Giustizia: queste parole vorrei sentire di Roberto Saviano L'Espresso, 9 gennaio 2015 Carceri, tortura, aborto, disabilità, matrimoni gay, fecondazione eterologa, eutanasia. Tutti temi scomparsi dal dibattito pubblico dove trovano spazio solo le questioni che riguardano i politici. L'Italia è un Paese in cui il dibattito pubblico è dettato unicamente dall'agenda politica. Se un'inchiesta coinvolge politici, allora assume centralità, se uno scandalo coinvolge politici, i media se ne occupano. Le priorità della politica diventano le priorità del Paese. Questo aspetto mi colpisce e mi sconforta perché è prova tangibile del disorientamento che gli italiani stanno vivendo. Se la scarsa affluenza alle urne delle ultime Regionali ci restituisce un quadro disastroso dell'affezione degli italiani alla politica è purtroppo vero che siamo della comunicazione politica succubi. Di contro esiste un atteggiamento che considero peggiore del disinteresse, ovvero quel "tutto è merda", quel "tutto è massoneria", quel "tutto è inquinato", quel "tutto è corrotto" che spegne qualsiasi possibilità di dialogo e di reale cambiamento oltre un tifo che se possibile è addirittura peggiore di quello cui ci ha abituati lo "scendere in campo" di Berlusconi. Cambiare il Paese non è facile, e farlo in poco tempo è impresa complicatissima. Ma da questo Governo, da quasi un anno in carica, mi sarei aspettato un'apertura maggiore a riforme a costo zero, a riforme necessarie che avrebbero avuto come effetto immediato un miglioramento delle condizioni di vita di molti italiani. Ci sono parole che il governo, nell'anno che si è appena concluso, non ha pronunciato e, quel che è peggio, che noi non abbiamo preteso con forza venissero pronunciate, parole che avrebbero reso il nostro Paese una democrazia che attraversa una profonda crisi economica, ma comunque una democrazia. Non ho sentito pronunciare da questo governo la parola "carceri". L'Italia non ha carceri, ma luoghi di tortura e viene costantemente sanzionata dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Le carceri italiane non sono luoghi di rieducazione ma di affiliazione. Entri da povero cristo ed esci con una protezione importante e un ingaggio nelle organizzazioni criminali. Il governo non ha pronunziato la parola "reato di tortura". Un Paese che non contempla nel proprio codice penale questo reato, sarà un Paese nel quale si potranno applaudire i poliziotti che hanno ucciso Federico Aldrovandi, sarà un Paese in cui le forze dell'ordine si sentiranno perennemente immuni da ogni accusa e i cittadini sempre più distanti da chi dovrebbe rappresentare una garanzia e invece si trasforma in potenziale pericolo. Non ho sentito pronunciare la parola "eutanasia" eppure dal nostro Paese si emigra non solo per trovare lavoro, ma anche per trovare una morte dignitosa. Non ho sentito la parola "aborto" nonostante la 194 in gran parte del sud Italia sia costantemente tradita dalla incredibile mancanza di medici abortisti nelle strutture ospedaliere, nonostante ci siano farmacisti che si rifiutino di vendere la pillola del giorno dopo. Non ho sentito parlare di "fecondazione eterologa", nonostante da Roma in giù vigano ancora le vecchie linee guida della legge 40 dichiarata incostituzionale lo scorso aprile dalla Consulta. Ora anche le coppie sterili potranno accedere alla fecondazione, ma in molte città questo resta un diritto tradito. Non ho sentito parlare seriamente di "coppie di fatto", ho sentito invece troppe parole inutili e assurde sul "matrimonio gay" e sulla "adozione gay". Non ho sentito pronunciare la parola "migrante" se non dopo l'ennesima strage in mare, ma mai per affrontare l'emergenza senza toni razzisti o caritatevoli. Non ho sentito parlare di "disabilità", quando i cittadini diversamente abili sarebbero una risorsa e non un peso se solo si dessero alle famiglie gli strumenti per poter provvedere alla loro educazione, alla loro cura, alla loro crescita. L'Italia resta un paese in cui i diritti civili e umani si continua a farli passare per concessioni, per elemosina. Resta un Paese dove per nascere, studiare, sposarsi, lavorare, essere felici e morire dignitosamente bisogna emigrare. Ma siamo certi che tutto questo dipenda solo da chi ci governa? Siamo certi di non essere anche noi sordi ai bisogni di chi ci sta accanto? Io so solo che quando parlo di eutanasia, immigrati, carceri, disabili, unioni gay mi si risponde che farei meglio a occuparmi d'altro, magari di mafia, di economia, dell'articolo 18, dello scempio che si starebbe facendo alla Costituzione. Eppure per me, un Paese in cui le minoranze non vengono ascoltate, un Paese in cui i deboli sono ignorati, abbandonati, vessati, è un paese in cui la Costituzione viene tradita ogni giorno, ogni ora, ogni momento. Giustizia: carceri, il sovraffollamento è (quasi) risolto di Francesco Grignetti La Stampa, 9 gennaio 2015 Secondo i dati del ministero della Giustizia a fine anno in Italia c'erano 53.623 detenuti in 49.635 posti. Nel 2010 erano 67.961 costretti a vivere in spazi per 45.022. Il sovraffollamento delle carceri sembra davvero un'emergenza del passato. Secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia, allo scoccare del Capodanno nelle carceri italiane erano presenti 53.623 detenuti; nel frattempo sono cresciuti i posti-letto grazie a nuove carceri che entrano in funzione o vecchi padiglioni che nel frattempo tornano agibili perché ristrutturati. E così erano 49.635 i posti regolamentari a disposizione. In tutta evidenza, se continua questo trend, è vicino l'equilibrio tra spazi e detenuti e allora si può pensare davvero al futuro, a come ripensare il sistema della pena e della detenzione come vuole il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha chiesto aiuto al mondo del volontariato e della cooperazione: "Dal 1 febbraio - dice Orlando - si definirà una tabella di marcia per capire quali progetti si possono sostenere. La cooperazione deve avere la funzione di portare il lavoro dentro il carcere, di garantire un più significativo livello di occupazione tra i detenuti". Occorre forse guardarsi indietro per capire l'opportunità eccezionale che s'annuncia. Soltanto un mese fa, secondo l'aggiornamento al 30 novembre 2014, la distanza tra posti a disposizione (49.305) e detenuti presenti (54.428) era ancora maggiore. E se poi si va indietro con le statistiche, si scopre che al 31 dicembre 2010, ai tempi dell'allora ministro Guardasigilli Paola Severino che lanciava continui allarmi sul sovraffollamento carcerario, negli istituti penitenziari c'erano ben 67.961 detenuti costretti a vivere in spazi per 45.022 persone. Ma quelli erano i giorni in cui l'Italia era un sorvegliato speciale da parte della Corte europea di Giustizia e da parte della Commissione europea, e anche gli aspetti disumani del trattamento carcerario erano divenuti un indice dello spread negativo che affliggeva il nostro Paese. Nel frattempo sono intervenute diverse leggi sfolla-carcere, incrementando ogni tipo di misura alternativa. I numeri della detenzione domiciliare sono enormemente cresciuti e al 31 dicembre 2014 risulta che 15.697 detenuti stiano scontando la pena ai domiciliari. Per citare le parole di Matteo Renzi alla conferenza stampa di fine anno, che non volle esprimersi su amnistia e indulto, se le misure straordinarie di clemenza dovevano essere la risposta al sovraffollamento delle carceri "abbiamo risolto in modo diverso". Giustizia: interrogazione Pd "rinnovare appalto a cooperative per le mense delle carceri" Ansa, 9 gennaio 2015 "Rinnovare alle cooperative sociali tuttora operanti nelle carceri l'appalto per la gestione delle cucine: ben dieci anni di risultati positivi di questa esperienza (i dati rilevati fin qui evidenziano un calo della recidiva dal 70% al 2%) rischierebbero di essere persi, insieme alla possibilità di estendere l'iniziativa su tutto il territorio nazionale, perché la sperimentazione scadrà il 15 gennaio 2015, termine prorogato al 31 gennaio del medesimo anno". Lo chiede una interrogazione del Pd firmata dai deputati Walter Verini e Vanna Iori al ministro della Giustizia. "Nel 2004 il Dap, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia - spiegano i due deputati - ha avviato questa sperimentazione di dieci anni in dieci penitenziari italiani, affidando la gestione delle cucine degli istituti di pena a un gruppo di cooperative (Ecosol a Torino, Divieto di sosta a Ivrea, Campo dei miracoli a Trani, L'Arcolaio a Siracusa, La Città Solidale a Ragusa; Men at Wotk e Syntax Error a Rebibbia, Abc a Bollate, Pid a Rieti, Giotto a Padova) attraverso le quali i detenuti hanno avuto modo di formarsi professionalmente e lavorare all'interno del carcere, trasformando i cosiddetti lavori domestici svolti a turno negli istituti penitenziari, poco qualificanti e privi di un effetto formativo, professionalizzante ed educativo, in lavori veri e propri, con regolari stipendi allineati ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Questa esperienza, che dal 2009 è sovvenzionata non più dal Dap ma dalla Cassa delle Ammende, quale ente del Ministero della Giustizia che finanzia i programmi di reinserimento in favore di detenuti, ha determinato, sin da subito, innegabili e certificati vantaggi - il successo del progetto è stato tale che nelle medesime carceri, accanto alle mense, sono nati altri reparti di produzione: panettoni a Padova, taralli a Trani e dolci tipici a Siracusa e Ragusa. La fine di questa esperienza sarebbe controproducente per la qualità del servizio e per la riabilitazione dei detenuti, per la sicurezza sociale e, infine, per le casse dello Stato in quanto la gestione delle cucine da parte delle cooperative e tramite il lavoro dei dipendenti ha un costo inferiore rispetto ad altre forme di servizio mensa. Per questo - concludono Verini e Iori - non abbiamo dubbi nel chiedere di confermare ed allargare il più possibile questa iniziativa". Giustizia Zan (Pd): lavoro in carcere, ministero assicuri continuità al progetto cucine Adnkronos, 9 gennaio 2015 "Ho sottoscritto convintamente, assieme ad alcuni colleghi, un'interrogazione al ministro della Giustizia Orlando presentata dall'on. Anna Rossomando, nella quale chiediamo al Guardasigilli di dare continuità ai progetti di recupero e rieducazione dei detenuti attraverso l'attività lavorativa in carcere". Lo annuncia in una nota il deputato veneto del Partito Democratico, membro della commissione Giustizia, Alessandro Zan. "Cucine in carcere", che dal 2004 viene rinnovato di anno in anno con risultati molto positivi, riguarda la produzione di pasti di qualità nonché la nascita di vere realtà imprenditoriali in ben dieci strutture carcerarie italiane, tra cui la rinomata produzione artigianale di panettoni al carcere Due Palazzi di Padova. Il progetto è tuttavia scaduto il 31 dicembre 2014 ed è stato per il momento prorogato con una circolare al 15 gennaio 2015 spiega Zan. "Si tratta di un'esperienza che non può e non deve finire: è bene ricordare" prosegue il parlamentare PD, "che l'impiego dei detenuti in attività lavorative non solo aumenta le possibilità di reinserimento nella società ma abbatte drasticamente l'eventualità della recidiva. In un recente incontro con gli operatori del settore, il Ministro della Giustizia ha assicurato tutti sul prosieguo dell'esperienza di rieducazione in carcere: ci auguriamo dunque che venga al più presto assicurata la continuità al progetto attraverso lo stanziamento dei relativi fondi" conclude il deputato. Giustizia: Sappe; garantire sicurezza nazionale, no a tagli e spendig review Adnkronos, 9 gennaio 2015 "La terribile strage di Parigi conferma i reali pericoli per la sicurezza nazionale che anche il nostro Paese corre per le minacce del fondamentalismo integralista e il terrorismo internazionale. E per assicurare e garantire la sicurezza nazionale, anche nelle sue articolazioni periferiche, non si possono ridurre mezzi e risorse alle Forze di Polizia e dell'Ordine". Lo dichiara Donato Capece, presidente della Consulta Sicurezza, la principale organizzazione di rappresentanza del comparto sicurezza per numero di iscritti, formata dai sindacati Sap (Sindacato autonomo polizia di stato), Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), Sapaf (Sindacato autonomo polizia ambientale forestale) e Conapo (Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco). "Altro che spending review, che chiude uffici e caserme - spiega la nota - e riduce i livelli di sicurezza delle nostre città e del territorio nazionale: questa scelta, sbagliata e da noi fermamente contestata, ha gravi ripercussioni sull'efficienza dei servizi di sicurezza e di soccorso pubblico". "Basta tagli alla sicurezza che ormai è al collasso", prosegue Capece rappresentando il malessere del personale dello stato in uniforme non militare. "Chiediamo ancora una volta al governo di tagliare gli sprechi e non la sicurezza. La grave strage di Parigi deve confermare che non si può e non si deve mai abbassare la guardia. Eppure, con sei miliardi di tagli che i vari governi Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi hanno operato dal 2008 ad oggi, i cittadini -conclude la nota- sono meno sicuri perché ci sono meno poliziotti a controllare le loro case e i quartieri, meno poliziotti penitenziari nelle carceri a fronte di un aumento dei detenuti, meno forestali contro le agromafie e le ecomafie per la tutela dell'ambiente, meno vigili del fuoco a difenderci da disastri e calamità, a garantire sicurezza e soccorso pubblico". Giustizia: due anni in cella accusato di "terrorismo"… per aver dipinto un muro di Michael G. Jacob (Giallista inglese residente a Spoleto) Il Garantista, 9 gennaio 2015 Ho scritto lettere al presidente della Repubblica, a diversi giornali incluso Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano e Il Foglio. Ho segnalato il caso su Facebook, Twitter e a Prima Pagina, Rai 3. Volevo che si parlasse di un caso di accanimento giudiziario. Finora, nessuno mi ha risposto. L'Operazione Brushwood comandata dal generale dei Ros Giampaolo Ganzer il 23 ottobre, 2007, ha portato all'arresto di 5 ragazzi (fra i 18 e i 35 anni di età) di Spoleto, accusati di associazione eversiva ambientale e di far parte del gruppo terroristico Coop-Fai. Stavano per fare, secondo il Generale Ganzer, Ros, "il grande salto". Fra l'altro, i ragazzi erano accusati di aver mandato delle pallottole inesplose alla presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti. La notizia ha animato tutti i tg italiani, e i giornali mondiali nei giorni seguenti. Infatti a livello internazionale Operation Brushwood è apparso sulla prima pagina del Washington Post. Suonava bene in inglese, un po' alla Clint Eastwood. Sette anni dopo, però, cioè nel 2014, l'accusa di terrorismo è stata archiviata. Non c'erano armi, né un piano eversivo. Del Coop-Fai neanche traccia. I cinque ragazzi non erano più terroristi ma due di loro erano comunque stati giudicati colpevoli di danneggiamenti a una ruspa e imbrattamento dei muri di un cantiere. Nel frattempo, il generale Ganzer è stato condannato in prima istanza a 14 anni di reclusione per detenzione di kalashnikov e droga (ridotto in appello a 4 anni, ma confermando la prima sentenza e la sua colpevolezza). Le sue operazioni spettacolari (come "Brushwood", ma non solo) furono attribuite dai suoi giudici alla sua "smisurata ambizione". Ganzer ha indossato l'uniforme dei carabinieri e mantenuto il suo ruolo come comandante dei Ros fino all'ultimo giorno della sua carriera. E andato in pensione -abbondante, immagino - e non ha fatto un solo giorno di galera. Maria Rita Lorenzetti, scaduto il suo termine come presidente della Regione Umbria, è diventata presidente dell'Italferr (Ferrovia di Stato). Lei sarà processata prima o poi nell'inchiesta Tav (tratto Roma-Firenze) per abuso di ufficio, corruzione e associazione a delinquere. Ha fatto finora 14 giorni di arresti domiciliari. Immagino abbia una bella casa. Durante gli 8 mesi di galera "dura" sotto le leggi anti-terroristiche, 2 dei 5 ragazzi spoletini hanno ammesso alcuni atti di vandalismo - imbrattamento dei muri, danneggiamento di una ruspa - nel difendersi dall'accusa tanto più grave di terrorismo. Questi 2 ragazzi erano anarchici dichiarati che si sono opposti apertamente alla costruzione di un ecomostro (l'edificio è stato descritto così da due diverse commissioni parlamentari) dentro le mura antiche di Spoleto. Lo stesso ecomostro è stato condannato in secondo appello pochi mesi fa dalla corte di Firenze alla demolizione totale. I due ragazzi avevano ragione a protestare, come hanno fatto molte centinaia di altre persone a Spoleto nel 2007, durante una marcia di protesta nel giugno di quell'anno. Ma solo loro - gli anarchici - sono finiti in galera. In questi sette anni - consumati fra un processo, due appelli e la Corte della Cassazione - due dei cosiddetti baby terroristi spoletini sono morti di cause naturali (uno di un embolo, l'altro a causa di un episodio notturno di epilessia). Uno di questi è morto senza sapere di essere stato assolto. Un altro ragazzo è stato ricoverato in una clinica per disturbi seri che non mostrava prima della sua incarcerazione. Il quarto è libero finalmente, avendo scontato un anno di prigione (alcuni dei mesi "duri" come terrorista sospettato) per aver imbrattato un muro. È l'unico colpevole in un'Italia imbrattata da Palermo a Cuneo. Il quinto ragazzo - anarchico dichiarato, studente di filosofia, pacifista, vegetariano, il capo della banda che non esisteva - Michele Fabiani, dopo aver celebrato il suo ventunesimo compleanno in una cella di isolamento nel carcere di Aquila, è stato arrestato di nuovo il 10 luglio scorso. Secondo la Corte di Cassazione Miche-Io dove finire a scontare la pena di 2 anni e 4 mesi per i muri imbrattati e per aver recato danni minori ad una ruspa. È stato rinchiuso nel prigione di massima sicurezza di Maiano di Spoleto, e poi è stato trasferito nel carcere di Ferrara, dove gli resta da scontare 1 anno, 3 mesi e 25 giorni dietro le sbarre. Sta in una sezione riservata ad anarchici. Nessun sconto nonostante quasi un anno di prigione duro sotto le leggi antiterroristiche. Le chiedo, come mai i giornali, la televisione o il Washington Post non stanno parlando di questo caso clamoroso di accanimento giudiziario? Giovani, impegnati e scomodi: non volevano l'ecomostro, di Damiano Aliprandi Operazione "Brushwood", Questo è il nome della repressione giudiziaria che ha travolto le vite di cinque ragazzi spoletini, i quali avevano osato sensibilizzare l'opinione pubblica contro la costruzione del cosiddetto "ecomostro" nella cittadina di Spoleto, in Umbria. Noi de Il Garantista ne avevamo già parlato a ridosso della Cassazione che ha in pratica confermato l'assoluzione per reati di terrorismo, ma ha ordinato di far scontare la pena residuale di due anni a Michele Fabiani, uno dei ragazzi anarchici accusati di terrorismo. Il reato incriminato? L'aver imbrattato dei muri e recato un danno alla ruspa. Ma in quale contesto avvenne questa repressione giudiziaria che - a differenza del movimento No Tav - non ha avuto un grande risalto mediatico? L'Umbria è una regione molto particolare e da tempo "colonizzata" dalla ‘ndrangheta. Una mafia -operante nella regione ancora definita "verde" - dedita soprattutto al riciclo del denaro tramite i settori dell'edilizia e dello smaltimento dei rifiuti. L'Umbria è talmente strozzata dalla ‘ndrangheta che addirittura la Confesercenti è stata costretta a redigere un corposo dossier dove ha denunciato questa insostenibile situazione. E continua a deteriorarsi per le numerosi imprese edili che spuntano come funghi: una regione praticamente cementificata. La mafia, ovviamente legate al potere politico, non ha tanto paura del potere giudiziario che molto spesso cede in una trattativa del tutto legalizzata come il pentitismo - proprio come l'ex pentito Roberto Salvatore Menzo che, nelle campagne di Gubbio, eliminò così il "collega" Salvatore Conte e ha avuto la possibilità di "pentirsi" nuovamente e indirizzare nuovi arresti dove è difficile sapere quale sia la verità o meno - ma teme le lotte sociali della popolazione. E forse ha avuto paura quando cinque giovani ragazzi anarchici hanno cominciato a sensibilizzare l'opinione pubblica contro la costruzione selvaggia in "odore di mafia" che rovina l'ambiente e modifica una città storica come Spoleto. Si era creato un movimento vero e proprio dove c'è stata una inattesa partecipazione dei cittadini. Ed è in quel preciso momento che è intervenuta la magistratura perugina con gli arresti e il movimento di protesta morì sul nascere. Tutto avvenne una notte di sabato del 2007 quando Michele Fabiani, il giovane spoletino di appena 20 anni, si spaventò a morte. Era in casa a dormire quando all'improvviso un forte frastuono lo svegliò. Rumori di elicotteri, cani che abbaiavano e soprattutto decine di uomini con il passamontagna e mitra che gli intimidivano di aprire. Fabiani era stato arrestato quella notte e sbattuto subito preventivamente in un carcere duro: questa è stata l'operazione Brushwood condotta dalla Pm Comodi e l'allora capo dei Ros Giampaolo Ganzer, Il resto della storia ce la racconta lo scrittore inglese Michael G. Jacob, in una sua lettera di denuncia che noi abbiamo ricevuto e pubblichiamo integralmente qui accanto. Giustizia: caso Loris; per Veronica una "condanna senza processo", le colpe del Gip di Fausto Cerulli Il Garantista, 9 gennaio 2015 Mi rendo conto di andare controcorrente, rispetto al linciaggio mediatico cui è stata sottoposta Veronica, la madre di Loris. Parto dalla carcerazione preventiva, oltre tutto in una sezione riservata per non essere maltratta dalle altre carcerate, anche esse partecipi di una condanna senza processo. La carcerazione preventiva, come anticipo di una pena che potrebbe non essere inflitta da un processo è già un segno di barbarie della nostra ingiusta giustizia, misura ignota ai sistemi giudiziari più avanzati. A questo si aggiunga che le supposte prove a carico di Veronica non sono frutto di accurate investigazioni, ma si fondano su imprecise riprese televisive, confuse e poco attendibili, e comunque contestabili in un corretto processo. Come accade per il famoso e fumoso Dna, che si rivela spesso un'arma a doppio taglio, ritorcendosi contro gli investigatori disabituati a investigare. Non posso e non voglio entrare nella condotta di un Gip, che convalida l'operato di un Pm, copiandone le motivazioni, perché tra giudici non ci si morde, ed aggiunge soltanto che Veronica è donna feroce e cattiva, anche in questo caso anticipando in maniera a dir poco abnorme l'arringa del Pm nel futuro processo. Si legge che il marito di Veronica, che perlomeno dovrebbe esserle vicino se non altro per gli anni trascorsi insieme, emette un verdetto di colpevolezza nei confronti della moglie; notizia questa conclamata dalla stampa, che sembra urlare: se anche il marito la condanna preventivamente, Veronica deve essere per forza colpevole. Condannata da un Gip succube di un Pm che non dovrebbe essere della sua stessa casta giudiziaria, e qui mi riferisco alla separazione delle carriere, che soltanto in Italia non riesce ad essere codificata. Leggo anche che lo stesso avvocato difensore di Veronica, prende in qualche modo le distanze da lei: se veramente ha ucciso il figlio, dice l'avvocato, allora e una donna perfida. E non abbandona la difesa, solo per deontologia professionale, che non gli evita di accodarsi alla legione colpevolista. Veronica sarà magari colpevole, ma la sua vicenda giudiziaria è poco giudiziaria, e molto, troppo, mediatica. Un sistema giudiziario che si rispetti avrebbe dovuto portare Veronica senza manette davanti ad un giudice veramente terzo, impegnato a ricercare il vero, o il verosimile, nella dialettica tra accusa e difesa. Anche se dubito della terzietà di un giudice che riesca a svincolarsi dalla suggestione dell'assunto di un Pm che gli è compagno di carriera. In fora o in debolezza di questo sistema Veronica è già sta condannata, da giudici che non dovrebbero emettere sentenza, ma soltanto ordinanze provvisorie, revocabili e comunque per loro natura distanti da una qualche sentenza dovrebbero emettere sentenza, ma soltanto ordinanze provvisorie, revocabili e comunque per loro natura distanti da una qualche sentenza emessa a seguito di un regolare processo. Veronica continua a protestare la propria innocenza, ma l'opinione pubblica, sapientemente orchestrata, ba già emesso una sentenza di colpevolezza. E se anche il marito la giudica colpevole, potremmo fare a meno di un processo. Veronica sarà pure colpevole, ma ha comunque diritto, anche in base alla bistrattata nostra Costituzione, ad essere considerata innocente fino a condanna definitiva. Quello che mi angoscia, da avvocato garantista, è la sconfinata solitudine in cui si trova Veronica. E mi raggela la violazione della presunzione di innocenza. Presunzione che dovrebbe valere per tutti, ma vale invece soltanto per i colletti bianchi. Un sistema giudiziario degno di un Cesare Beccaria, dovrebbe ignorare una colpevolezza non sancita da un regolare processo, Dovremmo abituarci alla garanzia del garantismo. Giustizia: caso Yara; Massimo Bossetti: "pressioni per farmi confessare" di Tiziana Maiolo Il Garantista, 9 gennaio 2015 Lui continua a dirsi innocente. Ma se la Procura è convinta di avere prove inconfutabili perché usa questi metodi barbari? Alla fine lo dice anche lui: "Dal 16 giugno, il giorno del mio arresto, le hanno provate tutte per farmi confessare. Speravano che prima o poi sarei crollato... ho ricevuto pressioni fortissime, hanno cercato di convincermi in ogni modo a confessare, hanno provato a allettarmi con il conto degli anni". Lo dice anche lui, per la prima volta, Massimo Bossetti, indagato per l'omicidio di Yara Gambirasio, in un'intervista a Repubblica. Non è un processo per fatti di mafia, il suo, né per terrorismo. Pure, manca solo l'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario e poi il trattamento sarebbe completo. In lingua italiana si chiama "tortura". L'isolamento per centotrenta-quattro giorni, sei mesi di custodia cautelare, la gogna mediatica con la diffusione di notizie pruriginose sulla sua vita personale, su quella di sua moglie e su quella di sua madre, le minacce e le violenze subite da lui e dai suoi familiari. E la pressione continua, insistente, soffocante perché confessi, alla faccia della presunzione di non colpevolezza prevista dalla Costituzione. Lui resiste, come solo gli innocenti sanno fare, a meno che non siano terroristi o mafiosi. Ha persino perso per strada una dei suoi due difensori, evidentemente convinta della sua colpevolezza, oltre ogni ragionevole dubbio. E su cui forse i magistrati contavano perché accompagnasse per mano Bossetti alla confessione. Nella data dell'anniversario della scomparsa di Yara, alla fine di novembre, il pubblico ministero aveva organizzato una grande parata trionfale, presentandosi all'interrogatorio dell'indagato con un corteo di accompagnatori gallonati, il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri, il capo della squadra mobile di Bergamo e alcuni dirigenti del Ros e dello Sco. Qualcuno aveva forse lasciato intendere che finalmente il muratore era crollato? È stata quella l'occasione in cui Massimo Bossetti si è avvalso della facoltà di non rispondere. Lui sa bene, ma lo sa anche la procura di Bergamo, che gli elementi dell'accusa sono ancora ben misera cosa. È vero, c'è la coincidenza del dna, ma che non è una prova dell'omicidio, al massimo può comportare il fatto che ci sia stato un contatto (diretto o indiretto) tra l'indiziato e la vittima. Oltre a tutto, se non sarà possibile, per mancanza di materiale genetico, ripetere l'esame con la presenza dei periti della difesa, al dibattimento questo indizio sarà molto indebolito. Ma soprattutto, vien da chiedersi, se gli inquirenti ritengono che quella del dna sia una prova solida, perché hanno lasciato decadere il termine di 180 giorni previsto dalla legge per poter andare al processo con il rito immediato? Perché insistono tanto sulla confessione, se ritengono di aver ben altre frecce al proprio arco? I dati di fatto ci dicono che né sull'auto né sul furgone di Bossetti sono state trovate tracce di Yara. Quindi, se il muratore di Brembate è colui che l'ha rapita, l'ha portata via a piedi o in canna a una bicicletta? Se invece si ritiene che sia stato usato un altro automezzo, non ha nessun senso continuare a far sapere che il furgone di Bossetti, quel giorno e a quell'ora, era sul luogo del rapimento, vicino alla palestra frequentata dalla ragazzina. Sono passati più di sei mesi e la situazione pare destinata a un inquietante immobilismo. Il mito fideistico della prova scientifica non ha trovato finora altro supporto probatorio. La vita del carpentiere quarantenne è stata, come lui stesso ricorda nell'intervista, radiografata in ogni suo lato: non è stato trovato nulla, né prima né durante né dopo la morte di Yara, che possa gettare ombre sui suoi comportamenti. Massimo Bossetti non è un pedofilo, non ci sono tracce di violenza sessuale sul corpo della ragazzina, non c'è movente plausibile per quell'omicidio. In realtà non c'è neppure certezza del fatto che di omicidio si sia trattato. E allora? E allora fatevi una bella autocritica, cari magistrati inquirenti con annesse forze dell'ordine che tanti errori hanno fatto nelle indagini fin dal primo giorno, quel 26 novembre del 2010, quando Yara sparì e non si sapeva neppure se fosse viva o morta. Fate l'autocritica e cominciate con lo scarcerare Massimo Bossetti, invece di torturarlo per un'improbabile confessione. Il 25 febbraio ci sarà la discussione in cassazione, dove i giudici, dopo i dinieghi del gip e del tribunale del riesame, dovranno decidere sulla richiesta di scarcerazione presentata dai legali di Bossetti. Ci sarà un giudice a Berlino? A noi basterebbe un giudice Corrado Carnevale ad applicare la legge. Il difensore: "C'è un nuovo testimone a suo favore" Ci sarebbe un testimone che potrebbe fornire informazioni utili alle indagini nel caso di Yara Gambirasio. Lo ha annunciata ieri alla Vita in diretta Claudio Salvagni, l'avvocato di Massima Bossetti. "Abbiamo un testimone molto importante - ha spiegato - che ci ha riferito cose molto importanti. È un teste che ci consente in questo momento di dare un altro tipo di storia, ma non posso rivelare se sia un uomo o una donna". "Stiamo indagando - ha aggiunto - e stiamo cercando dei riscontri. Siamo in una fase di indagine difensiva. Non appena avremo questi riscontri, li porteremo subito a conoscenza della Procura, al momento li stiamo verificando". Salvani ha poi raccontato come si senta il suo cliente, da giugno scorsa sottoposto a carcerazione preventiva. "Bossetti si sente privato di tutto e ha sempre meno forze". Mercoledì scorso lo ha incontrato in carcere e lo ha "trovato in un momento molto duro perché ha la sensazione che far emergere la verità sia sempre più difficile". "Ho letto anche i biglietti che hanno scritta i bambini al padre - ha concluso Salvagni - e sono veramente il regala più bello che lui poteva ricevere in questa situazione". Giustizia: caso Magherini, al via il processo di Riccardo Chiari Il Manifesto, 9 gennaio 2015 Violenza di Stato. Udienza preliminare aperta e subito rinviata al 3 febbraio, per esaminare nuovi documenti di accusa e difesa nell'ipotesi di morte da "excited delirium syndrome". La famiglia attacca: "C'è voglia di non fare giustizia". E un testimone oculare ricorda: "Lo hanno preso a calci, anche in faccia, e schiacciato con il loro peso sul selciato". Riccardo Magherini morì la notte tra il 2 e 3 marzo scorsi in Borgo San Frediano, dove si aggirava in stato confusionale, nel corso del suo arresto da parte di quattro carabinieri, ora accusati di omicidio colposo. Uno dei militari è accusato anche di percosse: in alcuni video lo si vede colpire Magherini con alcuni calci mentre il quarantenne fiorentino, già ammanettato, era stato trascinato a terra. Subito prima di essere schiacciato dai militari dell'Arma, con il loro peso, sul selciato gelido. Per lunghi, interminabili minuti. Fino a quando tre volontari della Croce rossa, accorsi sul posto con l'ambulanza e anch'essi indagati, cercarono di soccorrere quell'uomo steso a terra a torso nudo. Già morto per arresto cardiaco, come riscontrato anche dall'autopsia. Nel giorno dell'udienza preliminare, quasi subito rinviata al 3 febbraio prossimo dal gup Fabio Frangini, è da Andrea Magherini che è arrivata la dichiarazione più rasserenante, nel tragico contesto di un processo per un omicidio che poteva e doveva essere evitato: "L'importante era partire - ha osservato il fratello della vittima - e la cosa più bella di oggi è stato vedere questo seguito, questo amore per Riccardo". In quel momento, davanti all'aula d'udienza, c'erano una cinquantina fra amici e familiari della vittima. Fra loro Ilaria Cucchi: "L'affetto che circonda la famiglia Magherini darà loro la forza di andare avanti, perché lo Stato li lascia soli". Il rinvio deciso dal Gup è stato motivato dall'acquisizione agli atti del processo di nuovi documenti medico-legali, sia da parte del pm Luigi Bocciolini sia da quello del legale dei carabinieri, l'avvocato Francesco Maresca. Fra i temi in discussione, su imput della difesa, c'è anche l'ipotesi che Magherini sia morto per una "excited delirium syndrome". Una patologia connessa, ha sottolineato Maresca, dall'assunzione di cocaina da parte della vittima, riscontrata dagli esami tossicologici. Anche il pm Bocciolini ha depositato un documento: la memoria di un agente di polizia statunitense che avrebbe eseguito alcuni arresti di persone con la "excited delirium syndrome". Su questo ipotetico aspetto della tragedia, lo scetticismo della famiglia Magherini ("c'è voglia di non fare giustizia - dichiara il padre Guido - la procura ha lavorato solo sugli aspetti tossicologici") trova conferma nelle parole di un testimone diretto. "Io in Borgo San Frediano c'ero - ricorda Matteo Torsetti - stavo andando da alcuni amici in un locale della strada. All'altezza del cinema Eolo c'erano dei carabinieri che cercavano di fermare una persona. Quando sono arrivato era in piedi, qualche minuto dopo in ginocchio. L'hanno ammanettata, e progressivamente spinta al suolo. Poi ho contato almeno cinque calci, alla testa, al busto, alla pancia, e un paio al volto. Quando ho visto i calci, ho urlato: ‘no, i calci no'". L'avvocato Massimiliano Manzo, che difende i tre volontari della Croce rossa - anche per loro c'era un presidio dei colleghi - anticipa la sua difesa. Semplice: "Quando sono intervenuti i volontari, Magherini era già morto. I carabinieri lo pressavano da dieci minuti. I miei assistiti hanno rispettato il protocollo, cercando di rianimarlo. Ci sottrarremo alla guerra medico-legale fra tossicologi, porteremo un nostro consulente anestesista". Mentre Fabio Anselmo, legale della famiglia Magherini, tira le somme: "Ci dovrebbe essere lo Stato a fare questa battaglia, invece ci sentiamo soli. E siamo certi che se Riccardo non avesse incontrato i quattro carabinieri, oggi non saremmo qui". Sardegna: concessione di contributi per gli interventi di inclusione sociale dei detenuti Adnkronos, 9 gennaio 2015 Pubblicato l'avviso per la concessione dei contributi in favore delle associazioni e cooperative per azioni finalizzate a sostenere la presa in carico delle persone soggette a provvedimenti penali (detenuti, ex detenuti e soggetti a misure alternative) attraverso l'attuazione di percorsi riabilitativi e di interventi alternativi alla detenzione. Le associazioni e le cooperative sociali o loro consorzi dovranno essere regolarmente iscritte al registro generale del volontariato o all'albo regionale delle cooperative sociali, istituiti presso la Regione, avere sede operativa in Sardegna e operare nell'ambito dell'accoglienza e dell'inclusione sociale e socio lavorativa di persone sottoposte a misure restrittive e in favore di minori entrati nel circuito penale con prescrizioni a carico. In particolare, questi i destinatari delle azioni: soggetti adulti che si trovano in esecuzione penale interna con possibilità di ammissione al lavoro all'esterno o alle misure alternative alla detenzione, in esecuzione penale esterna o sottoposti a misura di sicurezza non detentiva e soggetti che hanno concluso l'esperienza di esecuzione penale sia detentiva che non o una misura di sicurezza non detentiva, da non più di cinque anni; minori sottoposti a provvedimenti penali e a misure di sicurezza non detentiva nonché i fuoriusciti dal circuito penale da non più di due anni. I progetti dovranno essere presentati entro il 13 febbraio 2015, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o agenzia di recapito autorizzata al seguente indirizzo: Assessorato regionale dell'Igiene e sanità e dell'assistenza sociale Direzione generale delle politiche sociali Servizio programmazione ed integrazione sociale Via Roma - 253 - 09123 Cagliari. La domanda e la relativa documentazione, firmate digitalmente, potranno pervenire alternativamente tramite posta elettronica certificata all'indirizzo: san.dgpolsoc@pec.regione.sardegna.it. Trieste: Procura conclude indagini suicidio donna ucraina in Commissariato, 4 indagati Adnkronos, 9 gennaio 2015 È stata notificato ai 4 poliziotti indagati l'avviso di conclusioni delle indagini avviate a seguito del suicidio della cittadina ucraina Alina Diachuck, avvenuto il 16 aprile del 2012, mentre si trovava nel Commissariato di Villa Opicina, una frazione di Trieste, in attesa di espulsione, dopo essere stata scarcerata 2 giorni prima dal carcere cittadino. La Procura della Repubblica di Trieste contesta agli indagati le modalità e la tempistica del trattenimento degli stranieri da sottoporre a espulsione in quanto irregolari sul territorio nazionale. La donna si era suicidata impiccandosi con il cordino di una felpa alla maniglia della porta della stanza dove era rinchiusa. Al dirigente dell'Ufficio immigrazione che operava allora, viene contestato il reato di sequestro di persona aggravato. Gli altri indagati erano addetti alla vigilanza. La Procura contesta inoltre a dirigente e vice dirigente dell'Ufficio immigrazione, e ad altri 4 poliziotti appartenenti allo stesso Ufficio, numerosissimi capi di imputazione relativi al sequestro di persona aggravato, singolarmente o in concorso, per aver trattenuto altri stranieri "privati della libertà personale per un significativo intervallo di tempo". Pisa: nel carcere Don Bosco meno di 200 detenuti, lavori in corso in due reparti di Giovanni Parlato Il Tirreno, 9 gennaio 2015 Lavori in corso alla sezione femminile e al centro clinico. Il direttore: "Entro il mese saliranno a 250". All'interno del carcere Don Bosco i detenuti sono circa 200. "Ma entro la fine del mese dovremmo tornare ai nostri 250", afferma il direttore Fabio Prestopino. Il numero sotto la soglia dei 200 si spiega col fatto che sono chiusi sia la sezione femminile che il Centro clinico dove sono in corso dei lavori di ristrutturazione. "Il reparto femminile è chiuso da novembre, mentre il Centro clinico da dicembre. In ambedue erano necessari i lavori di rifacimento dell'impianto idrico. Poi, si sono sommati ulteriori lavori che, comunque, dovrebbero terminare entro gennaio", afferma il direttore Prestopino. Ma l'impianto idrico non era - certamente - l'unico problema da risolvere all'interno della casa circondariale che, tempo fa, avevamo visitato. Il problema delle crepe nei muri che avevamo visto, è stato risolto? "Le crepe ci sono tuttora - risponde il direttore del Don Bosco - vengono monitorate costantemente". Quelle crepe sono il segno del tempo, segni di una struttura progettata tra il 1928 ed il 1933 e costruita tra il 1934 ed il 1935 e che iniziò a funzionare nel 1944. Allora, ogni porta, ogni accesso veniva aperto e chiuso a chiave da un agente penitenziario. Un agente ad ogni passaggio. E la situazione è così tuttora. "In effetti, manca un'automatizzazione dei cancelli, è assurdo che ancora si aprano manualmente", afferma il direttore. Il carcere, che si trova a due passi dal centro storico, avrebbe bisogno di diversi interventi sia per alleviare la vita dei detenuti che rendere il lavoro degli agenti penitenziari meno stressante. "Non sappiamo quali saranno le risorse per il 2015" dice un po' sconsolato il direttore sapendo che la situazione economica del ministero non permette grandi spese. A Pisa, come altrove. Tuttavia, all'interno della casa circondariale ci sono spazi che sono importanti punti di riferimento come il polo universitario che ospita sia studenti-detenuti universitari che studenti della scuola media superiore. Le attività universitarie vengono realizzate in collaborazione con l'Università di Pisa, la quale, se pur in forme ridotte, sostiene anche gli studi dei detenuti universitari presenti negli Istituti di Massa e di Volterra. "Attualmente - spiega il direttore - sono cinque i detenuti del Don Bosco iscritti all'università di Pisa". Detenuti-studenti che vengono seguiti da personale specifico dell'ateneo così come da tutor e volontari. Vicino al polo universitario, si trova anche la biblioteca gestita sempre da detenuti. Un altro punto importante di riferimento tornerà ad essere il Centro clinico una volta che sarà terminata la ristrutturazione dell'impianto idrico. All'interno del Centro clinico (il quale è stato un punto di riferimento per altri carceri dell'Italia e tornerà ad esserlo), si trova una sala operatoria dove vengono eseguiti interventi chirurgici non complicati. L'assistenza sanitaria è garantita da medici dell'Asl. Imperia: in Consiglio comunale la mozione del Pd sul "lavoro di pubblica utilità" www.sanremonews.it, 9 gennaio 2015 Il Partito Democratico di Imperia presenterà in Consiglio Comunale una mozione riguardante il lavoro di pubblica utilità. Nel dettaglio, sono due i punti contenuti nella mozione. Il primo riprende una convenzione stipulata dal Comune di Imperia nel 2002 con il Tribunale, oggi scaduta. Secondo la convenzione, i cittadini autori di reati lievi, come la guida in stato di ebbrezza, possono richiedere di rivolgersi al comune e eseguire dei lavori di pubblica utilità per ottenere una sentenza di estinzione del reato. "Questa convenzione - commenta a Sanremo News il promotore, il Consigliere Comunale Pd Oliviero Olivieri - era limitativa, perché comprendeva una ventina di posti disponibili e veniva interpretata dagli uffici in modo molto restrittivo. Chi veniva destinato a lavori di pubblica utilità, infatti, veniva mandato a fare lavori di fatica, generalmente veniva destinato ai servizi cimiteriali". Il Partito Democratico ha così chiesto il rinnovo della convenzione con le modifiche sul numero di persone che vorranno fare richiesta. "Una possibilità - continua Olivieri - per i cittadini di redimersi e per l'ente di utilizzare della forza lavoro per vari interventi di manutenzione. Nella mozione chiediamo anche di poter utilizzare questo personale in altri campi, come per esempio i servizi sociali. Il controllo sarà comunque fatto dal giudice che dovrà stabilire se la persona sia o meno adatta a svolgere lavori di pubblica utilità". Il secondo punto riguarda il lavoro svolto dai detenuti del carcere di Imperia attraverso una convenzione con la casa circondariale. "È entrata in vigore nei mesi scorsi una legge - continua Olivieri - che permette ai detenuti che abbiano condanne per reati minimi, di poter svolgere dei lavori socialmente utili. Noi non abbiamo una convenzione di questo tipo, per cui chiediamo di attivarla". La mozione verrà presentata, probabilmente, nel corso del Consiglio Comunale del 28 gennaio. Fasano (Br): lavori socialmente utili, firmato l'accordo fra il Comune e il Tribunale di Marina Pignatelli www.fasanolive.com, 9 gennaio 2015 Siglato l'accordo fra il Comune di Fasano e il Tribunale di Brindisi per consentire ai detenuti condannati per reati lievi di svolgere lavori socialmente utili. Permettere ai detenuti condannati di impegnarsi in lavori socialmente utili per scontare la propria pena: è quanto stabilisce la convenzione sottoscritta dal Comune di Fasano con il ministero della Giustizia. A firmare l'accordo, nella sede del Palazzo di giustizia di Brindisi, sono stati l'assessore Vito Martucci (in rappresentanza dell'Amministrazione comunale) ed il presidente del Tribunale di Brindisi facente funzioni Cosimo Almiento (per conto del dicastero della Giustizia). "Abbiamo manifestato la disponibilità ad utilizzare quei condannati per piccoli reati, che non creano particolare allarme sociale, in lavori in favore della collettività - afferma l'assessore Martucci; naturalmente, sarà il giudice ad emettere una sentenza di questo tipo, ossia a prevedere in alternativa alla detenzione la possibilità che il condannato lavori per il nostro Comune: due ore lavorative corrisponderanno ad un giorno di pena, quindi quattro ore al giorno di lavoro corrisponderanno a due giorni di pena. La nostra iniziativa ha una grande valenza sociale - sottolinea Martucci - poiché consente a persone che hanno sbagliato di risarcire la società con dei lavori di pubblica utilità che, ovviamente, non sono retribuiti. Questi condannati inviati a Fasano per la prestazione lavorativa non percepiranno alcuno stipendio per il lavoro che svolgeranno. Ma l'iniziativa mira a ricreare le condizioni di reinserimento sociale e lavorativo per i condannati. La nostra decisione di sottoscrivere questa convenzione - spiega Martucci - è in perfetta linea con i provvedimenti adottati dalle precedenti Amministrazioni comunali di centrodestra. Fasano, infatti, dal 2002, come uno dei pochi e dei primissimi Comuni italiani, ha promosso e sostenuto la nascita, affidandone lavori di pubblica utilità, di coop. di ex detenuti e sorvegliati speciali di pubblica sicurezza: un'interessantissima esperienza che ha dato a Fasano una visibilità nazionale e che ancora oggi dà i suoi frutti sul reinserimento socio-lavorativo di un nutrito gruppo di cittadini che hanno avuto problemi con la giustizia". I detenuti condannati per reati lievi potranno quindi svolgere delle mansioni nei settori di custodia e manutenzione del patrimonio ambientale e comunale, del verde pubblico, degli uffici comunali, delle aree cimiteriali; del riordino degli archivi e dell'attività tecnica ed amministrativa; inoltre, potranno essere impiegate come supporto ed assistenza a disabili, a famiglie e ad anziani in situazione di forte difficoltà. Potranno essere impiegati un massimo di dieci detenuti contemporaneamente nei giorni dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 12.30. "Noi siamo già pronti ad impiegare in lavori di pubblica utilità i primi condannati cui il giudice sentenzierà questa possibilità al posto della detenzione - afferma l'assessore Martucci: toccherebbe al segretario generale del Comune ed a tutti i dirigenti comunali decidere le mansioni specifiche e ad impartire istruzioni a quei condannati che saranno inviati al Comune". Siracusa: la protesta degli agenti penitenziari trova la solidarietà dell'on. Sofia Amoddio Libertà, 9 gennaio 2015 "Esprimo la mia solidarietà ai Sindacati di Polizia penitenziaria che stanno manifestando non solo per il mancato inserimento in busta paga degli accrediti dei servizi dei mesi precedenti, ma per le problematiche condizioni in cui, giornalmente, prestano il loro servizio". Così l'on. Sofia Amoddio deputato nazionale del Partito Democratico relativamente al sottodimensionamento dell'organico nel carcere di Siracusa, argomento di una interrogazione parlamentare presentata il mese scorso al Ministro della Giustizia. "Tra pensionamenti e trasferimenti, il personale degli agenti di polizia penitenziaria in pianta organica si è abbassata di troppe unità. L'entrata in vigore della "sorveglianza dinamica" che dispone l'apertura delle celle dalla mattina al pomeriggio, permettendo ai detenuti di potersi muovere liberamente negli spazi comuni, ha in parte ovviato alle gravi carenze di organico del personale di polizia penitenziaria perché permette un controllo esterno ma, in caso di emergenza, l'intervento degli agenti diventa più complicato. "La sorveglianza dinamica - dice l'on. Amoddio - come avviene nelle carceri del nord Italia, dovrebbe essere supportata da un rete di telecamere di sorveglianza che a Cavadonna risulta obsoleta ed insufficiente. Nel carcere di Siracusa il rapporto è di due agenti per centoventi detenuti, numeri impietosi che giustificano le lamentele dei sindacati". Come si ricorderà nelle settimane scorse proprio nel carcere di contrada Cavadonna si era registrato un episodio particolarmente preoccupante. Quasi un centinaio di detenuti, durante il periodo di cosiddetta vigilanza dinamica, sono venuti a contatto, scatenando una maxi rissa sedata a fatica dagli agenti di polizia penitenziaria, che ha provocato il ferimento di alcuni detenuti e l'arrivo degli ispettori nella casa circondariale siracusana, per comprendere fino in fondo che cosa sia realmente accaduto. Il sindacato attribuisce la responsabilità proprio alla vigilanza dinamica, che non è possibile applicare in assenza di supporti tecnologici. "Quello della polizia penitenziaria - conclude Sofia Amoddio - è un lavoro molto difficile, delicato ed usurante. Per questo continuerò a seguire questa battaglia nelle sedi istituzionali perché sono fermamente convinta che la protesta dei sindacati sia giusta e che lo Stato debba intervenire per garantire un congruo numero di agenti e standard di sicurezza". Como: "I detenuti qui sono abbandonati", denuncia dei Radicali sul carcere del Bassone di Paola Pioppi Il Giorno, 9 gennaio 2015 "Il Bassone è un carcere con diversi punti critici". Valerio Federico, Tesoriere nazionale di radicali Italiani, assieme a Roberto Sartori di Fondazione Exodus, sono i rappresentanti della delegazione che ha visitato la casa circondariale comasca, unica in Lombardia scelta nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella". "Il Bassone è un carcere con diversi punti critici". Valerio Federico, Tesoriere nazionale di radicali Italiani, assieme a Roberto Sartori di Fondazione Exodus, sono i rappresentanti della delegazione che ieri mattina ha visitato la casa circondariale comasca, unica in Lombardia scelta nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella". "Il regolamento penitenziario è considerato carta straccia - ha detto Federico, mentre ne strappava pubblicamente una copia - perché non viene rispettato. Lo spazio nelle celle deve esser almeno di tre metri quadrati calpestabili, fino ai sette previsti dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, ma questo a Como non avviene. Inoltre è previsto un detenuto per ogni cella, e qui sono in due o tre". Un situazione, quella del sovraffollamento nella casa circondariale comasca, che è notevolmente migliorata nell'ultimo anno, portando a 367 le presenze di detenuti, a fronte di una media di cinque o seicento mantenuta per anni. "Inoltre - ha proseguito Federico - le celle non hanno docce annesse: sono presenti tre docce ogni 50 o 60 detenuti, in spazi separati". Un problema strutturale legato alla progettazione originaria del Bassone, a cui si aggiunge un altro aspetto critico sottolineato dal portavoce di Radicali Italiani: "L'ordinamento dice che deve essere garantito il lavoro, ma qui a Como solo un cinquantina di detenuti su 367 sono impiegati nel lavoro interno, e 3 in occupazioni esterne: non è stata creata una rete di contatti con il territorio, che potesse garantire lo scambio tra società e carcere. La rieducazione senza lavoro e in condizioni di vita come quelle che abbiamo visto, è impossibile". Federico ha aggiunto ulteriori numeri per evidenziare le difficoltà emerse durante la visita al Bassone. "Sono in servizio 5 educatori e 3 psicologi: richieste di visite, di farmaci o di colloqui rimangono quasi sempre inevase, perché il personale è insufficiente a far fronte alle domande della popolazione penitenziaria". Secondo il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, "la combinazione tra sovraffollamento, un regime povero di attività e un inadeguato accesso ai servizi igienici, costituisce un insieme nocivo per i detenuti". Per Roberto Sartori, "la situazione del Bassone non è molto diversa da quella degli altri istituti penitenziari italiani, ma mi ha sorpreso il fatto di non trovare nessun educatore in servizio in un giorno festivo". Inoltre, da Federico, è giunto un moto di indignazione per l'aula bunker realizzata a ridosso del Bassone: "Era costata cinque miliardi - ha detto - ed è stata usata per un solo processo vent'anni fa, mai recuperata". Infine la delegazione ha sottolineato gli aspetti positivi del carcere visitato ieri mattina: "Abbiamo trovato una grande disponibilità da parte della polizia penitenziaria e della direttrice, una situazione di sovraffollamento meno drammatica rispetto ad alcuni anni fa, e l'adozione della sorveglianza dinamica, grazie alla quale cinque sezioni su sette rimangono aperte per dieci ore al giorno, consentendo ai detenuti di muoversi liberamente all'interno della sezione". Velletri: Sippe; rissa fra detenuti italiani e albanesi, nel carcere ci sono troppi stranieri www.ilmamilio.it, 9 gennaio 2015 "Nel penitenziario di Velletri ieri nel pomeriggio, verso le ore 16:30 in una delle sezioni detentive che ospitano 52 detenuti scoppia una rissa fra detenuti italiani e albanesi, ad avere la peggio è stato un detenuto albanese, solo grazie al intervento tempestivo dell'unico agente di Polizia penitenziaria addetto al controllo della sezione che gli ha evitato il peggio riuscendo a limitargli i danni, se le cavata con un taglio profondo lungo 10 cm sul volto ed ematomi in varie parti del corpo. Nei giorni scorsi nel penitenziario di Velletri, grazie sempre alla elevata capacità professionale dell'agente e del medico di turno che ha praticato un lungo massaggio cardiaco è stata salvata la vita a un detenuto Italiano in arresto cardiorespiratorio, subito dopo trasportato in eliambulanza presso l'Ospedale di Latina per le cure del caso. L' Istituto penitenziario di Velletri ospita dai 600 ai 650 detenuti ed è al primo posto di avere un coefficiente molto alto riguardo alla mancanza di agenti di Polizia penitenziaria con un coefficiente di uno 0,26 rispetto a quello stabilito dello 0,48 ad un livello nazionale. Nonostante ciò il Dap aveva emanato un provvedimento di rientro in sede dei 15 agenti distaccati da altri Istituti per l'apertura del nuovo Padiglione, grazie alle proteste e alle insistenze del Sippe il provvedimento è stato revocato fino al 10 febbraio 2015 in attesa di trovare una soluzione definitiva. Noi del Sippe chiediamo alle autorità competenti di sanare i 15 Agenti distaccati e di inviare con tempestività almeno 40 unità di Polizia penitenziaria, perché il personale è esausto, anziano e non c'è la fa più. Frosinone: Costantino (Fns Cisl); agente penitenziario aggredito da un detenuto Ansa, 9 gennaio 2015 "Purtroppo dobbiamo segnalare il primo caso nella regione Lazio di un aggressione avvenuta a danno del personale di Polizia Penitenziaria. Apprendiamo che l'aggressione è avvenuta da un detenuto italiano, di circa 30 anni, il quale ha provocato all'agente scelto di Polizia Penitenziaria, P.M . un trauma su occhio e dente rotto, e vari giorni di prognosi. Attualmente il detenuto è stato messo in reparto di isolamento in attesa di provvedimenti del caso. Purtroppo dobbiamo evidenziare che essendo in detto istituto, cosi altri nel Lazio, applicata la sorveglianza dinamica ciò provoca tali eventi che non possono essere impediti e tantomeno tollerati del personale. Per la Fns Cisl Lazio, quindi, occorre intervenire, al fine di evitare episodi del genere aumentando sia il numero degli agenti, considerata la grave carenza di personale, ma allo stesso tempo inasprire le pene detentive per detenuti resosi responsabili di fatti del genere. La Fns Cisl Lazio esprime solidarietà nei confronti del personale coinvolto". Lo rende noto, in un comunicato, il segretario regionale Fns Cisl Lazio, Massimo Costantino. Verona: sportello per vittime dei reati, in un anno solo in 24 persone hanno chiesto aiuto Corriere di Verona, 9 gennaio 2015 Derubati, aggrediti, truffati: "Così li aiutiamo". C'è la coppia che ha trovato la propria auto danneggiata, c'è la donna che subisce maltrattamenti e l'anziano vittima di truffa. Tutti accomunati da una sorta di "disorientamento" di fronte al magma del sistema giudiziario italiano. Persone che ritengono di aver subito un torto e che non sanno come comportarsi. È a loro che si rivolge lo Sportello di ascolto delle vittime di reato, inaugurato nel dicembre 2013 dal Consiglio comunale di Verona grazie all'impegno dei volontari dell'Associazione scaligera assistenza vittime di reato (Asav) e alla collaborazione della polizia municipale e del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Margherita Forestan. Uno sportello aperto ogni martedì in Comune dalle 16 alle 19 (per contatti info@assistenzavitti-medireato.vr.it, o 377.4776561), a cui si sono rivolte complessivamente 24 persone nel corso del 2014 "Offriamo principalmente ascolto, ma anche informazioni riguardanti la tutela legale, il sistema penale e il procedimento giudiziario, oltre ad orientarle ai servizi territoriali (Usl / consultori) e agli ordini professionali di competenza, avvocati e psicologi" ha spiegato la presidente dell'Asav, Annalisa Rebonato. E la speranza è che, nell'anno appena iniziato, i numeri possano aumentare: "Le autorità, a causa delle mancanze del Legislatore, non si preoccupano delle vittime. Noi siamo qui per loro e alle varie forze dell'ordine che ricevono le singole denunce) chiediamo di indirizzare queste persone verso di noi in caso di necessità di assistenza". "Se la vittima non si sente sola, è più propensa a denunciare e a far emergere realtà che troppo spesso vengono ignorate anche dalle istituzioni" ha commentato il presidente del Consiglio comunale, Luca Zanotto. "Non vi può essere un recupero alla società per chi commette un reato - ha concluso il Garante Forestan - senza una forte azione a favore della vittima. Con questo servizio, primo e unico in Italia, si garantiscono alle vittime rispetto, sensibilità e assistenza". Agrigento: incontro in carcere tra l'Arcivescovo Montenegro e la mamma del piccolo Loris www.infoagrigento.it, 9 gennaio 2015 Ha celebrato messa presso la cappella del carcere di contrada Petrusa l'Arcivescovo, nominato da poco Cardinale, don Francesco Montenegro; un gesto di vicinanza e solidarietà ai detenuti della casa circondariale di Agrigento, in questi giorni alla ribalta della cronaca per il fatto di avere tra i detenuti Veronica Panarello, la mamma di Loris Stival, il bambino ucciso in provincia di Ragusa nei giorni scorsi. Dopo la messa, l'Arcivescovo si è soffermato con la madre sul quale pende l'accusa molto grave di avere ucciso il proprio figlio; un incontro breve ma intenso, un dialogo personale tra don Francesco Montenegro a Veronica Panarello. Un dialogo sul quale lo stesso Montenegro vuole mantenere assoluto riserbo: "È stato un colloquio tra me e lei" afferma ai cronisti presenti presso il carcere di contrada Petrusa. L'Arcivescovo ha solo precisato che si tratta di una donna molto affranta, senza poi aggiungere altri particolari. Dopo la visita del marito, per Veronica Panarello adesso anche l'incontro con l'Arcivescovo Montenegro; la donna si trova da fine anno 2014 ad Agrigento, spostandosi a Catania soltanto giorno 31 dicembre per l'udienza per la convalida dell'arresto. Immigrazione: disordini Cara di Mineo nel dicembre scorso, nuovo arresto Italpress, 9 gennaio 2015 Un cittadino nigeriano è stato fermato dalla polizia di Stato nell'ambito delle indagini avviate in seguito agli incidenti verificatisi il 29 dicembre scorso presso il Cara di Mineo, nel catanese. In manette è finito Eric Richardson, di 23 anni. Il giovane è ritenuto responsabile, in concorso con un altro connazionale gia' tratto in arresto subito dopo gli incidenti, dei reati di devastazione e saccheggio, danneggiamento seguito da incendio, resistenza a pubblico ufficiale ed altri reati. Il fermo rientra nell'ambito delle indagini avviate per fare luce sui disordini scoppiati nel Cara di Mineo, nel corso dei quali un gruppo di cittadini nigeriani, a seguito della notifica del diniego dello status di rifugiato politico da parte della Commissione territoriale, ha incendiato e danneggiato quattro vetture presenti all'interno del centro, una delle quali della Croce rossa italiana, e saccheggiato un magazzino di distribuzione di vestiario, sigarette ed altri beni. L'arrestato è stato condotto presso il carcere di Caltagirone. Unione Europea: Caputo (Sd) "firmare dichiarazione contro sovraffollamento carcerario" www.campanianotizie.com, 9 gennaio 2015 "Il sovraffollamento è il problema principale nelle carceri europee. È necessario fornire sostegno agli Stati membri per migliorare le condizioni delle carceri, anche attraverso opportuni interventi per l'adeguamento delle strutture e lo sviluppo di misure alternative alla detenzione". È quanto si propone la "Dichiarazione scritta" promossa da Nicola Caputo (S&D) (ex art. 136 del Regolamento) e cofirmata da altri parlamentari di diversi gruppi politici: Caterina Chinnici, Paolo De Castro, Miriam Dalli, Michela Giuffrida, Nicola Danti, Isabella De Monte e Cecile Kyenge per S&D, Aldo Patriciello per il Ppe, Eleonora Forenza e Barbara Spinelli per GUE/NGL. La dichiarazione sul sovraffollamento delle carceri è stata messa a disposizione dei parlamentari per la firma già il 15 dicembre scorso e resterà disponibile per la sottoscrizione fino al 15 marzo prossimo. "Abbiamo bisogno del sostegno di 376 Deputati europei perché la dichiarazione sia adottata dal Parlamento Europeo - spiega Nicola Caputo - in un recente rapporto del Comitato del Consiglio d'Europa si identifica nel sovraffollamento il problema principale nelle carceri europee". "Condizioni carcerarie inaccettabili, spiega Caputo, si riscontrano in particolare in Italia, Grecia e Francia. La maggior parte degli Stati membri non rispetta gli standard minimi europei previsti dai regolamenti elaborati dal Consiglio d'Europa". "Sono necessarie azioni immediate per prevenire le conseguenze del grave sovraffollamento carcerario che impedisce anche di fornire un'adeguata assistenza psichiatrica e medica ai detenuti". "La Commissione - si legge nella dichiarazione - è chiamata ad esaminare tutte le risorse disponibili per fornire sostegno agli Stati membri per migliorare le condizioni delle carceri, attraverso opportuni interventi per lo sviluppo di misure alternative alla detenzione, considerata la particolare importanza che l'Ue attribuisce al rispetto dei diritti fondamentali". Unione Europea: le vere vittime dei fanatici sono i musulmani moderati e laici di Giuliana Sgrena Il Manifesto, 9 gennaio 2015 L'angoscia e lo smarrimento suscitati dalle immagini che arrivavano da Parigi, lasciano ora spazio a interrogativi e considerazioni. Innanzitutto la freddezza e la preparazione militare dei terroristi segna un salto di qualità nel terrorismo islamico globale. Persino l'urlo di "Allah u Akbar" così nitido è apparso privo di emozione e di fanatismo. L'obiettivo stesso appare simbolico più che frutto di una reazione a vignette anti-islamiche, che sarebbe stato più comprensibile in occasione della pubblicazione di quelle più dissacranti. Le vignette contro Maometto pubblicate da un giornale danese nel 2005 avevano provocato mobilitazioni anti-occidentali in vari paesi musulmani, mentre l'attacco di Parigi è stato condannato con rare eccezioni di plauso. L'obiettivo scelto è infatti molto "sofisticato" per le masse arabe, si è voluto colpire la laicità nella sua espressione più radicale: Charlie Hebdo in nome della libertà dissacrava e sbeffeggiava la religione come la politica o il sesso. L'obiettivo sembra quindi più una scelta dell'islamismo francese o europeizzato. Chi può odiare tanto un simbolo della laicità se non un islamista francese? Questo attentato è il frutto avvelenato dell'islam globalizzato, un'ideologia sostenuta anche da intellettuali occidentali che hanno convinto molti europei della loro intenzione di modernizzare l'islam mentre il vero obiettivo era ed è quello di islamizzare l'Europa. È la stessa ideologia che ha generato il califfato di al Baghdadi, che in nome dell'islam globale vuole abbattere le frontiere coloniali in Medioriente. La coincidenza con l'uscita del provocatorio romanzo di Houellebecq Sottomissione (traduzione letterale di Islam) sulle conseguenze della diffusione dell'islam in Europa - i musulmani sono già e saranno sempre più una presenza importante e financo preponderante - ha scatenato ipotesi drammatiche sul nostro futuro. Questo ci deve spaventare? No, ma non possiamo ignorare le contraddizioni vissute da chi, di origine musulmana, è cresciuto in un paese più o meno laico (l'Italia non lo è) e apprezza questa laicità ma non è disposto a mettere in discussione i principi dell'islam (secondo una versione integralista) soprattutto rispetto alle donne. Sono contraddizioni più laceranti nei giovani che negli adulti. Lo scontro più duro tra un mondo sostanzialmente laico e la volontà di imporre una visione più ortodossa dell'islam si è verificato di recente proprio in un paese musulmano come la Tunisia. Non a caso i due fratelli franco-algerini ritenuti responsabili dell'attentato - Chérif e Said Kouachi - sono legati alla filiera jihadista Buttes-Chaumont di Boubaker al Hakim, franco-tunisino, che ha rivendicato nel dicembre scorso, l'assassinio dei due noti esponenti del Fronte popolare, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. La rivendicazione, a nome dello Stato islamico (Isil), è avvenuta alla vigilia del secondo turno delle presidenziali tunisine e faceva appello al boicottaggio. Sebbene i due giovani siano stati indicati dai testimoni come appartenenti ad al Qaeda in Yemen, il loro passato è più legato ad al Qaeda in Iraq che sarebbe poi diventata Isil. E questo dimostra come il terrorismo globale non risponda più a una sigla ma molti gruppi possono agire in nome del Jihad. Kouachi era stato arruolato nel 2004 da Farid Benyettou, autoproclamatosi imam. I due erano stati arrestati nel 2005 mentre Kouachi era in partenza per Damasco. Boubaker al Hakim, arrestato in Siria dove ha passato un anno in carcere, è stato estradato in Francia nel 2005, dove nel 2008 è stato condannato a sette anni, ma nel 2011 è stato liberato. Sono solo alcune storie di jihadisti che dimostrano come personaggi già noti alla giustizia possano continuare a organizzare attentati tra una missione e l'altra sui terreni di guerra. È questo il terrorismo globale, che non può essere combattuto solo con misure di sicurezza: ancora più importante è combattere l'ideologia portata alle estreme conseguenze dai terroristi. Il "successo" in Iraq e Siria di al Baghdadi ha fatto proliferare i suoi sostenitori nel nord Africa e anche in occidente. Ora si chiede alla comunità musulmana di condannare il terrorismo, di farlo più esplicitamente. Questo indubbiamente serve a isolare i jihadisti, ma non basta farlo quando c'è l'emergenza, la paura, occorre prestare maggiore attenzione a quelle forze, a quei religiosi, che dentro il mondo islamico si battono, a loro rischio e pericolo, per una secolarizzazione dell'islam. Non serve condannare le atrocità commesse in nome dell'islam solo quando toccano l'occidente, perché le principali vittime del fanatismo non siamo noi ma i musulmani moderati e laici. Unione Europea: verso nuove norme per rafforzare la sicurezza negli Stati membri Askanews, 9 gennaio 2015 L'Ue potrebbe proporre nuove norme per rafforzare la sicurezza negli Stati membri, in risposta all'attentato di Parigi contro la redazione del Charlie Hebdo. Lo hanno affermato oggi a Bruxelles fonti comunitarie qualificate, precisando che innanzi tutto potrebbe esserci una revisione della decisione quadro 2002/475/ del Consiglio Ue per gli Affari interni e di Giustizia (Jha) sulla lotta al terrorismo. A livello legislativo, il giro di vite riguarderebbe in particolare i cosiddetti "foreign fighter", i combattenti della Jihad islamista provenienti dai Paesi europei, che rappresentano una minaccia alla sicurezza al loro ritorno in patria. La revisione della decisione quadro Ue sarebbe anche un modo per applicare a livello europeo la risoluzione 2178 adottata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu nel settembre scorso, che chiede di definire e perseguire come reati gravi i viaggi per compiere attività terroristiche o per l'addestramento nelle basi terroristiche, e il finanziamento o l'organizzazione di queste attività. Oltre alla definizione comune dei reati, verrebbero anche fissate nuove pene minime molto severe per chi li commette. Secondo le stime dell'Ue, i "foreign fighter" sarebbero oggi circa 12.000, di cui 2.500 di origine europea. Per poter individuare e bloccare più facilmente i "foreign fighter", comunque, sarà necessario ripresentare la normativa sulla raccolta dei dati dei passeggeri aerei (Pnr), che il Parlamento europeo aveva bocciato per ragioni di protezione della privacy. Un intervento in un campo d'azione nuovo, secondo le fonti, potrebbe interessare la sicurezza privata, con l'imposizione di standard comuni almeno per quanto riguarda il reclutamento e il "training" degli agenti, per i quali oggi esistono "enormi differenze" a seconda delle diverse agenzie, che competono sul piano dei costi. Basta guardare i numeri per capire quanto potrebbe essere utile un miglioramento qualitativo in questo settore: "Gli agenti privati sono oggi nell'Ue 2,5 milioni, il quintuplo degli agenti della sicurezza pubblica", hanno spiegato le fonti. Un altro livello è quello della cooperazione fra gli Stati membri, e in particolare giudiziaria e di polizia, di sicurezza e intelligence, delle forze speciali etc., che deve essere intensificata. A livello di "policy", infine, vanno intensificati i controlli sulle armi e gli esplosivi e sui possibili materiali chimici, biologici e nucleari che potrebbero essere usati per degli attentati. L'idea è quella di utilizzare l'"expertise" e le competenze tecniche avanzate che sono state accumulate negli ultimei anni su questo tipo di controlli negli aeroporti, e trasferirla negli edifici pubblici e nei luoghi in cui si svolgono riunioni pubbliche. Ma la "policy" più importante è quella da condurre contro la radicalizzazione nelle società europee, "che non è solo una questione di intelligence, ma anche e soprattutto di lavoro nel sociale". Per un ex detenuto, per esempio, "la fase più delicata, è quella del suo ultimo mese in carcere, o dei suoi primi giorni di libertà", quando più è esposto al reclutamento terrorista. A questa politica anti radicalizzazione, secondo le fonti, "è importante che partecipino anche le Ong, i sindacati, le organizzazioni giovanili. E soprattutto la polizia locale, che deve essere in grado di interpretare i primi segni della radicalizzazione negli individui: per esempio simboli ostentati come tatuaggi e bandiere, oppure il fatto che uno scompare per sei mesi e poi torna con un certo taglio di capelli". Dopo l'attentato al Charlie Hebdo, la minaccia terroristica, i "foreign fighter" e la nuova strategia europea di sicurezza saranno al centro di una serie di riunioni dei ministri degli Esteri e di quelli degli Affari interni e di Giustizia dell'Ue, nelle prossime settimane, come nuove priorità, o priorità rafforzate nelle agende dell'Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, e della nuova presidenza lettone del Consiglio Ue. Il Parlamento europeo ne discuterà con la presidenza lettone e con l'Alto rappresentante durante la sua sessione plenaria la settimana prossima a Strasburgo. Turchia: Abdullah Ocalan; resterò in carcere fino alla soluzione della "questione curda" Aki, 9 gennaio 2015 Il messaggio del leader del Pkk rilanciato dal presidente del Partito democratico popolare Demirtas. Il leader del Pkk Abdullah Ocalan ha promesso che resterà in carcere fino a quando non sarà risolta la questione curda in Turchia. Lo ha detto Selahattin Demirtas, il leader del curdo Partito democratico popolare (Hdp) che ad agosto ha sfidato Recep Tayyip Erdogan alle elezioni presidenziali. "Non lascerò il carcere fino a quando cambieranno le cose che mi hanno portato qui. Ora per me non ha senso rimettermi in libertà", ha detto Ocalan in un messaggio rilanciato da Demirtas. Il leader del Pkk, che si trova in un carcere di massima sicurezza sull'isola di Imrali in Turchia dal 1999, nel marzo dello scorso anno ha avviato un processo di pace con Ankara. "Anche se mi aprissero le porte del carcere di Imrali, non uscirei", ha detto. Demirtas ha poi dichiarato che Ocalan, 66 anni, non ha mai chiesto alle autorità turche di liberarlo. "Sono trascorsi 15 anni da quando Abdullah Ocalan è stato incarcerato per motivi politici e non legali - ha detto Demirtas - Vuole agire perché si scriva una Costituzione civile e non ha mai chiesto alle autorità turche di rilasciarlo". A essere allentante, dice Demirtas, dovrebbero essere le condizioni di detenzione di Ocalan. "Sono tre anni che a nessuno degli avvocati di Abdullah Ocalan è stato concesso di incontrarlo. Penso che non ci dovrebbero essere divieti simili, anche per i politici che vogliono vedere Abdullah Ocalan", ha affermato Demirtas. Stati Uniti: detenuti musulmani; no a guardie donna nel carcere di Guantánamo Ansa, 9 gennaio 2015 Via le guardie donne dalla prigione di Guantánamo: lo stabiliscono nuove disposizioni, che riguardano tuttavia solo i cinque detenuti imputati per l'11 settembre e rinchiusi nell'ala off limits del supercarcere militare americano nella base a Cuba conosciuta come Camp 7. La decisione è stata presa dopo che i detenuti, tra cui Khalid Sheikh Mohamed, considerato la mente degli attentati alle Torri Gemelle, si erano rifiutati di parlare con i loro avvocati perché considerano umiliante e contro la fede islamica essere ‘toccati' da donne che non hanno alcun legame con loro. Inizialmente le autorità militari avevano ribattuto dicendo che l'impossibilità di usare le donne per spostare i detenuti da Camp 7 avrebbe creato sovraccarichi di lavoro, ma poi hanno ceduto "nel tentativo - come loro stessi hanno detto - di fare gli interessi di tutte le parti" e ora il provvedimento è in attesa di una decisione finale e riguarda solo i top prisoners di Camp 7. "Il carcere di Guantánamo - ha detto il tenente colonnello Myles Caggins, Defense Department spokesman for Military Commissions, si adeguerà all'ordine temporaneo di non assegnare personale femminile per gli spostamenti dei detenuti per i loro incontri con i legali, le udienze preliminari e altre circostanze". India: oltre 600 detenuti accusati di omosessualità, reato reintrodotto nel dicembre 2013 di Roberto Russo www.queerblog.it, 9 gennaio 2015 Da quando è stato reintrodotto il reato di omosessualità in India, sono aumentate le aggressioni a persone Lgbt. Il Ministero degli Interni dell'India ha pubblicato una relazione in cui si illustrano le detenzioni che si sono avute fino al mese di ottobre 2014 nel Paese per violazione della sezione 377 del Codice Penale Indiano che dichiara illegale qualunque atto considerato "contro natura". Secondo la relazione, si sono avuti 778 casi che avevano a che fare con la pratica dell'omosessualità e 587 detenzioni. Stando alla stampa, però, le cifre reali sarebbero superiori, perché alcuni stati non hanno comunicato i dati (come il Bengala Occidentale e Karnataka) e altri ancora lo hanno fatto parzialmente (Dehli - che ha il più alto numero di detenzioni in merito - ha fornito i dati fino a settembre, e Uttar Pradeh fino a giugno). Si stima che le detenzioni per omosessualità siano oltre seicento. Come ricorderete, alla fine del 2013 la Corte Suprema dell'India ha reintrodotto la sezione 377 del Codice Penale, sezione che punisce le relazioni sessuali "contro natura". Nel 2009 l'Alto Tribunale di Delhi aveva abrogato tale sezione, perché punire atti sessuali consenzienti tra adulti viola i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Ma nel dicembre 2013 la Corte Suprema rimise in vigore la norma, perché di competenza del potere legislativo e non di quello giudiziario. Da allora, le relazioni omosessuali sono punite in India con la detenzione fino a dieci anni. Le associazioni per la difesa dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali hanno denunciato che, da quando è stata reintrodotta la sezione 377 del Codice Penale, sono aumentate moltissimo le aggressioni omofobiche nel paese.