Giustizia: i Garanti dei detenuti "spazio agli affetti, i figli pagano colpe che non hanno" Redattore Sociale, 31 gennaio 2015 Ieri l'incontro interregionale dei Garanti. L'ombudsman Tanoni ha proposto "la concessione di visite interne, da svolgersi in appositi ambienti, privi di barriere divisorie e idonei a garantire la riservatezza dei presenti". Il cardinale Menichelli: "Il carcere sia luogo di vita" È toccato al neo cardinale Edoardo Menichelli il compito di aprire questa mattina l'incontro interregionale dei Garanti dei detenuti, svoltosi nelle Marche. Sul tema della detenzione il Cardinale ha invitato tutti "ad abbandonare una visione ideologica e a fare un cambiamento culturale". Un intervento che lui stesso ha definito "provocatorio" e caratterizzato da domande precise rivolte agli addetti ai lavori: "Chi è il carcerato? È il prodotto di che cosa? Ha un denominatore comune con noi?". Spunti per riflettere sul ruolo che riveste la società nel sistema carcerario italiano. "Molte delle persone che sono in carcere - ha detto Menichelli - sono il frutto di una società adescante e rifiutante. Occorre che tutti si inginocchino di fronte a questi problemi, nessuno è più bravo dell'altro. Serve una sinergia convergente e risolutiva, serve una soluzione culturale e politica. I detenuti sono persone come noi, il carcere non può essere solo una prigione, deve essere un luogo di vita, perché li dentro ci sono persone vive. Restituiamo dignità alla loro dimensione e al tempo che trascorrono in cella". Gli affetti in carcere sono una necessità o un privilegio? A tale quesito ha cercato di dare risposta nel suo intervento il Garante delle Marche, l'Ombudsman Italo Tanoni, che dopo aver spiegato con quali modalità avvengono i rapporti tra i detenuti e i familiari (6 colloqui al mese, 1 contatto telefonico alla settimana di massimo 10 minuti), ha proposto "la concessione di visite interne, da svolgersi in appositi ambienti, privi di barriere divisorie e idonei a garantire la riservatezza dei presenti". "Il 25% delle pratiche aperte - ha sottolineato Tanoni - riguardano richieste di colloqui. I padri vogliono vedere i figli e i figli, con uno dei genitori in carcere, pagano le conseguenze di una colpa che non hanno commesso". Gli effetti sono "disadattamento e devianza, disturbi comportamentali, aggressività". Negli istituti di pena delle Marche i colloqui con i familiari si svolgono soprattutto dal lunedì al sabato, nella fascia oraria tra le 8 e le 15. L'incontro è servito per definire un quadro aggiornato sulla situazione dei penitenziari, con un'attenzione particolare alle relazioni affettive e familiari dei detenuti. In rappresentanza del Dipartimento amministrazione penitenziaria sono intervenuti il coordinatore della Direzione generale Eustachio Petralla e il Provveditore di Umbria e Marche Ilse Runsteni. Quest'ultima ha definito il carcere "una parte della società, un'opportunità, una palestra, un luogo dove il detenuto deve essere una risorsa" e ha concordato sull'importanza di "lavorare in rete e in sinergia", sostenendo che nelle Marche "un cambiamento culturale è già in atto". Al centro dell'attenzione anche il ruolo svolto dai Garanti dei detenuti e il loro rapporto con l'Amministrazione penitenziaria, tema affrontato dal Garante dell'Umbria Carlo Fiorio, docente di diritto penale all'Università di Perugia, e la questione "Politiche di welfare locale per l'accoglienza e il reinserimento di soggetti rimessi in libertà", proposta dal Garante della Puglia Pietro Rossi. All'iniziativa hanno partecipato i consiglieri regionali Letizia Bellabarba e Paolo Eusebi, l'assessore ai servizi sociali del Comune di Ancona Emma Capogrossi, i rappresentanti dell'Ufficio esecuzione penale esterna, dell'Ufficio servizi sociali minorili Giustizia Marche, del volontariato e degli ordini professionali. Presente anche la direttrice della Casa circondariale di Montacuto Santa Lebboroni. Garante Umbria: proposta con Unipg contro abbandono "Il detenuto quando finisce in galera non ha più un legale di riferimento, in qualche modo viene abbandonato di fronte alla pena definitiva. Ecco perché ai prossimi Stati Generali proporrò una sorta di Mutua Giuridica per il detenuto, da attuarsi in collaborazione con le Università". È quando ha detto il Garante dei detenuti dell'Umbria, Carlo Fiorio, a margine dell'incontro Interregionale dei Garanti per preparare il terreno degli Stati Generali. Fiorio, titolare della cattedra di diritto processuale penale a Perugia, spiega che "se un po' in tutte le carceri italiane il problema del sovraffollamento va diminuendo, resta tuttavia alto il problema della vivibilità all'interno degli istituti di pena. Il Garante può fare molto ma la sua figura non basta a risolvere i problemi: ecco perché proporrò l'istituzione di una tutela legale del detenuto come fosse la sanità pubblica, tra enti delegati e certificati: un patrocinio che ha la sua più logica e naturale definizione nelle università. Laureandi, specializzandi o titolari di cattedra ecc., al servizio della collettività dentro le carceri: la proposta - chiarisce il professor Fiorio - non ha niente a che vedere con l'avvocato d'ufficio, è altra cosa. È un servizio pubblico sotto controllo, a carico del detenuto e dell'amministrazione pubblica". Garante Puglia: sovraffollamento in calo, si punti su giustizia riparativa Le ultime leggi hanno deflazionato il sovraffollamento nelle carceri". Lo ha affermato il garante dei detenuti della Puglia Pietro Rossi, intervenendo all'incontro interregionale dei garanti dei detenuti in corso di svolgimento presso il Consiglio regionale marchigiano, seminario di approfondimento in preparazione degli Stati generali sul sistema carcerario. Per Rossi questo progresso è anche frutto di "forte attenzione delle direzioni su sorveglianze dismesse. Vengono date ai detenuti più opportunità intelligenti, ma bisogna insistere su questa strada". Per il garante pugliese infatti "si vede la luce nelle carceri, c'è meno custodia cautelare, ma bisogna arrivare anche a codificare una giustizia riparativa, non i lavori forzati, ma un lavoro di restituzione alla società, perché specie in Puglia non abbiamo una criminalità qualificata, e quindi quando hai in cella una massa di "rubagalline" puoi inventarti qualcosa, insegnare un lavoro, dare un futuro". Cardinale Menichelli: solo lavoro dà dignità a detenuto "Solo un lavoro, una giusta occupazione del tempo, un interesse, può ridare dignità alla pena detentiva". Lo ha detto il neo cardinale Edoardo Menichelli intervenendo all'incontro interregionale dei Garanti che si è aperto nella sala Ricci del Consiglio regionale. Menichelli ha ricordato le sue visite nelle celle e la forte impressione da lui sempre avuta nel rendersi conto che un detenuto passa ore "inutili" senza fare nulla. "Le amministrazioni hanno il dovere - ha detto Menichelli - di studiare ogni formula per permettere attività lavorative nelle carceri". Sulla stessa linea il rappresentante del Dap venuto da Roma, Eustachio Petralla, che ha spiegato come ‘anche questa sia l'attenzione dell'Amministrazione, che è cosciente del contenuto del tempo. Già l'idea della sorveglianza dinamica, cioè permettere al detenuto di uscire dalle celle e solo dormirci è un passo avanti, perché permette di vivere una socialità. Ma bisogna anche, questo è il nocciolo della questione, ri-pensare l'idea di carcere". Per Petrella infatti, "strutture e spazi in Italia non sono stati pensati per ricostruire la vita di un detenuto, ma la strada è quella: dall'idea di carcere-centrico a mezzi meno invasivi per recuperare chi ha sbagliato". Giustizia: magistrati di sorveglianza, l'emergenza non finisce mai di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 31 gennaio 2015 Sono pochi, travolti dalle istanze, che si aggiungono i risarcimenti per la legge sugli 8 euro. Il governo ricorrerà agli uditori giudiziari, giovani e inesperti, il che potrebbe peggiorare le cose. Sono meno di 150 in tutt'Italia. Sono i magistrati di sorveglianza. L'ultimo anello della filiera giudiziaria. Ma uno dei più importanti. Occupandosi della gestione della pena. Che, come recita l'articolo 27 della Costituzione, deve mirare alla rieducazione, ai fini del suo reinserimento nella società, del condannato. Nella patria di Pietro Verri e di Cesare Beccaria, un ruolo di fondamentale importanza su cui tutti dovremmo essere d'accordo. Purtroppo non è sempre così. A partire proprio dalla loro suddivisione sul territorio. I Tribunali di Sorveglianza hanno competenza distrettuale e sono a loro volta organizzati in Uffici distaccati di sorveglianza. Uffici periferici composti, nella maggior parte dei casi, da solo uno o due magistrati in pianta organica. Non si capisce perché il governo di Mario Monti, nel modificare la geografia giudiziaria, non abbia voluto accorpare anche questi "micro" uffici a gestione individuale. Al fine di garantire una effettiva funzionalità del Tribunale di sorveglianza. Con tutte le conseguenze del caso qualora, ad esempio, il magistrato vada in ferie oppure si ammali: le istanze non urgenti si accumulano inevase in attesa del ritorno in servizio del giudice. Con buona pace di chi è dietro le sbarre. II governo Renzi ha cercato di metterci la classica pezza. Molto italiana. Con un provvedimento, derogando alle attuali norme sull'Ordinamento giudiziario, ha previsto che per la prossima assegnazione delle sedi, i Mot, gli ex uditori giudiziari, potranno essere destinati da subito ai Tribunali di Sorveglianza. La ratio del divieto originario, nell'intenzione del legislatore, era dovuta alla delicatezza della funzione, con la previsione di assegnare la funzione solo a magistrati "esperti", avendo costoro anche un potere ispettivo sulle carceri. Il caso dell'Emilia Romagna è esemplare. Cinque giudici per un territorio vastissimo, sul quale insiste un carcere di massima sicurezza, quello di Parma, famoso per ospitare oltre a mafiosi di primo livello come Riina e Provenzano, anche personaggi noti alle cronache giudiziarie come Marcello Dell'Utri o Massimo Carminati. Su tutto ciò pende la spada della Corte europea dei diritti dell'uomo. A maggio scade il termine che è stato dato all'Italia per porre ordine, dopo la sentenza Torreggiani, alla pessima situazione carceraria. Una nuova verifica dopo quella dello scorso anno. Che permetta al Paese, come dice Marco Pannella, di uscire dalla "flagranza criminale di reato" in cui versano le patrie galere. Le competenze della magistratura di sorveglianza, a differenza dell'organico, si sono però ampliate: oltre, ad esempio, alla normale attività, i giudici di sorveglianza hanno ora anche competenze sul risarcimento circa il trattamento inumano subito in carcere. Cioè l'obolo di 8 euro al giorno come corrispettivo per la tortura di Stato. O la riduzione di un giorno ogni dieci per la pena ancora da scontare. Procedura risarcitoria complicatissima per chi nel frattempo è uscito dal carcere. Secondo gli ultimi dati, solo l'1,5% delle istanze viene accolto. La difficoltà maggiore si registra proprio laddove l'attualità del pregiudizio è venuta meno. In quel caso provvede il Tribunale civile in composizione collegiale con l'intervento del pubblico ministero. Quindi, l'ex detenuto torturato, per potere ottenere l'agognato obolo di 8 euro, oltre a dover dimostrare senza contradditorio alcuno di essere stato rinchiuso in uno spazio non idoneo neppure per i suini, metro alla mano, dovrà fare affidamento sui tempi notoriamente celeri della giustizia civile. Auguri. Giustizia: Opg… il difficile cammino verso la chiusura delle "carceri della follia" di Anna Toro www.unimondo.org, 31 gennaio 2015 Si è suicidato usando la sua maglietta come cappio. Aveva 50 anni ed era un detenuto internato all'Opg di Reggio Emilia. Il fatto, riportato dai media locali, è avvenuto all'inizio di quest'anno, e va ad aggiungersi al lungo e triste conteggio di morti e di tragedie avvenute in quei luoghi, definiti tempo fa dal presidente della Repubblica Napolitano un "autentico orrore indegno di un paese appena civile". Nel 2011 la mobilitazione degli operatori, della società civile, ma anche della politica, ha portato infine alla legge (la n. 9 del febbraio 2012) che ne ha decretato la chiusura: all'inizio si era stabilito di chiuderli entro il 1° aprile 2013, scadenza poi prorogata diverse volte, fino al 31 marzo 2015. Ovvero fra due mesi. Ma a che punto sono i lavori? Il nostro paese è davvero pronto a compiere questo passo e soprattutto a offrire un'alternativa efficace e rispettosa dei diritti di queste persone bisognose prima di tutto di aiuto e di cure? Voci insistenti su una possibile nuova proroga fanno supporre di no, anche se il ministro Andrea Orlando, presentando alla Camera la relazione annuale sull'amministrazione della Giustizia, si è detto deciso a "evitare ulteriori ritardi ed arrivare entro il termine stabilito alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari". Anche gli operatori e le organizzazioni della società civile premono affinché la scadenza sia questa volta rispettata, nonostante durante il recente convegno annuale al Senato intitolato "Salute mentale, Opg e diritti umani", siano emerse diverse criticità e questioni tuttora irrisolte: dalla differenza tra le regioni nella tabella di marcia sull'adeguamento dei servizi, alla carenza di personale dedicato, dai finanziamenti bloccati dalla burocrazia statale al problema più generale che riguarda tutta la sanità penitenziaria. Perché chiudere gli Opg non basta - lo si è già visto con i manicomi - e la prevista apertura delle Rems, le cosiddette Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, è vista dalle associazioni come una non-soluzione: il fatto che vengano chiamati "mini Opg" la dice lunga sul timore che queste nuove strutture possano costituire un ritorno, in miniatura, di quel male che si intendeva debellare. Ma finché il codice penale, nonostante i passi avanti portati dalla nuova legge 81 del 2014, continuerà a prevedere la possibilità dell'applicazione di misure di sicurezza detentive per le persone inferme di mente che hanno commesso reati, l'esistenza di una struttura con il compito di accoglierli resta implicita. Come evitare questo paradosso? Intanto, dicono le associazioni, ridimensionando il numero dei posti letto previsti per le Rems (900, ben più degli attuali detenuti in Opg) e dirottando i fondi verso un potenziamento dei Centri di salute mentale dislocati nei territori. Lo scopo: creare un'alternativa all'internamento fatta di "servizi forti e aperti 24 ore su 24, con personale competente e adeguato", che possano accompagnare il paziente non solo nella cura ma anche nel reinserimento in società. "In questo modo - ha detto il presidente del comitato di StopOpg Sefano Cecconi al convegno in Senato - si sposta il baricentro dell'azione per chiudere gli Opg dalle strutture (le Rems) alle persone, dalla custodia ai progetti di cura e riabilitazione individuali, si sposta dai ‘luoghi chiusi e separatì al territorio e all'inclusione sociale, possiamo dire: seguendo il vento della legge 180". Cosa che, lo sanno bene anche loro, è più facile a dirsi che a farsi. La sopra citata legge 81/2014, infatti, ha sì apportato numerosi miglioramenti: come il rafforzamento delle misure alternative rispetto al ricovero in Opg, o l'eliminazione dei famigerati "ergastoli bianchi", ovvero le proroghe a tempo indefinito delle misure di sicurezza per cui molti hanno finito per passare in Opg tutta la propria vita. Non solo: la legge, come spiega Giovanna Del Giudice del Forum Salute Mentale, "ha sancito che la pericolosità sociale non possa essere più riconosciuta a partire dalle condizioni economiche del soggetto o in relazione alla mancata presa in carico da parte dei servizi sanitari". Che è quello che, in realtà, succede oggi: più che di pericolosi "matti criminali", infatti, gli Opg sono spesso dei "contenitori" di persone povere, svantaggiate e abbandonate a se stesse. Una legge tanto buona (seppure incompleta) che però ancora non sta trovando applicazione, se è vero che, come dicono le associazioni, gli ingressi in Opg starebbero addirittura aumentando in quest'ultimo periodo, spesso con misure provvisorie e per i cosiddetti reati bagatellari. Segno che, in assenza di radicali modifiche al codice penale, è la cultura giudiziaria che deve cambiare, e probabilmente ci vorrà tempo. Tempo che invece le Regioni hanno avuto per mettersi in regola con il primo decreto di chiusura degli Opg e fare dei propri i Centri di Salute Mentale i perni di questa riforma. Peccato che, complici anche i fondi bloccati e ritardi burocratici, alcune di esse non hanno fatto grandi passi avanti, e molti centri e servizi continuano a soffrire di gravi carenze, a scapito dei malati e delle famiglie, come ha spiegato nel dettaglio la presidente dell'Unasam Gisella Trincas nel suo intervento al convegno. E intanto, negli Opg si continua a soffrire e morire: in quello di Aversa così come a Montelupo Fiorentino, a Napoli come a Reggio Emilia, a Barcellona Pozzo di Gotto (già sottoposto a sequestro) così come a Castiglione delle Stiviere. Alla data del 31 ottobre 2014 gli internati erano ancora 780 (comunque in diminuzione rispetto a 3 anni fa) di cui la metà in teoria dimissibili con i nuovi programmi di riabilitazione presentati dalle regioni. "È assolutamente dimostrabile che si può curare senza ledere i diritti umani e con la partecipazione attiva delle persone, anche quando sono in crisi - ha spiegato Gisella Trincas - Come dimostrano quei pochi Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura che lavorano da lungo tempo senza contenzione e con le porte aperte". Dunque i modelli positivi ci sono, e indicano una possibile strada da seguire. Sempre, come dicono le associazioni in campo, "se ognuno farà davvero la sua parte". E quindi, se per una volta non si ripeterà la solita consuetudine italiana fatta di lentezze burocratiche, scappatoie facili e, spesso e volentieri, ricerca del profitto. Eppure restano indelebili nella mente di chi le ha viste, le immagini di quel video sconvolgente girato dalla commissione d'inchiesta del Senato allora guidata da Ignazio Marino, che nel novembre del 2011 era stato mostrato a tutti gli italiani durante la trasmissione Presa Diretta su Rai3. Quella sporcizia, incuria, solitudine e dolore, la privazione dei diritti e della dignità di cui erano oggetto le persone presenti in quelle "carceri della follia", avevano riempito di vergogna un'intera nazione e l'avevano spinta a un'immediata reazione. La chiusura di quei luoghi, erano d'accordo tutti anche allora, non poteva più aspettare. Giustizia: ricorsi a Strasburgo in calo, tra settembre a dicembre pendenze ridotte di 7mila di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2015 L'Italia continua a pesare sul carico di lavoro della Corte europea dei diritti dell'uomo ma, negli ultimi mesi, la situazione inizia a migliorare. Nel 2014, come risulta dalla relazione annuale della Corte dei diritti dell'uomo presentata ieri a Strasburgo, Roma mantiene il secondo posto per numero di ricorsi pendenti dinanzi a una formazione giurisdizionale: sono ben 10.087 i casi attesa di una decisione (14,4% del totale). Solo l'Ucraina, con 13.693 casi (19,5%), supera l'Italia che, però, da settembre a dicembre è riuscita a migliorare la propria situazione passando da 17mila ricorsi pendenti a 10mila, grazie soprattutto alle modifiche introdotte dopo la sentenza Torreggiani sul sovraffollamento carcerario e alla decisione della Corte nel caso Stella contro Italia, con la quale è stato espresso un giudizio positivo sulla misure adottate dopo la Torreggiani. Nel complesso, il 2014 è da ricordare come un anno positivo per Strasburgo che diminuisce costantemente il suo arretrato sia per la piena operatività del Protocollo n. 14, sia per le modifiche apportate al regolamento di procedura che obbligano i ricorrenti al rispetto di requisiti formali più rigorosi. In totale, sono stati 56.250 i ricorsi attribuiti al giurisdizionale, con una diminuzione del 15% rispetto al 2013 (65.800): è la prima volta dal 2003. L'arretrato è diminuito del 30%, con 69.990 ricorsi pendenti a fronte dei 99.999 dell'anno precedente. Ben 83.675 sono stati dichiarati irricevibili nel 2014. La Corte europea - scrive il Presidente Dean Spielmann - si è pronunciata in 93.000 casi, con un incremento del livello di produttività del 6% rispetto al 2012. Le sentenze depositate sono state 891 con una diminuzione del 3% rispetto all'anno scorso (916). Targate Italia, 44 sentenze: 39 violazioni (erano 32 nel 2013), 2 assoluzioni e tre sentenze in materia di equa soddisfazione. In 17 casi la condanna ha riguardato l'articolo 6 della Convenzione in materia di equo processo e in 16 il diritto di proprietà. Nel 2014 superano l'Italia, la Russia con 122 condanne, la Romania (74), la Turchia (94), la Grecia (50), l'Ungheria con 49, l'Ucraina a pari merito con 39. Dal 1959 ad oggi l'Italia è stata destinataria di 2.512 sentenze di cui 1.760 condanne, al secondo posto dopo la Turchia a quota 2.733. Tra le pronunce "italiane" più significative del 2014, la sentenza Grande Stevens del4 marzo 2014 sul ne bis in idem e la prima pronuncia della Corte europea relativa alla violazione del diritto all'equo processo per il mancato rinvio pregiudiziale a Lussemburgo (Dhahbi). Giustizia: Ucpi; il riordino della difesa d'ufficio costituisce una battaglia culturale www.camerepenali.it, 31 gennaio 2015 Il riordino della difesa d'ufficio costituisce una battaglia culturale nella quale l'Unione è impegnata da tempo, nella quale intendiamo ancora profondere tutte le nostre energie per ottenere una legge ancora migliore che risponda in pieno alle esigenze dei cittadini e alla dignità della funzione difensiva. Il riordino dell'istituto della difesa d'ufficio, come previsto dall'articolo 16 della L. 247/2012, è ormai realtà. L'Osservatorio sulla Difesa d'Ufficio dell'Unione delle Camere Penali che, insieme al Consiglio Nazionale Forense, ha delineato i nuovi criteri di accesso all'elenco dei difensori di ufficio, intende qui ribadire le ragioni sottese alla riforma. L'Unione ha da sempre sostenuto che la Legge n. 60 del 2001, nonostante il dichiarato obiettivo di improntare la difesa d'ufficio a criteri che ne garantissero la effettività, nella realtà ha finito per "legittimare l'incompetenza", non prevedendo idonee garanzie di efficienza del difensore d'ufficio, in punto di idoneità ad esercitare il mandato nel settore penale. Da qui, l'introduzione di requisiti di iscrizione nell'elenco dei difensori di ufficio più stringenti, con l'unica finalità di garantire in concreto la effettività della difesa tecnica che, da alcuni decenni, l'Unione delle Camere Penali Italiane cerca con forza di imporre e che rappresenta oggi il "cuore" di questa riforma. Ci preme, tuttavia, sottolineare che questo obiettivo ed il grande risultato che abbiamo raggiunto sarebbe reso sterile ed improduttivo dalla mancata comprensione della reale ed unica funzione della difesa d'ufficio. È necessario chiarire che la capacità di tutelare in modo concreto i diritti dei cittadini, passa soprattutto attraverso la piena consapevolezza del delicato ruolo svolto dal difensore d'ufficio, così come passa attraverso la piena responsabilizzazione della classe forense e la formazione di un difensore d'ufficio tecnicamente preparato, forte ed indipendente. La difesa d'ufficio ha da sempre creato, in una parte dell'Avvocatura, molte aspettative: il miraggio di un terreno fertile di compensi, cui accedere peraltro facilmente e senza troppi scrupoli. Si è totalmente perduto il senso del ruolo che si assume con la iscrizione alla lista dei difensori d'ufficio che, è il caso di sottolineare, era e rimane del tutto volontaria. Sul punto occorre quindi far chiarezza. Non si possono certo negare le difficoltà che si sono abbattute soprattutto sui giovani avvocati - che potranno comunque oggi iscriversi nell'elenco attraverso il fondamentale veicolo della "specializzazione" ovvero attraverso i corsi specifici previsti dal nuovo articolo 29 delle norme di attuazione e previo superamento di un esame. Ciò nonostante, è bene che comprendiamo, noi per primi, che la difesa d'ufficio - come più volte ribadito dall'Unione delle Camere Penali - "è uno strumento di straordinaria importanza non certo per il professionista che la esercita ma per i cittadini che ne usufruiscono" e che in questo unico contesto si inserisce anche la questione "compensi". È bene che questo venga compreso da tutti ed in primo luogo da quella parte della classe forense che da anni ha strumentalmente spostato il campo di battaglia sul terreno del caotico groviglio delle rivendicazioni corporative. È necessario far comprendere a tutti, anche alla opinione pubblica - spesso prevenuta e portata fuori strada dalla ormai noiosa leggenda che lega i mali del sistema giustizia agli eccessi di garantismo - che le rivendicazioni tutte, ivi comprese quelle relative alle liquidazioni degli onorari per l'attività professionale svolta in qualità di difensore d'ufficio, non riguardano gli avvocati in quanto categoria ma il cittadino, in quanto unico soggetto da tutelare. Ma ci dobbiamo credere noi per primi. Sul punto, in tema di "funzione" e di "ruolo" del difensore, estremamente indicativo il pensiero dell'Avvocato Oreste Flammini Minuto, storico Presidente della Camera Penale di Roma, che scriveva "l'Avvocato è qualcosa di più di un contraente di un rapporto mercantile. L'Avvocato rappresenta quello che la società concede a chi è accusato, come fosse l'ultimo tramite della sopravvivenza sociale. È il garante della lealtà dello Stato…" . Il recupero di questa concezione della funzione difensiva e del ruolo del difensore rappresenta la difficile "battaglia" culturale che le Camere Penali dovranno affrontare. Del resto, si parlava in questi termini anche nel dibattito parlamentare che condusse alla riforma del 2001: "il giusto processo, il processo accusatorio è una grande vittoria, però sia i giudici, sia gli avvocati devono cambiare la loro cultura e adeguarla alle nuove conquiste". Ed è una rivoluzione culturale che deve necessariamente investire anche la magistratura - non solo l'Avvocatura - perché il diritto ad una difesa d'ufficio piena ed effettiva va garantito da tutti e sempre, tanto nella forma quanto nella sostanza. Ed invece, troppo spesso emerge una visione distorta del difensore d'ufficio, quasi fosse un "manichino con la toga", convitato di pietra la cui presenza serve solo alla "forma" e ad ottenere quella rapidità tanto cara a chi si preoccupa solo della tempistica processuale, lasciando da parte il diritto di difesa ed i più elementari canoni di civiltà giuridica. Deve essere questo un approdo ineludibile affinché l'effettività della difesa non sia relegata a mera dichiarazione di principio e la difesa d'ufficio non sia più sinonimo di "sconfitta". L'Osservatorio sulla Difesa d'Ufficio dell'Unione delle Camere Penali Italiane Giustizia: come ottenere più efficienza? serve un ministro della Pa all'altezza del compito di Tino Oldani Italia Oggi, 31 gennaio 2015 In risposta alle critiche che alcuni magistrati gli hanno mosso nei discorsi inaugurali dell'anno giudiziario, il premier Matteo Renzi ha detto alcune cose sacrosante: "Un paese civile deve avere un sistema giudiziario veloce, giusto, imparziale. Per arrivare rapidamente a sentenza, bisogna semplificare, accelerare, eliminare inutili passaggi burocratici, andare come stiamo facendo noi sul processo telematico (così nessuno perde più i faldoni dei procedimenti, come accaduto anche la settimana scorsa). Bisogna anche valorizzare i giudici bravi, dicendo basta allo strapotere delle correnti, che oggi sono più forti in magistratura che non nei partiti". Un'analisi breve quanto impeccabile sui mali della giustizia. Da applausi. Peccato che l'operato del governo, segnatamente del ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, vada in tutt'altra direzione. La cartina di tornasole è proprio il processo telematico. Di fronte a 9 milioni di processi pendenti (5 milioni di cause civili e 4 milioni di penali), e di fronte all'evidente produttività scarsa dei magistrati (che hanno pure la faccia tosta di lamentarsi per la riduzione delle ferie da 45 a 30 giorni), anche un bambino capisce che l'unica soluzione efficace è accelerare il più possibile il processo telematico. Per questo, a partire dal 2010, per sopperire ai 9 mila buchi di organico della macchina amministrativa dei tribunali, sono stati reclutati (prima dalle Regioni, e poi dal ministero della Giustizia) circa 3 mila tirocinanti precari, i quali sono stati prima sottoposti a un adeguato periodo di addestramento, e poi inseriti nei 1.300 tribunali con lo scopo di aumentarne l'efficienza. Il compito svolto da questi precari, per lo più giovani laureati e disoccupati, è stato di passare allo scanner i fascicoli dei procedimenti, smaltire gli arretrati, inserire le nuove pratiche nei computer e rispondere agli sportelli. Un lavoro prezioso, di cui si è parlato poco sui giornali, ma ben presente al procuratore generale della Cassazione, che ha sollecitato più volte il governo a "non risparmiare gli sforzi - a ogni livello, anche legislativo - perché le professionalità acquisite da questi lavoratori non si disperdano". Parole al vento. La ministra Madia le ha completamente ignorate. Problema di costi? Non si direbbe. Il mantenimento in servizio dei precari dei tribunali (scesi ora da 3 mila a 2.650) non sembra di quelli proibitivi: 7,5 milioni di euro spesi nel 2013, più altri 15 milioni stanziati con la Legge di stabilità 2014. Di quest'ultima somma, però, sono stati erogati solo 9 milioni nel 2014, mentre gli altri 6 milioni (esclusi in un primo tempo dalla Legge di stabilità 2015) sono stati inseriti nell'ultimo decreto mille proroghe e basteranno per pagare gli stipendi dei precari fi no al 30 aprile prossimo. Dal primo maggio, festa del lavoro, tutti a casa. In previsione di questo nuovo buco di organico, la Madia ha annunciato (con un tweet!) che circa mille dei 20 mila dipendenti delle Province soppresse, rimasti per mesi inoperosi, saranno trasferiti nei tribunali in base alle nuove norme sulla mobilità del pubblico impiego. In pratica, mettendo insieme due riforme sbagliate e lacunose (province e pubblica amministrazione), la Madia ne sta sbagliando una terza. Fa come i gamberi: un passo avanti e due indietro. Così, dopo avere speso alcune decine di milioni di euro per formare dei giovani, e rendere più efficiente la burocrazia giudiziaria con il processo telematico, proprio quando ha raggiunto un primo risultato positivo (vedi il giudizio del procuratore generale della Cassazione), lo Stato, grazie alla Madia, azzera tutto e ricomincia da capo. E al posto dei precari già preparati (molti anche plurilingue, impiegati nelle traduzioni delle rogatorie internazionali), sceglie un migliaio di ex dipendenti delle Province, che non solo sono pochi (in media, meno di uno per tribunale; appena un terzo dei precari da sostituire), ma non hanno neppure le competenze necessarie per maneggiare le pratiche giudiziarie, e dovranno pertanto essere sottoposti a un tirocinio formativo, con inevitabile perdita di tempo e di efficienza. Di questo passo, la tanto sbandierata riforma della pubblica amministrazione, che porta la firma della Madia, rischia di produrre più danni che benefici. Di certo, non giova al processo telematico, né a ringiovanire la burocrazia italiana, che ha l'età media più alta in Europa ed è tra le meno qualificate. Uno studio dell'Aran ha accertato che la metà dei dipendenti pubblici italiani ha più di 50 anni, mentre quelli sotto i 35 anni sono appena il 10 per cento, contro il 28% della Francia e il 25% del Regno Unito. Gli over 60 sono il 10%, mentre i laureati sono appena il 34%, contro il 54% del Regno Unito. Un robusto turn over per abbassare l'età media e alzare la qualità del personale è ciò che gli esperti suggeriscono da anni. E il minor costo del pubblico impiego italiano (11% del Pil) rispetto al resto d'Europa (in Francia è il 13,4% del Pil) lo consentirebbe, purché abbinato a piani più credibili sulla mobilità. Ma servirebbe un ministro all'altezza del compito. Purtroppo per l'Italia, non c'è. Giustizia: Si.N.A.P.Pe; la mancanza di lavoro nelle carceri potrebbe portare a disordini? www.sinappe.it, 31 gennaio 2015 Lavoro in carcere e auto sostenibilità delle cooperative. Il tema è saltato in auge nella giornata di oggi dopo un'intervista rilasciata dal Vice Capo Vicario, Luigi Pagano, al portale internet "Vita.it". Nominato dal nuovo Capo del Dipartimento come Coordinatore dei rapporti con le cooperative sociali che danno lavoro ai detenuti nelle carceri italiane, il numero due del palazzo di Largo Luigi Daga si torva a dover maneggiare la materia in un periodo storico particolarmente caldo caratterizzato dallo "stop" dei fondi a causa del quale molte cooperative operanti nei penitenziari si ritrovano a dover fare i conti con probabili ed inevitabili tagli al personale (detenuti), rivalutazioni, ridimensionamenti se non addirittura la possibilità di chiudere i battenti. A far riflettere il Si.N.A.P.Pe sono le conseguenze che l'aumento della disoccupazione della popolazione detenuta potrebbe avere sulla realtà della quotidianità penitenziaria: sì, perché i lavoratori che sono a rischio tagli sono, ovviamente, tutti detenuti. Quello del lavoro all'interno delle carceri è un tema delicato e che non deve essere preso sotto gamba, perché il rischio di inciampare in conseguenze future è grande. Se da un lato è vero il dettato costituzionale secondo cui quello al lavoro è un diritto che va valorizzato e promosso (Art. 4), dall'altro lo stesso è considerato dall'ordinamento penitenziario quale strumento di reinserimento sociale, così da rispondere al mandato della pena da intendersi come rieducazione (Art. 27). "Come impatta dunque il timore della disoccupazione all'interno della quotidianità penitenziaria?" - è stato questo il primo interrogativo del Segretario Generale del Si.N.A.P.Pe il Dott. Roberto Santini - che così ha proseguito nella sua riflessione: "Il lavoro negli istituti penitenziari deve essere visto sotto molti punti di vista per la psicologia dei detenuti. È un modo per prepararsi al ritorno in società, è un momento di crescita e di apprendimento, ma rappresenta anche una valvola di sfogo per una libertà reclusa. La possibilità dell'aumento del tasso di disoccupazione all'interno delle mura penitenziarie potrebbe tradursi in un duro colpo per il sistema, con un concreto rischio di inasprimento degli animi e delle tensioni nella quotidianità detentiva.. In uno scenario di questo tipo i primi a subirne le conseguenze potrebbero essere proprio i colleghi della Polizia Penitenziaria che sono le prime figure a rapportarsi all'utenza. A loro è affidato il delicato compito di vegliare sull'ordine e sulla sicurezza oltre che sull'incolumità dei detenuti. Questi sono scenari possibili, non certi, ma è la questione non merita estrema attenzione". Giustizia: caro giornalista… ti metto in prigione perché non parli male della mafia di Piero Sansonetti Il Garantista, 31 gennaio 2015 C'è un giornalista modenese, che si chiama Franco Gibertini, che io non conosco e del quale non ho mai sentito parlare fino a ieri. Da ieri però so di lui una cosa: è in prigione. Lo hanno arrestato durante la recente retata contro la presunta ‘ndrangheta emiliana. È accusato come al solito di un reato fantasma: concorso esterno in associazione mafiosa. Tutte le volte che cito questo reato, in modo quasi ossessivo e a costo di stancarvi, ripeto: è un reato che non esiste nel nostro codice penale, mentre nel nostro codice penale, all'articolo 1 (dunque il più importante) c'è scritto: "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite". Cosa ha fatto questo signore? Di icono che abbia difeso nella sua trasmissione in una Tv privata emiliana ("Poke balle") il comportamento di alcune persone che i magistrati ritengono affiliati alla ‘ndrangheta. Ha dato loro la parola, li ha intervistati, gli ha permesso di difendersi e cose simili. Cioè ha violato il sacro principio secondo il quale in Italia esiste una "Associazione Antimafia" che è al di sopra di tutto e stabilisce chi sono i buoni e i cattivi e riconosce libertà di parola i primi e la nega agli altri e non ha neppure bisogno di condanne di un tribunale (è sufficiente un avviso di garanzia) per eseguire una sentenza. Il tentativo - per qualunque ragione - persino di mettere in dubbio la validità delle accuse della "Associazione Antimafia", o anche semplicemente delle teorie di un pubblico ministero, equivale ad un riconoscimento della propria partecipazione all'associazione mafiosa. A me sembra che l'arresto di questo giornalista sia una cosa gravissima non solo in se, ma soprattutto per le reazioni che ha provocato. Cioè nessuna. Io ho scoperto la notizia leggendo un giornale locale. Sui giornali nazionali non si è saputo niente. Come in genere si sa molto poco, dai giornali, sull'arresto dei giornalisti nei paesi a regime dittatoriale o comunque ad alto livello di repressione, come per esempio in Russia. Non ho letto nessuna presa di posizione da parte del sindacato dei giornalisti, che pure in questi giorni è riunito nel suo congresso nazionale. Possibile che la notizia dell'arresto di un collega accusato di avere fatto informazione in modo non consono alle aspettative del regime, non susciti una protesta massiccia e indignata? Abbiamo fatto sciopero per molto meno. Mi ricordo, qualche anno fa, una oceanica adunata a piazza del Popolo dovuta all'indignazione per il fatto che la Rai non si decideva a firmare il contratto con Marco Travaglio, collaboratore di Santoro ad Anno Zero. Davvero il mancato contratto di Travaglio è cosa più grave dell'imprigionamento di un collega al quale viene imputata la "perniciosità" delle sue opinioni e l'eccesso delle sue libertà? Mi pare che anche il mondo politico non si stupisce né protesta. Si indignò per i decreti bulgari di Berlusconi, che favorirono l'allontanamento dalla Rai di personaggi importanti come Biagi, Santoro e Luttazzi. fece bene a indignarsi. È inaudito però che resti in silenzio di fronte a un editto della magistratura, con ordine d'arresto, che più che bulgaro sembra da Cile di Pinochet. Giustizia: uccise due bimbi, sta per tornare libero, Luigi Chiatti fa ancora paura di Giuseppe Caporale La Repubblica, 31 gennaio 2015 Grazie ad un pasticcio all'italiana, tra pochi mesi il mostro di Foligno sarà libero. Ventuno anni dopo il brutale omicidio di due bambini, Simone Allegretti, 5 anni e Lorenzo Paolucci, 12 anni, il 3 settembre prossimo Luigi Chiatti uscirà dal carcere. Il serial killer che rapiva e seviziava i ragazzini della città umbra, nel 1994 era stato condannato a due ergastoli in primo grado, ma in appello aveva ottenuto un sconto di pena: 30 anni di reclusione per seminfermità mentale. Da quel momento in poi per lui sono scattati una serie di altri bonus. Nel 2006 ha ottenuto il beneficio dell'indulto (tre anni) e ora gli ulteriori sconti previsti dalla legge Gozzini (sei anni) gli spalancheranno definitivamente le porte del penitenziario di Prato. Il giorno della sua scarcerazione definitiva il presidente del tribunale di Sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo, dovrà comunque emettere un parere sull'attuale pericolosità sociale di Chiatti. Ma anche dovesse ritenerlo ancora una minaccia, non potrà disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario, perché ad aprile queste strutture pubbliche saranno definitivamente abolite. E non è tutto: al ministero della Salute vige il caos su come gestire la transizione. Nessuna regione italiana infatti ha attivato - come invece era previsto - le nuove strutture d'accoglienza: le R.e.m.s., residenze per l'esecuzione di misure di sicurezza, che in base alla nuova norma saranno di competenza delle Asl. Ed è probabile che nell'attesa saranno le case di cura private ad accogliere - previa gara d'appalto - i malati criminali. Almeno per qualche anno. Comunque, d'ora in poi saranno gestiti non più come detenuti, ma come pazienti. Senza polizia penitenziaria e sorveglianza, ma solo attraverso l'attività dei medici. "La liberazione di Chiatti è il risultato di un pasticcio dietro l'altro del nostro sistema giudiziario" commenta amaro l'avvocato Giovanni Picuti, legale dei genitori delle vittime. "Nessuno oggi può dirci cosa accadrà, dove andrà. Tornerà a Foligno a vivere con i genitori? Il tribunale stabilirà una vigilanza? Siamo amareggiati e sconcertati. Eppure - ricorda il legale - contestammo tutto da subito. Prima lo sconto a 30 anni per la seminfermità: per noi era evidente che Chiatti era lucido, consapevole delle sue azioni, altro che matto. Per capirlo è sufficiente leggere i file del suo computer dove annotava i pedinamenti dei bambini di Foligno. Poi provammo ad opporci anche al beneficio dell'indulto. Ma è stato sempre tutto inutile. E ora, c'è anche la beffa dell'assenza di strutture idonee". Il sindaco di Foligno, Nando Mismetti, non nasconde la preoccupazione. "La sola notizia della liberazione rischia di scatenare il panico in città - spiega - la comunità ha vissuto un grave trauma. Ricordo che per mesi qui i bambini non uscivano più da soli... Ci fu chi assoldò la polizia privata. Quei crimini furono tanto efferati quanto inspiegabili...". E quando il primo cittadino cita la comunità, non dimentica i genitori di Chiatti. "Anche quella famiglia è stata distrutta - spiega - Ermanno, il padre, oggi ha oltre novant'anni. Lui all'epoca della tragedia era un medico di famiglia con quattromila mutuati. Praticamente aveva in cura buona parte della città. Anche per lui e sua moglie è stato un shock". E promette: "Chiederemo chiarezza su questa vicenda al ministro della Giustizia Andrea Orlando. La città non merita di soffrire ancora. La gravità delle sue azioni non ci consente di far finta di nulla". E c'è chi, invece, vuole incontrare il mostro di Foligno prima che esca definitivamente dal carcere. Si tratta del padre del piccolo Lorenzo Paolucci, seviziato e ucciso nella casa di montagna dei Chiatti, a Casale. "Devo parlargli - spiega Luciano Paolucci. Voglio capire se davvero è pentito di ciò che ha fatto, se è guarito. Dubito che in carcere l'abbiano curato. Io l'ho perdonato, perché lui da bambino fu violentato, come è emerso dagli atti del processo. Ma credo che scarcerarlo dopo appena 21 anni sia molto pericoloso. Lo stesso Chiatti confidò a una guardia carceraria alcuni anni fa: non fatemi uscire altrimenti colpirò ancora. L'agente penitenziario venne pure a testimoniare in aula. E poi ci sono le lettere che di recente ha scritto ad un ex detenuto, Sergio, suo compagno di cella e pedofilo pentito, dove racconta alcuni sogni che fa... Sempre sui bambini". Paiono cauti gli avvocati Guido Bacino e Claudio Franceschini, legali del serial killer che quando gli inquirenti gli davano la caccia lasciava messaggi nelle cabine telefoniche di Foligno firmandosi, lui stesso, "il mostro". "Chiederemo una perizia per valutare il suo stato di salute. Quello che sappiamo è che in questi anni il ragazzo si è messo a studiare e a sostenere esami all'università di Firenze che è convenzionata con il carcere". E ora, a 46 anni, Luigi Chiatti è pronto a uscire. Lettere: reati da non archiviare di Fiorenza Sarzanini Io Donna, 31 gennaio 2015 È vero che la giustizia è ormai in uno stato di grave difficoltà e i tribunali sono ingolfati, ma certo suscita perplessità la lista dei reati che rischiano di fatto di essere depenalizzati con il provvedimento approvato a metà dicembre dal governo. Il disegno di legge, per il quale è stata chiesta al Parlamento una corsia preferenziale, prevede la possibilità di "archiviare per tenuità del fatto tutti i reati sanzionati con una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni o con una sanzione pecuniaria, prevista da sola o in aggiunta al carcere". L'obiettivo è certamente giusto, visto che le nuove norme mirano ad alleggerire il carico di lavoro, privilegiando invece quei fascicoli dove i cittadini hanno subito un danno ingente. Però viene da chiedersi in base a quale criterio si sia deciso di non escludere dall'elenco violazioni odiose come la corruzione di minori, gli atti persecutori, le percosse, l'incesto, il gioco d'azzardo, ma anche la corruzione, l'abuso d'ufficio e altri illeciti commessi da pubblici ufficiali. Il provvedimento dà alla parte lesa la possibilità di presentare opposizione e comunque lascia aperto un eventuale giudizio civile per il risarcimento del danno. Ma questo non appare comunque sufficiente a garantire le persone danneggiate. Molto meglio sarebbe stato, ed è auspicabile che sia il Parlamento a provvedere, tenere fuori i reati più gravi, quelli che destano grande allarme sociale. Marche: detenuti in calo, da 1.225 nel 2012 a 869, ma capienza regolamentare è di 812 Redattore Sociale, 31 gennaio 2015 Ieri l'incontro interregionale dei Garanti in vista degli Stati generali sul sistema carcerario che si svolgeranno a primavera. I reclusi sono passati da 1.225 nel 2012 a 869. La capienza regolamentare è pari a 812. Gli stranieri sono passati da 483 a 388 (-19,7%) Si è aperto ieri mattina nelle Marche il seminario "Ri-Visitare le carceri", l'incontro interregionale dei Garanti dei detenuti promosso dall'Ombudsman delle Marche in preparazione degli Stati generali sul sistema carcerario che si svolgeranno a primavera. Un'occasione per fare il punto della situazione sulla detenzione nelle carceri marchigiane, dove le ultime disposizioni normative su droghe leggere o immigrazione hanno contribuito a migliorare la situazione diminuendo l'afflusso dei detenuti. Secondo i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria la popolazione carceraria, infatti, diminuisce del 18,9% e i detenuti presenti negli istituti di pena marchigiani (dato aggiornato al 31 dicembre 2014) sono 869. Il dato, per il terzo anno consecutivo, conferma la tendenza al calo della popolazione detenuta, passata dai 1225 reclusi del 2012, ai 1072 del 2013, con un' ulteriore diminuzione del 18,9% (- 203 detenuti) nel 2014. Questo trend è confermato anche a livello nazionale, con un - 14,3% dei reclusi in Italia. Gli stranieri sono passati da 483 a 388 (-19,7%). Nell'insieme il totale (869) è di 57 unità al di sopra della capienza regolamentare dei sette istituti di pena marchigiani, pari a 812 detenuti. Scontano una condanna definitiva 591 reclusi, mentre 278 sono in attesa di un giudizio finale. Il carcere di Pesaro è quello con il maggior numero di detenuti, 237, nonostante nell'ultimo anno la popolazione a Villa Fastiggi sia calata del 24%. Segue quello anconetano di Montacuto, 191, Fossombrone, 148, e Ascoli Piceno 119. Dal punto di vista delle attività trattamentali, sono 58 i progetti finanziati dalla regione Marche, con finanziamenti pari a 338.650 euro. Durante il seminario sono emerse novità anche per quanto riguarda il quadro sanitario: nel 2014 sono stati registrati 253 casi di autolesionismo, di cui 102 solo a Montacuto. Il 30% dei reclusi è tossicodipendente (261), il 14% è affetto da Epatite C (119), il 24% manifesta patologie psichiatriche (211) e il 38% segue una terapia psicotropa (334). Nel 2014 sono stati aperti 204 fascicoli dal Garante dei detenuti delle Marche e rispetto al 2013, anno in cui le pratiche sono state 129, l'aumento è stato pari al 58%. Si sono svolti 428 colloqui tra gli operatori dell'Ufficio del Garante, tre funzionari e il Garante, e i ristretti. Nel 2013 sono stati 170, 125 nel 2012 e 110 nel 2011. L'obiettivo dell'incontro è stato quello di definire un quadro aggiornato sulla situazione dei penitenziari, con un'attenzione particolare alle relazioni affettive e familiari dei detenuti. Sardegna: bando per progetti di inclusione sociale per i detenuti, prorogato al 27 febbraio www.regione.sardegna.it, 31 gennaio 2015 Integrato l'avviso per la concessione dei contributi in favore delle associazioni e cooperative per azioni finalizzate a sostenere la presa in carico delle persone soggette a provvedimenti penali (detenuti, ex detenuti e soggetti a misure alternative) attraverso l'attuazione di percorsi riabilitativi e di interventi alternativi alla detenzione. Le integrazioni riguardano: - i criteri di accesso per i beneficiari nella parte relativa all'iscrizione nei registri generale del volontariato, delle associazioni di promozione sociale o all'albo regionale delle cooperative istituiti presso la Regione; - le modalità di presentazione del progetto nella parte attestante l'iscrizione nei registri e all'albo. L'Assessorato dell'Igiene e sanità, inoltre, ha prorogato al 27 febbraio 2015 la data di scadenza per la presentazione dei progetti. Ricordiamo che le associazioni, oltre ad essere iscritte nei vari registri o albo, dovranno avere sede operativa in Sardegna e operare nell'ambito dell'accoglienza e dell'inclusione sociale e socio lavorativa di persone sottoposte a misure restrittive e in favore di minori entrati nel circuito penale con prescrizioni a carico. In particolare, questi i destinatari delle azioni: - soggetti adulti che si trovano in esecuzione penale interna con possibilità di ammissione al lavoro all'esterno o alle misure alternative alla detenzione, in esecuzione penale esterna o sottoposti a misura di sicurezza non detentiva e soggetti che hanno concluso l'esperienza di esecuzione penale sia detentiva che non o una misura di sicurezza non detentiva, da non più di cinque anni; - minori sottoposti a provvedimenti penali e a misure di sicurezza non detentiva nonché i fuoriusciti dal circuito penale da non più di due anni. I progetti dovranno essere presentati tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o agenzia di recapito autorizzata al seguente indirizzo: Assessorato regionale dell'Igiene e sanità e dell'assistenza sociale. Direzione generale delle politiche sociali. Servizio programmazione ed integrazione sociale. Via Roma - 253 - 09123 Cagliari. La domanda e la relativa documentazione, firmate digitalmente, potranno pervenire alternativamente tramite posta elettronica certificata all'indirizzo: san.dgpolsoc@pec.regione.sardegna.it. Palermo: suicidio o omicidio? Ciro aveva 26 anni ed è morto in cella di isolamento di Damiano Aliprandi Il Garantista, 31 gennaio 2015 È la nona vittima tra i detenuti dall'inizio dell'anno, cinque si sarebbero tolti la vita. Rita Bernardini: "non è vero che l'emergenza è finita" In carcere si continua a morire impiccati. Giovedì pomeriggio, gli agenti della polizia penitenziaria del carcere palermitano del Pagliarelli, hanno rinvenuto il corpo di un detenuto di 26 anni impiccato con un lenzuolo nella cella in cui era in isolamento. Il ragazzo si chiamava Ciro Carrello ed era in attesa di giudizio. Era stato arrestato a novembre nell'ambito di una inchiesta sui favoreggiatori del boss Matteo Messina Denaro che coinvolse anche il marito della nipote del padrino latitante. Per lui l'accusa era di rapina, aggravata dall'avere favorito Cosa nostra. Insieme a un gruppo di complici derubò un deposito della Tnt di Campobello di Mazara di proprietà di una ditta riconducibile a Cesare Lupo, uomo d'onore fedelissimo dei boss Graviano. Il suicidio di Ciro però non convince nessuno, e nemmeno gli inquirenti che lo avevano arrestato. Al pm Carlo Marzella, che lo ha arrestato a novembre, Carrello avrebbe cominciato a raccontare i particolari di una serie di colpi eseguiti da una banda che farebbe capo ai clan. E sembrerebbe che il ragazzo, proprio per questa sua decisione di collaborare, avrebbe ricevuto messaggi di avvertimento del tipo: "Pensa alla tua famiglia!". Come è da prassi, la magistratura ha disposto l'autopsia sul corpo del detenuto. Il sistema carcerario d'altronde è fatto su misura per poter simulare con tutta tranquillità una impiccagione. Questo perché i suicidi oramai sono all'ordine del giorno e fino ad ora non c'è mai stata una verità processuale sulle morti sospette in carcere. Alla fine si archivia sempre tutto. Rimane comunque un giallo la morte di Ciro Carrello. E se risulterà un omicidio mascherato da suicidio, il sospetto di una talpa interna al carcere palermitano si farà sempre più concreto. Anche perché, ricordiamo, il ragazzo era in isolamento e quindi le uniche persone che possono stare in contatto con lui sono le guardie penitenziarie. E nel carcere palermitano aleggia tuttora il sospetto che alcune guardie possano essere corruttibili. Il 19 settembre scorso la procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Pagliarelli per la fuga - avvenuta a maggio - dell'ergastolano albanese Valentine Frokkaj, di 36 anni, di cui non si hanno più notizie. Il reato ipotizzato è di procurata evasione. L'inchiesta è coordinata dai sostituti procuratori Daniele Paci e Caterina Malagoli. Bisogna capire se quel 7 maggio scorso la fuga dal carcere avvenne per un distrazione involontaria o per un accordo tra il detenuto e chi doveva vigilare. Il 7 maggio Frrokkaj era scappato dal Pagliarelli durante l'ora d'aria. L'albanese, che stava scontando una condanna a vita per aver ucciso un suo connazionale nel 2007 a Brescia e non nuovo alle evasioni, aveva raggiunto il muro di cinta del penitenziario sul lato di viale Regione Siciliana e, con una corda fatta con dei lenzuoli, aveva agganciato un palo della luce e scavalcato la doppia recinzione. Poi è sparito nel nulla. Per acciuffarlo era partita una clamorosa caccia all'uomo con centinaia di agenti in strada ed elicotteri, ma non c'è stato nulla da fare. In tutto questo - sempre nella regione Sicilia - si aggiunge anche il problema della mancata nomina del garante dei detenuti. A denunciare ciò sono stati i Radicali italiani - i quali parlano non solo di danno economico, ma anche di scarso senso civico -approfittando della recente inaugurazione dell'anno giudiziario a Catania. "Abbiamo presentato una denuncia contro il presidente Crocetta alla Corte dei conti - aveva detto il segretario Bernardini - per danno erariale perché non solo si comporta in maniera illegale per non avere nominato il Garante dei detenuti, ma in più spende 500 mila euro l'anno per gli uffici di Catania e Palermo in cui i dipendenti si girano i pollici perché non hanno niente da fare". Poi la Bernardini aveva aggiunto: "In questi uffici addirittura, e questo è cosa gravissima, non aprono nemmeno le lettere di denuncia presentate dai detenuti. C'è un'omissione molto grave che va al di là del danno erariale". Intanto con la morte di Ciro Carrello salgono così a 5 i detenuti che si sono tolti la vita nei primi giorni del 2015, per un totale di 9 decessi. Nove detenuti morti nel giro di 29 giorni, eppure per il ministro Orlando l'emergenza carceri è superata. Ed è sempre la segretaria radicale Rita Bernardini a smentire il guardasigilli: "Noi facciamo proprio il messaggio alle Camere dell'ex presidente della Repubblica fatto l'8 ottobre 2013 che è stato completamente ostracizzato. Il primo presidente della Cassazione Santacroce ha detto che l'emergenza carceri non è assolutamente finita e che occorre muoversi rapidamente e che non è possibile ulteriormente tergiversare. Esattamente il contrario di quello che ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, intervenendo subito dopo. Ha detto che l'emergenza era finita e che in Italia era tutto a posto. Ma c'è anche un'altra emergenza denunciata dal Presidente della Repubblica, ed è la debacle della giustizia italiana con l'irragionevole durata dei processi". E spiega: "Quest'anno è accaduto qualcosa di singolare perché non hanno fornito i dati dei procedimenti penali pendenti. Non l'ha fatto il ministro Orlando relazionando alla Camera, non lo ha fatto il primo presidente della Cassazione che ha parlato solo dell'incredibile contenzioso giacente presso la Suprema corte, ma non ci ha detto cosa succede nei tribunali". Poi sempre la Bernardini conclude: "E adesso ecco perché è importante l'opera dei Radicali italiani! In un Paese, se non funziona la giustizia, allora non funziona nulla perché mancano le regole minime per la convivenza sociale. Abbiamo uno Stato criminale condannato in sede europea per due motivi: l'irragionevole durata dei processi e il trattamento inumano è degradante nelle carceri". Sui cinque suicidi di quest'anno, due sono avvenuti proprio nel carcere di Pagliarelli. L'ultimo è di Ciro, l'altro riguarda il detenuto Massimiliano Alessandri ritrovato morto nel giorno di Santo Stefano. Di anni ne aveva 44, e anche lui fu ritrovato impiccato con un lenzuolo. Perugia: Scuola per Cani Guida Lions, progetto per detenuti-addestratori di cani guida 9Colonne, 31 gennaio 2015 Questa mattina a Perugia, presso il Nuovo Complesso Penitenziario di Capanne, il Lions Club Perugia Concordia consegnerà due cuccioli di cane Labrador, Mirto e Margot, a quattro detenuti che si occuperanno della loro socializzazione. Gli istruttori cinofili della Scuola per Cani Guida Lions di Limbiate formeranno i detenuti. "Accudendo i cuccioli nella prima fase della loro vita, i detenuti si sentiranno utili per i non-vedenti di cui gli animali diventeranno successivamente guida" si legge in una nota. Il programma Prison Puppy Raiser (Far crescere un cucciolo in prigione) si ispira al programma statunitense Leader Dogs for the Blind, lanciato nel 2002 e che interessa oggi 6 case circondariali con importanti risvolti umani e sociali "in quanto i reclusi selezionati per il programma, una volta liberi, sono meno inclini ad essere coinvolti in situazioni illegali e sono molto motivati nel loro nuovo compito di educatori/formatori, sapendo che il ruolo da loro svolto in qualità di Puppy Raiser sarà determinante per la crescita equilibrata del cane". Firenze: progetto "InThree", nasce intesa tra Comune e Centro di Giustizia Minorile Askanews, 31 gennaio 2015 Il Comune di Firenze e il Centro di Giustizia Minorile stanno completando un protocollo che prevedrà la realizzazione di alcuni interventi di riqualificazione urbana in cui saranno impegnati ragazzi, generalmente con precedenti penali, seguiti dai servizi sociali, o anche detenuti. Ad annunciarlo l'assessore all'Ambiente Alessia Bettini, nel corso dell'inaugurazione del giardino verticale su una parte esterna della stazione Leopolda. La parete vegetale è alta circa quattro metri e larga venti. A realizzarla sono stati cinque ragazzi, con precedenti penali, seguiti dal Centro di Giustizia Minorile, per il progetto InThree sviluppato da Cgm, Comune di Firenze l'istituto di formazione Apab. Rispetto a quanto già realizzato, ad esempio, con le grandi aiuole di piazza Beccaria, la riqualificazione del giardino di via Maragliano, gli interventi alla scuola La Pira e il Bugs Hotel de Le Cascine, la novità odierna è introdotta proprio dal Comune di Firenze, che si appresta a siglare un protocollo col Centro di Giustizia Minorile. Così l'assessore all'Ambiente del Comune di Firenze, Alessia Bettini: "Stiamo perseguendo con opere come questa una triplica funzione: dare a questi ragazzi la possibilità di una riqualificazione anche professionale, una risposta importante al decoro della città perché su una parte di cemento andiamo a mettere delle piante ornamentali, nonché una risposta seppur piccola all'inquinamento atmosferico perché questi rampicanti assorbono anche le polveri sottili. È una bellal opera di riqualificazione. Questo è il primo atto di altre iniziative che faremo sempre nel quartiere della Leopolda." Quanto al protocollo di intesa, ha aggiunto Bettini, "lo stiamo scrivendo insieme al Cgm, fa parte di altre attività come a piazza Beccaria e al giardino di via Maragliano perché crediamo in questa duplice funzione di recupero sociale e recupero ambientale." In occasione dell'evento, alla presenza di Serena Aglietti, è stato consegnato un assegno (1000 cm x 50 cm) di 1.000,00 euro da spendere, come borsa lavoro della durata di un mese e mezzo, presso l'azienda Aglietti che si prenderà a carico il ragazzo che si è distinto per capacità e impegno. Enrica Pini, funzionario del Centro Giustizia Minorile di Firenze, competente per la Toscana e l'Umbria, ha sottolineato:: "al momento abbiamo ragazzi affidati al servizio sociale minorenni della giustizia, in altre occasioni abbiamo avuto anche detenuti dell'istituto penale di Firenze. L'obiettivo della collaborazione con Apab e ora anche col Comune di Firenze è quello di dare la possibilità ai ragazzi di un riscatto rispetto al reato, e poi dal punto di vista pedagogico si può dare loro la possibilità di far vedere comunque che attraverso l'apprendimento di una professione si può avere una posizione dignitosa all'interno della società. Sono per lo più extracomunitari coi quali stiamo facendo un lavoro a tutto tondo per il loro inserimento della collettività. In questo progetto sono stati cinque, in altri ne abbiamo avuto dieci." All'inaugurazione erano presenti anche Anna Mendolea, direttrice dell'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, Fiorenzo Cerruto direttore dell'Istituto penale per minorenni di Firenze e alcuni cittadini dei comitati del quartiere Leopolda-Paisiello. Augusta (Sr): presentato alla Casa Reclusione corso di pizzaiolo proposto da Rotary Club www.siracusanews.it, 31 gennaio 2015 È stato presentato stamane al carcere di Augusta il primo corso per pizzaiolo, a cui parteciperanno detenuti che a breve termineranno di scontare la pena. La direzione del carcere ha accolto di buon grado la proposta del Rotary club di offrire un corso di quaranta ore, tenuto da grandi maestri pizzaioli Giuseppe Paolini, Vincenzo Perez, Daniele Ucciardo e Giorgio Sortino. Quello del rapporto con la società civile, i club service, l'associazionismo è un must della casa di reclusione che attraverso i contributi di queste realtà cerca di sopperire alla scarsità di risorse pubbliche; l'iniziativa si aggiunge quindi a quelle già avviate con l'associazione del Buon Samaritano , con l'Inner Whell di Augusta ed a quelle che in un prossimo futuro ci si auspica di poter avviare con la fondazione Siracusa È Giustizia alla quale sono stati chiesti finanziamenti per attività oltre che in favore dei detenuti, anche del personale . Nel presentare il corso, Paolini non ha nascosto l'emozione per l'ambientazione particolare in cui si svolge e ha auspicato che i dodici detenuti allievi possano trovare lavoro uscendo nei prossimi mesi dal carcere. L'esame finale consisterà nella preparazione di una pizza per tutti e cinquecento i detenuti della casa di reclusione. Aversa (Ce): progetto Comune-Opg, gli internati tinteggiano la stazione dei Carabinieri www.campanianotizie.com, 31 gennaio 2015 Due internati dell'Opg "Filippo Saporito" hanno tinteggiato le stanze aperte al pubblico della locale stazione dei Carabinieri. Il progetto, nato da un protocollo d'intesa sottoscritto tra il Comune di Aversa e l'Opg, vuole consentire di svolgere ad alcuni internati un'attività lavorativa di pubblica utilità a favore della collettività come strumento rieducativo. Questa mattina alla ‘consegna dei lavorì presso la stazione dei Carabinieri ha partecipato il sindaco di Aversa Giuseppe Sagliocco, la direttrice della struttura penitenziaria Elisabetta Palmieri, il comandate della Polizia Penitenziaria dell'Opg Luigi Mosca, il direttore sanitario Angelo Russo e il ten. Col. Vittorio Carrara, comandante del reparto territoriale dei Carabinieri di Aversa. "Con l'utilizzo di internati in lavori di pubblica utilità - ha detto il sindaco di Aversa Giuseppe Sagliocco - abbiamo dato vita una cultura di accettazione reciproca nella quale gli interessi dei singoli e della collettività possano coesistere non solo in maniera armonica, ma diano la possibilità di una soluzione positiva ed innovativa condivisa al bisogno di giustizia espresso dalla collettività e a quella di riscatto espresso dal singolo, nell'ottica della cosiddetta giustizia riparativa". Gli internati che sono stati impiegati in lavori di pubblica utilità all'esterno, individuati secondo presupposti per i quali sussistano le condizioni per l'ammissione alle licenze per prestare attività di pubblica utilità, hanno lavorato con gioia all'imbiancamento delle sale. Soddisfatta dell'iniziativa la direttrice dell'Opg Elisabetta Palmieri che ha sottolineato come "questo progetto si inserisce nel più ampio programma di recupero, anche terapeutico, degli internati. Recupero dal punto di vista educativo e terapeutico che consente agli internati di avere un contatto con il mondo esterno anche in vista della loro uscita dalla struttura penitenziaria". Entusiasta del lavoro svolto anche il Ten. Col. Vittorio Carrara, comandante del reparto territoriale dei Carabinieri di Aversa che ha espresso "soddisfazione per quest'esperienza che ha permesso di avvalerci della capacità di persone che stanno effettuando un percorso riabilitativo, e nel contempo fare qualcosa di utile perché sono stati tinteggiati i locali della Stazione dei Carabinieri aperti al pubblico". All'ingresso della stazione dei Carabinieri, inoltre, sono stati posizionati dei lavori degli alunni del Liceo artistico Giordano di Aversa realizzati nell'ambito del bicentenario della fondazione dell'Arma dei Carabinieri. Opera (Mi): progetto "Leggere Libera-Mente", gli studenti incontrano i corsisti detenuti www.a-zeta.it, 31 gennaio 2015 Circa 150 studenti milanesi incontreranno mercoledì 4 febbraio i corsisti del carcere di Opera del progetto "Leggere Libera-Mente", che si occupa di biblioterapia con le persone detenute attraverso la lettura, la scrittura creativa, poetica, autobiografica e giornalistica. Grazie all'associazione Cisproject-Leggere Libera-Mente, nell'ambito degli eventi di BookCity per le scuole organizzati dal Comune di Milano, l'incontro offrirà un'opportunità di confronto sul tema della lettura quale finestra aperta all'ascolto dell'altro, al confronto con storie diverse e uguali alla propria, che offre soluzioni nuove. In occasione dell'iniziativa sarà proiettato il film documentario "Levarsi la cispa dagli occhi", che narra la nascita e lo sviluppo di un progetto formativo e di recupero, attivato all'interno del carcere di Milano-Opera, a cui seguirà un dibattito. "Siamo molto felici di poter discutere con i giovani il risultato del lavoro svolto a Opera con le persone detenute - dichiara Barbara Rossi di Cisproject - Leggere-Libera-Mente. In quest'ambito, la proiezione del film, dai forti contenuti emotivi, oltre che educativi, sarà importante per far capire come la lettura sia per tutti, e forse soprattutto per chi vive in una condizione di privazione della libertà, un'occasione di crescita personale e talvolta anche di riscatto, che permette di superare i propri errori per immaginare un futuro migliore. Con questa premessa il confronto con i giovani, che hanno proprio il difficile compito di costruire questo futuro, credo possa essere molto molto importante e stimolante". Non da ultimo, il film e la possibilità di confronto tra persone libere di esprimersi, offre un'occasione importante per rivedere eventuali propri pregiudizi. Se il carcere è nell'immaginario comune il luogo del buio, del moderno "bau bau", se per la società è rassicurante pensare che "tutti i cattivi e tutto il male sia lì custodito", allora lanciare uno sguardo oltre il muro e farci i conti diventa un'importante occasione di crescita per tutti. Chi volesse prenotarsi può scrivere a: segreteria.organizzativallm@gmail.com. Ulteriori informazioni sono disponibili all'indirizzo www.leggereliberamente.it. Rossano (Cs): "Note di libertà" un'iniziativa dell'Istituto musicale "Donizetti" nel carcere di Antonio Iapichino www.sibarinet.it, 31 gennaio 2015 È stato un vero e proprio successo l'evento "Note di libertà", realizzato nella Casa circondariale di Rossano. Un susseguirsi di emozioni. Rappresentazioni teatrali, scenette, brani musicali e una serie di riflessioni. Protagonisti della manifestazione, realizzata nell'ambito di un progetto portato avanti dall'Istituto musicale "Donizetti" di Mirto Crosia, sono stati i detenuti del circuito Alta sicurezza del carcere rossanese. Sono stati lanciati input forti. Il bisogno di un comportamento più consono da parte degli uomini. "Perdonare ed essere più altruisti. Imparare a essere più buoni per 365 giorni l'anno. La porta del Signore è sempre aperta. Siamo ancora in tempo per affidarci a Lui". I detenuti, attraverso le loro esibizioni, hanno raccontato il Santo Natale, la commemorazione dei defunti, la vita quotidiana, la Shoah. Tanta l'emotività proveniente dalla folta e interessata platea del teatro situato all'interno del penitenziario. Non sono mancate le sorprese: Giuseppe Greco, direttore del "Donizetti", che ha avuto il compito di presentare la manifestazione, dopo la lettura di un missiva da parte di un papà detenuto al proprio figlio, ha cantato, in maniera magistrale, il noto pezzo di Mario Merola "Cent'anni". In occasione della manifestazione sono giunti nella struttura carceraria numerosi alunni e docenti di varie scuole della città bizantina, giornalisti, sociologi, rappresentanti di associazioni, amministratori comunali. Un commento unanime: una manifestazione benfatta. Curata sotto ogni punto di vista. I detenuti, grazie al suddetto progetto, vengono preparati durante l'anno, attraverso lezioni settimanali, di circa due ore, dedicate allo studio della teoria musicale e alla pratica di uno strumento. Un impegno costante da parte del direttore artistico del "Donizetti", Giuseppe Greco, del M° Giuseppe Fusaro (pianoforte), del M° Salvatore Mazzei, (teoria e solfeggio), e della prof.ssa Letizia Guagliardi (docente di inglese presso l'Itis di Rossano) con il supporto della dott.ssa Angela Greco (educatrice). La buona riuscita della manifestazione, arricchita dalla voce soave della giovane cantante Valentina, è dovuta alla collaborazione concreta da parte di tutti. Ognuno ha dato del suo. Giuseppe Greco ha messo in risalto che il lavoro egregio della Polizia penitenziaria consente che progetti di questa natura possano servire per una reale rieducazione. Lo stesso Greco ha evidenziato che il direttore del penitenziario, Giuseppe Carrà si impegna affinché tutti i detenuti possano partecipare a questi lavori. Ha spiegato che è stato realizzato un marchio: "Manufatti in carcere", con la produzione, fra l'altro, di clarinetti in ceramica. Dunque, la possibilità di fare cultura, anche in una casa di detenzione. Proprio questo carcere di Rossano, anche quest'anno, sarà fra le eccellenze della Calabria a Casa Sanremo. Il direttore della Casa circondariale, Giuseppe Carrà, ha considerato eccellente il lavoro realizzato. Ha spiegato che la manifestazione è stata preparata in 10-15 giorni (2 ore al giorno). Persone che devono scontare pene lunghe, ma che hanno lanciato messaggi forti e positivi. Il dottore Carrà, poi, ha fatto un parallelismo fra la Shoah avvenuta 70 anni addietro e i fenomeni aberranti di oggi: quella che viviamo è una "Shoah quotidiana". Don Pino Straface, ha portato il saluto dell'Arcivescovo di Rossano, Mons. Satriano, impegnato fuori regione: "Possediamo un tesoro", ha detto il sacerdote, "si tratta della Parola di Dio. Un Padre che ha sempre le braccia aperte per accogliere i propri figli". La professoressa Letizia Gagliardi, ha messo in risalto l'azione sinergica che si è creata con il personale interno del penitenziario. Ha spiegato che la scenografia è stata realizzata con il materiale consentito ai detenuti. Prevalentemente cartoni e carta da imballaggio. Tutto, ha detto, in un ambiente sereno. L'assessore alla Cultura del Comune di Rossano, Stella Pizzuti, ha fatto notare l'entusiasmo e la bravura di chi si è esibito. "Ogni volta nel carcere di Rossano, ha commentato, mi arricchisco e porto con me dei ricordi impregnati di amore, entusiasmo e bravura". Ha sottolineato, inoltre, l'impegno dell'Amministrazione comunale nel sostenere lo studio universitario di alcuni detenuti. Pesaro: l'Associazione "Bracciaperte" dona al carcere attrezzature per parrucchieria Corriere Adriatico, 31 gennaio 2015 Continua l'impegno di Bracciaperte volontariato Pesaro all'interno degli istituti penitenziari. Domani infatti, l'associazione di volontariato donerà alla sezione femminile del carcere di Pesaro alcune attrezzature per parrucchieria, per l'allestimento di uno spazio ad hoc all'interno dell'istituto di pena, con cui la Onlus collabora da tempo. Le attrezzature, che erano in dismissione da parte di un negozio, sono state acquisite dall'associazione che le ha revisionate ed ora sono pronte per essere consegnate al nuovo utilizzo: un circuito virtuoso reso possibile grazie alla collaborazione della ditta Mdp elettrodomestici e alla disponibilità della direzione della casa circondariale di Pesaro. Le attrezzature comprendono due caschi professionali con basamento, una postazione di lavaggio testa con relativo divano in pelle e raccordi vari per consentirne l'installazione. Grazie a questa donazione la sezione femminile potrà avere uno spazio dedicato a servizio parrucchieria, con l'auspicio che in futuro si possano ideare anche corsi di formazione per parrucchiera. Ivrea (To): Osapp; ritrovato un cellulare, era nascosto nella cella di due detenuti romeni Adnkronos, 31 gennaio 2015 Nascosto nella cella avevano un cellulare. A trovarlo nel carcere di Ivrea (Torino), sono stati gli agenti della polizia penitenziaria durante un controllo. Il telefonino era nascosto all'interno del water della cella di due detenuti romeni in carcere per la violazione della legge sugli stupefacenti. Uno dei due stava per essere ammesso alla misura alternativa della semilibertà. Nessuna traccia per ora della scheda sim mentre da quanto accertato per ricaricare la batteria usavano dei cavi per collegare il telefonino all'alimentatore del computer regolarmente detenuto in cella. Il computer è stato ritirato al fine di verificare eventuali connessioni a internet. A dare notizia dell'episodio è il Segretario generale dell'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia penitenziaria) Leo Beneduci: "per l'ennesima volta - commenta - gli agenti della polizia penitenziaria hanno dimostrato le proprie capacità professionali nonostante siano costretti a lavorare in condizione disumane senza quei mezzi che invece, come dimostra l'episodio di Ivrea, vengono concessi ai detenuti". Milano: al via un corso su "Giovani e carcere", è organizzato dalla Caritas Ambrosiana www.agensir.it, 31 gennaio 2015 Giovani e carcere, è il percorso di formazione organizzato dalla Caritas Ambrosiana in collaborazione con il Servizio Giovani e con i cappellani delle carceri presenti sul territorio dell'arcidiocesi di Milano, che prenderà il via il 14 febbraio presso il Centro pastorale ambrosiano. Il percorso è rivolto "a tutti quei giovani (dai 18 ai 30 anni) interessati a fare una prima conoscenza della realtà carceraria. Questa esperienza permette di visitare una delle carceri del territorio diocesano come momento di conoscenza e riflessione rispetto al mondo della detenzione". Lo scopo è quello di promuovere un pensiero alternativo sulla "sicurezza sociale", basato sulla solidarietà e sulla responsabilità, attraverso lo scambio di parole e di esperienze. Il percorso prevede un primo momento di formazione in forma laboratoriale sul tema "Pane, parola e libertà", tenuto da monsignor Pierantonio Tremolada, vicario episcopale per l'evangelizzazione e i sacramenti, unito a una rappresentazione teatrale: "Undici ore d'amore di un uomo ombra", dall'omonimo libro di Carmelo Musumeci. Ogni giovane iscritto al percorso incontrerà inoltre il cappellano del carcere presso il quale si recherà successivamente per fare visita ai detenuti, fissata per il 28 febbraio. Cosenza: anche quest'anno il laboratorio teatrale per i detenuti della Casa circondariale www.quicosenza.it, 31 gennaio 2015 Torna il laboratorio teatrale nella Casa circondariale di via Popilia che a fine maggio diventerà lo spettacolo "Amore sbarrato 2", interpretato da un gruppo di detenuti-attori. Si chiama "Amore Sbarrato 2" ed è il nuovo progetto con il quale l'Amministrazione comunale, in collaborazione con la Casa Circondariale "Sergio Cosmai", intende riproporre l'esperienza vissuta lo scorso anno, quando il 5 giugno del 2014 venne messo in scena al Teatro "Rendano" lo spettacolo teatrale "Amore Sbarrato", scritto e diretto dall'attore e regista cosentino Adolfo Adamo e interpretato da un gruppo di detenuti della Casa circondariale "Cosmai" di via Popilia, gli stessi che per tre mesi seguirono il laboratorio teatrale che Adamo tenne all'interno del reclusorio cosentino. In questi giorni un nuovo incontro tra l'Assessore al teatro e allo spettacolo Rosaria Succurro e il direttore della Casa circondariale Filiberto Benevento, ha gettato le basi per la riproposizione del progetto che si articolerà dapprima in un nuovo laboratorio per poi svilupparsi in un altro spettacolo teatrale previsto per fine maggio. Il laboratorio di "Amore sbarrato 2" inizierà nel prossimo mese di febbraio e andrà avanti fino a maggio. A frequentarlo saranno ben 16 detenuti della casa circondariale "Cosmai", più del doppio di quelli che vi presero parte lo scorso anno, che erano sette. Immutati gli obiettivi del progetto, volto ad accorciare le distanze tra il mondo esterno e l'universo carcerario, favorendo quei percorsi di riabilitazione che devono riguardare le persone private della libertà personale. "Dare continuità al progetto varato lo scorso anno in collaborazione con la Casa circondariale - ha affermato l'Assessore Rosaria Succurro - da un lato risponde ad un'esigenza che abbiamo fortemente avvertito, considerati gli ottimi risultati ottenuti, dall'altro ci dà l'esatta misura di come la casa circondariale "Cosmai", egregiamente diretta da Filiberto Benevento, sia una struttura modello con la quale si può collaborare intensamente per far attecchire quei percorsi riabilitativi e trattamentali che si sostanziano di contenuti concreti". Sulla stessa lunghezza d'onda il direttore dell'istituto di pena Filiberto Benevento: "il successo ottenuto lo scorso anno - sottolinea - ci ha indotto a rinnovare, con ulteriori motivazioni e grande consapevolezza, il progetto che ha l'obiettivo, com'è nella tradizione della nostra casa circondariale, di far capire che i detenuti sono parte del tessuto sociale e che occorre favorire, con un mezzo così nobile e importante come la cultura, il loro reinserimento nella società". Molto motivato per il prosieguo del laboratorio anche l'attore e regista Adolfo Adamo, ideatore del progetto. "Lo scorso anno - sottolinea Adamo - è stato possibile scrivere una pagina di civiltà e di cultura, abbattendo definitivamente uno stato d'invisibilità, consentendo ai detenuti/attori di ritrovare la propria storia e di poterla raccontare. Mai in Calabria si era verificata una cosa del genere e la strettissima collaborazione tra Casa Circondariale e Comune di Cosenza ha ulteriormente evidenziato la volontà di puntare alla riabilitazione dei detenuti". Per la prima volta, lo scorso anno le porte del teatro "Rendano" si aprirono al gruppo di detenuti-attori, i quali potrebbero diventare presto il nucleo fondante di una vera e propria compagnia, sull'esempio di quanto accaduto più di vent'anni fa in altre carceri italiane dove sono sbocciate significative esperienze, come la Compagnia della Fortezza di Volterra o come quelle attecchite nel carcere di Opera a Milano o a Rebibbia, a Roma. Torino: il 2 febbraio l'Arcivescovo Mons. Nosiglia visiterà l'Ipm "Ferrante Aporti" Ristretti Orizzonti, 31 gennaio 2015 Visita dell'Arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, presso l'Istituto Ferrante Aporti in data 2 febbraio 2015. Lunedì 2 febbraio 2015, alle ore 11.15, l'Arcivescovo di Torino, Mons. Nosiglia, farà visita al Ferrante Aporti per benedire una statua di Don Bosco che troverà spazio nella cappella dell'Istituto. Tale iniziativa si inserisce nel programma dei festeggiamenti del Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco (Castelnuovo d'Asti, 16 agosto 1815 - Torino, 31 gennaio 1888). Il manufatto, intagliato in legno di tiglio e raffigurante don Bosco che abbraccia due adolescenti, è opera dell'artigiano Aldo Pellegrino di Boves (Cn), donata al carcere minorile da alcuni amici di Don Ricca, salesiano da 35 anni, cappellano del carcere minorile. Vuole essere un omaggio a Don Bosco che ritorna nel carcere minorile in ricordo di quella visita nella Pasqua del lontano 1885 (allora l'Istituto era noto come "La Generala"). Si auspica che l'evento possa, inoltre, essere preparatorio ad un'eventuale, tanto attesa, visita del Santo Padre, in occasione dell'annunciato pellegrinaggio a Torino, il 21 giugno 2015. All'evento, a cui sono state invitate le massime Autorità civili, religiose e militari, presenzieranno il Direttore dell'Istituto Ferrante Aporti, Dott.ssa Gabriella Picco e il Dirigente del Centro Giustizia Minorile di Torino, Dott. Antonio Pappalardo. Siria: "Save the Rest", la campagna per salvare i detenuti di Youmna Dimashqi, traduzione e sintesi di Claudia Avolio www.arabpress.eu, 31 gennaio 2015 "Save the Rest" è la campagna lanciata dagli attivisti siriani per chiedere il rilascio dei detenuti nelle carceri del regime di Assad diffondendo le loro storie e foto, ricordando sia chi è morto sotto tortura che quanti si trovano ancora in carcere o di cui non si conosce la sorte. A prendere parte all'iniziativa sono anche molti attivisti di diversi Paesi in cui si trovano a vivere i siriani, dalla Turchia al Libano, dalla Germania alla Francia (anche in Italia, ndt", che hanno scritto striscioni come "Ai detenuti che hanno lavorato per una Siria democratica e civile, vi aspettiamo sul cammino che conduce alla libertà". Bassam Ahmad, portavoce del Violation Documentation Center, partecipa alla campagna spiegando che l'idea su cui si basa è riportare sotto i riflettori una questione che nessuno può dimenticare e identificando la scelta di svolgerla a ridosso dei colloqui di Mosca nel tentativo di fare pressioni sulla comunità internazionale perché faccia qualunque cosa pur di salvare i detenuti. Tra gli obiettivi primari dell'iniziativa c'è anche la comunicazione con le organizzazioni che si occupano dei diritti umani e delle questioni legate ai detenuti. Come fa notare lo stesso Ahmad, le recenti stime circa il numero di detenuti in Siria portano alla luce dati terrificanti: 200 mila le persone detenute finora di cui almeno 15 mila morte sotto tortura nelle carceri del regime, almeno 1500 bambini e bambine sottoposti ad arresti arbitrari ed almeno 1700 donne. La campagna chiede il rilascio anche di chi è prigioniero dei battaglioni che rivendicano la propria appartenenza alla rivoluzione siriana e dei prigionieri di Daish (conosciuto in Occidente come Isis). "Save the Rest" andrà avanti fino a febbraio e prevede anche dei presidi di fronte alle ambasciate. Tra le pagine Facebook che diffondono le storie dei detenuti siriani c'è quella dal titolo "Io sono un detenuto, io sono una detenuta: questa è la mia storia nelle carceri del regime". Raccoglie decine di storie raccontate dagli amici dei detenuti, come quella di un padre che ha visto i suoi figli in sogno, uno studente universitario che ha lasciato il suo banco vuoto tra i compagni e famiglie che hanno ricevuto le carte di identità dei figli da parte dei servizi di sicurezza come se fossero morti sotto tortura e invece erano ancora vivi, e questo per ricattarne i famigliari. "Non ricordo la data in cui sono stata incarcerata, non ricordo l'anno né il giorno né il mese. Ho dimenticato perfino in che braccio mi trovavo, trasformata in un numero. Tu ora sei un numero sfollato, e lui è un numero detenuto, quest'altro è un numero rifugiato e quell'altro è un numero martire. Per non trasformarci tutti in dei numeri, chiediamo che riportino i detenuti da noi. Scrivete e reclamateli perché un giorno possiamo dimenticare i numeri": così Sham conclude il memoriale della sua detenzione sulla sua pagina. Quando finirà il gioco dei numeri in Siria? Brasile: viaggio nel complesso della "Pedrinhas" di Sao Luis, la prigione più pericolosa www.clandestinoweb.com, 31 gennaio 2015 Una prigione come le altre? No, quello del Brasile è il carcere più pericoloso che possa esistere. I dati parlano chiaro: 75 detenuti dal 2013 sono morti nel complesso della "Pedrinhas" di Sao Luis. I tumulti di quell'anno terminarono con almeno 13 morti. Durante un altro scontro fra fazioni rivali furono decapitate tre persone, le teste esibite come trofei. Questo è quanto riporta il quotidiano online Dagospia, che nel dare la notizia a sua volta cita Darren Boyl per "Mail On Line". Ma quale è la causa di tutto questo orrore? Come per l'Italia, ma occorre sottolineare che non si arriva a tanto nelle carceri, il problema è quello del sovraffollamento carcerario. Detenuti stipati in piccole celle, poco spazio per respirare e tante persone da tenere a bada. Si tratta di un duplice problema: da una parte infatti il sovraffollamento priva i detenuti di spazi "umani", costringendoli a spazi "inumani", poi aumenta il rischio di malattie. Dall'altra il problema si ritorce sulla sorveglianza. Più difficoltoso il controllo tra i detenuti. Infatti, guardando al caso straniero di Pedrinhas, il numero dei detenuti negli ultimi 20 anni è quadruplicato. Dagospia riporta che "sono in 500.000 dietro le sbarre, la quarta popolazione carceraria al mondo, dopo Russia, Stati Uniti e Cina. I motivi di una simile crescita sono legati agli arresti per droga, alla mancanza di assistenza legale e alla mancanza di volontà di creare nuovi spazi per la detenzione". Stati Uniti: pena di morte; l'Ohio rimanda 7 condanne, non ci saranno esecuzioni nel 2015 Ansa, 31 gennaio 2015 L'Ohio riprogramma sette condanne a morte nel tentativo di trovare nuove droghe letali, una decisione che si traduce nel fatto che non ci saranno esecuzioni capitali nello stato nel 2015 per la prima volta dal 1999. L'annuncio riguarda sei esecuzioni che erano in calendario quest'anno e una nel 2016 e segue la decisione della giustizia di ritardare le condanne a morte in attesa che una nuova politica sulle esecuzioni venga decisa. La nuova politica include l'uso di droghe che l'Ohio non ha. Grecia: con nuovo governo di Tsipras, verso l'addio al carcere speciale di Damiano Aliprandi Il Garantista, 31 gennaio 2015 In Grecia ci sarà anche una radicale rivisitazione del sistema carcerario, è uno dei primi provvedimenti che il nuovo governo di sinistra capitanato da Tsipras si appresterà a fare. Il neo vice ministro della Protezione del cittadino e dell'Ordine pubblico - che corrisponde al ministro degli Interni nostrano - ha anticipato che la sua prima azione politica sarà la completa abolizione del carcere di tipologia c, una sorta di 41 bis in salsa greca, la detenzione di rigore nei confronti dei detenuti accusati o condannati definitivamente per terrorismo, ma anche dei prigionieri comuni per reati di grave entità. Il neo ministro in questione si chiama Yiannis Panousis, un professore di criminologia, ex appartenente al partito di sinistra democratica denominato Dimar, non eletto con Syriza ma nominato ministro da Tsipras. La prima mossa di Panousis è stata quella di rimuovere le barriere metalliche di fronte al Parlamento, in pieno centro di Atene. Un gesto simbolico che è soprattutto un messaggio ai cittadini, come per dire: "Non abbiamo paura delle proteste". Le transenne erano state installate negli anni passati nel tentativo di contenere le veementi manifestazioni organizzate contro le misure di austerity imposte dalla Troika e applicate dai governi di centrosinistra e centrodestra che si sono succeduti dal 2010 ad oggi. Ma come abbiamo anticipato, il ministro della Protezione del cittadino e dell'Ordine pubblico non si fermerà solamente a un gesto simbolico. Per ora sono entusiasmanti per chi combatte contro la tortura istituzionalizzata in nome della sicurezza. Ma cos'è il carcere di tipo C che il vice ministro vorrebbe abolire? Tutto nasce dall'evasione di Christodoulos Xiros, membro dell'ex organizzazione 17 Novembre. Xiros si trovava in carcere dal 2003 condannato a sei ergastoli e l'anno scorso aveva ottenuto un permesso premio per le festività natalizie dal 30 dicembre fino al 7 gennaio. Egli non si è mai più presentato alla prigione di Korydallos, scatenando la rabbia dei politici e dei mass media in tutto il Paese. Dopo la sua fuga, l'ex ministro della Giustizia, Charalambos Athanassiou, ha annunciato una riforma del sistema carcerario e la costruzione della prima prigione ad alta sicurezza in Grecia. Detto, fatto. Nella cittadina di Domokos il carcere è stato tramutato in uno ad alta sorveglianza, installando videocamere, porte blindate, infissi e finestre antiproiettile, mentre il territorio circostante è stato presidiato dall'Ekam, unità speciale antiterrorismo, e soldati armati dell'esercito. Per quanto riguarda la riforma carceraria, i detenuti greci sono suddivisi in tre tipi: A, B, C. I prigionieri C sono prigionieri politici, persone condannate per rapine, estorsioni, attentati terroristici, tutti etichettati come pericolosi per la società e destinati a scontare la propria pena di dieci o più anni nella prigione di alta sorveglianza a Domokos. Ma le misure speciali non finiscono qui, infatti i detenuti di tipo C non hanno nessun diritto a permessi di libertà, le ore d'aria sono pressoché inesistenti, così come le chiamate e i colloqui con i parenti, la posta viene censurata, vengono sottoposti ad isolamento e c'è la permanenza dentro il carcere di forze di polizia con poteri speciali. Al di là del trattamento disumano dei prigionieri, la riforma non ha nemmeno tenuto conto di alcuni aspetti fondamentali. La città di Domokos non ha le strutture primarie, come per esempio le strade, ma allo stesso tempo si è deciso di investire una somma non indifferente di denaro pubblico nella costruzione di un carcere ad alta sorveglianza. La cittadina non dispone di sufficienti risorse d'acqua per rifornire sia il carcere sia tutti i cittadini. Inoltre, il diritto alla salute dei prigionieri non viene garantito, dato che nella struttura vi è presente un presidio medico che non ha il personale adeguato (è presente un solo medico) e i mezzi necessari. Ciò ovviamente ha scatenato il malcontento dei detenuti imprigionati e si sono mobilitati per opporsi fermamente a quest'agghiacciante riforma: nelle città di Korydallos, Corfù e Domokos i detenuti si sono rifiutati più volte di rientrare nelle loro celle dopo l'ora d'aria e a Trikala alcuni hanno intrapreso lo sciopero della fame. Già da marzo 2014 i detenuti avevano cominciato a lottare contro questa riforma, lotte culminate con lo sciopero della fame iniziato il 23 giugno, che ha coinvolto ben 4.500 prigionieri (su un totale di 12.000 circa) in tutte le carceri greche e si è concluso il 1° luglio. Contemporaneamente all'esterno si sono formate assemblee di solidarietà ai detenuti, si sono organizzati cortei, presidi e azioni militanti. Anche all'estero sono state promosse iniziative di solidarietà con i prigionieri in lotta in Grecia, con mobilitazioni, dibattiti e azioni di propaganda, non solo in Europa, ma anche negli Usa e in Sudamerica. Inoltre, anche in alcune carceri, in Germania e Svizzera, diversi prigionieri hanno aderito alla mobilitazione tramite scioperi della fame. Ora il nuovo vice ministro Yiannis Panousis ha promesso di voler abolire questa carcerazione differenziata. Non sarà sicuramente una passeggiata visto che il partito con il quale Syriza si è dovuto alleare per poter governare la Grecia è di formazione populista e quindi assolutamente non sensibile a queste tematiche. Ma non è detto che non trovino voti tra i moderati di centro sinistra. Sicuramente dalla Grecia tira una ventata nuova, fortemente libertaria.