Giustizia: un'idea piccola piccola dello stato di diritto di Piero Sansonetti Il Garantista, 25 gennaio 2015 Possibile che la magistratura italiana non abbia la forza per affrontare la questione della giustizia non dal punto di vista proprio - diciamo "corporativo" - ma dal punto di vista della civiltà? È questo che mi colpisce: non i singoli attacchi di alcuni magistrati al governo, o alle riforme, o a certi provvedimenti, né i toni giustizialisti di molti, ma l'assenza di una visione generale. La magistratura affronta il problema della giustizia come se fosse un sindacato, e non il più forte, e acculturato, e inattaccabile tra i poteri dello Stato. Non sa elevarsi, non riesce a ragionare sul tema - storico, gigantesco - del rapporto tra potere giudiziario e società, e libertà, e democrazia. Tutte le relazioni dei Capi delle Corti di appello, che ieri hanno inaugurato l'anno giudiziario in tutt'Italia, si sono concentrate su solo due aspetti del problema: quello, diciamo così, poliziesco-investigativo, e quello dei problemi e dei diritti della magistratura. Nessuno, neppure di sfuggita - tranne forse il dottor Scarpinato a Palermo - ha sfiorato il tema generale. E cioè il rapporto e l'equilibrio tra giustizia e democrazia, e dunque l'impianto e la forza - o la debolezza - dello Stato di diritto. L'avvocato generale dello Stato, Laura Bertolè, si è limitata ad attaccare il governo, definendo "misera" la riforma e collocandosi su una posizione che solitamente è quella dei Cobas. Il Procuratore di Reggio, Macrì, ha sostenuto che la giustizia viene sacrificata alle ragioni del garantismo, ignorando il fatto che il garantismo - qualunque giurista lo sa, in ogni paese non totalitario - è la sostanza, l'anima, il cuore della giustizia, non un corpo estraneo, un nemico. Il procuratore di Bologna, Lucentini, si è lamentato perché la magistratura viene delegittimata, e perché il parlamento vara leggi che riducono i reati e dunque aumentano l'illegalità. Il Presidente dell'Anm Sabelli ha convocato persino una conferenza stampa per spiegare che i magistrati non accetteranno mai "la responsabilità civile", cioè l'equiparazione giuridica agli altri cittadini. Persino il Procuratore Canzio, di Milano - l'unico forse che ha avuto il coraggio di polemizzare coi suoi colleghi - ha disquisito sulla legittimità o meno della convocazione a testimone di Napolitano nel processo Stato-mafia, restando dunque, anche lui, in una discussione - interessantissima - ma di tipo procedurale. Vedete: con sfumature e magari anche opinione diverse, ma tutti si pongono questo solo problema: "noi magistrati". Non c'è stata una parola sulle carceri. Non un dubbio sulla legittimità di alcune leggi speciali. Niente discussione sui metodi di indagine, o sulla detenzione preventiva, o sullo squilibrio delle forze tra difesa e accusa che ha deteriorato il funzionamento del nostro processo. Non una parola - una sola parola - su amnistia e indulto, e cioè su un tema abbastanza importante, sollevato recentemente da personalità di un certo rilievo come un presidente della Repubblica e tre papi. Non credo francamente che oggi in Italia esista, come ha detto il dottor Lucentini di Bologna, una delegittimazione della magistratura. Se esiste, però, consiste solo in questo: nello squilibrio spaventoso tra il potere che ha assunto e la sua capacità di elaborare pensiero, idee, al di fuori della difesa dei propri interessi. P.S. Il dottor Scarpinato ha posto il problema della presenza eccessiva di "poveri" nelle prigioni. Ha fatto notare che su circa 25mila condannati in carcere, poco più di 30 sono quelli imprigionati per ragioni di corruzione. Chiaro che il problema esiste. Forse però Scarpinato potrebbe prendere in considerazione l'idea che si tratta di ridurre i 25.000, per esempio attraverso una fortissima depenalizzazione di reati che non meritano il carcere, e non di aumentare il numero dei carcerati per corruzione. Giustizia: l'abuso del carcere preventivo e la riforma negata Massimo Adinolfi Il Mattino, 25 gennaio 2015 Si esce dal carcere, ma non dalla condanna, dice amaramente Hugo nei "Miserabili", quando Jean Valjean sente per la prima volta "quelle strane parole: sei libero!". E forse ciò è vero anche quando si esce da un carcere in cui non si doveva entrare, come accade addirittura nel quaranta per cento circa dei casi, secondo i dati della Corte di Appello di Napoli. Quattro volte su dieci le ordinanze di custodia cautelare vanno incontro ad annullamento o a riforma da parte del Riesame. Il che significa che tutti quegli arresti non sarebbero dovuti scattare. Ora, non sono arresti che vengono dopo sentenze, emesse sulla base del convincimento che il giudice si è liberamente formato, ma di carcerazioni decise in base a presupposti tassativamente indicati dalla legge, che tuttavia non impediscono un numero così abnorme di errori. Non vi è nulla di fisiologico in tutto ciò. Si tratta invece di un fenomeno che può essere descritto solo in termini di abuso, e in nessun'altra maniera: in Italia - non solo a Napoli, ma a Napoli in una misura che salta agli occhi - si abusa della custodia cautelare. Lo dicono le cifre. Lo dice anche il numero abnorme di detenuti in attesa di giudizio, ma lo dice soprattutto il numero spropositato di ordinanze annullate o riformate. Che il Parlamento voglia intervenire sulla materia è dunque cosa buona e giusta. E il Parlamento ci sta provando. Ma è altrettanto buono e giusto tenere i riflettori accesi sulla riforma, dal momento che il Parlamento ci sta provando ormai da più di due anni, e non è ancora detto che riesca ad arrivare sino in fondo, sino al licenziamento della legge. L'ultimo passo compiuto, l'approvazione da parte della Camera dei Deputati in terza lettura, è stato non a caso preceduto da un fuoco di sbarramento di dichiarazioni che la dice lunga sull'avversione da parte di larghi settori della magistratura inquirente nei confronti della riforma. L'argomento più gettonato per ostacolare il cambiamento è il seguente: se la riforma passa, quasi più nessuno finirà in carcere, salvo forse i recidivi. Non ci finiranno, si paventa, i colletti bianchi, i corrotti e i corruttori: i politici e gli amministratori, insomma, che vengono così agitati come il drappo rosso dinanzi al toro dell'opinione pubblica, in modo che sbuffando, scalciando e caricando sollevi abbastanza polvere perché si perdano di vista le ragioni della riforma. Le quali ragioni non appartengono alla stravaganza di qualche giurista in vena di cavilli, ma stanno, a monte, nella cultura delle garanzie scritta in Costituzione - la custodia cautelare non come espiazione anticipata della pena, ma come extrema ratio, dal momento che ne va del bene fondamentale della libertà personale - e, a valle, nei numeri che dicevamo prima, in quel quaranta per cento di riforma o annullamento delle ordinanze che dimostra drammaticamente come quelle garanzie siano ormai venute meno. Ma si guardi più da vicino l'argomento gettonato dai nemici della riforma. Con esso, non viene discusso se siano definiti in maniera rigorosa i casi in cui si può far ricorso alla custodia cautelare - l'inquinamento delle prove, la reiterazione del reato, il pericolo di fuga - né come sia da intendersi e quanto attuale sia il pericolo per il quale si ricorre alla carcerazione preventiva, né, infine, se il carcere sia la sola strada percorribile o non vi siano misure alternative a cui ricorrere. L'unica preoccupazione riguarda invece la possibilità di irrogare la misura cautelare: il risultato - che, si badi, non è il carcere per il condannato, mala carcerazione preventiva per un colpevole solamente presunto -, non i modi e le forme in cui il risultato viene conseguito. Il ch eè veramente paradossale, dal momento che, quanto al risultato, i dati della Corte d'Appello di Napoli dimostrano al contrario che ci si arriva fin troppo spesso, e senza andare affatto per il sottile. Tant'è vero che il Riesame annulla o riforma. Ora, diciamo la verità: questo problema ce lo portiamo dietro da fin troppo tempo. Tutta la seconda Repubblica ne è segnata: da quando i pm di Mani Pulite comparvero dinanzi alle telecamere, per protestare contro il decreto dell'allora ministro della giustizia Biondi che interveniva per limitare il carcere preventivo. Non se ne fece nulla: e comesi poteva, dal momento che a pronunciarsi contro erano stati gli eroi civili per merito dei quali era stata scoperchiata Tangentopoli? Da quel decreto sono passati più di vent'anni, ed è ancora per correggere l'uso distorto e abnorme della custodia cautelare (e una certa cultura giustiziali sta che si fa sponda della pubblica opinione), che occorre una vera riforma. Qui non c'entra né la sicurezza dei cittadini né il margine di discrezionalità da lasciare a ogni singolo magistrato. Non c'entra la discrezionalità, perché il quaranta per cento dice che non di errori si tratta ma, se mai, di errori sistematici, e l'errore sistematico, a sua volta, significa una cosa sola: che non si è compresa, o non si è voluta comprendere, la regola che disciplina l'istituto. Definirla in maniera più stringente è dunque indispensabile, se almeno si tiene a quel quaranta per cento di sospettati detenuti indebitamente. E non è entra neppure la sicurezza, che non è meglio tutelata da pene comminate prima delle sentenze, ma solo da pene certe inflitte in tempi certi. C'entra, invece, un'ossessione securitaria sin troppo spiccia, e soprattutto una facoltà intimidatoria che troppi ritengono ancora che i pm debbano poter esercitare per poter meglio perseguire il crimine. Come se non avesse un costo, e un costo alto in termini di diritti di libertà, concedere questo pericoloso potere, e non provare piuttosto a smorzarlo e ricondurlo dentro l'alveo di una giustizia giusta, guarnita di garanzie e protetta dagli abusi. Giustizia: "Quella riforma mai", lo stop dei magistrati al progetto di Renzi di Errico Novi Il Garantista, 25 gennaio 2015 Attacchi al governo, maledizioni al garantismo, clima di scontro frontale. Da Milano però arriva un colpo basso a Palermo. Si sentono stretti nella morsa. E reagiscono. Dopo le scudisciate della cerimonia in Cassazione, i magistrati delle Corti d'Appello di tutta Italia tentano di replicare ai massimi vertici della Suprema Corte. Venerdì il primo presidente Giorgio Santacroce e il procuratore generale Gianfranco Ciani avevano parlato di toghe arroccate nel corporativismo, di pm cedevoli alle lusinghe dei media, di sacche d'inefficienza che il Csm spesso non riconosce. Insomma l'avevano fatta nera. E così nel day after, cioè nella giornata di ieri dominata dalle cerimonie inaugurali nei singoli distretti giudiziari, si è sentito di tutto. Non su Santacroce e Ciani, ma contro l'altro polo del potere: la politica. Si va dalla riforma di Renzi giudicata "ben misera cosa" a Milano al presidente di Reggio Calabria Macrì secondo cui "l'assenza di iniziative legislative di vasta portata" farà affondare "la giustizia nella palude". E poi si contano gli anatemi contro la corruzione che soffoca Roma da parte del presidente capitolino Antonio Marini, il quadro apocalittico delle collusioni tra camorra e mala-politica di Antonio Buonajuto a Napoli, e insomma una batteria di denunce che stavolta si spostano dai vizi di giudici e pm a quelli delle altre, corrotte istituzioni. Palermo, le scorte e i giudici scoperti Prevedibile. Ma non privo di incidenti. C'è n'è uno spiacevole a Palermo, dove il procuratore generale facente funzioni Ivan Marino esclama "pausa caffè", s'incammina sul tappeto rosso, inciampa, batte la testa e riprende la cerimonia con un cerotto sul volto. Dopodiché, nella sua relazione, si concede un passaggio destinato ad alimentare polemiche. Alla sala gremita in cui spicca l'assenza dei pm della "Trattativa" (marcano visita tutti, dall'aggiunto Vittorio Teresi ai pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) Marino dice: "Non si può sottacere che la indubitabile, contingente e pericolosissima esposizione a rischio in determinati processi di taluno dei magistrati della requirente", ovvero Di Matteo, "con conseguente adozione di dispositivi di protezione mai visti prima, finisca per isolare e scoprire sempre di più i magistrati della giudicante titolari degli stessi processi". Come a dire: per proteggerne uno, particolarmente in vista, lasciano alla mercé di ritorsioni e proiettili noialtri. Obiezioni che ricordano tanto quelle rivolte a Giovanni Falcone venticinque anni fa. È proprio d'altronde Marino a dirlo: "Si sta verificando la stessa identica situazione degli anni 80, allorché la protezione era garantita per lo più, se non esclusivamente, ai magistrati facenti parte dei pool antimafia dell'ufficio Istruzione e della Procura della Repubblica, con indifferenza verso la situazione della giudicante". Il problema non siamo noi Si avverte un certo nervosismo, tra le toghe. Contro quelle palermitane arriva la stoccata del presidente della Corte d'Appello di Milano Giovanni Canzio, secondo il quale "la dura prova dell'audizione al Quirinale" poteva essere risparmiata "al Capo dello stato, alla magistratura e alla Repubblica" (un ampio estratto della relazione di Canzio è pubblicato nella pagina a fianco, ndr). Ma a dare l'dea della sindrome da accerchiamento di giudici e pm sono soprattutto le polemiche montate dall'Associazione magistrati. Il sindacato delle toghe organizza conferenze stampa per criticare la riforma della Giustizia. A Milano con il segretario Rodolfo Sabelli e a Bari con il presidente Maurizio Carbone, che sbotta: "Respingiamo fortemente questa idea demagogica secondo cui il problema della giustizia siamo noi magistrati e non chi intasca le tangenti". E ancora: "Vediamo riforme banalizzate con slogan, che ci mettono al centro del problema attribuendoci colpe che non sono nostre per nascondere l'inadeguatezza di queste riforme". A Milano si registrano anche le critiche durissime dell'avvocato generale Laura Bertolè Viale, indirizzate a Renzi e anche al nemico storico, Silvio Berlusconi: intanto liquida le riforme come un "pacchetto" che è "ben misera cosa rispetto a i progetti elaborati prima: non poche norme peccano di distonia, cioè sono irragionevoli". Prima fra tutte la cosiddetta salva-Berlusconi che non rispetterebbe "quei criteri di progressività in materia tributaria sanciti dalla stessa Costituzione. Inoltre da questo pacchetto è stato escluso il reato di falso in bilancio". In realtà è stato da poco riproposto al Senato nel ddl Grasso. In sala, il viceministro Costa appare perplesso. Sempre nel Palazzo di Giustizia del capoluogo lombardo si assiste alla sfilata del procuratore capo Bruti Liberati con tutti i suoi aggiunti, escluso Robledo che non si fa vedere. Nel coro di rivendicazioni e critiche ce n'è qualcuna non scontata come quella del pg di Torino Marcello Maddalena, che boccia l'idea di una "nuova Procura nazionale antiterrorismo". Il presidente della Corte d'Appello di Roma Marini accenna a una generica commistione tra malavita e ultras, con il ripescaggio del caso di Genny ‘a carogna. Lo dice in un'aula disertata dalla Camera penale: "L'inaugurazione dell'anno giudiziario, ancor più nelle sedi locali, è un rito anacronistico, asimmetrico e vuoto", dice il presidente Francesco Tagliaferri. Vuoto o meno che sia, di sicuro c'è molto nervosismo. Giustizia: Renzi; polemiche magistrati ridicole, Italia è patria del diritto, non delle ferie Dire, 25 gennaio 2015 Il presidente del consiglio Matteo Renzi prende posizione su Facebook rispetto alle polemiche sollevate ieri contro le riforme del governo in tema di giustizia. "Oggi di nuovo le contestazioni di alcuni magistrati che sfruttano iniziative istituzionali (anno giudiziario) per polemizzare contro il Governo. E mi dispiace molto - dice Renzi - perchè penso che la grande maggioranza dei giudici italiani siano persone per bene, che dedicano la vita a un grande ideale e lo fanno con passione. Ma trovo ridicolo - e lo dico, senza giri di parole - che se hai un mese e mezzo di ferie e ti viene chiesto di rinunciare a qualche giorno, la reazione sia: "Il premier ci vuol far crepare di lavoro". Noi vogliamo solo sentenze rapide, giuste. Vogliamo che i colpevoli di tangenti paghino davvero e finalmente con il carcere ma servono le sentenze, non le indiscrezioni sui giornali. Un Paese civile deve avere una sistema veloce, giusto, imparziale. Per arrivare rapidamente a sentenza, bisogna semplificare, accelerare, eliminare inutili passaggi burocratici, andare come stiamo facendo noi sul processo telematico (così nessuno perde più i faldoni del procedimento come accaduto anche la settimana scorsa). Bisogna anche valorizzare i giudici bravi, dicendo basta allo strapotere delle correnti che oggi sono piu' forti in magistratura che non nei partiti. A chi mi dice: ma sei matto a dire questa cose? Non hai paura delle vendette? Rispondo dicendo che in Italia nessun cittadino onesto deve avere paura dei magistrati. E i nostri giudici devono sapere che il Governo (nel rispetto dell'indipendenza della magistratura) è pronto a dare una mano. Noi ci siamo". L'Italia, aggiunge il premier, "che è la patria del diritto prima che la patria delle ferie, merita un sistema migliore. La memoria dei magistrati che sono morti uccisi dal terrorismo o dalla mafia ci impone di essere seri e rigorosi. Non vogliamo far "crepare di lavoro" nessuno, ma vogliamo un sistema della giustizia più veloce e più semplice. E, polemiche o non polemiche, passo dopo passo, ci arriveremo". Giustizia: responsabilità civile dei magistrati? l'Anm lancia anatemi di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 25 gennaio 2015 Ieri mattina a Milano, prima di partecipare alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli ha tenuto una veloce conferenza stampa per esporre i motivi della protesta contro la legge di riforma della responsabilità civile delle toghe. Nervo scoperto per i magistrati e, insieme al taglio delle ferie, elemento di attrito con il governo Renzi. L'incontro era stato organizzato dalla locale sezione dell'Anm, con la partecipazione del segretario Federico Rolfi e del presidente Ciro Cascone. Per Sabelli "il tema della responsabilità civile è fondamentale ma non può essere mortificato attraverso soluzioni che non tengano conto della giurisdizione e della compatibilità con il principio di indipendenza e autonomia della magistratura". Nota dolente è sempre l'eliminazione del filtro di ammissibilità. Secondo Sabelli i magistrati "non si chiudono in una forma corporativa e non rifuggono dal principio di responsabilità, ma l'approccio del governo non è stato sufficientemente mediato". In altri termini la riforma approvata in Senato lo scorso mese di novembre è "propaganda, fatta di luoghi comuni e piena di pregiudizi". Dimenticandosi del fatto che l'Italia spende ogni anno circa 12 milioni di euro per riparare le ingiuste detenzioni e che sono solo 9 le condanne per responsabilità civile dei magistrati dall'introduzione della legge Vassalli ad oggi (dal 1988, dunque una ogni 3 anni), il presidente Sabelli ieri mattina deve aver trovato ispirazione più che all'articolo 3 della Costituzione ("Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge"), nell'articolo 21 della Magna Charta Libertatum promulgata da Re Giovanni d'Inghilterra: "Conti e baroni non siano multati, se non dai lori pari, e se non secondo la gravità del reato commesso". Dall'entrata in vigore della legge i due terzi delle richieste di risarcimento danni per responsabilità dei giudici sono state dichiarate inammissibili e, al netto di quelle ancora pendenti, solo 9 sono state, appunto, quelle accolte. Questi numeri impietosi testimoniano meglio di tante stucchevoli discussioni come le attuali norme sulla responsabilità civile non funzionino. I numeri irrisori di magistrati condannati, a fronte delle sanzioni inflitte dall'Europa all'Italia in tema di funzionamento del sistema giustizia, sono il miglior spot per dimostrare che l'attuale impianto autoreferenziale togato si autoassolve sempre e comunque. Per la cronaca, nel decennio 2001-2011, i magistrati ordinari destituiti dal Csm sono stati 4. Lo 0,044 di quelli in servizio. Pretendere che il magistrato che ha sbagliato paghi non vuol dire, come fanno intendere i difensori a prescindere delle toghe, minare il principio di indipendenza e autonomia della magistratura. I cittadini hanno il diritto ad avere giudici terzi e imparziali. Ed hanno anche il diritto di vedersi riconosciuti i torti subiti. Negare ciò equivale ad affermare, senza tanti giri di parole, che in questo Paese ci sono persone più eguali delle altre. Una casta intoccabile, quella dei magistrati, che nessun può giudicare. Nella conferenza stampa mattutina sono stati toccati anche altri temi. Visto il luogo, quello dello scontro interno alla Procura milanese fra il procuratore capo Edmondo Bruti Liberti ed il suo aggiunto Alfredo Robledo. Le parole di Sabelli sono state rassicuranti. Per il presidente dell'Anm l'attuale sistema di autogoverno della magistratura "funziona". Puntualizzando che l'Anm non si sovrappone al Csm su queste tematiche, comunque "ci vuole tempo, vista la complessità, per svolgere l'attività istruttoria del caso". Evidentemente un anno, da quando è esploso il conflitto alla Procura di Milano, è un tempo tutto sommato per il Csm ancora nella norma. Si può stare tranquilli, evitando inutili allarmismi. Nessuna inerzia quindi. Lasciamo che i due magistrati continuino serenamente a denunciarsi e contro-denunciarsi. Dopo aver sentito ieri mattina le parole di Sabelli si ha la conferma che la giustizia resta sempre il primo dei problemi per questo Paese. E che anche Renzi eviterà di scottarsi le mani. Giustizia: i Radicali alle Corti di Appello "uno Stato illegale inaugura l'anno giudiziario" Il Garantista, 25 gennaio 2015 La lettera letta ieri dai Radicali in tutte le Corti d'Appello. Il richiamo al messaggio di Napolitano, inascoltato, per l'amnistia. I Radicali del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito e i Radicali Italiani hanno chiesto di intervenire, in tutte le Corti di Appello in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, leggendo il testo che riportiamo integralmente. Questa nostra iniziativa che riteniamo doverosa per corrispondere in una sede istituzionale all'unico messaggio formale, inviato alle Camere ai sensi dell'art. 87 Cost., dal Presidente della Repubblica uscente nel corso dei suoi nove anni di Presidenza, contestualmente denunciando il comportamento degli interlocutori istituzionali del Presidente, in primo luogo quelle Camere alle quali il Capo dello Stato si è rivolto, che con platealità hanno sistematicamente negato dignità al testo formale proveniente dalla più alta carica dello Stato nell'esercizio della sua massima autorità magistrale e volto a richiamare gli improcrastinabili obblighi di riforma strutturale della Giustizia, a partire da un provvedimento di amnistia e indulto. Un comportamento scandaloso, che siamo convinti abbia suscitato non poca amarezza nell'animo del Presidente, che è servito e serve al regime partitocratico, editore di riferimento dell'informazione radiotelevisiva e di una stampa spesso asservita, per continuare ad impedire all'opinione pubblica e al popolo italiano di conoscere e giudicare gli atti del Presidente della Repubblica nel solenne esercizio delle sue funzioni costituzionali ed i fatti, gravissimi e che implicano altrettanto gravi violazioni di norme costituzionali e sovranazionali, che di quell'unico messaggio formale alle Camere rappresentano i presupposti. L'assenza di riforme organiche e strutturali del sistema, a partire da quelle ordinamentali, ha reso - da anni - cronici i mali di una giustizia divenuta strutturalmente inefficiente soprattutto per la sua irragionevole durata. La giustizia è divenuta in tal modo per i nostri cittadini e le nostre imprese - e queste sono parole del Ministro Orlando dette alla Camera dei Deputati lo scorso 19 gennaio 2015 - non la sfera a cui rivolgersi per vedere garantiti diritti o dare tutela ai propri legittimi interessi, non la dimensione dove anche il più debole tra i cittadini possa trovare riparo dai soprusi del più forte, ma il simbolo di un calvario da tenere il più lontano possibile dalla propria vita. Tutto questo ha un notevole costo in termini di denaro pubblico, a causa di uno Stato le cui stesse istituzioni non sono in grado di rispettare le proprie leggi. È ormai accertato che le violazioni delle fondamentali norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo da parte del nostro Stato stanno causando ingenti danni all'intera economia nazionale. Lo stesso Ministero della Giustizia, nella relazione presentata all'inaugurazione dell'Anno Giudiziario 2014, ha ammesso che i ritardi della giustizia ordinaria determinano ricadute anche sul debito pubblico. L'alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio hanno comportato un forte accumulo di arretrato del debito ancora da pagare sulla base dei risarcimenti previsti dalla "legge Pinto", debito che, ad ottobre 2013, ammontava ad oltre 387 milioni di euro. Il fenomeno ha oramai assunto le sembianze di una vera e propria ipoteca accesa a carico di ogni cittadino italiano. A queste cifre si devono aggiungere le somme dovute a titolo di risarcimento per i detenuti che hanno scontato e che stanno scontando la loro pena in condizioni disumane e degradanti. Lo scorso 8 ottobre, in occasione dell'anniversario dall'invio del messaggio alle camerte da parte del Presidente Napolitano, noi Radicali abbiamo depositato un esposto presso la procura regionale della Corte dei Conti del Lazio per sollecitare un'indagine volta a stabilire l'esatto ammontare del danno economico patito dall'intera nazione in relazione alla mancata attuazione di concrete e urgenti riforme volte a impedire il reiterarsi delle violazioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed al fine di individuarne i responsabili. Questa è lo stato in cui versa in Italia una fondamentale infrastruttura immateriale del paese, com'è la giustizia, perno di qualsiasi processo di crescita civile, sociale ed economica oltre che un essenziale pilastro di ogni moderna democrazia. Gli interventi frammentari e disorganici assunti dal Governo anche nel corso del 2014 appena trascorso, l'assenza di un disegno complessivo di riforma del sistema, non hanno affatto posto rimedio alle censure mosse dalla Corte Edu con la nota sentenza Torreggiani, posto che la Corte aveva chiesto soluzioni e rimedi effettivi, mentre i rimedi adottati continuano a rimanere solo sulla carta, com'è evidente ad esempio, a chiunque conosca, anzitutto la magistratura di sorveglianza, la vicenda del nuovo art. 35 ter dell'ordinamento penitenziario, introdotto con il d.l. 92/2014 successivamente convertito con la legge 117/2014. A sei anni dalla sentenza Sulejmanovic e a due dalla sentenza Torreggiani, in Italia abbiamo ancora ben 72 Istituti penitenziari che hanno un sovraffollamento che va dal 130% al 210% se vogliamo riferirci esclusivamente al sovraffollamento; ma tutti sappiamo che la sentenza pilota dell'8 gennaio 2013 faceva riferimento non solo allo spazio disponibile pro-capite in cella, ma anche alla possibilità di accesso alla luce naturale e all'aria, alle condizioni igieniche e, in generale, alle condizioni trattamentali. L'Italia è ancora sub judice, le Istituzioni Europee sino ad ora hanno fatto fiducia all'Italia, riservandosi di verificare in un prossimo futuro l'effettività dei rimedi adottati in seguito alla sentenza Torreggiani: il 2015 sarà l'anno in cui la Corte Edu, così come il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, non potranno che prendere atto della assoluta ineffettività ed inadeguatezza di questi rimedi e nuove pesanti ombre si profilano all'orizzonte, sul versante della verifica del rispetto dei diritti umani fondamentali da parte dell'Italia. È per questo che gli obiettivi indicati al Parlamento dal Capo dello Stato nel 2013, da raggiungere attraverso il percorso pure indicato dal Presidente, nel messaggio rimasto totalmente inascoltato anche nel corso dell'appena trascorso 2014, rappresentano e continuano a rappresentare i nostri obiettivi che hanno quale fondamentale pilastro quello del rientro nella legalità costituzionale e sovranazionale del sistema giustizia del nostro Paese. Giustizia: lavoro, pena e reinserimento sociale; gestire condannati non è un affare privato di Milena Gabanelli Corriere della Sera, 25 gennaio 2015 "I detenuti bisogna farli lavorare", dice la legge, perché nell'occupazione c'è la miglior garanzia di riabilitazione, e infatti le statistiche dimostrano che quando nel periodo di detenzione si è svolta una regolare attività, le recidive calano drasticamente. Dentro le carceri italiane di lavoro da fare ce n'è, ma siccome - sempre per legge - il lavoro deve essere stipendiato e di soldi non ce n'è per tutti, quasi l'80% dei detenuti guarda il soffitto. La proposta che avevo lanciato, attraverso Report e le pagine del Corriere (14 gennaio 2014), era di cambiare la norma ispirandosi agli esempi del Nord Europa o ad alcune felici esperienze del Nord America, dove l'amministrazione penitenziaria calcola lo stipendio, ma lo trattiene a compensazione delle spese di mantenimento, lasciandogli 50 euro mensili per le piccole necessità e concedendo benefici e sconti di pena. Un sistema che incentiva il detenuto a darsi da fare, favorisce il reintegro attraverso l'apprendimento di un mestiere, e consente al sistema carcerario di non gravare sulle casse dello Stato. Poi ci sono gli affidati in prova al servizio sociale, che invece scontano la pena svolgendo attività a titolo gratuito presso enti pubblici, parrocchie, associazioni di volontariato. Significa che, se io sono un privato e ho un'impresa edile, non posso prendermi un condannato a una misura alternativa e farlo lavorare gratis. Nella realtà italiana però i controlli sono pochi, mancano i progetti e alla fine il condannato autocertifica la propria "attività riparatrice". Inoltre, a differenza degli esempi stranieri, dove, anche in questi casi ad occuparsi del problema è l'amministrazione penitenziaria, che decide e organizza i lavori di pubblica utilità, in Italia abbiamo preferito coinvolgere le cooperative sociali, tra cui anche quelle finite nell'inchiesta mafia capitale. Partendo dalla mia proposta, Letizia Moratti, persona sensibile al mondo del volontariato, ma anche attenta imprenditrice, ha lanciato la sua (19 gennaio scorso), citando l'esperienza della comunità di San Patrignano. Esempio improprio poiché il tossicodipendente e il condannato non possono essere messi sullo stesso piano: il primo entra volontariamente in comunità e volontariamente ne esce, il secondo no. La sua proposta è quella di sollecitare il ministero della Giustizia ad accogliere il progetto che ha presentato insieme a Banca Prossima, del gruppo Intesa San Paolo, e ad altre realtà del mondo non profit. Il progetto si propone di accogliere mille detenuti in regime di esecuzione esterna della pena, e garantirebbe, secondo l'ex sindaco di Milano, il reinserimento lavorativo, facendo risparmiare allo Stato 200 milioni di euro. Ora, il reinserimento è una promessa, e non una garanzia, mentre il risparmio di 200 milioni non si capisce da dove salti fuori, visto che, in questo caso, il condannato in carcere non ci andrebbe comunque. La Moratti intende forse sostituirsi ai servizi sociali? L'operazione si finanzierebbe con l'emissione di Sib (Social Impact Bond): una specie di obbligazione che ha un rendimento solo quando vengono raggiunti specifici risultati sociali. Ma il Sib è considerato un prodotto finanziario altamente speculativo, dove il risparmiatore che investe rischia di rimetterci i suoi soldi perché i risultati potrebbero anche non esserci. E come si misurano i risultati? Attraverso un accordo fra le parti (ovvero lo Stato e la "Moratti Holding") nel quale è definito il criterio di "impatto sociale" positivo delle attività del progetto, a date scadenze. Intenderebbe quindi riunire altre cooperative sociali, finanziarsi con i Sib, per gestire i condannati non pericolosi, farli lavorare gratis e rientrare dei costi vendendo il prodotto del loro lavoro? Se la sostanza è questa, si aprirebbe la strada alla privatizzazione del disagio sociale, con inevitabile speculazione privata del lavoro del condannato. Una pericolosa deriva, dove lo Stato, per incapacità organizzativa, abdica al proprio ruolo. Giustizia: Consolo (Dap); più lavoro ai detenuti? attraverso riforma sistema retribuzioni Adnkronos, 25 gennaio 2015 "Dobbiamo impegnarci per una maggiore possibilità di lavoro per i detenuti all'interno degli istituti di pena, questo lo possiamo fare prevenendo gli sprechi". Lo ha detto all'Adnkronos Santi Consolo, il nuovo capo del Dap. "Lo dobbiamo anche fare attraverso una riforma del sistema delle mercedi ai detenuti, cioè le retribuzioni da corrispondere ai carcerati - dice Consolo. Io già avevo proposto una modifica legislativa al Ministero. E ho avviato un nuovo gruppo che collaborerà il Ministero della Giustizia in questa riforma del lavoro penitenziario". Sulla situazione nelle carceri Consolo dice: "non è semplicissima ma è in via di miglioramento". "Tra le mie prime iniziative al Dap c'è quella di rivitalizzare in modo corretto e trasparente il sistema applicativo dello spazio detentivo - dice ancora. Lo avevo applicato quando ero vicecapo ed è un sistema che consente, anche dall'esterno di verificare la situazione di ciascuno istituto e di ciascuna sezione. Attraverso questo sistema abbiamo già avviato con tutte le direzioni e i provveditorati degli interventi in affidamento diretto, in economia, con manodopera dei detenuti. È un avvio virtuoso che consente di migliorare il benessere dei detenuti". E ancora: "La problematica che avevo trovato relativa a dieci istituti per la prosecuzione del servizio mensa, ritengo che si sia avviata a felice soluzione. Questo perché abbiamo assunto in amministrazione diretta questo servizio e perché dopo un incontro durato un'intera giornata con le cooperative interessate abbiamo trovato un'intesa. Ho creato un gruppo di coordinamento con tecnici del nostro dipartimento a disposizione di tutte le cooperative. Ma anche nuovi progetti che implementino le linee di produzione già in atto negli istituti. Stiamo lavorando molto celermente, alcune cooperative hanno già presentato i progetti e vedranno valutazione a breve perché a breve saranno giudicati per l'approvazione". In 18 mesi 12 mila detenuti in meno "Bisogna uscire da una logica carcerocentrica dopo anni di pacchetti di sicurezza che hanno agito in direzione contraria. Si deve andare solo in casi gravi in carcere per rendere le carceri più umane, e i plurimi interventi del ministro Orlando per costruire un nuovo modello di detenzione ispirato alle misure penitenziarie europee vanno in questo senso". Così Santi Consolo, capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap), alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario a Palermo. "La popolazione carceraria, negli ultimi 18 mesi, è diminuita di oltre 12mila unità, attestandosi a 53.623 detenuti", ha aggiunto Consolo, intervenuto in rappresentanza del ministro della Giustizia. Giustizia: Pagano (Dap) "ecco cosa stiamo facendo per promuovere il lavoro dei detenuti" di Chiara Rizzo Tempi, 25 gennaio 2015 "Vogliamo che i detenuti trovino una reale opportunità di lavorare per sostenersi". Intervista a Luigi Pagano. Il 15 gennaio hanno chiuso le attività le dieci cooperative che in via sperimentale nelle carceri italiane si occupavano di provvedere al vitto interno. Pochi giorni dopo, lo scorso martedì 20, le cooperative che attualmente hanno avviato progetti di lavoro che coinvolgono i detenuti sono state convocate con urgenza. A farlo è stato Luigi Pagano, il vicedirettore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap). Pagano, da ex direttore di San Vittore, è stato uno dei primi a sostenere l'importante contributo delle aziende o delle cooperative esterne per lavorare insieme ai detenuti, dando a questi ultimi una reale possibilità di apprendere una professionalità, e di rimettersi in gioco nella società. "Il nostro obiettivo principale è quello di migliorare le condizioni di vita all'interno delle carceri" si sono sentiti dire i rappresentanti delle cooperative da Pagano. Che a tempi.it spiega come intende rilanciare il lavoro per chi vive dietro le sbarre. Ci spiega perché sono stati chiuse le attività delle coop che si occupavano del vitto interno? Già un anno fa la Cassa ammende aveva previsto che l'esperienza delle cooperative per il vitto nelle carceri fosse chiusa, poi abbiamo scelto di prorogare per altre due volte, fino ad arrivare allo scorso 15 gennaio. La Cassa delle ammende è un ente istituito all'interno del Dap che finanzia sì le attività di reinserimento dei detenuti, però solo in fase di start-up. Ad un certo punto, le attività devono essere capaci di procedere con le loro gambe. Il motivo per cui queste dieci esperienze nelle carceri sono state chiuse è stato questo: la Cassa ammende non poteva mantenerle a vita. Molte di queste cooperative hanno però sviluppato altre attività che funzionavano benissimo all'esterno: penso, a titolo di esempio, alla Giotto di Padova che produce panettoni, o la Sprigioniamo i sapori di Ragusa e Catania, che produce squisiti torroni e croccanti alla mandorla. Prodotti che in tutte le cooperative italiane che li hanno avviati sono molto apprezzati dai consumatori esterni. Ecco perché abbiamo sottolineato che queste esperienze ci interessano moltissimo, così come ci interessa il lavoro dei detenuti. Abbiamo annunciato alle cooperative che se erano previsti altri progetti di ampliamento e di implementazione, Cassa ammende sarebbe stata disponibile a finanziarli all'inizio. Questa volta è stato però esplicitato chiaramente che ciò avverrà solo in fase di start up. Ci siamo messi a disposizione anche per una consulenza in fase progettuale. E le cooperative che cosa vi hanno risposto? La maggior parte delle cooperative aveva già delle idee e alcuni, come a Ragusa, avevano iniziato persino a muoversi autonomamente, per chiedere dei fondi europei. C'è molta intraprendenza positiva. Vorrei anche aggiungere che qualsiasi altra impresa o cooperativa può muoversi per portare avanti delle iniziative, e può contattarci per farlo: se i progetti sono seri, e se hanno un'idea reale di commercio e di business che si può autosostenere sul mercato, siamo intenzionati ad investire dei fondi. È importante, però, vorrei sottolinearlo, che queste attività non siano di tipo assistenzialistico. Si parla molto, anche dopo una puntata di Report, della proposta di far lavorare tutti i detenuti, o un numero più ampio, magari gratuitamente. Lei che ne pensa? Anzitutto che c'è già una norma che è stata introdotta l'anno scorso nell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, che prevede che il lavoro possa anche essere svolto gratuitamente. Tuttavia noi riteniamo che, se si pensa alla rieducazione e al reinserimento, il lavoro deve dare alla persona la possibilità di potersi esprimere, quindi debba essere all'altezza delle capacità di ognuno, ma anche la possibilità di sostenersi economicamente. Molte persone delinquono perché crescono in un contesto dove non hanno la possibilità di sostenersi, è un punto su cui intervenire per un recupero reale. Per questo noi siamo contrari ai "lavori forzati", ma più favorevoli a quelli remunerati. Ciò posto, va detto che in carcere ci sono molti momenti - definiti trattamentali - che vanno contro l'interesse del mercato. Al detenuto può accadere di doversi assentare dal lavoro perché deve essere trasferito in tribunale o interrogato all'improvviso da un magistrato, oppure perché deve incontrare lo psicologo che lo segue, eccetera. Questi momenti sono importanti per il carcere ma ovviamente vanno contro l'interesse delle imprese, che per sostenersi sul mercato hanno esigenze di orari specifici di lavoro, o di produrre velocemente. Ecco perché stiamo lavorando sulla normativa, per capire se il carcere può offrire un costo del lavoro più interessante per l'impresa, ed essere più competitivo. Siamo in una fase propedeutica di diversi progetti. Ce ne anticipa qualcuno? La condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo ci è stata comminata perché l'ambiente del carcere è ridotto alla cella. È un ambiente molto chiuso in sé stesso, visto che, a parte l'ora d'aria, si resta spesso rinchiusi dentro quattro mura. Se si riuscisse a lavorare per ampliare lo spazio in carcere, per trovare luoghi per svolgere attività fuori dalla cella, ciò sicuramente sarà più interessante anche per le aziende, che magari hanno la necessità di spazi appositi per lavorare. Stiamo provando a realizzare un'idea più moderna di carcere, speriamo di farcela. Giustizia: Capece (Sappe); tutele ai poliziotti penitenziari e sospensione vigilanza dinamica Adnkronos, 25 gennaio 2015 "I numeri dei detenuti in Italia sarà pure calato, ma le aggressioni, le colluttazioni e i ferimenti si verificano costantemente, con poliziotti feriti e celle devastate. Il ministro della giustizia Orlando ed il Capo dell'amministrazione penitenziaria Consolo adottino con tempestività urgenti provvedimenti, a cominciare dalla sospensione della vigilanza dinamica delle sezioni detentive, provvedimento che ha favorito e favorisce questa ignobile e ingiustificata violenza facendo stare i detenuti fuori delle celle a non fare nulla tutto il giorno". Così Donato Capece, segretario generale del sindacato di Polizia Penitenziaria, Sappe, commentando i gravi fatti di violenza accaduti in diversi carceri italiani nelle ultime ore. "Non si è ancora spento l'eco dei gravi episodi accaduti nel carcere di Padova, dove alcuni poliziotti sono stati aggrediti mentre detenuti arabi inneggiavano ad Allah e all'Isis, che altre aggressioni e ferimenti si sono contate nelle carceri", sottolinea Capece. "Una proprio a Padova, poche ore dopo i gravi fatti citati. Poi a Vigevano, dove un detenuto marocchino di 24 anni si è prima cosparso il corpo delle sue feci, ha poi sfasciato tutto ciò che aveva in cella ed ha poi fratturato la mano ad uno degli agenti intervenuti per contenere la furia ingiustificata del ristretto". "Servono adeguati ed urgenti provvedimenti per tutelare l'incolumità personale dei nostri eroici poliziotti penitenziari, che nonostante tutto sono riusciti, a Vigevano, Frosinone, Padova, a scongiurare più gravi conseguenze sotto il profilo della sicurezza interna del carcere", prosegue Capece sollecitando il ministro e il capo del Dap ad intervenire: "la situazione nelle nostre carceri - rimarca - resta allarmante, nonostante si sprechino dichiarazioni tranquillanti sul superamento dell'emergenza penitenziaria: la realtà è che i nostri poliziotti continuano ad essere senza alcun motivo o ragione. Eventi del genere sono sempre più all'ordine del giorno e a rimetterci è sempre e solo il Personale di Polizia Penitenziaria". "Il Sappe esprime solidarietà al personale coinvolto e augura una veloce ripresa e ritorno in servizio. Ma va anche detto che queste aggressioni sono intollerabili ed inaccettabili. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite. Per questo stiamo pensando di organizzare una manifestazione nazionale di protesta: per avere garanzie e tutele contro le frequenti aggressioni in carcere ai nostri poliziotti", conclude Capece. Giustizia: "Immunità per gli 007", questo è il nodo che blocca il decreto anti terrorismo di Francesco Grignetti La Stampa, 25 gennaio 2015 Sono diversi, gli ostacoli sul cammino del decreto antiterrorismo, abortito due giorni fa e rinviato alla settimana prossima. Il primo è una questione di soldi: nel decreto c'era la richiesta di 10 milioni di euro per affrontare le spese impreviste dei servizi segreti nel fronteggiare la fiammata jihadista. Erano richiesti anche 60 milioni per l'uso dell'esercito in strada, che prima dell'emergenza parigina era stata considerata una spesa quasi superflua. Nel decreto ci saranno anche delle misure di buon senso, tipo la possibilità di dare un permesso di soggiorno agli informatori stranieri che aiutino i nostri agenti. Una moneta di scambio che vale più dell'oro. L'ostacolo principale, però, tocca una materia delicatissima: i poteri degli 007. In gergo, le chiamano "garanzie funzionali". Significa il potere degli agenti speciali di violare la legge pur di arrivare al risultato. La legge 124 del 2007 prevede già una procedura specifica: previa autorizzazione del presidente del Consiglio, l'agente dei Servizi può essere autorizzato a commettere reati. Mai di quelli troppo gravi, però. Mai l'omicidio, per essere chiari. In questo campo, ora, i Servizi chiedono mani più libere. Nel decreto in gestazione è infatti in arrivo un'estensione di queste procedure. Si prefigura la possibilità di aumentare il tipo di reati ipotizzabili. E si chiede di mantenere la copertura di un agente anche nei confronti della magistratura. In pratica, un agente - previe le autorizzazioni di cui sopra - potrebbe mantenere la sua personalità di copertura anche se arrestato, se interrogato, se condotto in carcere. Un modo sottile per non interrompere un'operazione d'intelligence. Ma il tabù di una licenza d'imbrogliare i magistrati non è facile da infrangere. Così come è un tabù la commistione tra attività d'intelligence e carceri. Non per caso, considerando certi episodi del passato, quando alcuni presunti pentiti ebbero rapporti troppo stretti con agenti speciali all'insaputa dei magistrati, la legge 124 vieta espressamente ai Servizi di agire in carcere. Nel decreto ora c'è un capitolo sui "colloqui investigativi" in carcere, mutuando le procedure per le intercettazioni preventive. Quando s'è trattato di chiudere sul decreto, insomma, il governo s'è reso conto di non poter sottovalutare gli umori del Parlamento a ridosso di una scadenza importante quale l'elezione del Capo dello Stato. E con l'estensione delle "garanzie funzionali" agli 007 si sarebbe rischiato il corto circuito, trascinando nelle polemiche il pacchetto Alfano (il reclutamento dei "foreign fighters" oppure l'auto-addestramento del terrorista solitario), le misure proposte da Orlando (istituzione della procura nazionale antiterrorismo) e da Roberta Pinotti (rifinanziamento delle missioni all'estero). Di fronte alla prospettiva di infilare in carcere un agente segreto con identità fittizia, e mantenendo l'incognito anche con polizia e magistratura, la risposta dei parlamentari non è scontata. Giustizia: come è sacra la libertà… ma solo la libertà di alcuni di Gianfranco de Turris Il Garantista, 25 gennaio 2015 Il Borghese e Candido stipulano un accordo con Charlie Hebdo per pubblicare in Italia esclusivamente le sue blasfeme vignette anti-Islam e anti-Maometto. Alcune associazioni e comunità denunciano le due testate per islamofobia. La Procura di Roma apre una inchiesta in base alla Legge Mancino che sanziona le espressioni di odio razziale e religioso. L'Ordine dei Giornalisti apre a sua volta una inchiesta e deferisce i due direttori, Claudio Tedeschi e Alessio Di Mauro, per aver mancato all'opera di sorveglianza della pubblicazione e per aver svolto la loro professione senza decoro e dignità. Su La Repubblica Ezio Mauro scrive un fondo intitolato: "Contro il fascismo disegnato". Su Il Fatto Marco Travaglio intitola la sua rubrica quotidiana "I manganellatoli di carta". sul Corriere della Sera Pierluigi Battista interviene con il corsivo "Siamo per la libertà di stampa, però...". Il manifesto on line titola: "Ai fascisti nessun diritto, nemmeno di vignetta". Di fronte alla sede delle due redazioni i centri sociali romani inscenano una manifestazione e innalzano striscioni con su scritto "Morte al fascismo, libertà ai popoli islamici". Una interrogazione di Sel al governo chiede "Sino a che punto possono ancora tollerarsi simil provocazioni dei giornali reazionari e filosionisti?". I ministro dell'Interno Alfano afferma: "È tutto sotto controllo, non ci faremo condizionare da due giornali semiclandestini". Ovvero: L'Espresso stringe un accordo con Charlie Hebdo per pubblicare in Italia esclusivamente le sue blasfeme vignette anti-cristiane e anti-papaline. La Conferenzi Episcopale denuncia "l'attacco antistorico contro la religione degli italiani". Il Papa all'Angelus fa un velato accenno al fatto che non si può ironizzare pesantemente offendendo miliardi di fedeli. Su La Repubblica Ezio Mauro scrive un fondo intitolato "Prima d tutto la libertà di espressione". Su La Stampa il filosofo Gianni Vattimo scrive una lettera su "Quando la Chiesa di Cristo dimentica il risus paschalis". Su Il Fatto un corsivo anonimo ironizza su "I cardinali con la coda di paglia". Sul Corriere della Sera Pierluigi Battista, nella sua rubrica, pubblica un intervento intitolato "Siamo per la libertà di stampa, però...". Il giorno dopo Vittorio Messori scrive una lettera intitolata "Le regole ormai non esistono più". Giuliano Ferrara su Il Foglio titola: "Questo Papa non piace poi troppo". L'Ordine dei Giornalisti protesta contro "le censure che vengono da chi meno te lo aspetti". Una interrogazione del Movimento 5 Stelle al ministro della Giustizia chiede "come intende il governo tutelare la libertà di espressione nei confronti degli attacchi clericali". Il ministro Orlando risponde che "il governo vigilerà". Marco Pannella inizia lo sciopero della fame, della sete e del fumo per solidarietà con L'Espresso. Per capire bene il vero senso ed evidenziare le contraddizioni di quel che è successo in questi tragici e convulsi giorni dopo il massacro di Parigi e le reazioni unanimi nei confronti di chi vorrebbe che ci fossero limitazioni nel pensiero critico ai confini della blasfemia irridente, si deve ragionare in modo alternativo, capovolgere la situazione e immaginarsi scenari differenti ma simili, come quelli - ovviamente di fantasia - qui presentati, che non sono né assurdi né impossibili ma semplicemente verosimili alla luce di precedenti esperienze del contesto italiano. In tal modo emergerà tutta la profonda ipocrisia di certe prese di posizione internazionali ma soprattutto nazionali. Ormai vige, come regola non dichiarata ma fattuale, quella del Doppiopesismo secondo la quale la libertà di espressione (di stampa, di pensiero, di critica, di apologia) statuita dalla nostra "Costituzione più bela del mondo" dipende da chi ne fa uso: per alcuni è sacrosanta, per altri è condizionata. Chi può fare quel che vuole, e chi è controllato fiscalmente e sottoposto a sanzioni amministrative e penali. Nei giorni scorsi non si è quindi manifestato per la libertà di tutti, ma solo per la libertà di chi è riconducibile ad una particolare area ideologico-culturale. Sarebbe il caso che politici, magistrati, giornalisti, intellettuali facessero un serio esame di coscienza. Giustizia: Ospedali psichiatrici giudiziari, conto alla rovescia per la chiusura L'Arena di Verona, 25 gennaio 2015 Quasi quarant'anni dopo la legge Basaglia, che nel 78 sancì la chiusura dei manicomi, oggi il copione si ripete. Nel 2012, una nuova legge ha affrontato la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari, stabilendone la chiusura entro il 31 marzo 2013. Proroga dopo proroga, però i tempi di dismissione delle strutture giudicate dall'Unione europea come "inumane e degradanti" si sono dilatati. Il nuovo termine per l'eliminazione di questi ospedali detentivi è fissato per il prossimo 31 marzo. Il conto alla rovescia è cominciato, ma le strutture regionali che dovrebbero accogliere queste persone e garantirne cure sanitarie e custodia, ancora non ci sono. Il Veneto, tra le ultime regioni ad aver presentato il proprio programma organizzativo, è ad oggi un passo avanti. "Ma comunque non siamo ancora pronti, soprattutto per quel che riguarda le strutture che dovranno avere anche caratteristiche detentive. L'iter infatti prevede che queste persone, circa un migliaio sul territorio nazionale, vengano affidate ai territori di provenienza e dislocate in comunità terapeutiche residenziali ad alta, media o bassa sicurezza", spiega Andrea Robotti, direttore scientifico dell'associazione Don Giuseppe Girelli che ha organizzato al polo Zanotto il convegno "Brutti, sporchi e cattivi: viaggio attorno alla pericolosità sociale". "Se si fanno le cose con buon senso riusciremo a superare questa sfida. Il problema è che allo stato attuale così non è: si inanellano leggi e proroghe senza valutarne l'effettiva applicabilità", afferma Mario Iannucci della struttura Le Querce, in Toscana Ma il problema delle strutture rimane solo parte della questione. "Delle 18 persone, che ospitiamo nella nostra struttura a basso livello di pericolosità sociale, in uscita dalle strutture giudiziarie, solo una piccola parte era già nota ai servizi sociali. Ciò accade anche per chi compie reati gravi: in pochi sono seguiti. Se lo fossero, attraverso programmi di prevenzione e cure adeguate, si riuscirebbe ad evitare e prevenire il peggio", spiega Giuseppe Ferro, direttore della Casa Don Giuseppe Girelli. Al tavolo dei relatori si sono alternati psichiatri, psicologi e criminologi, esperti da tutta Italia. In platea molti volti noti, da fra Beppe Prioli dell'associazione La Fraternità a Mariagrazia Bregoli, direttore della Casa circondariale di Montorio, a Margherita Forestan, garante dei diritti dei detenuti, dal consigliere regionale della Lega Nord Andrea Bassi e all'assessore comunale ai Servizi sociali Anna Leso. Giustizia: l'allarme dell'avvocato di Dell'Utri "Sta male, in cella ha perso 12 chili" di Felice Cavallaro Corriere della Sera, 25 gennaio 2015 L'ex parlamentare detenuto a Parma. Il fratello: "Lo tengono alle porte del 41 bis". La pressione va giù di botto, il cuore arranca con i vecchi bypass, l'appetito è scomparso da mesi, ma quando Marcello Dell'Utri compare nel parlatorio del carcere di massima sicurezza di Parma con il viso scarnificato di chi ha perso 12 chili in un niente è lui, il fondatore di Forza Italia condannato per concorso esterno alla mafia, a tranquillizzare la moglie Miranda, il figlio Marco, il fratello gemello Alberto: "Sto bene, benissimo. Coraggio, coraggio". Rassicurazione impossibile per parenti che lanciano l'allarme su una condizione fisica sempre peggiore: "Non può andare avanti così, 12 chili in pochi mesi...". Allarme già echeggiato con Cesare Lanza, direttore di tanti giornali in passato, quando lo scorso dicembre dal sito "La Mescolanza" chiese "un atto di clemenza, di indulgenza di comprensione verso Dell'Utri e Fabrizio Corona". Richiesta diretta a Giorgio Napolitano, rimasta inevasa, ma fra tanti sostenitori di Dell'Utri pronta per essere riproposta al nuovo presidente, come lascia capire Lanza: "Molte le adesioni da gente comune, neanche una parola dalle istituzioni. La giustizia in Italia è concetto astratto...". Intanto, la preoccupazione dei familiari è rafforzata dall'avvocato che segue Dell'Utri da vent'anni a Palermo, Giuseppe Di Peri: "Sta davvero male, molto peggio di quando nel maggio 2014 l'hanno rinchiuso senza una ragione in un carcere diverso da Rebibbia dove l'ex senatore si sarebbe presentato spontaneamente se gliene avessero lasciato il tempo...". Lo diceva nelle interviste che aveva "la valigia pronta per bussare a Rebibbia in caso di condanna", ma dopo la fuga e l'arresto a Beirut i magistrati e il vertice della Direzione penitenziari (Dap) hanno deciso per Parma. Scelta "incomprensibile" per il gemello: "Non il 41 bis. Ma l'hanno messo alle porte del 41 bis. In un carcere dove ci sono assassini e veri "padrini". Perché lo considerano un soggetto pericoloso. Dopo vent'anni di processi, dopo vent'anni di vita pubblica e di interessi per libri e opere d'arte è diventano "pericoloso"? No, questa è un'altra vessazione che si aggiunge alle tante sopportate anche da noi familiari". E racconta le visite a Parma: "A parte qualche parlamentare, non può vederlo nessuno. Perché "pericoloso". Solo la moglie, i quattro figli, io. Ma sono ammessi tre visitatori per volta per quattro volte al mese. Facciamo i turni. Quando arrivo mi perquisiscono e tolgono tutto, facendomi sputare pure la caramella, com'è capitato". Così, se va bene, Alberto Dell'Utri va a Parma una volta al mese. Ma la prima volta dovette attendere quasi due mesi per incontrare il fratello arrestato il 9 maggio: "Mi bloccarono alla porta perché la carta di identità e la mia faccia identica a quella di Marcello non bastavano. "Ci vuole il certificato storico di nascita". E sono dovuto andare da Parma a Roma, da Roma a Palermo per dimostrare di essere io allo Stato che mi aveva pedinato e intercettato come fratello del "soggetto pericoloso". Atto di clemenza a parte, quel che Alberto Dell'Utri invoca è il trasferimento del fratello a Roma: "Per lo Stato non cambierebbe nulla. Per noi tutto. E, invece, eccoci diretti a Parma. Lo chiamano istituto di pena, ma è una pena pure per i familiari. File e turni a non finire. Poi finalmente arriva lui e sembra una larva. Non mangia, soffre, anche se a noi ripete "coraggio". Ha la tv, ma sta in una gabbia all'interno della cella. Lui preferisce leggere. Ha dei libri. E centinaia di lettere, forse più di mille arrivate anche da sconosciuti per solidarietà. E lui scrive, scrive. Risponde a tutti". All'ultimo incontro il gemello avrebbe voluto portare una copia della Settimana enigmistica, ma occorrevano autorizzazioni e visti per cui si è giustificato con il fratello, a sua volta pronto a tranquillizzarlo: "E chi ce l'avrebbe il tempo? Sto sveglio pure la notte per rispondere a chi mi scrive". Lettere: il ministro si è scordato dell'esistenza degli educatori e degli assistenti sociali dal Coordinamento Nazionale Dap Comparto Ministeri Fp-Cgil Ristretti Orizzonti, 25 gennaio 2015 Ricordiamo al Ministro Orlando l'esistenza di operatori che da 40 anni si occupano di trattamento dei detenuti e misure alternative alla carcerazione. Nel sua prima relazione annuale sulle linee di intervento del Governo in materia di Giustizia, svolta alla camera dei Deputati lo scorso 19 gennaio, il Ministro Orlando ha ignorato completamente l'esistenza di operatori dell'Amministrazione Penitenziaria che da 40 anni si occupano del trattamento dei detenuti e delle misure alternative alla carcerazione . Dispiace rilevare che, laddove il Ministro scrive come "pieno, è stato il coinvolgimento della magistratura e dell'avvocatura, del personale amministrativo e della polizia penitenziaria, di tutti gli operatori del servizio giustizia e delle loro rappresentanze, nei numerosi tavoli e gruppi di lavoro che ho promosso nel corso di questi mesi" dimentichi che dalla prima riforma penitenziaria del 1975 in poi gli operatori che per specificità professionale e per compito istituzionale si sono occupati di trattamento dei detenuti e dell'esecuzione delle misure alternative sono stati e lo sono tutt'ora gli educatori ( Funzionari giuridico pedagogici ) e gli assistenti sociali (funzionari di servizio sociale). Comprensibile che il Ministro dedichi" un ringraziamento particolare (….) alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria che hanno, con grande sforzo e professionalità, collaborato fattivamente al superamento della fase emergenziale" ma donne e uomini che hanno fattivamente collaborato alla gestione e al superamento della fase emergenziale detentiva sono anche gli operatori del trattamento e quelli dell'area penale esterna. Il Ministro non é a conoscenza forse che nel 2005 hanno beneficiato di misure alternative alla carcerazione un numero di persone quasi pari a quelle detenute e che perciò gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna hanno contribuito in maniera considerevole alla deflazione del carcere. Non considera, inoltre, il Ministro che l'operazione di progressivo trasferimento al territorio dell'esecuzione penale messa in atto per ridurre il fenomeno del sovraffollamento carcerario si sta realizzando a "costo zero" ossia senza poter derogare dalla "spending review" per il personale del comparto come invece si può fare per la polizia penitenziaria. Il ministro, infatti, sottolinea come "sono state rafforzate e ampliate le misure alternative alla detenzione e, per sostenere tale evoluzione, gli uffici che si occupano dell'esecuzione penale esterna, nell'opera di riorganizzazione che ho avviato, saranno collocati in un nuovo Dipartimento, insieme agli uffici della giustizia minorile, che hanno già maturato, sul terreno della probation, una grande esperienza e notevoli capacità di attuazione concreta di percorsi alternativi alla detenzione. "Non sembra al Ministro che per rafforzare le misure alternative si debbano rafforzare anche in termini di risorse umane gli uffici che si occupano di tali misure ? Dobbiamo sottolineare infine che non rende merito al lavoro svolto oramai da 40 anni nel settore delle misure alternative dagli operatori degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna ricondurre l'evoluzione del settore che si vuole imprimere alla combinazione del settore adulti con l'esperienza di quello minorile. Riteniamo, altresì, che gli operatori del trattamento in seno all'Amministrazione Penitenziaria abbiano efficacemente contribuito in questi decenni all'applicazione di quegli aspetti dell' Ordinamento Penitenziario che lo qualificano come una delle migliori leggi del settore a livello europeo. Invitiamo, pertanto, il Ministro a prendere conoscenza di tutte le articolazioni che caratterizzano la complessa macchina dell'esecuzione penale e per questo ci aspettiamo che esplori anche l'area dell'esecuzione penale esterna. Padova: nel carcere ancora sovraffollamento e detenuti malati di mente dismessi dagli Opg di Filippo Tosatto Il Mattino di Padova, 25 gennaio 2015 Del carcere ha fatto la sua seconda casa ma stavolta per lei è stato facile varcare i cancelli del Due Palazzi, blindato dopo la rivolta: un cordone di agenti all'ingresso, pattuglie di polizia penitenziaria nei corridoi, nelle sale, in ogni sezione. Palpabile il clima di tensione. "All'inizio non volevano farmi entrare, poi il direttore ha acconsentito e dentro ho trovato trambusto, un via vai di gente agitata, i nervi tesi", racconta Ornella Favero, la direttrice di "Ristretti orizzonti", il notiziario della Casa di reclusione di Padova e dell'Istituto di pena femminile della Giudecca. "I miei riferiscono che la rissa è stata scatenata dalle proteste di un detenuto che stava male e chiedeva inutilmente aiuto". I "suoi" sono i reclusi che collaborano alla redazione e al sito: "Il punto di partenza è sempre lo stesso, qui dovrebbero essere accolte 430 persone ma ce ne sono il doppio. E il sovraffollamento fa sì che non ci sia lavoro per tutti: guarda caso, gli incidenti sono scoppiati nel quarto braccio, dove i detenuti non hanno la possibilità di lavorare né di studiare. Gente con dure condanne definitive che trascorre le giornate senza fare niente, in una condizione rabbiosa e inutile. E poi c'è il travaso dei soggetti psicolabili provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari, gli ultimi manicomi in via di chiusura: le strutture alternative promesse non si sono, così arrivano qui, a volte sono davvero problematici e provocano un aumento della conflittualità". Pesante anche il disagio degli agenti: "Certo, tanto che alcuni sindacati hanno chiesto l'adozione del gas urticante e la chiusura delle celle durante il giorno, ma l'inasprimento della repressione non ridurrà i problemi, occorre dare un senso alla carcerazione, lavorare sulla mediazione rieducativa, sul rispetto delle persone e degli affetti". Si muove anche la politica. A chiedere sia fatta luce sulle violenze è il deputato del Pd Alessandro Zan, autore di un'interrogazione ai ministri della Giustizia e dell'Interno: "Ho chiesto se non intendano avviare, nel rispetto del lavoro della magistratura, un'indagine amministrativa interna per chiarire le ragioni della rivolta. Oltre al fatto che nei giorni scorsi sarebbero stati rinvenuti diversi telefoni cellulari nelle celle, c'è da chiedersi come i detenuti disponessero impunemente anche di bastoni e coltelli rudimentali che sarebbero stati utilizzati nei disordini". Analogo l'intervento del vicesegretario dell'Udc Antonio De Poli, che invita il Guardasigilli ad agire "a tutela del personale di polizia penitenziaria". A segnalare l'aggravarsi della situazione è Gessica Rostellato: "I campanelli d'allarme al Due Palazzi hanno ormai una frequenza molto preoccupante: quasi ogni settimana si registrano episodi di tensione, collegati alla difficile situazione logistica e organizzativa di quel carcere", sostiene la parlamentare del M5S "purtroppo i segnali giunti dal Governo non sono affatto buoni, come dimostra la recente, incomprensibile, decisione di non avvalersi più delle cooperative sociali almeno per svolgere una parte dei lavori interni. Ma la pena per chi ha sbagliato consiste nella privazione della libertà: non è ammissibile che ci sia una condanna aggiuntiva costituita dalla permanenza in un luogo privo delle condizioni minime di dignità". Non più tardi di martedì, il Due Palazzi ha ospitato un corso di aggiornamento riservato ai giornalisti organizzato proprio da "Ristretti orizzonti": svariate le testimonianze dei reclusi, concordi nell'attribuire alle attività lavorative e al sostegno medico e psicologico un valore decisivo nell'attenuazione dell'aggressività, sempre latente oltre le sbarre. Palermo: il Presidente della Corte di appello "serve un'amnistia, per svuotare le carceri" Agi, 25 gennaio 2015 Sono "gravi" le condizioni di vita a cui sono costretti i detenuti per reati comuni nelle carceri del distretto. E, più in generale, la situazione complessiva degli istituti penitenziari del distretto fa registrare "malcontento e si trovano a rischio i diritti, anche quelli fondamentali, dei soggetti ristretti". Lo rileva la relazione del presidente reggente della Corte di appello di Palermo, Vito Ivan Marino. La popolazione carceraria del distretto, sebbene lievemente ridotta rispetto al periodo precedente (3.087 contro 3.217) continua "ad eccedere macroscopicamente il limite ufficiale della capienza lamentare complessiva dei nove istituti che operano nello stesso distretto, pari a 2.819 posti". Dunque, "pare chiaro che -osserva il magistrato- finché rimarrà sul tappeto la ventilata possibilità di una nuova amnistia o di un nuovo indulto (che costituirebbe in effetti, almeno nell'immediato, lo strumento di più rapida soluzione delle problematiche di cui si discute), una larghissima parte della popolazione carceraria continuerà a coltivare quella forte speranza di anticipata liberazione che oggi la tiene in trepida attesa". Se tutto sommato nelle case circondariali di Agrigento, Trapani, Termini Imerese, Castelvetrano e Favignana si registrano numeri lievemente al di sotto della soglia prevista, in altri Istituti l'indice di sovraffollamento si mantiene comunque assai alto: "Emblematico è il caso di Pagliarelli - si legge nella relazione - la quale, realizzata per contenere in condizioni fisiologiche non oltre 858 detenuti, oggi ne gestisce più di 1.316. Non meno significativo quello dell'Ucciardone, che ad un eccesso di presenze (essendovi ospitati 489 soggetti, a fronte di una capienza regolamentare di 375 posti) unisce tutte le gravi criticità legate alla vetustà degli edifici e degli impianti". Marino avverte che "queste condizioni non soddisfacenti inevitabilmente producono un clima diffuso di tensione che si è tradotto finora in proteste essenzialmente pacifiche e che, se ulteriormente alimentato, potrebbe facilmente sfociare in eventi ben più gravi". Sindaco Palermo: sistema crea disparità "Il sovraffollamento delle carceri, sommato all'assoluta e totale prevalenza di detenuti appartenenti a classi sociali marginali rispetto ai "colletti bianchi" espressione delle classi dirigenti e rappresentanti delle attività corruttive contro e dentro la pubblica amministrazione, rischia di trasformare il sistema penale in nient'altro che una conferma di una scissione verticale della società; il sistema penale e carcerario rischia di essere soltanto lo specchio e la prova di odiose disparità sociali, oggi ancor più gravi per i tagli lineari alla spesa pubblica e degli enti locali, che colpiscono innanzitutto le fasce sociali più deboli". L'ha detto il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che ha assistito all'inaugurazione dell'anno giudiziario. "Questa situazione - ha concluso Orlando - è aggravata dalla ripetuta esigenza di pacificazione fra la magistratura ed altre realtà, soprattutto politiche e imprenditoriali. Una asserita necessità di pacificazione che spesso diviene pretesto per tentativi inaccettabili di delegittimazione della magistratura impegnata in processi di grande rilievo contro poteri forti e che rischia di determinare le condizioni per perpetuare impunità di quanti saccheggiano le risorse pubbliche che potrebbero e dovrebbero essere invece destinate alla spesa sociale". Firenze: con il nuovo progetto "Fuori Area" un'opportunità di impiego per detenuti www.gonews.it, 25 gennaio 2015 Il Consorzio Mc Multicons di Montelupo F.no (Fi), da anni attivo sul territorio toscano nell'offerta di numerosi servizi, dalla logistica, al giardinaggio, passando per il facchinaggio, le pulizie e tanti altri, propone un nuovo progetto attraverso una sua consorziata, la Cooperativa Sociale Servizi Toscani, amministrata dal Presidente di Multicons Stefano Mugnaini. Stavolta, Mc Multicons presenta un'iniziativa di vasto respiro che coinvolge il mondo della detenzione della Regione Toscana, proponendosi come canale interlocutorio per la predisposizione di percorsi di lavoro dei carcerati finalizzati al reinserimento sociale. Dalla consapevolezza di due bisogni, vale a dire il sovraffollamento delle carceri e la necessità per la Pubblica Amministrazione di effettuare la manutenzione ordinaria del proprio patrimonio pubblico a costi contenuti, abbiamo tratto l'idea di creare delle opportunità di impiego per i detenuti in articolo 21, scelti dagli assistenti sociali dopo appositi approfondimenti e nulla osta del magistrato di sorveglianza. "Dodici carcerati, uomini e donne, in un primo momento delle strutture circondariali "Valdorme" di Empoli e "Gozzini" di Firenze, rispettivamente femminile e maschile, avranno la possibilità per un anno di ricorrere al lavoro extra-murario, dimostrando le proprie competenze professionali pregresse, acquisite prima della detenzione", afferma il presidente di Mc Multicons Stefano Mugnaini. "Per rafforzare - prosegue - "la capacità di lavorare in squadra, è stata coinvolta l'Asev (Agenzia Sviluppo Empolese-Valdelsa), che si occuperà della formazione preliminare con un piano di 50 ore. Noi vogliamo che gli enti locali che si avvarranno della possibilità di avere manodopera a costi contenuti molto competitivi sul mercato, possano disporre di un servizio qualificato, di livello". "A tal proposito - aggiunge Edoardo Antonini, Responsabile della Comunicazione di Multicons - il progetto "Fuori Area" vuol dare un contributo al territorio, Empolese-Valdelsa in prima istanza, ma successivamente, ci auguriamo, in molte altre zone della Toscana. Di fronte alla crisi economica ed alla perdita di posti di lavoro, per il mondo della detenzione diventa sempre più difficile trovare soggetti esterni con cui imbastire collaborazioni a scopo professionale. Ciò non significa che non siano indispensabili, considerando che, secondo i dati diramati nel 2012 dall'allora Ministro della Giustizia Severino, i detenuti che non hanno mai svolto lavoro durante la detenzione sono soggetti ad una recidiva superiore di tre volte rispetto agli altri, con differenze percentuali del 65% contro il 19". Per presentare nel dettaglio il progetto, è stata organizzata una conferenza stampa che si terrà Venerdì 6 Febbraio 2015, alle 18,30, presso la Sala Conferenze dell'Asev di Empoli, in via delle Fiascaie,12. Saranno presenti l'On. Dario Parrini, deputato e segretario regionale del Pd, Vittorio Bugli, Assessore al Bilancio ed ai rapporti con gli enti locali della Regione Toscana, il Sindaco di Montaione Paolo Pomponi, delegato al Sociale dell'Unione dei Comuni Circondario Empolese-Valdelsa, un rappresentante del Garante regionale dei detenuti ed i direttori del carcere di Empoli e del "Gozzini" di Firenze, Graziano Pujia e Margherita Michelini. In un momento difficile come quello che sta attraversando l'Italia, diventa sempre più necessario impegnarsi in ambito sociale e contribuire alla costruzione di una società più giusta ed inclusiva. Dal riscatto delle condizioni dei detenuti, passa una buona fetta di ampliamento del significato di Cittadinanza attiva. Lasciare a se stesso chi sta in cella, al contrario, significa condannarlo ad una vita passiva e marchiarlo per sempre. Come diceva nell'800 Victor Hugo, "La liberazione non è la libertà; si esce dal carcere, ma non dalla condanna." La Cooperativa Servizi Toscani ed il Consorzio Mc Multicons, si adoperano per cambiare questa sentenza. Macomer (Nu): il presidente regionale Pigliaru sostiene il Comune nella vertenza carcere di Tito Giuseppe Tola La Nuova Sardegna, 25 gennaio 2015 Nella battaglia per il carcere scende in campo la Regione. Francesco Pigliaru sosterrà la battaglia del Comune per un utilizzo alternativo della struttura carceraria nel caso in cui il ministero della Giustizia dovesse non rivedere la decisione di abbandonare il complesso che ospitava i detenuti e nel quale aveva sede anche il nucleo cinofili della polizia penitenziaria. Il presidente della Regione ha scritto nei giorni scorsi al ministro Andrea Orlando richiamando l'attenzione sulla validità del complesso carcerario e sollecitando il suo utilizzo anche per attività diverse da quelle legate alla detenzione che vi si svolgevano fino allo scorso anno. Con una serie di motivazioni, per certi versi evasive, il ministero ha risposto picche. Nel carcere di Macomer, in pratica, non si intende fare più nulla. Di fronte al diniego, Pigliaru ha deciso di sostenere la battaglia intrapresa dal sindaco Succu, che con tenacia continua a battersi per far sì che la struttura non sia lasciata in abbandono, preda del vandalismo e del degrado. Venerdì 6 febbraio, Succu e Pigliaru si incontreranno a Cagliari per decidere come muoversi per spuntarla in una vertenza che non si annuncia facile. Finora la battaglia del comune di Macomer contro il ministero è stata combattuta quasi in solitario. "Ora non siamo più soli ma è con noi anche la Regione - dice il sindaco, Antonio Succu, - sono molto soddisfatto del sostegno che il presidente Pigliaru ha deciso di darci e lo ringrazio per l'attenzione che vorrà dedicare a questa battaglia, che non è solo del comune di Macomer ma di tutto il territorio. Hanno voluto chiudere il carcere per risparmiare sui costi, ma sono molto perplesso sui reali risparmi che possono derivare da un'operazione piuttosto dispendiosa legata a una decisione frettolosa che butta via una struttura nuova. Si tratta di una decisione incomprensibile che non tiene conto delle reali esigenze dei detenuti e delle conseguenze per la città, che ha accolto il carcere per anni quando altri non lo volevano. La chiusura del carcere è dispendiosa a per lo stesso ministero, che non risparmia nulla, ma avrà anzi maggiori costi nel trasferire tutto e nel realizzare una nuova struttura per il nucleo cinofili". Nella risposta al presidente della Regione il Ministero spiega che l'esigenza di chiudere il carcere di Macomer è legata alla necessità di razionalizzare i servizi e la gestione del patrimonio edilizio. Tenere in funzione strutture con meno di cento posti (quello di Macomer ospitava in media 90 detenuti in celle a due posti da 15 metri quadri dotate di servizi igienici separati) contrasterebbe quindi col "principio di buona amministrazione". Il ministero insiste che il carcere di Macomer dispone di 46 posti detentivi, contro la media di 90 detenuti ospitati fino a pochi mesi fa. È chiaro, a questo punto, che la decisione di chiudere è definitiva. Si pone perciò l'esigenza di un uso alternativo della struttura, che altrimenti resterebbe in abbandono e alla mercé di vandali e ladri che finirebbero per rubare anche le inferriate. Belluno: violenza contro una trans, la procura sta trattando l'indagine nel massimo riserbo di Errico Novi Il Garantista, 25 gennaio 2015 Violenza sessuale nei confronti di una detenuta trans avvenuta all'interno del carcere di Baldenich, a Belluno. La procura sta trattando nel massimo riserbo l'indagine partita dalla denuncia della vittima. Sconosciuto il nome della trans, assoluto silenzio anche per quanto riguarda l'identità dell'agente di polizia penitenziaria finito nei guai. Nel medesimo carcere c'è già stato un precedente. Qualche anno fa, sempre una trans denunciò un agente di polizia penitenziaria di avere abusato della propria posizione per costringerla a un rapporto orale. In quel caso la trans aveva però una prova a conferma di quanto detto: aveva infatti tenuto il liquido seminale in un sacchettino in modo da poter incastrare l'agente. Le trans detenute nel carcere di Belluno occupano uno spazio tutto loro, un'ala apposita, a causa delle cure ormonali alle quali sono sottoposte per mantenere caratteristiche fisiche femminili. Nonostante la denuncia e le numerose segnalazioni che vennero fuori contemporaneamente, non si è riuscito a evitare che un caso di violenza accadesse nuovamente. A seguito di quest'ultimo potrebbero, adesso, esserci conseguenze pesanti per il carcere di Baldenich, uno dei pochi ad avere un ala apposita per le persone transessuali. Il tema della transessualità in carcere è già stato ampliamente affrontato da Il Garantista. Sono coloro che pagano ancor di più lo scotto dell'insostenibile sistema carcerario. Se vivere la detenzione è difficile per ogni essere umano, per la transessuale lo è ancor di più. Il transessualismo non viene riconosciuto dalle direzioni carcerarie, quindi generalmente le trans sono reclusi negli istituti maschili e in reparti speciali separati per detenuti "a rischio" insieme con i collaboratori di giustizia e ai pedofili. Nel 2010 a Empoli, per evitare questo problema della doppia punizione, era stato finanziato il progetto per l'apertura di un carcere dedicato esclusivamente alle detenute transessuali: l'allora ministro della giustizia Angelino Alfano decise di bloccare l'iniziativa. Eppure era già tutto attrezzato per trasformare la casa circondariale di Empoli, già carcere esclusivamente femminile, in penitenziario riservato ai soggetti transessuali, nel tentativo di non ghettizzarli e poter rendere concreto, oltre che agevolmente fruibile, il trattamento penitenziario stesso. La grande percentuale delle trans è in carcere per reati minori e quindi il periodo di detenzione è breve, ma nonostante ciò la carcerazione viene vissuta con molta sofferenza e frequenti sono i casi di tentativi di suicidi in cella. Molte detenute trans sono di origine sudamericana, perché penalizzate dalle condizioni di emarginazione in cui si trovano a vivere nel Paese straniero, sprovvisti di documenti, soldi e permesso di soggiorno si trovano facilmente a delinquere. E la detenuta transessuale straniera è priva del permesso di soggiorno e nell'impossibilità di ottenerlo, quindi costretta a vivere la propria carcerazione in misura pressoché isolata ed ulteriormente afflittiva. Tali difficoltà si riflettono, ad esempio, sulle questioni pratiche connesse alla detenzione: il legame sentimentale del detenuto transessuale non ha alcuna rilevanza per la legge, e il proprio compagno o compagna non verrà mai riconosciuto come tale e ammesso a fare colloqui; le misure alternative alla detenzione non trovano applicazione, volta l'impossibilità di reperire domicili idonei o aiuti esterni. Sulla carta, le transessuali detenute che hanno iniziato il trattamento prima dell'arresto, hanno diritto alle cure ormonali: la realtà è che non avviene quasi mai, soprattutto nei confronti di chi risulta, sulla carta d'identità, ancora un uomo. La cura ormonale non è un capriccio, il Movimento identità nazionale spiega che "senza ormoni si assiste a un abbruttimento del proprio corpo. Ci si lascia andare, subentra la depressione, l'impossibilità di realizzarsi". Durante la sua esperienza da parlamentare, Vladimir Luxuria visitò diversi carceri, in particolare quelli con apposite sezioni per transessuali. "Nella maggior parte dei casi", spiegò, "scontano una doppia punizione: quella per il reato commesso e quella per il fatto di essere trans". Poi c'è l'associazione radicale "Certi diritti" che ogni anno organizza visite alle carceri per verificare le condizioni della transessualità. E da tempo intraprende la battaglia per riformare la legge 164 : se nel 1982 era stata una grande conquista per il mondo trans, oggi diventa un ostacolo per chi vuole cambiare nome all'anagrafe senza necessariamente operarsi. Le detenute transessuali non operate sono coloro che rischiano ancor più discriminazione e ghettizzazione proprio perché la loro identità sessuale non corrisponde all'anagrafe. L'ennesimo caso di violenza registrata al carcere di Belluno, evidenza il fatto che le detenute transessuali sono coloro che subiscono più violenze e abusi delle guardie penitenziarie. Sempre sulle pagine de Il Garantista abbiamo riportato l'inquietante denuncia dei volontari del gruppo Calamandrana, i quali ci hanno raccontato delle continue vessazioni nei confronti delle trans avvenute nel carcere di San Vittore, a Milano. Nel 2009 la Procura di Milano aveva cominciato ad occuparsi della faccenda. Era scattato il rinvio a giudizio nei confronti delle due guardie penitenziarie e avviato il processo. Dopo molti rinvii il processo si era concluso il 18 luglio 2013 con l'assoluzione dei due agenti "perché il fatto non sussiste". Ma la conclusione di questa storia è molto più amara e inquietante. Gabriella Sacchetti, volontaria del gruppo Calamandrana, racconta sempre al Garantista che "due protagonisti importanti di questa brutta storia sono spariti subito dopo il processo o poco prima. Di Erica, una delle trans che aveva denunciato gli abusi, è corsa voce che sia stata uccisa, ma non siamo riusciti a sapere il dove, come e quando". Il detenuto della lettera di denuncia che abbiamo pubblicato è sparito dalla circolazione dopo che ha finito di scontare la pena. "E questo ci è molto dispiaciuto e ci ha inquietato, anche perché", conclude amaramente Gabriella Sacchetti, "li avevamo conosciuti durante il nostro volontariato ed eravamo rimasti in contatto epistolare fino a poco prima della sentenza". Frosinone: Fns Cisl; terza aggressione ai danni di un agente, servono azioni urgenti Adnkronos, 25 gennaio 2015 Ieri pomeriggio nell'Istituto di Frosinone vi è stata un'altra aggressione, la terza in questo mese e la seconda in soli tre giorni. Lo comunica in una nota La Fns Cisl Lazio. Il detenuto, un 38enne italiano, ha strattonato un ispettore, il quale per fortuna non ha riportato danni. L'assistente capo, invece, è stato ferito nelle fasi di contenimento e, dopo le cure presso l'ospedale di Frosinone, gli è stata diagnosticata una distorsione della mano destra e 5 giorni di prognosi. La Fns Cisl Lazio ha già richiesto interventi urgenti agli uffici del Dap e Prap Lazio anche con l'invio di un congruo personale di Polizia Penitenziaria, considerata la carenza degli agenti e il sovraffollamento nel carcere. Vi sono infatti, nella struttura di Frosinone, circa 170 detenuti in più rispetto ai previsti. La Fns Cisl Lazio evidenzia come aggressioni del genere si stiano verificando in quegli istituti dove è in atto una "vigilanza dinamica" "che, invece di creare situazioni di benessere ai detenuti, provoca situazioni critiche a danno del personale penitenziario. In strutture di questo tipo, per evitare situazioni così spiacevoli, occorrerebbe dare la possibilità ai detenuti di lavorare, anche in impegni di utilità, così da non lasciarli oziare nei luoghi preposti alla detenzione". Cosenza: per il "Giorno della Memoria" un concerto nel carcere di Rossano Calabro di Antonio Iapichino www.ilcirotano.it, 25 gennaio 2015 Iniziativa pianificata dall'Istituto musicale "Donizetti" di Mirto Crosia nell'ambito del progetto "Note di libertà". In occasione del Giorno della Memoria, dedicato alle vittime dell'Olocausto, mercoledì 28 gennaio, i detenuti del circuito Alta sicurezza del carcere di Rossano, offriranno, per il secondo anno consecutivo, uno spettacolo denso di emozioni realizzato con grande partecipazione e commozione. Si tratta di una manifestazione culturale nell'ambito del progetto "Note di libertà", a cura dell'Istituto musicale "Donizetti" di Mirto Crosia. I detenuti sono stati preparati dal Direttore artistico del "Donizetti", Giuseppe Greco, dal M° Giuseppe Fusaro (pianoforte), M° Salvatore Mazzei, (teoria e solfeggio), prof.ssa Letizia Guagliardi (docente di inglese presso l'Itis di Rossano) con il supporto della dott.ssa Angela Greco (educatrice). Sono previsti canti eseguiti da solisti e dal coro, brani eseguiti dai detenuti, scenette teatrali, poesie recitate e racconti sulla Shoa. "Rinnovare ogni anno il ricordo, seppure rinnova il dolore, ci ricorda - a sua volta - il dovere", ha commentato il direttore della Casa circondariale rossanese, Giuseppe Carrà, "di non dimenticare per rendere onore a chi, innocente, ha pagato con la vita per la propria identità, la propria storia, la propria cultura i propri valori. Occorre non dimenticare e serve trasmettere memoria perché non si disperda quella aberrazione che - oggi come allora - è costituita da ogni forma di antisemitismo, di razzismo, di intolleranza, di xenofobia". A giudizio del dottore Carrà basta ricordare, quasi in parallelo con la nostra civiltà, "che con la Shoah non furono perseguitati soltanto gli ebrei ma anche zingari, serbi, testimoni di Geova, omosessuali, tedeschi oppositori del nazismo, partigiani e Resistenti di tutte le nazionalità, delinquenti abituali, slavi, malati di mente, disabili ed "asociali", come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti". Interessante il parallelismo "tra ieri e oggi, ovvero, come anche oggi dalle celle del carcere" ha commentato il direttore Carrà, "partano delle voci che vogliono raccontare quella terribile esperienza confrontandosi, senza filtri, con un pubblico vario e composto da gente delle varie componenti della società civile". L' obiettivo del progetto ha spiegato Giuseppe Greco "è portare sollievo in un luogo di disagio, donando un momento di arricchimento e gioia ai detenuti e al personale che opera nella Casa Circondariale di Rossano". La musica "ha un'ampia valenza educativa e formativa, è un potente mezzo di comunicazione". Il progetto realizza attraverso lezioni settimanali, di circa due ore, dedicate allo studio della teoria musicale e alla pratica di uno strumento. A conclusione dell'anno è previsto uno spettacolo-concerto. Alla manifestazione sono state invitate a partecipare diverse autorità politiche, civili e religiose, numerose scuole, privati cittadini e associazioni di volontariato. Grecia: Alba Dorata, i leader in carcere e i volontari tra le paure della gente di Marta Ottaviani La Stampa, 25 gennaio 2015 Un esercito di migliaia di volontari, video conferenze del leader dal carcere e presenza nei quartieri dove l'immigrazione ha procurato i maggiori problemi di sicurezza. Con queste armi il partito neonazista Alba Dorata si prepara a tornare in Parlamento, dopo il boom del 2012, quando conquistò il 7% e 18 deputati. I sondaggi lo danno attestato intorno al 6%, ma secondo i suoi parlamentari può arrivare addirittura al 15%. I due terzi del partito sono sotto inchiesta da parte della magistratura per terrorismo. I due leader, Nikos Michaloliakos e Christos Pappas, più altri quattro dirigenti, sono in carcere abbiamo un simbolo simile alla svastica nazista - continua Vouldis - non sapete nemmeno che è invece è ispirato al meandro che è un simbolo dell'Antica Grecia. Ci giudicate e non conoscete la storia recente del nostro Paese". Sarà anche così ma di fronte alla sezione vicina alla stazione di Larissa, nel centro di Atene, compare una scritta che recita "Libertà per Michaloliakos, abbasso la dittatura di Samaras" con in mezzo una croce celtica che di antica Grecia ha veramente poco. Nel quartier generale dell'organizzazione, non lontano dal Parlamento, all'ingresso si vedono manganelli e maschere antigas, da fotografare di nascosto. Sono tutti vestiti di nero e non passa settimana che in Grecia non arrivi notizia di qualche loro aggressione. "A noi importa come veniamo percepiti dai greci - continua Vouldis. La gente è alla fame a noi interessa per prima cosa la loro tutela. La nostra campagna elettorale si basa proprio su questo: le bugie raccontate su di noi e la salvezza della Grecia. Tsipras e Samaras sono uguali, entrambi pronti a obbedire all'Europa". Poi si va nelle vie attorno alla chiesa di Aghios Panteleimonas, dove per la prima volta il partito neonazista espose un manifesto con scritto "Fuori gli stranieri dalla Grecia" o nel quartiere di Kipseli, uno di quelli che si sono più impoveriti con la crisi e si capisce meglio come funziona il "metodo Alba Dorata". "Io sono di origine turca e da quando ci sono loro questo quartiere è diventato un inferno - spiega Ahyan, che lavora in un negozio vicino alla chiesa. Controllano ogni strada. Fanno di tutto per ingraziarsi soprattutto le persone anziane, le accompagnano al bancomat, a fare la spesa, gli dicono di votare per loro e diffidare degli stranieri. Gli anziani tornano a casa, raccontano quanto li aiutano quelli di Alba Dorata e così fanno proseliti". Una campagna elettorale all'insegna della persecuzione e del populismo, ma che cela un pericoloso mix di squadrismo, xenofobia e violenza. Questo oggi potrebbe diventare il terzo partito della Grecia.