Giustizia: nessuna circostanza giustifica la tortura di Claudia Micciché huffingtonpost.it, 30 giugno 2015 "Il nostro ruolo non è punire. La punizione è la sentenza di prigionia: sono stati privati della loro libertà. La loro punizione è che adesso sono con noi" cosi dichiara Nils Öberg, direttore di una prigione Svedese, durante un’intervista a The Guardian nel 2014. Nel periodo della giornata mondiale contro la tortura, purtroppo, si legge sempre più di torture psicologiche e fisiche subite dai detenuti nelle prigioni in Europa cosi come nel resto del mondo. Nel dicembre del 1984 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Ai sensi dell’art 19 della Convenzione, "gli Stati Parti presentano al Comitato, tramite il Segretario Generale delle Nazioni Unite, delle relazioni sulle misure da loro adottate al fine di dare esecuzione ai loro impegni in virtù della presente Convenzione". Secondo il rapporto dell’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (Omct) in occasione della 5° sessione del Comitato Onu contro la tortura, in Nuova Zelanda persistono casi di maltrattamenti di donne nelle carceri perché appartenenti ad una minorità indigena (maori). In Italia, secondo il Rapporto dell’associazione Antigone, (l’osservatorio che dalla fine degli Anni 80 si occupa della condizione dei penitenziari italiani), il numero delle carceri ha avuto una lieve diminuzione, ma purtroppo il sovraffollamento persiste. Si ricorda anche la recente condanna da parte della Corte europea dei diritti umani sui fatti accaduti alla Diaz durante il G8 di Genova, ove si parlò di reato di tortura. In questo scenario, non è facile passare in rassegna le torture inflitte ai detenuti, ma si vuole per lo più dare voce ai segnali positivi di apertura verso un cambiamento. In Tunisia, il Ministero dei Diritti Umani e della Giustizia transazionale ha elaborato, in seguito a delle visite di esperti internazionali presso alcune prigioni tunisine, delle linee guida (un aide-memoire) per la realizzazione delle visite nelle prigioni al fine di migliorare la governance del sistema penitenziario. Una sorta di manuale che si ispira ai trattati internazionali, che tiene in considerazione i bisogni delle carceri femminile in linea con i Regolamenti di Bangkok delle Nazioni Unite. Ritornando alla Svezia, secondo lo stesso articolo di The Guardian, il numero delle prigioni è diminuito da 5.722 a sole 4.500 nel 2014. Un dato indicativo che porta a riflettere sull’approccio svedese nella gestione delle carceri. Un detenuto è infatti considerato come una persona che "deve essere reintegrato nella società con una forma psico-fisica migliore di come è entrato" secondo lo stesso Öberg. Le note di "Il Cielo in una stanza" di Mina non accompagneranno i detenuti in prigione, ma di certo siamo tutti sotto lo stesso cielo. In ciascuno paese, siamo collegati, apparteniamo allo stesso stato e viviamo di leggi comuni. Un approccio all’avanguardia come quello svedese, non è di facile traduzione in termini giuridici e nella gestione quotidiana delle carceri, ma in Svezia è vincente. Questo non vuol dire che sia un modello facilmente trasferibile in altri Paesi con un contesto socio-economico e culturale completamente diverso, ma potrebbe essere un buon esempio a cui ispirarsi. Giustizia: i "braccialetti elettronici" sono finiti, detenuti in lista d’attesa per i domiciliari di Emilio Randacio La Repubblica, 30 giugno 2015 Doveva essere uno strumento per svuotare le carceri. O, almeno, per permettere a una parte dei quasi 60mila detenuti italiani (capacità massima di 48mila), di trascorrere la propria detenzione agli arresti domiciliari. Ma il braccialetto elettronico, in realtà, spesso è indisponibile, o per ottenerlo i legali di condannati o indagati devono mettersi in una sorta di vera e propria lista d’attesa. Le richieste - secondo quando risulta informalmente - sarebbero esattamente il doppio - circa 4 mila - rispetto alla attuale disponibilità a livello nazionale. Il caso più clamoroso è successo a Brescia, il 23 maggio scorso. Quando i giudici del Tribunale del Riesame gli arresti domiciliari a Francesco D. S. li avrebbero anche concessi. Accusato insieme a un complice di "furto pluriaggravato di un Pc marca Apple", l’indagato - difeso dall’avvocato Barbara Indovina - è anche affetto da Hiv, oltre ad avere una lunga sfilza di precedenti per lo stesso tipo di reato. Eppure, i giudici bresciani non sono stati in grado di trovare un braccialetto elettronico. "Astrattamente - scrivono nel loro provvedimento - il pericolo di reiterare condotte analoghe potrebbe essere salvaguardato con gli arresti domiciliari accompagnati dai dispositivi elettronici di controllo". Astrattamente, appunto. E qui, lo stesso collegio presieduto da Michele Mocciola evidenzia come "si è già avuto modo di rimarcare in passato, con una nota del giugno 2014 il ministero ha diffuso una comunicazione in cui il capo della polizia dava conto della sopravvenuta indisponibilità dei "braccialetti elettronici". I giudici, nonostante la segnalazione di ormai un anno fa, hanno comunque "contattato il concessionario dei braccialetti che ha precisato - alla data odierna - che nessuno dei complessivi 2.000 dispositivi elettronici di controllo fosse disponibile". Da qui il rigetto della misura alternativa al carcere. E Francesco - paradossalmente - pur potendo ottenere una misura di detenzione più lieve, resta dal momento del suo arresto - a fine marzo - ancora in una cella. Un’eccezione quella che sta coinvolgendo Francesco D.S.? Non sembra proprio. Un mese fa, questa volta il gip di Milano Luigi Gargiulo revoca la detenzione in carcere a Cristiano S., arrestato per bancarotta fraudolenta e, in un’altra indagine, per presunti legami con una cosca della ‘ndrangheta. Secondo Gargiulo, le esigenze cautelari erano venute meno, nonostante un parere negativo della procura. Obbliga l’applicazione del sistema elettronico, ma da Telecom- la società che gestisce il servizio per il ministero per 2.000 braccialetti in tutta Italia per un compenso, secondo i dati del 2013, intorno ai 9 milioni di euro - arriva la risposta: attualmente non ce ne sono disponibili. Per ottenere il provvedimento e il braccialetto serviranno venti giorni d’attesa, con il legale dell’indagato che si mette sostanzialmente "in coda", in una sorta di lista d’attesa nella speranza che nel minor tempo possibile il marchingegno torni disponibile. "Non è un’eccezione", garantisce l’avvocato Gabriele Minniti, consigliere dell’Ordine milanese. "In alcuni casi se il braccialetto non è disponibile nel momento in cui il giudice adotta il provvedimento, c’è perfino il rischio di perdere definitivamente la possibilità di ottenerlo anche in futuro". "Questa inaccettabile situazione non è certo colpa dei giudici che applicano la legge - conclude Minniti, ma di chi non ha messo a loro disposizione un numero sufficiente di braccialetti". A quanto risulta a Repubblica, Telecom avrebbe più volte segnalato il problema al Viminale e ai vertici della polizia. Il ministero starebbe cercando una soluzione da mesi, ma al momento il numero di 2.000 dispositivi resta fermo. Per fare capire come qualcosa non funzioni ancora per evitare il sovraffollamento carcerario, basta citare un dato estero. Nel solo Regno Unito, i braccialetti elettronici funzionanti, sono infatti 23mila. Giustizia: diffamazione sul web, la legge dell’impunità di Valeria Pacelli Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2015 Multe più salate per i cronisti, ma la giustizia non è altrettanto severa con chi denigra via mail o sui social network. "Una legione di imbecilli", così Umberto Eco ha definito il web, parlando anche di una serie di bufale incontrollate. E se qualcuno fosse d’accordo, leggendo le sentenze degli ultimi anni, dovrebbe dire "imbecilli e denigratori" per la miriade di offese sui vari siti. Chi insulta spesso cela la propria identità dietro un nickname e questo tante volte basta per evitare una condanna per diffamazione. Firmarsi con uno pseudonimo sembra conferire una sorta di impunità. Anche se la denuncia c’è, identificare il soggetto è sempre più difficile: le sedi legali di molti siti si trovano all’estero e le rogatorie dei pm per ottenere informazioni restano spesso senza risposta. Così l’indagine risulta costosa e inutile, quindi il caso è archiviato. Ogni giorno le Procure italiane vengono inondate di denunce per diffamazione sul web. E se da un lato è in via d’approvazione una riforma che punisce con pene pecuniarie più salate (eliminando il carcere) editori e giornalisti della carta stampata; dall’altro rimane l’apparente vuoto normativo sulla diffamazione via internet. L’orientamento di numerose Procure, anche di quella romana che ha inserito questo principio in tante richieste di archiviazione, si chiama "desensibilizzazione oggettiva". Si applica al web la stessa della politica in base alla quale non sussiste il delitto di diffamazione perché l’utilizzo di termini pungenti (non però volgari e gratuitamente offensivi) viene inteso nella dimensione pubblica del destinatario e del personaggio. Così l’agorà telematica diventa come quella politica. Ma vediamo, attraverso qualche caso, la giurisprudenza sulla diffamazione sul web. Uno dei principi stabiliti dalla Cassazione esclude la punibilità dei direttori dei giornali on line e dei gestori di blog o forum quando ospitano insulti nei commenti degli utenti. Possono essere processati per i messaggi offensivi solo quando c’è un diretto concorso per diffamazione, non più per omesso controllo come accade ai direttori dei giornali. È successo ad esempio nel 2010 all’amministratore di un blog di Varese "Amici di Beppe Grillo": è stato assolto dal reato di diffamazione, dopo che una persona lo aveva denunciato per un commento offensivo sul sito. Questo principio viene applicato non solo ai blog, ma anche ai forum: l’ingente massa di commenti non è gestibile. La Cassazione si è anche pronunciata sulle email denigratorie inviate dagli internet point. Una sentenza del 2008 afferma che non vi è responsabilità penale dei gestori dei punti internet per non aver impedito l’invio di quelle email. Il gestore quindi non è perseguibile per omesso controllo. È il caso che ha avuto come protagonista il padre di Striscia la Notizia, Antonio Ricci, dopo alcune mail diffamatorie ricevute sulla posta del Gabibbo. Era stato denunciato anche il gestore di un internet point di Perugia che non aveva registrato la persona che aveva usato il pc dal quale erano state mandate la email. La Cassazione non però ha affermato che non si poteva condannare per omesso controllo, si trattava solo di violazione amministrativa. Altra questione interessante è quella dei nickname: oltre la difficoltà dell’identificazione, c’è un particolare orientamento per cui l’anonimato rende il messaggio diffamatorio meno autorevole. Personaggi pubblici o meno, tanti devono affrontare insulti ingestibili. E se Paola Ferrari nel 2012 ha annunciato di voler denunciare la piattaforma Twitter per le troppe offese, dopo la conduzione di Stadio Europa, Enrico Mentana, davanti a tanti insulti, è uscito dal mondo dei cinguettii. E così di fronte al "denigratore" sul web si è tutti un po’ impotenti. Giustizia: in Francia fermati due dirigenti di UberPop, chi vuole mettere agli arresti l’app di Stefano Montefiori Corriere della Sera, 30 giugno 2015 A tre giorni dalla violenta protesta dei tassisti parigini contro gli autisti concorrenti, due alti dirigenti di Uber sono stati interrogati e trattenuti per almeno 24 ore nei locali della "divisione repressione delinquenza stradale": è stata contestata loro l’"organizzazione illegale" di UberPop, l’applicazione per smartphone che mette in contatto cittadini e clienti dietro compenso. tassisti francesi prendono a sassate gli autisti concorrenti e i poliziotti, bruciano pneumatici e bloccano le strade per l’aeroporto, e in custodia cautelare ci finiscono i dirigenti di Uber. Tre giorni dopo la protesta violenta contro la società californiana, ieri sono stati convocati, interrogati e trattenuti - per almeno 24 ore - Thibaud Simphal, direttore generale di Uber France, e Pierre- Dimitri Gore-Coty, general manager di Uber per l’Europa occidentale. L’inchiesta è cominciata nel novembre scorso, ma è significativo che la richiesta di comparire per i due dirigenti sia scattata adesso, quando il governo risponde alla collera dei tassisti assecondandoli e ripetendo che "UberPop è illegale e va chiuso". Si tratta dell’offerta più economica all’interno del servizio Uber: grazie all’applicazione sullo smartphone, un cliente prenota il passaggio offerto da un comune cittadino, privo di formazione, assicurazione specifica e licenza, che si improvvisa autista. Lo fanno in migliaia a beneficio di oltre 400 mila clienti in tutta la Francia ma i vertici dello Stato, dal presidente Hollande al premier Valls al ministro dell’Interno Cazeneuve, dicono che UberPop è concorrenza sleale perché ignora qualsiasi obbligo fiscale e contributivo: lavoro nero insomma. Uber replica da mesi con una serie di ricorsi sospensivi, allora i prefetti di 12 città francesi tra le quali Parigi hanno emanato dei decreti per fermare immediatamente l’attività di UberPop. Ai due dirigenti Uber, interrogati nei locali della "divisione repressione delinquenza stradale", è stata contestata l’organizzazione illegale che mette in relazione cittadini e clienti e anche la "conservazione illegale di dati personali", legata al fatto che tutto il sistema si basa sull’applicazione per lo smartphone. "Siamo sempre felici di rispondere alle domande che le autorità ci pongono a proposito del nostro servizio - ha detto Benedetta Arese Lucini, general manager Uber in Italia - e non vediamo l’ora di risolvere queste questioni. Nel frattempo garantiamo la sicurezza dei nostri utenti e dei nostri conducenti, dopo i disordini della settimana scorsa in Francia". Frecciata che allude al discutibile tempismo dell’operazione. Il governo francese è giustamente preoccupato di fare valere le leggi, ma allo stesso tempo sarebbe forse chiamato a uno sforzo di immaginazione in più. L’innovazione tecnologica non può essere cancellata per decreto, e poi la situazione attuale è assai poco difendibile: i tassisti - pochi rispetto ai bisogni del mercato e costosi - da anni impediscono la concessione di nuove licenze, e a Parigi lavorano in una situazione di sostanziale monopolio (le due compagnie apparentemente rivali, Taxis G7 e Taxi Bleus, fanno capo a una stessa persona, "il re dei taxi" Nicolas Rousselet). Ad aggiungere un po’ di grottesco, uno dei protagonisti della vicenda è il deputato Thomas Thévenoud, relatore della contestata legge che a gennaio ha dichiarato illegale UberPop (un anno di prigione, 15 mila euro e confisca del veicolo). Thévenoud è stato espulso dal Partito socialista quando si è scoperto che - per anni - non ha pagato le tasse, le multe dell’auto, le fatture mediche e l’affitto di casa ("ho la fobia amministrativa", ha spiegato); il 1° giugno scorso il fisco lo ha denunciato per frode. Thévenoud è ancora deputato, e ieri si è fatto mediatore promuovendo un incontro tra tassisti e società di auto con conducente. Uber però non l’ha invitata, "non rispetta le regole". Giustizia: gli arresti di UberPop forzatura pro tassisti, così la app fuorilegge farà proseliti di Massimo Sideri Corriere della Sera, 30 giugno 2015 Alla fine degli anni Novanta, quando Internet era poco più di una sottocultura, la Polizia non sapendo come fare per fermare i primi siti online che infrangevano qualche regola arrivava in diversi Paesi a mettere delle catene intorno ai server sequestrati dalla magistratura. Chiaramente i computer continuavano a funzionare, ma il fenomeno era nuovo e la reazione era comprensibile: le leggi trattavano le prime web company come le fabbriche pensando che bastasse chiudere i cancelli per fermarle. Da allora la consapevolezza dovrebbe essere aumentata mentre l’arresto ieri di una "app" in Francia - nelle persone di Thibault De Saint-Phalle e Pierre-Dimitri Gore-Coty, i due responsabili locali di UberPop - rischia ora di ricreare quel senso di ridicolo: catene per server. La vicenda della app più odiata dai tassisti che permette a chiunque di usare la propria automobile per offrire un servizio di trasporto "pubblico" è nota anche in Italia dove la magistratura l’ha bloccata di recente. Il caso è complesso e non può essere banalizzato. Una cosa è Uber che utilizza solo i noleggi con conducente, un’altra UberPop che ridisegna il panorama del servizio e richiede ragionamenti condivisi. Va bene. Ma già ora si possono trarre alcune conclusioni: la Prefettura parigina è intervenuta dopo le violente proteste dei tassisti nei giorni scorsi. Per chi se le fosse perse si è trattato di scene da western con violente aggressioni, anche ai danni dei clienti del servizio. Solo che Uber non è il Cattivo e i tassisti non sono Clint Eastwood. Secondo una classifica del Wall Street Journal il lavoro più pericoloso del mondo, ancor prima che il pompiere o il poliziotto, è quello al Cirque du Soleil. Se continua così la classifica andrà aggiornata a sfavore di Uber. Il risultato è che ogni volta che una notizia così si diffonde la simpatia per la App tende a crescere, la pubblicità, di fatto, aumenta e il partito di Uber fa proseliti. Giustizia: da oggi il processo prende il via con atti presentati online Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 30 giugno 2015 Da oggi via libera al deposito telematico dell’atto introduttivo o del primo atto difensivo e dei documenti offerti in comunicazione. È questo l’intervento forse più significativo introdotto dal decreto legge n. 83 del 2015 sul versante del processo civile digitale, quello che risolve una delle maggiori criticità affiorate in questo primo anno di applicazione su larga scala del canale telematico nelle aule dei tribunali. A venire alla luce, infatti, è stata sinora un’assoluta difformità interpretativa, da tribunale a tribunale, sulla possibilità di ammettere il deposito telematico di atti diversi da quelli il cui deposito è invece obbligatorio. Se in alcune sedi giudiziarie questo è stato possibile, in altre, le pronunce hanno, di volta in volta, dichiarato casi di inesistenza, inammissibilità, irricevibilità. Determinante l’attribuzione o meno da parte della Dgsia del ministero della Giustizia (la Direzione generale dei sistemi informativi automatizzati) del valore legale al deposito degli atti. Valutazione della Direzione che però doveva essere circoscritta all’installazione e idoneità delle strutture informatiche di cui l’ufficio giudiziario è dotato. Con la disposizione si risolve l’incertezza, restituendo uniformità all’applicazione della giustizia digitale: il deposito infatti dovrà sempre essere ammesso anche per quegli atti per i quali non esiste un vero e proprio obbligo. L’altra norma di giustizia digitale introdotta dal decreto è rappresentata dall’attribuzione ai difensori o ai dipendenti di cui la pubblica amministrazione si avvale per stare in giudizio personalmente del potere di attestare la conformità delle copie informatiche per immagine agli originali su supporto analogico degli atti introduttivi utilizzati per la notifica. La norma consente così di sgravare le cancellerie dalle attività di rilascio di copie e gli avvocati dall’onere di recarsi in cancelleria per la relativa richiesta di copia con finalità di notifica. La versione finale del decreto legge, sottoposto peraltro a numeroso aggiustamenti, conferma infine lo slittamento di 6 mesi dell’entrata in vigore del processo amministrativo telematico che adesso scatterà da 1° gennaio 2016. Confluiscono nel decreto anche le autorizzazioni sulle nuove risorse, frutto degli impegni già annunciati più volte dal ministro della Giustizia Andrea Orlando per quanto riguarda gli interventi necessari per il completamento del Pct, che ammontano a quasi 45 milioni di euro per il 2015, a 3 per il 2016, 2 per il 2017 e 1 milione a decorrere dal 2018. Giustizia: il trust è più attaccabile, pignoramento (senza sentenza) se il bene è sottratto di Antonio Ciccia Italia Oggi, 30 giugno 2015 Il decreto 83/2015 su giustizia civile e fallimenti dà una stretta alle manovre elusive. Il trust e il fondo patrimoniale più attaccabili. Diventa più facile per il creditore ribaltare vincoli di destinazione su immobili. E anche le donazioni. Eventuali manovre protettive del patrimonio (ma potenzialmente elusive delle ragioni dei creditori) devono fare i conti d’ora in avanti con le disposizioni del decreto legge 83/2015 (pacchetto giustizia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2015). Vediamo di illustrare le nuove norme. Il provvedimento d’urgenza introduce l’articolo 2929-bis del codice civile, dedicato alla espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito. In base alla nuova disposizione il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. Vediamo gli effetti. Il creditore ha un anno di tempo dalla data di trascrizione del vincolo di indisponibilità o della donazione per fruire di un percorso agevolato. Può far pignorare l’immobile o il bene mobile registrato (un autoveicolo) anche senza avere ottenuto la revocatoria dell’atto. Stando al nuovo articolo 2929 bis del codice civile bastano questi elementi: 1) avere un titolo esecutivo; 2) un atto del debitore successivo al sorgere del credito; 3) presenza di un atto pregiudizievole, consistente in un vincolo di indisponibilità o in un atto a titolo gratuito; 4) trascrizione del pignoramento entro l’anno. Questi elementi evitano al creditore di dovere agire per la revocatoria, la quale sarà a disposizione del creditore se non ricorrono uno o più degli elementi sopra richiamati. Quanto al carattere pregiudizievole dell’atto, esso va rinvenuto nel fatto della sottrazione di un bene all’aggressione in via esecutiva da parte del creditore. Il nuovo articolo dettaglia anche le modalità per l’ipotesi di atto di alienazione pregiudizievole: il creditore promuoverà l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario. Se si tratta di un vincolo di indisponibilità, gli atti dell’esecuzione saranno indirizzati al debitore. In sostanza si da la precedenza al creditore, che non deve sobbarcarsi costose cause per fare revocare l’atto pregiudizievole: potrà pignorarlo subito. Certo non vengono meno le possibilità di tutela per il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo. Ma un conto è dire al creditore di fare causa per far rientrare il bene nella cerchia di quelli pignorabili, altro conto è presupporre la possibilità di pignorare, salvo opposizione. In effetti la nuova norma concede al debitore, al terzo assoggettato a espropriazione e ad ogni altro interessato alla conservazione del vincolo la possibilità di proporre le opposizioni all’esecuzione quando contestano la sussistenza dei presupposti della esecuzione sprint, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore. Sarà la giurisprudenza ad approfondire, valorizzandolo o svilendolo, l’elemento soggettivo della consapevolezza sa parte del debitore del danno che si provoca agli interessi del creditore. La novità si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. È da ritenere che trascorso l’anno, il creditore abbia pur sempre la possibilità di agire con l’azione revocatoria (articolo 2901 del codice civile): questo significa che deve prima ottenere la sentenza dichiarativa dell’inefficacia e, solo dopo, può iniziare le azioni esecutive. Lettera aperta al Ministro della Giustizia: Stati Generali sull’esecuzione penale di Alessandro Bruni (Sipp - Società Italiana Psicologia Penitenziaria) Ristretti Orizzonti, 30 giugno 2015 Ill.mo Ministro, vista l’impossibilità ad avere fino ad oggi una sua risposta alle nostre mail (19 maggio, 12 e 20 giugno) sulla proposta di partecipare ai Tavoli degli Stati Generali, le scriviamo in forma aperta sperando di avere miglior fortuna. Abbiamo partecipato, grazie al suo invito, alla presentazione degli "Stati Generali" a Bollate e le confermiamo l’apprezzamento per l’iniziativa. Dopo la partecipazione alla "presentazione" degli Stati Generali" ci aspettiamo di poter partecipare anche allo "svolgimento" dei lavori che si terranno nei diversi Tavoli: non si tratta di un atto di presunzione, ma siamo l’unica società scientifica che si occupa di psicologia penitenziaria i cui componenti lavorano sul campo da decenni. Il nostro eventuale contributo, se gradito, sarà legato esclusivamente all’esperienza maturata in ambito penitenziario e al contributo scientifico della psicologia per migliorare l’esecuzione della pena. Ci siamo costituiti da quasi quindici anni nella Società Italiana di Psicologia Penitenziaria (SIPP), dopo esperienze di vari coordinamenti nazionali, proprio per poter elaborare il contributo della psicologia nell’esecuzione della pena ed abbiamo anche prodotto le linee guida Elementi etici e deontologici per lo psicologo penitenziario nella consapevolezza della complessità e delicatezza del campo penitenziario. L’esperienza maturata in 35 anni ha oramai permesso di verificare ipotesi, definire contenuti e strumenti che caratterizzano la psicologia penitenziaria, dandole confini ed identità propri. Essa riguarda la psiche dell’individuo, ma anche le sue relazioni nei gruppi, nelle istituzioni e l’istituzione stessa. La psicologia penitenziaria costituisce un patrimonio di conoscenze e uno strumento a disposizione di utenti ed operatori: diagnosi e trattamento psicologico finalizzati alla tutela della salute psichica e al trattamento penitenziario per i detenuti; formazione e contenimento del rischio di burnout per gli operatori. Per quanto riguarda le questioni specifiche ancore aperte relative al lavoro degli psicologi penitenziari "esperti ex art, 80" (monte ore, contratti, circolari, recente sentenza del Tar, ecc.) riteniamo che esse debbano essere affrontate, se possibile a breve, in un apposito incontro per raggiungere la miglior soluzione possibile e non nei "Tavoli", tanto per essere chiari, dove vogliamo offrire solo il contributo della psicologia. Nel rinnovare il ringraziamento per l’invito alla presentazione degli "Stati Generali" e l’apprezzamento convinto per l’iniziativa che lei ha attivato e che potrà segnare un svolta positiva per tutto il sistema dell’esecuzione penale (detenuti, operatori e società), rimaniamo in attesa di una sua risposta positiva. Non le nascondiamo che sarebbe veramente curioso non coinvolgere che si occupa di interventi psicologi in carcere da circa 35 anni: in questi giorni molti psicologi penitenziari ci pongono la stessa considerazione alla quale siamo incapaci di rispondere. Un saluto cordiale. Sardegna: Sdr; interrogazione dell’On. Paola Pinna su territorialità pena e uso di Skype Ristretti Orizzonti, 30 giugno 2015 "La territorialità della pena, la presenza in Sardegna di un crescente numero di detenuti stranieri nonché l’opportunità di attivare un sistema di telecomunicazione tipo skype per favorire i rapporti tra ristretti e familiari, problematiche segnalate in più occasione dall’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sono state evidenziate in un’interrogazione al Ministro della Giustizia dalla deputata di Scelta Civica Paola Pinna. Nel documento si sottolineano anche le questioni relative al sovraffollamento detentivo e all’inattività dei cittadini privati della libertà". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Sdr, sottolineando "il puntuale richiamo di criticità purtroppo croniche". Nell’interrogazione - precisa Caligaris - vengono ricordate le diverse circolari con cui il Ministero della Giustizia sostiene la funzione rieducativa e risocializzante della pena detentiva aspetto che tuttavia contrasta con il mancato rispetto della regionalizzazione della restrizione della libertà. Un particolare spazio è riservato al problema del lavoro dentro e fuori dagli Istituti Penitenziari, alle difficoltà di accogliere le domande di trasferimento nonché alla mancata elezione del Garante dei Detenuti, istituito anche con legge regionale della Sardegna. Il tema della territorialità della pena, in particolare, sarà oggetto del question time alla Camera mercoledì 1 luglio. Umbria: l’Ordine forense onlus, solidarietà tra avvocati, guardando anche ai bisognosi giornaledellumbria.it, 30 giugno 2015 Presentata l’associazione Ordine Forense Onlus per l’assistenza ai professionisti (e ai familiari) in difficoltà, con un occhio anche ai cittadini con problemi economici o di salute. Il 3 luglio cena-evento per raccogliere offerte. "L’Ordine e la Cassa forense hanno sempre sostenuto i professionisti in difficoltà, ma non sempre gli strumenti a disposizione potevano fronteggiare l’emergenza. Non sempre è stato possibile usufruire di quella riserva che l’Ordine aveva per questi casi. Per questo abbiamo pensato ad un’associazione che potesse intervenire in maniera immediata nei casi di bisogno socio-sanitario di colleghi e familiari". Sono le parole utilizzate dall’avvocato Carlo Orlando, già presidente dell’Ordine perugino, consigliere del Cnf e presidente dell’associazione Ordine forense onlus. Gli avvocati non sono più la categoria ricca di un tempo. Lo si percepisce scorrendo le statistiche che riguardano gli abilitati alla professione e anche ascoltando i discorsi nelle aule di tribunale tra gli appartenenti alla categoria. E lo si capisce anche dalla decisione di creare un’associazione che possa sostenere i professionisti in difficoltà attraverso il 5x1000. L’Ordine forense onlus di Perugia è "un’associazione non riconosciuta e senza finalità di lucro, costituita nel dicembre 2014 per l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale, in favore di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali e familiari". La presentazione è avvenuta oggi, presso la sede dell’Ordine degli avvocati di Perugia con il presidente l’avvocato Carlo Orlando, unitamente al presidente dell’Ordine Gianluca Calvieri e ad altri soci fondatori. Il 3 luglio si svolgerà, invece, il primo incontro pubblico, presso il Golf Club di Santa Sabina, "aperto non solo agli iscritti ma a tutta la cittadinanza ed i cui proventi saranno interamente devoluti ad associazione Ordine forense onlus di Perugia". La decisione di fondare un’associazione "è stata determinata dal fatto che troppo spesso il Consiglio, per esigenze di bilancio o per mancanza dei requisiti prescritti dalla normativa della Cassa forense per i soggetti in stato di bisogno, si è trovato nell’impossibilità di poter accogliere le richieste di aiuto provenienti dai propri iscritti o dai loro familiari" ha riferito il presidente dell’Ordine, l’avvocato Gianluca Calvieri, mentre attraverso la raccolta delle offerte del 5x1000 "il Consiglio spera di assicurare alla onlus una dotazione sufficiente a soddisfare gli obiettivi prefissati". Anche perché la cifra donata quest’anno sarà fruibile solo fra tre anni. "L’iniziativa si inserisce nel solco di una lunga tradizione dell’Ordine e della Cassa - ha proseguito Calvieri. L’assistenza era limitata agli iscritti e ai familiari. C’era una piccola riserva destinata ad aiuti socio-sanitari e difficoltà economiche temporanee. Non bastava più. Il fondo era stato istituito per ricordare il collega Gianluca Segaricci, deceduto in un incidente stradale". I dati di questa catastrofe economica delle toghe disegnano un quadro allarmante e fanno emergere un lato in penombra della professione: il reddito medio di un avvocato, nel corso degli ultimi 15 anni, si è ridotto del 15%. Secondo alcune stime (ufficiose), si arriverebbe addirittura ad un crollo del 50%. Se nel 1985 gli iscritti all’Ordine di Perugia erano poco meno di 500, adesso il numero di avvocati supera i 2mila. Sono già diversi i casi di avvocati che non riescono più ad esercitare la professione, soprattutto per problemi di salute, e che si trovano in gravi difficoltà. Secondo le stime della Cassa forense oltre 500 avvocati umbri, nel 2012, hanno fatturato zero e risultano improduttivi. Mentre Il 10% degli avvocati umbri è a rischio cancellazione dall’albo professionale per mancato pagamento del contributo alla cassa previdenziale di categoria. "L’attività assistenziale dell’associazione non si fermerà solo ai colleghi - ha ripreso l’avvocato Orlando - ma sarà estesa anche a quei casi che ci verranno segnalati e che necessitano di sostegno. Chi volesse partecipare con un gesto di solidarietà, quindi, può associarsi, donare il 5x1.000 o fare donazioni e liberalità". "Il 3 luglio si svolgerà l’evento conviviale al Golf club - ha detto il consigliere Michele Nannarone. I costi vivi sono coperti da amici-sponsor. Il ricavato andrà all’associazione. In programma c’è un torneo di calcetto, a settembre, tra Ordini umbri o tra studi legali. Poi altre iniziative culturali". Firenze: detenuto di 55 anni muore nel carcere di Sollicciano, già otto i decessi nel 2015 Corriere Fiorentino, 30 giugno 2015 Un detenuto italiano di 55 anni è morto domenica nel carcere di Sollicciano. La causa del decesso sarebbe per overdose, almeno stando alle prime ricostruzioni dell’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, il cui segretario generale Leo Beneduci ieri ha dato notizia della morte. Il detenuto era in trattamento per tossicodipendenti e secondo il sindacato "aveva assunto da non molto tempo la prevista quantità di metadone e il malore che lo ha colto è assai probabile che sia stato provocato dalla contemporanea assunzione di altre sostanze come purtroppo già accaduto nello stesso carcere, in particolare nella limitrofa sezione femminile". Sarà l’autopsia disposta dal pm di turno Luca Turco a chiarire le cause della morte, che porterebbe a 8 il numero di decessi a Sollicciano da inizio anno, due per overdose: "È la più alta percentuale di decessi in cella sul territorio nazionale e non solo", sottolinea il segretario dell’Osap Beneduci che lancia così un allarme a cui si associa l’Associazione per l’iniziativa radicale "Andre Tamburi". "È innegabile che siamo davanti a un’emergenza alla quale il governo e il parlamento dovrebbero porre immediatamente rimedio per evitare di essere ulteriormente complici di questa strage di Stato - spiegano il segretario Maurizio Buzzegoli e il presidente Massimo Lensi - Se venisse confermata l’ipotesi di overdose, la circostanza assume connotati ancora più drammatici: com’è possibile che nel 2015 si possa ancora morire di overdose?". Un forte richiamo affinché si ponga fine al "triste primato di Sollicciano" arriva anche da Pantagruel, l’Associazione per i diritti dei detenuti che reclama "una maggiore attenzione delle Istituzioni. Il tasso di mortalità è solo il più drammatico segnale che richiede, non più rinviabili, interventi migliorativi della vita dei detenuti". Firenze: l’allarme dei Radicali "a Sollicciano si muore di overdose" di Alessio Polveroni Il Garantista, 30 giugno 2015 Un altro morto nel carcere fiorentino di Sollicciano. Un detenuto italiano, di 55anni, ha perso la vita domenica. È l’ottavo decesso nel penitenziario fiorentino dall’inizio dell’anno. Più di uno al mese. Il carcere toscano detiene il macabro primato nazionale per la più alta percentuale di decessi in cella. La notizia dell’ennesima tragedia consumata dietro le sbarre del carcere fiorentino, è stata diffusa dall’Osapp, (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), ieri mattina. Secondo il sindacato, l’uomo in trattamento per tossicodipendenti, aveva assunto da non molto tempo la prevista quantità di metadone. Il malore che lo ha stroncato con molta probabilità è stato provocato dalla contemporanea assunzione di altre sostanze, come già è avvenuto nello stesso carcere, in particolare nella sezione femminile. Nonostante, le continue segnalazioni sulle drammatiche condizioni del carcere di Sollicciano, spiega Leo Beneduci, segretario generale del sindacato, la vicenda "non sembrerebbe aver destato particolari preoccupazioni nei vertici locali, regionali e nazionali dell’amministrazione penitenziaria". "Si tratta probabilmente della seconda morte per overdose nel carcere di Sollicciano", hanno dichiarato Maurizio Buzzegoli e Massimo Lensi, rispettivamente segretario e presidente dell’Associazione per l’iniziativa radicale "Andrea Tamburi". "È innegabile - aggiungono - che questa situazione costituisca un’emergenza alla quale il governo e il parlamento dovrebbero porre immediatamente rimedio per evitare di essere ulteriormente complici di questa strage di Stato". A proposito del sospetto sulle cause sulla morte del detenuto, i due esponenti radicali hanno sottolineato che: "Se venisse confermata l’ipotesi di overdose, la circostanza assume connotati ancora più drammatici: com’è possibile che nel 2015 si possa ancora morire di overdose? Com’è possibile che questo avvenga proprio in carcere, quindi in custodia dello Stato?". Buzzegoli e Lensi, hanno concluso ribadendo la proposta radicale di amnistia e indulto: "Anche il Presidente emerito Napolitano nel suo messaggio alle Camere chiese al Parlamento di prendere in seria considerazione la possibilità dei provvedimenti di amnistia e indulto: gli unici in grado di ripristinare la Giustizia e lo Stato di Diritto nel nostro Paese". Poche settimane fa il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) aveva dato notizia di un’altra tragedia consumata nelle celle a Sollicciano. La notte del 30 marzo un detenuto, si era tolto la vita. L’uomo, 45 anni, originario del Piemonte, si è impiccato nella sua cella del reparto infermeria della casa circondariale. Stava scontando una lunga pena per vari reati tra i quali rapina, armi, furti. Però, proprio quella mattina il detenuto aveva avuto la notifica della fissazione della Camera di Consiglio per discutere il suo affidamento in prova ai servizi sociali. Un particolare, che ha destato ulteriore inquietudine, perché sembra chiaro che l’uomo abbia preferito una morte violenta al ritorno in società. L’ennesima riprova del fallimento del sistema carcerario nello svolgere la più alta funzione a cui è chiamato: la rieducazione e il reinserimento del detenuto nella vita civile. Donato Capece, segretario del Sappe, non a caso, aveva commentato la notizia facendo riferimento alla condizione carceraria. "In un anno la popolazione detenuta in Italia è calata di poche migliaia di unità". "Il 28 febbraio scorso erano presenti nelle celle 53.982 detenuti, che erano l’anno prima 60.828. La situazione nelle carceri italiane resta ad alta tensione: ogni giorno, i poliziotti penitenziari nella prima linea delle sezioni detentive hanno a che fare, in media, con almeno 18 atti di autolesionismo da parte dei detenuti, 3 tentati suicidi sventati dalla Polizia Penitenziaria, 10 colluttazioni e 3 ferimenti". Nei prossimi mesi la situazione del carcere di Sollicciano potrebbe persino aggravarsi. Come ha denunciato la Cgil, infatti, potrebbe avere conseguenze catastrofiche la decisione della regione Toscana che, in previsione dell’imminente chiusura dell’Ospedale psichiatrico di Montelupo, avrebbe intenzione di procedere con il trasferimento dei pazienti gravi nel carcere fiorentino. Sul futuro degli internati dell’Opg di Montelupo Fiorentino, la Cgil esprime "preoccupazione e forte perplessità per la soluzione individuata dalla Regione" perché "anziché risolvere un problema si rischia seriamente di crearne due". Salerno: detenuto malato di tumore senza cure "ho paura di morire" Il Mattino, 30 giugno 2015 Sarà presentata stamani dall’avvocato Bianca De Concilio, la richiesta di scarcerazione per Francesco Sorrentino il detenuto malato di tumore che nelle prossime ore sarà sottoposto ad un intervento radicale di asportazione della vescica. La sua patologia è grave: neoplasia vescicale ad alto grado istologico di malignità. Ma di questa malattia nessuno mai se n’era accorto. Anzi, anche quando lui chiedeva visite specialistiche, queste non gli sarebbero state concesse. Lo ha denunciato proprio il suo legale, qualche settimana fa, scatenando la reazione della procura e dell’Asl che hanno avviato delle indagini. "Ora vogliamo sapere a che punto sono queste indagini", commenta l’avvocato de Concilio. "Chiederò la scarcerazione per consentire al mio cliente di aver vicino la famiglia in questi momenti drammatici - continua - perché in questi giorni di ricovero i familiari hanno potuto vederlo solo un giorno alla settimana e per poco. Ora, invece, ha bisogno di assistenza e della sua famiglia, le sue condizioni peggiorano sempre più". Intanto, in una lettera indirizzata agli inquirenti, dopo aver ripercorso tutte le tappe del suo calvario, Sorrentino precisa dice "chiesto invano di essere curato" e di "aver paura di morire", denunciando: "non si possono trattare i detenuti come i cani". In sua difesa intervengono anche i Radicali. Donato Salzano ha inviato da una decina di giorni una lettera al sindaco Enzo Napoli per chiedere la convocazione ad horas del comitato di salute pubblica ma, al momento, è ancora in attesa di una risposta. Napoli: avvocato penalista arrestato… per un colloquio con un suo assistito di Giuseppe Parente Il Garantista, 30 giugno 2015 La Procura della Repubblica di Napoli ha chiesto e ottenuto gli arresti dell’avvocato penalista napoletano Vittorio Trupiano. Dopo un primo rigetto da parte del giudice per le indagini preliminari, prima il Tribunale del Riesame e poi la Corte di Cassazione hanno accolto le conclusioni investigative facendo scattare una misura cautelare. L’avvocato è stato presidente della Lista Trupiano-Movimento per la Difesa dei diritti umani, che propose un referendum per l’abrogazione del 41bis sostenuto anche da Forza Nuova, e poi fu candidato alle elezioni politiche del 2001, nel collegio Campania 1 dopo il capolista Raffaele Bruno, nelle file del Movimento sociale-Fiamma tricolore. Ora viene indicato come ambasciatore di un potente clan del Vomero, come "nuncius" (espressione del pm) dì un pezzo del crimine organizzato che punta a gestire ì servizi negli ospedali collinari. Concorso esterno in associazione a delinquere di stampo camorristico è l’accusa ipotizzata nei confronti del penalista partenopeo da parte del pubblico ministero Ivana Fulco e degli aggiunti Filippo Beatrice e Giuseppe Borrelli, in una vicenda investigativa caratterizzata da intercettazioni ambientali ricavate in una sala colloqui del carcere in cui si incontrava con un suo assistito, il boss Antonio Caiazzo. Vittorio Trupiano da qualche giorno è in carcere, a distanza di quindici anni da un altro arresto, per presunte collusioni con il clan Nuvoletta, vicenda per la quale è stato assolto nel corso dei tre gradi di giudizio. Ma la domanda da porsi è la seguente: perché un avvocato che sostiene un colloquio con un suo assistito viene qualificato come "nuncius" della camorra? Secondo la Procura della Repubblica partenopea il legale sarebbe entrato in gioco nel corso di una trattativa risalente al 2011 tra il clan Caiazzo ed il clan Lo Russo per la gestione del racket agli ospedali del Vomero. Nel corso del colloquio tra Trupiano e il suo assistito, sottoposto al regime carcerario del 41 bis, quest’ultimo avrebbe mostrato la mano a modo di pistola, con indice e pollice in bella evidenza. Poi viene indicata l’adozione di un linguaggio criptico, in cui l’avvocato si sarebbe assunto l’onore di mandare qualcuno al cospetto del clan Lo Russo per respingere le condizioni imposte dal gruppo criminale di Miano. Una trattativa criminale molto delicata, nella quale ognuno avrebbe avuto un ruolo. Trupiano avrebbe assunto appunto la qualifica di "nuncius" del clan Caiazzo. Una vicenda, nel corso della quale, ad onore del vero, l’avvocato si sarebbe reso disponibile a sostenere un interrogatorio al cospetto del pubblico ministero per sostenere la correttezza del proprio mandato difensivo e la totale estraneità rispetto a logiche squisitamente criminali. Secondo il giudice per le indagini preliminari Rovida, le intercettazioni raccolte dalla Procura non erano necessarie e sufficienti a giustificare l’arresto del legale, mentre Tribunale del Riesame e Cassazione hanno deciso di firmare l’arrestato dì Vittorio Trupiano. Una vicenda delicata ma anche gravissima, che non mancherà di suscitare prese di posizione da parte dell’avvocatura. Taranto: i Radicali Marco Pannella e Rita Bernardini oggi in visita al carcere "Magli" Agi, 30 giugno 2015 Proprio grazie alla collaborazione con il Tribunale di Sorveglianza - osserva Bernardini - Direttrice e Comandante sono riusciti a governare per anni e nel migliore dei modi il drammatico stato di sovraffollamento e le carenze strutturali dell’istituto tarantino che ancora persistono nonostante alcuni miglioramenti. "Mi dispiace che Brandimarte abbia deciso di lasciare anticipatamente il suo lavoro - ha dichiarato Rita Bernardini - ma lo comprendo: non deve essere facile da sopportare un impegno quotidiano portato avanti con grande professionalità e umanità quando si ha a che fare con un sistema, quello dell’organizzazione giudiziaria italiana, in cui la magistratura associata agisce in modo corporativo e autoreferenziale. Di una cosa sono certa: il dottor Brandimarte continuerà a dare il suo esemplare contributo al servizio dei principi costituzionali, troppo spesso ridotti a mera carta straccia dai rappresentanti delle istituzioni che dovrebbero invece incarnarli". Il leader radicale Marco Pannella e la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini parteciperanno domani alle ore 11 alla festa che si terrà all’interno del carcere di Taranto "Carmelo Magli" per "salutare con amicizia e affetto il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, Massimo Brandimarte, che ha deciso di lasciare con largo anticipo la magistratura, dopo 35 anni di servizio e 43 di lavoro complessivo", si legge in una nota. Pannella e Bernardini, invitati alla festa dallo stesso Brandimarte e dalla direttrice dell’istituto Stefania Baldassari, saranno presenti con un’ampia rappresentanza di militanti e dirigenti radicali pugliesi. In una lettera-email inviata all’indirizzario radicale pugliese Rita Bernardini ricorda come nelle visite di sindacato ispettivo da lei effettuate nelle carceri italiane, l’istituto di Taranto sia stato l’unico in cui i detenuti abbiano dimostrato di apprezzare il lavoro della magistratura di sorveglianza, rigorosa a rispondere senza ritardi a tutte le istanze e attentissima al percorso individualizzato di risocializzazione che per imperativo costituzionale deve essere assicurato ad ogni condannato. Trapani: carenze al carcere di San Giuliano, altra interrogazione al ministro di Luigi Todaro Giornale di Sicilia, 30 giugno 2015 Presentata dal senatore Santangelo sul personale di Polizia penitenziaria in servizio. Dopo la visita effettuata lo scorso 29 maggio presso la casa circondariale di San Giuliano, il senatore Vincenzo Maurizio Santangelo ha presentato al ministro della Giustizia, una nuova interrogazione, per segnalare la situazione delle carenze numeriche del personale di polizia penitenziaria in servizio nell’istituto. La Casa circondariale oltre ad essere stata sotto i riflettori per le segnalate carenze strutturali di alcune sezioni detentive, è stata messa sotto la lente d’ingrandimento per capire, perché, rispetto agli anni passati il personale in servizio e poco più di 242 unità, contro le 323 unità prevista in pianta organica. Tra l’altro, anche la media dell’età dei poliziotti penitenziari che oggi supera i 50 anni, sommata ad una serie sempre più numerosa di assenze per malattie; come depressione e patologie cardiocircolatorie; legate allo stress e ai carichi di lavoro sempre crescenti, determinano un quadro generale, sicuramente allarmante, per tutti coloro che operano dentro le mura della casa circondariale. Il problema è stato affrontato, da parte del senatore M5S Santangelo, durante la visita con i diretti interessati. Piacenza: "così abbiamo visto cambiare il carcere, i detenuti e il nostro lavoro" di Carmelo Esposito piacenza24.eu, 30 giugno 2015 Polizia penitenziaria, in pensione il commissario Esposito e l’ispettore Steri. In 40 anni la riforma del corpo, il nuovo carcere, il salvataggio dei suicidi. Hanno cominciato la carriera indossando le stellette, con un’organizzazione di tipo militare, hanno conosciuto i grandi criminali e i delinquenti comuni quando in cella ospitavano quasi esclusivamente italiani, hanno visto l’attuazione della riforma del Corpo che dava una nuova denominazione al Corpo, non più Agenti di Custodia, ma Polizia penitenziaria, hanno assistito alla sindacalizzazione del Corpo e hanno visto il carcere aprirsi alla società esterna con l’ingresso degli "esperti" educatori, psicologi, assistenti sociali, associazioni di volontariato. Ma "dietro le sbarre" hanno anche visto anche la parte buona e cattiva degli uomini. Dopo circa 40 anni di servizio vanno in pensione due persone che sono in servizio nell’istituto piacentino fin dagli anni 70/80 quando ancora il carcere era in via del Consiglio dove oggi c’è la procura. L’ispettore capo Alberto Steri responsabile dell’ufficio Matricola originario della Sardegna e il sostituto commissario Carmelo Esposito, di origini campane, volto noto soprattutto in Tribunale e in Ospedale perché è il responsabile dei servizi di traduzione e piantonamenti - che una volta erano affidati ai carabinieri - dei detenuti in occasione di processi o visite in ospedale. Dal primo luglio toglieranno il basco azzurro con la fiamma d’argento e si godranno la meritata pensione dedicandosi ai loro hobby. "Mi sono arruolato nel 1978 - racconta Esposito - quando il servizio di leva era obbligatorio e ho scelto di fare l’ausiliario negli allora Agenti di custodia". Dopo la rafferma, il corso per sottufficiali nell’87, i trasferimenti negli istituti di Voghera, Milano, Opera, Livorno e poi Piacenza. Stessa trafila anche per Steri, il quale dopo Oristano e Asinara venne assegnato a Piacenza e qui ha praticamente svolto la carriera. Esposito dice che gli agenti attendevano la riforma - varata nel 1990 - da anni "per poter essere smilitarizzati, per avere un sindacato, per fare formazione. Prima, il lavoro si imparava dai colleghi anziani, con una specie di scuola/ lavoro. Oggi, nelle scuole di formazione, gli allievi apprendono, oltre alle nozioni di diritto, tante nozioni di psicologia e sociologia, gli viene insegnato che l’arma più importante è il dialogo e che i detenuti sono persone fisiche hanno dei diritti, dei doveri, ma anche tantissimi problemi di cui farsi carico". Certo, oggi il carcere è più vivibile, ma i problemi negli Istituti di pena italiani restano tanti. Dalle strutture senza manutenzione, alla carenza di strumentazione per lavorare, alla mancanza di personale, ai sempre maggiori gesti di aggressione verso gli agenti. È migliorata la salubrità e - come nel nuovo padiglione piacentino - dove esiste un sistema di riciclo dell’aria. Ma il rapporto che rimane impresso è quello con il detenuto. I vecchi venivano chiamati "secondini" (guai oggi a chiamarli così, sono agenti di Polizia penitenziaria) avevano molto rispettato e, in particolare nelle piccole carceri, ove c’era un gran via vai di delinquenti comuni con i quali, però, si riusciva ad instaurare un rapporto di reciproco rispetto. "Oggi invece c’è molta maleducazione e aggressività - afferma Esposito - anche se riguarda una piccola parte della popolazione detenuta e diversi stranieri. Pensano di ottenere qualcosa con la prepotenza. Alcuni si spacciano per elementi dell’Isis. Poi magari ci parli e scopri che sono persone semplici e un po’ burlone". La lingua, per tanti, però, rimane un problema, soprattutto per chi viene dall’Est o dal Nordafrica. "E anche per risolvere questi problemi - sottolinea il commissario - oltre a educatori e insegnanti ci sono anche i mediatori culturali". Nonostante questo "diversi stranieri vengono qui solo per delinquere, perché pensano che in Italia si facciano i soldi in modo facile. Molti li ho visti spaventati quando sono dovuti tornare nel loro Paese, perché temevano i metodi delle forze di polizia del loro Paese, che non sono uguali ai nostri". Tra le tante situazioni vissute, Esposito ricorda quando, giovane agente, a Voghera salvò un detenuto che aveva tentato il suicidio per impiccamento. "Ero da solo in turno - racconta - e vidi quell’uomo appeso. Entrai in cella e gli tolsi il cappio dal collo, grazie anche all’aiuto del cappellano, l’unica persona che avevano trovato". Il rammarico, invece, è di non essere riuscito a salvare un 23enne di Ferrara che si tolse la vita bevendo il gas liquido di un fornelletto: "Era andato in bagno. Dopo pochi minuti non lo vedemmo tornare. Intervenimmo subito, ma non ci fu possibile salvarlo. La cosa peggiore fu telefonare alla madre per informarla dell’evento, un incarico che avrei declinato volentieri". Ma Esposito ricorda anche chi criminale non è e quando varca la soglia del carcere si trova spaesato e abbattuto: "Ho visto persone in cella perché avevano spacciato assegni falsi e truffe. Alcuni di loro lo avevano fatto a causa della crisi economica, perché tentavano di salvare la loro impresa o la loro famiglia". Infine, il commissario si sente di consigliare questo lavoro a un giovane: "Certo c’è lo stipendio, ma questo lavoro/professione è anche una missione in cui è assolutamente necessario credere. È dura, si vive quotidianamente sotto stress e sotto pressione, bisogna stare attenti. La soddisfazione è incontrare fuori dal carcere ex ristretti che ti salutano e sapere che per qualcuno, grazie anche al nostro impegno, una volta fuori ci sia qualche prospettiva". Napoli: il giudice Quatrano in Mauritania per salvare condannato a morte per apostasia di Mirella Armiero Corriere del Mezzogiorno, 30 giugno 2015 Domani audizione in Senato e venerdì a Napoli cittadinanza onoraria per la sorella del detenuto. Mohamed Ould Mkhaitir ha 29 anni ed è rinchiuso in un carcere della Mauritania. Una condanna a morte pende sulla sua testa per apostasia, un reato di opinione. Il suo processo, per fortuna, sarà seguito da un osservatore internazionale, Nicola Quatrano. Il gip napoletano è da anni impegnato in battaglie per i diritti civili in Africa. Un’attività nata per caso, bevendo birra alla festa dell’Unità del 1976 con un profugo saharawi. Per il caso di Mohamed Quatrano è riuscito a interessare la commissione per i diritti umani presieduta da Luigi Manconi e domani si terrà un’audizione al Senato. Il giorno dopo la mobilitazione per il giovane mauritano si sposta al Tribunale di Napoli, con la partecipazione di associazioni e camere penali. Infine, venerdì 3 il sindaco de Magistris conferirà la cittadinanza onoraria alla sorella dell’imputato. "Per capire la mentalità della Mauritania", spiega Quatrano, "basti pensare che la schiavitù è stata abolita solo nel 1981. Ed è del 2007 la prima legge che ha criminalizzato questa pratica". Ma come mai un uomo detenuto laggiù chiede (ed ottiene) l’aiuto di un giudice napoletano? Qual è il collegamento tra due persone così lontane? "Ho ricevuto da lui la richiesta di essere assistito perché molti avvocati locali hanno abbandonato la difesa. Del resto è abbastanza rischioso assumerla. Da tempo, come presidente dell’Osservatorio internazionale per i diritti, mi era stata segnalata questa situazione. Sono andato di persona a vedere e ho parlato con la famiglia. E in Italia ho trovato grande disponibilità verso il caso. Ora va seguito il processo di appello e vanno trovati fondi per la difesa". Torniamo più indietro: come mai il "Di Pietro napoletano" si trova impegnato in battaglie così lontane da casa? Quando ha inizio questa storia? "Da quella lontana festa dell’Unità ho iniziato a interessarmi a queste vicende. Nel 2005 ho seguito il primo processo a Istanbul, poi sono stato in Marocco, Tunisia, Algeria e Mauritania. Qui in Italia ero stato molto impegnato in una serie di processi ma gli esiti erano stati piuttosto scarsi". Quatrano ha vissuto da protagonista la stagione di Tangentopoli degli anni Ottanta e Novanta, seguendo alcuni grandi filoni comunali: il processo sulla privatizzazione del patrimonio, quello sulla ristrutturazione della funicolare centrale e quello sulla nettezza urbana. "Poi sono venuti quelli sulla metropolitana e altri. Ma da questo a chiamarmi il Di Pietro napoletano ce ne corre... la definizione aveva una sua ragione mediatica all’epoca, quando spuntarono vari Di Pietro in tutta Italia". Verso il passato, Quatrano non mostra nostalgia ma piuttosto aperta delusione. Altro che rivoluzione, quel momento solo in apparenza rivoluzionario non ha avuto i risultati sperati: "Ho vissuto quei giorni con grande passione, ma le conseguenze politiche di quelle iniziative giudiziarie non sono state un granché. Il mondo, devo ammetterlo, non è migliorato. Anzi, la stagione delle indagini ha contribuito a distruggere la politica a favore della tecnocrazia. Un esempio? Senza Mani Pulite non si sarebbe fatta oggi la riforma delle pensioni, perché la vecchia politica era più dipendente dal consenso". Un errore dunque? "Sì. Credevo nel risanamento della vita politica. Le conseguenze sono state altre e molto più ampie. L’Italia come gli altri Stati nazionali si stava trasformando da democrazia a governo tecnico. Il bilancio è negativo. Oggi ormai chi è stato eletto e risponde ai cittadini ha pochissimo potere". Quatrano allora cambia il suo orizzonte di azione e lo sposta verso la politica internazionale. E dove è finita un’altra passione, ovvero quella della scrittura? Qualche anno fa firmò un thriller niente male. "Mi dovrei decidere a tirare fuori dal cassetto il mio secondo romanzo, ma mi sembra sempre di doverlo migliorare. Intanto cresce l’impegno nella difesa degli ultimi". Un’eredità della militanza a sinistra? "Beh, lo riconduco a quello, dal momento che non ho la fede ad animarmi". Un lavoro duro, a volte drammatico, come quando uno dei migliori amici del gip è stato arrestato. Rimarrà in una prigione del Marocco per i prossimi trent’anni. "Però non bisogna scoraggiarsi, la sua era una pena di morte poi commutata in detenzione. Almeno questo lo abbiamo ottenuto". Quatrano, 62 anni, da una vita abitante di San Martino, sulla collina del Vomero, coinvolge solo qualche volta la sua famiglia. "Mia moglie si occupa d’altro ma è capitato che venisse con me. Per esempio in Marocco, quando ci sequestrarono l’auto. I miei figli, 28 e 30 anni, mi danno spesso una mano, per esempio nel crowdfunding". E dal momento che conosce così bene i luoghi spesso diventati del terrore, qual è il giudizio sull’Isis? "Si tratta senz’altro di una banda di fanatici sanguinari, ma sostenuta dall’Occidente per molto tempo. L’Isis è stato l’alleato dell’Occidente contro l’Unione sovietica ai tempi della guerra fredda. E oggi è aiutato da Turchia e Arabia Saudita in funzione anti-Iran. E non bisogna dimenticare che le prime vittime dell’Isis sono i musulmani, non solo gli occidentali". Modena: "Angeli e Demoni", a teatro il tema dei migranti interpretato da detenuti di Tommaso Chimenti Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2015 "Io sento che, son sicuro che, io so che gli angeli sono milioni di milioni e che non li vedi nei cieli ma tra gli uomini, sono i più poveri e i più soli, quelli presi tra le reti" (Lucio Dalla, "Se io fossi un angelo"). Non esistono angeli e non esistono demoni. È un’osmosi, un passaggio liquido dalla divinità al peccato e ritorno, purificandosi nel perdono, quando c’è, quando si può, quando è possibile. Nasciamo angeli e ci sporchiamo con la terra, con la vita, siamo nuvole prima di sprofondare nella melma del mondo, che troppe volte si fa invece "immondo". Angeli con le ali increspate ed infangate non più capaci né in grado di sbatterle alte, di poter librarsi, come albatri troppo goffi per riprendere il filo ammezzato con il cielo, come Icaro devoti al fallimento. In un’arena-limbo-quadrato-ring di sabbia (potrebbe essere anche una spiaggia coperta di migranti) dieci corpi stazionano, pantaloni arrotolati e spago come cintura. Sembrano soldati di Ulisse in procinto d’attaccare il ciclope, storditi da Sirene, sembrano soprattutto abbandonati, corrosi dalla lotta. Stefano Tè porta in scena in questo ‘Angeli e Demonì (niente a che vedere con Dan Brown) un folto gruppo di detenuti (una decina, mentre tre sono fuggiti durante le prove) accorpandoli ad attori della compagnia Teatro dei Venti e ad una dozzina di giovani. Ne esce un quadro d’impatto dai colori e dalla forza che da una parte emerge verticale, tra canti arabi e tamburi, e si eleva dal suolo in alto, dall’altro, una dirompente forza d’urto che investe lateralmente gli spettatori seduti, assiepati, in forma vicina, contigua e voyeuristica, attorno al fulcro dell’azione, gabbia. Il regista napoletano, modenese da oltre dieci anni, lavora nella casa di reclusione di Castelfranco Emilia e nella casa circondariale di Modena, e ci mostra con lucidità e calore uno strappo incastrato nella tela del tempo, uno spazio mangiato e sottratto, una parentesi dove, con ‘La Gerusalemme Liberatà sullo sfondo come essenza e sentore, le parole centenarie di Tasso si esaltano nelle bocche dell’oggi, divenendo presente, vita, richiesta d’aiuto, grido d’allarme, perdita, consapevolezza della sconfitta. Che anche Lucifero era un angelo. Il canto si fa preghiera e questa si disfa in una invocazione mentre le pose plastiche e statuarie di lotta si trasformano in appoggio. Come se la violenza potesse rendere un prospetto di colonne portanti, di nuove fondamenta sulle quali costruire un domani diverso dal passato. La loro danza è una haka maori, arrabbiati avanzano in questa spiaggia di conquista che si fa respingimento e palude, dove i passi affondano nelle sabbie mobili e le caviglie si fanno faticose al cammino imbrigliato verso l’ignoto. La rena scivola dalle mani come clessidra del tempo perduto e che non ritorna, i granelli ammantano i volti e gli occhi, come sepoltura, per non vedere brutture e strazi, sangue e devastazione dell’uomo contro se stesso e contro i propri simili. E non c’è salvezza e non c’è redenzione, il tutto infuso e imbevuto nel valzer da funerale di Shostakovic, nero pece che avanza e morde. Non bastano le preghiere in questo campo profughi, non servono le mani al cielo in quest’oasi al contrario, che non salva ma che accerchia, chiude, recinta, come campo santo, come bara, frontiera dalla quale non si può scappare né nascondersi, dove non esistono dune né ombre, ripari né rinfresco. Una danza macabra lambisce le coste di questo istmo, di questa lingua perduta, sperduta, dimenticata nel lutto di una notte senza fine, troiane senza via di fuga, in una difesa antica ed ancestrale, animalesca, da corrida e Minotauro, tra rantoli come delfini o capodogli o balenotteri spiaggiati senza più ossigeno né voglia di nuotare. Che rabbia fa rima con sabbia: "Più bevo e più sete mi viene, questi bicchieri son pieni di sabbia", esplode la chitarra stornellante di Mannarino. Padova: alla squadra della Pallalpiede la Coppa Disciplina, un permesso per ritirarla di Francesco Vigato Il Mattino di Padova, 30 giugno 2015 Vallo a dire che sono dei galeotti, quelli della Pallalpiede. Se non fosse per il nome della squadra, che qualche dubbio lo fa venire, non ci crederebbe nessuno. I galeotti, appunto, o carcerati, o detenuti (come dir si voglia) della casa circondariale Due Palazzi di Padova, calciatori per caso grazie al progetto di Nairi Onlus, Polisportiva San Precario e Figc, hanno vinto, e qui scappa un simpatico sorriso, la Coppa Disciplina di Terza categoria. E sabato sono andati anche a ritirarla al Novotel di Mestre. Di persona. Quattro detenuti, o meglio, tre detenuti e un pregiudicato, perché Aba Temple, arcigno capitano nigeriano, è stato scarcerato due mesi fa. Noureddine Patis, Alessandro Sollo e Thomas Zandonà invece no, sono ancora dentro. Hanno potuto ricevere medaglia e trofeo (in una cerimonia pubblica) dal presidente del Comitato regionale della Figc Giuseppe Ruzza con un permesso premio concesso dal Magistrato di sorveglianza. Per Zandonà, tra l’altro, era la prima uscita dopo 12 anni, sei mesi e due giorni. Il primo orizzonte dopo un’eternità. Fatto sta che i ragazzi della Pallalpiede non solo si sono portati a casa la Coppa Disciplina, che viene assegnata alle compagini più avvezze al fair play, ma l’hanno pure vinta con un punteggio da agnellini: 2, 55. Più i quattro punti, di penalità s’intende, rifilati al presidente Paolo Piva, responsabile dei sei cambi effettuati alla prima giornata, invece dei cinque consentiti dal regolamento. Una svista che il professore ha pagato con un mese di squalifica. Cartellini rossi? Uno solo, per una planata sul fango in tackle più spettacolare che cattiva. Il totale di 6,55 ha permesso a Temple e compagni di battere la Dinamo Kave, che i 7,65 punti li ha racimolati tutti per le intemperanze dei giocatori. Dopo un campionato da protagonista (anche se fuori classifica) ,la Pallalpiede è già pronta a iniziare il secondo anno di attività: il tecnico Valter Bedin ha già programmato le prime selezioni. Con una novità: i giocatori dovranno avere almeno tre anni di pena da scontare, proprio per evitare defezioni a stagione in corso, come già successo con il bomber Edwin Evbouwan, uscito dal carcere a metà stagione. Temple, il capitano, vorrebbe addirittura rientrare per allenarsi e disputare le partite. Impossibile, la legge parla chiaro. Potrà sperare comunque nel… calciomercato. Libri: "Per la libertà. Il Rugby oltre le sbarre" di Antonio Falda met.provincia.fi.it, 30 giugno 2015 Alla Fondazione Stensen di Firenze Presentato il progetto "Rugby oltre le sbarre" che vede protagonista il Firenze Rugby 1931. Di fronte al pubblico delle grandi occasioni, venerdì 26 alle 19,30 presso la Fondazione Stensen di Firenze e coordinata da Marica Romolini, si è tenuta la presentazione del libro di Antonio Falda "Per la libertà. Il Rugby oltre le sbarre" Absolutely Free Editore, con il patrocinio del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, della Federazione Italiana Rugby e del Club Italia Amatori Rugby. Nato da una ricerca svolta in otto istituti carcerari tra il 2013 e il 2014, il libro di Falda traccia l’influenza che il "Progetto Carceri", sviluppato e sostenuto dalla Federazione Italiana Rugby, ha sulla vita presente e futura dei detenuti che vi prendono parte. Il messaggio che Falda ha tratto dal suo lungo viaggio nelle carceri e dagli incontri con i detenuti e con chi con loro collabora nella costruzione di ipotesi di futuro è diretto, semplice nella sua complessità: non si può, non si deve lasciare, mai abbandonare chi ha sbagliato e sta pagando per gli errori commessi ma impegnarsi per dare a tutti coloro che lo vogliono un motivo e i mezzi per non cadere di nuovo. Ed in questo l’etica e l’essere stesso del rugby sono di aiuto fondamentale, senza sostegno non esiste il gioco, senza avversari e senza il rispetto loro dovuto non siamo nessuno e vincere è bello perché hai creato le condizioni per farlo senza scorciatoie e con la fatica, l’impegno e il rispetto per e dei compagni. Perché si può cadere, ma si deve trovare la forza di rialzarsi sempre. Il messaggio è diretto tanto quanto chi lo sta trasmettendo. Sembrerebbe uno come tanti Antonio, ma appena apre bocca ti rendi conto che non è così. Nel silenzio della sala dello Stensen non ce la fa proprio a stare seduto, gesticola, guarda tutti e improvvisamente ti senti investito da un treno a tutta velocità. "Se qualcuno vuole farmi qualche domanda mi interrompa pure!", impossibile, non ce la fai mica a fermarlo e d’altra parte non poteva che essere così, entrante, travolgente, uno tosto insomma. Perché per fare certe cose, per avventurarsi in certi ambienti ci vuole anche coraggio. Certe realtà ti segnano, una volta che ci vieni a contatto non ne esci come prima. "Quando si pensa alla realtà carceraria, beh meno se ne parla e meglio è, questo è un argomento di nicchia. Il rugby è uno sport di nicchia... insomma hai messo insieme due sfighe". Come si direbbe in certi casi, parla come mangia e ha ragione, però da una somma di sfighe possiamo affermare che il risultato invece sia uscito piuttosto bene. La presentazione ha concluso la lunga giornata iniziata presso il carcere di Sollicciano, dove i tecnici del Firenze Rugby 1931 che ne seguiranno lo sviluppo, Antonio Abussi e Alessandro Ippolito, hanno illustrato il progetto "Rugby oltre le sbarre". Stati Uniti: la Corte suprema Usa assolve il farmaco delle iniezioni letali di Paolo Mastroilli La Stampa, 30 giugno 2015 Respinto il ricorso di alcuni condannati che si erano appellati alla Costituzione che vieta le punizioni "inusuali e crudeli". Dopo le due sentenze "liberal" che la settimana scorsa hanno cambiato la storia degli Stati Uniti, quella che ha salvato la riforma sanitaria del presidente Obama e quella che ha legalizzato i matrimoni gay, la maggioranza conservatrice è tornata a fare quadrato ieri alla Corte Suprema, emettendo due decisioni nella direzione opposta. La prima ha difeso la pena di morte, giudicando costituzionale l’uso dei tre veleni che compongono l’iniezione letale; la seconda ha cancellato una iniziativa del governo per proteggere l’ambiente limitando alcune emissioni delle centrali elettriche a carbone. Il boicottaggio europeo Per giustiziare i condannati a morte si usano tre sostanze: una per addormentarli, e due per togliere loro la vita. La prima in passato veniva dall’Europa, ma la campagna condotta dagli oppositori della pena capitale ha spinto i produttori ad interrompere le forniture. Le autorità carcerarie l’hanno sostituita con il midazolam, che però non ha funzionato bene. Nell’aprile dell’anno scorso, ad esempio, Calyton Lockett si era risvegliato durante l’esecuzione, mostrando chiaramente che stava soffrendo. Quindi quattro condannati dell’Oklahoma avevano fatto causa, sostenendo che questo modo di gestire la pena di morte violava l’Ottavo emendamento della Costituzione, che vieta le punizioni "inusuali e crudeli". Stavolta il giudice conservatore Anthony Kennedy e il presidente della Corte John Roberts si sono schierati insieme agli altri tre nominati dai repubblicani, Scalia, Thomas e Alito, bocciando il ricorso. La costituzionalità La liberal Sotomayor, scrivendo il giudizio della minoranza, ha notato che in questo modo il massimo tribunale americano ha evitato di fermare una punizione che equivale a "bruciare vivo il condannato". Due colleghi però, la Ginsburg e Breyer, sono andati anche oltre, chiedendo di rimettere in discussione l’intera costituzionalità della pena di morte, proprio sulla base dell’Ottavo emendamento. Finora i giudici non si erano mai avventurati su questo terreno, riconoscendo che la legge fondamentale del Paese consentiva le esecuzioni: solo due su nove, ma è l’inizio di un dibattito. Il secondo pronunciamento è venuto invece sull’ecologia. L’Environmmental Protection Agency, cioè l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente, aveva imposto pesanti multe alle centrali elettriche alimentate a carbone, che non riducevano le emissioni di alcune tossine come il mercurio. I cinque giudici conservatori, però, si sono ancora trovati d’accordo nel considerare il provvedimento esagerato, chiedendo che venga riscritto. Se la pena di morte è un terreno di dibattito sociale, su cui la Casa Bianca non si è schierata come nel caso dei matrimoni gay, l’iniziativa ecologista era invece uno dei provvedimenti esecutivi voluti da Obama per proteggere l’ambiente e i cittadini, ma la Corte Suprema ha deciso di fermarlo. India: arbitrato internazionale per i marò, sarà creato tribunale ad hoc di cinque membri di Maurizio Salvi Ansa, 30 giugno 2015 L’Italia ha voltato pagina nella vicenda dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone chiedendo un arbitrato internazionale e l’India si è limitata per il momento a constatare, senza però far trapelare minimamente i sentimenti che la animano di fronte alla nuova piega presa dagli avvenimenti. Venerdì scorso il governo italiano ha fatto un passo formale attivando le procedure per la costituzione di un tribunale ad hoc presso la Corte permanente di arbitraggio dell’Aja e contemporaneamente ha notificato ufficialmente a New Delhi la sua iniziativa, motivandone le ragioni. E si è detto determinato, in attesa dell’avvio concreto dell’arbitrato, "a chiedere immediatamente l’applicazione di misure che consentano la permanenza di Latorre in Italia e il rientro in Patria di Girone". Di fronte a questo scenario, il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Vikas Swarup, ha risposto così alla domanda di una giornalista locale: "Siamo a conoscenza di questo sviluppo. I nostri esperti legali lo stanno esaminando". Una posizione molto simile a quella che in passato il governo di Delhi prese riguardo alle notizie circolanti di una "proposta" italiana per una soluzione consensuale della crisi determinata dalla morte 40 mesi fa di due pescatori indiani al largo del Kerala, in cui appunto sono implicati Latorre e Girone. E risuonano ancora forti le affermazioni del ministro degli Esteri Sushma Swaraj lo scorso 31 maggio: "Abbiamo ripetutamente sollecitato il governo italiano a unirsi al processo giudiziario in quanto il caso è sub judice". L’Italia, aveva aggiunto, "non ha finora neppure partecipato al processo giudiziario. Se accetta di parteciparvi, la vicenda potrà avanzare". Cosa succederà nei prossimi giorni? È molto difficile prevederlo perché nessuno sa se i "contatti segreti" tenuti fra le parti da quando a ottobre è stata presentata la proposta di Roma hanno permesso di raggiungere una qualche intesa. Ma luce verrà fatta presto, non appena cioè le fonti ufficiali indiane reagiranno alla richiesta italiana di arbitrato internazionale. Quale firmataria della Convenzione Unclos, l’India non può rifiutarsi di partecipare all’arbitrato, e avrà voce in capitolo nella formazione del tribunale di cinque membri. Quello che si potrebbe fare è non collaborare per un giudizio rapido, e questo ovviamente allungherebbe i tempi del processo, che già si prevedono abbastanza lunghi. Intanto di certo c’è che fra due settimane (il 14 luglio) è prevista un’udienza presso la Corte Suprema riguardante il ricorso italiano sull’utilizzo della polizia antiterrorismo Nia e sulla giurisdizione. Quell’udienza era in calendario il 7 luglio, ma è stata spostata di una settimana, facendola cadere a ridosso della data (15 luglio) in cui termina il nuovo permesso concesso a Massimiliano Latorre per seguire il percorso riabilitativo dell’ictus che lo ha colpito il 31 agosto 2014. In mancanza di un’intesa fra le parti che implichi almeno un allungamento di tale permesso, in definitiva, la situazione potrebbe farsi fra Italia e India nuovamente rovente. Infine il primo luglio è in calendario una nuova udienza del giudice ‘ad hoc’ che dovrebbe processare i due Fucilieri di Marina. Per il momento tutto è fermo per ordine della Corte Suprema sulla base delle eccezioni presentate dalla parte italiana alla presenza nell’inchiesta della polizia antiterrorismo Nia. Quindi, come le altre, anche questa udienza subirà un rinvio. Siria: 3.027 persone giustiziate dallo Stato islamico in un anno Nova, 30 giugno 2015 Lo Stato Islamico ha giustiziato più di 3 mila persone in Siria, da quando ha proclamato, il 29 giugno il "califfato islamico". L’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede nel Regno Unito, ha detto di aver documentato 3.027 esecuzioni dal 29 giugno 2014. "Tra i giustiziati ci sono 1.787 civili, di cui 74 bambini" ha detto che l’Osservatorio. Circa la metà dei civili assassinati (930) sono membri della tribù sunnita di Shaitat, nella Siria orientale. Il bilancio comprende anche le recenti uccisioni di massa commesse dallo Stato islamico nella città curda siriana di Kobane. Australia: divieto di fumo nel carcere, scatta la rivolta dei detenuti Ansa, 30 giugno 2015 Una rivolta di circa 300 detenuti è scoppiata oggi in una prigione di Melbourne, in Australia, alla vigilia dell’entrata in vigore di un divieto totale di fumo nelle carceri dello stato di Victoria. I disordini sono iniziati poco dopo mezzogiorno nel carcere di Ravenhall, a 24 km dal centro città, che ospita circa 750 detenuti. Il personale carcerario è stato evacuato per precauzione, ma poi è rientrato. Immagini da un elicottero di una Tv mostrano detenuti nel cortile a volto coperto armati di bastoni che tentano di abbattere porte. Sarebbero stati appiccati fuochi e fuori delle mura sono parcheggiate autobotti dei pompieri. Il dipartimento servizi di correzione assicura che tutti i detenuti sono contenuti entro il carcere. È intervenuta anche la polizia per aiutare a sedare la sommossa. Si ritiene che i disordini siano legati all’imminente messa al bando del fumo. Nelle 14 prigioni del Victoria fuma circa l’84% dei detenuti e circa 1300 di essi, pari al 20% della popolazione carceraria, hanno frequentato programmi per smettere.