Giustizia: le ambizioni del Governo contro gli evasori e quei dubbi sui troppi condoni di Federico Fubini La Repubblica, 6 gennaio 2015 La legge di stabilità riesce in una difficilissima quadratura del cerchio sui conti pubblici grazie ad un'arma in più: prevede entrate supplementari dalla lotta all'evasione per 3,8 miliardi di euro. È un'accelerazione dirompente, perché gli ultimi dodici anni avevano portato appena una decina di miliardi. Significa quadruplicare la velocità alla quale lo Stato attacca la montagna da 90 miliardi di euro e da cinque milioni di elettori dell'evasione fiscale. Non è un impegno che un governo possa prendere alla leggera, fingendo poi sorpresa quando l'obiettivo sarà mancato. Tra centrarlo o meno c'è la differenza che passa fra il rispetto o no del Fiscal Compact e l'apertura di una procedura di Bruxelles. E il governo di Matteo Renzi non prende alla leggera il suo annuncio, perché prevede nuove misure che possono avere un impatto notevole. Da quest'anno l'Iva su gran parte dei lavori di imprese di servizi e costruzioni verrà pagata dal committente, anche quando si tratta dello Stato che paga se stesso, dunque sarà più difficile da eludere. Il problema è che la logica e la coerenza del governo, su questo fronte, rischiano di non fare molta più strada di così. Ciò che è venuto dopo, intorno, a fianco di quel grande impegno sui 3,8 miliardi spesso erode e contraddice gli intenti dichiarati nella Legge di stabilità e l'approccio stesso del premier. È persino possibile che la cosiddetta norma "salva-Berlusconi", quella che depenalizzava i casi di evasione entro il 3% delle somme dovute al fisco, fosse prima di tutto un effetto di questo procedere ondivago. Non di chissà quale complotto. A onore del vero, questo governo ha ereditato dai suoi predecessori la delega per regolare cosa è criminale e cosa merita il carcere nel rapporto del cittadino con il fisco. Ma, come nota Vincenzo Visco sul sito lavoce.info, non era costretto a sancire che le fatture false fino a un importo di mille euro semplicemente non sono un reato. In precedenza la soglia era a zero e, in un Paese preso alla gola dalla corruzione a tutti i livello degli enti locali e fra imprese stesse, non si avvertiva l'urgenza di aprire questo varco nella rete. Meno ancora adesso che proprio il governo reagisce agli scandali di Mafia Capitale, dell'Expo o del Mose alzando le pene per la malversazione. Un corrotto o corruttore va forse perdonato, se fatica a capire quale sia il segnale che questo esecutivo cerca di inviargli: cerca di rendergli la vita più difficile, oppure più facile? Nello stesso pacchetto sul fisco, il ministero dell'Economia e poi il governo depenalizzano l'abuso del diritto, cioè l'elusione delle tasse grazie all'uso strumentale di norme italiane o estere. Una mossa del genere può non piacere, ma non è priva di senso: questo è un tipico caso in cui l'accumulo di leggi, sentenze e diritto con valore retroattivo ha messo molti investitori dalla parte sbagliata della legge molto dopo che avevano compiuto le loro scelte. Depenalizzare così l'elusione lascia l'amaro in bocca, ma fa qualcosa per non mettere in fuga qualche investitore estero confuso dalla giungla giuridico-fiscale del Paese. Diverso è invece il colpo di spugna sui reati tributari che, se fosse confermato nel decreto, rischia di bloccare un processo su tre. Ci si arriverebbe alzando la soglia sulle somme evase da 50 mila a 150 mila euro l'anno. Come nota Visco, sono in gioco redditi da 300 o 400 mila euro divenuti invisibili al fisco. Non pagare le tasse su di essi può provocare sanzioni salate, ma anche qui l'approccio sembra schizofrenico: contro la corruzione il governo crede alla deterrenza del carcere e alza le pene; contro l'evasione, che viaggia sempre unita alla corruzione, vede nella minaccia del carcere un fastidio inutile. Se l'obiettivo era liberare i tribunali da un eccesso di procedimenti, una risposta più efficace sarebbe introdurre multe durissime per chi lancia le cause cosiddette "temerarie" (cioè infondate). E, in prospettiva, ridurre il numero degli avvocati mettendo il numero chiuso all'iscrizione a Giurisprudenza. Ma non un colpo di spugna. Se l'obiettivo invece era aiutare le aziende in difficoltà, meglio dar loro credito tramite la Cassa depositi per permettere loro di pagare le tasse. E meglio ancora cambiare il sistema di bonus dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate, perché smettano di montare accuse infondate pur di indurre gli imprenditori a patteggiare e liberarsi del problema pagando. La lista delle ambivalenze nella lotta all'evasione potrebbe continuare. Il governo decide di rafforzare i pagamenti via carta di credito o bancomat agli esercenti, ma non premia chi si dota delle apposite macchinette (i Pos), né punisce chi non lo fa. E la "voluntary disclosure" per il rientro dei capitali dall'estero resta l'ennesimo condono, con multe ridotte e poi persino di nuovo dimezzate se il governo concluderà un accordo con la Svizzera entro febbraio. Forse l'Italia non è più un Paese per evasori, ma per sciatori sì: specialisti di slalom speciale. Giustizia: tutti i "no" all'indulto ed ai condoni… se c'entra Silvio, non se ne fa nulla di Carlantonio Solimene Il Tempo, 6 gennaio 2015 Che poi, a dirla tutta, che una legge favorisca qualcuno è ovvio. Altrimenti sarebbe inutile farla. Il problema, semmai, sorge quando a beneficiarne è una sola persona e non - magari - un'intera categoria precedentemente svantaggiata. Di certo, comunque, non è questo il caso dell'articolo 19bis del decreto attuativo della riforma fiscale. Stabilire che un'evasione di valore inferiore al 3% del reddito imponibile sia punita solo con una sanzione amministrativa, oltre che col pagamento per intero del dovuto, consentirebbe a chi elude il fisco per somme irrisorie - e magari per errori di calcolo - di evitare il tribunale e di cavarsela semplicemente regolarizzando la sua posizione. Oltre a "salvare" Berlusconi, insomma, salverebbe anche la platea di coloro che proprio non riescono a orientarsi nelle maglie labirintiche dell'erario. Questa norma, in ogni caso, non vedrà la luce. E non perché - come sarebbe lecito - il partito di chi la ritiene un favore agli evasori abbia avuto la meglio su chi la giudica sacrosanta. Ma solo perché sarebbe applicabile all'ex premier. "La verità è che oggi in Italia tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, a eccezione di Berlusconi" ha commentato Daniela Santanché. Il paradosso non è inedito. L'elenco di tutte le norme potenzialmente condivisibili ma "morte in culla" solo per il marchio d'infamia di essere pro-Berlusconi è lungo e prende le mosse già agli albori dell'esperienza politica del leader di Forza Italia. È il luglio del 1994 quando il primo governo del Cavaliere, appena insediatosi, fa approvare il decreto Biondi per vietare la custodia cautelare in carcere per i reati di corruzione e concussione, in piena bufera Mani Pulite. Della legge avrebbe beneficiato anche il fratello del premier, Paolo, arrestato a fine luglio. Nel frattempo, infatti, complici le proteste dell'opinione pubblica e le dimissioni in blocco del pool milanese, il governo ritira il provvedimento. I suicidi in carcere di Raul Gardini e Gabriele Cagliari, avvenuti un anno prima, nonché i casi di abuso della custodia cautelare verificatisi in seguito, mostrano come la questione andasse oltre il caso specifico. Ma c'era il "totem" Berlusconi, e l'argomento è rimasto tabù. Caso analogo per il tentativo, da parte del centrodestra, di introdurre l'immunità per le alte cariche dello Stato. Non solo, quindi, per il premier, ma anche per il Capo dello Stato e i presidenti di Camera e Senato. Il primo testo, in questo senso, fu suggerito nel 2003 dall'allora senatore della Margherita Antonio Maccanico, che auspicava la sospensione dei processi durante il semestre italiano di presidenza Ue. La Corte Costituzionale, però, lo annullerà nel gennaio 2004. Identico destino per i pressoché simili Lodo Schifani e Lodo Alfano, che non limitavano la sospensione dei processi alla sola durata del semestre europeo ma furono ugualmente bocciati dalla Consulta. Anche in questo caso, più che del dibattito sulla legittimità di una norma esistente in altre legislazioni europee (Francia e Spagna in primis), i giornali si occuparono delle polemiche sul "favore" a Berlusconi. E si arriva all'ultimo governo del Cav. Nel luglio 2011 nell'ambito della manovra viene approvata una norma per evitare, attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria, il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo. La concomitanza sospetta con l'imminente verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori - che costerà a Berlusconi quasi 500 milioni di euro da versare alla Cir di De Benedetti - fa esplodere le polemiche e il governo ritira la norma. "Spero non accada che i lavoratori di qualche impresa in crisi perché colpita da una sentenza provvisoria esecutiva, si debbano ricordare di questa vergognosa montatura" commentò con amarezza l'ex premier. Infine, vanno ricordate tutte le circostanze in cui si è adombrato un nuovo indulto per fare da deterrente alla gravissima situazione delle carceri. E puntualmente, l'ipotetica applicazione al caso di Silvio Berlusconi ha scatenato il caos. È l'ottobre 2013 quando Napolitano invia un messaggio alle Camere per auspicare un atto di clemenza. Il Movimento 5 Stelle accusa il Capo dello Stato di voler salvare Berlusconi, dal Colle si replica con rabbia: "Se ne fregano del Paese". L'allora Guardasigilli Annamaria Cancellieri è costretta a intervenire: "L'indulto non salverà Berlusconi". Nel dubbio - quando sono passati tredici mesi - non se n'è fatto nulla. Giustizia: l'affidamento non rende Berlusconi candidabile, la depenalizzazione sì di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 6 gennaio 2015 Matteo Renzi, più che una marcia indietro, ha solo deciso di rinviare a marzo il decreto di Natale che all'articolo 19-bis depenalizza i reati fiscali se l'evasione non supera il 3% dell'imponibile. Ma non è detto che a marzo la norma battezzata salva-Silvio abbia perduto il suo potenziale "devastante" rispetto a processi in corso e condanne definitive. Anzi, se non sarà ritirata o fortemente ridimensionata, sarà comunque un colpo di spugna in netta controtendenza rispetto alle dichiarate politiche antievasione e anticorruzione. E la sua portata "iper-retroattiva" potrebbe dare a Berlusconi una chance in più per "tornare politicamente in campo", oltre quelle derivanti dall'affidamento in prova ai servizi sociali, che finirà proprio nel mese di marzo. L'esito positivo della prova, infatti, fa cessare anche tutti "gli effetti penali della condanna" e da questo punto di vista produce un risultato analogo a quello della depenalizzazione contenuta nella norma incriminata:?certamente sarà cancellata l'interdizione di due anni dai pubblici uffici mentre per l'incandidabilità bisognerà prima stabilire se rientri o meno tra gli "effetti penali". In caso affermativo, Berlusconi torna in campo, altrimenti ne resta fuori. Tuttavia, poiché la legge Severino lega a doppio filo l'incandidabilità a una condanna per delitto non colposo, se la condanna viene travolta da una norma che depenalizza il delitto, cade il presupposto stesso dell'incandidabilità. E per questa via Berlusconi potrebbe addirittura chiedere di essere reintegrato in Parlamento, al pari di chi è "riabilitato". Il condizionale è d'obbligo poiché tutto è affidato all'interpretazione di norme finora mai o poco arate dalla giurisprudenza, come quelle della legge Severino del 2012. Perciò l'articolo 19 bis sembra un segnale di disponibilità a Berlusconi più che una garanzia. Certo è, invece, che è un "regalo" sfacciato a una platea molto vasta di evasori, indagati, imputati, condannati. Eppure, a determinarne il momentaneo stop non è stata tanto la presa d'atto di questo regalo generalizzato quanto le polemiche sul regalo all'ex premier, condannato per frode fiscale, nel processo Mediaset, a 4 anni di carcere (di cui 3 indultati) e a 2 di interdizione dai pubblici uffici. La norma è certamente retroattiva e quindi, in base all'articolo 2 del Codice penale, fa cessare "l'esecuzione della pena e gli effetti penali" di condanne definitive. Da questo punto di vista, però, non sposta nulla nelle prospettive che Berlusconi avrà alla fine dell'affidamento in prova, poiché l'articolo 47 dell'Ordinamento penitenziario dice che, con l'esito positivo della prova, il giudice dichiara estinta la pena e "ogni altro effetto penale". Dunque, in entrambi i casi ci sarebbe la prospettiva di non attendere il 2019 per tornare in campo ma di presentarsi come candidato-premier fin dalle prossime elezioni del 2018, o prima, in caso di voto anticipato. Prospettiva che, però, per diventare concreta richiede che l'incandidabilità sia considerata un "effetto penale" della condanna. E su questo ci sono orientamenti diversi, legati alla natura afflittiva o meno di questa sanzione. L'affidamento è cominciato il 9 maggio 2014 e finirà a marzo, più o meno contestualmente all'entrata in vigore della norma "salva-Silvio", se non fosse stata congelata. Di qui la sua irrilevanza rispetto all'esecuzione della pena, ormai conclusa. Quanto agli "effetti penali", con una recentissima sentenza del 18 dicembre 2014, la Cassazione ha esplicitato ciò che era implicito in due precedenti delle sezioni unite(7/94 e 5859/2012) e cioè che l'esito positivo della prova estingue anche le pene accessorie, come l'interdizione dai pubblici uffici, confermando così l'interpretazione ampia di "effetto penale". Ciò significa che se a marzo il Tribunale di sorveglianza riterrà che l'affidamento è andato a buon fine, insieme alla pena si estingueranno anche i 2 anni di interdizione. Per l'incandidabilità, invece, i difensori potrebbero chiedere al Tribunale di pronunciarsi sulla sua natura. Altrimenti la questione sarà risolta alla presentazione della candidatura nelle liste elettorali e poi dalle Camere. La legge Severino stabilisce che solo la "riabilitazione" fa cadere l'incandidabilità e questo è un argomento in più per sostenere che a maggior ragione in caso di depenalizzazione viene recuperato il diritto di elettorato passivo. La riabilitazione, infatti, non tocca la rilevanza penale del fatto commesso, mentre la depenalizzazione la cancella per cui sarebbe irragionevole sanzionare più severamente chi ha commesso un fatto che non è più reato. Al di là dell'incandidabilità, la norma incriminata sarebbe invece un regalo certo al premier rispetto all'indulto. In caso di successiva condanna, infatti, i 3 anni ora condonati a Berlusconi rivivrebbero e andrebbero scontati, mentre sparirebbero del tutto con la depenalizzazione del reato. Giustizia: il giallo del "salva Berlusconi", resta un mistero la paternità dell'art. 19bis di Andrea Colombo Il Manifesto, 6 gennaio 2015 Nessuna paternità per la norma che permetterebbe all'ex Cavaliere di ricandidarsi. Renzi promette di cancellare la "svista", ma intanto il decreto attuativo della delega fiscale rimane congelato. Per il toto Quirinale. Non c'è pezza che tenga. Le peripezie di quell'art. 19bis al decreto attuativo della delega fiscale che avrebbe, forse, permesso a Berlusconi di candidarsi con largo anticipo sulla pena accessoria che lo rende ineleggibile sino al 2019 restano troppo misteriose, troppo ambigue, per non costituire un incidente di prima grandezza. Uno sfregio sulla levigata immagine di se stesso che Matteo Renzi è sin qui riuscito a smerciare e che il ritiro della norma promesso da Renzi non basta a restaurare. Il guaio, ancor più dell'articolo in sé, è il balletto che ha reso quella norma figlia di nessuno, capitombolata dal cielo sul decreto. Nessuno ne sa niente. Nessuno c'era, e se c'era dormiva. Nel gioco delle tre scimmiette cui partecipano un po' tutti è inevitabile che le accuse e le denunce si assiepino. Dagospia giura di aver saputo "da fonte credibile" che alla vigilia del blitz sul decreto si era riunito al ministero dell'Economia un gruppetto di congiurati eccellenti: il ministro dell'Economia Padoan, l'alter ego di Renzi Luca Lotti, l'ex presidente della Consulta e presidente della commissione incaricata di preparare i decreti attuativi della delega Franco Gallo, l'avvocato di Berlusconi Franco Coppi. Sarebbe stato limato lì il "segnale" promesso da Verdini a Berlusconi ogni volta che l'uomo era tentato di sganciarsi dal patto del Nazareno, la dimostrazione che Renzi è davvero pronto a dare quel che Silvio reclama in cambio degli innumerevoli aiuti prestati al governo: la restituzione dell' "agibilità politica". La testata online di Roberto D'Agostino si allarga sino a ipotizzare anche la mercede promessa a Padoan in cambio del prezioso appoggio: addirittura il Colle. Gallo ha smentito, Coppi pure. Il Mef non si accontenta e minaccia azione legale. Ma siccome in casi come questo la smentita è d'obbligo le ombre restano. Altre voci, altrettanto credibili, altrettanto prive di elementi probatori a sostegno raccontano tutt'altra storia. Dicono che l'articoletto incriminato è arrivato nel testo, il 24 dicembre, a consiglio dei ministri terminato, senza che Padoan ne sapesse nulla. In questo caso la responsabilità del fattaccio ricadrebbe tutta sulla signora Antonella Manzione, già comandante dei vigili urbani di Firenze, imposta da Renzi, con forzatura inaudita alla guida del legislativo di palazzo Chigi, una delle postazioni più delicate che ci siano. Se a decidere non è stato Padoan, il semaforo verde deve essere partito da lei, e immaginare una mossa del genere da parte della vigilessa con Renzi all'oscuro è fantascienza pura. Ma a palazzo Chigi giurano di non saperne niente, al ministero di Via XX Settembre pure, e presso i diretti e azzurri interessati idem: "Non se ne è mai parlato né in Parlamento né in casa Berlusconi", assicura l'ultima ventriloqua accreditata del capo, Maria Rosaria Rossi. Grillo non la manda a dire: "Dietro c'è la mano della Manzione". Alla camera i pentastellati caricano: "Ultimamente palazzo Chigi sembra un rione in mano alla Camorra. Renzi sta proteggendo Verdini, che ha voluto la norma". La replica è affidata al capogruppo Pd in commissione Giustizia Verini: "Malafede, propaganda: ammettere un errore è un segnale di forza". Sarà. La difesa di Verini, però, è invece debolissima. È la stessa successione degli eventi a destare sospetti che le parole di Verini non bastano a dissipare: nella lunga notte del 20 dicembre, al Senato, il varo della legge di stabilità e l'incardinamento dell'Italicum, resi entrambi possibili solo dalla disponibilità forzista. Il 24 dicembre la telefonata Renzi-Berlusconi che di fatto suggella il patto del Nazareno anche in materia di Quirinale. In mezzo l'articolo figlio di nessuno, la norma salva Silvio, il segnale chiesto da Verdini. Quel patto reggerà. In fondo, il segnale in questione palazzo Chigi lo aveva mandato. Verdini non faticherà a convincere Berlusconi che questo è ciò che conta, perché attesta che di Renzi ci si può fidare. Solo che a questo punto le chances di un presidente della Repubblica targato Nazareno inevitabilmente scemano, mentre salgono quelle di un "tecnico", magari incaricato di vegliare sulla trasparenza delle istituzioni, come vorrebbero parecchi magistrati. Però ieri, in una giornata nerissima per Renzi, non c'è stato solo il caso Berlusconi a tenere banco. Con il solito tempismo a orologeria "i mercati" hanno iniziato a cannonneggiare la Grecia per convincere amichevolmente gli elleni a non votare Tsipras. Alla faccia delle certezza sbandierate da Renzi nella conferenza stampa di fine anno ("Nessun contagio"), parecchie di quelle bombe hanno colpito anche piazza Affari. E questo rafforza invece il partito trasversale che vorrebbe sì un tecnico sul Colle, ma incaricato di vegliare sull'obbedienza alle regole europee e indicato dalla Ue. Giustizia: l'avvocato di Berlusconi "io a un vertice al ministero?... l'avrei scritto meglio" di Dino Martirano Corriere della Sera, 6 gennaio 2015 Al ministero dell'Economia e delle Finanze lo schema di decreto legislativo che attua la delega fiscale, al quale in extremis verrà aggiunto il vagoncino della soglia di non punibilità sotto il 3% del reddito dichiarato, ha avuto una gestazione apparentemente tranquilla e trasparente. Ma ora è su Via XX Settembre che si addensano minacciosi nuvoloni carichi di veleni. La commissione tecnica affidata all'ex presidente della Consulta Franco Gallo e all'ex sottosegretario Vieri Ceriani (governo Monti) viene insediata al Mef a luglio 2014 e già in ottobre consegna un testo scritto al ministro Pier Carlo Padoan. In quella prima versione, conferma Gallo che è stato ministro delle Finanze nel governo Ciampi e il cui nome circola da tempo anche per la corsa al Quirinale, non c'era traccia dell'articolo 19 bis comparso in corso d'opera il 24 dicembre a Palazzo Chigi. "Il testo era pulito. Ho avuto notizia dell'introduzione del detto articolo 19 bis, nel testo elaborato dalla commissione da me presieduta, solo dopo la seduta del Consiglio dei ministri del 24 dicembre nel quale è stato approvato, appunto, il decreto legislativo". D'altronde Gallo, da luglio a ottobre, lavora con magistrati del massimario della Cassazione, ufficiali della Guardia di Finanza e funzionari della Agenzia delle Entrate: e tutti, davanti alle ipotesi teoriche per addolcire la pillola di "un Fisco buono con i contribuenti", escludono la strada della soglia a percentuale della non punibilità. Sintetizza il presidente Gallo, entrando nel merito di quella che già qualcuno definisce "la grazia mascherata per Berlusconi": "Ovviamente è una scelta politica e noi tecnici non dobbiamo fare altro che consegnare il nostro lavoro alla politica, che poi decide. Però ci vuole trasparenza, e a questo punto non si capisce chi sia stato a Palazzo Chigi a modificare il decreto con un'operazione additiva ed emendativa. Io però quella norma la ritengo radicalmente errata, tecnicamente e in termini di politica legislativa, perché porta con sé la previsione di una soglia di non punibilità per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante artificio. E questo non è accettabile. Non solo perché tocca Berlusconi. La frode di per sé richiede una punizione". Gallo conferma che il testo varato dalla sua commissione è quello trasmesso da Padoan a Palazzo Chigi: "Certo, se gli uffici del Mef su altri aspetti hanno cambiato qualcosa, anche in direzione meno garantista, potevano pure farmi una telefonata...". Sta di fatto che mentre l'ex presidente della Consulta difende il ministro Padoan, anche i suoi telefoni hanno un sussulto. Perché il sito Dagospia spara nel primo pomeriggio la notizia di un presunto vertice in Via XX Settembre per confezionare l'articolo "salva Berlusconi", inteso come merce di scambio per ottenere i voti di FI nella corsa al Colle di Padoan: "Presenti alla riunione il ministro, l'avvocato del Cavaliere Coppi, il sottosegretario Lotti e il presidente Gallo". Gallo è il primo a smentire: "Non so se mettermi a ridere. Smentisco nel modo più categorico di aver partecipato alla fantomatica riunione. Lotti poi non lo conosco neanche, il ministro Padoan non lo vedo da mesi, Coppi è un collega di facoltà e al ministero non ci vado da ottobre". Al professor Franco Coppi, che parla di "notizia falsa", va il primato della migliore battuta: "Io al ministero per suggerire la norma? Se fosse vero, l'avrei scritta certamente meglio. E non temo di essere smentito perché ora non si riescono a individuare neanche gli autori di una norma che, solo perché favorirebbe Berlusconi, va cancellata". Infine arriva la nota del Tesoro: "Notizia destituita di qualsiasi fondamento e frutto esclusivo di fantasia o volontà di diffamazione...". Il presidente Gallo, ora, ritornerà al Mef già domani per una riunione straordinaria della commissione: "Ci vediamo, così passiamo in rassegna le modifiche apportate rispetto al nostro testo...". Di sicuro, anche se dallo stesso Renzi è stato annunciato uno slittamento della normativa, la soglia di non punibilità del 3% sarà al centro del dibattito. Giustizia: Rodolfo Sabelli (Anm); ma la "tenuità del fatto" non è una depenalizzazione Adnkronos, 6 gennaio 2015 "La tenuità del fatto non è affatto una depenalizzazione". A ribadirlo è il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, intervenuto a "Voci del mattino" su Radio 1, a proposito del decreto legislativo del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che prevede la non punibilità per i reati che hanno pene massime fino a 5 anni. "Vi sarà sempre un controllo giurisdizionale, vi sarà sempre un giudice che, di volta in volta, stabilirà se i comportamenti in esame rispondano ai due requisiti fondamentali per la non punibilità: la non particolare gravità del danno procurato e che non abbiano i crismi della recidiva, che non siano abituali - spiega Sabelli. Qualora il pubblico ministero ravvisi questi elementi, potrà chiedere l'archiviazione e se l'azione penale fosse già partita, l'imputato sarà prosciolto. Non vi sarà pertanto alcuna applicazione della pena, fermo restando che potranno essere poste in essere tutte quelle azioni, non penali, come illeciti amministrativi". "L'istituto della tenuità del fatto - ricorda il presidente dell'Anm - nasce con la volontà di rendere proporzionate le pene e di introdurre una economia processuale. Per far sì che l'azione penale sia l'extrema ratio; l'azione penale non sempre è un panacea, una volta si diceva "è una spada che ferisce sia chi la impugna che chi la riceve". Ci sono dei costi, e le risorse vanno dunque ottimizzate in modo adeguato, e non vanno sprecate per comportamenti davvero minimali, di alcuna rilevanza, a discapito di processi per reati davvero gravi, che sempre più spesso cadono in prescrizione". "Bisognerà verificare in concreto caso per caso, perché è ovvio che se si guardano in astratto alcune fattispecie di reato pensare alla tenuità può allarmare, visto che fra loro figurano anche reati che suscitano particolare preoccupazione nell'opinione pubblica. Ecco perché - conclude Sabelli - la non punibilità di un reato non sarà una previsione astratta ma il frutto di un'analisi capillare da parte del giudice". Giustizia: Scienza & Vita "eutanasia del carcerato è una sconfitta dei principi del diritto" www.agensir.it, 6 gennaio 2015 "L'annuncio che a Frank Van Den Bleeken, ergastolano belga 52enne, da 30 anni detenuto per omicidi, stupri e violenze, sia stata concessa l'eutanasia che aveva lui stesso richiesto per la disperazione di non poter essere curato è una notizia che lascia sgomenti e che segna un punto di non ritorno nella democrazia". È il commento di Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali dell'Associazione Scienza & Vita. "L'uomo, consapevole dei suoi gravi disturbi psicologici, avrebbe voluto esser curato in una clinica specializzata, ma non gli è stato concesso. Lo Stato belga ha preferito avallare la scelta eutanasica, con l'ipocrisia di un atto giustificato come rispondente alla sua dignità", proseguono Ricci Sindoni e Coviello, che sottolineano: "Invece di concedergli la chance di un'uscita dal tunnel dell'orrore, gli si è aperta la porta per un viaggio senza ritorno. Con questa decisione la pena senza speranza ridiventa, anche in senso materiale, pena di morte. Un interrogativo in meno da porsi sul problema del male: proprio all'opposto di ciò che Papa Francesco ha sollecitato nel discorso del 23 ottobre all'Associazione internazionale di diritto penale". "Il problema non è soltanto interno all'ordinamento belga, ma rischia di implicare effetti a catena. La soluzione alla sofferenza non può consistere nel dare la morte a persone comunque deboli, che esigerebbero invece ben altro impegno rispetto alla loro condizione", evidenziano presidente e copresidente di Scienza & Vita. "Non è degno di un Paese che si definisca civile mettere le persone in condizione di disperazione e ridurre tutto a un costo economico in meno", sostengono Ricci Sindoni e Coviello, per i quali "continuare a farlo offrendo al detenuto la prospettiva della morte o perpetuando l'indifferenza per le troppe morti in carcere è qualcosa che tocca i vertici dell'inumanità. È una sconfitta dei principi fondamentali del diritto e della nostra civiltà. È cedere all'imbarbarimento e alla vittoria del male". "L'esecuzione, perché di questo si tratta, dovrebbe praticarsi domenica 11 gennaio. C'è ancora tempo per una presa di posizione culturale e istituzionale che possa condurre a un ripensamento", è l'auspicio. Giustizia: Sippe denuncia "480 € cadauna… magliette d'oro per la Polizia penitenziaria?" Agenparl, 6 gennaio 2015 Sulla Gazzetta Ufficiale 5° serie speciale, n. 141 del 10 dicembre 2014, è stato pubblicato l'avviso d'aggiudicazione di un appalto pubblico indetto dal Ministero della Giustizia, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, relativo alla fornitura di 2.000 magliette a favore della polizia penitenziaria, modello polo a manica corta in tessuto ignifugo (resistente al fuoco) con la scritta ricamata "Polizia Penitenziaria", al valore finale dell'appalto - si legge sulla gazzetta - di euro 793.000,00, iva esclusa. Trattandosi di un acquisto di 2.000 magliette, facendo due calcoli, il costo unitario di ciascuna di esse peserebbe sui contribuenti per circa 480 euro iva inclusa. Poiché il costo è apparso piuttosto elevato, Alessandro De Pasquale, Segretario Generale del Sippe - Sindacato Polizia Penitenziaria, il 19.12.2014, ha immediatamente inviato una email al vice capo vicario del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dott. Luigi Pagano, chiedendo chiarimenti in merito all'assurda vicenda, lo stesso Pagano, rispondendo all'email del sindacato, dichiara di conoscere la notizia e che lunedì avrebbe dato i dati esatti della questione che - secondo quanto da lui dichiarato - non è nei termini così riferiti. Tuttavia, dalla data dell'email di Pagano sono trascorsi già tre lunedì e il sindacato non ha ancora ricevuto i dati promessi. Leggendo però l'avviso di aggiudicazione, la questione però sembrerebbe essere proprio nei termini indicati dal Sippe e cioè che la Griffe Srl di Force (Ap), l'unica ad aver partecipato alla gara e quindi ad averla vinta, si aggiudica l'appalto per la fornitura di 2000 magliette ignifughe per un valore di euro 793.000,00 iva esclusa e cioè, circa 400 euro ciascuna. Inizialmente, si legge nel bando di gara pubblicato nella gazzetta ufficiale serie speciale - contratti pubblici n. 67 del 16.06.2014, il valore stimato, iva esclusa dell'appalto delle magliette era idi 80.000,00 e cioè 40 euro ciascuna; nell'aggiudicazione, improvvisamente, si scopre che l'Offerta economicamente più vantaggiosa è di euro 793.000,00 iva esclusa. Sarà un errore? Dopo l'intervento del Sippe, non si fa attendere quello del movimento cinque stelle della Camera dei Deputati che il 22.12.2014 presenta un'interrogazione parlamentare nella quale è stato chiesto al Ministro della Giustizia se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori presso il Dap ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. Alessandro De Pasquale, Segretario Generale del Sippe, auspica che possa trattarsi di un errore e che il Dap possa immediatamente sanare, pubblicando nuovamente l'aggiudicazione in Gazzetta con i dati corretti che il dottor Pagano ha promesso. Giustizia: inchiesta Mafia Capitale "se Buzzi canta i boss l'ammazzano" di Maria Elena Vincenzi La Repubblica, 6 gennaio 2015 Mafia Capitale, nelle intercettazioni successive all'arresto le minacce degli intermediari con la ‘ndrangheta Confermati i legami con i clan. Il capo della "29 giugno" ai suoi: "Adesso che sono in carcere non mettetevi a litigare". Minacce di morte, pizzini e regole sulla successione. Roba da associazione mafiosa, per l'appunto, quella che ieri la procura di Roma ha depositato al tribunale dei Riesame, chiamato a decidere sulla revoca della custodia cautelare di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi calabresi ed entrambi in carcere dall'11 dicembre scorso nell'ambito dell'inchiesta su Mafia Capitale (i giudici si sono riservati). I due, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, sarebbero il collegamento tra la banda guidata da Massimo Carminati e il clan Mancuso di Vibo Valentia. Un legame che avrebbe uno snodo centrale in Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative capitoline, considerato dai pm il braccio finanziario del "Cecato". Parla chiaro l'informativa che i carabinieri del Ros del 3 gennaio: i legami con i calabresi c'erano eccome, secondo l'accusa. Il 3 dicembre, giorno successivo ai primi arresti, Rotolo e Ruggiero (in quel momento ancora a piede libero, ndr) non si danno pace. Commentano gli arresti con gli amici, si preoccupano di non fare la stessa fine. E pensano alla gestione futura: già il giorno successivo alla retata, fissano un incontro per decidere che cosa ne sarà della Cooperativa 29 giugno, fino ad allora guidata da Buzzi. Prima di andare alla riunione Rotolo incontra Franco La Maestra, ex brigatista condannato a 18 anni di carcere e coinvolto nell'omicidio di Massimo D'Antona, e uomo di fiducia di Buzzi. L'ex terrorista racconta: "Ieri l'ho visto (Buzzi, ndr). C'ha teso a specificare a noi de Giovanni (Campennì, ndr). .. ha detto... "quello non deve... non si deve neanche avvicinare..." le testuali parole so state queste mentre lo portavano via... "non voglio che Giovanni stia in mezzo ai piedi"... ci ha detto a me e a Salvatore (Ruggiero, ndr)". Giovanni Campennì, imprenditore, secondo i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli è il collegamento tra Buzzi e la ‘ndrangheta. Non a caso Rocco e La Maestra si stupiscono delle parole di Buzzi e si chiedono se quest'ultimo non avesse appositamente voluto far individuare Campennì dalle forze dell'ordine. "E se l'è cantatu stu scemo di merda? - chiede Rotolo - I Mancuso u ‘mmazzano". Sta di fatto che, proprio come nella tradizione mafiosa, Buzzi negli attimi prima di finire in carcere, riesce a dare le indicazioni sulla sua "successione" alla guida delle cooperative. Vuole escludere Campennì e decidere chi deve prendere il suo posto. "Mentre andava via - dice ancora La Maestra a Rotolo - m'ha guardato e m'ha fatto: "Me raccomando, non litigate. Tu sei il capo, mi raccomando, non litigate". Poi mentre andava via mi ha detto: "Ci vediamo tra due anni"... lui s'è già attrezzato". Infine i pizzini. I militari del Ros ne hanno sequestrati alcuni a casa di Salvatore Ruggiero. In mezzo a una serie di ricevute di pagamento da parte della Cooperativa 29 Giugno, gli investigatori hanno trovato anche due pen drive, una lettera del 2004 in cui Buzzi invitava i suoi soci e dipendenti a votare Oriano Giovannelli e Nicola Zingaretti al Parlamento europeo e tre pizzini. Uno con la dicitura "Glok 179.21, uno con scritto "Rosario 29 giugno" e un terzo: "Fasciani". Probabilmente il riferimento è al clan che da anni gestisce la malavita di Ostia. Elementi sui quali ora il Ros è al lavoro. Giustizia: Bossetti "200 giorni in cella con il pensiero di Yara… ma il killer non sono io" di Paolo Berizzi La Repubblica, 6 gennaio 2015 Intervista a Massimo Bossetti, accusato di avere seviziato e ucciso la tredicenne. Parla per la prima volta e contesta le prove contro di lui: "In tribunale dimostrerò che sono innocente". "Dal 16 giugno, il giorno del mio arresto, le hanno provate tutte per farmi confessare. Speravano che prima o poi sarei crollato. Ma non confesso un delitto che non ho commesso. Il killer di Yara non sono io, lo dimostrerò in aula, davanti ai giudici. Però vorrei un processo giusto. Anche nei tempi". Sei mesi e mezzo di silenzio mediatico (ha risposto solo alle domande dei magistrati). Cento trentaquattro giorni in una cella di isolamento. In totale, a oggi, 204 giorni di custodia cautelare dietro le sbarre. Con un'accusa che pesa come un macigno: avere seviziato e ucciso, la sera del 26 novembre 2010, Yara Gambirasio, 13 anni, la stessa età del primo dei suoi tre figli. Adesso parla, Massimo Bossetti. Attraverso il suo avvocato, Claudio Salvagni - il legale a cui si è affidato in vista del processo che lo vedrà imputato di omicidio volontario con l'aggravante della crudeltà - il carpentiere di Mapello offre la sua versione a Repubblica. "Sono stato dipinto come un mostro - dice - accusato di un reato orribile. Ma io con la morte di quella povera ragazzina non c'entro niente. In carcere le rivolgo ogni giorno un pensiero. Spero che al processo venga fuori la verità". Perché ha deciso di parlare? "Perché hanno fatto indagini in un'unica direzione, è come se l'opinione pubblica, i media, mi avessero già condannato. Ancora prima del processo. Invece sono pronto a dimostrare la mia innocenza: e lo farò in aula. Non sono io il killer di Yara". C'è il suo Dna sugli indumenti della vittima, ci sono le immagini delle telecamere di Brembate che riprendono il suo furgone vicino alla palestra da dove è sparita Yara. "Sul mio dna deve essere stato fatto un errore. Io, come ho sempre detto, non ho mai conosciuto né visto Yara. Dopo la Cassazione (udienza il 25 febbraio, si discuterà la richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa; le richieste precedenti erano già state respinte dal gip di Bergamo e dal Tribunale del Riesame di Brescia, ndr) con il mio avvocato chiederemo eventualmente la ripetizione dell'esame del dna". Per dimostrare cosa? "Ammesso sia davvero mia, quella traccia potrebbe essere finita lì, come ho detto ai magistrati, a causa dell'epistassi di cui soffro da sempre. Anche sul lavoro. Il mio sangue potrebbe essere finito su degli attrezzi usati dall'assassino. In cantiere ho perso spesso sangue dal naso, lo sanno anche i miei colleghi. Non ho accusato nessuno, ma ho offerto spunti, piste alternative. Finora non mi hanno ascoltato". E il suo furgone ripreso a girare attorno al centro sportivo fino a pochi minuti prima della scomparsa di Yara? "Quelle immagini non provano niente. Ho raccontato e confermato che passavo sempre spesso, da Brembate di Sopra tornando dal lavoro. Anche per delle commissioni. Che il mio furgone sia stato ripreso per strada dalle telecamere non fa di me un assassino. Non ho mai fatto mistero delle mie abitudini, delle mie giornate. Ho raccontato tutto della mia vita, anche i particolari più intimi e privati. Ho ribadito di essere disposto a rispondere a qualsiasi domanda in nome della ricerca della verità. Dopodiché la mia memoria non è indelebile". Si è contraddetto sugli spostamenti di quel giorno. "Sfido chiunque a ricordarsi esattamente che cosa ha fatto quattro anni prima, soprattutto quando ha una vita fatta di giornate fotocopia, una identica all'altra. Il fatto è che hanno rivoltato la mia vita e non hanno trovato niente. Come non hanno trovato nessuna traccia riconducibile a Yara sul mio furgone e sulla mia auto. E nemmeno su tutto quello che hanno sequestrato con le perquisizioni in casa. Non avevo e non ho segreti, altrimenti credo sarebbero emersi". Sul suo pc sono state trovate ricerche su "sesso" e "tredicenni", con particolari anatomici precisi: per l'accusa sta lì il movente dell'omicidio. "L'ho già detto in interrogatorio, è capitato che abbia guardato dei siti porno con mia moglie. Ma io non ho mai fatto ricerche o visto video con minori (la difesa di Bossetti ha spiegato che quei clic potrebbero avere tutt'altra spiegazione scientifica, ndr)". La chiusura delle indagini è imminente, poi si andrà a processo. "Sono pronto a difendermi. Ma chiedo un processo giusto. Anche nei tempi. La giustizia in Italia è lentissima: perché nel mio caso corre così velocemente? (va detto che i termini - 180 giorni dal fermo - entro i quali il pm avrebbe potuto chiedere il giudizio immediato, che fa saltare l'udienza preliminare, sono scaduti, ndr)". Lei è accusato di avere ucciso una ragazzina, di averla massacrata abbandonandola in un campo. "Yara aveva la stessa età di uno dei miei tre figli (gli altri due hanno 8 e 10 anni, ndr). Non potrei mai fare una cosa così atroce. È come se la facessi a uno dei miei bambini. Immagino il dolore devastante dei familiari di Yara, mi sono sempre messo nei loro panni, fin dal primo giorno. A Yara rivolgo un pensiero ogni giorno. A lei e anche alla mia famiglia, che continua a credere nella mia innocenza e mi sta vicino". Che cosa dice a chi si stupisce del fatto che in questi sei mesi e mezzo in cella non ha mai avuto un crollo, nemmeno un piccolo cedimento? "È il mio carattere, sono fatto così. Cerco di farmi forza ogni giorno. Se sei in carcere da innocente puoi avere dentro anche tutta la disperazione del mondo ma, allo stesso tempo, trovi anche la forza per non mollare. Ho ricevuto pressioni fortissime, hanno cercato di convincermi in ogni modo a confessare: hanno provato a allettarmi con il conto degli anni, la riduzione della pena, 20 anni anziché 30... speravano che crollassi. Ma non ho confessato perché non ho niente da confessare". Sua moglie, i suoi figli, i suoi genitori continuano a venire a trovarla. "Quando vedo i miei figli e i miei genitori mi commuovo. Sapendo che sono incontri a termine, concentro tutto in quell'ora: poi rimane il vuoto. Se fossi colpevole, al mio avvocato lo avrei detto. Anche per chiedergli un aiuto su come affrontare, appunto, i miei familiari". Il reato di cui è accusato è inaccettabile nel codice non scritto dei carcerati. Riceve ancora minacce? "Sì, le ultime mi sono arrivate con una lettera spedita da un detenuto di un altro carcere. Mi ha scritto "quando esci ti stacco la testa e la porto ai Gambirasio". Però adesso in cella va meglio, da quando mi hanno tolto dall'isolamento ho socializzato con gli altri detenuti. Mi sento un po' più sollevato. Aspetto il processo. Ho paura di una condanna, certo. Ma credo ancora nella giustizia". Lettere: ogni anno, con l'occasione delle feste, torno alla mia galera di Pisa, a farmi visita di Adriano Sofri Il Foglio, 6 gennaio 2015 C'è ormai una tradizione. L'onorevole Paolo Fontanelli, il professor Michele Battini e io compriamo i panettoni - quest'anno si risparmiava, solo 220 panettoni. A volte la Coop ce li regala, e non è nemmeno mafiosa. Li andiamo a caricare con un furgone della cooperativa dei detenuti guidato dall'ingegner Bigarella. Li scarichiamo in modo che vengano distribuiti insieme ai doni procurati dal cappellano, monsignor Filippini. (Nella tradizione c'era un posto centrale per suor Cecilia, ma i regolamenti del suo Ordine l'hanno richiamata altrove, e, con tutto il rispetto, è stata una gran perdita per i carcerati di ogni fede). Poi visitiamo a lungo il carcere. Parecchi detenuti sono habitué - recidivi, li chiamano: si capisce che chi commette piccoli reati non può che commetterli spesso, per sbarcare il lunario; se si ruba all'ingrosso, basta un colpo, e tuttavia si direbbe che anche i ladri grossi subiscano una coazione a ripetere, ma è raro incontrarli in galera, a Pisa nemmeno uno. Così nonostante gli anni che passano, i detenuti miei amici - e anche gli agenti - restano numerosi, ed è tutto un abbracciarsi. Ormai ci sono anche i loro figli, e ci si abbraccia lo stesso. I veterani mi dicono: "Non sei cambiato", e intendono: "Azzo, come sei invecchiato!". Sorridono, e io tengo il conto dei denti in meno dall'anno precedente: i detenuti non riempiono i buchi dei denti perduti, e le pareti del carcere non suturano le loro crepe. Il numero ridotto di detenuti sembrava un buon segno, se non fosse che ci sono sezioni chiuse, compreso il femminile e il centro clinico. Fervono i lavori, per così dire, come vuotare il mare col secchiello. Il direttore, Fabio Prestopino, ci ha illustrato equanimemente le toppe volenterose (anche i veri progressi, per esempio telefoni a scheda nelle varie sezioni) e le falle riaperte. Sono proprio falle, crepe nei muri, sale chiuse perché ci piove dentro, pavimenti insorti, eczemi di intonaci. È tutto di un'insensatezza suprema. Il sistema penitenziario si regge su un'insensatezza così smisurata da far dubitare della possibilità di metterci mano: se si riducesse l'insensatezza, crollerebbe tutto. I direttori e le direttrici di carcere, quando non sono cattivi, suscitano una gran solidarietà, come capitani di traghetti lasciati in balia del naufragio. Peccato davvero, perché saprebbero che cosa farne della loro nave, se gli dessero una bussola. Il caffè l'abbiamo preso in una cella di napoletani: un buonissimo caffè. Venezia: detenuto romeno di 19 anni suicida nel carcere di Santa Maria Maggiore di Roberta De Rossi La Nuova Venezia, 6 gennaio 2015 Arrestato per un reato contro il patrimonio, si è ucciso dopo che aveva visto sfumare gli arresti domiciliari. Si è impiccato a 19 anni, nella doccia di una cella del carcere di Santa Maria Maggiore. È morto così un ragazzo di nazionalità rumena, residente sin da piccolo in Italia, arrestato il 31 dicembre dai carabinieri su ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Como, per un reato contro il patrimonio: nulla di così drammaticamente grave, tanto che il giudice per le indagini preliminari avrebbe disposto per lui gli arresti domiciliari, se non fosse che la famiglia ha negato l'autorizzazione ad accoglierlo in casa. La madre sperava che tenendolo lontano dal Comasco, sarebbe rimasto fuori dai guai e si sarebbe disintossicato. Così il giovane è tornato in cella, ma al momento della doccia ha portato con sé un lenzuolo e si è impiccato nel piccolo bagno. Nel tardo pomeriggio di domenica, l'allarme, dato dai due compagni di cella che hanno tentato inutilmente di aiutare il giovane, come vano è stato l'intervento del personale del carcere (prima) e dei medici del Suem 118 (dopo). Non ha lasciato alcuno scritto o detto parole, riferisce il sostituto procuratore che si è occupato del caso la notte scorsa, Lucia D'Alessandro, che lasciassero presagire quanto compiuto. La procura lagunare tende ad escludere la responsabilità di terze persone sull'accaduto. Per più di un'ora i sanitari, intervenuti sul posto, hanno tentato inutilmente di rianimare il giovane detenuto romeno. Sulle ragioni legate alla mancata attuazione degli arresti domiciliari, il pm ha riferito che la questione era stata esaminata dalla Procura di Como. Fino a tarda ora sono proseguiti gli accertamenti da parte dei carabinieri del Nucleo investigativo e dei Ris, alla presenza del pubblico ministero di turno, Lucia d'Alessandro. Non sono emerse responsabilità da parte del carcere, ma gli accertamenti proseguiranno con l'autopsia, affidata al medico legale Antonello Cirnelli: il suicidio di un ragazzo affidato allo Stato in un carcere è un dramma da chiarire in ogni aspetto. Muore a soli 19 anni in una cella al carcere di Venezia (La Provincia di Como) Un inizia di anno tragico, con un ragazzo di 19anni morto a centinaia di chilometri da casa, nel carcere di Venezia. Un episodio terribile, quello avvenuto domenica all'interno dell'istituto penitenziario di Santa Maria Maggiore, dove il cuore di Adrian Furtuna, 19 anni, residente ad Appiano Gentile, originario della Romania ma in Italia da una vita, ha smesso di battere. Una morte improvvisa, quella del giovane, che è stato trovato privo di sensi da due compagni di cella, che hanno subito cercato di prestare soccorso e hanno chiamato aiuto. Sia il personale del carcere, poi i soccorritori del 118, hanno provato a rianimare il ragazzo, ma non c'è stato nulla da fare. In carcere sono quindi arrivati i carabinieri del Nucleo Investigativo del Ris: il pubblico ministero di turno, Lucia d'Alessandro, ha quindi disposto l'autopsia, che sarà effettuata nei prossimi giorni. Adrian Furtuna viveva con la madre ad Appiano Gentile. Il padre, invece, abitava in una roulotte non lontano da Venezia. Per questo il giovane si trovava spesso in Veneto. E così è stato anche il 31 dicembre, quando durante un controllo dei carabinieri, è stato tratto in arresto per un'ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Como per un reato contro il patrimonio. Portato in carcere la stessa notte di San Silvestro, il giudice non ha concesso i domiciliari. E domenica è sopraggiunta l'inattesa morte. Reggio Calabria: "Mi scoppia la testa"... non lo aiutarono, e Roberto morì in carcere di Michele Caccamo Il Garantista, 6 gennaio 2015 Il 12 dicembre, alle tre di notte, sentì un gran dolore: "portatemi in ospedale", chiese per giorni il 27 se ne andò. Roberto Jerinò, 60 anni, di Gioiosa Jonica. Morto, per incuranza e disattenzione, il 23 dicembre 2014 nel carcere di Arghillà (Reggio Calabria). "La storia vera per come mi è stata raccontata da chi l'ha vissuta". Fu la sua gamba la prima a perdere la memoria dei movimenti, poi il braccio, poi la bocca. L'energia spenta che aveva nel sangue si era riaccesa: con un guizzo, un breve dolore, con la fiamma del male. Roberto cadde per terra, sfiorando la branda in ferro con la testa. I compagni di cella allertarono gli agenti penitenziari, urlando richieste di aiuto. Il corpo di Roberto si era storto e lui giaceva immobile, con gli occhi sparati verso il soffitto: fissi, come stesse cercando, con la sua forza, di terminare quell'istante, di non farlo proseguire, di bloccare così la malattia. Come volesse creare un fermo immagine e tagliare la scena successiva, quella riguardante la sua morte. Venne portato in ospedale dopo una quarantina di minuti: giusto in tempo di far arrivare, in carcere, l'ambulanza del 118. Ischemia, fu la diagnosi, con paresi facciale degli arti. "La vita è un'impostura", pensò durante la degenza, "oltre il supplizio della prigione adesso anche la maggiore pena dell'infermità; chissà, il giudizio Divino, quale altra minaccia avrà preparato, quale altra nuova definizione della mia condanna. Toccherà ai miei organi essenziali la prossima volta? Dio, ne sono quasi certo, mi ha iscritto tra i penitenti perpetui, ma quelli senza assoluzione. Non trovo vi sia altra giustificazione a questo suo accanimento". Aveva voglia di buttare tutto per aria: il comodino, le sedie, il suo stesso letto; tanta era la rabbia. Avrebbe avuto bisogno di controlli e cure costanti, non di un temporaneo parcheggio in una corsia ospedaliera. Un altro attacco gli sarebbe stato fatale. Il suo avvocato ritenne logico, naturalmente logico, presentare una istanza per la concessione dei domiciliari. L'affetto familiare è l'unica cura non palliativa, l'unica salvifica per il cuore. Roberto si sarebbe lentamente ripreso, si sarebbe rimesso; avrebbe avuto altrimenti la sofferenza addolcita dalle carezze leggere dei suoi tre figli. Avrebbe avuto le cure sante dell'Amore. Pregando il principio di Dio non avrebbe perso la speranza. Purtroppo fra i togati poco regna l'umana pietà, e la traduzione sentimentale, degli appelli delle istanze, è bandita. Loro vivono in un altro mondo, nella scomposta architettura degli "infallibili". Roberto doveva tornare in carcere; la sua richiesta era stata rigettata. Era stato nuovamente arruolato nelle gabbie degli esiliati dalla vita. Ma egli, la sua vita, la sentiva senza un seguito felice; aveva il corpo storpio, quell'attacco lo aveva rovinato: la sua testa frullava, come gli si agitasse dentro della schiuma; il suo linguaggio si comprometteva inevitabilmente sulle consonanti; aveva dovuto cambiare mano per mangiare, e il braccio se lo portava in avanti tirandolo con l'altro. Era strano per tutti vederlo così ridotto: era un bell'uomo, ben messo fisicamente, agile come pochi; prima della malattia. Forse non si era neanche accorto di quanto fosse cambiato: metà del suo corpo aveva perso ogni impulso, ogni scatto nelle vene. Nell'ambiente carcerario non servono molti giorni per far diventare vecchia la malattia, non per sanità, ma per resa. E la carne, e tutto il resto, si lascia all'abbandono a una timida vergogna; le più intime sensazioni paiono modificarsi e spegnersi. Roberto diceva che con il riposo avrebbe presto riattivato il suo fisico; diceva che doveva rimanere a letto per guarire prima. Era evidente avesse l'intento di nascondere il suo disagio. La solidarietà comunista, in carcere, è fedelissima e anche molto discreta. I detenuti reggevano lo spirito di Roberto con atteggiamenti gentili e disponibili, confortandolo; "è una condizione transitoria", gli ripetevano. Avevano anche stabilito una dieta per lui: legumi, verdure e poca carne. Tutti medici e stregoni, pur di salvare Roberto. L'infermiera del carcere era poco dotata; lo avrebbero aiutato loro, vinti che la partecipazione affettiva sarebbe bastata. Il 12 dicembre, erano le tre di notte, Roberto sentì assottigliarsi e allargarsi una vena in testa; era un movimento continuo, lievemente doloroso. Chiamò un suo compagno di cella chiedendogli una camomilla; credeva avesse bisogno di tranquillizzarsi. Non riuscì a dormire quella notte. La mattina si segnò in elenco per l'infermeria: gli misurarono la pressione, nessuna anomalia. Fu così per l'intera giornata: un dolore costante, ritmato; la pressione era stabile. Il 13, tutto uguale: dolore e pressione, stabili. Non facevano altro che misurargli la pressione e riportarlo in cella. "Impazzisco, fate qualcosa". Quella vena era diventata un verme, una sanguisuga. "Portatemi in ospedale, sto male"; niente da fare. Anche il 14 del mese la pressione era stabile, di nuovo riportato in cella. Non vi rimase molto. Dopo aver trascorso tre giorni di lamenti, e richieste di soccorso, restò inanime nel letto come un mare paralizzato. Lo portarono in ospedale che era già in coma, il 15 dicembre alle prime ore del mattino. Aveva chiuso per sempre la sua conoscenza con l'insensibilità, la disumanità di alcuni. Roberto non si è più risvegliato, è morto il 23 dicembre. È stato assassinato da una leggerezza magistrale, togata. Poscritto Non vorrei continuare ad aggiornare l'opera con due nuovi nomi, quello dell'ex consigliere regionale Cosimo Cherubino, detenuto nel carcere di Via San Pietro, dimagrito di quasi 30 chili e quello di Giuseppe Portaro: un fantasma steso nel suo letto, un accumulo di ossa che sembrano sbarre. Non mangia da giorni e sviene di continuo. È ancora oggi "ricoverato" presso la casa circondariale di Locri. È rassegnato, non lo soccorreranno, non prima di vederlo finito. Basterà questo richiamo al magistrato competente? Spero arrivi la sua decisione per i domiciliari, prima delle condoglianze. Padova: chiusura dell'Alta Sicurezza… non buttate il detenuto insieme all'acqua sporca di Damiano Aliprandi Il Garantista, 6 gennaio 2015 Chiusura del reparto di Alta Sicurezza della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova? Da qualche mese gira voce che presto, il regime duro riservato a condannati per reati di tipo associativo (mafia, traffico di droga a livello internazionale, sequestri di persona, reati di terrorismo) sottoposti a una sorveglianza più stretta rispetto ai "comuni" in quanto inseriti nella criminalità organizzata, sarà chiuso e i detenuti saranno trasferiti nelle carceri dove vigono altri reparti di Alta Sicurezza. "L'obiettivo del progetto - spiega il direttore del carcere padovano Salvatore Pirruccio - sarebbe quello di trasformare il carcere di Padova in una struttura riservata solo ai cosiddetti detenuti comuni". Questo provvedimento desta preoccupazione tra i detenuti sottoposti al regime speciale: molti reclusi stanno intraprendendo un percorso di cambiamento legato al territorio padovano e , interromperlo, creerebbe un enorme danno; inoltre c'è da ricordare che da qualche anno - proprio all'interno del carcere di Padova - vengono organizzati dalla redazione Ristretti Orizzonti dei convegni assieme a docenti universitari, giuristi e persone competenti del settore, facendo intervenire anche i detenuti sottoposti al regime speciale. Tutte queste esperienze - utilissime anche per la cosiddetta società libera - rischiano di concludersi definitivamente. Si potrebbe verificare anche un altro problema quando avvengono i trasferimenti di massa mancando il rispetto della territorialità della pena: i detenuti lì ospitati rischierebbero di essere trasferiti a centinaia di chilometri dalle proprie famiglie, senza tener conto della vicinanza degli affetti e dei programmi di recupero avviati. Ma il direttore Pirruccio rassicura: "Chi ha intrapreso un percorso rieducativo-trattamentale, per esempio andando a scuola, frequentando corsi, lavorando, potrebbe essere escluso da trasferimenti come prevede il progetto di chiusura dell'Alta sicurezza. Un progetto che, ripeto, non è imminente". Ma in questo caso il potere del direttore del carcere è limitato, e la decisione sarà presa esclusivamente dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Firenze: mezzanotte di Capodanno a Sollicciano, un carcere senza giustizia di Massimo Lensi Notizie Radicali, 6 gennaio 2015 Visitare con attenzione un carcere italiano non è mai cosa facile. Quando poi alle difficoltà della visita in un carcere come quello fiorentino di Sollicciano, costruito per 470 detenuti e da sempre in sovraffollamento, ci aggiungi la presenza di Marco Pannella, la notte dei veglioni e dei fuochi d'artificio di San Silvestro, il filo della logica sembra ingarbugliarsi del tutto. Eppure questo è accaduto. Il carcere non è un plesso scolastico o un ospedale, strutture pubbliche da sempre sotto osservazione e adibite a erogare servizi. Il carcere è una comunità, al cui interno vivono a stretto contatto detenuti e agenti del corpo di polizia penitenziaria in una relazione di diritti e doveri dai confini deboli e incerti. È un corpo estraneo ai processi di integrazione tra città e territorio ed è a tutti gli effetti una metafora: del funzionamento dello Stato e della giustizia, del convivere civile con il senso del rispetto delle leggi. Se l'ordinamento penitenziario è fuori legge, lo è tutto lo Stato di conseguenza. Marco Pannella, in sciopero della fame e della sete, raggiunge il gruppo in attesa all'entrata del Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano con una mezzora buona di ritardo: voleva ascoltare i commenti al discorso di Giorgio Napolitano a Radio Radicale. Il freddo polare è di quelli anomali a Firenze, Roberto Giachetti si scusa immediatamente con Pannella per essere arrivato in anticipo; tutti ridono, la tensione si scioglie. Lo strano gruppo composto, oltre che dal leader radicale, anche dalla segreteria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, dal vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti, dal cappellano di Sollicciano, don Vincenzo Russo, da Eros Cruccolini, garante comunale dei detenuti, e da una pattuglia di radicali fiorentini alla fine entra nella struttura, accompagnato per l'occasione dalla direttrice di Solliccianino, il Gozzini, Margherita Michelini. Si cammina spediti nei lunghi corridoi che recano sui muri visibili tracce di umidità perenne, passando da luoghi freddissimi ad altri dove a farla da padrone è il caldo malsano degli impianti di riscaldamento. Si va al Transito e poi al Giudiziario, infine al Penale. Cruccolini, ipovedente, è bravissimo a evitare di inciampare nelle mille barriere architettoniche che fanno di Sollicciano un luogo inaccessibile a detenuti disabili, che invece ci sono e soffrono di una pena superiore a quella edittale emessa dal giudice con sentenza. Lentamente prendiamo coscienza di questo istituto penitenziario. Rita Bernardini lo definisce struttura immonda, un luogo di tortura e successivamente, in conferenza stampa, inviterà il ministro della Giustizia a farci un giro, magari insieme a lei e ai radicali. La manutenzione ordinaria non esiste, precarie le condizioni igienico sanitarie, la saletta delle docce è fatiscente, le cucine funzionano a singhiozzo, piove continuamente dentro la struttura, ammalata di una umidità che fa ammalare. Roberto Giachetti ascolta con visibile emozione le storie che gli si presentano. I detenuti che incontriamo sono chiusi in cella e le porte solide vengono aperte e chiuse di volta in volta con un rumore infernale per poter fare, almeno dalle sbarre, due chiacchiere con questi uomini che ci raccontano storie degne (o indegne, se si preferisce) di un romanzo di Victor Hugo. Umanità dolente. Sono per la maggior parte extra comunitari; come ci racconta un agente di custodia, Sollicciano è ormai pieno di condannati per piccoli reati, una costellazione di micro-criminali frutto delle cicliche richieste di maggior sicurezza da parte di una società civile, che poi non si interessa di seguire i percorsi di reinserimento di chi è stato condannato. Non interessa, non è importante. Il carcere è solo deposito invisibile di carne umana i cui destini non sono rilevanti per la società. Vincenzo Russo, il cappellano, conosce tutti e ci mette al corrente dello status giudiziario, delle storie personali e dei problemi di ogni singolo carcerato. E i problemi sono veramente tanti, dall'isolamento sociale, a quello giudiziario. Procedimenti di trasferimento attesi per anni e bloccati solo da cavilli burocratici di una giustizia che proprio non funziona in Italia. Marco Pannella è la stella delle serata, i detenuti sanno che c'è e lo vogliono vedere, stringergli la mano, incontrare. Lo accolgono con un coretto: "O Pannella / aprici la cella". E Pannella contraccambia, accarezza e ascolta. Preferisce parlare: di conoscenza e resistenza, di amnistia come concezione di lotta nonviolenta e consapevolezza di una compagnia che ci unisce tutti e illumina la notte del diritto. È incredibile, ha un sorriso per tutti. Per Marco è un toccasana, lo sappiamo, un elisir di lunga vita. Per i detenuti è la speranza e un po' lo è anche per noi. La mezzanotte ci coglie tra i sex offender a parlar spartano. Stanchi ormai di ascoltare mille storie che si somigliano, dove i tratti della dimenticanza prendono i volti delle riforme della Giustizia (si badi alla maiuscola) annunciate e mai arrivate in porto. Il carcere è il luogo per eccellenza dove la Ragion di Stato vince su tutto, sulle leggi e sulle tutele dello Stato di Diritto. La superficie calpestabile della dignità costituzionale. Fuori sentiamo i botti e vediamo dalle inferriate dei corridoi i lampi colorati dei fuochi artificiali, il nuovo anno è arrivato. Ci facciamo gli auguri come possiamo, brindando con le mani. Lentamente ci avviciniamo di nuovo ai lunghi corridoi che portano alla zona di uscita. Un carcerato del Penale guardando il volto provato di Rita Bernardini, con un sorriso rassegnato, le sussurra: "Forza e coraggio, che la galera è di passaggio". Firenze: restano 100 giorni per chiudere l'Opg, ma c'è lo spettro di un nuovo slittamento di Francesco Turchi Il Tirreno, 6 gennaio 2015 La denuncia del radicale Massimo Lensi: "Non si sa ancora che fine faranno gli internati. E se resta la struttura carceraria nelle ex scuderie, addio rilancio della Villa Medicea". Il sindaco Masetti: "La task-force va avanti". Meno di cento giorni per mandare in pensione l'Ospedale psichiatrico giudiziario. Lo dice la legge, l'ha ribadito il presidente della Regione Enrico Rossi: entro il 31 marzo Montelupo dovrà riappropriarsi della Villa Medicea . E già si lavora al post-Opg. Ma c'è chi non ci crede. Una delegazione di radicali fiorentini dell'associazione "Andrea Tamburi", guidata da Massimo Lensi ha visitato la struttura e parlato con guardie e vertici dell'Opg: "Dal nostro incontro - spiega l'ex consigliere provinciale - è emerso un clima di grande incertezza. La situazione è molto complicata e non è facile capire che cosa accadrà realmente a partire dal prossimo 31 marzo, se ci sarà effettivamente la chiusura dell'Opg o se alla fine sarà concessa una proroga. Di fatto - al momento - al di là degli annunci la Regione non si è mossa per superare gli Opg attraverso la realizzazione dei Rems (Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria), nonostante i soldi a disposizione ci siano". Insomma, la chiusura attesa da anni, non è così scontata. Già nel 2011 lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva espresso la necessità di mettere fine al più presto all'Opg che nel 2012 venne chiuso in parte per gravi carenze dal punto di vista igienico. Poi il ministero dell'Interno, dopo lo spostamento forzato degli internati che stavano in stanze prive di riscaldamento e di acqua calda, spese oltre 5 milioni per interventi di ristrutturazione. L'idea era quella di confermare la destinazione a carcere una volta che fosse ultimato il trasferimento dei detenuti-pazienti in piccole strutture secondo la regione di provenienza. Lensi snocciola i numeri. Attualmente gli internati sono 121, in aumento rispetto ai 106 di un anno fa (in tutta Italia sono circa 900-1.000). "Il problema di fondo sta nel nostro codice penale. Finché il giudice avrà la facoltà di riconoscere "l'incapacità di intendere e di volere" a chi commette un reato, gli Opg non saranno superati". Dei 121 reclusi, ci sono una quarantina di toscani e umbri (gli altri provengono da Sardegna e Liguria), la metà dei quali considerati "non dimissibili" perché socialmente pericolosi. Che di conseguenza, sulla base della regionalizzazione degli internati, dovranno essere presi in carico dalla Regione Toscana: "Che fine faranno queste persone? Si parla di trasferirle in strutture residenziali di semi-sorveglianza o - a nei casi meno gravi - affidarli a percorsi di reinserimento con assistenza domiciliare. Ma il punto da sciogliere è per quei casi, considerati più gravi, che rischiano di finire in strutture di sorveglianza perimetrale, i cosiddetti Rems, a tutti gli effetti dei mini-Opg. Si parla, infatti, di trasferire gli internati gravi nel vecchio carcere femminile di Empoli, a Massa Marittima o a Solliccianino, oppure di creare una nuova struttura a La Badia di San Miniato. Quest'ultima ipotesi però è difficilmente percorribile in tempi brevi: per la realizzazione i soldi ci sono ma servono almeno tre anni di lavori". Lo scorso 15 dicembre, nel corso di un incontro pubblico alla presenza del sottosegretario Luca Lotti, degli assessori regionali Vittorio Bugli e Luigi Marroni, del presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini, Enrico Rossi aveva consigliato per la futura riqualificazione dell'Ambrogiana un "mix di servizi tra centro congressuale e albergo di lusso, non escludendo "l'intervento di sostegno della stessa Cassa depositi e prestiti". Ma la strada - secondo i radicali - è difficilmente percorribile: "Una cosa è la Villa Medicea (che attualmente ospita soltanto uffici, ndr) e un'altra - sottolinea Lensi - sono le ex scuderie, dove vivono gli internati, che sono state ammodernate grazie ai recenti investimenti. Ma i loro destini sono legati a doppio filo. Perché tutto fa pensare che le ex scuderie resteranno una struttura carceraria, anche se c'è da capire di quale tipo: centro di osservazione psichiatrica, "valvola di sfogo" per Sollicciano, che ha gravi problemi di sovraffollamento, o nuova sede per le detenute della casa circondariale empolese di Pozzale. In ogni caso difficilmente si troveranno privati pronti a investire su un albergo a poche decine di metri da una struttura carceraria. Per "liberare" veramente l'Ambrogiana si dovrebbe abbattere il muro di cinta ed eliminare qualsiasi tipo di immobile destinato alla reclusione". Perplessità condivise dal sindaco di Montelupo, Paolo Masetti, che però puntualizza: "Anche lo stesso l provveditore del ministero della giustizia Carmelo Cantone, sempre nell'incontro del 15 dicembre 2014, ha posto dubbi sulla permanenza di una struttura carceraria, che effettivamente non sarebbe compatibile con il rilancio della Villa. Comunque nei prossimi giorni - come avevo già preannunciato - convocherò un gruppo di lavoro con tutti i soggetti coinvolti: serve una vera task-force, siamo di fronte a un puzzle nel quale tutti gli attori (Comune, amministrazione penitenziaria, Demanio e Regione) devono mantenere gli impegni presi". Poi puntualizza: "L'albergo di lusso nella Villa Medicea è soltanto una delle ipotesi in campo. La struttura dell'Ambrogiana è troppo grande per essere interamente destinata a fini pubblici. Per questo stiamo pensando a un centro polifunzionale, con albergo, area museale, un'altra porzione destinata a servizi pubblici". Latina: i Radicali in visita al carcere accompagnati dallo scrittore Antonio Pennacchi Ansa, 6 gennaio 2015 Una delegazione dei Radicali Italiani, nell'ambito dell'iniziativa politica Satyagraha di Natale con Marco Pannella, ha fatto visita questa mattina alla casa circondariale di Latina, dopo le tappe a Regina Coeli, Rebibbia e Sollicciano. Alla visita hanno partecipato Ilari Valbonesi, membro del Comitato nazionale Radicali italiani, e Alessio Fransoni, accompagnati dal vicesindaco di Latina Enrico Tiero e dallo scrittore pontino Antonio Pennacchi. "Il sovraffollamento carcerario - ha spiegato al termine della visita Ilari Valbonesi - è un dato di fatto. La sentenza Torreggiani ha già condannato l'Italia ma il Governo non sembra particolarmente preoccupato di garantire reali condizioni dignitose alla popolazione carceraria. I Radicali hanno consegnato un dossier al Consiglio d'Europa, ma tutto questo non è mai stato preso in considerazione". Per quanto riguarda nello specifico il carcere di Latina, Ilari Valbonesi e Alessio Fransoni hanno sottolineato le carenze strutturali dell'edificio, non adeguatezza del supporto psicologico offerto ai detenuti e gli spazi ridotti, sottolineando tuttavia come, all'interno della struttura, "il principio di rieducazione sia stato comunque ben recepito e applicato". Lo scrittore Pennacchi ha invece descritto la casa circondariale di Latina come un luogo freddo e buio e ha lamentato il fatto di non essere riuscito ad avere contatti diretti con i detenuti, di non aver potuto dialogare con loro. "Non sono mai stato dei Radicali - ha spiegato Pennacchi alla stampa a margine della visita - ma ho favorevolmente accolto il loro invito perché credo che il carcere va conosciuto e visitato. Noi siamo il Paese di Beccaria, il Paese che per primo ha riflettuto sui delitti e sulle misure di detenzione. Questo concetto della rieducazione e del recupero nasce in Italia, dobbiamo ricordarlo. Chi come me racconta storie sa bene che il bene e il male convivono dentro ognuno di noi". Fransoni ha infine ricordato che nella struttura sono attualmente ospitati 122 detenuti, contro una capienza di circa 75, la gran parte dei quali in attesa di giudizio. In cella al freddo e al buio, di Rita Cammarone (Corriere di Latina) "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", a Latina vietato parlare con i detenuti. Pennacchi "indigesto" alla direzione. In cella al freddo e al buio. È questa la situazione dei detenuti, presso la casa circondariale di Latina, riscontrata questa mattina dalla delegazione dei Radicali nell'ambito dell'iniziativa "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", finalizzata alla rimozione immediata delle cause strutturali che fanno delle carceri italiane luoghi di trattamenti inumani e degradanti, l'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento penale italiano, l'abolizione dell'ergastolo, la nomina del Garante Nazionale dei Detenuti, il rafforzamento del diritto alle cure e alla salute, l'affermazione della legalità nell'amministrazione della giustizia penale e civile, a tutela delle regole fondamentali della democrazia. Le porte del carcere di via Aspromonte questa mattina si sono "aperte" per consentire la visita programmata di Ilari Valbonesi (membro del Comitato nazionale Radicali Italiani), Alessio Fransoni, il vice sindaco Enrico Tiero e il Premio Strega di Latina, lo scrittore Antonio Pennacchi. Una visita a metà, con porte aperte sì, ma senza possibilità di colloquio con i detenuti e con un Pennacchi indigesto, forse, alla direzione. Un incidente diplomatico? Tutt'altro, considerando che il "personaggio" sarebbe risultato poco gradito in quanto non rappresentativo di alcuna istituzione. Al suo passaggio in cortile però il riscatto: alcuni detenuti presenti lo hanno riconosciuto e gridato "Forza Latina". "Io ho risposto con un saluto - ha raccontato lo scrittore - ma con loro avrei voluto parlare. Ho accettato l'invito dei Radicali proprio per loro. Perché nelle carceri ci sono persone e non soltanto delinquenti". E se Tiero ha dovuto abbandonare la visita alle sue prime battute per impegni istituzionali, i due radicali e lo scrittore pontino hanno portato a termine la loro missione nei limiti del possibile. Non una parola con i detenuti: l'autorizzazione concessa, ha spiegato la Valbonesi, non lo prevedeva a differenza di ciò che è stato consentito nel corso delle visite organizzate per la "Satyagraha di Natale con Marco Pannella". La direzione del carcere si sarebbe trincerata dietro all'assenza di un parlamentare. "Già - ha commentato Pennacchi - perché lì dentro la direzione avrebbe voluto solo politici. Fin quando è stato presente Tiero l'atteggiamento è stato ben diverso". Nessuna parola e soprattutto nessun dato: oltre alle cifre già note (122 ospiti, la quasi totalità - fatta eccezione della trentina di donne presenti - in attesa di giudizio), la direzione del carcere, come riferito dalle delegazione, non avrebbe fornito alcunché. Pare che a mettere i responsabili della struttura carceraria di via Aspromonte sulla difensiva siano stati gli "effetti" di un servizio di Report. Alla nota trasmissione di Raitre sarebbe stata contestata l'elaborazione dei dati forniti. Ma la storia di oggi è un'altra. Incontrovertibile. Un carcere freddo e buio. Due condizioni che - ci tiene a precisare Fransoni - nulla hanno a che vedere con la pena e quindi né con la limitazione della libertà né con la rieducazione. Il freddo e il buio sono una tortura. Il freddo e il buio che nel carcere di Latina dipendono da una questione strutturale: si tratta di un edificio degli anni Trenta che oggi è compromesso da una forte umidità e da ambienti, come l'infermeria, che d'estate raggiungono temperature elevatissime e d'inverno diventano una ghiacciaia. Insomma, a Latina una casa circondariale in linea con la media dei carceri italiani: fatiscenti, sovraffollati con scarsa assistenza sanitaria e psicologica. Nella struttura, con 122 "ospiti" per una capienza di 76, sono state notate celle con letti a castello a tre piani. E i numeri starebbero stretti anche in termini di metri quadrati a disposizione di ogni singolo detenuto. "Spesso si bara - ha detto Fransoni in generale - sulla superficie calpestabile dove lo spazio occupato dal letto non viene sottratto alla metratura della cella". Insomma, nulla di buono in via Aspromonte? A sorpresa una nota positiva: il personale del carcere. La delegazione oggi se non ha potuto avere alcun contatto diretto con i detenuti ha potuto però parlare con il personale della casa circondariale e con gli agenti di Polizia penitenziaria. "Grandissima umanità da parte del personale tutto - ha riassunto Pennacchi - e una direzione fredda". "Il personale del carcere di Latina - ha spiegato la Valbonesi - ci è sembrato consapevole delle problematiche e del valore della rieducazione, dotato di buona volontà. Ma non è facile portare avanti iniziative di rieducazione in un contesto di transito (detenuti in attesa di giudizio) e con popolazione di nazionalità diverse". Pennacchi ha donato alla biblioteca del carcere alcune copie dei suoi libri. "Il minimo che potessi fare - ha detto -. Dopo il Premio Strega sono stato invitato a Rebibbia e nel carcere "San Michele" di Alessandria. In entrambi ho potuto parlare con i detenuti. Oggi è stata la prima volta che ho visitato il carcere della mia città. Se sapevo che non avrei potuto avere un colloquio diretto con gli ospiti non ci sarei neanche venuto. Non sono mai stato radicale, e Marco Pannella non mi è mai piaciuto a differenza di Emma Bonino. Ma appena ricevuto l'invito dei radicali a partecipare a questa iniziativa ho detto subito di sì". Pennacchi ha citato Cesare Beccaria: "Nelle carceri non ci sono solo delinquenti, ma persone. Le persone sono qualcosa di più. Siamo il paese di Beccaria… Il concetto di recupero è un'altra storia e per chi racconta storie come me sa che il bene e il male stanno dentro ognuno di noi. Lì dentro (in galera) ci possono finire tutti". In quanto alle carenze strutturali del carcere di via Aspromonte il Premio Strega si è detto contrario ad una delocalizzazione della struttura fuori il centro della città: "Sono d'accordo nel realizzare un nuovo carcere e un nuovo stadio esattamente dove stanno adesso". Pisa: Fontanelli (Pd) e Sofri visitano carcere "no affollamento, ma struttura inadeguata" Ansa, 6 gennaio 2015 Superato il problema del sovraffollamento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso ma resta quello della vetustà della struttura. È la fotografia della casa circondariale Don Bosco di Pisa scattata stamani dal deputato del Pd, Paolo Fontanelli, che ha visitato il carcere insieme ad Adriano Sofri e Michele Battini consegnando, come fa ogni anno, i panettoni ai detenuti. "Ci ha accompagnati il direttore Fabio Prestopino - scrive il parlamentare sul suo blog - ma la situazione è assai diversa da quella dell'anno scorso, quando dominava il sovraffollamento. Oggi, grazie allo svuota carceri, i detenuti sono circa 200 a fronte dei 360 di un anno fa. Resta serio il problema della vetustà della struttura e delle evidenti carenze di manutenzione. Il carcere presenta molti fattori di inadeguatezza, che ovviamente si ripercuotono sullo stato di detenzione e sul lavoro degli agenti. I servizi lasciano seriamente a desiderare. Con particolare pesantezza nella sezione femminile, che però in questo periodo è vuota. Forse sarebbe il caso di approfittarne per fare gli opportuni adeguamenti. Tuttavia, per poter dire che il Don Bosco è un istituto di pena con un futuro, sarebbe opportuno un intervento strutturale massiccio, su larga scala, risolvendo situazioni di lavori interrotti e indefiniti e mettendo fine alla pratica delle toppe. Nei prossimi giorni mi muoverò comunque per interessare il ministero verso questa situazione". Lucca: i Radicali bocciano il carcere di San Giorgio "è una discarica sociale" di Paolo Lazzari www.luccaindiretta.it, 6 gennaio 2015 Una vera e propria "discarica sociale", una "struttura fuorilegge che, così come si presenta, andrebbe chiusa subito": questo il durissimo appunto dell'Associazione per l'Iniziativa Radicale Andrea Tamburi di Firenze, che stamani (5 gennaio) ha visitato con tre membri delegati il carcere San Giorgio di Lucca. Il presidente dell'associazione Maurizio Morganti, accompagnato dai due militanti storici Giovanni Rodella e Marca Rosa A., escono dalla Casa circondariale di via San Giorgio visibilmente contrariati. "Giusto una manciata di giorni fa - prende la parola Morganti - due senatori del Pd (Marcucci e Granaiola, ndr) hanno visitato questa struttura e, uscendo, si sono detti abbastanza soddisfatti di quello che hanno visto. Noi ci chiediamo in quale carcere siano stati. Il San Giorgio è una struttura totalmente antica, fatiscente, illegale, sovraffollata, dove si è oltrepassata la soglia della legalità da troppo tempo: così com'è andrebbe chiusa immediatamente". A far scattare l'indignazione dei radicali, venuti a Lucca nell'ambito del programma Satyagraha di Natale che ha visto l'adesione di centinaia di cittadini (e che in questi giorni vede impegnato in uno sciopero totale della fame e della sete il leader dei radicali, Marco Pannella), sono soprattutto le modalità attraverso le quali si tenta, a Lucca come in altre strutture carcerarie toscane e italiane, di aggirare le regole: "La sentenza Torreggiani - spiega ancora Morganti - pone i 3 metri quadri per detenuto come limite minimo sotto il quale non è possibile scendere, ma non sancisce un obbligo specifico. Ne consegue che, a Lucca come in molti altri posti, si constatano situazioni di tortura conclamata, con quattro persone racchiuse in una cella di tre metri per due". I radicali puntano il dito contro i senatori Pd, ma in parte anche verso il garante regionale Franco Corleone, colpevole, secondo loro, di aver rassicurato tutti quanti in ordine ad un sovraffollamento che, per lui, rappresenterebbe un problema risolto (oggi sono circa 3.500 i detenuti in Toscana, ndr): "Non possiamo dubitare della sua buona fede e del suo impegno - dice Morganti - ma quando si esprime così dice falsità". Eppure dentro il carcere di Lucca, struttura definita rinascimentale e forse la peggiore mai vista in Toscana dalla delegazione, il numero dei detenuti è andato diminuendo: dai 155 della fine del 2013 si è passati ai 134 ospiti attuali. Un dato, quest'ultimo, che ha indotto più di uno a guardare con rinnovato ottimismo al futuro, specie se coniugato con il fatto che il San Giorgio sarebbe in regola dal punto di vista dello spazio, perché la capienza, in ossequio al dettato normativo, è stata "allargata": oggi la struttura può accogliere 140 persone. Eppure qualcosa non va: "È il gioco delle tre carte - tuonano i radicali - perché i posti in più sono stati ricavati aggiungendo letti a castello in celle già esistenti, andando ad aggravare ancora di più una situazione critica. Tre quarti delle celle là dentro sono illegali. Gli ospiti saranno pure fuorilegge, ma anche l'edificio lo è". "Basterebbe - argomenta il gruppo -, che un magistrato di sorveglianza entrasse dentro una volta soltanto per chiudere tutto". La prossima elezione di un Garante per i detenuti, invece, viene accolta con prudente soddisfazione: "Serve che sia una persona molto preparata - spiegano - non uno scaraventato lì senza cognizione di causa, simbolicamente". Il carcere San Giorgio, come è noto, è in realtà una Casa Circondariale: le persone detenute al suo interno scontano pene massime nell'ordine dei 5 anni. Ecco allora un altro elemento in ordine al quale il discorso dei radicali si fa tambureggiante: "Questo è il tipico esempio di carcere italiano - osserva Morganti - concepito come discarica sociale. Lì dentro ci sono tossicodipendenti, immigrati, poveri: alcuni di loro sono rinchiusi per furti di lievissima entità, mentre i veri delinquenti se ne stanno fuori. La struttura potrebbe essere decente solo se ospitasse meno della metà delle persone che ha adesso: per questo chiediamo a gran voce indulto ed amnistia in tutti i casi in cui sia possibile". Alcuni dati incontrovertibili, scaturiti dalla visita di questa mattina, fanno tremare i polsi: dei 134 detenuti almeno 50 sono ex tossici e sempre 50 persone soffrono di disturbi psichiatrici correlati alle condizioni di vita. Molti detenuti, inoltre, hanno contratto l'epatite C, mentre non si registrano casi di tubercolosi o altre malattie gravi. Il fondamentale percorso di riabilitazione, tappa imprescindibile per una nuova inclusione sociale, secondo i radicali è del tutto abbandonato: "Lavorano a turno - dicono - ma si tratta di due persone al giorno, non di più. Alcuni ci hanno detto che non hanno mai fatto nulla da quando sono arrivati. Ci dovrebbero essere due grandi spazi ricreativi per l'ora d'aria, ma uno è chiuso: ne consegue che i detenuti preferiscono rimanere in cella, piuttosto che ammassarsi in un campetto". Anche il personale della Polizia Penitenziaria, secondo la delegazione, sarebbe esasperato perché sotto organico ed abbandonato a fronteggiare una situazione di totale emergenza. La direzione della struttura, invece, ha promesso a Morganti e compagni che a breve verranno avviate importanti ristrutturazioni interne: "Si dicono fiduciosi - chiude Morganti - ma servono i fatti. Non ci sono docce decenti: abbiamo visto fori nel muro da cui pendono tubi di gomma. L'acqua calda resta un miraggio. Anche la saletta per i colloqui è fuori legge: proprio stamani c'era un bambino seduto sul bancone, appoggiato al vetro. Serve una riforma del sistema giustizia e serve subito". Napoli: 79enne uxoricida scarcerato dopo 3 giorni. Il Gip: "lasciato solo dalle istituzioni" di Titti Beneduce Corriere del Mezzogiorno, 6 gennaio 2015 È di nuovo libero Antonio Parisi, l'ex salumiere di 79 anni che sabato mattina, disperato, ha stretto attorno al collo della moglie Paolina Gargiulo un filo elettrico, uccidendola nel loro appartamento di via Monte Grappa a Seeondigliano. Il gip ne ha disposto la scarcerazione senza alcun obbligo. "Si tratta di un contesto connotato da solitudine e abbandono" aggravate dalle difficili condizioni di salute della donna. È di nuovo libero Antonio Parisi, l'ex salumiere di 79 anni che sabato mattina, disperato e stanchissimo, ha stretto attorno al collo della moglie Paolina Gargiulo un filo elettrico, uccidendola nel loro appartamento di via Monte Grappa a Secondigliano. Il gip Claudia Picciotti, condividendo le valutazione degli avvocati Ivan Palmieri e Marco Monaco, ne ha infatti disposto la scarcerazione senza alcun obbligo. Le tre figlie, Carmela, Patrizia e Francesca, sono andate a prenderlo ieri pomeriggio, a Poggioreale. Nelle tre paginette in cui non convalida il fermo dì Antonio Parisi, il giudice si sofferma sulle condizioni di estrema solitudine in cui l'anziano era stato lasciato dalle istituzioni: "Si tratta di un contesto connotato da solitudine e abbandono, in cui l'aggravarsi delle condizioni motorie della vittima aveva determinato un sostanziale isolamento della stessa dalle strutture terapeutiche che l'avevano in cura, con conseguente carico della situazione unicamente sulle spalle del Parisi". Parisi che "compie l'infausto gesto con lucidità e piena consapevolezza", ma al contempo è "rassegnato, consumato da una vita di angherie subite e di fardelli troppo pesanti da portare sulle spalle". Al giudice, l'ex salumiere ha raccontato tutte le difficoltà della sua situazione. E il giudice ha compreso la sua sofferenza. Paolina era malata di mente e da quando era diventata obesa e semicieca non si alzava più. Antonio, perso dietro a lei giorno e notte, non dormiva più. "Gli aiuti esterni erano assolutamente esigui rispetto ai bisogni della donna. Tuttavia le due badanti assunte testimoniano dell'enorme devozione e disponibilità di Parisi nei confronti della moglie". Francesca Parisi, la seconda figlia della coppia e l'unica rimasta a Napoli, racconta con le lacrime agli occhi la tragica storia d'amore dei suoi genitori: "Sì conobbero a Miano quando papà aveva 27 anni e faceva il salumiere, lei ne aveva dieci di meno e sciacquava le bottiglie per il vino. Si sposarono tre anni dopo, nel ‘66, quando mamma era ancora minorenne. Una settimana dopo il matrimonio lei fu ricoverata in manicomio la prima volta". Da quella volta, Paolina Gargiulo è entrata e uscita dal manicomio tante volte che la figlia non le ricorda più "Entrò che pesava 50 chili, un po' alla volta l'hanno fatta diventare obesa. Aveva un disturbo bipolare: ora era aggressiva e pericolosa, ora diventava depressa e bisognosa di sostegno. Le hanno fatto di tutto, persino l'elettroshock". Dal 1986 Paolina era in cura al Centro di igiene mentale di Secondigliano: "Ma si limitavano a prescriverle dei farmaci. Nelle ultime settimane abbiamo chiesto un ricovero in un istituti, ma ci siamo sentiti rispondere che costava troppo caro e il Servizio sanitario nazionale non se lo poteva permettere. Il peso della sua assistenza ricadeva soprattutto su papà, che pure ha dei by pass all'arteria femorale e un rene in disuso". Uscito da Poggioreale, Antonio Parisi è apparso, incredibilmente, rinfrancato: "Ho potuto dormire e scambiare due parole con qualcuno". Ma era umiliato: a lui, che è evangelico (si battezzò nel mare dì Mergellina agli inizi degli anni Novanta assieme con Alemao) un altro detenuto evangelico ha imposto di non pregare, a causa del delitto commesso. Riflette l'avvocato Palmieri: "Il provvedimento del gip avvalora la tesi di questa difesa, secondo la quale la tragedia rappresenta il frutto di un degrado sociale imputabile alla inadeguatezza delle strutture preposte ad offrire assistenza ai soggetti affetti da disturbi della psiche ed ai loro familiari. L'unica risposta alle problematiche sociali sembra essere sempre successiva e meramente punitiva. L'auspicio è che la tragedia della famiglia Parisi possa quantomeno sollecitare una seria riflessione". Parma: parlamentari in vista alle carceri "Comune riprenda i percorsi di lavoro esterno" La Repubblica, 6 gennaio 2015 La visita dei parlamentari di Parma agli Istituti penitenziari. Impegno sul tema dell'allargamento dei posti ricovero in ospedale". Necessario che il Comune riprenda i percorsi attivi di lavoro esterno". Carcere: mantenere i legami col territorio Un carcere dalla gestione complessa, per le funzioni che vi sono esercitate e per i diversi regimi detentivi a cui sono soggetti i carcerati, una struttura che appartiene a tutti gli effetti al nostro territorio e per la quale è vitale il rapporto con il contesto esterno. È questo il filo che ha guidato Giuseppe Romanini, Patrizia Maestri e Giorgio Pagliari nella visita che hanno effettuato agli Istituti penitenziari di via Burla. Accompagnati da Lucia Monastero, in rappresentanza della direzione, e da suoi collaboratori, i Parlamentari di Parma hanno potuto prendere visione della situazione generale del carcere, a cominciare dalla questione del sovraffollamento. "Oggi il numero dei detenuti è sceso a 530 per effetto di nuove norme approvate dal Governo, a fronte di una capienza di 463 ospiti, dunque una situazione migliorata rispetto al passato e ad altre carceri, ma il problema comunque resta, così come è presente il tema della mancanza di personale" - osservano. La visita ha compreso, oltre ai settori veri e propri di sicurezza l'A.S.1, anche gli spazi di accoglienza, dove i detenuti incontrano i propri figli durante i colloqui, la sala allestita dagli studenti del Toschi, le cucine. Un particolare approfondimento è stato riservato alle questioni inerenti la gestione della sanità in quanto il carcere di Parma è uno dei pochi dotati di un centro diagnostico terapeutico. "Il tema dei servizi per la salute è molto sentito in quanto proprio l'esistenza del centro diagnostico terapeutico fa sì che a Parma vengano destinati detenuti con problemi di salute anche molto gravi la cui gestione è resa ancor più complessa dai differenti regimi carcerari - spiegano. Oltre alla necessità di presenza di uno specialista urologo, abbiamo raccolto la segnalazione, e in questo senso ci siamo impegnati, di verificare la possibilità dell'ampliamento del reparto detentivo in ospedale che attualmente ha 5 posti letto, dotazione non sufficiente per rispondere ai bisogni legati ai ricoveri dei detenuti". Altra questione segnalata è quella legata alla possibilità per carcerati di effettuare lavori esterni a fini di utilità pubblica. " Se da un lato la preziosa attività delle realtà di volontariato e quella delle stesse scuole rendono meno isolata la vita in carcere - continuano i Parlamentari - è evidente che risulta altrettanto importante proseguire e riprendere, come a Parma dove si sono interrotti, i percorsi attivi di lavoro esterno. È una scelta determinante nel recupero dei detenuti che è un compito che la Costituzione affida allo Stato". Nel corso della visita, durata un paio d'ore, i Parlamentari hanno parlato, oltre che con operatori carcerari, con alcuni detenuti, ascoltando le loro osservazioni e anche le loro richieste. Giuseppe Romanini, Patrizia Maestri e Giorgio Pagliari sono stati inoltre informati che è all'attenzione della direzione del carcere il problema relativo alla sicurezza degli impianti di video sorveglianza, per la quale sono necessari gruppi di continuità, problematica avviata a soluzione. Brescia: a Natale il carcere si svuota, a Canton Mombello restano solo 10 agenti di turno www.bresciatoday.it, 6 gennaio 2015 Record dell'assenteismo per il carcere bresciano di Canton Mombello: sotto le festività natalizie solo 10 agenti operativi per turno, meno di 80 al giorno. Su un organico totale che conta ben 220 agenti. Non solo i vigili romani o partenopei nel calderone dello scandalo dell'assenteismo durante le feste di Natale. Succede anche a Brescia, nel carcere di Canton Mombello, dove proprio in occasione delle festività di quest'anno si sarebbe registrato il record delle assenze, per ferie e soprattutto malattia. Dalla vigilia all'Epifania infatti il numero degli agenti di Polizia Penitenziaria presenti quotidianamente non raggiungerebbe la quota di 80, circa un terzo rispetto all'organico completo. A conti fatti una decina di agenti per turno - blocchi orari da circa sei ore l'uno - su un totale di 220 agenti. E se la percentuale s'impenna sotto le feste i numeri non cambiano di molto anche durante l'anno. La quota annuale dell'assenteismo bresciano infatti arriva a sfiorare il 25%: uno su quattro non va mai a lavorare, nemmeno quando le vacanze (estive o invernali) sono davvero lontane. Il lavoro, comunque, si deve fare. E i (pochi) rimasti hanno dovuto inghiottire un boccone amaro, spesso hanno dovuto lavorare il doppio, allungare i turni, sorbirsi straordinari a questo punto "forzati". Milano: "Zanza un libro", l'iniziativa benefica per i detenuti di San Vittore www.varesenews.it, 6 gennaio 2015 L'iniziativa lanciata da numerose associazioni milanesi punta ad arricchire la dotazione della biblioteca del carcere. "La cultura può contribuire fortemente al processo di rieducazione", spiegano gli organizzatori. Un gesto di solidarietà che passa dall'amore per la letteratura. Questo è il senso dell'iniziativa che potrebbe interessare tutti coloro che amano donare un libro durante questo periodo di feste: si chiama "#zanzaunlibro", l'hanno lanciata il Comune di Milano e Fondazione Cariplo, con la collaborazione della Caritas Ambrosiana per andare ad aumentare la dotazione della biblioteca del carcere milanese di San Vittore. Direttamente da casa sul sito della Hoepli o recandosi in una delle librerie milanesi che hanno aderito all'iniziativa, sarà infatti possibile scegliere un titolo che andrà a incrementare la biblioteca di San Vittore. L'idea è nata proprio dalla necessità di arricchire gli scaffali delle sale lettura del carcere "luoghi accoglienti e frequentati dai detenuti, che tuttavia necessitano di nuovi volumi, adatti agli effettivi bisogni dei lettori del carcere, persone di età, nazionalità, livello d'istruzione, ma anche interessi diversi" spiegano gli organizzatori in una nota. Fra i libri proposti ci sono dizionari e frasari d'italiano per stranieri, libri in lingua straniera, testi scolastici, ma anche di musica, cinema, diritto, cucina, sport: diverse discipline per incentivare la cultura dei detenuti di san Vittore. Fra i titoli selezionati anche grandi classici come "Il piccolo principe", "Il nome della rosa", i libri della saga di Harry Potter, "Pinocchio" e "La Divina Commedia": chi volesse aderire potrà farlo direttamente pagando il prezzo di copertina, oppure contribuire con l'acquisto di un voucher da 5, 10 o 15 euro. Il progetto era stato lanciato durante Bookcity, il festival dei libri e della lettura che si è tenuto a Milano dal 13 al 16 novembre scorso. Da allora numerosi personaggi dello spettacolo, come Francesco Guccini e Roberto Vecchioni, hanno scelto di aderire, "zanzando" un libro e pubblicizzando l'iniziativa. Ma i libri possono davvero fare la differenza in un carcere? "Assolutamente sì - spiega Daniele Mantegazza, per 20 docente all'interno della Casa Circondariale di Busto Arsizio. La cultura può contribuire fortemente al processo di socializzazione e può aiutare una persona che ha sbagliato a comprendere i cardini fondamentali su cui poggia la propria vita: una rieducazione che parte dai libri, dal ragionamento può essere fondamentale per una persona per rientrare nella società civile". Il professor Mantegazza fa riferimento proprio alla sua diretta esperienza al carcere di Busto: "Quando io e l'allora direttore della Casa Circondariale di Busto Arsizio ci confrontammo sulle modo più opportuno per proporre l'insegnamento ai detenuti, giungemmo alla conclusione che la soluzione migliore era quella di offrire una cultura gratuita, libera dalla connessione al "fare". Organizzammo un liceo scientifico all'interno del carcere: ciò che ci premeva era favorire il ragionamento, la curiosità e la creatività delle persone. Grazie ai libri, al giornalino, a rappresentazioni teatrali scritte dai detenuti volevamo aiutare l'integrazione con gli altri, perché la cultura può fare anche questo: far sì che una persona si senta parte di una comunità, della società. Ben vengano iniziative come "zanza un libro": arricchire la biblioteca di un carcere è sicuramente un punto di partenza fondamentale per questo processo". Milano: un pranzo dell'Epifania in Arcivescovado per i detenuti del carcere di Opera Askanews, 6 gennaio 2015 L'arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, celebra oggi la solennità dell'Epifania con un pranzo in compagnia di alcuni detenuti del carcere di Opera (Milano). Dopo la celebrazione della messa in Duomo, Scola accoglierà infatti alle 13 in Arcivescovado alcuni carcerati accompagnati dal direttore del penitenziario, Giacinto Siciliano, dai cappellani don Antonio Loi e don Francesco Palumbo e da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Questo incontro con la realtà del carcere, con i detenuti e con coloro che quotidianamente vi operano, segue la recente visita di Scola in un altro penitenziario milanese, quella del 23 dicembre scorso a Bollate. Alle ore 16 in Duomo il cardinale presiederà infine i Solenni Vesperi dell'Epifania. Termoli (Cb): la "Befana dei detenuti", alla parrocchia S. Timoteo offerte per i reclusi www.primonumero.it, 6 gennaio 2015 Torna anche quest'anno l'appuntamento con "La Befana dei detenuti". "Un po' per risvegliare la coscienza assopita, un po' per riproporre alla considerazione di molti che esistono tanti fratelli dimenticati, ogni anno, l'Associazione Iktus - Onlus mette in evidenza con l'iniziativa della "Befana Dei Detenuti" ponendo in prima lista la pratica dimenticata sotto la pila di impegni". Quindi domani 6 gennaio, solennità liturgica dell'Epifania, alla Parrocchia di san Timoteo in Termoli, sede legale dell'associazione ci sarà possibilità, per chi desidera, di aiutare i detenuti della Casa Circondariale di Larino, offrendo quanto è necessario per l'igiene personale e indumenti intimi di cui mancano tanti di loro perché dimenticati perfino dalle famiglie o provenienti da molto lontano o meno abbienti di tanti altri loro colleghi. Durante la giornata del 6 gennaio i fedeli che si recheranno alla celebrazione delle messe: ore 08,30 - 11 - 18 potranno portare quanto preparato e consegnarlo al momento della raccolta. "Fare del bene bonifica se stessi e benefica i fratelli, ristabilisce la giustizia che diventa amore condiviso e attenzione donata" scrive l'associazione. Agrigento: libri raccolti dal Lions Club di Ravanusa per la sezione femminile del carcere La Sicilia, 6 gennaio 2015 Sono oltre 400 i volumi raccolti dal Lions Club di Ravanusa, che saranno donati alla sezione femminile del carcere di Agrigento. Ma altri sono in arrivo. I volumi saranno consegnati nei prossimi giorni al direttore della Casa circondariale. Un successo oltre previsione il Reading "100 libri per il carcere di Agrigento" che si è svolto nei giorni scorsi presso la parrocchia di Maria e Gesù di Campo bello di Licata. L'evento aperto dal presidente del Lions, avvocato Salvatore Manganello, è stato condotto dal professor Francesco Pira, docente di Comunicazione dell'Università di Messina, saggista e giornalista. Quattro gli scrittori e poeti che nel corso della serata hanno declamato le loro poesie: Lorenzo Peritore (Licata), Adriana Valenza (Caltanissetta), Gianni Argento e Filippo Tornambè. "L'obiettivo che ci eravamo prefissi - ha dichiarato il presidente Manganello - è stato ampiamente superato. E ancora continuano ad arrivare libri che consegneremo nei prossimi giorni al direttore del carcere. Voglio ringraziare gli scrittori che hanno partecipato e quelli che hanno fatto pervenire le loro opere. L'iniziativa rientra nei nostri service dedicata alle persone più deboli. Siamo molto felici del successo". La cultura al servizio della solidarietà: "Un segnale molto forte per il nostro territorio - ha commentato il professor Pira - un sostegno vero a chi crede nel principio del rispetto dell'altro. Spero che si ripetano tante di queste iniziative. Si tratta di uno splendido precedente". Autori, scrittori, poeti che vogliono far pervenire le loro opere possono contattare il presidente del Lions Club, Salvatore Manganello. Civitavecchia: la Comunità di Sant'Egidio organizza pranzi con i detenuti e le detenute www.trcgiornale.it, 6 gennaio 2015 Sabato 3 gennaio le Comunità di Sant'Egidio di Roma e di Civitavecchia hanno organizzato insieme due pranzi in occasione delle festività natalizie con i detenuti della Casa di Reclusione di Via Tarquinia e con le detenute della Casa Circondariale di Via Aurelia Nord. Nel pomeriggio anche una festa nel reparto infermeria maschile. Presenti circa 50 volontari di Sant'Egidio insieme ai due cappellani Padre Sandro e Don Lazare. Il Menù, tipico delle feste natalizie, è stato offerto da prestigiosi ristoranti: ottime lasagne al ragù della Taverna dell'Olmo, polpettone farcito, patate e lenticchie dai ristoranti Buffet La Stazione, La Giara e la Taverna del Moro. Per finire frutta di stagione e dolci natalizi. Presso la sala teatro della Casa di Reclusione i posti a tavola erano 100: comandante, volontari, agenti, educatrice e cappellano hanno pranzato insieme ai detenuti. La gioia è stata contagiosa durante tutti i momenti del pranzo. Molto partecipata la tombola e soprattutto l'accoglienza a Babbo Natale che ha regalato doni utili e belli. Ha osservato un giovane detenuto "la mia famiglia è lontana, ma oggi mi sento in famiglia". Il pranzo nella sezione femminile di via Aurelia è stato particolarmente festoso e intimo. Dopo il saluto del Comandante, del Cappellano e dell'educatrice una grande festa per l'arrivo di Babbo Natale e la Tombolata. Presenti anche volontari di Santa Marinella che tutte le settimane animano la messa nella sezione. Commovente il commento di una giovanissima detenuta "come vorrei che tutti i sabati fossero così". La giornata si è conclusa con la merenda nel reparto dell'Infermeria con detenuti malati di varie nazionalità e religioni che hanno espresso il loro desiderio comune di un 2015 all'insegna della pace. "Grazie per il sollievo che portate", ha detto uno degli ammalati. I pranzi di Natale nelle carceri del Lazio organizzati dalla Comunità di Sant'Egidio quest'anno sono stati 18 e hanno coinvolto circa 2000 detenuti. Milano: la "Christian music" di Roberto Bignoli nel carcere di Opera Ristretti Orizzonti, 6 gennaio 2015 L'artista, vincitore di premi internazionali, suonerà e presenterà alle persone detenute il suo libro, che racconta un'esperienza di vita basata sulla passione per la musica e sulla fede. Roberto Bignoli, artista di fama internazionale, tra i principali esponenti della Christian music, suonerà mercoledì 14 gennaio, alle ore 10, nel carcere di Opera, alle porte di Milano. L'iniziativa è di Cisproject-Leggere Libera-Mente, associazione culturale che si propone di favorire il reinserimento delle persone detenute nella cosiddetta società civile. Da diversi anni Bignoli, che ha pubblicato dodici album e cinque singoli, suona in tutto il mondo e la sua Ballata per Maria è diventata la sigla mondiale di Radio Maria. Nella sua carriera l'artista ha vinto cinque Unity Award e il Grammy Usa della musica cristiana internazionale. Nel libro autobiografico Il mio cuore canta, Bignoli ha raccontato la sua particolare storia. All'età di un anno Roberto ha contratto la poliomielite, che gli ha provocato gravi difficoltà motorie obbligandolo a terapie continue e alle stampelle. Dopo un'infanzia difficile e il collegio, negli anni dell'adolescenza ha iniziato a suonare musica rock e ha condotto una vita di espedienti fino a quando, nel 1984, folgorato dal "mistero Medjugorje", ha deciso di dedicarsi alla Christian music per abbinare la passione per la musica alla fede religiosa. “Siamo molto felici di portare la musica di Bignoli all'interno del carcere di Opera - dichiara Barbara Rossi di Cisproject-Leggere Libera-Mente. La musica è emozione, energia, entusiasmo, passione, e lo è ancora di più quando porta con sé messaggi di speranza come in questo caso. L'evento di mercoledì 14 gennaio sarà quindi una grande occasione di svago, ma anche di riflessione, per tutte le persone detenute, che vivranno una giornata da ricordare”. In occasione del concerto a Opera Bignoli sarà accompagnato dal musicista Mario Ferrara e racconterà la sua vita e il suo libro intervistato dal giornalista Renzo Magosso insieme ai corsisti del progetto “Leggere Libera-Mente”, attivo da diversi anni nella Casa di Reclusione di Opera, che si occupa di biblioterapia con le persone detenute attraverso la lettura, la scrittura creativa, poetica, autobiografica, giornalistica. Ulteriori informazioni sono disponibili all'indirizzo www.leggereliberamente.it. Roma: l'attore Gigi Proietti guest star al pranzo in carcere a Rebibbia Ansa, 6 gennaio 2015 Pranzo d'inizio anno eccezionale per i detenuti del carcere romano di Rebibbia. Ospite d'onore uno degli attori più amati e popolari di Roma, Gigi Proietti, amato dai tanti ristretti - in prima fila i disabili del braccio G11 - soprattutto per le sue performance in "Febbre da cavallo", film cult ormai da decenni. Proietti, più volte applaudito, ha raccontato due barzellette e accennato brevemente a una canzone del suo repertorio, scusandosi per la voce bassa dovuta all'influenza. "I detenuti mi hanno riservato un'accoglienza così calorosa da risultare inspiegabile -ha detto più tardi ai cronisti-Mi è venuta voglia di fare una "mandrakata" (una via di mezzo tra truffa e trucco attorno cui ruota tutto il film, ndr) per tutti loro, perché vivano qui dentro al meglio". Il direttore del carcere, Mauro Mariani, in apertura del pranzo ha in particolare auspicato che "aumentino le occasioni di recupero dei detenuti attraverso il lavoro", sia con le diverse attività attualmente presenti in carcere, l'ultima di queste la torrefazione che produce il "Caffé Galeotto", sia con nuove opportunità offerte ai detenuti dagli imprenditori interessati, tra cui "alcuni -ha detto infine Mariani- presenti oggi". Televisione: precisazione del Dap in merito al documentario "Sbarre" del 4 gennaio Adnkronos, 6 gennaio 2015 "Domenica 4 gennaio 2015, Rai1 - Speciale Tg1 ha trasmesso il documentario "Sbarre" di Daniele Segre, realizzato a luglio 2013 nella casa circondariale di Firenze Sollicciano. Nel documentario sono state riportate dichiarazioni di detenuti che rappresentavano una condizione detentiva complessiva che, per un verso, non era del tutto rispondente alla situazione di allora, come precisato dal Provveditore regionale della Toscana, mentre dall'altro verso non tiene conto dei miglioramenti delle condizioni detentive che si sono evoluti da allora ad oggi, ciò in armonia ai principi enunciati dalla Cedu. Nel luglio 2013 i detenuti fruivano di cinque ore di permanenza fuori della stanza di detenzione, come confermato dal Provveditore regionale, e non di due ore come affermato da alcuni intervistati, mentre allo stato attuale i detenuti fruiscono di otto ore di permanenza al di fuori della camera di pernottamento. Nel luglio 2013 erano presenti a Sollicciano 1004 detenuti, oggi ne sono presenti 741. Ciò ha comportato un notevole miglioramento delle condizioni di detenzione e di vivibilità all'interno delle sezioni detentive, con l'ampliamento degli spazi destinati al solo pernottamento. Le condizioni di pulizia degli ambienti detentivi sono in progressivo miglioramento, così come la dotazione di prodotti e attrezzature igieniche, grazie anche a risorse impegnate nel settore in misura quasi doppia rispetto al passato (125.000 euro nel 2013 e 210.000 euro per il 2014). Nel corso del 2014 sono stati finanziati interventi per riparazioni alla struttura per circa 260.000 euro, che hanno permesso di migliorare le condizioni strutturali dell'istituto. Si precisa, altresì, che il personale di Polizia Penitenziaria in forza all'istituto era, nel luglio 2013, di 488 unità, oggi è di 496 unità, con una presenza media nei turni di tre unità per ogni piano che ospita 80 detenuti. Pertanto, anche sotto questo profilo, le notizie riportate nel servizio non erano né attuali, né rispondenti al vero. Da una verifica fatta, gli spazi destinati al pernottamento attualmente fruibili dai detenuti intervistati rispondono ai parametri indicati dalla Cedu". Mondo: pena di morte, Pakistan e Giordania rispolverano il patibolo di Chiara Nardinocchi La Repubblica, 6 gennaio 2015 I governi di Amman e Islamabad hanno sospeso la moratoria. Mentre Arabia Saudita e Iran segnano il primato in negativo degli ultimi anni circa il numero delle esecuzioni. Un passo nella direzione opposta arriva dal Maryland dove quattro condannati sono stati salvati dalla pena capitale. Un anno finito male per i sostenitori della moratoria sull'abolizione della pena di morte. A fermare il trend positivo che aveva visto negli ultimi anni sempre più Stati virare perso l'abolizione, sono stati Pakistan e Giordania che il 21 dicembre 2014 hanno ripreso le esecuzioni. Un brutto colpo per le associazioni umanitarie come Nessuno tocchi Caino impegnate nella lotta contro il sistema capitale. Il ritorno del Pakistan. Dopo sei anni di moratoria de facto, Islamabad è tornata sui suoi passi. Una decisione presa dopo l'attacco alla scuola di Peshawar del 16 dicembre 2014, quando sette appartenenti al gruppo del Tehrik-i-Taliban Pakistan (i talebani pakistani) ha aperto il fuoco uccidendo 141 persone, la maggior parte bambini. Il giorno seguente, il presidente Nawaz Sharif ha annunciato la fine della moratoria per i reati legati al terrorismo. Dal 21 al 31 dicembre sono state giustiziate cinque persone nelle prigioni di Faisalabad e Peshawar, colpevoli di aver preparato e messo in atto l'attentato contro il generale Pervez Musharraf nel 2003. In Giordania. Ancora più drastica la decisione di Amman, che dopo otto anni di sospensione, il 21 dicembre 2014 ha ripreso le esecuzioni impiccando undici uomini condannati per omicidio nel Centro di correzione e riabilitazione di Swaqa, una prigione a circa 70 chilometri dalla capitale. "Alcuni prigionieri - ha riferito una fonte interna al carcere all'agenzia di stampa Petra - hanno chiesto di dare un ultimo messaggio alle loro famiglie, altri solo di fumare una sigaretta". Dal 2006, anno dell'ultima esecuzione in Giordania, più di 120 persone sono state condannate alla pena capitale per omicidio, stupro di minori e spionaggio, ma le loro sentenze non sono state eseguite. Un'altra dimostrazione della fermezza della sua decisione Amman l'ha dato sul palcoscenico internazionale. Il 18 dicembre 2014, infatti, il rappresentante giordano all'Assemblea generale delle Nazioni Unite si è astenuto durante la votazione sulla Risoluzione per una moratoria sull'uso della pena di morte. Iran e Arabia Saudita. Un record in negativo anche per Teheran e Riyad, che nell'anno appena concluso hanno registrato il maggior numero di esecuzioni degli ultimi anni. Una tendenza che non sembra arrestarsi dato che in soli quattro giorni (dal 29 dicembre al 1° gennaio) tre persone sono state decapitate dallo stato saudita per reati di omicidio e traffico di droga, facendo salire così a 86 le esecuzioni del 2014, il numero più alto degli ultimi cinque anni. Mentre, secondo l'Iran Humans Rights Documentation center nel 2014 Teheran ha giustiziato almeno 707 persone, un numero impressionante, che segna un 10% in più rispetto al 2013. Buone notizie dagli Stati Uniti. Un passo, ma nella direzione opposta, l'ha fatto lo Stato del Maryland, il 18° stato statunitense, nell'aver abolito la pena di morte. Promulgata il 15 marzo 2013, l'abolizione non aveva carattere retroattivo, così il 31 dicembre il governatore Martin O'Malley ha deciso di commutare in ergastoli senza condizionale le condanne a morte degli ultimi quattro detenuti nel braccio della morte. "In un governo rappresentativo - ha detto O'Malley - le esecuzioni di Stato rendono ogni cittadino partecipe di un omicidio legalizzato". Inoltre, dopo l'abolizione in Maryland, non era in vigore nessun protocollo di esecuzione, quindi giustiziare i quattro condannati rimasti nel braccio della morte sarebbe stato "legalmente e di fatto impossibile", ha detto Doug Gasler procuratore generale dello Stato. Stati Uniti: Enrico "Chico" Forti dopo sedici anni riceve visita in carcere della figlia Ansa, 6 gennaio 2015 "Dopo sedici anni Chico ha ricevuto la visita di sua figlia. Mi ha detto che per lui è stato un grandissimo regalo di Natale". Lo ha raccontato oggi a Trento Gianni Forti, zio di Enrico "Chico" Forti, l'imprenditore trentino di 56 anni condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'australiano Dale Pike, avvenuta nel 1998 a Miami, e in carcere da quasi quindici anni in Florida e sempre dichiaratosi innocente. È avvenuto nel corso di una conferenza stampa per presentare un concerto organizzato in Trentino per il 9 gennaio dal Comitato "Una chance per Chico", per raccogliere fondi per le spese legali per agire in modo da ottenerne la scarcerazione. "Chico mi ha detto che quello con la figlia è stato un incontro molto emozionante - ha aggiunto lo zio, che lo ha portato quasi in uno stato di grazia e che spera di riabbracciare da uomo libero i suoi figli. Anche il fatto che i vecchi amici non lo dimentichino per lui è importante. Se questa volta ce la facciamo, è anche grazie alle iniziative che gli amici organizzano, come il concerto". Amici che in carcere vanno a trovarlo, così come di recente, lo scorso 11 dicembre, da Chico Forti è andato il sottosegretario Mario Giro, accompagnato dal console generale d'Italia a Miami, Adolfo Barattolo, dopo che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha consegnato due giorni prima al segretario di Stato americano John Kerry un promemoria sulla vicenda di Forti. A Chico Forti intanto, ha riferito lo zio, "è stato dato in carcere un diploma al merito, perché ha organizzato corsi per il reinserimento dei detenuti, tanti da coinvolgere centinaia di carcerati e anche altri quindici docenti esterni e da avere visto la visita di commissioni da altri penitenziari, per studiarne il modello". Concerto-evento per finanziare le spese legali Raccolta di fondi del Comitato "Una chance per Chico", mentre l'avvocato newyorkese Joe Tacopina sta per aprire nuove strade per ottenere la libertà di Enrico Forti. L'imprenditore trentino, 56 anni, fu condannato all'ergastolo nel 2002 per l'omicidio dell'australiano Dale Pike, avvenuta nel 1998 a Miami, ed è in carcere da quasi quindici anni in Florida, ma si è sempre dichiarato innocente. Un concerto-evento è stato organizzato per il 9 gennaio a Cavalese, per raccogliere denaro per le spese legali. Un'iniziativa che segue le altre del Comitato, organizzate negli anni tra l'altro a Riva del Garda e a Trento. Per sette volte la famiglia e gli amici del Comitato hanno tentato di ottenere, ma invano, la revisione del processo "e ora riproverà il nuovo legale, Tacopina, che in alternativa chiederà l'annullamento alla Corte federale - ha spiegato Gianni Forti - zio di Chico, in una conferenza stampa a Trento - visti gli ormai evidenti errori del processo che ha portato alla sua condanna". Un obiettivo, quello della revisione delle accuse nei confronti di Forti, che ha visto muoversi il ministero degli Esteri italiano, così come l'approvazione unanime di una mozione alla Camera, oltre che del Consiglio provinciale del Trentino. Al concerto del 9 gennaio il Comitato degli amici, col presidente Lorenzo Moggio, ha annunciato anche la presenza del presidente della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, e di esponenti della Fisi, in vista delle gare di sci. "Nello spirito di Chico - ha sottolineato - che sapeva unire cultura, solidarietà e sport". Il concerto, con contributo di 35 euro che sarà interamente devoluto e darà ai partecipanti il voucher per il tour del gusto della domenica, vedrà al violino Patrizia Bettotti e al pianoforte Edoardo Bruni, due artisti trentini, con repertorio classico e musiche di Dvorak, Schumann, Beethoven e Wieniawski. Guinea Equatoriale: Roberto Berardi, compleanno in carcere per il pontino detenuto di Giusy Cavallo www.latinaquotidiano.it, 6 gennaio 2015 Trascorrerà un altro compleanno in carcere Roberto Berardi, che oggi compie 51 anni. Dal 19 gennaio del 2013, l'imprenditore pontino è in condizioni disumane in Guinea Equatoriale accusato di un reato che non ha commesso. "Roberto Berardi è innocente" ripete da mesi il suo avvocato in Guinea Equatoriale, Ponciano Mbomio Nvò, che ha spiegato che "è stato incarcerato e processato perché il regime vuole tappargli la bocca". "Berardi - spiega il legale - è vittima della vendetta di Teodorin (Teodorin Obiang figlio del dittatore della Guinea Equatoriale con il quale Berardi era entrato in affari ndr), che lo ha incarcerato per tappargli la bocca e per curarsi l'orgoglio ferito. Il processo è stato iniquo, si è celebrato un procedimento penale per una diatriba tra soci che dovrebbe riguardare al massimo il diritto civile o mercantile". Il caso Berardi è stato seguito dai media ma molto meno dalla politica italiana, "Io non sono mai stato contattato da nessuno del ministero degli Esteri italiano né dall'ambasciata italiana in Camerun - ha rivelato qualche mese fa l'avvocato di Berardi -. Nessuno dalla Farnesina mi ha mai cercato, francamente non capisco bene come l'Italia stia gestendo questo caso". Tra gli esponenti politici italiani solo in pochi si sono occupati del caso, uno su tutti il senatore democratico Luigi Manconi che ha cercato di intrattenere rapporti diplomatici con la Guinea Equatoriale. Sono state tante le speranze in questi 24 mesi: ad aprile scorso sembrava vicina la scarcerazione, poi la promessa di una grazia, poi la notizia di un'amnistia che però non ha coinvolto Berardi. Tante anche le paure: più volte l'uomo è stato frustato e torturato, privato del cibo e della luce, malato e trasportato in ospedale dove è stato mal curato. A queste vicissitudini sono legate le angosce di Rossella Palumbo, ex moglie dell'imprenditore pontino, che teme che non lo libereranno. Berardi dovrebbe finire di scontare la sua pena nell'aprile del 2015, ma non è certo che per quella data verrà rilasciato. Lo scorso 18 dicembre, tanti latinensi sono scesi in piazza per manifestare la loro vicinanza a Roberto e alla famiglia in una fiaccolata che ha sfilato per le vie della città. E a noi non resta che augurare buon compleanno a Roberto Berardi, sperando che il suo regalo possa essere la libertà, il prima possibile. Russia: "No ai domiciliari", Navalnyj sfida Putin braccialetto tagliato e foto su Twitter di Nicola Lombardozzi La Repubblica, 6 gennaio 2015 Il blogger si ribella alla condanna: "La pena è stata sospesa, basta soprusi. Sono un perseguitato politico". Un paio di forbici da cucina per dare un segnale preciso a Putin. Aleksej Navalnyj, manda a dire al Cremlino che l'opposizione non si ferma e che anzi si prepara a nuove iniziative puntando sulla preoccupazione generale per la crisi economica, la paura per l'isolamento internazionale, l'instabilità diffusa dalla difficile crisi ucraina. Con un taglio netto, il celebre blogger anticorruzione ha spezzato il braccialetto elettronico che controlla tutti i suoi movimenti ribellandosi così alla sua condizione di detenuto agli arresti domiciliari. Il gesto è al limite della legalità e Navalnyj lo spiega al telefono con pedanteria da avvocato: "Ero agli arresti domiciliari in attesa del giudizio. Adesso che mi hanno condannato e concesso la sospensione della pena, non c'è alcuna ragione legale perché rimanga prigioniero in casa". Una ribellione più che altro simbolica visto che Navalnyj si è limitato a togliersi il braccialetto ed è poi rimasto tranquillamente in casa: "Uscirò quando deciderò io. Non ho grandi esigenze. Devo solo muovermi tra casa e ufficio. E fare qualche passeggiata nel quartiere con moglie e figli". Ma la guerra di nervi con il sistema giudiziario e "con quelli che comandano la Russia" è appena cominciata. Martedì scorso Navalnyj era stato condannato al termine di un processo per corruzione palesemente costruito a tavolino. E la pena era stata però sorprendentemente sospesa per evitare proteste di piazza da parte dei numerosi sostenitori del blogger. Il Cremlino, che vuole evitare di creare nuovi martiri, aveva impartito un ordine preciso: "Non vogliamo un Nelson Mandela russo". Ma per tenere comunque sotto pressione il leader della protesta, i giudici hanno invece ordinato la carcerazione immediata del fratello minore Oleg, accusato dello stesso identico reato. Una sottile alternanza di benevolenza interessata e di minacce trasversali. Ma tra una decisione politica e l'altra, il sistema è andato in confusione: Navalnyj deve restare agli arresti domiciliari o no? Nessuno ha le idee molto chiare e il quarantatreenne avvocato ne ha approfittato per la sua ennesima provocazione. Ieri sera una pattuglia della polizia penitenziaria, avvisata della "evasione" attraverso il tam tam di Internet, si è presentata a casa Navalnyj. Gli agenti hanno fotografato il braccialetto tagliato, hanno stilato un lungo verbale e sono andati via: "Le faremo sapere". Per il giudice un'ennesima rogna. Punire in qualche modo Navalnyj scatenerebbe proteste che adesso sono viste come un pericolo per la sicurezza nazionale. Far finta di niente non sarebbe una gran bella figura. Navalnyj ride di gusto: "Manifestazioni di piazza? Non ancora. Ma riprenderò il mio lavoro di denuncia della corruzione dei politici e dei miliardari che li foraggiano. Sentiremo l'umore della gente. Poi si vedrà".