Giustizia: processare la gogna, manifesto contro la malagiustizia di Giuliano Ferrara Il Foglio, 11 giugno 2015 Piero Tony non è Flaubert né vuole o ha bisogno di esserlo. Non è supremo stilista e non si occupa che indirettamente del cuore umano e dei sensi. Ma fa lo stesso. Così come Madame Bovary ti consente di capire (sentire come parte del tuo mondo) la stupidità del farmacista, la compostezza broccolona del marito, la vanità degli amanti, l'inquietudine dell'amore, il presagio della morte in una carrozza che sobbalza e la quint'essenza della puttanaggine o della vita borghese di provincia, proprio così, proprio allo stesso modo ti è consentito, se leggi il libretto di Tony, un magistrato che si è stufato e la dice chiara e tutta, di capire che cosa è andato storto nel nostro modo di giudicare le persone, di fare pulizia nella vita pubblica, di trattare gli esseri umani come mezzi invece che come fine, di costruirci una leggenda nera al posto della nostra stessa storia. E di sentire il tradimento dei giornali, l'invacchimento dell'informazione televisiva, la resa al peggio di istituzioni di garanzia del vivere civile come parte del tuo mondo. Di oggi. Il mondo che vivi. Di cui parli o scrivi. Sono i miracoli della scrittura quando rende testimonianza e ti porge l'anticchia di verità di cui hai bisogno nella forma sublime del romanzo o nell'ordinario e chiarissimo linguaggio di un esposto civile. Insomma questo breve trattato di un magistrato che si è stufato, si è messo da parte e ha deciso di dirla tutta con spontanea sicurezza, con contegno, senza urlare, senza fare nomi a casaccio, mantenendo terzietà giudicante anche nella denuncia, è efficace come un classico dell'Ottocento. L'autore, toga pura, si meriterebbe un processo al termine del quale poter dire "Madame Bovary c'est moi", e invece oggi la censura opera per silenzi, ammiccamenti, rimozioni, edulcorazioni e altri mezzi bassi di deprezzamento e di isolamento di chiunque non stia al gioco. È un vero peccato di omissione, è la rinuncia al piacere intellettuale della riscoperta di ciò che non sapevi di sapere, ma vagamente intuivi, il fare finta che questo libro Einaudi (stile libero extra) non sia in libreria, il passare oltre e considerarlo un qualunque saggio sulla professione di magistrato scritto "da uno di loro". Come testimoniato da Indro Montanelli in tempi non sospetti (ne riferivamo ieri qui), Piero Tony, il procuratore generale che osò mandare a monte il processo mediatizzato sul mostro di Firenze, è un campione di retorica forense, ma proprio perché la sa esercitare senza ornamento, nuda e chiara come la luna piena nelle serate terse. Nel suo manifesto di una vita non si propone come campione di alcunché, si offre di aprirci o scoperchiare la sua vita in toga, e di spiegarci come mai questo paese è avviluppato nella spirale umiliante della politicizzazione della giustizia, dell'arbitrio nell'esercizio del diritto, della "supplenza" invasiva che porta alla fine della divisione dei poteri, nella torsione a fiction, ma di quella banale, foto romanzata, del reale giurisdizionale, con orde di manettari, di personaggi sciatti e farfalloni, di ambiziosi pieni di bullaggine e di prosopopea, tutti intenti a primeggiare, gareggiare nel nulla delle "hard news", costruire teoremi moraleggianti, distruggere vite e società civile compromettendo una delle tre istituzioni decisive di una democrazia liberale, il giudiziario. L'autore è persuasivo quando descrive la politicizzazione della giustizia penale, la lentezza e l'impaccio così utili dei suoi meccanismi, la discrezionalità togata che diventa arbitrio, la politica che asseconda il fenomeno e lo fa suo per gola e per inerzia anche prima di restarne vittima, la gogna che stravolge vite ed è "giudizio costituzionale definitivo", il famoso "giudicato" di tipo nuovo, acconcio ai tempi, la persecuzione strepitante di "fenomeni" da processare invece che di "reati" da individuare e provare; è persuasivo perché è tecnico (quando ci vuole) ma non pedante, perché parla di tutto ma come i signori parla delle cose e non delle persone, lasciando al lettore il suo personale catalogo degli errori e degli orrori. Capisci cosa pensa, tutto il male possibile, del processone stato-mafia o del processo Ruby o delle persecuzioni delle streghe pedofile, ma lo capisci perché ti racconta come si stravolge una procedura, come si nullifica la riforma del processo inquisitorio, come si sostituisce il soggettivismo e la cultura di corrente o ideologia di parte alla coscienza collettiva di una professione di stato esercitata in nome del popolo o al libero convincimento del giudice. Il "che cosa" spiegato bene attraverso il "come": sono lacerti di verità che i lettori del Foglio conoscono da vent'anni, che sono parte sostanziale della nostra piccola ma tenace funzione editoriale e civile, sono cose che magari ricordate da un articolo di Vitiello, da un pezzo di Mauro Mellini, da un saggio di Fiandaca, ma stavolta chi parla non è un politico come Violante (in funzione di storia critica di sé stesso), non è uno di noi corsari dell'informazione, stavolta è un compassato magistrato di sinistra che vorrebbe tanto voltare la faccia dall'altra parte, che cita anche tutto il buono che c'è nel lavoro di mille suoi colleghi, ma che non riesce, proprio non riesce, a non essere sottile e sferzante, accusatorio e generoso di dettagli e di virgole decisive tra una fattispecie e l'altra di moralismo messo fraudolentemente al posto del diritto penale. E c'è veramente tutto: c'è il capitolo sul concorso esterno in mafia, una lettura drammatica a carcere in corso per i Cuffaro e i Dell'Utri, c'è lo smantellamento del guardonismo e del comune senso del pudore capace di condurre a campagne "isteriche" e antiliberali sul sesso e l'amicizia, c'è l'elencazione senza nomi ma palmare del numero infinito di "salti in politica" che ha screditato come parziale e faziosa la funzione di giustizia che va dalle inchieste milanesi sulla corruzione ad oggi. E c'è la gioia di vedere che questo gran finale di carriera, perché Tony come ho detto ha scelto di chiamarsi fuori per essere finalmente dentro il problema della malagiustizia, è stato pescato da un giovanissimo cronista, che ora dirige questo giornale, abituato a leggersi le pagine locali dei giornali e disposto a partire per Prato e a parlare con il capo dell'ufficio dei pm che aveva in animo il programma galeotto di questo magnifico libro. Da anni ci chiediamo: quando finirà il tormento della giustizia ingiusta, dell'arbitrio, della compromissione dell'intera magistratura nei comportamenti abnormi delle sue avanguardie supplenti della politique politiciènne? A leggere questo libro il momento della rivoluzione di libertà e di diritto è arrivato; a sentire il silenzio ottuso e impudico che per adesso lo circonda, quel momento è sempre rimandato. Piero Tony, "Io non posso tacere. Un magistrato contro la gogna giudiziaria. Confessioni di un giudice di sinistra", Einaudi, 134 pagine, 16 euro. Giustizia: Mafia Capitale è la Tangentopoli della Seconda Repubblica? di Edoardo Narduzzi Milano Finanza, 11 giugno 2015 La domanda comincia a circolare con una certa insistenza adesso che la Procura di Roma fa retate quasi settimanali di politici e amministratori accusati di essere corrotti al Comune di Roma e in Regione Lazio. Siamo nell'era del web e della tecnologia di massa e questo rende Mafia Capitale molto diversa da Tangentopoli. Nei primi anni 90 giornali e media tradizionali avevano ancora il monopolio dell'informazione, oggi tutto viaggia in rete. Allora le intercettazioni ambientali erano artigianali, ora permettono di filmare con una microcamera Luca Odevaine, già per cinque anni a capo della polizia provinciale di Roma per nomina dell'attuale governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che conta i soldi ricevuti in contanti e che spiega cosa deve fare per farli arrivare in Venezuela senza essere beccato dalla Banca d'Italia con i suoi sistemi antiriciclaggio. Oggi, insomma, la prova della corruzione è in rete e per molti degli imputati la strada del processo si riduce alla migliore strategia per patteggiare. Ma prima devono collaborare con la Procura, dire quanto sanno, perché solo in questo caso il patteggiamento sarà concesso. Insomma, le carte le danno i giudici. Mafia Capitale presenta un'altra profonda differenza rispetto a Tangentopoli: allora il principale partito di opposizione era il Pci, scampato allo tsunami giudiziario solo perché la zona grigia fatta di bilanci cooperativi e imprese gestite da funzionari militanti alla Primo Greganti (lo stesso inquisito per Expo) lo aveva saputo schermare, mentre oggi la principale forza di opposizione è il M5S che addirittura rifiuta il finanziamento pubblico ai partiti. Il Pci era una macchina politica costosa e tradizionale nel suo rapporto con la spesa pubblica, mentre il movimento di Grillo da questa prospettiva di analisi è davvero rivoluzionario. Quindi il M5S ha ancora più capacità propulsiva politica per approfittare di Mafia Capitale e mandare a casa la vecchia politica costosa e inefficiente nel risolvere i problemi delle persone. Del resto ogni voto ottenuto alle recenti elezioni è costato 20 centesimi al M5S e quasi 4 euro al Pd: il modello di business del Pd, venti volte più costoso di quello di Grillo, è insostenibile in un Paese alla disperata ricerca della spending review. Infatti Mafia Capitale è proprio un'atipica spending review, stavolta imposta all'Italia dalle regole dell'Eurozona. L'inchiesta sta certificando sprechi enormi nella spesa pubblica, utilizzata dai politici per finanziare le proprie carriere personali. Una spesa pubblica che produce una pressione fiscale insostenibile, il 3,33% di addizionale Irpef nel Lazio più lo 0,9% comunale, depauperando il territorio per arricchire pochi. Una classe politica davvero europea avrebbe fatto la spending review da tempo, ma oggi Mafia Capitale certifica perché ciò è impossibile: i politici dovrebbero segare il ramo sul quale prosperano. Tocca ancora alla magistratura, quindi, agire in supplenza della politica non all' altezza dell'Europa. Mafia Capitale è anche questo: una originale spending review imposta al bilancio pubblico. Giustizia: Garanti dei detenuti chiedono al ministro definitivo riconoscimento del loro ruolo Ristretti Orizzonti, 11 giugno 2015 Riconoscimento definitivo del ruolo e delle prerogative dei Garanti dei detenuti, "in troppe realtà contestati e misconosciuti dalle amministrazioni penitenziarie", assicurare la presenza di un Garante territoriale nel comitato scientifico degli Stati generali dell'esecuzione penale e coinvolgere nei tavoli di lavoro anche rappresentanti diretti o indiretti della popolazione detenuta. Sono queste le richieste avanzate al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, dal Coordinamento dei Garanti delle persone private della libertà personale regionali, provinciali e comunali, che si è riunito giovedì 4 giugno negli spazi dell'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna. L'incontro è stato anche l'occasione per votare l'elezione di Franco Corleone, Garante della Regione Toscana, a referente del Coordinamento dei Garanti: tra i presenti anche i Garanti di Puglia, Marche e Valle d'Aosta e 11 garanti territoriali, provenienti da sei diverse Regioni. Come spiega la Garante per le persone private della libertà personale dell'Emilia-Romagna, Desi Bruno, "l'opportunità della partecipazione dei detenuti agli Stati generali è evidente, si possono e si devono recuperare anche le attività già fatte in alcuni istituti, come il lavoro della redazione di Ristretti Orizzonti in tema di diritto all'affettività, proprio nel senso della valorizzazione dell'esperienze già in essere nei singoli istituti penitenziari". I Garanti hanno inoltre chiesto di essere resi partecipi del processo di identificazione del collegio del Garante nazionale dei detenuti, auspicando che in una delle tre figure possa essere valorizzata l'esperienza delle figure di garanzia presenti sui territori. Giustizia: reato di tortura, c'è il rischio che anche questa legislatura non lo approvi Ristretti Orizzonti, 11 giugno 2015 In una conferenza stampa tenuta questa mattina al Senato insieme a Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, Amnesty International Italia, Antigone e A Buon Diritto hanno fatto il punto sul disegno di legge relativo all'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento italiano. Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, e Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, hanno sottolineato ancora una volta la necessità che, a 26 anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, l'Italia colmi un vuoto legislativo che impedisce al nostro paese di onorare gli impegni assunti sul piano internazionale e che, nel corso di questi anni - come più volte evidenziato da sentenze di tribunali nazionali e recentemente dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Cestaro contro Italia - si è tradotto nell'impunità o nella quasi impunità per gli autori di gravi violazioni dei diritti umani e in un diniego di giustizia per le vittime. "Il testo trasmesso al Senato dalla Camera non è perfetto ma non vi sono al momento le condizioni per ottenere un testo migliore. È un testo compatibile con la Convenzione Onu contro la tortura. L'alternativa è di continuare a non avere il reato di tortura" - hanno concordato Marchesi e Gonnella. A poche ore dalla scadenza per la presentazione degli emendamenti presso la Commissione giustizia del Senato, Amnesty International Italia e Antigone hanno messo in guardia dal rischio che ulteriori modifiche al terzo passaggio parlamentare potrebbero innescare un processo potenzialmente infinito di passaggi tra i due rami del Parlamento, che discutono la questione da ben cinque legislature. "Se così fosse, e temiamo possa essere, si corre il serio rischio che anche questa Legislatura, la quinta consecutiva, non approvi il reato di tortura. A coloro che per motivi diversi e contrapposti, perché il testo è troppo duro o troppo blando nei confronti delle forze di polizia o perché semplicemente non vogliono il reato di tortura in Italia, chiedono al Parlamento di non approvarlo, diciamo che sono purtroppo vicini al loro obiettivo, che sarebbe un inaccettabile fallimento". "Aspettiamo da 26 anni l'approvazione del reato di tortura e quello che non vorremmo è che si faccia ancora melina perdendo ulteriormente del tempo, sarebbe inaccettabile. Ci appelliamo al Presidente del Consiglio Renzi e al governo affinché dicano parole chiare" - ha aggiunto Patrizio Gonnella. Questa mattina, Amnesty International Italia ha trasmesso a tutti i senatori una cartolina chiedendo loro di contribuire, completando in tempi brevi la discussione sulla definizione del reato di tortura, a porre fine a una situazione che provoca conseguenze intollerabili e ci mette in grave imbarazzo sul piano internazionale. La cartolina ritraeva la mobilitazione realizzata lo scorso 17 aprile a Roma, sulla scalinata della Basilica di Santa Maria in Aracoeli, da attivisti di Amnesty International e delle altre associazioni partecipanti. I cartelloni raccolti in tutta Italia dall'Organizzazione sono stati ugualmente consegnati oggi ai destinatari dell'appello, il presidente del Consiglio Renzi e i presidenti delle Camere, Grasso e Boldrini. Giustizia: Sergio Mattarella al Csm "lentezza non fa rima con giustizia" di Renato Balduzzi Avvenire, 11 giugno 2015 Ci sarà certamente una ragione se tutti gli organi di stampa hanno sottolineato, nel recente intervento del Capo dello Stato al Consiglio superiore della magistratura, il passaggio in cui il Presidente ha ricordato che "il Paese chiede un'amministrazione della giustizia veloce". A differenza di quanto si può sostenere a proposito di altri settori della vita associata o della stessa vita individuale di ciascuno di noi (dove un ritmo più lento non può che giovare), l'elogio della lentezza infatti non si addice al campo della giustizia, dove vale il principio per cui la giustizia lenta è sempre, in qualche misura, una giustizia negata. Meno spazio, invece, i commentatori hanno dedicato all'avvio, da parte del Csm, della riscrittura integrale del proprio regolamento interno sulla base dei principi di collegialità, trasparenza ed efficienza, pure più volte sottolineata positivamente nel discorso del Presidente Mattarella (il quale, già in questi primi mesi, ha mostrato di sapere e voler dosare con prudenza aggettivi e avverbi): si tratta del primo tassello dell'autoriforma annunciata e avviata da parte dell'organo di governo autonomo della magistratura. Sottolineo: "governo autonomo" della magistratura e non autogoverno, come pure si continua a ripetere, dimenticando che la componente cosiddetta laica del Csm non è un soprammobile, a partire da chi presiede l'organo: si tratta di un principio radicato nelle idee di rigenerazione civile e istituzionale che trovarono, come ha opportunamente richiamato il Ministro della giustizia proprio davanti al Csm, le loro origini settant'anni fa nella guerra di Liberazione. Un Consiglio superiore della magistratura che ha già dato prova di voler prendere sul serio, per quanto di propria competenza, la sfida di un'amministrazione veloce della giustizia, ad esempio triplicando il numero di nomine dei capi degli uffici rispetto al recente passato. In questa situazione va sgomberato il campo da ogni inutile polemica, come quella su a chi spetti la riforma del Consiglio, se alla politica o anche allo stesso organo di governo autonomo. Sul punto, non va sottovalutato il passaggio in cui il Capo dello Stato ricorda che, nelle scelte legislative su questi temi, la competenza del Parlamento e del governo non esclude che dall'organismo di autogoverno dei magistrati possano provenire proposte. Insomma: velocità non esclude prudenza, ponderazione e ascolto. Giustizia: le correnti in magistratura non si battono con le chiacchiere, meglio un dado di Serena Sileoni Il Foglio, 11 giugno 2015 Nell'intervento alla riunione del Consiglio superiore della magistratura dell'8 giugno, il presidente della Repubblica ha richiamato l'opportunità di modificare il sistema elettorale di questo organismo. Ora che anche il capo di stato, presidente di diritto del Consiglio superiore della magistratura (Csm), ha fatto cenno all'esigenza di assicurare la piena rappresentatività del Consiglio, il ministro Orlando e il presidente Renzi avranno una spalla in più su cui appoggiarsi per tentare di modificare un organismo finora refrattario al cambiamento. Per evitare quelli che Mattarella definisce "gli inconvenienti" dell'attuale sistema elettorale non basterà però cambiare questo sistema. Bisognerà partire dall'idea stessa di rappresentatività del Csm, per separarla proprio dal meccanismo elettivo. "Il sorteggio è nella natura della democrazia, il suffragio è nella natura dell'aristocrazia": parole quasi blasfeme per gli apologeti della democrazia rappresentativa. Montesquieu, che quelle parole scrisse nello "Spirito delle leggi", aveva invece già presente che le elezioni sono un sistema elitario di selezione, prima ancora che la scienza politica dalla fine del XIX secolo teorizzasse in maniera meno idealistica il rapporto tra eletti e elettori, il meccanismo del consenso, i lati meno nobili della legittimazione elettorale. Il sorteggio è, a ben vedere, un sistema imparziale perché cieco, impermeabile alla propaganda elettorale perché da essa indipendente, equo perché aperto. Gli si imputa un difetto: l'imprevedibilità dell'esito. Non che chi governa per mandato elettorale sia necessariamente adeguato allo scopo e competente, ma del sorteggio non accettiamo l'assoluta incertezza su chi possa ottenere la carica. Una questione forse più psicologica che razionale. Usato in sistemi misti nella decantata democrazia ateniese, nella Venezia dei dogi e nei comuni medievali, a partire da Firenze, lo abbiamo poi ostracizzato dagli organi di governo, pur continuando a fidarci di esso in casi sporadici ma significativi. In Italia, per sorte vengono estratti i membri aggiunti della Corte costituzionale per giudicare i reati presidenziali e i giudici popolari della Corte d'Assise e della Corte d'assise d'appello (per non parlare delle giurie statunitensi); nel Regno Unito, con sorteggio possono essere presentati progetti di legge di iniziativa parlamentare. Nelle procedure concorsuali o di valutazione, avviene che le commissioni siano scelte con un sistema misto di candidature spontanee e sorteggio. È certo difficile per noi oggi pensare che organi politici possano essere composti da persone a caso, par hasard direbbero i francesi, dove "hasard" viene da un piccolo oggetto simbolo del rischio della sorte: il dado. Tuttavia, il Csm non è un organo politico. Ha una funzione fondamentale e semplice: una sorta di ufficio del personale - si passi la banalizzazione - della magistratura, un'amministrazione che provvede ad assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari dei magistrati. Un ufficio composto in prevalenza da magistrati e nato al preciso scopo di evitare che queste funzioni siano svolte dal ministero di Giustizia, con un evidente pericolo per l'indipendenza dall'esecutivo. Se le funzioni sono dunque di alta amministrazione dell'ordine dei giudici, perché non pensare di modificare il sistema di designazione dei componenti il Csm, non perfezionando un sistema elettorale tipico di un circuito politico, ma piuttosto introducendo un sistema neutro come quello del sorteggio tra gli appartenenti alla categoria, con frequenti rinnovi? Una riforma difficile, sia per l'ostilità culturale verso il sorteggio sia per il fatto di necessitare di una revisione costituzionale, ma funzionale a rendere più verosimile un oggettivo controllo disciplinare sull'operato dei magistrati, quanto meno tamponando il fenomeno del correntismo. A rendere più possibile quella responsabilizzazione della magistratura che tanto si va cercando ma che, finché non si metterà mano alla composizione del Csm, si cercherà invano. Giustizia: Legge Severino; Cantone propone sospensione graduale e proporzionata ai reati di Dino Martirano Corriere della Sera, 11 giugno 2015 Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, ha presentato al governo e al Parlamento 25 osservazioni sulla possibilità di modificare la legge Severino: una in particolare, la numero 7, se recepita in tempi rapidi dal legislatore, potrebbe far discutere molto sulla durata della sospensione dalla carica del governatore della Campania, Vincenzo De Luca (Pd), che prima o poi dovrà essere firmata dal presidente del Consiglio. Nell'impostazione prospettata dall'Anac, che fa riferimento a decreti legislativi già approvati dai passati governi, non si esclude infatti anche per la sospensione la "gradualità delle conseguenze in rapporto alla gravità dei reati" contestati. E se De Luca deve rispondere di una condanna "solo" per abuso d'ufficio in primo grado, vuol dire che la sua sospensione dalle funzioni di governatore non dovrebbe essere calcolata nel massimo, cioè 18 mesi (più 12 mesi in caso di condanna anche in appello). Un altro punto delle osservazioni dell'Anac riguarda la "possibile disparità di trattamento tra il regime previsto per i parlamentari nazionali e quello dettato per gli amministratori regionali e locali, con tanto di parentesi dedicata al ricorso della Corte d'Appello di Bari che ha portato la legge Severino all'esame della Corte costituzionale. Il documento dell'Anac, che si chiama "Atto di segnalazione", ha scatenato i tifosi e gli avversari di De Luca: "Assist al governatore", come lo chiamano a Napoli, o "atto che gli impedisce di assumere l'incarico", come sostiene l'avvocato Gianluigi Pellegrino che ha innescato il ricorso poi vinto davanti alle sezioni unite della Cassazione sulla competenza del giudice ordinario? Sostiene Pellegrino: se l'Anac scrive "la legge vuole impedire l'accesso o la permanenza in cariche politiche" va da sé che "De Luca non può assumere la carica di governatore" e dunque nominare un vice che governerà al suo posto durante la sua sospensione. Forse, però, l'"accesso impedito" citato da Cantone si potrebbe riferire ai casi di incadidabilità e non alla sospensione del condannato. Cantone si tira fuori da ogni commento. "Noi non pendiamo né da una parte né dall'altra, non entriamo in nessun caso specifico, sottolineiamo soltanto che esiste una possibile disparità di trattamento tra il regime previsto per i parlamentari nazionali e quello dettato per gli amministratori regionali e locali", è l'unico commento che si strappa all'Anac. Sulla tempistica dell'"atto di segnalazione", poi, Cantone stesso ha fatto sapere che il calendario lo ha stabilito la riforma della Pubblica amministrazione (legge Madia) approvata dal Senato e ora alla prova degli emendamenti in I Commissione alla Camera. Del caso De Luca ha parlato anche il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, rispondendo alla Camera a Forza Italia e a Sel. Il responsabile del Viminale ha escluso che per la Campania possa essere avviata la procedura per lo scioglimento del consiglio e ha ribadito che il lungo iter che porterà alla sospensione di De Luca potrà essere avviato soltanto dopo la proclamazione degli eletti. Il rebus che attanaglia i prefetti, cioè qual è la data dalla quale dovrà decorrere la sospensione di De Luca, Alfano non lo ha ancora risolto ma di certo, nel suo intervento, ha fatto riferimento alla esigenza di far funzionare al più presto l'organo regionale. È tutto da vedere dunque se De Luca farà in tempo a nominare un vice. Il caso De Luca è tornato a tenere banco anche in commissione Antimafia dove, per la prima volta, si è verbalizzato in seduta plenaria il percorso che ha portato l'ufficio di presidenza a varare la lista dei 15 candidati "impresentabili" a poche ore dall'apertura delle urne. La presidente Rosy Bindi ha ricostruito i passaggi della vicenda, affermando che il caso De Luca (inserito tra gli impresentabili per un vecchio processo ancora in corso) è stato "affrontato con estrema attenzione". Bindi, poi, si è tolta un sassolino dalla scarpa respingendo al mittente ciò che ha argomentato De Luca alla direzione del Pd: "Sono infondate e inaccettabili le accuse di aver dato vita a una iniziativa sul piano umano volgare e diffamatoria, sul piano politico infame e sul piano costituzionale eversiva". Giustizia: intervista a Gabriele Albertini (Ncd) "basta con l'arbitrio di certi pm" di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 11 giugno 2015 I critici dicono che la riforma voluta dal governo in tema di anticorruzione sia un contentino all'Associazione nazionale magistrati e all'ala giustizialista del Pd. In particolare per i tempi eterni della prescrizione del reato. Di sicuro l'allungamento dei processi non trova d'accordo il Nuovo centrodestra. E ora Gabriele Albertini, che rappresenta l'Ncd in commissione Giustizia al Senato, promette di battersi per l'introduzione di correttivi. Come giudica il testo sulla prescrizione, senatore? "L'aumento delle pene e l'aumento dei tempi della prescrizione danno una discrezionalità amplissima a chi conduce le indagini e può tenere per anni "sotto scacco", ad esempio, chi punta a candidarsi e vede la propria immagine compromessa. Ncd ha cercato di correggere la durata della prescrizione. Crediamo di avere ragione nel merito". Il legislatore non vuole intervenire sul rispetto dei termini delle indagini preliminari, fase che vede il pm dominus incontrastato e in cui attualmente si prescrive il 70% dei reati. La sentenza della Cassazione a sezioni unite 40538 del 2009, Lattanzi, ha affermato che "è compito indilazionabile del legislatore intervenire per risolvere il problema della ritardata iscrizione dell'indagato", il "trucco" usato da certi pm per prolungare sine die la fase delle indagini preliminari. Basterebbe aggiungere due parole all'articolo 335: "Il pubblico ministero, iscrive immediatamente, a pena di nullità, nell'apposito registro, ogni notizia di reato che gli perviene…". "Perfetto! Non conoscevo questa sentenza. Appena torna in Senato il provvedimento sulla riforma della prescrizione, considerato che ci saranno dei "ritocchi", faccio mia la proposta. È ragionevole: un conto è l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, un conto è l'arbitrio". Il disciplinare del Csm sanziona con ferocia il ritardato deposito delle sentenze da parte del giudice. Magari ritardi di poche settimane. Per il pm che "tiene in sonno" per anni i fascicoli invece nulla. Le sembra giusto? "Mi sembra così ingiusto! Sappia che ho presentato al ministro Guardasigilli, al Consiglio superiore della magistratura, al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, tre esposti, per uno dei quali ho anche un processo in corso per calunnia aggravata, nei confronti dell'allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo, ora "bandito" da Milano (inteso nel senso di allontanato). "La verità non trionfa quasi mai ma i suoi oppositori soccombono sempre" diceva Montanelli. Mi riferisco alla vicenda incresciosa dell'acquisto, ad un prezzo per me esorbitante, dell'autostrada Serravalle da parte della Provincia di Milano allora guidata da Filippo Penati. Tenere per sette anni un fascicolo in fase di indagini senza che nel frattempo non si richieda da parte del pm né l'archiviazione né il rinvio a giudizio non può che portare ad una successiva dichiarazione di prescrizione come purtroppo avverrà a breve. A luglio saranno 10 anni, e anche il procedimento aperto ora al Tribunale di Monza per vicende connesse è destinato a fare la stessa fine. Una vicenda assai grave, anche perché l'esponente era il sindaco di Milano". A proposito del Csm, le proposte di una sua riforma sono viste con il fumo negli occhi dai magistrati. Pensa che il Governo passerà dalle parole ai fatti? "Antonio Gramsci, anche se preferisco citare Benedetto Croce, parlava di "ottimismo della volontà e pessimo della ragione". Il viceministro Enrico Costa ha sul punto il mandato del partito di formulare proposte. Che il Csm si "autoregoli" assumendo le funzioni di legislatore è qualcosa che va ben oltre la separazione dei poteri. Non è solo contro la Costituzione italiana ma anche contro i principi stessi alla base della Rivoluzione francese". Il potere delle correnti, "associazioni fondate su valori giuridico-culturali omogenei", in magistratura è immenso. Il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo ha dichiarato che "l'associazionismo in magistratura serve per fare carriera e costruire centri di potere". Difficile dargli torto: indipendenza, autonomia e imparzialità dovrebbero essere patrimonio comune di tutti i magistrati. Un prerequisito. Concorda? "Concordo pienamente! Per quanto riguarda la componente togata, c'è una proposta dell'ottimo procuratore di Venezia Carlo Nordio che prevede una short-list stilata da ciascun Consiglio giudiziario. I migliori magistrati che fossero arrivati primi sarebbero poi sorteggiati per entrare al Csm. Un modo, credo, efficace di ridimensionare il potere correntizio". Qual è in tema di separazione della carriere e obbligatorietà dell'azione penale il pensiero dell'Ncd? "Il responsabile Giustizia del partito Nico D'Ascola e il viceministro Costa sono orientati per la separazione delle carriere. Come accade negli altri Paesi, non solo di common law dove chi rappresenta l'accusa è elettivo, ma anche in quelli di diritto romano e di diritto napoleonico. È un prerequisito di imparzialità: che garanzia può esserci per il cittadino quando il pm e il gip vanno a prendere il caffè insieme tutti i giorni e sono vicini di stanza? Riguardo all'obbligatorietà, Forza Italia prima e il Pdl poi proposero che l'azione penale diventasse non più obbligatoria. Nei fatti è quanto mai discrezionale. La politica giudiziaria deve essere decisa dal potere legislativo. Il parlamento stabilisce le priorità e l'ordine giudiziario deve attenersi a tali decisioni". Veniamo a Milano: lo scontro fra il procuratore Bruti Liberati e il suo aggiunto Robledo ha avuto un finale surreale. Il Csm, dopo aver definito "opaco" il comportamento di Robledo, ha disposto il suo trasferimento al Tribunale di Torino con funzione di giudice. Secondo lei è sufficiente un'ora di treno per far sparire "l'opacità" contestatagli da pm o forse questa "giustizia domestica" andrebbe rivista? "Non voglio prendere altre querele da Robledo. Il suo trasferimento, al momento, è stato disposto in via cautelare. Il personaggio, ricordo, oltre alla citata vicenda Serravalle si è distinto anche nel processo per la vendita di prodotti derivati al Comune di Milano. Il quale, pur guadagnando 950 milioni di euro, sarebbe secondo lui stato "truffato" dalle banche. La Corte d'Appello ha assolto tutti gli indagati perché il fatto non sussiste, e in sentenza si legge che "se il pm avesse applicato i principi del codice penale, questo processo non avrebbe dovuto neppure iniziare, tutto al più un fulmineo dibattimento e un'altra fulminea assoluzione!". Nell'indagine sui derivati Robledo ha speso circa un milione di euro in intercettazioni telefoniche". Un'ultima domanda: il ministro Lupi si è dimesso senza essere indagato. De Luca da condannato (in primo grado) si è candidato ed ha vinto le elezioni in Campania. Altro che due pesi e due misure. Cosa dice? "Sono situazione diverse. Da un lato pettegolezzi dall'altro una condanna. È increscioso che un padre si attivi per far collaborare, tramite un relazione non illecita, il proprio figlio, ingegnere laureato a pieni voti, a 1500 euro al mese per un breve periodo? Non lo so. So però che come diceva McLuahan "il mezzo vale più del contenuto". Il governo era molto indebolito dalla sarabanda mediatica. La gogna che ha colpito Lupi è stata una palese ingiustizia. Nella lotta per il potere ha avuto la peggio. Su De Luca, dico subito che è facile per un pubblico amministratore incappare nel reato di abuso d'ufficio. Ma a parte questo, De Luca è stato sostenuto ed anche candidato. A differenza di Lupi che non è stato difeso. De Luca è diventato ora l'emblema dell'incostituzionalità della legge Severino, anche per la sua applicazione retroattiva. Se venisse dichiarata incostituzionale sarà molto curioso vedere come ci si comporterà per Silvio Berlusconi". Giustizia: il Senato approva il reato di omicidio stradale, 7 anni di carcere la pena minima di Alessandro Galimberti Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2015 L'omicidio stradale passa il primo step al Senato e ora attende un (veloce) iter alla Camera per diventare legge. Con 163 voti a favore, 2 contrari e 65 astenuti, l'aula di Palazzo Madama ha dato il là ieri pomeriggio alla norma "stradale" più attesa e controversa degli ultimi anni, salutata anche dal tweet del premier Matteo Renzi: "Un impegno che ho preso da sindaco con famiglie vittime di incidenti #lavoltabuona". Il dibattito parlamentare ha portato, come anticipato sull'edizione di ieri, ad alcuni emendamenti dell'ultim'ora, sui quali sia il relatore sia il governo sono andati "sotto" per circostanze che non hanno valenza politica, ma piuttosto di sensibilità trasversale. Si tratta dello stralcio delle norme che punivano come "omicidio stradale" - oltre ai reati commessi in stato di alterazione cognitiva per droga e alcol (oltre 1,5 g/l, ebbrezza grave) - anche i sinistri mortali da semaforo rosso, da circolazione contromano, da inversione di marcia in zona pericolosa, e infine da sorpasso su strisce pedonali. Ha vinto il "no", su questo fronte, perché si è ritenuto che la pena minima di 7 anni (che vuol dire certezza di custodia cautelare e la quasi certezza di una pena realmente esecutiva) è eccessiva rispetto a fatti tragici, ma che possono essere frutto di gravi distrazioni e imprudenze non equiparabili però alla guida priva di inibizioni per cause chimiche. Per questo tipo di incidenti continuerà ad applicarsi la responsabilità aggravata dell'articolo 589 del Codice penale che permette quasi sempre patteggiamenti indolori. Resta però un problema di coordinamento interno tra norme, perché sulle lesioni colpose (articolo 590) è passata l'aggravante tolta all'omicidio: questo potrebbe incidere, allungandoli, sui tempi della navetta parlamentare. Tra gli emendamenti di segno opposto - cioè più duri rispetto alla norma originaria - da segnalare l'aumento di pena "da un terzo alla metà" per chi si dà alla fuga dopo gli incidenti con morti (aggravante specifica, nuovo 589-ter del codice penale),insieme alla revoca della patente in questi casi per 30 anni, pena accessoria non "trattabile" neanche davanti al giudice. Prendono poi una via separata gli incidenti nautici, che verranno disciplinati nella riforma del codice della navigazione pendente alla Camera. Come spiega il relatore Giuseppe Luigi Cucca "c'era qui un problema di rilevazione strumentale e di controlli, che sono del tutto diversi da quelli stradali, pertanto credo sia stata una decisione corretta e non sospettabile di discriminazione soggettiva". Colpendo guidatori ebbri e/o drogati, verso cui si innalzano le pene detentive oltre i limiti della condizionale anche alla prima infrazione, il tema fondamentale della legge approvata ieri in prima lettura è quello della rilevazione dello stato, cioè procedurale. Qui il legislatore è intervenuto rendendo molto più informale la perizia, che sarà coattiva se necessario: il pm in casi di urgenza può autorizzare oralmente i prelievi sul pirata della strada, e completare solo dopo l'iter autorizzatorio scritto, comunque entro le 48 ore. "Questa legge richiama i conducenti sui rischi di una guida distratta o imprudente - ha detto il sottosegretario Cosimo Ferri, in aula per il governo - ma l'esecutivo è impegnato anche a incentivare la prevenzione investendo risorse sulla formazione e sulla sicurezza delle strade. Occorre da una parte responsabilizzare chi si mette alla guida, e dall'altra rendere sicure le nostre strade, migliorare la viabilità, investire nella segnaletica". Manconi: modificare ddl omicidio stradale, non serve nuovo reato "Nessuno può sottovalutare il dolore che una morte improvvisa, come quella determinata da un incidente stradale, può suscitare in una famiglia o in una più ampia comunità di affetti. E naturalmente chi se ne renda responsabile deve risponderne davanti a un giudice. Ma ciò - come sempre e come esige uno stato di diritto - nella giusta misura. Tenendo conto, cioè, delle circostanze e della consapevolezza dell'autore del reato". Lo ha detto il senatore del Partito democratico Luigi Manconi, a proposito del ddl all'esame del Senato che dovrebbe essere approvato in giornata. "Per questo motivo - ha proseguito - la giurisprudenza ha già articolato una serie di risposte sanzionatorie che vanno dalla minima punizione dell'omicidio colposo a quella massima dell'omicidio volontario. Non più di una settimana si è discusso dell'imputazione di omicidio volontario, attribuita a carico dell'intero equipaggio di un'auto che ha ucciso una donna in un quartiere di Roma. Un reato che prevede pene non inferiori a 21 anni di carcere. Che bisogno c'è, pertanto, di duplicare questa ipotesi di reato istituendo l'omicidio stradale? Tutto il rispetto che sentiamo nei confronti delle vittime di incidenti stradali e dei loro familiari ci fa dire - ha aggiunto Manconi - che non c'è necessità di un nuovo reato da sbandierare per punirne i responsabili: mentre sarebbe estremamente urgente diffondere una più matura cultura della mobilità e della convivenza civile. Dunque, finché si è in tempo, si modifichi con razionalità e intelligenza il disegno di legge sull'omicidio stradale". Giustizia: anticorruzione, patteggiamento e sospensione pena se si restituisce l'indebito di Paolo Canaparo Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2015 Nella strategia messa in campo per la repressione dei reati contro la pubblica amministrazione, la legge anticorruzione (legge 69/2015) interviene, dal punto di vista processuale, con modifiche che riguardano l'accesso al patteggiamento, le pene accessorie e la concessione della sospensione condizionale della pena. L'accesso al patteggiamento - L'articolo 6 della legge 69/2015 modifica la disciplina del patteggiamento, prevedendo che quando si procede per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, l'accesso a questo rito speciale sia subordinato alla restituzione del prezzo o del profitto conseguito. In particolare, la disposizione inserisce un ulteriore comma (1-ter) nell'articolo 444 del codice di procedura penale, con il quale disciplina condizioni particolari di accesso al patteggiamento con riguardo ai procedimenti per i seguenti delitti: peculato (articolo 314 del Cp) ; concussione (articolo 317 del Cp); corruzione per l'esercizio della funzione (articolo 318 del Cp); corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (articolo 319 del Cp); corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter del Cp); induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319-quater del Cp); peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (articolo 322-bis del Cp). In relazione ai procedimenti penali per tali delitti, l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione della pena a richiesta solo subordinatamente alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. Il divieto di conclusione di contratti - La riforma delle pene accessorie interviene innanzitutto sull'articolo 32-ter del Cp, relativo all'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, cioè al divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Precedentemente il secondo comma dell'articolo 32-ter prevedeva che tale incapacità non potesse avere durata inferiore ad un anno, né superiore a tre anni; la riforma innalza a cinque anni tale ultimo termine. Il ravvedimento operoso - È poi stata introdotta una nuova attenuante nell'articolo 323-bis del codice penale (che conseguentemente muta la sua rubrica), attraverso la quale prevede, per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. La formulazione utilizzata riprende, pur con alcune variazioni, quella di altre attenuanti per collaborazione previste dalle disposizioni vigenti: si vedano, a titolo esemplificativo, l'articolo 8 del decreto legge n. 152 del 1991, per i delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo, ovvero l'articolo 4 del decreto legge n. 625 del 1979 per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, ovvero ancora l'articolo 600-septies.1 del codice penale in materia di delitti di sfruttamento sessuale dei minori, e l'articolo 630 del codice penale in materia di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione. L'attenuante per ravvedimento operoso potrà essere applicata ai seguenti delitti: articolo 318 (corruzione per l'esercizio della funzione); articolo 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio); articolo 319-ter (corruzione in atti giudiziari); articolo 319-quater (induzione a dare o promettere utilità); articolo 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio); articolo 321 (pene per il corruttore); articolo 322 (istigazione alla corruzione);articolo 322-bis (peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri). La concessione della sospensione condizionale della pena - La riforma poi, inserendo un ulteriore comma nell'articolo 165 del Cp, subordina la concessione della sospensione condizionale della pena al condannato per alcuni delitti contro la Pa anche alla condizione specifica della riparazione pecuniaria nei confronti dell'amministrazione lesa (in caso di corruzione in atti giudiziari, nei confronti del ministero della Giustizia). Tale riparazione - che è sempre ordinata al condannato per un delitto contro la Pa in base all'articolo 322-quater del Cp - consiste in una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito. Questa condizione trova applicazione in caso di condanna per uno dei seguenti reati: peculato; concussione ; corruzione per l'esercizio della funzione; Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio; corruzione in atti giudiziari; induzione indebita a dare o promettere utilità; corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio; peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri. La riparazione pecuniaria non si sostituisce all'eventuale ulteriore risarcimento del danno. Giustizia: sì alla Camera alla nuova diffamazione, rettifica rafforzata e querele limitate di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2015 Passo avanti per la riforma della diffamazione. Il testo del disegno di legge è stato approvato alla Camera, in commissione Giustizia, e ora passa all'esame dell'Aula. "Un lavoro serio a tutela della libertà di informazione e dei diritti dei cittadini", sottolinea Walter Verini, capogruppo Pd in commissione e relatore del provvedimento, convinto di avare raggiunto un buono equilibrio tra diritti a volte in conflitto. "Dopo la seconda lettura da parte del Senato, il nostro lavoro ha confermato punti qualificanti e introdotto miglioramenti. Intanto - avverte Verini - si conferma la cancellazione della pena del carcere per i giornalisti per questo tipo di reato. Inoltre, con la causa di non punibilità nel caso di pubblicazione integrale della rettifica richiesta, si tutela il diritto dei cittadini a non essere diffamati e la libertà dei giornali. Ci sono poi gli inasprimenti di sanzione in caso di querele temerarie, che spesso rappresentano vere e proprie intimidazioni a danno dei giornalisti. Si è pensato anche ai casi, purtroppo frequenti, di fallimento delle proprietà dei giornali, casi nei quali direttori e giornalisti vengono lasciati soli a risarcire, in caso di condanna, il danneggiato per diffamazione". "In questi casi ci si potrà rivalere sulla proprietà fallita. Resta fuori il tema della diffamazione nei blog, da affrontare in sede di confronto sulle questioni della rete, anche dopo la fine del lavoro della Commissione preposta insediata dalla Presidente Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà. Insomma, un lavoro positivo, frutto di un confronto vero e positivo anche con Federazione nazionale della stampa e Ordine dei giornalisti", conclude Verini. Nel testo di riforma trova posto l'obbligo di pubblicazione della rettifica con la draconiana formula "senza commento, senza risposta e senza titolo", in tutti i casi in cui sia stato danneggiato onore o reputazione. Nella determinazione del danno derivante da diffamazione commessa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, il giudice tiene conto della diffusione quantitativa e della rilevanza nazionale o locale del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato, della gravità dell'offesa, dell'effetto riparatorio della pubblicazione e della diffusione della rettifica. Nel caso di diffamazione commessa a mezzo della stampa, di testate giornalistiche online registrate o della radiotelevisione, si applica la pena della multa da 5.000 a 10.000 euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione è avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena della multa da 10.000 euro a 50.000 euro. A deterrenza della presentazione di querele temerarie è stata inserita la previsione di un pagamento da 1.000 a 10.000 euro alla Cassa delle ammende. Giustizia: Veronica Panarello, inchiesta con trabocchetti (mediatici) di Antonietta Denicolò Il Garantista, 11 giugno 2015 Perché un talk show o un tg sono in possesso della registrazione audio-video dell'escussione, a sommarie informazioni, di una persona che da lì a qualche minuto verrà iscritta sul Registro degli Indagati e arrestata per rispondere di uno dei reati più odiosi e innaturali? Perché un Magistrato che partecipa a quello stesso talk show ha il coraggio di affermare che gli Inquirenti, mentre fingevano di sentire quella donna a sommarie informazioni, già sapevano che, da lì a qualche istante, l'avrebbero accusata dell'omicidio di suo figlio e di conseguenza l'avrebbero cautelata? Ma chi avrebbe mai potuto pensare, solo qualche tempo addietro, che un magistrato "confessasse" in diretta un modus operandi di un suo collega, a dir poco così disinvolto, se non addirittura così scorretto? Ci spieghiamo a beneficio di chi, da non addetto ai lavori, è comunque spettatore delle gogne mediatiche e giustamente non dispone degli strumenti idonei a comprendere l'oggettiva gravità della predetta dichiarazione, solo apparentemente ad effetto. Sentire una persona "a sommarie informazioni" e come persona informata sui fatti, significa interrogarla in assenza del suo difensore, che in quella sede non ha diritto di presenziare, e significa indurla a rendere dichiarazioni che, nella misura in cui potranno rivolgersi contro di lei, imporranno, secondo norma, all'inquirente di sospendere l'interrogatorio, formalizzare l'imputazione, avvisare l'indagato del suo diritto al silenzio, invitare l'indagato stesso all'immediata nomina di un difensore di fiducia che dovrà essere presente all'evoluzione dell'interrogatorio. Se dunque gli inquirenti già dispongono di elementi sufficienti per ritenere un soggetto "indagato" per la commissione di un gravissimo reato non è corretto procedere ad esaminarlo nella forma delle sommarie informazioni, perché così facendo lo si può proprio trarre in inganno e vanificare i suoi primi e più elementari diritti difensivi. Affermare quindi che si è escusso qualcuno a sommarie informazioni ritenendolo già indagato equivale a confessare che il pm ha, da subito, giocato in modo scorretto, ma il dato, nel programma in questione, è assolutamente scivolato, assorbito dall'invasività delle immagini di quel tragico interrogatorio. Gli interrogativi però non si fermano, né si acquietano con questa deduzione. Perché, viene ancora da chiedersi, paludati dietro al formale e becero garantismo o steso come quella presunzione di innocenza che porta i partecipanti al dialogo a dire "la presunta colpevole" piuttosto che "se la signora verrà ritenuta colpevole", o cose simili, si immola sull'altare mediatico questa piccola e sparuta donna, si mettono a nudo i suoi disagi, presunti o reali che siano, si consegna nella mani di un criminologo, la possibilità di tranciare giudizi sulla responsabilità di costei? Perché insomma, per dirla in una, ancora una volta si anticipa in seconda serata in una trasmissione vista da tanti, il processo senza prove, che enfatizza gli indizi utilizzati dall'Accusa per cautelare quella sventurata? Come è possibile che mentre le indagini sono ancora in corso, al punto che si parla del ricorso ad incidente probatorio, non solo si spettacolarizza l'esame della Signora davanti al Procuratore della Repubblica nello show serale, ma nel timore che qualcuno possa non aver visto la trasmissione, nel primo telegiornale del mattino si diffonde nuovamente quel video, e non solo, si diffondono in modo del tutto suggestivo le immagini relative alla partecipazione della Signora ad un sopralluogo, di modo che comparendo sorretta da due poliziotti, si possa indurre lo spettatore a credere che quelle immagini siano state riprese all'atto del suo arresto. La mente ritorna alla civiltà elvetica che recentemente ha fatto stendere il lenzuolo bianco per sottrarre gli arrestati alle foto-riprese, e con molta amarezza pensiamo all'iniziativa encomiabile della Camera Penale di Bari che, solo pochi giorni fa, ha simbolicamente consegnato un lenzuolo bianco al Procuratore della Repubblica di quel distretto. Perché in un Paese nel quale coesistono le coscienze dei penalisti e di molti, è anche possibile che si realizzi quello che si è visto in un talk show o in un Tg? Lo share è più importante della cautela con la quale una vicenda dai contorni così drammatici meriterebbe di trovare trattazione? Perché, per fare audience, non si attende quantomeno la pronuncia da parte del Giudice, naturale e precostituito per legge, che potrà e dovrà giudicare quella donna? Nell'alternanza delle battute attraverso le quali il conduttore ed i suoi ospiti interloquivano sul problema, mentre si mandavano in onda le immagini e la voce disperata di quella disgraziata, sottoposta, all'atto della registrazione così diffusa, alla celia di narrare un vissuto come persona informata sui fatti, mentre chi la ascoltava già la riteneva responsabile del delitto, ci siamo chiesti se quella giovane donna stava guardando dalla sua cella quello spettacolo, o se almeno Morfeo aveva avuto pietà di lei e l'aveva avvolta nelle sue braccia per non consentirle di assistere da lontano, più impotente che mai, alla celebrazione del suo processo per la morte di suo figlio. Siamo certi non solo che un contesto giudiziario composto e civile non potrebbe, né dovrebbe, accettare quanto purtroppo si realizza costantemente e senza che nessuno si indigni. Siamo convinti che le cassette di registrazione di un interrogatorio, nel corso delle indagini, non debbano arrivare negli studi televisivi, né debbano o possano essere diffuse: questo non è il diritto all'informazione, questa è inversione dei principi fondanti il diritto dei cittadini, e dunque anche del diritto ad essere sottoposti ad un giusto processo. Siamo stanchi di assistere alla rappresentazione mistificata della Giustizia: come avvocati penalisti, formati nella cultura e nel rispetto della legalità, avremmo la pretesa di difendere i diritti e le ragioni dei nostri assistiti in sedi dove il contraddittorio sia garantito in modo assoluto e dove non siano la telegenia piuttosto che l'abitudine a partecipare a spettacoli televisivi l'elemento che consente a un Magistrato o a un criminologo di formulare giudizi che appaiono definitivi. Al di là ed oltre gli aspetti caratteriali di ciascuno di noi, deontologicamente gli avvocati sono e devono essere solo gli interpreti di un fatto secondo la scansione del diritto e nella metrica di formazione della prova scandita dal nostro Ordinamento. Dobbiamo continuare, come i nostri maestri ci hanno insegnato, a trascorrere ore ed ore sugli incarti processuali e sui libri, nella solitudine dei nostri studi e molto spesso nella solitudine, ancora più profonda, del nostro essere: dobbiamo avere il coraggio di opporci con rigore e fermezza alla celebrazione dello scempio mediatico dei diritti degli imputati che difendiamo. Il proposito dell'Unione delle Camere Penali Italiane è quello di tutelare la dignità e i diritti anche del più umile dei nostri assistiti, dignità che si ristabilirà solo quando tutti gli operatori di diritto, magistrati ed avvocati, rientreranno nella sobrietà che impedirà di fare spettacolo attraverso i drammi degli imputati. Giustizia: Guida Editori dona 32mila libri alle carceri italiane, arriveranno il 12 giugno di Miriam Cacace reportweb.tv, 11 giugno 2015 Arriveranno venerdì 12 giugno, nelle biblioteche di 202 carceri italiane, i 32mila volumi di narrativa contemporanea che la Guida Editori ha donato agli istituti penitenziari del Paese, nell'intento di offrire un contributo al programma di recupero sociale dei detenuti. L'iniziativa, siglata tra la casa editrice napoletana e la Direzione nazionale delle carceri, nella persona del direttore generale del Dap, il dottor Santi Consolo, muove nella direzione di coniugare cultura e vita sociale, anche per offrire agli ospiti degli Istituti momenti di riflessioni e per migliorare la qualità della vita di tutti i giorni arricchendo il patrimonio bibliotecario, consentendo opportunità ai lettori che devono tradursi in progetti di nuova vita, in speranza, in occasioni di crescita interiore. I libri scelti trattano esperienze di vita di personaggi celebri, alcuni dei quali, pur vivendo inizialmente in condizioni di difficoltà, sono poi riusciti a tirarsi fuori e dovrebbero oggi servire da "gancio" per gli altri che attraversano momenti non facili: tra i tanti, Sophia Loren, Enzo Gragnaniello, Lorenzo Insigne. In alcuni casi, si tratta proprio di napoletani cresciuti in ambienti difficili ma che hanno avuto la capacità di farcela e trovare il successo. Dichiara Diego Guida, oggi al timone della omonima casa editrice: "Per me è un onore aver avuto la possibilità di donare i miei libri al carcere. I libri, di per sé, sono porte aperte verso la libertà, e dunque è proprio a Poggioreale come a Rebibbia, che possono svolgere con maggiore incisione il loro compito. D'altra parte il nostro impegno nel sociale è sempre stato massimo, perché l'unico modo per rendere migliore una comunità e arricchire un territorio è la crescita culturale. L'augurio è che questi piccoli ma significativi testi aprano la mente dei lettori e li invitino a credere di più in loro stessi, nella vita di fuori che li aspetta, e nei risultati positivi che possono raggiungere lavorando sodo e con umiltà". Nullità assoluta se il difensore di fiducia non è avvisato dell'udienza di Patrizia Maciocchi Sole 24 Ore, 11 giugno 2015 Corte di cassazione - Sezioni unite - Sentenza 10 giugno 2015 n. 24630. Il mancato avviso dell'udienza al difensore di fiducia, tempestivamente nominato dall'imputato, comporta una nullità assoluta, ed è ininfluente l'effettiva assistenza prestata dal difensore d'ufficio. Le Sezioni unite, con la sentenza 24630 depositata ieri, risolvono la vecchia querelle che ha diviso la Cassazione tra i sostenitori della tesi del "vizio" insanabile e quelli che affermavano la nullità intermedia, sanabile con l'accettazione del difensore d'ufficio e con la decadenza della parte dal diritto a far valere l'invalidità. Il Supremo collegio non ha dubbi e sceglie la via della nullità assoluta. La Cassazione chiarisce, infatti, il diritto dell'imputato o del condannato a scegliere un avvocato di fiducia che prepari tempestivamente la sua difesa e ricorda che la nomina del difensore d'ufficio, limitata ad alcune ipotesi tassative, presuppone un regolare avviso al titolare del diritto di difesa. Nel caso esaminato invece il difensore d'ufficio era stato nominato, nell'ambito di una camera di consiglio per una misura premio richiesta dal condannato, perché il giudice riteneva, sbagliando, che non ci fosse il legale di fiducia. Le Sezioni unite prendono le distanze dal principio, in realtà prevalente, secondo il quale il difensore d'ufficio e quello di fiducia siano equivalenti e che si possa parlare di assenza di difesa tecnica solo quando mancano entrambi. Per questa scuola di pensiero il difensore d'ufficio ha gli stessi diritti e doveri del legale di fiducia e non offre nel processo una tutela minore del collega "prescelto". I giudici delle Sezioni unite non sono però d'accordo e per dimostrare il peso maggiore del legale designato citano sia la Consulta sia la Corte europea dei diritti dell'Uomo. La prima aveva bollato come incostituzionale la norma che prevedeva la possibilità per i praticanti avvocati di svolgere la difesa d'ufficio, mentre Strasburgo ha evidenziato la lacuna dell'ordinamento italiano che non prevede una disciplina che obblighi l'autorità che ha designato il difensore d'ufficio a intervenire se il legale si mostra carente nello svolgere l'incarico. Una "svista" del codice di rito che ha una ricaduta negativa sull'effettività del diritto di difesa. Né è pensabile che il difensore d'ufficio "prontamente reperito" a causa dell'errore del giudice sulla regolare nomina del fiduciario, abbia una conoscenza degli atti tale da garantire un'efficace ed effettiva assistenza tecnica. La diffamazione con Facebook fa i conti con l'aggravante di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2015 Con sentenza n. 24431 del 2015, la Prima sezione penale della Cassazione ha deciso che delle offese via Facebook si deve occupare il tribunale e non il giudice di pace, poiché la fattispecie di reato in astratto configurabile è la diffamazione aggravata da un mezzo di pubblicità. Una simile affermazione merita forse qualche riflessione. Infatti, le modalità di utilizzo della rete come strumento di diffusione del pensiero sono molte e trovare la disciplina corretta non è facile. Ad esempio, nel caso in esame, l'offesa era avvenuta attraverso l'inserimento di un commento nella pagina Facebook del querelante. Per capire quale reato si può configurare, sintetizziamo le disposizioni oggi vigenti e la logica sottostante al sistema cosi congegnato. Il codice ritiene l'ingiuria meno grave della diffamazione poiché l'offeso, presente, si può difendere. La diffamazione, a sua volta, è aggravata se compiuta con un qualunque mezzo di pubblicità, con ciò intendendosi uno strumento che consente di raggiungere un numero tendenzialmente indeterminato di persone. La maggiore entità della pena è giustificata dalla capacità di estensione dell'offesa. In questo contesto normativo, la sentenza in questione si limita a sottolineare come l'attività di scrivere sulla bacheca di un utente integri in ogni occasione la fattispecie di diffamazione aggravata. La Corte sembra cogliere nella diffusione, meramente potenziale, a un numero ampio di soggetti, la circostanza che determina l'applicazione dell'aggravante. E, dunque, ai principali mezzi di comunicazione, viene equi- parato il comizio, le e-mail inviate in copia a molte persone, e anche la diffusione di un testo tramite inserimento del medesimo sulla pagina di Facebook. In verità, una simile soluzione sembra peccare di un certo "semplicismo" e una maggiore attenzione al caso concreto, forse, suggerirebbe di operare qualche distinzione. Anzitutto una ipotesi come quella in esame, in cui il messaggio offensivo è diretto anche alla persona offesa dovrebbe configurare il reato di ingiuria oltre a quello di diffamazione. Così come è stato stabilito dalla Cassazione nell'ipotesi in cui il messaggio lesivo per il destinatario è contenuto in una lettera "aperta", inviata per conoscenza anche a diversi altri soggetti. Per quanto riguarda la tipologia di diffamazione astrattamente configurabile, una giurisprudenza non troppo recente ma che ci pare colga nel segno, collega la sussistenza dell'aggravante del mezzo di pubblicità all'utilizzo di una modalità di diffusione che consentisse di raggiungere un numero alto e imprecisato di persone. Seguendo questo indirizzo, la diffusione tramite una pagina del social network sembra poter essere ricondotta alla fattispecie di cui all'articolo 595 comma 3 Codice penale solo se coloro che hanno accesso a tali contenuti sono in numero assai cospicuo oppure se si tratta di una pagina "aperta", senza barriere a protezione della privacy. Diversamente, qualora il messaggio possa essere visionato solo da pochi soggetti, ferma restando la sussistenza della diffamazione (per cui bastano due persone) non pare però potersi applicare la circostanza aggravante. La strada percorsa dalla Corte è, come detto, un'altra. E, come ammoniva Mark Twain, "non è bello che tutti si debba pensare allo stesso modo; è la differenza di opinione che rende possibili le corse dei cavalli". Mediazione delegata, termine perentorio a pena di improcedibilità di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2015 Tribunale ordinario di Firenze - Sentenza 4 giugno 2015. Definito un altro tassello nei rapporti tra mediazione e processo. Il Tribunale di Firenze, con la sentenza 4 giugno 2015, ha infatti chiarito che il termine di 15 giorni per l'attivazione della mediazione delegata dal giudice ha natura "perentoria". Per cui la tardiva proposizione del procedimento comporta l'improcedibilità della domanda. La vicenda riguardava una controversia per inadempimento parziale di un contratto relativo alla realizzazione di alcuni manufatti. Disposta dal Tribunale la mediazione delegata, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del Dlgs 28/2010 (e successive modifiche), il tentativo non è stato però esperito da nessuna delle due parti ed il giudice Ghilardini ha dichiarato la improcedibilità delle domande proposte. Nella sentenza il tribunale osserva in primis che "nessun dubbio può porsi circa la applicabilità della disciplina ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di mediazione". In assenza di una espressa diversa disciplina transitoria, infatti, vige il principio tempus regit actum. Mentre è "irrilevante e tardivo" il successivo (cioè oltre i termini) esperimento della mediazione ad opera della convenuta. Natura perentoria - Né prosegue la sentenza "giova obiettare che, in difetto di legale espressa previsione, il termine in questione non avrebbe natura perentoria, ma solo ordinatoria (art. 152 c.p.c.)". Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità "il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato" (Cassazione n. 4530/04). Per cui "apparirebbe assai strano che il legislatore, da un lato, abbia previsto la sanzione dell'improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata entro il termine di 15 gg, dall'altro, abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del suddetto termine". Inoltre, osserva il giudice, anche a voler considerare di natura ordinatoria il termine la mancata proposizione della tempestiva istanza di proroga comporta inevitabilmente la decadenza dalla relativa facoltà processuale. Nessuna sanatoria - Neppure può farsi riferimento, in via analogica, al meccanismo di sanatoria previsto dal Dlgs 28/2010 in caso di mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui la stessa è obbligatoria ante causam (articolo 5, comma 1 bis), perché in quei casi il procedimento è su iniziativa dalle parti. "Ciò - prosegue la sentenza - spiega perché, ove tale incombente non venga assolto, e la questione sia eccepita dalla parte interessata o rilevata di ufficio, sia consentito sanare l'omissione mediante successivo esperimento della stessa. Si è voluto cioè, in coerenza con analoghe disposizioni processuali (si pensi al caso del tentativo obbligatorio di conciliazione) evitare l'applicazione della grave sanzione dell'improcedibilità per omissione che poteva essere frutto di mancata conoscenza dell'obbligo normativo". L'improcedibilità in tal caso consegue infatti solo al mancato esperimento della mediazione, ove non sia ottemperato l'ordine del giudice di esperire la mediazione articolo 5, comma 1 bis, Dlgs 28/2010. "Del tutto coerente con tale impostazione - conclude la pronuncia - è l'aver previsto che il mancato esperimento della mediazione disposta dal giudice ai sensi del 2° comma della disposizione citata, comporti immediatamente, e quindi senza possibilità di sanatoria, l'improcedibilità della domanda". Lazio: chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, Regione in ritardo con le Rems di Antonio Sbraga Il Tempo, 11 giugno 2015 Di rinvio in rinvio operativa solo una delle 4 residenze per gli ex internati. Scoppia il caso Palombara: non vuole i "pazzi" accanto alla Casa della Salute. Sono ancora nel sonno "Rem" tre delle 4 Rems del Lazio, ossia le attese nuove residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria che, dall'aprile scorso, dovrebbero prendere il posto dei 6 vecchi ospedali psichiatrici giudiziari nazionali chiusi per legge. O, per meglio dire, socchiusi, considerato che i ritardi di 10 Regioni stanno imponendo una proroga di fatto alle vecchie strutture, ormai sature come quella lombarda di Castiglione delle Stiviere, ora decisa "a non accettare più pazienti da altre Regioni, fino a una sostanziale modifica migliorativa delle attuali condizioni di sovraffollamento". Anche il comitato Stop-Opg protesta: "Le Regioni che stanno indietro e non riescono a mettersi al passo vanno commissariate, come prevede la legge". E, tra le 10 Regioni in ritardo, c'è anche il Lazio, che finora ha attivato solo la Rems di Pontecorvo (appena visitata da una delegazione giapponese di psichiatri), con 11 posti della sezione femminile, a fronte di un fabbisogno complessivo previsto di 91 letti. Attualmente ci sono 68 internati laziali uomini ancora sparsi tra i 6 vecchi Opg nazionali (oltre a Castiglione, Reggio Emilia, Aversa, Montelupo Fiorentino, Barcellona Pozzo di Gotto e Napoli) in attesa di rientrare. La Regione ha prima rinviato "l'apertura a fine aprile" di 2 delle rimanenti 3 Rems, assicurando che i "lavori sono in corso, così come le procedure di selezione del personale". Ma, proprio a fine aprile, l'Asl Rm G ha dovuto posticipare di altri due mesi l'apertura di 2 delle 3 agognate strutture: "Per le Rems tutte le procedure concorsuali si dovrebbero concludere tra fine maggio ed i primi di giugno e quindi, verso fine giugno gradualmente dovrebbero essere attivati tutti i posti tra Subiaco e Palombara". Però, se sono ormai avviate a compimento le procedure per il reperimento di 23 fra medici psichiatri e tecnici della riabilitazione, sono ancora in corso quelle per selezionare i 30 operatori socio-sanitari previsti. I termini per la presentazione delle domande, sia per il bando di mobilità nazionale che per l'avviso a tempo determinato, sono infatti fissati al 22 giugno. E, siccome la legge prevede che ogni Rems sia dotata di un totale di 24 operatori (12 infermieri, 6 operatori socio-sanitari, 2 medici psichiatri, un tecnico per la riabilitazione psichiatrica, uno psicologo, un assistente sociale ed un amministrativo), rischia di slittare ulteriormente l'apertura delle strutture di Subiaco, Ceccano e Palombara. Il Comune sabino, poi, è sempre in attesa della fissazione dell'udienza al Consiglio di Stato, dove ha impugnato l'ordinanza del Tar che ha respinto la richiesta di sospensiva sull'apertura della Rems a fianco della "Casa della Salute" palombarese. Il legale incaricato dal Comune, Simone Dal Pozzo, cercherà di far pesare il precedente, disposto il 13 maggio scorso dal Tar Abruzzo su un'analoga contestazione mossa dal Comune di Guardiagrele (Teramo) sulla "effettiva idoneità del progetto approvato dalla Asl a garantire l'assoluta autonomia dei locali destinati a Rems rispetto all'utilizzo attuale della struttura sanitaria e in conformità ai requisiti strutturali e funzionali fissati per le Rems". In questo caso, infatti, il Tar Abruzzo ha disposto una "verificazione tecnica, demandando al Ministro della Giustizia la più sollecita individuazione di una commissione di tre membri, composta da un membro esperto del Ministero della Giustizia, da un membro esperto del Ministero della Salute e da altro tecnico del settore, che depositerà relazione sul punto entro il 30 luglio". Sul precedente di questa ordinanza puntano molto anche i tre cittadini di Subiaco che, nell'aprile scorso, hanno presentato un ricorso straordinario al presidente della Repubblica, con un'analoga contestazione in merito alla compatibilità della coabitazione di un ospedale per acuti (l'Angelucci) con un altro di tipo psichiatrico-giudiziario. Mentre sull'altro ricorso al capo dello Stato tuttora pendente, presentato lo scorso anno dal Movimento 5 Stelle di Subiaco, è intanto arrivata la fissazione dell'udienza al Consiglio di Stato: mercoledì 24 inizierà l'adunanza. Piemonte: il Garante; sovraffollamento delle carceri e miglioramento dell'azione penale cuneooggi.it, 11 giugno 2015 Il punto della situazione a Torino con Bruno Mellano e Gabriele Molinari. I provvedimenti messi in campo per superare la criticità sistemica dell'impianto detentivo italiano e i dati aggiornati delle presenze in carcere e in esecuzione penale esterna. Questi i temi affrontati nel corso della conferenza stampa presentata a Palazzo Lascaris da Bruno Mellano, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Gli Stati generali, avviati il 19 maggio presso la casa di reclusione di Milano-Bollate, sono un'iniziativa voluta dal Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per evidenziare l'importanza di una corretta informazione sulle condizioni delle carceri in Italia e consentire l'applicazione dei principi costituzionali e delle norme dell'Ordinamento penitenziario. Previsti fino a novembre 2015, si articolano in due momenti di confronto. In primo luogo la partecipazione a tavoli tematici (su vita detentiva, donne e carcere, minorenni, mondo degli affetti e territorializzazione della pena, lavoro, istruzione, misure di sicurezza e trattamento dei detenuti); infine, le giornate conclusive, sintesi del lavoro svolto, dedicate a dibattiti e seminari. Del Comitato scientifico, chiamato a predisporre le linee di azione complessive, fanno parte: Glauco Giostra (coordinatore), Mauro Palma, Vladimiro Zagrebelsky, Franco Della Casa, Realino Marra, Luisa Prodi, Francesca Zuccai, Marco Ruotolo, Luigi Ciotti. Nel corso della conferenza sono stati sottolineati alcuni dati, rilevati negli Istituti di pena di Piemonte e Valle d'Aosta, sulle presenze dei detenuti, con particolare riferimento al sovrannumero di carcerati rispetto alla capienza regolamentare delle strutture. All'incontro hanno partecipato Davide Mosso, avvocato penalista e componente dell'Osservatorio nazionale Carceri e Rita Bernardini, segretaria nazionale di Radicali italiani e coordinatrice del Tavolo tematico "Il mondo degli affetti e la territorializzazione della pena". Commenta l'iniziativa Mellano:"Cercare di migliorare l'impostazione dell'esecuzione penale nel nostro Paese è uno degli obiettivi su cui lavorerò maggiormente. I diciotto tavoli di discussione che gli Stati generali dell'esecuzione penale propongono sono una grande occasione per occuparsi di numerose tematiche sociali e contemporanee, frutto di riflessioni sulle condizioni a cui i detenuti sono oggi sottoposti". Conclude i lavori Gabriele Molinari, Consigliere regionale segretario dell'Ufficio di presidenza e referente dell'Osservatorio regionale contro l'usura: "È importante - dice Molinari - fornire ai cittadini un'informazione puntuale e precisa sulle tematiche legate al mondo delle carceri. L'istituzione della figura del Garante testimonia la sensibilità e l'attenzione che, soprattutto oggi, il mondo politico rivolge a questa realtà". Toscana: Amatori Rugby "così porteremo il terzo tempo dentro le carceri" di Paolo Federighi Il Tirreno, 11 giugno 2015 Amatori Rugby Toscana lancia "La palla difettosa" un progetto di rieducazione attraverso lo sport. Il terzo tempo è un gesto tecnico e atletico fondamentale nella pallacanestro. Ma è anche il momento di comunione alla base del nobile spirito del mondo della palla ovale, in cui vincitori e vinti si riuniscono dopo essersi incontrati sul campo per bere e mangiare insieme condividendo la passione per il loro sport. Il terzo tempo, nel rugby, può essere altro ancora. Per esempio un modo per scalare, come Sisifo figlio di Eolo ed Enarete, il monte Calvario formato dalla stratificazione dei propri errori. A volte anche da un solo errore. Errori che hanno fatto soffrire altri e che hanno confinato i rei che hanno il mondo in una stanza e lo vedono attraverso sbarre strette. Spingono sul monte Calvario la palla bistonda della propria pena, e per aiutare i molti Sisifo ecco che il rugby entra nelle carceri. Per educare, rieducare, trovare un senso alla vita insolita di uomini non comuni, perlopiù sconosciuti al mondo e distanti dall'universalità dei miti greci. Nasce così l'Amatori Rugby Toscana. Un progetto per cui i fondatori di questa nuova realtà si sono uniti all'associazione Libera e al presidio Rossella Casini di Castagneto Carducci e San Vincenzo. Una Onlus costituitasi a Castagneto nei giorni scorsi e che promuoverà nelle prigioni gli ideali alla base del rugby. A fondarla persone tutte provenienti da società rugbistiche della zona, come il Rugby Etruria Piombino, che in tal modo darà continuità ai molti progetti socioculturali di questi anni. Vengono da Piombino, San Vincenzo, Castagneto e dintorni. Sono Michele Scienza (che ne è il presidente), Arienno Marconi (vicepresidente), Sergio Panicucci (segretario), Stefano Maganzi (rapporti con la stampa) e Bruno Deiana (consigliere). "La palla difettosa" è il nome del progetto che l'Amatori Rugby Toscana porterà avanti. Una palla difettosa come quella da rugby, perché la palla è tale se è rotonda, e se è ovale o non è una palla o è una palla venuta male. Ed è questo difetto che unisce la palla ovale e i detenuti, individui ritenuti non proprio quadrati. "Le cose difettose - dicono i fondatori della società - o si buttano via o si mettono da una parte e lì restano, non interessano più a nessuno. Con una cosa difettosa non si potrà mai fare nulla. Ma in realtà non è così". No, non è così. Perché a volte anche il mondo è ovale e non è detto che vada lasciato lì, da una parte, dimenticato nell'universo. Il mondo difettoso va migliorato e deve cercare riscatto. Come i detenuti attraverso il rugby. "Spesso il concetto di carcere come riabilitazione viene dimenticato - proseguono -. Crediamo che il rugby possa essere uno strumento per ridare dignità ai detenuti, alleviare la vita carceraria e, per il futuro, favorire un miglior inserimento nella società civile". Il progetto iniziò lo scorso anno grazie all'educatore Paolo Madonni, che ne ebbe l'idea e che vi coinvolse Massimo Mansani e Marcello Serra, due ex giocatori di rugby. I tre hanno iniziato insieme, con la collaborazione della direzione del carcere di Porto Azzurro, spiegando le regole di questo sport e insegnando a giocarvi. Il progetto ha coinvolto una trentina di detenuti tra i 25 e i 35 anni d'età. Tre detenuti hanno ottenuto il trasferimento alla casa circondariale delle Molinette a Torino dove l'esperienza del rugby va avanti da anni e dove la squadra che ne è scaturita milita in serie C. Il progetto conta con la collaborazione della Federazione Italiana Rugby. E nei prossimi giorni la nuova sfida inizierà proprio da Porto Azzurro. Ravenna: la Garante regionale in visita "piccole carceri, un'esperienza da salvaguardare" Ristretti Orizzonti, 11 giugno 2015 Ravenna si conferma ancora una volta "una delle situazioni penitenziarie meno problematiche a livello regionale", e diventa quindi ancora più evidente che "il trattamento penitenziario nelle piccole realtà carcerarie è un'esperienza da salvaguardare", nonostante l'orientamento dell'amministrazione penitenziaria nazionale a chiudere, a lungo termine, tutte le strutture con meno di 100 detenuti. Ad affermarlo è la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, che ieri ha visitato la casa circondariale della città bizantina insieme alla direttrice, Carmela De Lorenzo. "Il dato numerico relativo alle presenze è decisamente sotto controllo, non rilevandosi profili di sovraffollamento- riporta Bruno-, i detenuti sono collocati per lo più in celle singole con almeno 3 metri quadri a disposizione, secondo le indicazione della Corte europea dei diritti umani". Sono presenti infatti 69 persone, di cui 39 straniere, a fronte di una capienza regolamentare di 59. Risultano condannati in via definitiva 16 ristretti, mentre 39 sono in attesa di giudizio. I detenuti con problemi di tossicodipendenza sono più della metà, 35. "Si è avuta la conferma della buona situazione complessiva, in linea con quanto riscontrato nei precedenti sopralluoghi, in una delle situazioni penitenziarie meno problematiche a livello regionale- rivendica la Garante-, sia in ragione delle sue ridotte dimensioni che della capacità, sinergia e collaborazione fra i soggetti istituzionali come direzione, Polizia penitenziaria, Comune e volontariato". Inoltre, aggiunge, "negli ultimi anni si sono in maniera decisamente rilevante abbattuti i fenomeni di autolesionismo". La direttrice ha spiegato le iniziative che coinvolgono la popolazione detenuta, in corso o in fase di realizzazione: dal prossimo avvio di due detenuti al lavoro all'esterno (andranno a coltivare gli orti solidali gestiti da una cooperativa sociale) alle attività di legatoria e catalogazione dei libri della biblioteca interna, fino al corso di formazione per fornai e pizzaioli. Da segnalare inoltre la preparazione di un musical all'interno del carcere, in occasione del ricorrente appuntamento con la rassegna del Settembre dantesco, in cui i detenuti vanno in scena, anche in collaborazione con le scuole del ravennate, e la società esterna può partecipare allo spettacolo. Infine, riferisce De Lorenzo, grande attenzione è stata data al diritto all'affettività, la prossima organizzazione di una giornata in cui i detenuti potranno passare alcune ore con i propri figli. Sono inoltre stati presentati progetti, partecipando al bando regionale per la formazione, per azioni formative che coinvolgano i detenuti nella ristorazione e panificazione e per il profilo di tecnici del suono. È invece in attesa del via libera dal Dap l'iniziativa che vedrebbe coinvolti i detenuti che si occupano dei lavori di manutenzione ordinaria dei fabbricati, per rendere comunicanti gli attuali ambienti del magazzino e della palestra per ricavare un unico ambiente di circa 150 mq da adibire a refettorio e sala polifunzionale. "Sebbene la politica penitenziaria dipartimentale sia orientata, nell'ottica della spending review, all'attuazione di un piano a lungo termine di chiusura degli istituti con meno di 100 detenuti, da cui proprio anche Ravenna, quindi, verrebbe interessata, è un dato di realtà che la detenzione con numeri ridotti consente una maggiore attenzione alla persona detenuta, agevolandone la conoscenza da parte degli operatori, la convivenza e il percorso di responsabilizzazione, nonché aiutando a prevenire situazioni di tensione - conclude la Garante. Il mio auspicio è quindi una valorizzazione delle piccole realtà penitenziarie in ragione del clima positivo che si è potuto riscontrare, sia in termini di attenzione ai diritti dei detenuti che in termini di adeguate condizioni di lavoro per gli operatori penitenziari". Benevento: detenuto aggredisce tre agenti, episodio di violenza al carcere di Capodimonte Il Sannio, 11 giugno 2015 Ennesima aggressione nel carcere di Capodimonte ai danni degli agenti della Polizia Penitenziaria. Teatro della violenza è stato questa volta il reparto infermeria dove un detenuto in sedia a rotelle si è scaraventato contro tre guardie. L'episodio è avvenuto martedì - raccontano i sindacati Cgil, Uil, Sinappe, e Ugl. Il detenuto ristretto al Reparto Infermeria ha dapprima inveito contro il personale sanitario minacciando un medico e un infermiere, per poi passare alle vie di fatto, aggredendo due agenti e un ispettore. A scatenare le ire dell'uomo sembra sia stato il rifiuto da parte del personale sanitario di alcuni farmaci che in realtà gli erano stati negati proprio in ragione delle sue patologie. Da qui le gravi offese e le minacce dirette al personale sanitario che hanno reso necessario l'intervento degli agenti che non sono riusciti però a sedare la sua ire. Il detenuto si è all'improvviso sollevato con scatto improvviso dalla sua sedia a rotelle, aggredendo con calci e pugni i tré agenti. In un crescendo di violenta, condotto per ragioni di sicurezza e non senza difficoltà dagli uomini della polizia penitenziaria al reparto isolamento, l'uomo ha danneggiato anche arredi e suppellettili tentando inoltre di allagare l'intero reparto detentivo. Diverse le contusioni e le ecchimosi riportate da uno dei due assistenti e dall'ispettore. Più serie sono apparse invece le condizioni dell'altro poliziotto a causa di una sospetta frattura al polso. "Il grave episodio, ultimo tra tanti - commentano le organizzazioni sindacali - è solo l'ennesima triste conferma di ciò che le organizzazione sindacali di categoria Cgil, Uil, Sinappe, Ugl e Cisl denunciano da anni e per cui è stato dichiarato lo stato di agitazione permanente e l'interruzione delle relazioni sindacali con la locale direzione". "La ripetitività di questi episodi di violenza a danno del personale di Polizia Penitenziaria di Benevento è sconcertante - continuano i rappresentanti sindacali - mentre fervono alacremente in Istituto preparativi per manifestazioni ludiche organizzate per la popolazione detenuta, spettacoli ben più dolorosi e violenti si susseguano per i Poliziotti. Minimizzare sull'accaduto o parlare ancora di "caso sporadico ed isolato" appare improponibile se non mendace". Genova: detenuto stacca l'orecchio al compagno di cella a morsi, condannato a 4 anni genovapost.com, 11 giugno 2015 Un uomo di origine nigeriana, ora detenuto per una pregressa condanna presso il carcere di Sanremo, è stato condannato ad ulteriori 4 anni di reclusione per lesioni gravissime. L'ulteriore condanna pronunciata dal gup Roberta Bossi, più leggera rispetto ai 6 anni ed 8 mesi chiesti dal pubblico ministero, è la conseguenza di un'aggressione perpetrata dal nigeriano ai danni del proprio compagno di cela quando si trovava recluso nel carcere di Marassi. L'aggredito ha riportato conseguenze permanenti. I due avrebbero litigato fino ad arrivare alla colluttazione, quando il nigeriano ha morsicato il rivale ad un orecchio, staccandone gran parte. Il ferito è stato immediatamente trasportato al pronto soccorso. Viterbo: Cisl-Fns; detenuto trasferito da Civitavecchia picchia sei agenti e due dottoresse romatoday.it, 11 giugno 2015 L'aggressione nell'infermeria della casa circondariale Mammagialla di Viterbo. La denuncia della Cisl-Fns: "Auspichiamo interventi urgenti". Era stato appena trasferito dal carcere di Civitavecchia a quello di Viterbo. Qui, un detenuto nordafricano di 23 anni, ha perso la testa aggredendo e picchiando in un impeto di furia sei agenti della polizia penitenziaria, una dottoressa ed una infermiera mentre si trovava nell'infermeria della casa circondariale Mammagialla. Lo denuncia il segretario Generale aggiunto della Cisl Fns Massimo Costantino. Gli aggrediti sono poi stati accompagnati nel carcere del capoluogo viterbese per medicare le ferite riportate con prognosi dai 2 ai 7 giorni. "Auspichiamo - scrive in una nota Massimo Costantino - interventi urgenti, per fare in modo che ai detenuti violenti e partecipi di aggressione a danno del personale operante, sia applicata una ulteriore pena rispetto a quella per la quale sono stati associati in carcere". Roma: a Rebibbia Femminile "Liber Liberanti", una lettura di fiabe e favole dal carcere voceditalia.it, 11 giugno 2015 Ieri si è tenuta la lettura di fiabe e favole con le detenute attrici, la regia di Francesca Rotolo e con la partecipazione straordinaria di Lella Costa. Lo spettacolo è il risultato di un anno di laboratorio che per molte detenute è cominciato con l'avvicinamento al racconto con il libro, con la libera fantasia proprio nel carcere che è il luogo della negazione di ogni libertà, anche di fantasticare. Accanto ai Tre porcellini, Cenerentola, alle filastrocche di Rodari e alle fiabe dei Fratelli Grimm lette e interpretate dalle detenute, Lella Costa legge le fiabe e filastrocche scritte da alcune di loro facendosi portavoce di chi chiede rispetto e dignità per coloro che hanno sbagliato e, per questo, stanno pagando duramente. "Ho imparato - afferma l'attrice - che in carcere le parole hanno un peso e un'importanza assoluti: vengono ascoltate e soppesate con attenzione estrema, quasi con venerazione. E nelle favole le parole diventano metafora, sogno, evasione - in molte accezioni... Per questo sono felice di partecipare a questa iniziativa. Liber Liberanti propone di pensare alla cultura in carcere come necessaria opportunità di riflettere su di sé, sul rapporto con i propri figli lontani, sul proprio futuro dopo la scarcerazione. I libri sono uno strumento potente per costruire un futuro di libertà. E le fiabe sono l'origine di tutti i libri. I più antichi. Cenerentola ha migliaia di anni e si trova in tutte le culture dall'Occidente alla Cina. Basta Cenerentola a liberare una donna dal rischio di tornare a delinquere? Rispondo - aggiunge la regista - con le parole di una ex detenuta a un recente convegno sull'espressività in carcere: ‘Sono entrata e uscita da là dentro tante volte che ormai non speravo più di salvarmi. Poi, per caso, ho cominciato a leggere e fare teatro in carcere. Ho capito a cosa poteva servire la libertà. E ho cambiato vita, per sempre. Sarà un caso unico? Le statistiche dicono il contrario. La cultura in carcere abbassa di molto il tasso di recidiva criminale". Tutti i reading realizzati andranno a comporre un cd-audio che verrà diffuso sul web e proposto alle istituzioni, alle scuole, agli editori. Liber Liberanti è un progetto finanziato dalla Regione Lazio - Assessorato alla Cultura in merito al bando "Io Leggo" e approvato dalla Direzione del C.C. Femminile di Rebibbia: "Ho accolto - spiega Ida Del Grosso, Direttore Reggente Casa Circondariale Femminile Roma Rebibbia - con entusiasmo il progetto perché credo fortemente nella forza terapeutica della lettura condivisa, specialmente in un contesto deprivato quale è il carcere. La favola può ampliare gli spazi, dilatare i tempi, abbattere i muri e trasportare madre e figlio in un dimensione altra e profonda, in cui lasciando spazio alla fantasia, il colloquio possa diventare incontro vero e profondo senza tempo". Migranti, per il governo non è emergenza di Daniel Rustici Il Garantista, 11 giugno 2015 "Sull'immigrazione c'è un approccio da derby ideologico". Il premier Matteo Renzi, durante il suo intervento di ieri dal palco della Federalimentari, entra a gamba tesa nel dibattito sui migranti puntando contemporaneamente il dito sul "cattivismo" alla Salvini ma anche su quello che il Presidente del Consiglio ha definito "L'atteggiamento buonista di chi dice venghino, c'è posto". "Sono due estremi inaccettabili" ha detto Renzi secondo cui per fronteggiare la questione degli sbarchi "c'è bisogno di aumentare i fondi di cooperazione internazionale e i legami con l'Africa" ricordando anche di essere stato tra i pochi premier italiani a fare un viaggio "sotto la linea dell'Africa del Nord". Contemporaneamente il ministro degli Interni, Angelino Alfano, è tornato chiedere più soldi e attenzione all'Europa: "Continueremo a batterci", ha spiegato il titolare del Viminale, "per accogliere i migranti in Europa secondo un'equa distribuzione, con un meccanismo fisso di redistribuzione e non con un numero fisso per ogni stato membro". "Ora dobbiamo migliorare quello che abbiamo ottenuto a livello di Commissione Ue per farlo condividere anche dai singoli stati" ha inoltre aggiunto Alfano prima di rivolgere un appello alla comunità internazionale: "Vogliamo che prenda una decisione sulla questione libica per stroncare il traffico di essere umani". Ma dalle opposizioni piovono gli attacchi all'esecutivo: "Sottraendosi alla discussione parlamentare sul tema dell'immigrazione e della crisi libica", tuona il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani, "il governo ha dimostrato oggi di ritenere rinviabile, e quindi non essenziale, l'emergenza dettata dall'invasione a cui è soggetto il nostro Paese, a tutto danno della sicurezza degli italiani e dei migranti che, in fuga da fame e guerra, intraprendono viaggi, che spesso si trasformano in tragedie del mare". "È gravissimo constatare", prosegue poi Romani, "che il governo si sottragga alla richiesta del Parlamento di conoscere l'esito delle iniziative in sede internazionale, Onu e Eu, per la definizione degli impegni che il nostro Paese deve assumere per contenere anche con azioni mirate l'invasione che dalle coste libiche si preannuncia per le prossime settimane". "Forza Italia" ha infine chiosato il senatore azzurro, "da sempre ha dimostrato apertura e volontà di condivisione di una soluzione del problema ma oggi con la chiusura espressa dalla maggioranza nelle Conferenze dei capigruppo di Cannerà e Senato, l'esecutivo ha dimostrato di non avere intenzione di affrontare quella che è una emergenza non rinviabile". E il sindaco di Verona Flavio Tosi commentando l'ipotesi di incentivi ai Comuni disponibili ad accogliere migranti afferma: "Credo sia sbagliato sia incentivare i Comuni che penalizzarli". Per il primo cittadino del Carroccio la soluzione è un'altra: "Bisognerebbe fare quello che venne portato avanti da Maroni, al Viminale, nel 2011 e poi recepito da tutte le Regioni, compreso il Veneto di Zaia: le Regioni col governo trovarono un'intesa sulle modalità di distribuzione e Maroni chiese a tutte le Regioni di fare loro parte e Zaia la fece". Nel frattempo, sempre nella giornata di ieri, l'Istat ha diffuso i dati ufficiali sul Ritorno volontario assistito: in sei anni si è passati da 228 persone accompagnate ai paesi di origine alle 2000 dei soli primi mesi di quest'anno. Tra le ragioni dei ritorni la principale è legata alla perdita del posto di lavoro. Questo esponenziale aumento del ricorso alla misura è probabilmente dovuto in parte ad una maggior conoscenza dei servizi offerti dai programmi di ritorno, ma anche dal perdurare della crisi economica che non permette a molti immigrati di poter accedere in modo continuativo al mondo del lavoro. Il 62% dei ritorni riguardano uomini di cui la maggior parte provenienti da Ecuador, Perù, Tunisia, Marocco e Brasile. Vaticano: nasce il tribunale contro i preti pedofili Corriere della Sera, 11 giugno 2015 Affidati alla Congregazione della dottrina della Fede i giudizi sui vescovi che saranno perseguiti per non aver dato seguito alle denunce di abusi su minori. Papa Francesco ha affidato alla Congregazione della dottrina della Fede i giudizi sui vescovi che saranno perseguiti per il nuovo reato di "abuso d'ufficio episcopale", cioè per non aver dato seguito adeguato alle denuncia di abusi compiuti su minori e persone deboli. Ed ha istituito una apposita sezione della Cdf competente in merito. Sarà guidata da un arcivescovo segretario ed in essa confluirà l'attuale sezione disciplinare della Cdf, competente sugli abusi sessuali compiuti da ecclesiastici. Il reato di abuso d'ufficio episcopale viene ridefinito ma, ha precisato il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, "ci sono già nel codice di diritto canonico gli agganci per questo, non è che nasce dal nulla. Qui viene definita una procedura con cui affrontare questi casi". Parole che lasciano intendere che le denunce saranno anche retroattive. La straordinaria riforma giudiziaria varata da Francesco scaturisce da una relazione del presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, cardinale Sean Patrick O'Malley, che conteneva due proposte avanzate dal nuovo organismo, del quale come è noto fanno parte anche due vittime di abusi: una "riguardo alle denunce di abuso d'ufficio episcopale" e l'altra "sul tema delle denunce di abusi sessuali su minori e adulti vulnerabili da parte del clero preparata dalla Pontificia commissione per la tutela dei minori", ha detto il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. "Per ciascuna delle due proposte - ha aggiunto - la relazione ha indicato i termini generali che la definiscono, le questioni relative alla procedura e al Tribunale giudicante, nonché i vantaggi presenti nella proposta stessa rispetto ad altre ipotesi". "Il Consiglio dei cardinali - ha continuato Lombardi - ha concordato all'unanimità su tali proposte e ha deliberato di sottoporle al Santo Padre che ha approvato le proposte e ha concesso l'autorizzazione affinché siano fornite risorse adeguate per conseguire questi fini". Stati Uniti: detenuto da 40 anni in isolamento, viene assolto ma non sarà rilasciato Askanews, 11 giugno 2015 Nonostante due assoluzioni, Albert Woodfox - il detenuto della Lousiana che da un quarantennio è in isolamento - non potrà uscire di prigione subito. A stabilire il proseguimento della prigionia è stato il procuratore dello Stato Usa, che intende presentare appello. Lo scrive oggi la Bbc. Woodfox ha 68 anni. Per due volte è stato condannato e per due volte la condanna è stata cancellata. Ma il procuratore generale della Louisiana ha annunciato che presenterà appello "per fare in modo che questo assassino resti in prigione". Lo Stato ha fino a venerdì per spiegare perché intende tenere ancora in carcere il detenuto. Woodfox è in isolamento dal 1972, dopo essere stato accusato di aver ucciso una guardia durante una rivolta carceraria. È stato processato due volte ed entrambe le volte la condanna è stata in seguito cancellata. Lui nega ogni addebito. L'isolamento rigido dura 23 ore al giorno e ha solo un'ora per uscire dalla sua cella e "camminare da solo lungo il braccio in cui la sua cella si trova", secondo i documenti del tribunale in cui si discutono le sue condizioni di detenzione. Pwer tre volte a settimana gli è permesso fare esercizio fisico e ci sono rigide restrizioni alle "proprietà personali, materiali di lettura, accesso a risorse legali, lavoro e visite". Negli Stati uniti ci sono 80mila detenuti sottoposti a un regime di massimo isolamento, in 44 stati. Stati Uniti: "13 anni da incubo a Guantánamo", racconto di Mohammad Abbas Ouerghi bergamopost.it, 11 giugno 2015 Di storie di persone detenute per molto tempo in carcere e poi rivelatesi innocenti se ne sentono, purtroppo, tante. Ma passare 13 anni nel carcere di massima sicurezza di Guantánamo senza nemmeno un'accusa sarebbe davvero eccessivo. Eppure, è proprio quello che è successo a cinque tunisini, strettamente legati all'Italia, che dal 2002 fino a pochi giorni fa sono rimasti prigionieri del Governo americano con l'accusa di terrorismo e legami con al Qaeda. Accusa che, dopo tutti questi anni, si è rivelata del tutto infondata. L'inizio della storia. A rendere noti i dettagli di questa drammatica vicenda è Abdul Bin Mohammad Abbas Ouerghi, oggi cinquantenne, uno dei cinque uomini tunisini ad aver vissuto questo calvario. Abdul racconta della sua gioventù, passata a vendere abiti usati in Tunisia assieme al padre, mentre alcuni dei suoi numerosi fratelli, ben 17, erano andati in Italia a cercar fortuna. All'inizio degli anni Ottanta raggiunge un parente muratore in Veneto, e inizia a fare lo stesso mestiere: nel cassetto, però, il sogno di fare il cuoco. I primi anni passano tranquilli, Abdul lavora e manda regolarmente parte dello stipendio ai genitori in Tunisia, fino a che non comincia a frequentare giri poco raccomandabili, che nel 1992 gli costano un arresto per spaccio. Scarcerato, arriva a Milano nel 1997, dove frequenta la famosa moschea di viale Jenner: un'esperienza che lo aiuta ad avvicinarsi alla fede musulmana con convinzione, e a non ripetere più gli errori del passato. Decide poi di trasferirsi in Afghanistan, dove si sposa e inizia finalmente la tanto agognata carriera fra i fornelli. L'arresto. Ma durante la permanenza afghana viene arrestato dai militari americani, con l'accusa di terrorismo e di legami con al Qaeda: siamo nel dicembre del 2001, l'attentato alle Torri Gemelle è stato appena compiuto e gli Usa cercano i colpevoli della strage. Secondo gli americani, Abdul, una volta abbandonata l'Italia non si sarebbe diretto in Afghanistan, ma avrebbe preso parte ad un campo di addestramento di al Qaeda in Pakistan, vicino a Jalalabad. Terminato l'addestramento, sempre secondo i servizi segreti Usa, Abdul si sarebbe unito al Gruppo Combattente Islamico, vicino, appunto, ad Al Qaeda. Fino alla cattura. Ma Abdul è completamente spaesato, poiché di quanto riferito non c'è nulla, ma proprio nulla di vero. Chiede prove della sua colpevolezza, non gliene viene mostrata nemmeno una: "Sei un terrorista, punto e basta". Accusati e arrestati con le medesime modalità anche altri quattro suoi amici tunisini. Siamo nel febbraio 2002. Pakistan: Asia Bibi è allo stremo, ma la lasciano morire in carcere di Benedetta Frigerio Tempi, 11 giugno 2015 Peggiorano le condizioni di salute della donna pakistana ingiustamente detenuta per blasfemia. Appello all'Occidente perché faccia pressione sulle autorità. Fatica a camminare, vomita sangue ed è sempre più debole. Asia Bibi, la donna cristiana ormai in carcere da 5 anni, da quando fu arrestata nel giugno del 2010, e condannata a morte per blasfemia, è allo stremo. I suoi familiari temono per la sua vita. Secondo il Global Dispatch, suo marito e i suoi figli, dopo un mese in cui gli era stato impedito, sono andati a visitare la madre a maggio, spiegando che "è così debole che non riesce a camminare". La donna ha sviluppato un'emorragia intestinale grave, per cui avrebbe bisogno di una visita medica. I suoi legali ne hanno fatto richiesta, affinché sia curata e trasferita dal carcere di Multan a quello di Lahore, in grado di fornirle l'assistenza necessaria. La preoccupazione della famiglia, già straziata dalla prigionia della madre innocente, è cresciuta quando "nel vomito sono apparse tracce di sangue". La notizia è stata confermata da Sardar Mushtaq Gill, avvocato dei diritti umani dei cristiani pakistani: "Ho avuto notizia dai miei colleghi delle gravi condizioni di salute di Asia Bibi e del fatto che vomita sangue". Non si conoscono le cause precise dell'emorragia, ma il fatto che la donna sia stata messa in isolamento, dopo che qualcuno ha cercato di avvelenarla, fa capire come mai la vita di Asia sia a rischio. Wilson Chiwdhry, presidente della British Pakistani Christian Association, ha spiegato che "Asia Bibi sta andando incontro a un declino rapido della salute; per questo chiediamo a tutti cristiani di ricordarla regolarmente nelle loro preghiere". La donna "crede che Dio la libererà dalla prigionia", ha continuato Chiwdhry. Ad oggi pare "impossibile fissare la data del prossimo dibattito della Corte Suprema sul caso". Si parla addirittura di 3 anni d'attesa. E molti sono convinti che "la posticipazione del dibattito sia voluta dalle autorità pakistane nel tentativo di sovvertire la giustizia attraverso il suo decesso prematuro". Per questo Chowdhy ha chiarito: "Se ad Asia Bibi sarà impedita la possibilità difendersi, tutto ciò sarà visto come una grande parodia della giustizia. Una vergogna per la reputazione di una nazione apparentemente democratica come il Pakistan". Infine l'avvocato ha chiesto agli occidentali di contattare le autorità governative del proprio paese affinché facciano pressione su quelle pakistane e affinché inviino "delle email direttamente al primo ministro del Pakistan, chiedendo sollecitare la Corte Suprema affinché la donna ottenga un trattamento adeguato al suo stato di salute attuale e precario".