Giustizia: per le carceri c'è un'unica soluzione, ripensare il sistema penale di Lorenzo Fazio Il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2015 Più giustizia uguale più carceri. Sembra che questa sia l'unica equivalenza possibile. Sono molti e di sicura formazione democratica coloro che evocano le manette di fronte al problema della delinquenza, della corruzione, delle mafie. Come se l'unico ideale di giustizia possibile si esaurisse in quattro sbarre e una cella in cui rinchiudere le persone e privarle di tutto. Perché? Perché sulle carceri si fatica a ragionare? Cosa ci fa pensare che il carcere sia l'unico modo per acquietare le nostre paure, la nostra insicurezza? A ogni nuovo evento che ci minaccia (lo sbarco degli immigrati, il mostro, l'atto terroristico e anche l'indagine sul malaffare), l'invito è rinchiudere il colpevole e buttare via le chiavi. Tutti in galera, e per sempre (salvo poi ricredersi se in galera ci va qualcuno che è nostro amico o noi stessi). Non se ne esce. Non riusciamo a pensare in modo diverso da come si pensava cent'anni, duecento, trecento anni fa (spesso le carceri sono ancora quelle). Eppure abbiamo una Costituzione molto liberale ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"), viviamo in una democrazia moderna, abbiamo a cuore i diritti civili e ci battiamo per essi. Ma il carcere no. Gli unici che da anni si battono per cambiarlo o abolirlo sono i radicali. Gli altri partiti ogni tanto votano un'amnistia e invocano sempre nuove carceri. Sembra che non bastino mai. Almeno il merito del ministro Orlando, convocando gli Stati generali sull'Esecuzione penale, è stato quello di aver proposto il problema della detenzione all'attenzione della politica (la polemica sull'invito a Adriano Sofri è solo un di cui). Nessun democratico che ha a cuore i valori della libertà e della dignità della persona può ignorare che in Italia c'è un'istituzione che rende schiavi i detenuti, e che è basata sulla tortura fisica e psicologica (ricordate Cucchi?). E ciò avviene comunque, indipendentemente dalla lungimiranza e liberalità con cui vengono gestite le carceri. La prigione non soddisfa lo scopo principale che molti pensano debba avere: salvaguardare la nostra sicurezza (oltre a rieducare i detenuti). Infatti il 70 per cento, uscito di prigione, ricomincia a delinquere. E dietro le sbarre la violenza non ha fine: ogni anno ci sono 160 morti (almeno un terzo suicidi). Un sistema dunque sbagliato, ingiusto, e anche antieconomico (all'anno costa quasi 3 miliardi di euro, 125 euro al giorno a detenuto). E allora? Il carcere va abolito e l'intero sistema penale ripensato. Così come alcuni riformatori avevano cominciato a fare negli anni settanta-ottanta (la legge Gozzini sulle pene alternative è del 1986). Non è un'utopia, è un'esigenza basata su elementi reali. Così come non era un'utopia la riforma Basaglia del 1978 che prima era sembrata a molti benpensanti impossibile e assurda (liberare i pazzi che minacciano la società!). I problemi legati alla salute mentale non sono stati tutti risolti ma almeno i diritti fondamentali della persona sono stati salvati. Lo stesso discorso vale per le carceri che sono luoghi dove c'è di fatto una sospensione delle principali regole della convivenza e della democrazia, dove vale la legge del più forte, ancora una volta. Le ingiustizie, i favoritismi, le violenze presenti nella società dentro le mura del carcere si moltiplicano e diventano parte essenziale di un sistema in cui chi non è protetto muore, non ce la fa. Esattamente il contrario di quanto dovrebbe accadere. E allora? Intanto non costruiamo più nuove carceri e lasciamo in strutture protette ma civili solo chi davvero è pericoloso (il 10% dell'attuale popolazione carceraria), e gli altri paghino con azioni o in denaro per le colpe commesse, come avviene in Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Gran Bretagna ("giustizia riparativa"). Nessuno può pensare di mettere in libertà camorristi mafiosi, rapinatori, stupratori e nemmeno corruttori e ladri. Questi possono essere controllati meglio in strutture più piccole ed economiche. Si può fare. In Francia e Gran Bretagna solo il 24% dei condannati sconta la pena in carcere (in Italia l'82,6%). In Svezia, Norvegia il lavoro è parte essenziale della pena. Prendiamo esempio da loro. Altiero Spinelli, uno dei padri dell'unione europea, incarcerato durante il fascismo, scrisse una volta a Calamandrei: "Più penso al problema del carcere e più penso che non c'è che una riforma da effettuare: l'abolizione del carcere". (Cfr. Abolire il carcere di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone, Federica Resta. Postfazione di Gustavo Zagrebelsky). Giustizia: l'On. Enza Bruno Bossio torna alla carica "l'ergastolo ostativo va abolito" di Emilio Quintieri (Radicali italiani) Il Garantista, 28 giugno 2015 Detto, fatto. L'Onorevole Enza Bruno Bossio del Partito Democratico, dopo che la Commissione Giustizia, nelle scorse settimane, su proposta della Presidente Donatella Ferranti, aveva adottato come "testo base" il Disegno di Legge del Governo C. 2798 riguardante la riforma dell'Ordinamento Penitenziario, ha presentato alcune proposte emendative e tra queste quelle che ripropongono, sotto forma di criterio di delega, la revisione dell'Art. 4 bis della Legge Penitenziaria già contenute nel progetto di legge di cui è prima firmataria, comunque abbinato a quello del Governo. Bruno Bossio che è anche membro della Commissione Bicamerale Antimafia, ha proposto con l'Emendamento 26.15 di sostituire l'articolo 26 comma 1, lettera C) del Disegno di Legge con il seguente "c) eliminazione di rigidi automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di accesso ai benefici penitenziari ed alle altre misure alternative alla detenzione per i condannati per taluno dei delitti di cui all'articolo 4 bis della Legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modifiche ed integrazioni nei casi in cui risulti che la mancata collaborazione dei predetti con la Giustizia ai sensi dell'articolo 58 ter della Legge medesima, non escluda il sussistere dei presupposti, diversi dalla predetta collaborazione, che consentono la concessione dei benefici e delle misure alternative in modo tale da permettere anche il superamento dell'ergastolo ostativo, cioè di numerose situazioni in cui il fine pena coincide necessariamente con il fine vita, e a trasformare l'attuale presunzione di non rieducatività in assenza di collaborazione da assoluta in relativa fermo restando che non siano stati acquisiti elementi conoscitivi concreti e specifici fondati su circostanze di fatto espressamente indicate che dimostrino in maniera certa l'attualità di collegamenti dei condannati con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva". Tale proposta, al momento, è una delle più sottoscritte di tutti i numerosi emendamenti (319, 52 quelli specifici sulla riforma dell'Ordinamento Penitenziario) presentati al progetto di legge del Governo Renzi all'esame, in sede referente, nella Commissione Giustizia di Palazzo Montecitorio. Oltre all'On. Bruno Bossio, hanno apposto la loro firma anche i Deputati Danilo Leva, Bruno Censore, Ernesto Preziosi, Luigi Lacquaniti (Partito Democratico), Daniele Farina, Celeste Costantino, Gianni Melil-la (Sinistra Ecologia e Libertà) ed Elda Pia Locatelli (Partito Socialista Italiano). Analoga proposta, più o meno, è stata avanzata da Forza Italia con l'Emendamento 26.16. Prima firmataria l'Onorevole Jole Santelli, Deputato di Forza Italia ed ex Sottosegretario alla Giustizia nel secondo e terzo Governo Berlusconi, calabrese anche lei come l'On. Bruno Bossio. All'Art. 26 comma 1, sostituire la lettera e) con la seguente : "e) eliminazione di automatismi che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati l'individualizzazione del trattamento rieducativo, anche a seguito di revoca di benefìci penitenziari, secondo i principi di ragionevolezza, uguaglianza e finalizzazione rieducativa della pena; rimozione di generalizzati sbarramenti preclusivi all'accesso ai benefici al fine di conformare l'esecuzione penale all'evoluzione della personalità del condannato ed alla concreta pericolosità sociale, presenza di perduranti collegamenti con le organizzazioni criminali di riferimento; revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo per i reati di matrice mafiosa e terroristica individuando nella prova positiva della dissociazione il superamento della presunzione relativa di pericolosità." In questo caso, oltre alla firma della Santelli, vi è apposta quella di Massimo Parisi e Luca D'Alessandro, Deputati di Forza Italia, tutti membri della Commissione Giustizia della Camera. Decisamente contraria è invece la Lega Nord che con l'Emendamento 26.14 ha proposto di sopprimere tutta la lettera c) dell'Articolo 26 del Disegno di Legge. Primo firmatario l'Onorevole Nicola Molteni, Capogruppo del Partito in Commissione Giustizia insieme al collega Deputato Massimiliano Fedriga. Addirittura gli Onorevoli Molteni e Fedriga hanno presentato un altro Emendamento (il 13.12) sul processo penale con il quale, in sostanza, riprendono il contenuto della proposta di legge C. 1129 dell'On. Molteni ed altri per la modifica degli Articoli 438 e 442 del Codice di Procedura Penale per l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, pur preferendo l'approvazione della stessa. In pratica, con la proposta, vengono esclusi dal giudizio abbreviato i procedimenti per i delitti di competenza della Corte di Assise e viene soppressa la possibilità per il Giudice di infliggere, in luogo della pena dell'ergastolo, quella della reclusione di 30 anni o, in luogo dell'ergastolo con l'isolamento diurno nei casi di concorso di reati o di reato continuato, quella del solo ergastolo. Molteni ha, inoltre, espressamente chiesto che tale proposta di legge sia inserita nel calendario dei lavori dell'Assemblea per il mese di luglio. Contrario anche il Gruppo Parlamentare del Movimento Cinque Stelle che ha presentato, per il caso specifico, due distinti emendamenti. Il 26.19 con il quale propone, all'Art. 26 comma 1 lett. c) di sopprimere le parole "e revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo" ed il 26.20 con il quale propone di modificare la predetta lettera c), aggiungendo dopo le parole "per i condannati alla pena dell'ergastolo" le seguenti "eccetto per i condannati per i reati di cui all'articolo 51 comma 3 bis c.p.p.". Entrambe le proposte emendative sono state sottoscritte oltre dall'On. Sarti, anche dagli altri Deputati pentastellati Vittorio Ferraresi, Andrea Colletti, Donatella Agostinelli, Alfonso Bonafede e Francesca Businarolo. La Presidente della Commissione, Donatella Ferranti (Pd) e relatrice del progetto di legge, ha proposto, invece, per quanto riguarda la lettera c), con l'Emendamento 26.17 di aggiungere dopo la parola "eliminazione" le seguenti parole "salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità". Infine, la Ferranti, ha convocato la conferenza dei Presidenti di Gruppo, per definire i tempi e le modalità di organizzazione dei lavori, riservandosi di valutare l'ammissibilità degli emendamenti presentati e facendo presente che, in ogni caso, nel corso della prossima settimana, si potrà procedere alla discussione sul complesso delle proposte emendative presentate, anche ai fini di una più efficace interlocuzione tra i gruppi e con il Governo, rappresentato in Commissione dal Vice Ministro della Giustizia On. Enrico Costa. Giustizia: da Bambinisenzasbarre-Onlus l'app che tende la mano alle famiglie dei detenuti di Agnese Moro La Stampa, 28 giugno 2015 In questo timido inizio di estate Bambinisenzasbarre-Onlus fondata nel 2002 per la cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori, per la tutela del diritto del bambino alla continuità del legame affettivo e per la sensibilizzazione della rete istituzionale e della società civile - è impegnata a raccogliere entro il 27 luglio (l'intera somma o alla Onlus non verrà assegnato nulla) i 28.000 euro necessari per attivare una app, Telefono giallo, che possa aiutare i familiari dei detenuti, in particolare i bambini, in questa difficile esperienza di vita. Donazioni o promesse di donazione vengono raccolte sul crowdfunding di Telecom, withyouwedo.telecomitalia.com/. La app darà informazioni su indirizzi, orari, regole di ingresso, autorizzazioni, recapiti, pacchi per le persone detenute e tutte le informazioni per riuscire a visitare il parente in carcere. Fornirà un servizio di geolocalizzazione per arrivare alla sede delle visite. Ci sarà un'ampia sezione dedicata alle domande ricorrenti con le relativa risposte; il tasto per la telefonata diretta agli esperti di Bambinisenzasbarre; la possibilità di inviare richieste all'Associazione tramite mail (le risposte entro 24 ore). Sarà utilizzabile su tutti i supporti informativi, smartphone, tablet, pc, consolle di videogiochi. L'app affiancherà sia l'attuale centralino (tel. 02.711998), che risponde da lunedì a venerdì in orari di ufficio, sia il sito bambinisenzasbarre.org che già contiene molte informazioni utili oltre ad aggiornamenti sulle attività associative. A questa impegnativa iniziativa, l'Associazione sta affiancando, per il sesto anno, la Campagna europea d'informazione "Non un mio crimine, ma una mia condanna" con cui Bambinisenzasbarre e la rete Children of Prisoners Europe richiamano l'attenzione di tutti sulla situazione vissuta dagli 800.000 bambini europei (100.000 dei quali italiani) figli di genitori detenuti. Si chiede che tutti i Paesi dell'Unione Europea adottino la "Carta dei figli dei genitori detenuti", voluta dalla associazione stessa e fatta propria dal Ministero della giustizia e dal Garante dell'Infanzia e dell'Adolescenza. La petizione sarà rivolta alla Commissione Europea ed in particolare al presidente Claude Juncker ed ai Commissari competenti in materia di Giustizia e Diritti. Giustizia: Radicali; ricorso all'Onu se reato di tortura sarà quello in discussione al Senato radicali.it, 28 giugno 2015 Nella Giornata Mondiale Contro la Tortura, i dirigenti Radicali Sergio d'Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino, Rita Bernardini, Segretaria di Radicali Italiani, Maurizio Turco, Tesoriere del Partito Radicale e Marco Perduca, Rappresentante all'Onu del Partito Radicale ed Elisabetta Zamparutti, Tesoriera di Nessuno tocchi Caino e candidata al Comita europeo Prevenzione Tortura hanno dichiarato: "Sul tema della tortura, l'Italia si conferma essere un Paese che non rispetta gli obblighi che le derivano dal Diritto Internazionale. Non solo a distanza di ben 26 anni dalla ratifica della Convenzione Onu sulla tortura siamo ancora in attesa dell'introduzione del reato nel nostro ordinamento, ma il testo finalmente all'esame del Parlamento disattende la definizione propria del Diritto Internazionale per il quale la tortura non è una fattispecie di reato "comune" cioè che si può commettere tra due privati cittadini (in famiglia, fra criminali, in un consesso mafioso..). La polizia per prima, che appare invece ribellarsi corporativamente all'introduzione del reato di tortura in Italia, dovrebbe respingere la proposta in discussione proprio per l'offensivo e umiliante accostamento a comportamenti delinquenziali di cittadini comuni, e accettare quindi la previsione del reato secondo il diritto internazionale, laddove cioè ci sia un obbligo di custodia o un obbligo giudiziario di intervento. È quindi un reato specifico, tipico del comportamento di un pubblico ufficiale nelle sue vesti di responsabile di investigazione o indagine giudiziaria su persone sospettate di reato, di custodia e tutela di una persona privata della libertà personale", hanno spiegato i Radicali che hanno poi aggiunto "Peraltro, l'Italia, due anni fa, ha ratificato il Protocollo Facoltativo alla Convenzione Onu sulla tortura per il quale andrebbe creata un'istituzione indipendente per le visite nonché un sottocomitato nazionale per la prevenzione della tortura, che non abbiamo ancora istituito per cui neppure su questo siamo in linea coi nostri obblighi internazionali". I Radicali danno atto del fatto che nel passaggio dal Senato alla Camera della legge sul reato di tortura, sono state introdotte modifiche positive come quella per cui la condotta deve essere intenzionale e quella per cui anche una sola condotta costituisce atto di tortura. "Tuttavia il reato rimane comune e a forma vincolata (tramite violenza o minaccia) e questo lascia del tutto scoperte le più moderne forme di tortura (solo per fare degli esempi: privazione del cibo o del sonno; sottoposizione ad alte o basse temperature; la musica ad altissimo volume o costringere a posture innaturali, etc.). Senza contare che manca del tutto l'insieme di regole previste dalla Convenzione (articoli 2, 10 e 11) per prevenire gli illeciti, dalla formazione del personale di polizia, civile, militare, medico al sistema di identificazione degli agenti", hanno precisato D'Elia, Bernardini, Turco e Perduca. I Radicali hanno concluso annunciando: "Se il testo all'esame del Senato non verrà modificato faremo ricorso al Comitato Onu sulla tortura per la non aderenza della legge agli obblighi di implementazione della Convenzione Onu. Inoltre, ci batteremo per modificare la previsione in base alla quale per la morte non voluta sia prevista una pena superiore a quella dell'omicidio volontario (con evidenti profili di incostituzionalità) e, per chi cagiona volontariamente la morte, si sia mantenuta la pena dell'ergastolo, che ci vede storicamente contrari." Lettere: e se tornasse l'autonomia della politica? di Piero Sansonetti Il Garantista, 28 giugno 2015 E così, la legge Severino è finita sbrindellata da una serie di sentenze che ne hanno bloccato l'applicazione. Prima del Tar, poi della Cassazione, ora del tribunale di Napoli. Si aspetta la Corte Costituzionale, ma a questo punto è molto probabile che sia dichiarata incostituzionale e perda la sua efficacia. Quali potranno essere gli effetti di una decisione di questo genere? Il primo effetto sarà la conferma di Vincenzo De Luca (dopo quella di De Magistris) alla carica alla quale è stato legittimamente designato dall'elettorato (governatore della Campania). E questo è un fatto positivo (al di là del giudizio che si vuole dare su De Luca) perché si evita l'umiliazione dell'elettorato al quale la legge Severino negava sovranità e libertà di scelta. Poi ci potrebbe essere un secondo effetto, abbastanza clamoroso. Se cadesse la legge-Severino, Berlusconi potrebbe chiedere l'annullamento della decisione presa dal Senato di escluderlo dalla carica di Parlamentare esattamente sulla base di quella legge che rischia di sparire. Se la Corte Costituzionale dovesse dichiarare incostituzionale la legge-Severino, è chiaro che sarebbe incostituzionale anche la "cacciata" del cavaliere dal Senato, e Berlusconi potrebbe chiedere di essere reintegrato. Infine c'è il caso Scopelliti, che è il più complesso. Giuseppe Scopelliti lasciò la carica di governatore della Calabria perché condannato in primo grado per abuso di ufficio e dunque - sulla base della Severino - privo dei requisiti per essere eletto e governare. Le dimissioni di Scopelliti provocarono lo scioglimento del consiglio regionale, nuove elezioni, la vittoria nettissima del centrosinistra - e dunque il ribaltamento del risultato elettorale precedente - e l'elezione di Mario Oliverio alla carica di governatore. Ma se oggi scopriamo che la rimozione di Scopelliti era illegale, che avrebbe potuto restare al suo posto, cosa facciamo? Non si può far nulla, perché ormai la legislatura nella quale Scopelliti era presidente è chiusa. È chiaro che quella legge, oggi messa in discussione dagli stesi tribunali, ha danneggiato in modo rilevante Giuseppe Scopelliti e ha modificato - al di fuori delle regole della democrazia politica - l'assetto del potere in Calabria. Diciamo così che i danni sono irreversibili e immodificabili. Discorso analogo può farsi per quel che riguarda Berlusconi e la sua estromissione dal Senato. La scomparsa del cavaliere per circa un anno dalla vita pubblica - determinato in parte dalla sentenza sul caso Fininvest e in parte dalla legge Severino - certamente ha avuto una influenza molto forte sulle relazioni tra le forze politiche e sui rapporti di forza tra governo e opposizione. E ha portato a un cambiamento molto consistente delle condizioni di equilibrio che erano state prodotte dal risultato elettorale. Anche qui non c'è nessuna possibilità di riparare. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. "Forza Italia" può gridare alla persecuzione e all'ingiustizia, ma non può essere risarcita. Piuttosto forse è il caso, da parte delle forze politiche e della stessa magistratura, di tentare una riflessione seria sulla necessità di attenuare il peso delle decisioni della magistratura sulla vita politica, che è stato aumentato moltissimo, negli ultimi anni, da leggi scombiccherate approvate sulla spinta dei giornali e dell'opinione pubblica. La legge-Severino è al culmine della piramide, ma c'è un a miriade di altri provvedimenti - contenuti nelle varie norme anticorruzione - che producono effetti paradossali e sempre, comunque, limitanti dei diritti degli elettori a scegliere liberamente. Possibile che non si possa fare nulla per evitare questa situazione che rende sempre più ridotti i margini della democrazia reale? Naturalmente è giusto salutare con un respiro di sollievo per la vittoria di De Magistris e la probabile vittoria di De Luca (i quali, tra l'altro, sono personaggi politici lontanissimi l'uno dall'altro ed entrambi sono discutibilissimi); però forse si dovrebbe fare qualcosa di più e tornare ad affermare il principio dell'autonomia della politica, e cioè un principio che dal 1992 ad oggi è stato bistrattato, offeso e vilipeso più o meno da tutti. Soprattutto dalla alleanza di ferro tra Grande informazione e partito dei Pm. Sarebbe bello se si potesse indire un "Politica-Pride", un giorno dell'orgoglio, che serva ad affermare l'idea che la libertà e l'autonomia della politica - e cioè della stessa democrazia - sono beni decisamente superiori non solo al "perbenismo" e al "manettarismo", ma alla stessa lotta alla corruzione. La lotta alla corruzione va combattuta con determinazione, ma non può diventare un bene superiore e supremo, una "sacra emergenza" alla quale si sacrifica la democrazia. È un bene, come è un bene la legalità, ma sono beni comunque subordinati al bene assoluto rappresentato dalla democrazia, che richiede - come condizioni indispensabili per esistere - libertà della politica e rifiuto della sottomissione della politica alla magistratura e alle sue pulsioni. Sarebbe fantastico, una volta, vedere leader politici e popolo (non di destra o di sinistra, ma tutti, dalla Meloni a Civati e Vendola) sfilare in corteo per dire che alla democrazia non si rinuncia. E quindi non si rinuncia all'indipendenza della politica. E quindi non si rinuncia alla Costituzione e allo Stato di diritto. La caduta della legge-Severino, e una ragionevole richiesta di reintrodurre l'immunità parlamentare, potrebbero essere l'occasione. Saprà la politica cogliere questa occasione? Temo di no. Ci vorrebbe parecchio coraggio e, al momento, i nostri politici mi sembrano più don Abbondi che leoni. Lazio: Cisl Fns; il numero detenuti è in flessione ma nelle carceri resta il sovraffollamento corrierediroma.it, 28 giugno 2015 "Continua la flessione dei detenuti presenti nei 14 istituti della Regione Lazio, attualmente vi sono presenti 5.699 detenuti. Secondo la capienza regolamentare le donne dovrebbero essere 324 mentre il dato è pari a 384, un sovraffollamento pari a più 60 unità, mentre quella degli uomini dovrebbe essere 4.950 mentre il dato è pari a 5.315, un sovraffollamento pari a più 365 unità". Così in una nota Massimo Costantino, segretario Generale Aggiunto Cisl Fns Lazio. "Situazione che migliora nelle carceri per i detenuti ma non per il personale di Polizia Penitenziaria. In questi giorni mediante appositi Decreti del Ministero della Giustizia c/o le sedi degli Istituti Penitenziari di Roma - Regina Coeli, CC Velletri, NC Civitavecchia e NC CC Viterbo dove sono state istituite sezioni denominate "Articolazione per la tutela della salute mentale in carcere", in dette sezioni sono destinate all'accertamento delle infermità psichiche di cui all'art. 112 del DPR 230/2000, all'accoglienza dei detenuti con infermità psichica sopravvenuta nel corso della detenzione di cui all'articolo 148 codice penale, e dei detenuti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente di cui all'art.111 comma 5 e 7 del Dpr 230/2000 – aggiunge. Detenuti i quali erano curati prima negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) ed ora con la loro chiusura gli stessi devono essere assistiti in istituti penitenziari creando non poche difficoltà tra le quali aggressioni a danno del personale tutto. Da segnalare, infine, che presso il Provveditorato Amministrazione Penitenziaria del Lazio (PRAP) in data 28 Maggio c.a., vi è stata una Nuova ripartizione piante organiche del personale di Polizia Penitenziaria della Regione Lazio, dove sono state apportate modifiche numeriche sostanziali in varie sedi, collegate in alcuni casi anche ad un incremento importante su realtà che hanno visto negli anni modificata la originaria struttura, scaturita dalla costruzione di nuovi padiglioni (Frosinone, Velletri) o modifiche ricettive legata a diverse tipologia di detenuti affidati rispetto al passato, sino ad arrivare alle sezioni di "Articolazione per la tutela della salute mentale in carcere" quali Regina Coeli, NC Civitavecchia, Rebibbia. Da segnalare che occorre ora un ulteriore passaggio utile a definire e concludere l'iter al fine della loro applicazione, quale quello dell'emanazione di Pcd a firma del Capo Dap. Per la Fns Cisl Lazio, occorre, ora che il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) assegni un congruo numero di personale tenendo conto che a breve terminerà il 169° corso di aggiornamento degli allievi Agenti legato alla mobilità nazionale, oltre a quello iniziato il 13 maggio (170°)". Firenze: "tempi certi per chiusura Opg", manifestazione dei Radicali al Consiglio regionale gonews.it, 28 giugno 2015 Ieri mattina i radicali fiorentini dell'Associazione "Andrea Tamburi" hanno manifestato davanti la sede del Consiglio regionale della Toscana per chiedere tempi certi per la chiusura dell'Opg di Montelupo F.no. "Dal 31 marzo 2015 gli OPG dovevano essere definitivamente chiusi ma, nonostante non sia stata varata alcuna proroga dal Governo, ad oggi la situazione effettiva risulta immutata - hanno dichiarato Maurizio Buzzegoli e Massimo Lensi, rispettivamente segretario e presidente dell'Associazione - la Regione Toscana, infatti, nel corso degli ultimi mesi, non è riuscita ad approfittare di quella rete di servizi del territorio (tra cui le Rems ma non solo) destinate ad ospitare gli internati". I due esponenti radicali rilanciano l'ipotesi del commissariamento ad acta e attaccano le Istituzioni: "In piena campagna elettorale il Presidente della Regione, Enrico Rossi, dichiarò che le varie strutture alternative all'Opg sarebbero state pronte entro il mese di luglio: ad oggi sono ancora 90 i detenuti internati nella Villa Ambrogiana di Montelupo. La Rems (residenza per l'esecuzione della misure di sicurezza) dovrebbe essere realizzata a Volterra e consegnata entro il 31 luglio. Ci chiediamo se almeno questa struttura vedrà la luce oppure tutto finirà nel nulla. Il tempo è già scaduto e ogni giorno che passa è una palese violazione della legge 81". Lecce: Papa Francesco Bergoglio scrive a 8 detenuti leccesi "tutti sbagliamo nella vita" leccesette.it, 28 giugno 2015 Bergoglio ha risposto ad una lettera di alcuni detenuti impegnati in un progetto di inserimento sociale voluto dalla Caritas: dal papa parole di comprensione e vicinanza alla loro condizione. "Siamo tutti peccatori, tutti sbagliamo nella vita": sono parole di comprensione e vicinanza quelle che papa Francesco ha voluto inviare a otto detenuti leccesi di Borgo San Nicola, che gli avevano scritto ad inizio maggio. A renderlo noto è stato il periodico cattolico locale L'Ora del Salento. Nella risposta scritta del Santo Padre anche l'incoraggiamento a guardare al proprio futuro con speranza, nonostante le difficoltà della loro condizione. I detenuti sono inseriti nel progetto "70volte7", voluto dalla Caritas diocesana, che prevede lavori di manutenzione e ristrutturazione dei locali destinati al Centro sociale rieducativo nel seminario della Marina di Melendugno: qui hanno realizzato un parco naturalistico, coltivando ortaggi destinati alle mense della Caritas. Questo il messaggio di Papa Bergoglio: "Ho ricevuto la vostra lettera nella quale mi avete raccontato le rispettive e sofferte esperienze personali, come anche la gioia di svolgere una significativa attività lavorativa e di inserimento sociale presso alcune strutture ecclesiali". "Conosco - ha proseguito - la situazione non sempre facile delle carceri, pertanto ho appreso con piacere dell'impegno in vostro favore da parte della diocesi di Lecce, specialmente del vescovo e dei responsabili della Caritas diocesana. La loro opera è il segno della vicinanza materna della Chiesa in questo luogo di dolore e di redenzione". "Da parte mia - conclude - vi incoraggio a guardare al futuro con fiducia, proseguendo con il prezioso aiuto del vostro cappellano e degli altri educatori il percorso di cambiamento e di rinnovamento interiore. Tutti noi facciamo sbagli nella vita e tutti siamo peccatori. E tutti noi dobbiamo chiedere perdono di questi sbagli e fare un cammino di reinserimento, per non farne più". Napoli: "soffiate e favori al boss del Vomero", avvocato penalista arrestato di Leandro Del Gaudio Il Mattino, 28 giugno 2015 Viene indicato come ambasciatore di un potente clan del Vomero, come "nuncius" (espressione del pm) di un pezzo di crimine organizzato che punta a gestire i servizi negli ospedali collinari. Sono questi gli elementi che hanno spinto la Procura di Napoli a chiedere e ottenere gli arresti del penalista napoletano Vittorio Trupiano. Dopo un primo rigetto firmato dal gip Rovida, sia il Riesame che la Corte di Cassazione hanno accolto le conclusioni investigative, facendo scattare una misura cautelare. Concorso esterno in associazione camorristica è l'accusa ipotizzata dal pm Ivana Fulco e dai vertici della Dda, gli aggiunti Filippo Beatrice e Giuseppe Borrelli, in una vicenda investigativa scandita soprattutto da intercettazioni ambientali ricavate in una sala colloqui del carcere in cui Trupiano era a colloquio con il suo assistito, il boss Antonio Caiazzo. Trupiano è in carcere da qualche giorno, a distanza di quindici anni da un altro arresto, per presunte collusioni con il clan Nuvoletta, vicenda per la quale è stato poi assolto nel corso dei tre gradi di giudizio. Ma torniamo all'inchiesta che ha portato in cella il penalista. In cosa consiste l'accusa di concorso esterno? Perché un avvocato che sostiene un colloquio con il proprio cliente viene bollato come "nuncius", come "ambasciatore" della camorra? Stando alla Procura, Trupiano sarebbe entrato in gioco nel corso di una "delicata trattativa" risalente al 2011, tra il clan Caiazzo e il clan Lo Russo, per la gestione del racket agli ospedali del Vomero. Monaldi e Secondo Policlinico, al centro di un'attenzione incrociata tra due gruppi criminali. Nel faccia a faccia con il detenuto al 41bis - sostengono gli inquirenti Antonio Caiazzo avrebbe mostrato la mano a mo' di pistola, con indice e pollice in bella evidenza. Poi, viene indicata l'adozione di un linguaggio criptico, in cui l'avvocato si sarebbe assunto l'onere di mandare qualcuno al cospetto di un esponente del clan Lo Russo per respingere le condizioni imposte dal gruppo di Miano. Una "trattativa delicata" - si legge agli atti - nel corso della quale ognuno avrebbe avuto un ruolo: Trupiano avrebbe così assunto la veste di presunto "nuncius" o "ambasciatore" del clan Caiazzo. Una vicenda nel corso della quale, il legale si era detto disponibile a sostenere un interrogatorio al cospetto del pm, per dimostrare la correttezza del proprio mandato difensivo e l'estraneità rispetto alle logiche criminali. Stando al gip Rovida, le intercettazioni raccolte dalla Procura non erano sufficienti a giustificare l'arresto. Diverso il parere del Tribunale del Riesame e della Cassazione, che hanno invece deciso di firmare gli arresti dell'avvocato Trupiano, oggi più che mai impegnato a sostenere l'impegno difensivo della vita. Pompei (Na): meeting dei "missionari della speranza", i volontari impegnati nelle carceri di Susy Malafronte Il Mattino, 28 giugno 2015 Nella città delle opere del Beato Bartolo Longo per accogliere e istruire i figli dei carcerati il primo raduno dei volontari delle carceri in Campania. Il convegno, promosso dai cappellani della Campania, ha avuto come tema "educati al servizio per annunciare la speranza". Il cammino nella fede che si intreccia con il difficile impegno nella legalità. Alla ribalta cento e mille storie di riscatto e di facili ricadute, le sofferenze di famiglie e uomini trascinati nel vortice della criminalità: insomma, il compito travagliato di chi affianca da sacerdote o da volontario il lavoro nelle carceri. La tavola rotonda si è svolta nel centro educativo Beata Vergine del Rosario. Dopo i saluti di monsignor Pasquale Cascio, arcivescovo di Sant'Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia e delegato della conferenza episcopale campana per le carceri, del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, e dell'arcivescovo di Pompei, monsignor Tommaso Caputo, don Raffaele Grimaldi, delegato regionale dei cappellani, ha accompagnato i partecipanti fino al cuore della manifestazione. Grimaldi, parroco di Giugliano, è danni impegnato nelle carceri prima di Poggioreale e poi di Secondigliano, a contatto con persone e territori difficili. "Ma è bello scoprire storie di riscatto e per noi sacerdoti anche di fede - racconta - di cui sono protagonisti i detenuti. Per noi l'impegno sulle parole del papa deve essere ancora più forte: non fatevi rubare la speranza. E lo ribadiamo ai tanti che ogni giorno incontriamo dietro le sbarre". Stefania Tallei, della comunità di Sant'Egidio e responsabile nazionale del servizio carceri, ha illustrato "le ragioni più profonde di chi compie la coraggiosa e impegnativa scelta di prestare servizio come volontario nelle carceri". Il magistrato Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministero della Giustizia, ha dato voce alle "positività che tale servizio offre alle istituzioni e le aspettative di queste ultime rispetto al volontariato nei penitenziari". Nel corso dei lavori alcuni volontari hanno raccontato le esperienze personali, nella loro attività di aiuto al prossimo, e i motivi che li hanno spinti ad offrire, con la loro sensibilità, la possibilità di riscatto a chi ha "sbagliato e, dopo aver scontato la pena, ha voglia di riscatto e di essere di aiuto, a sua volta, ai giovani che devono capire che "oltre il carcere c'è una speranza di vita". Immigrazione: il Governo; ora più rimpatri e più pressione sull'Ue per la redistribuzione di Mario Stanganelli Il Messaggero, 28 giugno 2015 Emergenza profughi, Alfano: "Rimandare a casa chi non ha diritto". Continua il pressing di Renzi su Bruxelles per la redistribuzione. Dalla Ue abbiamo ottenuto risultati, ma non tutto ciò che volevamo". "L'Europa che ci piace è quella che costruisce ponti e non muri". "L'Europa che ci piace è quella che costruisce ponti e non muri", parlando all'Expo Matteo Renzi continua il suo pressing sui partner della Ue meno disponibili ad aprire le frontiere dei rispettivi Paesi ai flussi migratori provenienti dal Mediterraneo. Da Palermo, in teleconferenza dal Festival del lavoro, al premier fa eco Angelino Alfano il quale, pur sottolineando che, in tema di immigrazione l'Italia nei recenti vertici comunitari "per la prima volta, ottiene un risultato che dà l'idea di un primo passo in avanti", riconosce che, "certo, non abbiamo ottenuto tutto quello che avremmo voluto, ma abbiamo ottenuto più di quanto si sia mai ottenuto in Europa in materia di immigrati". Per il ministro dell'Interno, infatti, assimilato il regolamento di Dublino a un "muro che si è rivelato penalizzante per l'Italia", i recenti accordi sull'accoglienza di 24 mila migranti che verranno distribuiti in Europa, "hanno messo in crisi questo regolamento, creando 24 mila brecce nel muro di Dublino". Ma il titolare del Viminale pone poi l'accento su un tema oggetto di lunghe controversie, quello dei rimpatri, affermando che mentre, da un lato, "vanno accolti i migranti che fuggono da guerre e persecuzioni, dobbiamo, dall'altro, potenziare il sistema dei rimpatri di quanti non hanno diritto a restare in Italia. Questa - sostiene Alfano - è la vera risposta e la scelta giusta che può dar conto anche all'opinione pubblica stanca di vedere sbarchi". E nel suo videomessaggio dal Festival del lavoro il ministro assicura che il governo "farà tutto ciò che è possibile per impedire che gli italiani non trovino lavoro per colpa di immigrati che non hanno diritto a stare in Italia". Il messaggio di Alfano non sembra placare l'animosità di Matteo Salvini, il quale, pur riconoscendo che il ministro dell'Interno "si è finalmente svegliato" e che a sentirlo parlare di rimpatri "sembrava un leghista, mentre fino a 15 giorni fa parlare di espulsioni era una roba da barbari", afferma - anch'egli in videoconferenza con Palermo - di "non voler andare a lezioni di bontà quando ci sono centinaia di italiani che si suicidano per la chiusura delle loro imprese e dei loro negozi. Dire agli immigrati - prosegue il leader della Lega - che in Italia c'è lavoro, accoglienza, casa è una follia. Occorrono più regole, altrimenti - conclude Salvini - fra trent'anni non parleremo più di Sicilia, Italia, Europa, ma ci sarà solo un grande caos". Il leader del Carroccio ha anche modo di replicare vivacemente su Twitter al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che nel corso del suo intervento al Festival chiede, "al fine di fermare un genocidio nel Mediterraneo, l'abolizione del permesso di soggiorno e il riconoscimento del diritto alla mobilità". "Utopie - ribatte Salvini - Ricoverate Orlando". Controreplica, sempre sul social, del sindaco: "Mio ricovero dove? Dachau? Auschwitz". All'attacco del governo anche l'M5S che con Luigi Di Maio esige meno remissività con Bruxelles sull'accoglienza degli immigrati : "Non chiedere la carità alla Ue che obbliga l'Italia a sobbarcarsi il peso di tutti quelli che sbarcano sul nostro territorio. Per questo - dice il vicepresidente della Camera - bisogna modificare il regolamento di Dublino. E per questo fare rete tra i Paesi di frontiera dell'Unione per convincere Francia e Germania a cambiarlo". Immigrazione: il ministro Alfano "impediremo che sia tolto lavoro agli italiani" di Leo Lancari Il Manifesto, 28 giugno 2015 Alfano in versione leghista promette più rigore contro i migranti irregolari. "Opinione pubblica stanca degli sbarchi". "Per la prima volta l'Italia ottiene un risultato a livello europeo che dà l'idea di un primo passo in avanti. Certo non abbiamo ottenuto tutto quello che avremmo voluto, ma abbiamo ottenuto più di quanto si sia mai ottenuto in Europa in materia di immigrati". Angelino Alfano canta vittoria. Il giorno dopo le conclusioni di un consiglio europeo dal quale l'Italia esce con un accordo decisamente al ribasso per quanto riguarda la distribuzione tra i 28 di 40 mila profughi eritrei e siriani (24 mila dall'Italia e 16 mila dalla Grecia), il ministro degli Interni torna ancora una volta a vantare un successo che in realtà è meno scintillante di quanto vorrebbe far credere. L'accordo raggiunto a Bruxelles è infatti lontano dalle richieste inizialmente avanzate dal governo Renzi e si basa sulla semplice disponibilità da parte degli Stati ad accogliere una cifra minima di quanti fuggono dalla guerra. Disponibilità, sia chiaro, non obbligo come invece avrebbero voluto Renzi e Alfano, ma anche il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker al quale va riconosciuto di essersi speso in prima persona per raggiungere lo scopo. Non è andata così, ma Alfano canta vittoria. Non è la prima volta. Lo fece anche quando, archiviata Mare nostrum, riuscì a far approvare dall'Europa, ancora allora restìa a intervenire, una striminzita quanto inutile missione Triton. L'entusiasmo durò poco: il tempo di capire che la nuova missione non solo serviva poco a salvare i migranti nel Mediterraneo, ma neanche li fermava come invece avrebbero voluto lo stesso Alfano e Bruxelles, e subito ha ricominciato a lamentarsi. La stessa cosa è successa con le quote di migranti da distribuire tra i vari Stati. È stato il governo Renzi a fare la cifra di 40 mila profughi tra le decine di migliaia sbarcate in Italia e Grecia, e anche questa vota dal Viminale si sono levate grida di vittoria. Peccato che anche stavolta sono durate poco: dopo neanche un mese lo stesso Alfano protestava con Bruxelles dicendo che la cifra stabilita era troppo bassa e serviva alzarla. L'Europa, come si è visto, è andata dritta per la sua strada. Adesso il ministro torna a cantare vittoria, spacciando per successo quello che tutt'al più è un accordino. "L'accordo Ue ha messo in crisi il regolamento di Dublino", dice. Alfano parla da un video inviato al Festival del Lavoro in corso a Palermo usando parole che non avrebbero stonato domenica scorsa al raduno leghista di Pontida. "Abbiamo vissuto una crisi economica più lunga delle guerre mondiali, e abbiamo un grave problema di disoccupazione soprattutto al Sud e tra i giovani per poter immaginare che un immigrato possa togliere lavoro a un italiano. Questo è davvero inimmaginabile. Faremo tutto ciò che è possibile per impedire che gli italiani non trovino lavoro per colpa di immigrati che non hanno diritto di stare qui", afferma. Logica conseguenza di un simile discorso è l'unico risultato ottenuto al termine del vertice dei capi di Stato e di governo: un inasprimento dei rimpatri degli immigrati irregolari, in realtà imposto all'Italia dai 28, piuttosto restii a fidarsi di come vanno le cose da noi. Alfano si è subito allineato. "Mentre l'Europa deve accogliere i migranti che scappano da guerre e da persecuzioni, come prevedono le regole di civiltà di questo nostro grande continente - dichiara, noi dobbiamo rimpatriare chi entra in Italia irregolarmente". Occorre dunque "potenziare il sistema dei rimpatri", perché "è la scelta giusta che può dare conto anche all'opinione pubblica, stanca di vedere sbarchi". Una dichiarazione che fa fare un salto di sorpresa perfino a Matteo Salvini: "Alfano parla come un leghista", dice infatti il leader della Lega. "Fino a 15 giorni fa dire che bisognava espellere gli immigrati era una roba da barbari, mente oggi è il governo a dirlo". I migranti, risorsa da premiare di Bruno Forte (Arcivescovo di Chieti-Vasto) Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2015 Si parla molto di migranti in questi mesi, dalle cronache che ne raccontano il flusso continuo verso l'Italia e l'Europa, alle riflessioni sul fenomeno in atto, che spaziano dai rozzi pregiudizi di alcuni, pronti a considerare reato ogni arrivo di clandestino, al ventaglio di proposte per l'accoglienza e l'integrazione a medio e lungo termine. Proposte talvolta purtroppo solo teoriche, fino alla rincorsa a soluzioni tampone, che spesso restano le uniche a tempo indeterminato. Diventa perciò importante riflettere sulle dinamiche che il processo migratorio implica, da quella della provenienza dei migranti, e dunque delle cause che spingono intere masse umane ad abbandonare la propria terra, i propri affetti e le proprie per quanto povere certezze per andare verso un futuro in buona parte ignoto, a quella della destinazione, che aiuti a capire quali sono le mete perseguite da chi accetta il rischio dell'immigrazione clandestina, a quella delle possibilità d'inserimento e d'integrazione effettiva nei luoghi di arrivo. I migranti verso l'Italia provengono oggi per la quasi totalità dall'Africa e dal Medio Oriente. Le ragioni che motivano la decisione - tutt'altro che facile - di emigrare, da una parte sono legate ai processi di disgregazione di ampi gruppi sociali e di interi Stati, come nel caso della Somalia, dell'Iraq, della Libia e dello Yemen, dall'altra sono spesso dovute a situazioni di guerra, ispirata a motivazioni etniche e religiose, o a crisi economiche pesanti e durature, come ad esempio in Nigeria, nel Mali, in Eritrea ed in Etiopia. La gravità dei fattori che entrano in gioco nello spingere uomini e donne di ogni età a rischiare tutto, rende difficile applicare in concreto la distinzione cui spesso si ricorre fra "rifugiato" e migrante "per ragioni economiche". Appellarsi a questa differenza come a un criterio decisivo in ordine alle possibili espulsioni e ai rimpatri, rischia di esporre chi dovrà decidere a gravi ingiustizie e a discriminazioni insostenibili dal punto di vista morale. Un intervento preventivo nei Paesi di provenienza appare certamente più corretto, anche se per essere onesto ed efficace implicherebbe componenti politiche ed economiche di vasta portata e dai costi certamente elevati. Soprattutto, di una simile azione, che valica confini e responsabilità nazionali, dovrebbero farsi carico entità sovranazionali, quali le Nazioni Unite e la stessa Europa, la cui divisione e latitanza in materia appare sempre più grave. Circa poi la destinazione reale dei flussi migratori non è difficile riconoscere che per tantissimi essa non è il Paese di prima accoglienza: molti dei migranti, in particolare quelli provenienti dal Medio Oriente, hanno parenti già inseriti in diverse società del Nord Europa o dell'America, tanto del Nord, quanto del Sud. È verosimile, dunque, che essi guardino all'Italia soltanto come a un Paese di transito, senza intenzione di stabilirvisi. La dimostrazione pratica di quest'asserto sta nel fatto che tanti di quelli che arrivano più o meno fortunosamente nel nostro Paese rifiutano di adempiere atti burocratici che li legherebbero allo Stato coinvolto nella prima accoglienza. Anche qui c'è nella legislazione europea un insieme di carenze che andrebbero colmate e di disposizioni che andrebbero modificate. L'impressione che l'Europa unita sta dando al mondo è quella di una sconcertante (e per vari aspetti perfino vergognosa) disunità, per cui ciascuno dei Paesi membro appare più preoccupato di "difendersi" dai migranti che di affrontare il fenomeno migrazioni in maniera organica e capace di tutelare e promuovere la dignità delle persone in gioco. C'è, infine, da considerare l'effettiva possibilità di accoglienza e d'integrazione degli immigrati: una semplice considerazione economica, fatta anche da numerosi imprenditori, è che senza l'apporto del lavoro che gli immigrati svolgono, non una singola azienda, ma l'azienda Italia nel suo insieme avrebbe conosciuto enormi difficoltà e rischierebbe autentici crolli di produttività. Per dirla in altre parole, l'immigrato non è un peso o un pericolo, come viene definito da alcune delle più rozze fra le voci che gridano sulla scena politica, è spesso al contrario un'autentica risorsa, che andrebbe accolta con rispetto per la dignità delle persone e valorizzata per le capacità di contribuire alla crescita di tutti. La cecità di fronte al fenomeno migratorio tocca a volte vertici che, se non fossero drammatici, rasenterebbero il ridicolo: per limitarsi a un solo esempio, che è di estrema gravità, si potrebbe citare il caso del rifiuto della registrazione della dichiarazione di nascita in Italia dei figli di migranti privi di permesso di soggiorno! Su questo fatto c'è stato a lungo un assordante silenzio (con poche eccezioni, come ad esempio la raccomandazione proposta nel congresso del 2014 dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni). Eppure, da diversi anni, nei rapporti firmati anche dalla Caritas Nazionale, il gruppo Convention on the Rights of the Child (Crc) segnala questo problema e ne raccomanda una soluzione a livello istituzionale. È vero che al presente la registrazione della dichiarazione di nascita è possibile a norma di una circolare del ministero dell'Interno (n. 19 del 7 Agosto 2009), di cui lo stesso gruppo a favore dei diritti dei bambini segnala però l'inadeguata diffusione. In Parlamento esistono proposte di legge che, se approvate, potrebbero risolvere la questione e che, però, pur affidate alle commissioni competenti, non vengono messe a calendario. Si può tollerare che l'esistenza giuridica di nuovi nati sia affidata a una circolare che, così come è stata emessa, potrebbe venir cancellata senza neppur informarne il Parlamento e che, comunque, crea dubbi negli uffici anagrafe? La domanda di chi si batte per una soluzione piena e dignitosa del problema diventa: perché impedire per legge a due genitori (o almeno a chi di loro riconosca quel bambino) di dire "questo è mio figlio", che ha diritti uguali a ogni altro nato in questo Paese che si dice democratico? Anche su punti come questo la sfida delle migrazioni ci interpella tutti sulla pienezza e autenticità del nostro essere e volerci umani e sulle esigenze morali che nessuna coscienza retta dovrebbe ignorare. Stati Uniti: "quel ragazzo non avrebbe mal immaginato che voi lo avreste perdonato" di Barack Obama* (traduzione di Lanfranco Caminiti) Il Garantista, 28 giugno 2015 La Bibbia ci chiede di sperare. Di perseverare e credere in cose che non si vedono. "Loro vivevano nella fede, quando morirono", dicono le Scritture. "Loro non riceveranno le cose promesse; le vedranno e ne saranno felici da lontano, consapevoli di essere stranieri sulla Terra". Noi siamo qui oggi per ricordare un uomo di Dio che viveva nella fede. Un uomo che credeva nelle cose che non si vedono. Credeva che ci saranno giorni migliori davanti a noi, anche se da lontano. Un uomo che perseverava nel suo servizio, con la piena consapevolezza che non avrebbe ricevuto tutte le cose che gli erano state promesse, perché era convinto che tutti i suoi sforzi erano rivolti a lasciare una vita migliore per quelli che verranno dopo. Per Jennifer, la sua amata moglie; per Eliana e Malaria, le sue splendide, meravigliose figlie; per la comunità della chiesa di Motlier Emmanuel e per la gente di Charleston e per quella del South Carolina. Non posso affermare di avere avuto la fortuna di conoscere bene il reverendo Pinckney. Ma ho avuto il piacere di incontrarlo qui nel South Carolina, tempo fa quando entrambi eravamo un po' più giovani. Quando i miei capelli grigi non si vedevano ancora. La prima cosa che notai fu la sua grazia, il suo sorriso, il suo tono rassicurante, il suo senso dell'umorismo - tutte qualità che lo aiutavano a rendere più leggero il pesante fardello di aspettative. Questa settimana, i suoi amici hanno voluto ricordare che quando dementa Pinckney entrava in una stanza era come se il futuro fosse arrivato; anche quand'era poco più che un ragazzo, la gente capiva che fosse speciale. Toccato dalla grazia. Veniva da una lunga progenie di uomini di fede -una famiglia di predicatori che hanno portato ovunque la parola di Dio, una famiglia che sapeva protestare e seminare per il cambiamento, per espandere i diritti di voto e farla finita con la segregazione al Sud. Clem aveva ascoltato le loro indicazioni, e non abbandonò mai i loro insegnamenti. Era in seminario a 13 anni, pastore a 18, al servizio della cosa pubblica a 23. Non mostrò mai la spavalderia della giovinezza, né quell'insicurezza; al contrario, fu un degno esempio della sua posizione, saggio più dei suoi anni, nei suoi discorsi, nel suo stile di vita, nel suo amore, nella sua fede e purezza. Come senatore, rappresentava una striscia di terra spalmata di Lowcountry, un luogo che è stato a lungo uno dei più abbandonati d'America. Un posto ancora devastato da povertà e scuole inadeguate; un posto dove i ragazzini ancora hanno fame e le malattie non hanno trattamenti giusti. Un posto che aveva bisogno di qualcuno come Clem. La sua posizione di minoranza nel partito significava che le possibilità di portare a casa più risorse per i suoi elettori erano spesso complicate. Le sue richieste di una maggiore equità erano spesso inascoltate, le sua dichiarazioni di voto talvolta solitarie. Non si arrese mai. Restava fermo nelle sue convinzioni. Non era mai scoraggiato. Dopo una giornata al Campidoglio, saliva nella sua auto e guidava fino alla chiesa, per trarre sostegno dalla sua famiglia, dai ministri di culto, dalla comunità che lo amava e ne sentiva il bisogno. Lì fortificava la sua fede, e immaginava quello che sarebbe potuto essere. Il Reverendo Pinckney impersonificava una politica che non era mai mediocre o misera. Si comportava tranquillamente, e gentilmente, e diligentemente. Incoraggiava la crescita non spingendo da solo le proprie idee, ma cercando tra le vostre idee, appoggiandole per fare che le cose accadano. Aveva una enorme carica di empatia e la capacità di stare dietro le sensazioni, capace di mettersi nei panni dell'altro e di guardare attraverso i suoi occhi. Non ci si può stupire che uno dei colleghi del Senato abbia voluto ricordare il Senatore Pinckney come "il più gentile tra noi 46 qui, il migliore". A Clem veniva spesso chiesto perché avesse scelto di fare il pastore e poi di mettersi al servizio dei cittadini. Le persone che ponevano questa domanda probabilmente non conoscevano la storia dell'African Methodist Episcopal Church. Come i nostri fratelli e sorelle della Ame sanno, noi non facciamo questa distinzione. "La nostra chiamata - disse una volta Clem - non è solo dentro le mura della Congregazione, ma ovunque risieda la vita e la comunità della nostra Congregazione". Impersonificava l'idea che la nostra fede cristiana chiede fatti e non solo parole; che la "dolce ora di preghiera" dura di fatto per quanto è lunga la settimana - che mettere la nostra fede in azione è qualcosa di più che la nostra salvezza personale, riguarda la nostra salvezza collettiva; che nutrire l'affamato e vestire l'ignudo e accogliere chi è senza tetto non è solo una chiamata per un gesto di carità una volta tanto, ma l'imperativo per una società giusta. Un uomo buono. Certe volte penso che la cosa migliore che puoi sperare per quando verrà il momento del tuo elogio funebre - dopo che tutte le parole e le storie sono state lette, sia soltanto dire di qualcuno che fosse un uomo buono. Non devi essere d'alto rango per essere un uomo buono. In seminario a 13. Pastore a 18. Al servizio dei cittadini a 23. Che vita ha vissuto dementa Pinckney. Che esempio ha lasciato. Che modello di fede. E ora lo abbiamo perduto a 41 anni - caduto nella sua chiesa con altri otto straordinari membri del suo gregge, ognuno a un momento differente di età e di vita ma stretti insieme dal comune impegno verso Dio. Cynthia Hurd. Susie Jackson. Ethel Lance. DePayne Middleton-Doctor. Tywanza Sanders. Daniel L. Simmons. Sharonda Cole-man-Singleton. Myra Thompson. Brava gente. Persone oneste. Persone timorate di Dio. Gente così piena di vita e di gentilezza. Gente che affrontava il proprio cammino, che perseverava. Persone di grande fede. Alle famiglie di chi è caduto, io dico: la nazione condivide il vostro dolore. La nostra pena è più profonda perché è accaduto in una chiesa. La chiesa è ancora, come è sempre stata, il centro della vita afro-americana - il luogo dove ritrovare noi stessi quando il mondo fuori è tanto ostile, un santuario dove raccoglierci dai troppi disagi. Nel corso dei secoli, le chiese dei neri servivano da porto sicuro dove gli schiavi potevano pregare in sicurezza; case di preghiera dove i loro discendenti liberati potevano riunirsi e gridare alleluia - tappe di sosta per chi era stanco lungo il cammino della Underground Railroad, la rete di case sicure dove gli schiavi potevano trovare riparo nella loro fuga dalla schiavitù; fortini per i militanti del Movimento per i diritti civili. Sono state, e continuano a essere, i centri della comunità dove ci si organizza per trovare lavoro e giustizia; posti per borse di studio; posti dove i bambini sono amati e tenuti lontano dai pericoli, e gli viene detto che sono meravigliosi e brillanti - e viene loro insegnato che contano, che sono importanti. Questo è quello che accade in una chiesa. Questo è quello che significa una chiesa dei neri. Il nostro cuore pulsante. Il posto dove la nostra dignità umana è inviolabile. Di questa tradizione, non c'è esempio migliore della Mother Emanuel - una chiesa costruita da neri che cercavano libertà, bruciata interamente perché i suoi fondatori volevano mettere fine alla schiavitù, solo per rinascere di nuovo, Araba fenice dalle ceneri. Quando c'erano leggi che impedivano ai neri di riunirsi da soli in una chiesa, i servizi religiosi qui si facevano comunque, sfidando leggi ingiuste. Quando nacque il movimento dei diritti che voleva smantellare Jim Crow - la segregazione razziale, Martin Luther King predicò dal suo pulpito, e le marce iniziarono dai suoi scalini. Un luogo sacro, questa chiesa. Non solo per i neri, non solo per i cristiani, ma per ogni americano che ha a cuore la costante espansione dei diritti umani e della dignità umana in questo paese; una pietra miliare per la libertà e la giustizia per tutti. Questo è quello che significa la chiesa. Non sappiamo se chi ha ucciso il reverendo Pinckney e gli altri otto conoscesse tutta questa storia. Di sicuro sapeva il significato della propria violenza. Un gesto che veniva dritto da una lunga catena di bombe e incendi e sparatorie contro le chiese, non a caso, ma a significare controllo, un modo di terrorizzare e opprimere. Un atto che ha immaginato avrebbe provocato paura e recriminazione, violenza e sospetto. Un atto che presumeva avrebbe provocato divisioni ancora più profonde, che hanno radici nel peccato originale della nostra nazione. Oh, ma Dio opera in modo misterioso. Dio ha idee diverse. Chi ha ucciso non sapeva che stava per essere usato da Dio. Accecato dall'odio, il presunto assassino non poteva vedere la grazia che circondava il Reverendo Pinckney e il suo gruppo di studio della Bibbia - la luce d'amore che splendeva quando aprirono le porte della chiesa e invitarono lo straniero a unirsi al loro circolo di preghiera. Il presunto assassino non avrebbe mai potuto immaginare il modo in cui le famiglie dei caduti avrebbero reagito quando lo hanno visto in tribunale - dentro un dolore inesprimibile, con parole di perdono. Non poteva prevedere questo. Il presunto assassino non poteva immaginare come la città di Charleston, sotto la buona e saggia guida del Sindaco Riley - come d'altronde lo Stato del South Carolina, come gli Stati uniti d'America avrebbero risposto. Non soltanto la repulsione del suo gesto maligno, ma con una enorme generosità e, più importante, con una capacità di guardarsi dentro che così raramente vediamo nella vita pubblica. Accecato dall'odio, non poteva capire quello che il Reverendo Pinckney sapeva benissimo - la potenza della grazia di Dio. Per tutta questa settimana non ho fatto che pensare a quest'idea della grazia. La grazia delle famiglie che hanno perso i loro cari. La grazia intorno alla quale il Reverendo Pinckney avrebbe parlato nei suoi sermoni. La grazia descritta in uno dei miei inni preferiti - quello che tutti conosciamo: Amazing grace. Oh grazia stupefacente / come è dolce il suono / Che ha salvato un miserabile come me / Una volta ero perduto, ma ora mi sono trovato / Ero cieco, ma adesso vedo. Secondo la tradizione cristiana, la grazia non si guadagna. La grazia non si merita. Piuttosto, la grazia è un libero e benevolente favore di Dio - come manifesta nella salvezza dei peccatori e nel conferimento di benedizioni. La grazia. Come nazione, fuori da questa terribile tragedia, Dio ha steso la grazia su di noi, perché ci ha permesso di vedere dove eravamo ciechi. Ci ha dato una occasione, dove eravamo perduti, per trovare il meglio di noi stessi. Possiamo non guadagnarcela, questa grazia, con il nostro rancore e la condiscendenza, e una vista a corto raggio e paura uno dell'altro - ma ce l'abbiamo lo stesso. Lui ce l'ha dato comunque. Lui ce l'ha data ancora una volta. Sta a noi adesso farla fruttare, riceverla con gratitudine, e provare a noi stessi che siamo degni di ricevere questo dono. Per troppo tempo, siamo stati ciechi riguardo la pena che la bandiera dei Confederati suscita in tanti nostri cittadini. È vero, una bandiera non è la causa di questi omicidi. Ma come cittadini di ogni ceto sociale, Repubblicani e Democratici, adesso sappiamo che quella bandiera ha spesso rappresentato molto più che solo un vecchio orgoglio. Per tanti, bianchi e neri, quella bandiera è il ricordo di una oppressione sistematica e dell'assoggettamento razziale. Noi adesso vediamo questo. Rimuovere quella bandiera dal parlamento di questo Stato non sarebbe un atto di correttezza politica; non sarebbe un insulto al valore dei soldati confederati. Sarebbe semplicemente il riconoscimento che la causa per cui hanno combattuto - la causa della schiavitù - era sbagliata, l'imposizione della segregazione dopo la Guerra civile, la resistenza ai diritti civili per tutti erano sbagliate. Sarebbe un passo ancora nel racconto onesto della storia dell'America; un modesto ma pieno di significato balsamo per così tante ferite mai rimarginate. Sarebbe l'espressione degli stupefacenti cambiamenti che hanno trasformato questo Stato e questo paese nel meglio, grazie al lavoro di così tanta gente di buona volontà, gente di ogni razza che si è sforzata di formare una perfetta unione. Nel tirare giù quella bandiera, noi esprimiamo la grazia di Dio. Non credo che Dio voglia che noi ci si fermi qui. Per troppo tempo, noi siamo stati ciechi del modo in cui le passate ingiustizie continuano a influenzare il presente. Forse lo vediamo adesso. Forse questa tragedia ci spinge a porre qualche domanda su come possiamo permettere che tanti dei nostri figli languiscano nella povertà, o frequentino scuole fatiscenti, o crescano senza la prospettiva di un lavoro o di una carriera. Forse, ci spinge a chiederci cosa possa provocare odio in qualcuno dei nostri ragazzi. Forse può ammorbidire i cuori verso quei giovani uomini perduti, decine e decine di migliaia afferrati in un sistema giudiziario penale - e guidarci a essere sicuri che il sistema non sia infettato da pregiudizi; guidarci a creare cambiamenti nel modo in cui addestriamo e prepariamo la nostra polizia in modo che i legami di fiducia tra l'applicazione della legge e le comunità presso cui si presta servizio ci rendano più sicuri e più garantiti. Forse noi oggi vediamo il modo in cui i pregiudizi razziali possono infettarci anche quando non ce ne rendiamo conto, così che possiamo essere in guardia non solo contro gli insulti razziali, ma anche contro quel sottile impulso che spinge a chiamare Johnny per un posto di lavoro ma non Jamal. Così che noi guardiamo dentro i nostri cuori quando prendiamo in considerazioni leggi che rendano più difficile votare per qualcuno dei nostri concittadini. Riconoscendo la nostra comune umanità trattando ogni bambino come una cosa preziosa, senza riguardo il colore della pelle o il posto dov'è nato, e fare ciò che è necessario per rendere reale le opportunità per ogni americano - ecco, facendo questo, noi esprimiamo la grazia di Dio. Per troppo tempo. Per troppo tempo siamo stati ciechi riguardo la strage che la violenza delle armi infligge a questa nazione. Sporadicamente, i nostri occhi si sono aperti: quando otto tra i nostri fratelli e sorelle restano falciati sul pavimento di una chiesa, dodici in una sala di cinema, ventisei in una scuola elementare. Io spero che noi anche si veda che ogni singolo giorno trenta preziose vite sono spezzate dalla violenza delle armi in questo paese; senza contare tutti quelli le cui vite sono cambiate per sempre - i sopravvissuti storpiati, i bambini traumatizzati e terrorizzati ogni giorno che andranno a scuola, il marito che non potrà più sentire il caldo abbraccio della moglie, intere comunità il cui dolore ritornerà a galla ogni volta che dovranno vedere ciò che è accaduto a loro ripetersi in un qualche altro posto. La stragrande maggioranza degli americani - la maggioranza di quelli che posseggono armi - vuole che si faccia qualcosa. Noi lo vediamo adesso. E io sono convinto che riconoscere il dolore e la perdita degli altri, anche quando rispettiamo le tradizioni e lo stile di vita che formano questo amato paese - nel fare la scelta morale di cambiare, noi esprimiamo la grazia di Dio. Noi non guadagniamo la grazia. Noi siamo tutti peccatori. Noi non la meritiamo. Ma Dio ce la dà comunque. E noi scegliamo come riceverla. È nostra la decisione di come onorarla. Nessuno di noi può aspettarsi un cambiamento nelle relazioni di razza da un giorno all'altro. Ogni volta che accade qualcosa come questa, qualcuno dice che dobbiamo discutere riguardo la razza. Noi parliamo parecchio riguardo la razza. Non ci sono scorciatoie. E non abbiamo bisogno di parlare e parlare ancora. Nessuno di noi può pensare che un pugno di misure restrittive sulle armi potrà prevenire qualunque tragedia. Non sarà così. La gente di buona volontà continuerà a argomentare sui meriti delle differenti politiche, come la nostra democrazia richiede - l'America è un grande paese rumoroso. E ci sono brave persone da entrambi i lati di queste discussioni. Qualsiasi soluzione noi si trovi sarà necessariamente incompleta. Ma tradiremmo tutto quello che il Reverendo Pinckney rappresentava, io credo, se permetteremo a noi stessi di scivolare di nuovo in un confortevole silenzio. Una volta che gli elogi sono finiti, una volta che le telecamere se ne sono andate, per tornare al loro mestiere come di solito - ecco che spesso evitiamo le scomode verità riguardo i pregiudizi che infettano la nostra società. Diamo spazio a gesti simbolici senza far seguire il lavoro necessario per cambiamenti duraturi - ecco che avremo perso di nuovo la nostra via. Significherebbe smentire il perdono espresso da quelle famiglie, se noi scivolassimo nelle vecchie abitudini, per cui quelli che non sono d'accordo con noi non stanno semplicemente sbagliando, ma sono cattivi; per cui urliamo invece di ascoltare; per cui ci barrichiamo dietro preconcetti o uno studiato cinismo. Il Reverendo Pinckney una volta disse: "Per tutto il Sud, c'è un profondo senso di apprezzamento della Storia - ma nessuno ha lo stesso apprezzamento verso la Storia di un altro". Ciò che è vero nel Sud è vero per l'America. Clem sapeva che la giustizia cresce dal riconoscimento di noi stessi in ciascun altro. Che la mia libertà dipende dal fatto che tu sia libero. Che la Storia non può essere una spada che giustifica le ingiustizie o uno scudo contro il progresso, piuttosto un manuale per come evitare di ripetere gli errori del passato - come spezzare il cerchio. Una mappa verso un mondo migliore. Lui sapeva che il sentiero verso la grazia richiede una mente aperta -ma, ancora più importante, un cuore aperto. Questo è quello che ho sentito durante questa settimana - un cuore aperto. Questo, più che una particolare politica o un'analisi, è quello che chiamiamo, io penso - quello che una mia amica, la scrittrice Marilyn Robinson, definisce "quella riserva di benevolenza, e oltre, e di un altro genere, che siamo capaci di fare l'uno per l'altro nell'ordinario svolgersi delle cose". Quella riserva di benevolenza. Se siamo in grado di trovare quella grazia, ogni cosa è possibile. Se siamo in grado di attingere a quella grazia, ogni cosa può cambiare. Stupefacente grazia. Stupefacente grazia. (Inizia a cantare) Amazing grace - how sweet the sound, that saved a wretch like me; I once was lost, but now Fm found; was blind but now I see. dementa Pinckney ha trovato quella grazia. Cynthia Hurd ha trovato quella grazia. Susie Jackson ha trovato quella grazia. Ethel Lance ha trovato quella grazia. De-Payne Middleton-Doctor ha trovato quella grazia. Tywanza Sanders ha trovato quella grazia. Daniel L. Simmons, Sr. ha trovato quella grazia. Sharonda Coleman-Single-ton ha trovato quella grazia. Myra Thompson ha trovato quella grazia. Attraverso l'esempio delle loro vite, adesso l'hanno passata a noi. Possiamo trovare noi stessi degni di quel prezioso e straordinario dono, per tutto il tempo che le nostre vite dureranno. Che la grazia possa condurli verso casa. Possa Dio continuare a versare la Sua grazia sugli Stati uniti d'America. * Testo integrale del discorso di commemorazione del Reverendo Pinnkney ai funerali delle vittime della strage di Charleston Medio Oriente: in fin di vita detenuto palestinese in sciopero fame da 53 giorni Askanews, 28 giugno 2015 Khader Adnan non mangia da 53 giorni. Potrebbe morire da un momento all'altro Khader Adnan, un palestinese detenuto nelle carceri israeliane e in sciopero della fame da 53 giorni. "I medici me lo hanno confermato, Khader Adnan potrebbe morire in un qualsiasi momento", ha detto Jawad Boulos, un avvocato del Prisoners Club, con sede a Ramallah, in Cisgiordania, che nella notte ha ricevuto una chiamata dall'ospedale per avvisarlo del repentino peggioramento delle condizioni di salute del suo cliente. L'uomo era stato arrestato lo scorso giugno nel corso delle numerose retate israeliane seguite al rapimento di tre teenager israeliani, poi uccisi, nella Cisgiordania.