rielezione e nella sua prima uscita dopo la vittoria schiacciante di domenica rilancia uno dei temi forti della campagna elettorale, e prova subito a realizzarlo mettendo a disposizione alcune isole disabitate della laguna per la realizzazioni di nuove prigioni. "La legge ormai difende più i delinquenti che gli onesti cittadini. Adesso servono pene certe e più severe. Le carceri sono già strapiene? Ci vuole il coraggio di utilizzare quelle incompiute. Poi ci sono un sacco di immobili nelle campagne, e anche in qualche isola qui in Veneto, dove poter realizzare dei centri per i carcerati". Trovato il problema, ecco la soluzione. Zaia, forte del risultato di domenica (ha stracciato la rivale del centrosinistra Alessandra Moretti a 50 contro 22%) è l'uomo che interpreta meglio, numeri alla mano, il sentire del Veneto. E a suo dire quello che vogliono i veneti, appunto, è la sicurezza. Fedele al nuovo slogan del suo secondo mandato "Non ci sono più alibi" (che si aggiunge a quello del primo: "Pancia a terra"), Zaia mette il dito sulla piaga che intende contribuire a curare: "Siamo davanti ad un bollettino di guerra quotidiano - esordisce a margine della cerimonia di ieri a Padova per l'anniversario numero 201 della fondazione dell'Arma. Per fortuna abbiamo le forze dell'ordine, per fortuna ci sono i carabinieri". Ma la fortuna si dovrebbe aiutare e non sempre c'è chi lo fa, secondo il super votato presidente che attacca: "II governo Renzi ha realizzato 5 svuota carceri e la depenalizzazione di 157 reati. La situazione è peggiorata. L'Italia, di fatto, è diventato il Bengodi per la tranquillità dei delinquenti. La legge difende più quelli degli onesti cittadini. Qui bisogna mettersi d'impegno per finire in carcere. La via di uscita? A costo zero: convocare il Parlamento e inasprire le pene. Sono i cittadini che lo chiedono". E se c'è chi usa la scusa delle prigioni super affollate, Zaia non ci sta e propone qualche sperduto isolotto del Veneziano per costruire carceri. Solo per quello. E ancora. Per rispondere all'emergenza, torna a proporre l'utilizzo dell'esercito, cioè personale già stipendiato non attualmente impegnato in azioni di guerra, "per dare una presenza rassicurante nel territorio". Invece sugli immigrati il governatore ribadisce che "II Veneto ha già dato". Ma resta il problema: dove metterli? Su questo il governatore lancia una raccomandazione: "I privati - dice - non cedano alla tentazione di ospitare i profughi nelle loro abitazioni per arrotondare, perché potrebbero esserci guai. C'è il rischio cioè di ospitare una persona che non è scappata dalla morte e dalla fame, il profugo vero e proprio, ma altro. E non lo dico io, lo confermano i dati del ministero dell'Interno. Solo un terzo sono profughi veri". E allora? La guardia va tenuta alta. "Anche il capo della Polizia l'ha di recente confermato - ricorda: c'è la possibilità che i terroristi arrivino con i barconi insieme a tutti gli altri. Un rischio che andavamo denunciando da tempo". Toscana: Franco Corleone confermato coordinatore dei Garanti dei diritti dei detenuti gonews.it, 6 giugno 2015 Il garante della Toscana Franco Corleone è stato confermato in qualità di coordinatore dei garanti dei detenuti regionali, provinciali e comunali. "Era un ruolo che avevo già ricoperto - ha spiegato Corleone -. Ieri a Bologna abbiamo fatto una riunione e sono stato nuovamente investito di questo ruolo. Le questioni sul tappeto sono la costruzione degli stati generali sull'esecuzione penale, annunciati dal ministro Orlando, perché i garanti vogliono partecipare a questo processo per la riforma del carcere e dell'ordinamento penitenziario". "Altra questione su cui richiamiamo la massima attenzione è quella degli Opg, perché la data di chiusura del 31 marzo è ancora sulla carta e non si è realizzata. Nelle strutture alternative agli Opg, le cosiddette Rems, la presenza e la vigilanza dei garanti sarà essenziale per la dignità e il rispetto dei diritti degli internati". Inoltre, ha concluso il garante toscano, "vogliamo che prima della fine dell'estate il Parlamento approvi la legge che introduce nel codice penale il reato di tortura. Abbiamo avuto molti, troppi, episodi che non sono stati adeguatamente colpiti per l'assenza di un reato che è previsto invece dalle convenzioni internazionali". Campania: l'Ass. Antigone monitora l'attivazione della Rems di San Nicola Baronia (Av) Quotidiano del Sud, 6 giugno 2015 Ci sono i lavori e le prime "verifiche", il 2 giugno il Presidente campano dell'Associazione "Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale" (Mario Barone) si reca a San Nicola, sede di una delle due Rems previste nell'ambito regionale. L'Associazione rende noto "Antigone seguirà la vicenda nei mesi a venire sotto il profilo della tutela dei diritti umani dei ricoverati". Visita preannunciata da Antonio Capodilupo (attivista politico locale) che ha evidenziato da tempo la necessità di verificare l'idoneità della struttura rispetto alla nuova finalità, decisa con decreto ministeriale. Intanto si registra un dualismo all'interno del paese rispetto alla vicenda. "Speculazione" su quella che sarà la creazione di nuovi posti di lavoro, dichiarata dal militante Capodilupo rispetto a quello che diventa un discorso di "opportunità di crescita occupazionale" in ambito sanitario locale per il sindaco Franco Colella. Di tali faccende interne, Antigone non si interessa. Barone dichiara: "abbiamo la volontà di farci carico del problema. C'è un momento delicato in cui si verifica un passaggio di consegna dal Ministero della Giustizia al Ministero della Sanità. Qui vogliamo vigilare. Ad esempio sulle funzioni svolte dagli uffici matricole". Intanto apprendiamo che uno dei responsabili per conto dell'Asl di recente avrebbe avuto importanti problemi di salute che quindi potrebbero aver concorso al rallentamento del fine lavori. Emilia Romagna: dall'8 al 29 giugno spettacoli teatrali coi detenuti delle Case circondariali modena2000.it, 6 giugno 2015 Spettacoli teatrali con i detenuti delle Case Circondariali di Bologna, Ferrara, Forlì, Reggio Emilia; degli Istituti Penitenziari di Parma e della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia. Dall'8 al 29 giugno sono in scena i detenuti degli istituti di pena di Bologna, Castelfranco Emilia, Ferrara, Forlì, Parma, Reggio Emilia, con sei spettacoli ispirati alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso realizzati dalle compagnie teatrali che fanno parte dell'Associazione Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna. L'Associazione ha tra i suoi principali scopi quello di sviluppare progetti e proporre esperienze, laboratori, itinerari nelle carceri volti al recupero e al reinserimento sociale delle persone detenute. Il teatro dunque non solo come esperienza creativa legata alla rappresentazione scenica, ma come fondamentale funzione di collegamento con la società, per favorire nelle persone detenute il percorso di reinserimento sociale e la tutela del diritto alla salute intesa come benessere fisico, psichico e sociale. Ma il teatro viene visto in quest'ambito anche come veicolo di crescita personale e opportunità di cambiamento per i detenuti-attori, nel contesto di mutate condizioni relazionali per chi vive l'esperienza del carcere. Gli spettacoli rappresentano l'esito finale di un progetto biennale che ha visto tutti i registi del coordinamento impegnati in percorsi diversi a partire dal poema del Tasso. Scrive Cristina Valenti, consulente scientifico del progetto sulla Gerusalemme Liberata: "Il poema di Torquato Tasso ha rappresentato un terreno di riflessione comune, per un dialogo a distanza che ha dato luogo a un vero e proprio cantiere di lavoro, che ha messo al centro l'importanza dell'esperienza teatrale intesa come processo creativo, e ha consentito incontri e incroci di sguardi quanto mai utili. (…) Il cantiere teatrale sulla Gerusalemme ha evidenziato approcci diversi. Alla Dozza di Bologna Paolo Billi ha affrontato la struttura metrica delle ottave affidandone ai partecipanti la lettura ("rappata" o cantata secondo la tradizione dei "Maggi") e anche la riscrittura ex novo, a partire dai tre temi cardine dell'opera: gli amori contrastati, le grandi battaglie, la magia. A Ferrara, Horacio Czertok e Andrea Amaducci hanno scelto di lavorare sul combattimento di Tancredi e Clorinda individuandovi l'essenza della tragedia, per riflettere, con gli attori per lo più stranieri, sulle ragioni antiche e attuali dei conflitti. Attori di diverse culture e provenienze anche a Forlì, dove Sabina Spazzoli è partita dagli interrogativi posti dal poema per rileggere la storia delle guerre da Troia alla Prima Crociata e fino ai giorni nostri. I riferimenti all'oggi si sono rivelati centrali anche nel lavoro di Roberto Mazzini con gli attori detenuti e semiliberi di Reggio Emilia, che hanno scelto tre canti del poema per lavorare sui temi della guerra, della morte, della lotta, concentrandosi sulla dicotomia buoni/cattivi. A Ferrara e a Modena gli attori detenuti e internati guidati da Stefano Tè si sono dedicati alla battaglia tra Angeli e Demoni, tra Cristiani e Musulmani per penetrare l'intreccio di conflitti e motivi epici che dall'immaginario del Tasso conduce a vicende contemporanee. Infine Corrado Vecchi ha affidato alle "mani parlanti" degli attori detenuti di Parma la rilettura del poema con il linguaggio e l'artigianato dei pupazzi". Il lavoro dell'Associazione, volto a coordinare le esperienze di teatro carcere attive sul territorio regionale, è riconosciuto e sostenuto da un "Protocollo d'intesa sull'attività di teatro in carcere" tra la Regione Emilia-Romagna e il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria (Prap) dell'Emilia-Romagna. Fanno attualmente parte del Coordinamento: Cooperativa Teatro Nucleo di Ferrara, Cooperativa Teatro del Pratello di Bologna, Cooperativa Teatro Giolli di Parma, Cooperativa Le Mani Parlanti di Parma, Teatro dei Venti di Modena, Associazione ConTatto di Forlì, Gruppo Elettrogeno di Bologna. Per informazioni: info@teatrocarcere-emiliaromagna.it - tel: 051 0455830 - mob: 333 1739550 Perugia: morte di Aldo Bianzino, confermata condanna dell'agente che non lo soccorse quotidianodellumbria.it, 6 giugno 2015 Era nel carcere di Capanne a Perugia e non fu assistito. La Cassazione ha confermato la condanna a un anno di reclusione nei confronti di un agente della Polizia penitenziaria, Gianluca Cantoro, accusato di omissione di soccorso per la morte del falegname Aldo Branzino avvenuta nel carcere "Capanne" di Perugia nell'ottobre del 2007. Bianzino era stato arrestato il 12 ottobre di quell'anno, insieme alla moglie Roberta, per possesso di piante di cannabis. Con questa decisione, emessa ieri sera dalla VI Sezione penale, la Suprema Corte ha confermato il verdetto emesso il 16 ottobre 2014 dalla Corte d'appello di Perugia. Adesso ci sarà un processo civile per la quantificazione dei danni che spettano ai familiari di Bianzino e che dovranno essere pagati dal Ministero della Giustizia, a quanto si è appreso dall'avvocato Fabio Anselmo che ha rappresentato i familiari di Bianzino e che si è occupato di altri casi di persone decedute in seguito all'arresto, come quello di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi. "Questa condanna è poca cosa, ma è già qualcosa: si inizia a fare luce e a riconoscere le responsabilità per la morte in carcere di Aldo Bianzino": così l'avvocato Fabio Anselmo, difensore di parte civile dei familiari di Bianzino, ha commentato la conferma della condanna dell'agente della Polizia penitenziaria accusato di non aver soccorso Bianzino, recluso a Perugia. Milano: l'Expo non sempre occasione; per detenuti e familiari il biglietto Atm costa di più Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Soppressa la navetta con la città, devono utilizzare la metropolitana, ma con tariffa extraurbana. Sono circa 200 che si spostano per lavoro. Il costo grava anche sui familiari che si recano a Bollate (l'istituto è situato proprio di fronte al sito di Expo) per i colloqui con i reclusi. Non per tutti Expo è un'occasione. Per i circa 200 detenuti del carcere di Bollate che ogni mattina devono andare a Milano per lavoro i costi di trasporto sono diventati un salasso. Prima di Expo, infatti, grazie alla navetta che li collegava a Roserio, dovevano solo pagare il biglietto urbano Atm. Ora questa navetta è stata soppressa e quindi devono utilizzare la metropolitana, ma la fermata di Rho Fiera è extraurbana. "Si tratta quindi di un costo aggiuntivo notevole, che grava anche sui familiari che si recano a Bollate (l'istituto è situato proprio di fronte al sito di Expo, ndr) per i colloqui con i reclusi", denuncia Alessandra Naldi, garante dei detenuti del Comune di Milano, intervenuta questo pomeriggio a Palazzo Marino durante la seduta congiunta della commissione Expo e della sottocommissione carceri. Sono invece un centinaio i detenuti delle carceri di San Vittore, Bollate e Opera che lavorano all'interno di Expo. Si occupano anche dell'accoglienza dei visitatori. Lavorano per sei giorni su sette, con turni di 7 ore, per un compenso netto di poco più di 500 euro al mese. Il progetto, promosso dal Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, dai tre istituti di pena e dalla società Expo, prevede anche la copertura dei costi di trasporto. Firenze: a Sollicciano teatro in carcere e il biglietto d'ingresso rimborsa i detenuti Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Martedì 30 giugno e mercoledì 1 luglio appuntamento, in prima nazionale, con lo spettacolo Ubu Re realizzato dalla Compagnia di Sollicciano. Martedì 30 giugno e mercoledì 1 luglio (ore 20.45 con arrivo del pubblico entro le ore 20.00 per i necessari controlli per l'accesso) presso il Teatro del Carcere di Sollicciano, la Compagnia di Sollicciano, formata da attori detenuti, con la regia di Elisa Taddei di Krill Teatro, presenta Ubu Re la nuova produzione in prima nazionale. Il progetto ha il sostegno della Fondazione Carlo Marchi e della Regione Toscana, all'interno del progetto Teatro e Carcere. Lo spettacolo, riscrittura dell'opera del francese Alfred Jarry Ubu Roi, vede in scena gli attori della Compagnia di Sollicciano, che in uno spazio desolato, raccontano al pubblico la terribile storia di come Padre e Madre Ubu riuscirono a conquistare il trono di Polonia. Anche quest'anno al progetto partecipa il gruppo di studenti del Liceo Artistico di Porta Romana di Firenze, che ha curato la realizzazione dell'immagine dello spettacolo presente nel materiale promozionale (manifesti, brochure ecc.) e alcuni elementi della scenografia. Il progetto Teatro a Sollicciano, accolto dalla Direzione del Carcere di Firenze, nasce nell'ottobre del 2004 sotto la guida di Elisa Taddei. Nel 2004 viene approvato dal Coordinamento Teatro e Carcere, promosso dalla Regione Toscana, a cui aderiscono le principali realtà artistiche che operano nel settore teatro e carcere, presenti sul territorio regionale. Da allora, la compagnia di attori detenuti del carcere di Sollicciano ha prodotto ogni anno uno spettacolo nuovo. A partire dal 2005 questo progetto viene sostenuto dalla Fondazione Carlo Marchi, che opera "per la diffusione della cultura e del civismo in Italia "e dal Comune di Scandicci. Fino ad oggi la Compagnia di Sollicciano ha realizzato quindici spettacoli, risultato di percorsi annuali di lavoro e ad essa hanno partecipato più di duecentosettanta detenuti tra attori, scenografi, assistenti al suono e alle luci. Negli ultimi anni la compagnia è riuscita ad ottenere i permessi per uscire dal carcere e ha potuto presentare i suoi lavori in teatri come il Teatro Studio di Scandicci. Il biglietto servirà a retribuire la prestazione degli attori-detenuti. Firenze: yoga in carcere, a Sollicciano arrivano i maestri Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Progetto della Regione Toscana, che destina all'Azienda sanitaria di Firenze quasi 100 mila euro per portare tra le sbarre i maestri di yoga che affiancheranno medici e psicologici. Arriva l'esperto in tecniche Yoga a dare mano a medici, psicologi e operatori sanitari che operano negli istituti penitenziari fiorentini, per aiutare i detenuti dipendenti da alcol e droghe ad allontanarsi dallo spettro che li perseguita. Queste figure professionali, insieme ad un infermiere, vengono attivate nell'ambito del progetto della Regione Toscana "Prevenzione e assistenza dei detenuti tossicodipendenti e alcol dipendenti negli istituti penitenziari" che per l'anno in corso destina all'Azienda sanitaria di Firenze un finanziamento di quasi 100 mila euro. Il maestro Yoga insegna settimanalmente ad un gruppo di detenuti le tecniche di questa disciplina come pratica di consapevolezza e concentrazione, che sono alla base del concetto di trasformazione della mente. Il primo passo sul sentiero dello Yoga è comprendere i meccanismi della mente ed imparare a lasciare andare le abitudini non salutari, le percezioni erronee e le emozioni negative che creano sofferenza nel singolo e in chi gli sta intorno. Le ripercussioni all'interno di un contesto carcerario e su persone che devono vivere una situazione di costrizione forzata sono quelle di una diminuzione del livello di aggressività che ciascun detenuto riversa sui compagni e su sé stesso. Inoltre, lo stimolo ad una riflessione collettiva sul tema porta sempre ad una sensazione di maggiore serenità di animo che spinge alla solidarietà ed alla frammentazione delle dinamiche di isolamento ed ulteriore emarginazione di alcuni detenuti. Roma: Uisp; con Vivicittà la maratona torna nella Casa circondariale di Rebibbia Redattore Sociale, 6 giugno 2015 Nuova tappa della manifestazione: oggi si corre a Roma, nella Casa circondariale di Rebibbia femminile, con 43 detenute e di 11 atlete dall'esterno. Di Girolami (Uisp Roma): "Lo sport avvicina le persone e con questa corsa facciamo entrare la città nel carcere". Vivicittà torna dopo quattro anni nel carcere femminile di Rebibbia. L'appuntamento è previsto alle 16 di questo pomeriggio nella Casa Circondariale romana. Vi parteciperanno 11 atlete provenienti dall'esterno e le 43 detenute allenate dall'operatrice di Uisp Roma, Ilaria Nobili. A introdurre l'evento l'intervento di Paolo Masini, assessore a sport e scuola del Comune di Roma. La formula scelta è quella della staffetta podistica. All'interno del carcere è stato ricavato un percorso di un chilometro, sul quale si confronteranno una dozzina di squadre composte ciascuna da quattro frazioniste, che lo percorreranno per intero passandosi il testimone. A motivare un appuntamento con cui l'unione sportiva nazionale rinnova il suo impegno "la convinzione che lo sport avvicini le persone - dichiara Di Girolami di Uisp Roma. Con questa corsa facciamo entrare la città nel carcere. Questi luoghi tradizionalmente separati dalle città e dalla società fanno parte del territorio e per questo vanno tenuti collegati tra di loro. Lo sport sociale e per tutti facilità questo percorso". L'operatrice dell'Uisp Roma che promuove l'attività sportiva per le detenute durante tutto l'anno è Ilaria Nobili. Da due mesi è affiancata anche da Cecilia Frielingsdorf che, ogni giovedì, le sta preparando a Vivicittà con allenamenti specifici: "Le ragazze sono entusiaste e man mano il gruppo è cresciuto - dicono Ilaria e Cecilia. Oggi abbiamo fatto un allenamento con musica dal vivo e alcune di loro hanno cominciato a modificare gli stili di vita, ad esempio limitando il fumo". L'Uisp di Roma è presente anche nella Casa di Reclusione Rebibbia Penale, Istituto a Custodia Attenuata per tossicodipendenti (Rebibbia Terza Casa), Casa circondariale Nuovo Complesso Rebibbia, Alta sicurezza (Rebibbia). All'interno di questi istituti si sono costituiti due circoli: l'Albatros e La Rondine. Le due associazioni organizzano attività di promozione sociale in favore della popolazione detenuta. Per l'Uisp i due circoli rappresentano un modo per coinvolgere in maniera stabile i detenuti, rendendo il carcere più vivibile. Lo sport in carcere, così inteso, diventa anche è un modo per favorire il rapporto e l'interazione con la società esterna. Fondamentale è il sostegno delle istituzioni carcerarie, dei dirigenti, degli educatori e della polizia penitenziaria. Presente anche nell'area giovani, collabora con l'Ufficio servizi sociali per i minorenni nel progetto sportivo "Outdoor". Qui vengono realizzati interventi con i giovani sottoposti a procedimenti penali, garantendo e sostenendo percorsi di crescita e responsabilizzazione, attraverso l'inserimento in attività socialmente utili. Viene realizzata attività motoria con i minori presenti nel Centro di Prima Accoglienza, nelle prime fasi dopo l'arresto fino all'udienza di convalida. Le attività sono strutturate per offrire ai giovani uno spazio di rilassamento e socializzazione. Roma: i detenuti di Cassino recitano fiabe per i bambini recuperando la loro paternità Il Sole 24 Ore, 6 giugno 2015 I detenuti sono persone, e tanti sono papà. Si dimenticano facilmente le altre dimensioni quando si sconta una pena e si finisce dietro le sbarre. Ma la rieducazione, l'obiettivo cui il carcere dovrebbe tendere, passa anche dal recupero delle identità cancellate dalla detenzione, a partire dalla paternità. Lo sa bene Liber Liberanti, progetto finanziato dalla Regione Lazio grazie al bando "Io leggo", che per un anno nella casa circondariale di Cassino (Frosinone) ha portato le fiabe. Da leggere prima insieme ad alta voce, poi da recitare in un vero e proprio reading che si terrà domani alle 15 con la partecipazione dell'attrice Bianca Nappi e infine da raccontare ai propri figli, in una festa che si terrà in carcere sabato 13 giugno, grazie anche ai libri donati da due case editrici. Fantasia a briglie sciolte, dunque, con i Tre porcellini, Il gatto con gli stivali, le filastrocche di Gianni Rodari, le favole di Andersen, lette e interpretate dai detenuti. "Come attrice ho sempre sentito che un'esperienza artistica non è davvero forte se non coincide anche con un percorso umano altrettanto significativo", afferma Nappi. "Partecipare a questa bella iniziativa fa coincidere questi due aspetti ed è per questo che mi fa piacere prendervi parte". "Liber liberanti propone di pensare alla cultura in carcere come necessaria opportunità di riflettere su di sé, sul rapporto con i propri figli lontani, sul proprio futuro, sul dopo scarcerazione", le fa eco Francesca Rotolo, direttrice artistica del progetto. "I libri sono uno strumento potente per costruire un futuro di libertà. Purtroppo siamo in un carcere, è vero, ma domani nella rotonda del Carcere di Cassino non ci saranno reclusi, ma padri che hanno imparato a raccontare le fiabe ai loro bambini". Al progetto a Cassino ha lavorato Paola Iacobone, esperta di teatro sociale, con un duplice scopo: avvicinare alla lettura il gruppo di partecipanti e creare una rete adeguata tra la biblioteca, l'assessorato alla Cultura del comune di Cassino e il carcere, anche per favorire lo sviluppo di una biblioteca sempre più ricca. Tutti i reading realizzati andranno a comporre un cd-audio che verrà diffuso sul web e proposto alle istituzioni, alle scuole, agli editori. Con il plauso della direttrice del carcere, Irma Civitareale, che spiega: "Ho scelto di aderire al progetto di lettura di fiabe e favole perché mi è subito apparsa un'interessante opportunità di crescita per i nostri utenti. Credo, infatti, che proiettarsi nell'infanzia costituisca un valido strumento di riflessione per il detenuto. Ancorarsi idealmente a quegli anni, può rappresentare un momento di spensieratezza, di evasione dal meccanico vissuto quotidiano. Credo, inoltre, nel valore formativo contenuto nei racconti illustrati, rafforzato dalla condivisione della lettura, che costituisce un momento di integrazione tra i detenuti lettori e gli uditori ‘liberì". Ricominciare dalle favole per tessere nuove trame della propria esistenza. Trani: tre computer per i detenuti, il service del Rotaract di Bisceglie bisceglielive.it, 6 giugno 2015 Il Club Rotaract di Bisceglie, questa mattina, sabato 6 giugno, alle 9,00 visiterà la Casa Circondariale di Trani, chiudendo così il service annuale per l'anno sociale 2014-2015: "Sulla scia… delle ali della libertà". Grazie anche al contributo dei patrocinatori "Studio odontoiatrico - Dott.ssa Claudia Salerno", "Pienza", "Samele Spose" ed "M.D. Elettrica s.n.c.", il Rotaract di Bisceglie ha potuto raggiungere l'obbiettivo di supportare il servizio di rieducazione del carcere maschile di Trani, donando tre personal computer con cui ripristinare il corso di informatica per i detenuti presso la Casa Circondariale, da tempo ormai sospeso. Oltre alla consegna, i giovani Rotaractiani avranno l'opportunità di visitare gli ambienti comuni del carcere e rendersi conto in prima persona di una realtà sicuramente diversa dal "comune quotidiano" e, spesso, colpevolmente ignorata. Ancora una volta il Rotaract è opportunità di servizio e di formazione. Immigrazione: un patto criminale per gestire l'emergenza e dar vita al Cara di Mineo di Giuliana Buzzone Il Manifesto, 6 giugno 2015 Secondo la Procura di Catania, che lavora in concerto con Roma e Caltagirone, gli indagati sono artefici di "un medesimo disegno criminoso (tra il 2011 e il 2014), in concorso tra di loro e nelle rispettive qualità, con collusioni e altri mezzi fraudolenti (consistiti tra l'altro, nel ricorrere a numerose proroghe del primo contratto di affidamento, nel prevedere una disciplina dei requisiti speciali di partecipazione alla gara del 2014 idonea a consentire l'accesso alla procedura a evidenza pubblica a un numero ristrettissimo di operatori economici) e turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo". I sei del Cara di Mineo, come riportato nelle pagine del Decreto di perquisizione informatica e locale, sono oltre la figura dell'artefice del sistema corruttivo delle gare di appalto riguardanti i servizi interni di alcuni centri per i richiedenti asilo, Luca Odevaine; il sottosegretario all'Agricoltura Giuseppe Castiglione, luogotenente in Sicilia eletto alla Camera dei Deputati nelle file di Ncd presidente della provincia etnea dall'11 dicembre 2009 al 31 ottobre 2012; Giovanni Ferrera direttore del Consorzio dei Comuni "Calatino Terra d'Accoglienza" di cui è presidente un altro indagato, la sindaca di Mineo Anna Aloisi, anche lei Ncd; ci sono anche Marco Aurelio Sinatra sindaco di Vizzini, presidente dell'assemblea del Consorzio "Calatino Terra d'Accoglienza" e coordinatore regionale dei progetti Sprar; infine Paolo Ragusa presidente di Consorzio Sol. Calatino, gruppo di cooperative che si occupa di "business del sociale". Una delle prime figure che nel centro menenino, requisito agli inizi del 2011, fiuta un buon affare e si prodiga nello sviluppo di un protocollo d'intesa, firmato il 2 agosto 2010. Il "Patto Territoriale dell'Economia Sociale del Calatino" di cui Sol. Calatino diventa ente capofila e cui aderiscono inizialmente nove comuni del Calatino sud Simeto,la Provincia regionale di Catania, l'Asp 3 di Catania, la Cciaa di Catania, l'Ircac. Lo scopo del patto è "l'inizio di un nuovo modo di intendere le politiche sociali pensato per favorire lo sviluppo locale, durevole e sostenibile, di questo territorio e a consolidare le condizioni generali di partenariato fra pubblico e privato sociale". E cosi sarà. Nella primavera dell'anno successivo, Paolo Ragusa indirizzerà una lettera ai sindaci del territorio e chiederà loro di mettersi in gioco per "l'istituzione di un Centro accoglienza richiedenti asilo per fare del "Residence della Solidarietà" di Mineo un modello europeo di eccellenza dell'accoglienza e dell'integrazione sociale". È marzo 2013 l'anticamera di ciò che avverrà presto, il centro è gestito in emergenza, per via dei flussi importanti derivanti dalle cosiddette primavere arabe, dalla Cri e dalla Protezione civile come stabilito dal ministro degli Interni Maroni. Ragusa a luglio si rivolgerà a Castiglione con una missiva in cui proporrà all'allora presidente della Provincia etnea di pensare all'utilità di mettere in rete la questione del nuovo Cara e le intenzioni delle amministrazioni locali nel Patto, di cui il suo consorzio, privato, è capofila. Paolo Ragusa è anche vicino a Ncd pur avendo sempre affermato di non essere legato a nessuno schieramento politico e di volta in volta aver sostenuto candidati di partiti diversi, una foto sul web lo ritrae al congresso nazionale Ncd. Giuseppe Castiglione, tirato in ballo da Odevaine nelle sue intercettazioni e che continua a difendersi, nel territorio del calatino ha presenziato più a iniziative di Terzo Settore, spesso in coppia con Paolo Ragusa, che non a quelle dedicate all'agricoltura. Ma sarà per l'esperienza maturata nel corso degli ultimi anni. Nel tempo dell'emergenza Nord Africa è presidente dell'Unione delle Province, è lui che nomina il factotum delle emergenze, Odevaine, come suo rappresentante al Tavolo per l'Immigrazione. Sarà delegato dal ministero degli Interni a soggetto attuatore del Cara di Mineo dal 28 giugno 2011 sino al 19 luglio 2013. I primi del mese di agosto del 2011 il soggetto attuatore decide di dar luogo a una "procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, a favore del soggetto che presenti la migliore offerta selezionata con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa" nel periodo dal 1 settembre al 31 dicembre dello stesso anno, per i servizi di gestione del centro richiedenti asilo. L'ente provinciale si riserverà la "facoltà di aggiudicare il servizio anche nel caso pervenga una sola offerta valida, purché ritenuta congrua e conveniente. L'aggiudicazione della gara sarà effettuata da un'apposita commissione nominata successivamente alla presentazione delle offerte, composta nominata dal Soggetto attuatore". Odevaine ne sarà nominato presidente. Vincerà il Consorzio di Cooperative Sociali arl "Sisifo", capofila dell'Ati costituita da Sol Calatino, La Cascina, Senis Hospes e Domus Caritatis. Castiglione indirà la seconda gara d'appalto il 31 gennaio 2012 vinta dalla Rti "Sisifo" con medesimi mandanti e a fine anno, 28 dicembre 2012, inizierà a presiedere il Cda del nascente Consorzio dei Comuni "Calatino Terra di Solidarietà", poi mutato in "Terra d'Accoglienza", nato su input del ministro dell'Interno Cancellieri e di cui Odevaine nelle intercettazioni si vanta di essere artefice. Nonostante il 25 luglio sarà delegata presidente del Consorzio dei comuni il vice presidente Anna Aloisi la figura di Castiglione aleggerà sempre attorno al Cara. È lui ad assicurare che nella legge di stabilità del governo Letta sono destinati ai Comuni del Consorzio 3 milioni di euro per risarcirli dei disagi che i cittadini subiscono per via della presenza nel calatino del Cara di Mineo. Ma la storia è molto intricata. Immigrazione: Commissioni pilotate, così hanno gestito 90 milioni di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 6 giugno 2015 Accordi tra schieramenti politici opposti per modificare le commissioni aggiudicatrici e spartirsi la torta degli appalti. Era questo uno dei sistemi, forse il principale, utilizzati al Campidoglio, alla Regione Lazio e al Viminale per accaparrarsi gli affari milionari legati alla gestione dei centri di accoglienza per i migranti, ma anche di altre commesse pubbliche come quella del Recup, il centro unico di prenotazione della Pisana. Gli atti processuali dell'inchiesta sull'organizzazione criminale di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati rivelano in che modo siano riusciti a portare il proprio fatturato annuo oltre i 90 milioni di euro, riconoscendo ai propri referenti una percentuale tra il 5 e il 10 per cento. Nei provvedimenti di perquisizione che ieri hanno portato i carabinieri del Ros nelle sedi delle cooperative che si sono aggiudicate i bandi e nelle case e negli uffici degli indagati è ben delineato quali fossero i "patti corruttivi" che i magistrati della procura di Roma contestano nel nuovo filone d'indagine a quei politici che hanno "pilotato" le gare. Ma anche il livello di minaccia che Buzzi esercitava sui responsabili delle altre cooperative che non accettavano le sue condizioni sulla divisione dei vari lotti messi a disposizione dalle amministrazioni pubbliche. Capitolo a parte riguarda il sottosegretario all'Agricoltura Giuseppe Castiglione, indagato già da vari mesi dai pubblici ministeri di Catania competenti per il centro di Mineo dove agiva incontrastato il delegato del ministero dell'Interno, Luca Odevaine. Uno degli accordi contestati dai pm è quello tra il consigliere Pdl alla Regione, Luca Gramazio, finito in carcere, e il capo di gabinetto Maurizio Venafro, che per questo è stato indagato. Al centro, il Recup da 60 milioni di euro nel quale Buzzi e soci si aggiudicarono il terzo lotto, esattamente come avevano chiesto. Secondo la contestazione per ottenere questo risultato si decise di cambiare i componenti della commissione, garantendo la presenza di Angelo Scozzafava accusato di essere uno dei funzionari a libro paga e per questo arrestato due giorni fa. Il 19 marzo scorso viene interrogata Elisabetta Longo - presidente della commissione indagata per favoreggiamento e false dichiarazioni ai pm - "la quale ammette di aver inserito il dottor Scozzafava quale componente della commissione di gara su indicazione del capo di gabinetto del presidente della Regione Maurizio Venafro". Poco dopo i pubblici ministeri ascoltano lo stesso Venafro. Annotano adesso nel decreto di perquisizione: "Venafro ha riconosciuto di aver fornito "l'indicazione alla dottoressa Longo e che lo stesso gli era stato fornito da Gramazio, inizialmente capogruppo Pdl, ma rimasto principale interlocutore anche dopo le divisioni intervenute nel Pdl". Venafro ha aggiunto che "le uniche lamentele venivano dagli attuali gestori del servizio che erano preoccupati che altri avrebbero potuto vincere la gara a discapito della qualità del servizio. In particolare ho incontrato più volte Marotta della cooperativa Capodarco"". L'indicazione a Gramazio per inserire Scozzafava arrivò da Buzzi perché, questa è l'accusa, "il funzionario era a disposizione del sodalizio". Al Viminale il ruolo chiave per l'assegnazione degli appalti legati ai centri di accoglienza mostra di averlo Odevaine. Lui stesso si vanta di aver orientato in alcuni casi le scelte dell'allora sottosegretario Castiglione. E il 21 marzo 2014 all'amico commercialista Stefano Bravo, l'uomo che gli gestisce i conti e si occupa di trasferire per lui i soldi delle "mazzette" all'estero, racconta di aver parlato con il soggetto attuatore, onorevole Castiglione: "Gli ho detto: dobbiamo assolutamente valorizzare tutte le realtà locali, fare un Consorzio di Cooperative che gestisca, però ‘sta roba qua non può essere affidata solo a piccole cooperative locali, consorzi, perché così andiamo… perché qua se qui non se fa una cucina la Croce Rossa andrà via e si porterà via la cucina allora c'erano 2.000 persone se qui non se fa una roba che c'abbia una sua professionalità rischiamo un disastro… non se po' fa per cui alla fine lui capisce gli dico noi dobbiamo creare un gruppo poi facciamo la gara, però certo favoriamo le condizioni per cui ci sia un gruppo forte per cui gli presento, ne parlo con questi dell'Arciconfraternita a Roma e loro nel frattempo si erano appunto fusi con "La Cascina"". L'obiettivo di Odevaine appare chiaro: mettere d'accordo chi affida le gare e chi è disposto a pagare per vincerle. E a quanto sostiene, raggiunge lo scopo. A Bravo dice: "Ho conosciuto loro e gliel'ho presentati a Castiglione e lui si è avvicinato molto a Comunione e Liberazione, insieme ad Alfano e adesso loro, Comunione e Liberazione di fatto sostiene strutturalmente tutta questa roba di Alfano e del centrodestra, stanno proprio finanziando e Castiglione fa il sottosegretario all'Agricoltura però ed è il loro principale referente in Sicilia cioè quello che poi gli porta i voti, perché poi i voti loro ce li hanno tutti in Sicilia. Per cui diciamo io li ho messi insieme e si è strutturata questa roba e dopo di che abbiamo fatto questa cosa di Mineo. La prima gara io ho fatto il presidente della Commissione e poi c'è stata una seconda gara e poi adesso questa è la terza gara che si fa e in tutte e tre io ci sò stato in Commissione. Perché poi alla fine il referente per Mineo ero io, perché Castiglione, cioè, lui era il soggetto attuatore però poi lui a sua volta mi ha subdelegato a me a gestire tutto". Immigrazione: Unhcr "il prezzo di questo scandalo lo pagano i migranti" di Luca Fazio Il Manifesto, 6 giugno 2015 L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati chiede all'Italia di impedire che "individui senza scrupoli possano trarre profitto da risorse destinate ai più vulnerabili". L'Arci Sicilia chiede la chiusura del centro per rifugiati di Mineo. Per battere gli scafisti che sfruttano i migranti quando partono dalla Libia siamo disposti ad entrare in guerra, però non sappiamo cosa fare per disinnescare il meccanismo perverso e molto italico che sfrutta le stesse persone grazie alla complicità di funzionari, cooperative, politici nostrani e malavitosi. Il fatto è noto da tempo, da prima ancora che la procura di Roma scoperchiasse il marcio di "Mafia Capitale", con il tariffario a persona per aggiudicarsi il business immigrazione a colpi di mazzette. Già nel 2013, senza intercettazioni, le associazioni ragionavano sul fatto che il governo spendeva 1 milione e 800 mila euro al giorno per gestire la cosiddetta "emergenza" e che molti colossi dell'accoglienza (coop rosse e bianche) si stavano arricchendo in maniera quanto meno sospetta. Però, anche se arrivano in ritardo, le inchieste fanno sempre rumore. E adesso anche l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) si è accorto che la proverbiale incapacità di accoglienza dell'Italia non dipendeva da pittoresche inadeguatezze. "Il prezzo di questo scandalo - sottolinea l'Unhcr - è pagato soprattutto da persone in fuga da guerre e persecuzioni, nei confronti dei quali esiste un obbligo legale e morale di assistenza e protezione. È fondamentale quindi che sia rispettata una gestione dell'accoglienza che sia trasparente, coerente e in linea con standard qualitativi adeguati, e che contenga inoltre forti garanzie per impedire che individui senza scrupoli possano trarre profitto da risorse destinate ai più vulnerabili". Laurens Jolles, delegato dell'Unhcr per il sud Europa, aveva già denunciato più volte la gestione dei centri per rifugiati in Italia e l'inadeguatezza dei servizi offerti. Ma questa volta ci è rimasto più male del solito: "Pensavamo che tali situazioni dipendessero da inadeguatezze a livello locale, è estremamente preoccupante apprendere che spesso dipendono da un sistema di protezione ampio e strutturato". L'associazione adesso chiede all'Italia di strutturare un monitoraggio costante delle condizioni di accoglienza che permetta di scoprire eventuali infrazioni, e invita il governo ad inserire questa pianificazione nella Direttiva Europea sull'accoglienza, sulla quale le Commissioni parlamentari dovranno pronunciarsi al più presto. Meno sorpreso di Jolles è il presidente dell'Arci Sicilia Salvo Lipari. "Abbiamo più volte denunciato - spiega - che la ripetuta gestione in emergenza dell'accoglienza rischiava di innescare un meccanismo corruttivo e criminale e, fatto altrettanto grave, di affidamento della gestione delle strutture a gente priva di scrupoli, senza esperienza e interessata solo agli affari". Lipari torna a chiedere la chiusura del Cara di Mineo, il simbolo del business sulla pelle dei migranti, lo stesso per cui ieri è stato coinvolto il sottosegretario all'Agricoltura Castiglione (Ncd). È indagato dalla procura di Catania per turbativa d'asta sull'appalto per la gestione di quel centro. Il più grande (e redditizio) d'Europa. Svizzera: approvato il trattato con il Brasile sul trasferimento dei condannati news.admin.ch, 6 giugno 2015 I detenuti svizzeri e brasiliani potranno in futuro scontare il resto della loro pena detentiva nello Stato di origine. Venerdì il Consiglio federale ha approvato un trattato con il Brasile sul trasferimento dei condannati, autorizzandone la firma. Il trattato riprende i principi della Convenzione europea sul trasferimento dei condannati e quindi la sua conclusione è di competenza del Consiglio federale. La Convenzione bilaterale sul trasferimento dei condannati persegue anzitutto uno scopo umanitario e intende agevolare il reinserimento sociale dei detenuti dopo la loro scarcerazione. Entrambi gli Stati possono acconsentire all'esecuzione di una pena straniera, ma non sono obbligati a trasferire il condannato, al quale la Convenzione non conferisce un diritto di scontare la pena in patria. Il trasferimento presuppone il benestare dello Stato che emette la condanna e di quello di origine, nonché il consenso del detenuto. Diversamente dal Protocollo addizionale alla Convenzione europea sul trasferimento dei condannati, il trattato bilaterale non prevede la possibilità di trasferire un detenuto nel suo Paese d'origine contro la sua volontà. Iraq: è morto in prigione Tareq Aziz, l'ex ministro degli esteri di Saddam Hussein Corriere della Sera, 6 giugno 2015 L'ex ministro degli esteri, cristiano, è deceduto a 79 anni per un attacco cardiaco. Tareq Aziz, l'ex ministro degli Esteri e vice premier cristiano iracheno durante il regime di Saddam Hussein, è morto a 79 anni per un attacco cardiaco. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazira. Fu, secondo molti, "il volto umano" del regime del rais, immancabile al suo fianco ai tempi della Prima Guerra del Golfo e anche nella seconda. Alter ego di Saddam nei viaggi all'estero, si fece riprendere con tutti i leader del mondo. Nel 2003, caduto Saddam, venne arrestato. Inizialmente condannato a morte, la sentenza venne sospesa dopo le pressioni dell'Unione Europa.Aziz è deceduto in un ospedale di Nassiriya: era stato trasferito nella struttura dal carcere della città dove era detenuto. La sua carriera politica iniziò nel 1968: in quell'anno, Michael Yuhanna, il suo vero nome poi arabizzato in quello di Tareq Aziz, si trasferì con la famiglia a Baghdad, dove iniziò a militare nel partito di governo Baath. E così Aziz passò dalla professione di giornalista a quella di ministro dell'Informazione, una carica tra le più delicate in un regime `impenetrabile´ come quello iracheno. Divenne poi ministro delli Esteri, di fatto numero due del regime, fino alla caduta nel 2003. Aziz è morto dunque in prigione, dove si trovava da 12 anni. Nel 2003, infatti, era stato arrestato dopo l'invasione delle truppe anglo-americane e la caduta di Saddam Hussein. Nel 2010 era stato condannato a morte per `crimini contro l'umanità´, ma Aziz non era stato giustiziato perché l'allora presidente Jalal Talabani non aveva firmato l'ordine di esecuzione. Numerosi Paesi, oltre al Vaticano, hanno più volte chiesto a Baghdad di concedere la grazia all'anziano ex vice premier, che però non è più stato rilasciato. Nel 2013 Aziz si era rivolto al Papa perché potesse essere giustiziato presto e metter così fine alle sue sofferenze.