Giustizia: leggi e… interpretazioni, siamo i fantasisti della scappatoia di Michele Ainis Corriere della Sera, 10 giugno 2015 In Italia va così: norme dure come il ferro, interpretazioni al burro. Succede quando la politica aumenta le pene dei delitti, salvo poi scoprire che aumentano, in realtà, i prescritti. Succede con le regole del gioco democratico. Talvolta arcigne, spesso cervellotiche. E allora non resta che trovare una scappatoia legislativa al cappio della legge. Almeno in questo, noi italiani siamo professori. Come mostrano, adesso, tre vicende. Diverse una dall'altra, ma cucite con lo stesso filo. Primo: il caso De Luca. Nei suoi confronti la legge Severino è severissima: viene "sospeso di diritto". Dunque nessuno spazio per valutazioni di merito, per apprezzamenti discrezionali. Tanto che il presidente del Consiglio "accerta" la sospensione, mica la decide. Però l'accertamento è figlio d'una procedura bizantina: la cancelleria del tribunale comunica al prefetto, che comunica al premier, che comunica a se stesso (avendo l'interim degli Affari regionali), dopo di che tutte queste comunicazioni vengono ricomunicate al prefetto, che le ricomunica al Consiglio regionale. Ergo, basterà un francobollo sbagliato per ritardare l'effetto sospensivo, permettendo a De Luca di nominare un viceré. E poi, da quando dovrebbe mai decorrere codesta sospensione? Dalla proclamazione dell'eletto, dissero lorsignori nel 2013 (caso Iorio). Dal suo insediamento, dicono adesso. Acrobazie interpretative, ma in Campania l'alternativa è la paralisi. È più folle la legge o la sua interpretazione? Secondo: la riforma del Senato. L'articolo 2 del disegno di legge Boschi è già stato approvato in copia conforme dalle assemblee legislative, stabilendo che i senatori vengano eletti fra sindaci e consiglieri regionali. La minoranza pensa sia un obbrobrio, la maggioranza a quanto pare ci ripensa. Però il ripensamento getterebbe tutto il lavoro in un cestino. La procedura, infatti, vieta d'intervenire in terza lettura sulle parti non modificate; se vuoi farlo, devi cominciare daccapo. Da qui il colpo d'ingegno: si proceda per argomenti, anziché per parti modificate. Dunque il voto cui s'accinge il Senato non è vincolato dal voto della Camera. Interpretazione capziosa? E allora verrà in soccorso una preposizione: Palazzo Madama aveva scritto "nei", Montecitorio ha scritto "dai". La copia non è proprio conforme, sicché il Senato può stracciarla. Domanda: meglio un obbrobrio sostanziale o un obbrobrio procedurale? Terzo: la sentenza numero 70 della Consulta. Quella sulle pensioni, con un costo stimato in 18 miliardi. Il governo, viceversa, ha stanziato 2 miliardi, risarcendo le pensioni più basse, ma lasciando all'asciutto 650 mila pensionati. Poteva farlo? Dicono di sì, con argomenti che s'appoggiano sulla motivazione della sentenza costituzionale. Che però disegna un arzigogolo, dove c'è dentro tutto e il suo contrario. Sennonché il dispositivo è netto, e non distingue fra categorie di pensionati. Dal dispositivo, peraltro, derivano gli effetti vincolanti. A meno che quest'ultimo non rinvii espressamente alla motivazione, come succede di frequente. Non in questo caso, tuttavia. E allora, che diavolo avrebbe potuto inventarsi il nostro esecutivo? Quattrini non ne abbiamo, siamo ricchi soltanto di fantasia interpretativa. Morale della favola, anzi delle tre favole su cui sta favoleggiando la politica. Quando la legge, o il disegno di legge, o la sentenza fanno a cazzotti con la logica, diventa logica un'interpretazione illogica. Giustizia: da Napolitano e Orlando atto d'accusa sulle carceri "sono criminogene" di Errico Novi Il Garantista, 10 giugno 2015 Il Presidente Emerito si affida a Mattarella: "avrà a cuore la questione penitenziaria". Il ministro: "norme da rifare". Non capita tutti i giorni di ascoltare un ministro della Giustizia che definisce "criminogene" le carceri. Né di sentire un Presidente Emerito della Repubblica come Giorgio Napolitano pregare il suo successore Sergio Mattarella di "avere al centro della sua attenzione la questione penitenziaria". Sono proprio queste però le espressione pronunciate ieri nel corso del seminario "Il carcere dei diritti, verso gli Stati Generali", organizzato dal Garante per i detenuti della Campania, Adriana Tocco, insieme con la Fondazione Mezzogiorno Europa. "Il tema del sovraffollamento non dico è stato completamente risolto ma sicuramente oggi siamo in condizioni migliori di un anno fa", esordisce Orlando. Che spiega come l'attenuarsi dell'emergenza di tipo strettamente "numerico" sia proprio il presupposto utile per affacciarsi sulla nuova sfida, ossia "il tema del trattamento e dell'esecuzione della pena", che poi è proprio l'oggetto centrale degli Stati generali, che si svolgeranno in vari "tavoli" fino al prossimo autunno. Il guardasigilli ha ricordato che nei prossimi giorni sarà a Strasburgo per illustrare i "progressi compiuti" alla Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, l'organismo chiamato a verificare l'attuazione degli ammonimenti seguiti alla sentenza Torreggiani "Rappresenteremo cosa l'Italia ha fatto nel corso di quest'anno, pur nella consapevolezza che c'è ancora molto da fare". I numeri d'altronde dicono che la forbice tra reclusi e posti disponibile nelle carceri si è molto assottigliata, con 53mila reclusi per una capienza di 49mila, ma non siamo ancora all'allineamento. Ma appunto Orlando lascia nell'uditorio una certa impressione soprattutto quando dichiara apertamente che "oggi il carcere come è in Italia produce crimine e non riduce le potenzialità criminali nel Paese". Un'affermazione pesantissima proprio perché fatta dal ministro della Giustizia, in linea d'altronde con le posizioni sempre più nette assunte dal numero uno di via Arenula su questo tema negli ultimi tempi. La valutazione si trasforma in atto d'accusa quando il guardasigilli dice che "chi ha utilizzato la paura ha davvero generato paura". Non si tratta però solo di propaganda. A parte le chiassate di partiti come la Lega, nel nostro Paese c'è un problema strutturale, dovuto a "norme cancerogene. Spendiamo tre miliardi di euro l'anno per l'esecuzione delle pene e abbiamo i tassi di recidiva più alti d'Europa". Si cercherà di rimediare proprio con le proposte che verranno fuori dagli Stati generali dell'esecuzione penale, destinate a dare corpo alla legge delega sulla riforma dell'ordinamento penitenziario: "Dobbiamo riempirla di contenuti e porci la domanda su quale sia la chiave di volta per cambiare l'opinione comune", dice ancora il ministro. La commozione di Napolitano Nel corso del suo intervento, Giorgio Napolitano non riesce a nascondere la commozione. Parte "da lontano": "È importante fare le leggi con audacia, ma oggi non ci troviamo di fronte solo ad un problema normativo, ma anche e soprattutto culturale. Noto un impoverimento sul piano dei valori della società italiana", sono le parole del presidente emerito della Repubblica. Che ribadisce quindi l'urgenza della questione specifica alla base del convegno, la riforma penitenziaria: "Nel nostro Paese non sono state fatte le riforme necessarie. Penso che sia arrivato il momento di cambiare la legge del 1975. Il presidente Mattarella, che degnamente esercita la funzione di Capo dello Stato, avrà sicuramente al centro della sua attenzione la questione penitenziaria", è la previsione di Napolitano, che nel corso del proprio mandato a mostrato di aver così a cuore l'argomento da farne oggetto del suo unico messaggio alle Camere con il suo intervento nel 2013 dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, ed è qui che arriva la commozione. "Ci sono stati dei miglioramenti, come ricorrere a pene alternative in certi casi. Molto ancora non è stato, penso agli gli stranieri che finiscono in carcere solo per aver violato la legge sull'immigrazione clandestina". Non manca un pur misurato atto d'accusa al sistema mediatico: "L'informazione adesso partecipa alla polemica sulle riforme, quelle in particolare che riguardano il Senato, si preoccupano del fatto che questa modifica potrebbe indebolire la democrazia parlamentare, ma quanto spazio hanno dedicato all'attività stessa del Parlamento? Zero. Quello che fanno le Camere", fa notare il presidente emerito, "non viene pubblicato. Da poco sono rientrato e non sono entusiasta di ciò che ho trovato". Napolitano è accompagnato dalla moglie e compagna di sempre Clio, e approfitta dunque della sua Napoli per lanciare un monito agli organi di informazione e alla politica stessa: "Oggi si pensa a condannare un intercettato, prima ancora che si arrivi alla conclusione delle indagini, o che ci sia un rinvio a giudizio. Mi dispiace dirlo, ma oltre a rivolgermi ad un anello fondamentale come quello dell'informazione, chiamo in causa la politica. Non voglio soffermarmi sul solito tema della decadenza della politica, ma proprio la politica deve essere capace di rilanciare il Paese e soprattutto deve essere portatrice di valori sani". Parole che pesano, e che forse alla politica, a questo punto, non conviene più ignorare. Napolitano: è il momento di riformare legge del 1975 (Il Velino) Si è commosso il presidente emerito Giorgio Napolitano, a Napoli per la tavola rotonda sul tema delle carceri. "È importante fare le leggi con audacia - ha dichiarato - ma oggi non ci troviamo di fronte solo ad un problema normativo, ama anche e soprattutto culturale. Noto un impoverimento sul piano dei valori della società italiana". Napolitano, al convegno organizzato dalla Garante dei detenuti Adriana Tocco, nella sala del Circolo degli Ufficiali di Palazzo Salerno, ha proseguito ribadendo la necessità di cambiare la riforma penitenziaria: "Nel nostro Paese non sono state fatte le riforme necessarie. Penso che sia arrivato il momento di riformare la legge del 75. Il presidente Mattarella, che degnamente esercita la funzione di capo dello Stato, avrà sicuramente al centro della sua attenzione la questione penitenziaria. Con il mio intervento sui diritti dell'uomo ho scommesso e mi è andata bene - ha affermato commuovendosi e ricordando il suo intervento alle Camere nel 2013 dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo - ci sono stati dei miglioramenti, come ricorrere a pene alternative in certi casi. Molto ancora non è stato, penso agli gli stranieri che finiscono in carcere solo per aver violato la legge sull'immigrazione clandestina". L'ex inquilino del Quirinale, durante il suo discorso, ha rimproverato i giornalisti: "L'informazione adesso partecipa alla polemica sulle riforme, quelle in particolare che riguardano il senato, si preoccupano - ha evidenziato - che questa modifica potrebbe indebolire la democrazia parlamentare, ma quanto spazio hanno dedicato all'attività stessa del Parlamento? Zero. Quello che fanno le Camere - ha sottolineato - non viene pubblicato. Da poco sono rientrato e non sono entusiasta di ciò che ho trovato". Napolitano, accompagnato dalla moglie e compagna di sempre Clio, ha dunque approfittato della sua Napoli per lanciare un monito agli organi di informazione e alla politica stessa: "Oggi si pensa a condannare un intercettato, prima ancora che si arrivi alla conclusione delle indagini, o che ci sia un rinvio a giudizio. Mi dispiace dirlo, ma oltre a rivolgermi ad un anello fondamentale come quello dell'informazione, chiamo in causa la politica. Non voglio soffermarmi sul solito tema della decadenza della politica - ha poi concluso Napolitano - ma proprio la politica deve essere capace di rilanciare il Paese e soprattutto deve essere portatrice di valori sani". Orlando: ci sono norme che producono e non riducono crimine "In Italia ci sono norme che producono e non riducono il crimine". Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando intervenendo alla tavola rotonda del seminario "Il carcere dei diritti, verso gli Stati Generali" in corso di svolgimento presso il Circolo Ufficiali di Napoli, a Palazzo Salerno. "Spendiamo tre miliardi di euro l'anno per l'esecuzione delle pene - il ragionamento del Guardasigilli - e abbiamo i tassi di recidiva più alti d'Europa. Perché la paura ha generato paura, ha innescato una spirale che non si interrompe mai". Di qui l'impegno del ministro affinché, in vista degli Stati generali dello status delle carceri e rispetto alla riforma dell'ordinamento penitenziario, "dobbiamo riempire di contenuti la delega e porci la domanda su quale sia la chiave di volta per cambiare l'opinione comune". Perché, appunto, se in Italia le norme esistenti "producono e non riducono il crimine", allora, Questo deve essere un elemento di riflessione su cui si deve richiamare l'attenzione del forze politiche e dell'opinione pubblica". Pannella: felice per parole Orlando su carcere criminogeno "Saluto quanto detto oggi dal ministro della giustizia Andrea Orlando e cioè che oggi il carcere è criminogeno. Ci tengo a dire al ministro Orlando formalmente che sono felice di una cosa per nulla scontata. Dico ad Orlando grazie di questa posizione che avrà ascoltato anche il Presidente della Repubblica Mattarella". Così Marco Pannella ha commentato quanto detto oggi dal ministro della giustizia Andrea Orlando a Napoli, e cioè che attualmente le carceri sono criminogene. "Il ministro della giustizia - aggiunge - ha detto ufficialmente che il carcere è criminogeno, quando secondo Costituzione e scienza la funzione del carcere è proprio quella di decriminalizzare. Non è capitato spesso che un ministro abbia detto quello che ha detto lui oggi. Saluto questo pubblico riconoscimento. Prima ancora ricordo che abbiamo avuto lo splendido messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Napolitano che faceva proprie le nostre tesi e che noi abbiamo fatto nostra mozione di Radicali Italiani". Garante detenuti Tocco: una riforma contro il populismo penale Una riforma organica del sistema penitenziario che superi i provvedimenti di urgenza. È quanto auspicato dal garante dei detenuti della Regione Campania Adriana Tocco. "Mi auguro - ha detto il garante nel corso del suo intervento al convegno organizzato in mattinata al Circolo degli Ufficiali - che gli Stati Generali della detenzione (partiti lo scorso 19 maggio) diano vita a una grande riforma organica e di sistema, superando i provvedimenti di urgenza, che si riesca a coinvolgere l'opinione pubblica, a battere la demagogia di chi cavalca il senso comune che quasi mai coincide con il buon senso e ha portato negli ultimi anni a voler risolvere tutto con il carcere, che, come dichiarano i dati, non diminuisce la recidiva, è dunque improduttivo per la sicurezza sociale. Noi dobbiamo invece dimostrare l'utilità sociale della trasformazione". "Il ministro - ha proseguito - ha definito il carcere questione "scabrosa" ed è vero, è duro battere il populismo penale (esempi) occorre perciò l'impegno di tutti, anche dei media, presso l'opinione pubblica. E dunque spero e credo che anche qui oggi daremo un contributo". "Se il principio della territorialità della pena esiste ed è norma cogente - ha osservato - immagino che non si possano più avere rigetti di trasferimenti vicino alla famiglia, per misteriosi motivi di opportunità penitenziaria o altrettanto nebulose ragioni di ordine e disciplina. Spero anche che vengano emessi regolamenti omogenei per tutti gli istituti, evitando l'afflittività gratuita per la quale la pena è più o meno pena in modo assolutamente casuale, dipende dal carcere nel quale si capita. Spero che si incrementi la strada già intrapresa del ricorso alle pene alternative, riservando la detenzione ai casi più gravi. Spero che l'Italia si avvii sulla strada di quei paesi che hanno un modello di carcere responsabilizzante e tengono in gran conto gli affetti familiari, si possa così cominciare a riflettere anche qui sulla questione della sessualità". "Spero che la pena - ha concluso Tocco - non si chiami più così, che diventi invece un momento di riflessione sul proprio vissuto e di conseguente cambiamento di comportamento". Antigone: recidiva per 68% in cella intera pena I dati sulla recidiva tra i detenuti dimostrano che, come dice il ministro della Giustizia Orlando, il carcere produce crimine". Lo rileva Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri. "Il tasso di recidiva arriva quasi al 68-70% tra i detenuti che hanno scontato l'intera pena in cella - spiega Gonnella - mentre scende a circa il 30% tra coloro che hanno fruito di misure alternative al carcere". "Ciò dimostra - prosegue - che bisogna fortemente insistere affinché il carcere rimanga una risposta residuale". "È necessario, inoltre - aggiunge Gonnella - che il modello di detenzione si fondi su tre concetti: dignità, responsabilità e normalità. Per troppo tempo il carcere è stato, infatti, un luogo infantilizzante e di umiliazione". Secondo Gonnella, "ricordando che l'intero sistema penitenziario costa 3 miliardi di euro l'anno è arrivato il momento di investire veramente sulla sicurezza dei cittadini visto che meno carcere significa meno recidiva". Giustizia: presidente Mattarella, meglio avere processi veloci o avere sentenze più giuste? di Vincenzo Vitale Il Garantista, 10 giugno 2015 Il presidente della Repubblica Mattarella, nell'ambito della sua visita al Csm, ha affermato una cosa giusta ed una sbagliata. Quella giusta è che il Csm non può riformarsi da solo, perché occorre che sia il legislatore ad intervenire soprattutto in tema di elezioni e di funzionamento della sezione disciplinare. La cosa sbagliata è che la gente preme sempre di più e si aspetta processi veloci. Ora, è ben vero che in Italia i processi hanno una durata biblica e che siamo per questo lo zimbello del mondo civile, ma lo siamo ancor di più perché il tasso di giustizia presente all'esito del processo è sempre più basso. Il presidente della Repubblica Mattarella, nell'ambito della sua visita al Consiglio Superiore della Magistratura, ha fatto un intervento, affermando una cosa giusta e una sbagliata. Quella giusta e sacrosanta è che il Csm non può riformarsi da solo, perché invece occorre necessariamente che sia il legislatore ad intervenire soprattutto in tema di elezioni e di funzionamento della sezione disciplinare. Ed infatti, è proprio così. Se ci cono aspetti che davvero debbono essere riformati sono di sicuro il sistema elettorale attuale che alimenta a dismisura il sistema correntizio all'interno del Csm e quello della giustizia disciplinare che lascia troppo a desiderare, mostrando una cedevolezza eccessiva: le sentenze che affermano una responsabilità di un magistrato sono infatti assai rare e sempre assai miti, rispetto ai fatti accaduti e contestati. La cosa invece sbagliata che il capo dello Stato ha affermato è che la gente preme sempre di più e sempre di più si aspetta processi veloci. Ora, è ben vero che in Italia i processi hanno una durata biblica e che siamo per questo lo zimbello del mondo civile, ma lo siamo ancor di più perché il tasso di giustizia presente all'esito del processo si mostra pericolosamente ridotto e comunque precario. Insomma, fare i processi in modo più veloce è certo un bene, ma non è il bene principale: il bene principale è che dai processi scaturisca con una certa probabilità che sia ragionevole una decisione riconoscibile socialmente come giusta. Ciò purtroppo in Italia accade con una frequenza troppo bassa e per questo si avverte come un diffuso senso di disagio serpeggiare fra tutti coloro che per professione o per necessità son costretti a fare i conti con l'amministrazione della giustizia italiana. Non parliamo poi di cosa pensano all'estero di quanto accade nei nostri Tribunali, soprattutto in casi che hanno fatto molto rumore presso la stampa e l'opinione pubblica, come quelli di Adriano Sofri o di Raffaele Sollecito ed Amanda Knox. In casi del genere, i corrispondenti esteri sono stati costretti ad assistere allibiti alla celebrazione di sei, sette o più procedimenti penali che ogni volta ribaltavano la decisione già assunta: chi, per il Tribunale era innocente, per la Corte d'Appello era invece colpevole, per la Cassazione di nuovo innocente e poi da capo in una girandola di sentenze che si annullavano, si confermavano, si riformavano una dopo l'altra in un tragicomico gioco dell'oca. Alla fine, nessuno ci capisce più nulla e sarebbe molto più serio e rispettoso, anche della dignità delle persone coinvolte, lasciar perdere tutto e rinunciare ad ogni ulteriore prosecuzione. Ne viene che, per ogni evidenza, se i processi son troppo lunghi, spesso è perché son fatti male, in modo tale cioè da esigere gradi su gradi di giudizio, con tanti saluti alla giustizia della sentenza. Non mi stancherò di ripeterlo, seguendo Seneca: "cito scribendo non fit ut bene scribatur, bene scribendo fit ut cito". Vale a dire: chi scrive in fretta scriverà male, chi scrive bene scriverà in fretta. Sarebbe allora il caso allora che i nostri governanti ci pensassero un poco come si deve, per adottare provvedimenti destinati non a far presto i processi ma a farli bene, meglio di quanto siano fatti oggi. Anche perché, come sappiamo, farli bene - cioè capaci di rendere giustizia - equivale a farli in fretta. Assai più di oggi. Giustizia: dal ministro Orlando il via libera al decreto che agevola la Messa alla prova di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2015 Via libera del ministro della Giustizia Andrea Orlando al Regolamento sulla messa alla prova. Un passo previsto dalla legge delega sulle pene alternative al carcere, che prevede la sospensione del processo e la possibilità di fare ricorso ai lavori di pubblica utilità. L'opportunità - che già esiste per i reati con pene inferiori a 4 anni - con il tassello del regolamento viene rafforzata offrendo agli uffici giudiziari la possibilità di utilizzare al meglio le potenzialità deflattive dell'istituto. Il regolamento firmato da Orlando disciplina le Convenzioni per i lavori di pubblica utilità che il ministero e i Presidenti dei Tribunali possono stipulare con lo Stato, gli enti locali e le organizzazioni di assistenza sociale sanitaria e di volontariato. Il lavoro, svolto in favore della collettività, sarà non inferiore a dieci giorni né superiore a otto ore giornaliere e non retribuito, ma nella scelta dell'occupazione si terrà conto delle professionalità e delle attitudini dell'imputato. Nel decreto sono indicate anche le mansioni che potranno essere svolte: dalla protezione civile in caso di calamità naturali, alla tutela del patrimonio ambientale. Gli oneri saranno sostenuti dalle amministrazioni locali o dalle organizzazioni in favore delle quali il lavoro é svolto. Sul sito del ministero saranno pubblicate di volta in volta le convenzioni raggruppate in base al distretto di Corte d'Appello. Orlando firma Regolamento Ministeriale su messa alla prova (Adnkronos) Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato il regolamento ministeriale di attuazione della legge delega in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio, che prevede la sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, con cui si amplia la possibilità di far ricorso al lavoro di pubblica utilità. Già oggi, ricorda una nota del Ministero, gli imputati di reati puniti con la sola pena pecuniaria o con una pena detentiva non superiore a 4 anni hanno la possibilità di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova e conseguente avviamento a lavori di pubblica utilità. Con il regolamento firmato dal ministro la possibilità viene rafforzata offrendo agli uffici giudiziari la possibilità di sfruttare al meglio le finalità deflattive dell'istituto. Con il provvedimento del Guardasigilli sono infatti disciplinate punto per punto le diverse convenzioni in materia di lavori di pubblica utilità che il ministero o i presidenti dei Tribunali competenti possono stipulare con Stato, enti locali e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Il regolamento prevede che la prestazione lavorativa non sarà retribuita, verrà svolta in favore della collettività, non sarà inferiore ai dieci giorni né superiore alle otto ore giornaliere e dovrà tener conto delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato. Il decreto ministeriale elenca inoltre indicazioni le mansioni a cui i richiedenti potranno essere adibiti: prestazioni socio-sanitarie; di protezione civile, anche in caso di calamità naturali; di tutela del patrimonio ambientale e culturale e infine di manutenzione di immobili e servizi pubblici. Nessun onere è previsto a carico del ministero della Giustizia, perché saranno sostenuti delle amministrazioni, degli enti locali e delle organizzazioni presso i quali viene svolta l'attività gratuita in favore della collettività. Le convenzioni, raggruppate per distretto di Corte d'Appello, saranno di volta in volta rese pubbliche attraverso l'inserimento in una apposita sezione del sito internet www.giustizia.it. Il decreto sarà in vigore dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Giustizia: la Consulta spieghi le scelte dei suoi giudici "dissenzienti" di Giuseppe Di Federico Il Garantista, 10 giugno 2015 In un articolo apparso sul Foglio Renzo Rosati ci ha ricordato che il Presidente della nostra Corte Costituzionale Alessandro discuoio, con il suo voto, in una Corte divisa a metà, ha determinato l'esito della decisione sul ripristino della indicizzazione delle pensioni e quindi anche un potenziale, insostenibile, aggravio di circa 19 miliardi dei nostri conti pubblici. Successivamente Criscuolo ha spiegato che non è compito della Corte "ma di altri organi dello Stato" quello di preoccuparsi di evitare il default (cioè la bancarotta del nostro Stato). Questa risposta mi ha richiamato alla mente una canzone molto conosciuta tra gli studenti negli Stati Uniti, o almeno tra quelli della mia università, agli inizi degli anni 60. Nella canzone Wernher von Brawn veniva accusato di aver inventato le V2 che tanti morti, mutilazioni e distruzioni avevano causato ai cittadini di Londra. Nella canzone lui rispondeva che si era limitato ad inventare il sistema per far decollare e volare le V2. Dove cadevano non rientrava tra i compiti del suo dipartimento (testualmente: "where they come down is not my department says Wernher Von Brawn"). La nostra Corte Costituzionale è anomala, sotto vari profili, rispetto alle altre Supreme Corti: si pensi solo al fatto che è l'unica in cui solo un terzo dei suoi componenti è designato da organi direttamente rappresentativi della volontà popolare. Tra le anomalie vi è anche quella che non è previsto il voto dissenziente. A differenza di quanto avviene in altri Paesi democratici (ad esempio Usa, Germania e Spagna), non è consentito ai nostri giudici costituzionali che dissentono dalla maggioranza di scrivere e far conoscere, in una sentenza dissenziente, le motivazioni di natura giuridica per cui avrebbero deciso in maniera difforme. Tra le varie ragioni che vengono date a sostegno dell'adozione del voto dissenziente vi è anche quella di una più pregnante responsabilizzazione della maggioranza per le decisioni che assume, garantita proprio attraverso la pubblicazione delle ragioni giuridiche per cui giudici con eguali qualificazioni professionali avrebbero deciso diversamente. Non possiamo dire se nel caso del giudizio sull'indicizzazione delle pensioni questa forma di responsabilizzazione avrebbe determinato un giudizio differente. Certamente avrebbe reso molto più difficile per il Presidente Criscuolo affermare che non era compito della Corte costituzionale ma "di altri organi dello Stato" quello di preoccuparsi di evitare la bancarotta dello Stato, una volta fossero state rese pubbliche le ragioni giuridiche per cui la metà dei nostri giudici costituzionali riteneva sbagliata la decisione della maggioranza e dello stesso Criscuolo. Giustizia: anticorruzione; incaricato pubblico servizio è di nuovo punibile per concussione di Paolo Canaparo Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2015 La legge anticorruzione (legge 69/2015) disegna una nuova strategia in campo penale volta a rafforzare l'efficacia dell'azione di repressione dei reati contro la pubblica amministrazione. Le linee direttrici di tale strategia sono riconducibili ad interventi di incremento del limite massimo delle pene edittali previste per i delitti contro la Pa, di ampliamento dei soggetti perseguibili e, dal punto di vista processuale, a modifiche che concernono l'accesso al patteggiamento, le pene accessorie e la concessione della sospensione condizionale della pena. Le nuove pene edittali Gli interventi sul limite massimo delle pene edittali riguardano innanzitutto il delitto di peculato previsto dall'articolo 314 del codice penale. La disposizione previgente puniva con la reclusione da 4 a 10 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria; la legge anticorruzione eleva ora il limite massimo della pena di ulteriori sei mesi (dieci anni e sei mesi). Per quanto concerne il reato di corruzione per l'esercizio della funzione, previsto dall'articolo 318 del codice penale, laddove il codice penale puniva con la reclusione da 1 a 5 anni il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa, la riforma mantiene invariato il minimo di pena (un anno) ed eleva il limite massimo edittale a 6 anni di reclusione. Una novella all'articolo 319 del codice penale, che disciplina la corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, aumenta di due anni tanto la pena minima (che passa da 4 a 6 anni) quanto la pena massima (che passa da 8 a 10 anni), prevista per il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa. Un inasprimento del quadro sanzionatorio è previsto poi per il reato di corruzione in atti giudiziari dall'articolo 319-ter del codice penale. La riforma prevede che se i fatti indicati negli articoli 318 (corruzione per l'esercizio di una funzione) e 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio) sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da 6 a 12 anni (la legislazione previgente prevedeva da 4 a 10 anni). Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a 5 anni, la pena è della reclusione da 6 a 14 anni (la legislazione previgente prevedeva: da 5 a 12 anni); se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a 5 anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da 8 a 20 anni (la legislazione previgente prevedeva: da 6 a 20 anni. Infine, per quanto concerne il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, di cui al primo comma dell'articolo 319-quater del Cp, la legge n. 69 eleva il limite minimo e massimo della pena da infliggere al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, salvo che il fatto costituisca più grave reato. La pena precedentemente prevista dal codice penale era la reclusione da 3 a 8 anni, ora è prevista la reclusione da un minimo di 6 anni a un massimo di 10 anni e 6 mesi. L'ampliamento delle categorie dei soggetti perseguibili L'articolo 3 della legge 69/2015 modifica poi l'articolo 317 del Cp, ampliando la categoria di quanti possono commettere il reato proprio di concussione. Al pubblico ufficiale viene infatti aggiunto anche l'incaricato di un pubblico servizio. Il tema dei possibili autori del delitto di concussione è stato affrontato più volte dal legislatore con soluzioni di diverso tipo. Originariamente, infatti, il codice penale Rocco non prevedeva tra i possibili autori del reato l'incaricato di un pubblico servizio, ma solo il pubblico ufficiale. Con la legge n. 86 del 1990 viene aggiunto il riferimento anche all'incaricato di un pubblico servizio, poi da ultimo espunto dal codice dalla recente legge Severino, che ha anche escluso da questo reato la fattispecie per induzione (collocata all'articolo 319-quater e imputabile tanto al pubblico ufficiale quanto all'incaricato di un pubblico servizio). La reintroduzione dell'incaricato di un pubblico servizio tra i possibili autori del delitto di concussione è così motivata dalla relazione illustrativa dell'originario disegno di legge A.S. n. 19 (Grasso e altri): "perché non ha senso punire soltanto il primo [pubblico ufficiale], quando lo stesso comportamento può essere posto in essere da un concessionario di un servizio pubblico (Rai, Eni, personale sanitario, eccetera) con effetti parimenti devastanti sull'etica dei rapporti". Si ricorda che, in forza dell'articolo 357 del Cp la qualifica di pubblico ufficiale va attribuita, in linea generale, a quei soggetti che concorrono a formare o formano la volontà dell'ente pubblico ovvero lo rappresentano all'esterno, quelli che sono muniti di poteri autoritativi e che sono muniti di poteri di certificazione. L'articolo 358 del Cp, a propria volta, dispone che "sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d'ordine e della prestazione di opera meramente materiale". Secondo la dottrina prevalente per incaricato di pubblico servizio dovrebbe intendersi un soggetto che pur svolgendo un'attività pertinente allo Stato o ad un altro ente pubblico non è dotato dei poteri tipici del pubblico ufficiale e, d'altra parte, non svolge funzioni meramente materiali. L'estinzione del rapporto di lavoro e di impiego Nella legislazione previgente, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente pubblico derivava dalla condanna alla reclusione non inferiore a tre anni per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l'esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, ovvero corruzione di persona incaricata di pubblico servizio. Con una modifica l'articolo 32-quinquies del codice penale, che disciplina i predetti casi, la legge anticorruzione abbassa ora a due anni di reclusione il limite minimo, previsto per la condanna che determina la cessazione del rapporto di lavoro o di impiego, con ciò immaginando di rafforzare gli effetti deterrenti e al contempo di favorire le pubbliche amministrazioni nel "liberarsi" dei dipendenti condannati per fattispecie penali che danneggiano non solo il corretto funzionamento delle Pa ma anche l'immagine di correttezza delle stesse. Passa l'esame della Consulta la stretta della legge Severino sugli arbitrati di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2015 Corte costituzionale - Sentenza 9 giugno 2015 n. 108. La legge Severino, nella parte in cui condiziona ad autorizzazione l'utilizzo dell'arbitrato, passa l'esame di costituzionalità. Anche nella disciplina della fase transitoria. La Corte costituzionale con la sentenza n. 108, scritta da Daria de Pretis, depositata ieri, ha infatti giudicato infondate le questioni sollevate su quella parte della legge (articolo 1 comma 25 della legge n. 190 del 2012) che, nel prevedere la necessita dell'autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione per la devoluzione ad arbitri della soluzione delle controversie su diritti soggettivi nell'ambito dell'esecuzione di contratti pubblici stabilisce l'applicazione anche a quegli arbitrati che sono stati conferiti dopo l'entrata in vigore della Severino sulla base di clausole compromissorie pattuite precedentemente. L'inefficacia sopravvenuta di queste ultime, non autorizzate dalla pubblica amministrazione, sarebbe in contrasto con il principio di certezza e di stabilità dell'ordinamento giuridico e con la libertà di iniziativa economica. Una tesi che però la Corte costituzionale non condivide. Il divieto di deferire le controversie ad arbitri senza una preventiva e motivata autorizzazione, sottolinea la Consulta, non ha l'effetto di rendere nulle in via retroattiva le clausole compromissorie originariamente inserite nei contratti, ma "solo" quello di sancirne l'inefficacia per il futuro. Una conseguenza dell'applicazione del principio secondo il quale la nullità di un contratto o di una sua singola clausola, prevista da una norma limitativa dell'autonomia contrattuale che sopraggiunge nel corso di esecuzione di un rapporto, incide sul rapporto medesimo, non consentendo la produzione di ulteriori effetti, sicché il contratto o la sua singola clausola si devono ritenere non più operanti. Non si pone conseguentemente alcun problema di retroattività. Quanto alla parte più strutturale, quella dell'autorizzazione, che contrasterebbe con gli articoli 3 e 111 della Costituzione perché si "risolverebbe in un vero e proprio diritto potestativo all'instaurazione del giudizio arbitrale, tale da pregiudicare la parità delle parti nel processo e da determinare uno sbilanciamento in favore della parte pubblica", il giudizio finale resta il medesimo: infondatezza. Per la Corte costituzionale si tratta di una limitazione che non è manifestamente irragionevole, vista la necessità della pubblica amministrazione di limitare i costi in controversie dall'elevato valore economico. Tanto più che, nel caso esaminato adesso dalla Consulta (che peraltro ricorda un precedente di tenore analogo del 2001, sentenza n. 376), si accompagna anche la finalità generale di prevenire l'illegalità nella pubblica amministrazione. A questo obiettivo è ispirata la norma della legge Severino, che non esprime un irragionevole sfavore per il ricorso all'arbitrato, ma si limita a subordinare il deferimento delle controversie ad arbitri a una preventiva autorizzazione amministrativa che assicuri la ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto. Discriminatoria l'istituzione di un campo rom di Giulia Laddaga Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2015 Tribunale di Roma, ordinanza 4 giugno 2015. Il Tribunale civile di Roma, con ordinanza del 4 giugno scorso, ha riconosciuto il carattere discriminatorio di un campo nomadi, quale spazio di segregazione e discriminazione su base etnica, condannando Roma Capitale a cessare l'assegnazione degli alloggi del "villaggio attrezzato" La Barbuta. La pronuncia - presentata ieri in Senato - definisce in primo grado un procedimento promosso da Asgi Associazione studi giuridici sull'immigrazione) e Associazione 21 luglio per il riconoscimento del comportamento discriminatorio di Roma Capitale. Il carattere discriminatorio dei campi è individuato dal giudice principalmente sulla base di tre elementi: a) la prevalente presenza di persone aventi origini rom, ovvero sinti e camminanti (l'origine etnica è del tutto autonoma dalla relativa cittadinanza); b) la collocazione in una zona periferica e totalmente priva di servizi; c) la stabilizzazione del campo, giuridicamente formalizzata (in spregio al carattere provvisorio, legato a una "situazione emergenziale"). I campi, quale "soluzione collettiva per gruppi non nomadi, di prevalente origine rom" è stata definita dal Giudice, per i relativi destinatari, un "deteriore, non transitorio, trattamento differenziato rispetto ad altri soggetti in situazione di disagio sociale anche abitativo, violando il diritto di ogni persona ad un'esistenza dignitosa". "Il Tribunale di Roma ha confermato l'illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali, riaffermando la necessità di superare non solo i "campi" ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom" ha dichiarato l'Asgi. Secondo l'Associazione 21 luglio "la decisione rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei "campi" della Capitale". Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, nel suo intervento alla presentazione della decisione ha ricordato che intorno ai campi nomadi esistono due schieramenti: "i contrari, che sono coloro che vogliono eliminarli, guidati da alcuni "teppisti" della politica, e dall'altra parte quelli che ne vorrebbero di più. Noi crediamo in soluzioni abitative diverse e il tribunale ci dà ragione". Lettere: caso Zucca, le tre prove che mancano a Pansa e alla polizia di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Manifesto, 10 giugno 2015 C'è un modo attraverso il quale il ministro degli interni Alfano e il capo della polizia Alessandro Pansa potrebbero rispondere efficacemente alle osservazioni critiche e dure del pubblico ministero Enrico Zucca, ovvero dimostrando con fatti e parole di essere lontani anni luce dalla sottocultura che ha prodotto Genova 2001. Enrico Zucca, pubblico ministero per le brutalità alla Diaz, in un convegno pubblico ha in modo circostanziato proposto il suo punto di vista rispetto alla tortura e alle violenze di Polizia. Il ministro degli interni e il capo della polizia hanno chiesto al ministro della giustizia di intervenire nei suoi confronti disciplinarmente. "I fatti della Diaz sono stati oggetto di un fenomeno classico di rimozione da parte della polizia italiana. C'è stata un'immediata negazione a cui è seguita la totale rimozione. Per evitare il ripetersi di quegli errori e di quello che sarebbe più giusto chiamare auto-inganni, occorre riconoscere come questi fenomeni non sono un fatto sporadico, ma sono fenomeni endemici e strutturali non della polizia italiana, ma dei corpi di polizia in genere. E se i corpi di polizia stranieri studiano questo fenomeno, allo stato attuale la polizia italiana ancora oggi rifiuta di leggere se stessa". (Enrico Zucca a Repubblica Idee, 7 giugno 2015). Supponiamo che si finisca davanti a una commissione che dovrà giudicare se Enrico Zucca ha diffamato o vilipeso il corpo di polizia, accusato di non essersi immunizzato dai rischi di violenza. Per poter vincere quella causa i vertici della sicurezza dovranno dimostrare che tra il 2001 e il 2015 sono successe cose importanti e in contro-tendenza. Ecco tre prove che dovranno essere portate in giudizio, in mancanza delle quali le chance di vittoria sono scarse. La prima prova consiste in dichiarazioni pubbliche fatte a sostegno di una legge che codifichi il delitto di tortura così come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. Sarebbe questo un argomento forte che consentirebbe a tutti di distinguere in modo netto fra chi opera nel solco della legalità e chi invece no. Il reato di tortura, così come ricorda in ogni occasione Luigi Ferrajoli, è l'unico ad avere un avallo normativo costituzionale. Quando l'Assemblea Generale dell'Onu elaborò un codice di condotta per tutti gli esponenti delle forze di polizia nel lontano 1979 all'articolo 5 affermò che "Nessun appartenente alle forze di polizia infliggerà, istigherà o tollererà atti di tortura o altri tipi di trattamento o pena crudeli, inumani o degradanti, né potrà invocare attenuanti come ordini superiori". Dunque l'intollerabilità della tortura fa parte della deontologia di chi riveste un delicato compito di sicurezza. La Corte per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia nel caso Furundzjia ha affermato che nell'ipotesi di mancata codificazione del crimine di tortura la responsabilità del singolo torturatore si espande fino allo Stato. Nel caso Diaz la Corte europea dei diritti umani ha ricordato all'Italia quali fossero le sue responsabilità di fronte alla comunità internazionale. Lo aveva fatto qualche settimana prima il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu. La seconda prova da portare è che il governo abbia dato mandato all'Avvocatura di costituirsi parte civile nei processi per violenze nei confronti di persone detenute, fermate o arrestate. Infine la terza prova consisterà nel dimostrare di avere autorizzato l'uso dei numeri identificativi per i poliziotti impegnati nelle funzioni di ordine pubblico. Senza queste tre prove la causa la vince Enrico Zucca. Del reato di tortura che non c'è parleremo mercoledì 10 giugno in una conferenza stampa al Senato con Luigi Manconi e Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International. Lombardia: l'ex Opg di Castiglione è sovraffollato, stop agli ingressi da fuori regione Adnkronos, 10 giugno 2015 La Regione scrive al Ministero della Giustizia: 220 pazienti di cui 31 esterni, sovraffollamento e sicurezza a rischio. La Lombardia lancia l'allarme ex Opg e chiude gli ingressi di pazienti da fuori regione nella struttura mantovana di Castiglione delle Stiviere, dove gli ospiti hanno ormai superato i 220 di cui 31 arrivati dal 1 aprile (data ufficiale di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari) al 26 maggio da Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia, Calabria e Liguria. Una situazione che rischia di andare ben oltre il tutto esaurito: Regione Lombardia e azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova parlano di "sovraffollamento" e "saturazione" di Castiglione, a causa del ritardo nell'attivazione delle Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) previste sul territorio nazionale per assorbire i pazienti nell'era post-Opg. L'accoglienza di 8 liguri era prevista da uno specifico accordo, ma gli arrivi dalle altre regioni hanno prodotto una condizione che ha costretto la Direzione strategica del "Poma" a chiedere aiuto alla Direzione generale Salute della Regione. E così da Palazzo Lombardia è partita nei giorni scorsi una nota ufficiale al ministero della Giustizia, Direzione generale detenuti, per comunicare "di aver dato disposizione al Sistema polimodulare di Rems provvisorie di Castiglione delle Stiviere di non accettare più pazienti da altre regioni, fino a una sostanziale modifica migliorativa delle attuali condizioni di sovraffollamento". Lo riferisce la stessa Azienda Ospedaliera mantovana, spiegando che "la risposta del ministero mette in luce la criticità legata alla mancata individuazione o attivazione, da parte di alcune Regioni, delle Rems a seguito della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari imposta dalla legge, con la conseguente necessità da parte del Dipartimento di disporre le assegnazioni e i trasferimenti degli internati verso le sole strutture effettivamente attive". Da qui il sovraffollamento dell'ex Opg di Castiglione. "Come più volte evidenziato - si legge nella missiva del ministero della Giustizia, secondo quanto riportato dal Poma di Mantova - il numero complessivo dei posti letto disponibili alla data di chiusura degli Opg, corrispondente complessivamente a 448 posti letto, si è rivelato nettamente inferiore al numero degli internati". Il problema, però, è che "i provvedimenti in questione sono intrapresi in osservanza di misure detentive disposte dall'Autorità giudiziaria, che devono essere obbligatoriamente eseguite. In considerazione di ciò - continua la lettera - la definizione di assegnazione incongrua non attiene alla competenza di questa amministrazione". La Direzione generale detenuti del ministero, prosegue l'azienda ospedaliera lombarda, "fa inoltre presente di aver sollecitato - e assicura che proseguirà in questo intento - le Regioni che, pur avendo dato comunicazione (in ottemperanza all'Accordo sancito in Conferenza unificata il 26 febbraio 2015) dell'attivazione, a partire dal 1 aprile, di una o più Rems nel proprio territorio, non hanno dato alcuna notizia della loro effettiva entrata in funzione". Brindisi: detenuto 53enne muore in cella nonostante l'intervento di agenti e sanitari Ansa, 10 giugno 2015 Un detenuto di 53 anni è morto la scorsa notte nel carcere di Brindisi per cause naturali. L'uomo, Hadzier Banil, a quanto si è appreso era affetto da alcune patologie e sarebbe stato colto da un infarto massivo, stando al referto stilato dai medici della casa circondariale di Brindisi. Lo rende noto il sindacato di polizia penitenziaria Cosp che pone la questione di una revisione della situazione sanitaria negli istituti penitenziari. Nel carcere di Brindisi è stato immediato l'intervento, sollecitato dal compagno di cella, degli agenti di polizia penitenziaria che da poco avevano effettuato il giro della conta di mezzanotte. I sanitari del 118 intervenuti non hanno potuto far altro che constatare la morte del detenuto. Per il sindacato Cosp della polizia penitenziaria sembrerebbe "arricchirsi" il trend negativo dei decessi che avvengono oltre le sbarre. "Parliamo - scrive in una nota il segretario generale del sindacato Cosp, Domenico Mastrulli - di morte naturale dei detenuti in alcuni episodi come questo di Brindisi e ancor prima come accaduto a Trani e altri penitenziari della Puglia, ma parliamo sempre di "morti in carcere". "La sanità penitenziaria dovrebbe comunque riflettere - si legge nella nota - sulle necessità che il mondo carcerario sollecita da circa sette anni, nel 2008, appena dopo l'avvio del decentramento della sanità penitenziaria nazionale alle Regioni e alle Asl una maggiore riflessione per spazi sanitari, per la carenza di personale medico, paramedico, per la carenza di strutture e strumentalizzazione aggiornata per carenza anche in alcuni casi di medicinali salva vita". "Il ministro della Giustizia e della Salute - prosegue Mastrulli - aprano un confronto con le organizzazioni sanitarie sull'apparato sanitario penitenziario e sulla possibilità di un rientro della sanità regionale in campo nazionale". Napoli: 39enne muore in psichiatria mentre era sottoposto a TSO, aperta un'indagine di Antonio Vuolo Il Mattino, 10 giugno 2015 Era la mattina del 28 maggio. Massimiliano Malzone, 39 anni di Agnone, non appena vide il personale medico che avrebbe dovuto sottoporlo al trattamento sanitario obbligatorio andò in escandescenza. Dapprima lanciò pietre ed oggetti contro i presenti, poi sfasciò con una spranga di ferro la Fiat Punto della polizia locale di Montecorice e infine, tentò di investire il medico del centro di igiene mentale di Agropoli. Fu calmato dai carabinieri e condotto in ambulanza presso il reparto psichiatrico dell'ospedale di Sant'Arsenio. Proprio lì, Massimiliano si è spento nella tarda serata di lunedì per un arresto cardiaco. Ma la magistratura vuole vederci chiaro. La salma è stata posta sotto sequestro su richiesta della Procura di Lagonegro, che ha disposto anche l'esame autoptico. Sarà effettuata probabilmente nella giornata di oggi. Intanto, i militari della stazione di Polla, coordinati dal capitano Emanuele Corda della compagnia di Sala Consilina, si sono recati già nella serata di lunedì a Sant'Arsenio per prelevare la cartella clinica di Malzone. Anche i familiari vogliono vederci chiaro ed hanno conferito il mandato all'avvocato Attilio Tajani che sarà oggi a Lagonegro con il dottore Luigi Crispino, nominato consulente medico di parte. "È prematuro fare valutazioni" tiene a precisare però l'avvocato Tajani. Da un primo esame esterno, tuttavia, non risulterebbero sul suo corpo segni tali da lasciar presagire un trattamento da tortura nel corso del suo ricovero. Si tratterebbe in apparenza di una morte naturale, anche se è giusto ed opportuno che la magistratura sgombri a priori il campo da ogni dubbio. È sempre viva nella mente dei cilentani, infatti, la storia di Franco Mastrogiovanni, il professore di Castelnuovo Cilento deceduto nell'agosto del 2009 all'interno del reparto psichiatrico del San Luca, dopo essere stato legato mani e piedi al letto per ottantadue ore. Trento: proteste in carcere; il consigliere provinciale Civico ha effettuato un sopralluogo Ristretti Orizzonti, 10 giugno 2015 Da alcuni giorni la Casa circondariale di Trento è in un clima di agitazione: i detenuti stanno protestando per denunciare condizioni difficili, rifiutando il vitto, sbattendo le gamelle alle sbarre fino a, episodio accorso proprio stamani durante la visita del consigliere, atti di grave autolesionismo. Lamentano in particolare la carenza di proposte sociali ed occupazionali (che in estate con la chiusura delle scuole rischiano di diminuire drasticamente), di una regolare e periodica interlocuzione con i vertici dell'amministrazione e con i responsabili dei percorsi educativi, una drastica riduzione del numero di colloqui e delle telefonate ai parenti, la non differenziazione del cibo per i detenuti di religione musulmana, la mancanza di rapporti con realtà lavorative esterne. Il consigliere ha incontrato dunque questa mattina il direttore dott. Valerio Pappalardo, il comandante dott. Domenico Gorla, i sanitari impegnati nelle cure mediche dei detenuti e alcuni detenuti coinvolti nella protesta. Il consigliere esprime forte preoccupazione per episodi che, difficile da negare, rappresentano un evidente segnale di malessere. Azioni di autolesionismo quali quelli messi in atto questa mattina sono un disperato grido d'aiuto che la comunità e le istituzioni non possono ignorare. Non é davvero possibile voltare lo sguardo altrove e far finta che ciò che accade dentro le mura di Spini sia questione che non ci riguarda. É interesse della collettività, è innegabile diritto individuale, che nelle persone ristrette possano maturare le ragioni per un cambiamento ed un riscatto. Nell'incontrare il direttore dott. Valerio Pappalardo, il consigliere Mattia Civico ha registrato con soddisfazione la volontà di ascoltare (il direttore mentre il consigliere era in visita all'istituto, procedeva all'audizione dei rappresentanti dei detenuti) e di promuovere le necessarie azioni che possano contribuire a superare le ragioni delle tensioni e per fare, in ultima analisi, del momento di restrizione una occasione di riscatto e di emancipazione. E ribadisce il consigliere che la precondizione per ogni riscatto è quello di vedere rispettati e promossi i diritti e la dignità di ogni persona, anche di quelle che stanno pagando per i propri errori. Lo Stato mai dev'essere nemico di chi sta espiando le proprie colpe, ma sempre fermo, affidabile ed intransigente custode di legalità e umanità. Un pensiero va in questo momento anche a chi nel carcere lavora e che di fatto vive accanto ai detenuti (personale amministrativo, sanitario e guardie) affinché anche per loro si possa al più presto ristabilire un clima più sereno e positivo. Il consigliere Mattia Civico, in assenza di un Garante dei detenuti provinciale (figura che si spera possa essere istituito al più presto sul nostro territorio), ha tempestivamente informato il Garante nazionale dei detenuti, dott. Franco Corleone, che si é detto intenzionato ad effettuare a breve una visita alla casa circondariale di Trento. Sassari: l'On. Pili; 6 capimafia arrivati nel carcere di Bancali, anche Francesco Schiavone Ansa, 10 giugno 2015 "I capimafia sono appena arrivati in Sardegna: sei detenuti in regime del 41 bis sono appena arrivati in gran segreto nel carcere di Bancali a Sassari". Lo afferma il deputato sardo Mauro Pili (Unidos), denunciando quello che definisce "un vero e proprio blitz del governo Renzi". Secondo Pili si tratta di "un fatto di una gravità inaudita che conferma che Pigliaru & c. non contano niente. Sto entrando ora in carcere per accertare il tutto", conclude Pili. C'è anche Francesco Schiavone, noto "Sandokan", 62 anni di Casal di Principe, tra i sei detenuti in regime di 41 bis arrivati nel nuovo carcere di Bancali a Sassari. Schiavone, ritenuto il boss più importante del clan dei casalesi, è arrivato la notte scorsa in gran segreto con altri cinque detenuti. La notizia è stata data alla stampa dal deputato di Unidos, Mauro Pili, che si è recato in carcere per incontrare i capimafia. "È stato un blitz deciso ieri mattina e attuato ieri sino a tarda sera - ha detto Pili dopo la visita in carcere - con due voli militari secretati, uno dall'Aquila e uno da Cuneo con 25 agenti sul volo per tre detenuti. In tutto due voli e 50 uomini per 6 capimafia. Il problema è che il presidio sanitario previsto all'interno del carcere di Bancali è totalmente inesistente e quindi con problemi di gestione sia per la Asl che per il carcere, perché se uno di questi detenuti dichiara di essersi fatto male si rischia di bloccare l'intera struttura ospedaliere del carcere. Questo è il più grave atto politico del governo Renzi - ha concluso il parlamentare ed ex presidente della Regione - che dà vita a questo trasferimento per fare della Sardegna una Caienna di Stato e che avviene una settimana dopo l'approvazione delle mozioni in parlamento in cui c'era scritto che questi trasferimenti dovevano essere bloccati per discuterne con le istituzioni. La realtà è che il governo Renzi a questi impegni disattende nemmeno una settimana dopo. È un fatto di una gravità istituzionale senza precedenti". Ferrara: quando i figli vanno a trovare il papà in carcere, nuova sala colloqui e area verde estense.com, 10 giugno 2015 Se fare i genitori è considerato il mestiere più difficile del mondo, fare il papà da dietro le sbarre sembra quanto meno impossibile. Ma non nella casa circondariale di via Arginone, dove sono tante le iniziative messe in campo dalla direzione dell'istituto penitenziario, dall'amministrazione comunale e dal mondo del volontariato per recuperare la genitorialità. L'apice di questo progetto a cura del Centro per le Famiglie comunale, già iniziato con il ciclo di incontri sulla genitorialità dal titolo "Comunque papà" e le proposte di animazione per i bambini in visita ai genitori detenuti durante "I sabati delle famiglie", è stato raggiunto oggi con l'inaugurazione di un'area verde e di una sala colloqui destinate a ospitare gli incontri tra genitori carcerati e figli. Nell'immaginario collettivo, nei locali di colloquio ci sono muri divisori che separano detenuti e familiari. Nella realtà ci sono tavolini di legno e tanti giochi per bambini. Abbattere il muro fisico serve per abbattere il muro mentale, per aiutare detenuti e figli, specialmente se minorenni, a vivere attimi di vita famigliare ‘normalè seppur in un contesto ‘specialè come quello del carcere. In questa direzione di ricostruzione di una dimensione più umanizzante per un momento topico come quello delle visite, è stata inaugurata un'area verde al fine di implementare e migliorare gli spazi di vivibilità e accoglienza all'interno del carcere, con particolare attenzione ai detenuti nel cui nucleo familiare siano presenti bambini. Sia la nuova sala colloqui che l'area esterna con tappeto erboso, sono state arredate grazie al contributo di Ikea. "Il recupero della genitorialità in carcere - fa gli onori di casa il direttore della casa circondariale Paolo Malato - è molto importante per la vita detentiva perché le persone che stanno espiando una pena in carcere vivono in funzione di questi colloqui. Questo spazio all'avanguardia, sicuramente il primo in Emilia Romagna per non dire su tutto il territorio nazionale, va verso il principio di umanizzazione della pena, così come i diversi eventi sportivi organizzati all'interno della casa circondariale". Basti ricordare che l'istituto penitenziario di via Arginone ospiterà per la prima volta in Italia una competizione di pugilato. Tornando ai luoghi ideati per aiutare i bambini a vivere meglio le visite al proprio papà, conclude Malato, "si vuole dare un'idea diversa del carcere come un luogo dove il bambino non viene traumatizzato e può avere un contatto quasi normale con il padre". "Da oggi in questa Casa circondariale - rimarca il comandante Paolo Teducci affiancato dalla vicecomandante Annalisa Gadaleta, i detenuti riusciranno a vivere uno dei momenti più belli nell'ambito della famiglia: vedere i bambini giocare in maniera spensierata nelle poche ore di colloquio a disposizione". Il progetto è possibile grazie all'organizzazione sinergica tra la direzione della casa circondariale e l'amministrazione comunale. "Bisogna riconoscere il diritto di cittadinanza anche per i residenti in via Arginone - spiega il sindaco Tiziano Tagliani. Occuparsi di genitorialità in carcere è un dato complesso ma connaturato ai servizi offerti dal Comune ai genitori ferraresi, un momento rieducativo di ritorno alla società per riallacciare i rapporti con la comunità. Abbiamo alle spalle molti anni di disattenzione e c'è ancora tanta strada da fare per l'umanizzazione della pena: la sicurezza vera la si fa riconoscendo la dignità umana e non con la segregazione e la violenza". In questa linea era nato il progetto "Cittadini sempre", "un percorso maturato nel tempo - ricorda l'assessore Chiara Sapigni - per rendere il tempo dentro al carcere, un tempo vivo e prezioso, un'opportunità per la persona detenuta che non viene abbandonata. In questa iniziativa si inserisce l'inaugurazione della sala colloqui e dell'area verde per creare momenti più umani in luoghi più vivibili". Continuano intanto gli incontri de "I sabati delle famiglie" e "Comunque Papà" proposti dai Centri Isola del Tesoro e per le Famiglie del Comune: sono una decina i detenuti con figli minorenni che possono usufruire di questi servizi per aiutare a mantenere le relazioni genitoriali e familiari durante la detenzione. È provato, infatti, che trascorrere il tempo dell'incontro coi parenti in serenità e recuperare il proprio ruolo di padre, si ottiene un significativo miglioramento delle relazioni affettive e familiari e quindi si abbassa il rischio di recidiva. Livorno: l'isola-carcere di Gorgona, molto più che un penitenziario di Alessandra Bernardo ghigliottina.it, 10 giugno 2015 Gorgona, punta nord dell'Arcipelago Toscano, è l'ultima isola-carcere italiana. Tra terra, piante e animali 70 detenuti scontano la loro pena. Un modello di detenzione che rende il penitenziario un esempio a livello nazionale e non solo, per il raggiungimento dell'obiettivo più importante: il recupero della persona. "Restituire persone migliori": è la frase che appare sull'insegna all'ingresso di Gorgona, ultima isola-penitenziario d'Italia, la minore del comprensorio del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano. Lunga tre chilometri, larga due e distante 18 miglia dalla costa livornese, è sede di una colonia penale, nata come succursale di quella di Pianosa nel 1869. Gorgona è molto di più che un penitenziario, per i suoi aspetti morfologici e per le caratteristiche delle attività che vi si svolgono. È un carcere "all'aperto", dove non esistono sbarre. Sull'isola i detenuti lavorano nei campi, oppure sono impiegati nella cura degli animali. Producono pane e formaggi, hanno un allevamento di pesce e curano un vigneto. Gorgona è un autentico laboratorio sperimentale dove le persone scontano la loro pena imparando un mestiere, coltivando la terra nel rispetto delle sue dinamiche e occupandosi degli animali. È uno dei pochi luoghi di detenzione che applica lo spirito della Costituzione in tema di reinserimento dei detenuti. Nata come colonia agricola, l'istituto di Gorgona è suddiviso in diramazioni. Ci sono un refettorio, una cucina, una sala hobby, una di musica, un campetto di bocce e uno da tennis. A Gorgona manca quel senso di oppressione, tipico di strutture carcerarie, non esistono celle e non vi sono imponenti mura di recinzione. I detenuti attualmente presenti sono 70 e vengono assegnati all'istituto seguendo criteri particolari. Come primo requisito devono avere una condanna definitiva, e il residuo di pena non deve essere superiore a dieci anni. Per motivi di sicurezza, non possono essere ospitati i condannati per reati di tipo mafioso e neppure chi abbia compiuto reati sessuali. È richiesta, inoltre, la buona condotta durante il periodo di detenzione precedente. La giornata dei detenuti è regolata in base alle esigenze lavorative. La sveglia suona alle 6.30 e, dopo la colazione, alle 7.30 inizia il turno lavorativo fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio si lavora dalle 14 alle 16. La restante parte della giornata è impiegata in attività scolastica oppure nel tempo libero. Il lavoro, regolarmente retribuito, riguarda prevalentemente l'agricoltura e l'allevamento di tutte le specie domestiche, si producono e trasformano prodotti di origine animale e vegetale. È inoltre presente un impianto di acquacoltura. Molte altre attività sono svolte per garantire la manutenzione di strutture e impianti per la gestione dell'isola. Tra le iniziative sviluppate nell'istituto di pena una nota d'eccellenza va al vigneto, gestito in cultura biologica, che vede coinvolta l'azienda Frescobaldi, che produce il vino bianco "Gorgona". La qualità della vita sull'isola è molto alta e rappresenta, dunque, una delle realtà detentive più significative e interessanti a livello nazionale. L'obiettivo, spiega il direttore del penitenziario Carlo Mazzerbo, è fare di Gorgona "un'isola dei diritti, dello Stato, dei detenuti e anche degli animali", che, al pari degli uomini, aggiunge Marco Verdone, veterinario che ha introdotto sull'isola l'omeopatia, "devono avere una vita e una fine degna". Mazzerbo aggiunge: "Abbiamo riscontrato concretamente che tutti coloro che si prendono cura degli animali hanno un'evoluzione molto più positiva, si registrano cambiamenti importanti, soprattutto per chi non ha mai lavorato o avuto a che fare con gli animali. Sono proprio loro, infatti, a "insegnare" il senso di responsabilizzazione, l'importanza dell'accudimento e del rispetto reciproco". Per questo, anche ai fini del percorso rieducativo, si punta a eliminare la macellazione. Intanto Valentina, mucca di 13 anni, e Bruna, scrofa salva grazie ai bimbi di una scuola, hanno ricevuto la "grazia" e vivono felicemente sull'isola. "La pena, secondo il nostro punto di vista - aggiunge il direttore Mazzerbo - deve essere anche un progetto di vita per chi deve tornare in società: questa è la vera scommessa. Oltre ad aprire le celle, come ha imposto l'Europa, si vuole dare un contenuto alle giornate detentive, cambiare la prospettiva di chi è dentro: non più subire il carcere, ma diventare parte attiva di un progetto, responsabilizzando i detenuti". Un modello, dunque, quello di Gorgona, cui anche i dati danno ragione. Se le statistiche parlano di una recidiva stimata intorno all´80% tra i detenuti che non lavorano, a Gorgona si attesta sul 20%. Terra, piante e animali sono considerati, dunque, i primi educatori per i detenuti, rappresentano il mezzo di recupero, di crescita culturale e di reinserimento sociale. Se dal carcere devono uscire persone rigenerate, Gorgona sicuramente ha le caratteristiche per soddisfare questo compito. L'istituto Gorgona è una realtà d'eccellenza, un faro verso il quale poter guardare. È il penitenziario dei diritti di tutti. Lecce: "cucendo la speranza", viaggio tra le detenute del carcere di Borgo San Nicola di Andrea Morrone lecceprima.it, 10 giugno 2015 Abbiamo incontrato le detenute del carcere di Borgo San Nicola al lavoro nel laboratorio tessile dove si producono i prodotti marchiati "Made in Carcere" e IrenerI. Due marchi uniti per diffondere un messaggio di speranza, di concretezza e solidarietà, ma anche di libertà e rispetto per l'ambiente. Lo scopo principale è di diffondere la filosofia della "seconda opportunità". Varcare il portone d'ingresso di un carcere, anche solo per poche ore e da cittadino libero, è sempre un'esperienza profonda, difficile anche da immaginare ma capace di lasciare un segno indelebile. Significa confrontarsi con un mondo a parte, fatto di regole e sistemi diversi da quelli con cui ci si confronta ogni giorno. Il carcere è una sorta di macrocosmo che fa paura, facile da ignorare ma impossibile da dimenticare, come uno specchio che riflette una parte di noi che non vorremmo mai vedere. Arrivando da lontano il carcere di Lecce appare come una città fortificata, immensa sotto il sole implacabile del Salento. Costruita nella prima metà degli anni Novanta, e aperto ufficialmente il 14 luglio 1997, dopo che furono dismessi i due istituti di "Villa Bobò" (oggi sede del Tribunale per i minorenni) e "San Francesco", che si trovavano nel centro storico del capoluogo salentino, la casa circondariale di Lecce è alla periferia nord della città, in località Borgo San Nicola. Sotto il sole cocente di un inizio giugno già estivo, attraversiamo i grandi spazi aperti che contraddistinguono questa sorta di cittadella penitenziaria. Lasciamo l'ingresso e ci spostiamo nel blocco femminile, dove sono recluse circa ottanta persone. Una piccola "isola felice", con problematiche ben diverse rispetto a quelle maschili, dove i detenuti sono più di mille. In uno dei due laboratori tessili le detenute sono al lavoro. Nel secondo sono ospitate le detenute ad alta sicurezza, per cui è previsto un rigido protocollo da rispettare, che non le impedisce di offrirci, sotto lo sguardo vigile della polizia penitenziaria, di offrirci un caffè dal sapore squisito. Sono loro le protagoniste del marchio "Made in Carcere", nato nel 2007 grazie a Luciana Delle Donne, fondatrice di Officina Creativa, una cooperativa sociale, non a scopo di lucro. Da alcune settimane a "Made in Carcere" si è affiancato il progetto "IrenerI", nato per combattere la contraffazione e contrastare lo sfruttamento dei lavori extracomunitari. I pezzi prodotti, contraddistinti dai due marchi, sono confezionati da donne detenute, alle quali viene offerto un percorso formativo al termine del quale vengono assunte con regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato, puntando dunque ad un definitivo reinserimento nella società civile e lavorativa. Lo scopo principale di "Made in Carcere", infatti, è di diffondere la filosofia della "seconda opportunità" per le donne detenute e della "doppia vita" per i tessuti (si tratta sempre di materiali di recupero) e per le pelli (avanzi di conceria che andrebbero smaltiti come rifiuti speciali). Due marchi uniti per diffondere un messaggio di speranza, di concretezza e solidarietà, ma anche di libertà e rispetto per l'ambiente. Due progetti che hanno trovato sostegno e condivisione da parte dell'amministrazione penitenziaria e del direttore della casa circondariale: Rita Russo, da sempre sensibile ai progetti per il recupero e la valorizzazione dei detenuti. "Si punta a due fasce deboli, ai margini, come i detenuti e i venditori extracomunitari, che, con questa bella iniziativa di sinergia, si rivalutano grazie a prodotti belli e di qualità, che verranno venduti nel rispetto delle regole - dice Luciana Delle Donne. Dovrebbe essere una storia di normalità che diventa, invece, un fatto eccezionale, una bella occasione di buon vivere per restituire dignità, lavoro, competenze professionali, autonomia, indipendenza economica, a favore dell'inclusione e dell'impatto sociale". Ciò che sorprende e che incanta, sono i sorrisi e gli occhi luccicanti di vita delle detenute, anche da parte di chi, come Lucia, deve scontare una lunga condanna: "Questo è un progetto di fratellanza che regala un senso alla vita" spiega con orgoglio, lei che da cinque anni lavora in questo laboratorio." Abbatte queste mura e le difficoltà che si vivono all'interno del carcere, la differenza di nazionalità, cultura e delle storie personali". Tina, una georgiana dai capelli a caschetto biondi come un campo di grano e occhi turchesi ammalianti, spiega che lavorando ha capito "che quando tocchi il fondo devi decidere come cambiare la tua vita". Lei ci è riuscita mettendo a frutto, manovrando con grande abilità la macchina da cucire, i suoi studi. Rosa, occhi timidi e voce flebile, ci racconta quella che per alcune ore al giorno rappresenta la sua principale attività: "Qui produciamo borse, borsellini, porta occhiali e bracciali con materiali recuperati. Ci piace pensare che così come avviene con questi tessuti e questi pelli, che una volta erano da buttar via e ora sono rinati, anche noi un giorno potremo iniziare una nuova avventura e rinascere". Palermo: dal restauro l'occasione di riscatto per i giovani detenuti dell'Ipm "Malaspina" La Repubblica, 10 giugno 2015 Far restaurare ad alcuni giovani detenuti alcune opere secondarie della Galleria d'arte moderna di Palermo che non hanno goduto di adeguati interventi conservativi per avviare un percorso di inserimento sociale. È lo scopo dell'iniziativa "Malaspina insieme per l'arte" portata avanti dalla Galleria d'arte moderna di Palermo in collaborazione con l'istituto penale per i minorenni Malaspina e la ditta di restauro Ambra Giordano, con la consulenza tecnico - scientifica del professore Franco Palla del laboratorio di biotecnologia dell'Università di Palermo. Il percorso formativo, esterno alla struttura penitenziaria e finanziato da Banca nuova, rientra nell'ambito di un progetto più articolato, intitolato "Gam bene comune". "È stato avviato da alcuni mesi - spiega la direttrice della Gam, Antonella Purpura - con lo scopo di promuovere l'integrazione sociale e aprire il museo ai soggetti più disagiati facendone un luogo di vera crescita". La galleria aderisce alla biennale "Arteinsieme 2015". "La vicinanza al bello è una scommessa su cui abbiamo voluto puntare e che sta dando i primi frutti con un nostro giovane detenuto, Totò, che era un bravo calciatore, fino a quando non ha commesso un errore - ha detto Michelangelo Capitano, direttore dell'Istituto Malaspina - dopo una fase di tirocinio vediamo i primi frutti, ora speriamo di poter proseguire con altri giovani perché questo ripara in parte il danno che i nostri ragazzi hanno inferto alla società". Andrea Cusumano, assessore comunale alla Cultura, ha sottolineato l'importanza di una "Cultura intesa non solo come fruizione del bene, ma anche come mezzo per favorire l'inclusione sociale, perché infonde speranza, dando una visione diversa della propria vita". Tra i presenti anche Agnese Ciulla, assessore alla Cittadinanza sociale del Comune e Salvatore Crispi del Coordinamento H. All'interno del progetto sono previsti anche dei percorsi "senza barriere". Il primo incontro è fissato per il 17 giugno, alle 11, con una visita alle collezioni del museo tattile dell'istituto professionale per ciechi di Palermo. Un altro incontro si terrà il 7 luglio alle 16 alla Gam. Durante queste visite 15 persone adulte tra non vedenti e vedenti disponibili a provare un'esperienza di esplorazione tattile al buio saranno guidate da un educatore del museo e storico dell'arte. Ogni partecipante, bendato, potrà poi esplorare e rivestire con argilla un supporto ligneo. Inoltre, a partire dal 16 giugno e fino al 5 luglio, è previsto anche un laboratorio per 15 persone tra i 20 e i 55 anni segnalate dalle associazioni che si occupano di disagio psichico. Napoli: "Progetto di un cortile" a Poggioreale, con l'associazione "Il carcere possibile" di Carmela Maietta Il Mattino, 10 giugno 2015 Prova a camminare con altre decine di persone in uno spazio dove il tuo solo orizzonte è costituito da alte mura che ti oscurano anche l'immaginazione. Forse perfino una cella può sembrare meno ossessiva. Così quando l'associazione "Il carcere possibile" offre alla direzione della Casa circondariale di Poggioreale la propria collaborazione per eventuali progetti di socializzazione e di reinserimento, il direttore, Antonio Fullone, non ha dubbi: cominciamo da quei cortili dove gli ospiti trascorrono le loro ore di aria e dove si trascinano girando in tondo non avendo nient'altro da fare se non, appunto, trascinarsi. A vuoto. E il cortile si trasforma in una location vivibile dove puoi giocare anche a basket e a pallone; dove c'è qualche panchina su cui sedersi per chiacchierare; dove c'è un lungo anello per fare jogging; dove piccole piazze sono dotate di pareti su cui puoi scrivere, disegnare, dipingere. In un incontro dal titolo "Il carcere nella città, la città nel carcere", oggi al Palazzo delle Arti, alle 17, viene presentato il "Progetto di un cortile", realizzato dagli architetti e progettisti di Made in Earth, un'organizzazione no profit, ricorda uno dei soci fondatori, Giancarlo Artese. E il "Progetto di un cortile", si sottolinea, si propone di portare all'interno del carcere un frammento di città, cioè uno "spazio articolato" che stimoli, secondo più modalità, le relazioni e la socialità che hanno come obiettivo anche di innescare un processo (ri)educativo. Si comincia con il cortile del padiglione Livorno che verrà suddiviso in aree a diversa vocazione: il tracciato sarà quello di una città di nuova fondazione a cui si sovrappongono diversi livelli o layer funzionali: la griglia, lo spazio dinamico, quello del relax e dell'aggregazione. Il primo è rappresentato da una striscia perimetrale, realizzata in materiale tecnico su cui scorre un lungo anello per la corsa; e poi aree più larghe a ridosso dei muri. È qui che il pallone può fare da diversivo. Nello spazio del relax è previsto un prato sintetico (è vietato l'utilizzo del terreno) dove, volendo, ci si può anche distendere. Importante il luogo dell'aggregazione che deve dare la possibilità a più persone di stare insieme. I progettisti hanno optato per piccole piazze con sedute contrapposte e una pavimentazione in cemento stampato che somiglia a quella urbana. E c'è anche una copertura i policarbonato per proteggersi da una eventuale pioggia. E anche l'area che viene chiamata dell'auto-espressione perché sulle pareti che chiudono il cortile si può dare libero corso all'estro disegnando, scrivendo, dipingendo. Oggi al Pan ne parleranno il direttore del carcere Fullone, Sergio Schlitzer e Anna Maria Ziccardi, della onlus "Il carcere possibile" e Artese. Novara: accordo tra Biblioteca Negroni e carcere per il potenziamento dell'offerta di libri Corriere di Novara, 10 giugno 2015 È stato presentato oggi in Municipio l'accordo di collaborazione tra la Biblioteca Negroni e il carcere di via Sforzesca. Alla conferenza stampa svoltasi hanno partecipato il sindaco Andrea Ballarè, l'assessore alla Cultura Paola Turchelli e la direttrice della Casa Circondariale di Novara Rosalia Marino. Come spiegato in una nota l'iniziativa "si inserisce in un contesto culturale che vede la Biblioteca Civica Negroni agire in funzione di un percorso di inclusione sociale che si concretizza nella tendenza ad uscire dai propri confini per incontrare tipologie di utenza altrimenti difficilmente raggiungibili. Nel fare questo si ispira direttamente al Manifesto Unesco per le biblioteche pubbliche per sviluppare percorsi utili ad entrare in contatto con fasce di utenza svantaggiate o difficilmente raggiungibili dalla biblioteca intesa in senso tradizionale". "Affermare la centralità del ruolo della biblioteca pubblica nella vita e nelle attività della comunità - ha detto il sindaco - ha significato per la biblioteca Negroni collaborare anche con l'istituzione carceraria. Ritenendo fondamentale promuovere il valore della cultura come strumento per il recupero sociale delle persone sottoposte ad esecuzione di pena, è stato deliberato questo protocollo d'intesa tra Comune e Direzione dell'Istituto penitenziario di Novara, che ci consentirà di attivare un servizio di prestito inter-bibliotecario con la conseguente ‘ulteriorè apertura della biblioteca civica verso l'esterno". "Sono già state fatte letture con un volontario della lettura, Bob Rattazzi, e un incontro con un'esperta di letteratura per l'infanzia, Flavia Manente - ha ricordato l'assessore Turchelli - per avvicinare i papà detenuti alla lettura. Si tratta di un esperimento entusiasmante che abbiamo anche in progetto di estendere". La Convenzione prevede oltre ad un'attività di prestito inter-bibliotecario l'incremento della dotazione libraria della biblioteca del carcere con l'acquisto diretto di libri e per tramite donazioni e il sostegno ad attività culturali. Convenzioni simili erano già state attivate nel 2012 con l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara, che ha consentito di attivare, grazie all'impegno dell'Associazione Volontari Ospedalieri, incontri di lettura ad alta voce in due reparti (Recupero Rieducazione Funzionale e Reparto Neurologia-Pneumologia) e nel 2014 con l'Avo che ha iniziato la lettura ad alta voce nelle Case di Riposo cittadine Divina Provvidenza e De Pagave. Molto belle le parole a conclusione della conferenza da parte della direttrice della Casa Circondariale Rosalia Marino: "Queste iniziative sono importantissime per i noi. Al contrario di quanto si possa immaginare - ha spiegato Marino - l'età media dei nostri 162 detenuti è piuttosto bassa. Abbiamo anche dei 18enni, persone che potranno uscire e cercare di rifarsi un'esistenza. La lettura ha spesso influito molto positivamente sul carattere di chi si ritrova a meditare sui propri sbagli e sulla propria vita. Sino ad ora ho notato grande rispetto tra queste persone ed è importantissimo quanto si è fatto sia col lavoro (con Assa), sia con la cultura nella città di Novara. Credetemi - ha concluso Marino - per resistenze culturali degli amministratori tutto questo non avviene in diverse altre città. In futuro vorrei riuscire a portare anche grandi scrittori a parlare dei propri libri in via Sforzesca". Carinola (Ce): quando il carcere si trasforma in un parterre musicale di Antonio Mattone (Comunità di Sant'Egidio) antoniomattone.wordpress.com, 10 giugno 2015 Un concerto con 400 detenuti organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio nella Casa di reclusione di Carinola. Il carcere si trasforma in un parterre musicale. Nel campo sportivo dell'istituto a custodia attenuata di Carinola, circa 400 detenuti hanno partecipato al concerto della cantante Francesca Marini organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio. Un evento straordinario che ha coinvolto quasi tutti i detenuti presenti nella struttura. Ma non solo. Anche gli agenti, gli educatori, il personale amministrativo e sanitario si sono lasciati coinvolgere dal clima di festa e dai ritmi scatenati della cantante napoletana. Torero, A città e pulecenella, Gente magnifica gente, Tu si ma cosa grande, Luna Rossa sono alcuni dei grandi successi che hanno infiammato un pubblico davvero speciale. Tanti applausi hanno ricevuto anche alcuni improvvisati ma bravissimi ballerini che si sono esibiti tra lo stupore e l'ammirazione generale. I volontari della Comunità di Sant'Egidio insieme a quelli della diocesi di Sessa Aurunca, che stanno partecipando ad un corso organizzato da Sant'Egidio e che prossimamente cominceranno il proprio servizio nel carcere casertano, hanno offerto da bere Coca Cola per tutti. Presenti anche don Valentino, il cappellano dell'istituto, il sindaco di Mondragone e 29 tirocinanti della polizia penitenziaria che hanno così potuto fare una esperienza formativa significativa. Il direttore del carcere, Carmen Campi ha voluto ringraziare tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione del concerto ed ha sottolineato la straordinarietà di questa iniziativa che ha coinvolto contemporaneamente un numero di detenuti davvero elevato, forse mai registrato in un penitenziario italiano. L'istituto di Carinola ha modificato la sua mission e si è trasformato da carcere di alta sicurezza a casa di reclusione a custodia attenuata con un grande sforzo del personale della sicurezza e del trattamento. E questo evento dimostra che la funzione della pena passa sì per il rispetto delle regole ma anche nella proposta di percorsi trattamentali e rieducativi. Vedere 400 persone tutte insieme ordinatamente e con grande entusiasmo è stato bel colpo d'occhio. Un pomeriggio di canzoni, di balli e di solidarietà, sentimenti che hanno fermato anche il mal tempo. Francesca Marini ha concluso il suo concerto con la bellissima canzone "Vincerò", che ha voluto dedicare ai detenuti. Un inno alla vita, un augurio ma anche un messaggio di speranza che ha scaldato i cuori di tutti i presenti. Torino: Sappe; donna scoperta con droga nelle scarpe, voleva cederla al marito detenuto di Andrea Abbattista torinotoday.it, 10 giugno 2015 La donna è stata denunciata all'autorità giudiziaria. Non è il primo caso di tentata cessione di droga all'interno del carcere di Torino. Le sostanze stupefacenti maggiormente scoperte sono l'hashish, la cocaina, l'eroina, la marijuana e il subtex. Ha tentato di passare un involucro contenente cocaina al marito detenuto in carcere, ma gli agenti di Polizia penitenziaria se ne sono accorti e l'hanno fermata. È successo nella serata di ieri nel carcere di Torino durante una visita coniugale: la moglie ha chiesto di interrompere il colloquio per un improvviso bisogno fisiologico, ma quando è stata lasciata sola in bagno, ha tirato fuori dalla scarpa la bustina con la sostanza stupefacente da dare al marito. Il caso è stato subito segnalato all'autorità giudiziaria. Non è la prima volta che un parente viene colto in flagrante mentre tenta la cessione di droga a un detenuto e la Sappe, il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, ne ha dato sempre notizia. "Questo ennesimo rinvenimento di stupefacente destinato a detenuti - commenta Donato Capce, segretario generale del Sappe, scoperto e sequestrato in tempo dall'alto livello di professionalità e attenzione dei Baschi Azzurri di Torino, a cui vanno le nostre attestazioni di stima e apprezzamento, evidenzia una volta di più come sia reale e costante il serio pericolo che vi sia chi tenti di introdurre illecitamente sostanze stupefacenti in carcere. Ogni giorno la Polizia penitenziaria porta avanti una battaglia silenziosa per evitare che dentro le carceri italiane si diffonda uno spaccio sempre più capillare e drammatico, stante anche l'alto numero di tossicodipendenti tra i detenuti". Tra le droghe maggiormente introdotte all'interno del carcere di Torino ci sono l'hashish, la cocaina, l'eroina, la marijuana e il subtex, una droga sintetica utilizzata anche presso il SERT per chi è in trattamento. Gli agenti in servizio fanno affidamento anche alle unità cinofile per scoprire il possesso della sostanza stupefacente. Libri: "Lo Stato non ha vinto, la Camorra oltre i Casalesi", di Antonello Ardituro recensione di Michele Mignogna termolionline.it, 10 giugno 2015 Antonello Ardituro è componente del Consiglio Superiore della Magistratura, dopo essere stato per dieci anni Sostituto procuratore presso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli. In magistratura dal 1997, si è principalmente occupato di indagini sugli affari illeciti e le infiltrazioni nell'economia e nelle istituzioni del clan dei casalesi, che hanno coinvolto consiglieri regionali e amministratori locali, imprenditori, colletti bianchi e parlamentari. Antonello Ardituro è anche quel pm che sequestrato alcuni beni in basso Molise, tra Termoli, San Giacomo e Petacciato, è stato lui ad aprire il velo sulla presenza camorristica in Molise iniziando indagini ed effettuando arresti proprio in basso Molise, oggi racconta la sua storia, la storia dell'antimafia concreta, la storia degli arresti dei capi storici della Camorra ma soprattutto racconta di come la stessa non è stata sconfitta perché sempre più spesso connivente con gli organi politici ed amministrativi dello Stato Italiano. Tutto si compie nel carcere dell'Aquila dove Antonio Iovine è stato condotto per essere interrogato. Ha chiesto di parlare, è deciso. Lo conoscevo, Iovine. Anni e anni di lavoro per catturarlo. Un'ossessione. Per me e per la polizia giudiziaria. Fu lui a chiamare me. Ed io a farlo condurre a L'Aquila. Eccoci. Il reparto è piccolo e riservato, destinato ai detenuti al 41 bis. Controlli rigorosissimi e massima segretezza. Iovine è stato registrato con un nome in codice. Mi sistemo, chiedo che entri. "Buongiorno, dottore, da quanto tempo?". "Prego Iovine, si accomodi". Fine del clan dei casalesi. Il clan dei casalesi non esiste più. È stato sconfitto con l'arresto dei suoi capi e dei latitanti storici Antonio Iovine e Michele Zagaria. Lo Stato non ha vinto è il racconto in presa diretta di come questo è avvenuto e delle indagini condotte dal Pubblico Ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Antonello Ardituro che per anni ha indagato sugli affari illeciti del clan. È lui che ha coordinato le ricerche che hanno portato alla cattura dei boss latitanti Mario Caterino, Giuseppe Setola e del capo Antonio Iovine, collaboratore di giustizia dal maggio 2014. Leggendo il suo racconto, scritto con Dario Del Porto, scopriremo come si è sgretolata la rete di comando della più potente famiglia di camorra, la trama complessa del suo sistema, i delitti, i protagonisti. Scopriremo chei casalesi hanno perso ma che lo Stato non ha vinto. Perché è stato troppe volte complice, troppe volte connivente, altre volte distratto. I boss sono in carcere, ma il groviglio delle relazioni, dei rapporti, delle trame indicibili, è ancora lì, forte. Per sconfiggere la camorra che va oltre i casalesi e continua a fare affari, non basta arrestare boss e affiliati. E neppure portargli via i beni. Il trono è vuoto ma lo Stato non ha vinto. Non ancora. Ardituro in questo modo mette a nudo tutte le omissioni, che troppo spesso hanno accompagnato la lotta alla malavita organizzata, da una parte Giudici, Magistrati e forze dell'ordine, dall'altra pezzi deviati dello stato, dell'imprenditoria e della politica. Uno dei tratti salienti del libro è sicuramente la cattura di Giuseppe Setola che racconta nel capitolo "quell'albero di noci" "era la notte tra il 13 e il 14 gennaio, mi arriva la chiamata, tutto bene dottore lo abbiamo preso". Sono nel mio ufficio all'undicesimo piano, trepidante, con la sensazione che questa volta tutto sarebbe filato liscio. Vado fuori al pianerottolo dove sono le segreterie dei colleghi. Grido "preso, lo abbiamo preso", non c'è bisogno di dire chi. Seguono momenti di euforia, il super latitante, assassino e mandante di decine di omicidi stava per essere assicurato alle patrie galere, a opera di un pool di magistrati e forze dell'ordine, la Camorra scricchiolava a vista d'occhio. Un altro capitolo da segnalare è sicuramente quello che riguarda l'opinione pubblica e la politica, in alcune zone la camorra è talmente radicata che non ha bisogno di chiedere, ma sono gli imprenditori stessi, i commercianti, gli agricoltori, insomma tutto il sistema produttivo, a rivolgersi direttamente a loro e a pagare il pizzo, la protezione, per i lavori che andranno a fare, la Camorra gestisce mense scolastiche e ospedaliere, gestisce ospedali interi tramite direttori generali affiliati, avvelena la terra e ammazza i suoi abitanti, sotto gli occhi di tutti, e pochi, pochissimi hanno il coraggio di denunciare. Un libro coraggioso quello di Ardituro, che mette in evidenza come l'antimafia seria si può e si deve fare, anche a costo della vita o delle libertà personali, va fatto per le generazioni future. Immigrazione: l'Unione Europea è troppo divisa, i migranti non saranno trasferiti di Francesca Basso Corriere della Sera, 10 giugno 2015 Niente via libera a luglio, forse a settembre. L'Italia deve inviare all'estero 24 mila siriani ed eritrei. Si allungano i tempi per il via libera all'Agenda sull'immigrazione della Commissione europea, che prevede anche i ricollocamenti intra-Ue in due anni di 40 mila richiedenti protezione internazionale (24 mila dall'Italia e 16 mila dalla Grecia) di origine siriana ed eritrea. È probabile che il provvedimento non sia adottato prima di settembre. Mentre inizialmente la Commissione Ue si era data come scadenza il primo luglio, considerato il carattere d'urgenza del problema legato ai continui sbarchi. Se in un primo tempo era stato ipotizzato già un voto al consiglio Affari interni di martedì prossimo, cioè la riunione dei ministri dell'Interno dei 28 Paesi, ora vengono escluse, da fonti del Consiglio Ue, decisioni formali in quell'occasione. Le divisioni emerse nelle scorse settimane sul meccanismo di ripartizione obbligatoria tra i vari Paesi proposto dalla Commissione Ue non sono state ancora superate. Le trattative saranno probabilmente lunghe e a questo punto l'obiettivo è ottenere almeno il via libera politico dal vertice dei capi di Stato e di governo di fine giugno. A questo punto però servirà dare una base giuridica alle decisioni uscite dal summit (per il ricollocamento è necessario sospendere il regolamento di Dublino) e l'iter prevede anche un passaggio al Parlamento europeo. Insomma, settembre è dietro l'angolo. Resta però fondamentale dal punto di vista politico, sottolineano a Bruxelles, un accordo prima dell'estate: non sarebbe un bel segnale il protrarsi delle divisioni da parte dei 28 Paesi tenuto conto che al vertice straordinario del 23 aprile scorso, sulla scia emotiva della tragedia che si era consumata in quei giorni nel Canale di Sicilia, era stato concordato di introdurre un meccanismo temporaneo di solidarietà per fronteggiare l'emergenza immigrazione, che Italia e Grecia si trovano al momento in prima linea ad affrontare da sole. Una volta definiti i criteri per la ridistribuzione dei richiedenti protezione internazionale, numerosi Paesi, i piccoli Baltici, ma anche i più grandi Polonia, Francia, Spagna e Gran Bretagna (che in base agli accordi con la Ue può però sottrarsi dall'accoglierli), insieme a Portogallo, Bulgaria e Ungheria li hanno contestati, a cominciare dall'obbligatorietà del provvedimento, difficile da spiegare a un elettorato interno fortemente critico sull'immigrazione ovunque in Europa (in Italia è guerra tra le Regioni). Non sono condivisi nemmeno i parametri legati a popolazione, Pil, tassi di disoccupazione e numero di domande d'asilo già accolte. L'obbligatorietà resta il primo nodo da sciogliere. Mentre sui rimpatri degli immigrati illegali - su cui la Commissione potrebbe presentare un rapporto - c'è una maggiore intesa. Le trattative saranno lunghe e di certo, osservano a Bruxelles, ha aiutato poco il fatto che siano state messe in calendario dalla presidenza di turno lettone, non particolarmente entusiasta del piano immigrazione, solo una riunione a livello tecnico e una degli ambasciatori (prevista venerdì). Poco per smussare angoli così acuti. Immigrazione: sull'accoglienza ai migranti botta e risposta fra Maroni e i sindaci di Sara Monaci Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2015 Detto fatto: alla fine il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha inviato davvero la lettera ai prefetti per invitarli a bloccare l'ospitalità nei confronti dei profughi sul territorio regionale. Domenica scorsa Maroni aveva anche minacciato i Comuni lombardi di interrompere i contributi finanziari regionali (senza specificare quali) se avessero continuato a mettere a disposizione ulteriori spazi per l'accoglienza. Ma con i prefetti il governatore ha usato parole più caute, anche perché la misura estrema di bloccare i finanziamenti agli enti locali è di difficile applicabilità, considerando che la maggior parte delle risorse non sono discrezionali e vengono sostanzialmente girate dallo Stato tramite le regioni. "Vi chiedo di sospendere le assegnazioni nei Comuni lombardi in attesa che il Governo individui soluzioni di accoglienza temporanea più eque, condivise e idonee, che garantiscano condizioni reali di legalità e sicurezza" ha scritto il presidente della Lombardia nella sua lettera. Oggetto della protesta, dopo due giorni di polemica sulla politica nazionale e europea sull'immigrazione a cui hanno aderito anche i governatori di Veneto e Liguria, i leghisti Luca Zaia e Giovanni Toti, è la percentuale che la Lombardia deve accollarsi: quel 9% che il Carroccio mette in discussione ma che il centrosinistra (insieme a Ncd) ricorda che fu contrattato da Maroni nella sua ex veste di ministro degli Interni. Il governatore lombardo precisa ancora ai prefetti: "Secondo i dati resi noti dal Viminale nei giorni scorsi, la Lombardia è la terza regione italiana, dopo Sicilia e Lazio, come percentuale di presenze di immigrati nelle strutture di accoglienza. Ricordo poi che in Lombardia vive già oltre un quinto degli immigrati regolari presenti in Italia, molti dei quali in cerca di lavoro. È quindi impensabile inviare in Lombardia altri immigrati prima di aver riequilibrato la distribuzione" ha aggiunto nella lettera. Poi, sempre nella giornata di ieri, ha spiegato la ratio della sua iniziativa: "Ho posto un problema serio, sentito dai cittadini e dai sindaci di tutti i colori politici. Ma se la risposta del governo è che non c'è soluzione e devo prendermi i clandestini e stare zitto non mi va bene". I sindaci della Lombardia però, stando alla posizione del presidente dell'Anci regionale Roberto Scannagatti, respingono il ricatto sui contributi di Maroni, bollandolo peraltro come un'iniziativa finalizzata soprattutto alla campagna elettorale per il ballottaggio del prossimo week end a Lecco, Mantova e in altre decine di amministrazioni. Ma Maroni ieri ha rilanciato con un'altra proposta estrema: "La soluzione al problema dell'immigrazione clandestina, componente preponderante, resta il blocco delle partenze dalle coste africane, attraverso il coinvolgimento dell'Ue, dell'Onu e di tutta la comunità internazionale" ha concluso. Per quanto riguarda i prefetti, la reazione del milanese Francesco Paolo Tronca è stata composta due giorni fa: "Situazione difficile ma faremo il nostro dovere". Ieri si è fatto sentire anche il lodigiano Antonio Corona, che ha preso le distanze da Maroni senza nascondere il problema: "Le dichiarazioni del governatore rientrano nel piano politico, mentre noi rappresentiamo il governo centrale e andiamo avanti secondo le direttive che ci dà il Viminale. Molti comuni, come quello di Milano - continua il prefetto di Lodi - stanno facendo un grande lavoro, mentre da altri non stiamo avendo un grande aiuto. Ma il punto è che siamo messi davvero male". Ma il leader della Lega Matteo Salvini ha rilanciato "I prefetti cercano casa per migliaia di clandestini? Facciamogli sentire cosa ne pensiamo!" ha scritto su twitter allegando un elenco con i numeri di telefono di una quindicina di prefetture, da quella di Milano a quella di Reggio Calabria. "Dobbiamo fermare l'invasione" ha detto il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani annunciando una mozione, e farlo "se necessario anche militarmente". "Non si tratta di invadere la Libia - ha aggiunto il presidente della Liguria Giovanni Toti - ma creare campi umanitari sulle coste libiche ed affondare le barche sulle spiagge". Per il centro sinistra sono "posizioni propagandistiche". Il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha commentato la lettera del suo predecessore Maroni ai prefetti con un laconico "siamo seri". Droghe: ecco le serre dove cresce la marijuana destinata all'uso terapeutico di Michele Bocci La Repubblica, 10 giugno 2015 A Firenze nello stabilimento farmaceutico militare dove il raccolto fa sperare i malati. Una zaffata di odore intenso e dolciastro che invade il naso e lascia quasi storditi. Non ci si aspetta di sentirla aprendo una porta di una struttura militare, tra anfibi e camici da cui spuntano le stellette. Allo stabilimento Farmaceutico militare di Firenze sono i giorni del primo raccolto della cannabis di Stato e le piante di marijuana sono state tagliate e appese a testa in giù, per far andare tutto il principio attivo verso i fiori. Così l'aroma che producono nella stanza trasformata in serra è intensissimo. Gli addetti indossano guanti, cuffie e mascherine per compiere operazioni che in altri contesti non prevedono grandi precauzioni igieniche. Staccano i fiori dai rametti, li triturano, li pesano, li infilano nei sacchetti. Cercano di ridurre al minimo le contaminazioni per arrivare ad un prodotto farmaceutico e quindi "standardizzato", che abbia una determinata quantità di principio attivo per grammo. Va inviato nelle case di malati di sclerosi multipla, tumore, sla e quindi deve essere super sicuro. Sono cinquanta le prime piante di cannabis coltivate in Italia in una struttura pubblica e sono venute su in 3 mesi. Ora le studiano per capire come ha funzionato la coltivazione, se la quantità di luce che hanno ricevuto ogni giorno dalle lampade speciali è giusta, se il concime liquido ha fatto al meglio il suo lavoro, qual è il tempo giusto per una essiccazione ottimale. Il dossier da inviare al ministero alla Salute è quasi pronto, quando l'Aifa avrà fatto la sua ispezione e arriverà il via libera da Roma si potrà passare dalla fase di sperimentazione a quella di produzione farmaceutica. E dopo l'estate potrebbero iniziare le spedizioni verso le farmacie e gli ospedali. La prima serra usata nell'Istituto farmaceutico militare verrà subito dismessa. Troppo piccola. "Spostiamo tutto in un ambiente di 250 metri quadrati e se la domanda crescerà abbiamo anche altri spazi da utilizzare. Vogliamo arrivare a produrre 100 chili nel 2016", spiega il colonnello Antonio Medica, direttore dello Stabilimento chimico farmaceutico militare, che dipende dall'Agenzia industrie difesa. Nell'unico centro pubblico italiano autorizzato alla produzione di farmaci in effetti gli ambienti non mancano. La struttura è immensa, con lunghi e ampi corridoi che collegano le varie aree dove si producono farmaci per sette malattie orfane, cioè rare e quindi snobbate dall'industria, ma anche kit medici per i militari in missione. Per l'emergenza aviaria qui sono state fatte milioni di dosi di un medicinale antivirale, che sono quasi tutte ancora in magazzino. Adesso però si pensa soprattutto a quelle piantine verdi che crescono in fretta e potrebbero migliorare la vita a molti malati. Combattono il dolore, la nausea, le spasticità provocate da varie patologie gravi. Con i fiori spezzettati si fanno dei decotti. Al momento chi li vuole deve chiedere alla propria Asl di comprarli all'estero, soprattutto in Olanda. Nel giro di pochi mesi tutto cambierà. Sempre più Regioni (ormai sono 12) stanno approvando leggi sull'uso della cannabis terapeutica e con la produzione in Italia non ci saranno più le attuali forniture a singhiozzo. I medici diventeranno quindi più disponibili alla prescrizione di un medicinale che la scienza da tempo considera un'opzione terapeutica importante e intorno al quale la politica ha fatto molto chiasso. Quasi sempre con il retro pensiero, sia da parte dei sostenitori che dei detrattori, che utilizzarlo per chi sta male sia un primo passo verso la liberalizzazione delle droghe leggere. "Queste discussioni non ci interessano - commenta Medica - Noi qui stiamo preparando un farmaco". Droghe: "Obietta Siringa", la salute e i costi di Gigi Arcieri (Dipartimento Dipendenze Asl To2) Il Manifesto, 10 giugno 2015 La rubrica settimanale di Fuoriluogo oggi parla di un problema serio: la riforma dei costi standard per la fornitura di siringhe alle Asl sta portando a forniture più economiche per le regioni ma non adatte all'endovena, con la conseguenza che i programmi di Drop In e simili nei confronti dei tossicodipendenti non funzionano più. Da qualche anno, in modo erroneo e superficiale, quando si parla di costi standard in Sanità si fa l'esempio di una spesa standard: la siringa. E così, alla quasi totalità dei servizi piemontesi che lavorano per il contenimento delle patologie droga correlate, tre anni fa è stata cambiata la fornitura delle siringhe. Effettivamente il costo delle nuove siringhe è significativamente minore e le schede tecniche presentano i prodotti come equivalenti. Però, la qualità del prodotto non è affatto equivalente! I servizi coinvolti hanno prontamente segnalato il problema e i Dipartimenti, attraverso relazioni dettagliate, hanno ripetutamente chiesto il ripristino della fornitura precedente. Le richieste non hanno avuto esito positivo. Questo problema è grave e mette a rischio l'efficacia di questi interventi di prevenzione. Pragmaticamente, le Unità di Strada e i Drop In hanno sempre promosso comportamenti di consumo sicuro attraverso messaggi chiari e la fornitura di materiale sterile adeguato. Queste siringhe, invece, non sono affatto adeguate per i consumatori di sostanze per via iniettiva, che ormai da anni segnalano aghi che si staccano, stantuffi che non funzionano e aghi spuntati, con le ovvie ricadute in termini di uso non sicuro. I comportamenti a rischio sono ricomparsi in modo allarmante, anche perché se alla fine si ricorre all'acquisto di una siringa di buona qualità, si rischia di usarla più volte e di scambiarla. Senza contare i costi del materiale sprecato perché difettoso, che alla fine diminuiscono sensibilmente il "risparmio". Le ricadute di tutto ciò sono nuove infezioni e nuove sieroconversioni. I consumatori hanno subìto questa situazione lamentando quotidianamente problemi con le siringhe fino a che, dopo l'ennesimo tentativo di raccolta firme non riuscito - anche perché citare il proprio documento di identità non è privo di rischi - hanno chiesto di poter organizzare presso il Drop In un'assemblea per confrontarsi, con utenti e operatori di altri servizi, e per individuare una strategia condivisa finalizzata al cambiamento della fornitura di materiale sterile. Abbiamo ritenuto importante accogliere la richiesta ed è nata così l'"Assemblea Obietta Siringa, una siringa diversa è possibile". Malgrado il rischio che diventasse un brontolio collettivo sterile e frustrante, l'iniziativa, promossa anche attraverso la rete, ha avuto una partecipazione elevata ed è stata proficua. Il confronto è stato ricco e vivace e le diverse ipotesi hanno portato a tre linee di sviluppo condivise. Sarà elaborato un documento da inviare a tutti i Dipartimenti per le Dipendenze regionali. I consumatori hanno chiesto alle associazioni Indifference Busters e Isola di Arran, come organizzazioni di consumatori, e a Cobs (Coordinamento Operatori di Bassa Soglia dei Servizi del Piemonte) e a Operatori non Dormienti di farsi portavoce per poter essere rappresentati. Poi, a due Responsabili di Struttura è stato chiesto di farsi promotori di un incontro che coinvolga i referenti istituzionali regionali. Infine, diffondere e dare visibilità al problema utilizzando diversi strumenti comunicativi. Noi del Drop In accompagneremo questo processo, sperando che contribuisca alla risoluzione del problema. Perché per noi queste iniziative sono riconducibili alle finalità fondanti della riduzione del danno, favoriscono atteggiamenti propositivi e partecipativi, sono qualificanti per i Servizi e rappresentano emblematiche esperienze di empowerment per i consumatori. Pakistan: in sei mesi sono state eseguite 150 condanne a morte, più che in Arabia Saudita Aki, 10 giugno 2015 Negli ultimi sei mesi in Pakistan sono state eseguite 150 condanne a morte. Un dato riportato dall'Independent, che sottolinea come il Pakistan superi così Paesi come l'Arabia Saudita per un triste record. Nel regno le esecuzioni sarebbero state infatti 97. Secondo l'organizzazione Reprieve, è stata eseguita giovedì scorso in Pakistan la 150esima condanna a morte dalla revoca della moratoria. Non solo sdegno. C'è anche il timore che tra coloro che sono saliti sul patibolo in Pakistan ci siano prigionieri condannati sulla base false confessioni estorte sotto tortura. Stando a dati del ministero dell'Interno di Islamabad, nel braccio della morte in Pakistan ci sono almeno 8.000 detenuti. Dopo il sanguinoso attacco dello scorso dicembre contro una scuola di Peshawar, in cui sono rimaste uccise 150 persone (per lo più bambini), le autorità pakistane hanno deciso la revoca della moratoria sulla pena di morte per i sospetti terroristi. A marzo, poi, è stata annunciata la revoca totale della moratoria. Tra i detenuti nel braccio della morte in Pakistan ci sarebbero anche prigionieri condannati quando avevano meno di 18 anni. Uno studio del 2013 di Reprieve e Justice Project Pakistan aveva preso in esame i casi di 30 pakistani nel braccio della morte, rivelando - ricorda l'Independent - che il 10% era stato condannato quando aveva meno di 18 anni. In Pakistan non è prevista l'applicazione della pena di morte nei confronti dei minori di 18 anni. Detenuto giustiziato a Lahore, commise omicidio da minorenne Un pakistano di 38 anni, Aftab Bahadur Masih, è stato giustiziato stamane nel carcere di Lahore, nel Pakistan orientale. L'uomo era stato condannato a morte per un triplice omicidio commesso nel 1992, quando aveva solo 15 anni, precisano i media locali, ricordando che allora era proprio 15 anni l'età minima della responsabilità penale, poi innalzata a 18 anni nel 2000. Secondo alcuni gruppi di attivisti per i diritti umani, come il britannico Reprieve, Masih avrebbe confessato la responsabilità degli omicidi sotto tortura. "Questo è veramente un giorno vergognoso per il sistema giudiziario del Pakistan", ha commentato Maya Foa, responsabile della sezione di Reprieve contro la pena di morte. L'impiccagione di Masih arriva all'indomani del rinvio, per la quarta volta, dell'esecuzione di Shafqat Hussain, un altro detenuto pakistano che aveva 14 anni quando fu condannato a morte per omicidio. Stati Uniti: "subì violenze in cella", morto suicida a 21 anni dopo essere uscito di prigione di Roberto Festa Il Fatto Quotidiano, 10 giugno 2015 Nel 2010 Kalief Browder, che allora aveva 16 anni, finiva nel carcere di Rikers Island per il furto di uno zaino. Era il 2010. Non è mai stato processato. Non gli è mai stata contestata alcuna accusa. Dopo 600 giorni di isolamento aveva tentato il suicidio in cella. Una volta fuori, sembra essere tornato a una vita normale ma sabato si è impiccato con le lenzuola del suo letto. Kalief Browder è finito nel carcere di Rikers Island, una piccolo isola nell'East River di New York, a 16 anni, per il furto di uno zaino. Era il 2010. Non è mai stato processato. Non gli è mai stata contestata alcuna accusa. Lui ha sempre negato di aver rubato. Dei mille giorni passati in carcere, Kalief ne ha trascorsi circa seicento in cella d'isolamento. A Rikers Island, nel febbraio 2012, ha cercato di uccidersi. Ha messo insieme delle lenzuola, si è stretto un capo attorno al collo e ha appeso l'altro a una feritoia della cella. Le guardie lo hanno salvato. Una volta libero, le cose non sono andate meglio. Kalief ha cercato di impiccarsi ancora, nel novembre 2013, questa volta a una balaustra di casa, nel Bronx. È allora che la famiglia lo porta in un ospedale psichiatrico, il St. Barnabas Hospital, dove viene curato per una forma di grave paranoia. Un giorno prende la televisione di casa e la sbatte fuori dalla finestra. "Mi osserva", dice al dottore che lo ha in cura. È a questo punto della vita che Kalief Browder viene avvicinato da una giornalista del New Yorker, Jennifer Gonnerman, che raccoglie la sua storia. Il racconto che fa degli anni a Rikers Island è terribile. Kalief dice di essere stato vittima di violenze e abusi da parte delle guardie e degli altri detenuti. Non si tratta di un'invenzione. Il New Yorker ottiene un video, registrato dalle telecamere di sorveglianza: in un frammento si vede una guardia che sbatte a terra Kalief, ammanettato, lo blocca col suo corpo e lo riempie di pugni; in un altrofilmato Kalief, che in carcere non appartiene a nessuna gang, viene scalciato e picchiato da altri detenuti. Dopo qualche esitazione, il ragazzo decide di far girare il video. "Per evitare che altri facciano la mia fine", spiega. Il pezzo del New Yorker fa scandalo. Il sindaco Bill De Blasio abolisce l'isolamento per i detenuti con meno di 21 anni. La prigione di Rikers Island, intanto, è nell'occhio del ciclone. Una class action da parte di decine di detenuti, anche loro vittime di abusi e violenze da parte delle guardie, rischia di costare alla città di New York milioni di dollari. Fa notizia anche l'arbitrarietà della giustizia in città. Allo scorso marzo, c'erano nelle galere di New York almeno 400 detenuti in attesa, da almeno due anni, di essere accusati di qualcosa. Dopo il pezzo del New Yorker, Kalief diventa un nome e un volto conosciuto. Il candidato repubblicano alla presidenza, Rand Paul, lo cita come esempio degli abusi del sistema giudiziario. Jay Z chiede di incontrarlo - e c'è una foto che ritrae Kalief abbracciato al suo idolo. Rosie ÒDonnell lo invita in televisione, poi a cena e gli regala un MacBook Air. Le cose vanno meglio anche sul fronte salute. Kalief sta meglio, ritorna al Bronx Community College grazie all'anonima donazione di qualcuno che ha letto il pezzo del New Yorker. Poi, di nuovo, qualcosa si rompe. Gli antipsicotici non fanno più effetto. Kalief confessa alla madre di sentirsi seguito, minacciato. Pestaggi, violenze, fantasmi del carcere lo perseguitano. Resta ore, racconta il cugino, seduto a un tavolo, lo sguardo fisso davanti a sé. La settimana scorsa l'avvocato che lo ha seguito in tutto l'iter giudiziario legge alcuni post di Kalief su Facebook. Lo contatta. "Tutto ok?" "Sì, tutto ok". "Sei sicuro che vada tutto bene?". "Sì, sto bene, non preoccuparti". Sabato scorso Kalief ha tagliato le lenzuola del suo letto. Tante strisce, color senape, lunghe e strette. Le ha annodate insieme, le ha strette attorno al collo. Poi è andato in un'altra stanza, ha staccato il condizionatore d'aria dal muro, ci ha stretto l'altro capo del lenzuolo e si è lanciato nel vuoto attraverso il buco. La madre lo ha trovato penzolante nel vuoto. Kalief Browoder era nato nel 1993. È morto il 6 giugno 2015. Egitto: il Governo ha duramente criticato un rapporto di Human Rights Watch sul Paese Askanews, 10 giugno 2015 L'Egitto ha duramente criticato un rapporto di Human Rights Watch, che denuncia "palesi violazioni" dei diritti umani commesse durante il primo anno al potere del presidente Abdel Fatah al Sisi, che accusano l'organizzazione internazionale dei diritti umani di "sostenere il terrorismo". Il rapporto di Hrw è "orientato politicamente" e non rispetta "le più elementari regole di precisione e obiettività", ha giudicato il ministero degli Affari Esteri in un comunicato. Hrw "ha l'abitudine di diffondere bugie e informazioni errate e senza fondamento", ha aggiunto, "L'ong aveva denunciato lunedì, in occasione del primo anniversario dell'investitura di al Sisi, "la quasi totale impunità" concessa alle forze di sicurezza ed era insorta contro una "serie di leggi severamente restrittive per i diritti civici e politici". Ma per il ministero, "questa organizzazione che pretende a torto che la difesa e il rispetto dei diritti umani siano gli obiettivi principali della sua azione, sostiene le operazioni e gli atti terroristici e sostiene ugualmente quanti commettono atti violenti". L'ex capo dell'esercito, che ha destituito il presidente islamista Mohamed Morsi nel luglio 2013, è stato regolarmente accusato dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani di reprimere implacabilmente ogni opposizione, quella islamista ma anche laica e di sinistro. Dai mesi successivi dalla destituzione di Morsi, oltre 1.400 manifestanti filo-Morsi sono stati uccisi dalle forze dell'ordine nella dispersione dei loro raduni e oltre 15mila detenuti. Centinaia di loro sono stati condannati a morte in processi di massa. Centinaia di poliziotti e soldati sono inoltre stati uccisi in attentati rivendicati da gruppi jihadisti.