Urla d'amore fra le sbarre: appello ai politici per calendarizzare ddl sull'affettività in carcere di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2015 "Oggi ho detto ad una guardia che non sempre il rispetto delle regole è un valore perché in molti casi in carcere è un disvalore". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Credo che una buona politica non dovrebbe impedire ai cattivi in carcere di poter dare e ricevere baci e carezze da chi gli vuole bene. Penso che l'amore potrebbe cambiare in meglio le persone più di qualsiasi punizione in inutili anni di carcere. Credo che una affettività più umana in carcere potrebbe impedire che i detenuti, una volta fuori, commettano di nuovo dei reati. Il primo dicembre 2014 nel carcere di Padova c'è stato un importante seminario di Ristretti Orizzonti sugli affetti in carcere con l'intervento di alcuni politici. Ecco alcune loro dichiarazioni: Il senatore Lo Giudice: Mi porterò dietro questa mattinata come una esperienza molto importante, perché anche rispetto alla proposta di legge che io ho presentato, come dire, voi l'avete in qualche modo riempita d'anima con le testimonianze di stamattina che danno anche a me un motivo in più per un impegno forte in questa direzione. Naturalmente ribadisco qui il mio impegno chiedendo a tutti voi, chiedendo a Ristretti Orizzonti che è un po' il megafono di quello che accade all'interno delle mura carcerarie di premere molto in questa direzione. IL deputato Alessandro Zan: Studi, ovviamente molto consolidati sui legami familiari dicono, che un detenuto che ha conservato i legami familiari e affettivi e anche, come dire la propria sessualità, rischia in percentuale tre volte meno recidività rispetto a un detenuto i cui legami familiari si sono interrotti o si sono spezzati. (…) Devo dire che il tema dei dieci minuti di telefonata a settimana con la vocina che a un certo punto dice che sta per scadere il tuo tempo, introduce anche un elemento di crudeltà e di sadismo che non ha nulla a che fare con lo stato di diritto, che non ha nulla a che fare con i nostri principi costituzionali. La deputata Gessica Rostellato. Il carcere è un mondo sconosciuto per chi è fuori purtroppo. Ringrazio anche le figlie che hanno parlato perché immagino che non debba essere facile esternare i propri sentimenti di fronte alle persone, però è stata una emozione veramente grande e di questo vi ringrazio anzi, lo so che è difficile, però chiedo anche a voi un impegno maggiore nel parlare di più di queste cose, perché la gente fuori veramente non capisce che cosa significa il carcere e non ha sufficiente sensibilità per i detenuti, per cui io mi impegno come parlamentare a fare la mia parte. La radicale Rita Bernardini. Ma una cosa che mi pare non sia stata detta a proposito dell'affettività o almeno non abbiamo oggi dati statistici da questo punto di vista, è quanti bambini hanno dei veri e propri traumi psichici a causa della lontananza con il proprio genitore sia padre che madre. E adesso io ho pensato, per convincere i politici a fare presto a cambiare la normativa sulle telefonate e sui colloqui in carcere, di rendere pubblica questa lettera che avevo scritto al direttore dell'istituto quando anni fa ero detenuto nel carcere di Spoleto. Gentile Direttore, ho due nipotini, Lorenzo di due anni e mezzo e Michael di otto mesi, sono molto intelligenti, probabilmente hanno preso dal nonno, e forse parlano bene diverse lingue, tedesco, inglese, russo e cinese ma ancora non parlano bene l'italiano. Da alcuni mesi lei mi ha concesso, tramite l'art. 39 terzo comma, una ulteriore telefonata permanete mensile per motivi affettivi con i miei due piccoli nipotini. Non ho mai avuto problemi ad effettuare questa telefonata. La scorsa settimana, però, il centralinista mi ha ordinato che posso parlare solo esclusivamente con i miei due nipotini senza poter salutare né mio figlio né sua moglie, in caso contrario sarebbe stato costretto a interrompere la linea. Non le nascondo che ho provato solidarietà con l'agente del centralino che è stato "costretto" a impartirmi questo strano ordine. E ho immaginato la brutta figura che avrebbe fatto l'agente quando l'avrebbe raccontato a sua moglie che nel carcere dove lavora si "pretende" che i neonati conversino al telefono con i loro congiunti. Direttore, la sofferenza inflitta gratuitamente per ignoranza, per ottusa burocrazia o perché si indossa una divisa difficilmente può essere compresa e accettata. Direttore, i sentimenti e l'amore per i propri familiari non devono e non possono essere emarginati e derisi con ordini e pretese assurde e impraticabili. Direttore, non so che problemi ci siano, ma per aiutarla a risolverli e affinché gli agenti del centralino non si sentano a disagio e non facciano la figura del lupo cattivo di Cappuccetto Rosso, la invito, se le modalità rimarranno queste, a revocarmi l'ulteriore telefonata mensile. Mi permetto di ricordarle che durante il "Corso di Non violenza" lei ha detto che chi ha più buon senso ce lo mette e la ringrazio di darmi la possibilità di avere più buon senso dei miei "carcerieri". Buon lavoro. Giustizia: riforma penitenziaria; spunti per il governo dall'European Prison Observatory di Susanna Marietti (Coordinatrice Associazione Antigone) Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2015 La scorsa settimana l'European Prison Observatory (Epo) ha organizzato un incontro pubblico a Bruxelles nel quale ha raccontato alcuni risultati del proprio lavoro alla presenza di esponenti della Commissione Europea e di Amministrazioni Penitenziarie nazionali (tra cui quella italiana). L'Epo è una rete di organizzazioni, coordinata dalla nostra Antigone, con sede al momento in otto Paesi europei e in via di allargamento, nel prossimo futuro, a quattordici, con la speranza di coprire presto l'intera Unione Europea. Compito dell'Epo è quello di monitorare le condizioni della vita carceraria negli Stati membri, al fine di evidenziare problematiche da risolvere e buone prassi da diffondere e scambiare tra i vari Paesi. Poco prima dello scorso Natale il governo italiano ha presentato un disegno di legge dall'ampio articolato volto a riformare alcuni aspetti del codice penale e di procedura penale nonché dell'ordinamento penitenziario. Quanto a quest'ultimo, il testo si limita a elencare alcune indicazioni di massima, rimandando poi al governo stesso la delega a scrivere la nuova legge. Per il mondo carcerario si tratta di un evento epocale. La legge che regolamenta l'universo penitenziario italiano è del 1975 - varie volte in seguito modificata, ad esempio con la legge Gozzini - e questi suoi quarant'anni di vita hanno avuto modo di mostrarcene luci e ombre. Se dovessi riassumere in poche parole i risultati principali dello European Prison Observatory - il cui compito, prima che interpretativo, è meramente descrittivo - direi che le sue indagini hanno provato che in ogni Paese, a prescindere dal modello normativo e amministrativo adottato, più i detenuti vengono responsabilizzati e trattati con dignità e più vantaggi ci sono per tutti in termini di recidiva e di qualità della vita interna, allentandosi le tensioni anche per il personale penitenziario. In Inghilterra, per fare un esempio, un modello gestionale ormai affermatosi in ben dieci carceri (di ogni tipo: per pene lunghe, per pene brevi, per sex offender) è quello improntato su una forte democrazia rappresentativa. I detenuti formano dei veri e propri partiti, con il loro programma legato alla gestione di alcuni aspetti della vita interna. Dopo un periodo di campagna elettorale durante il quale i partiti hanno modo di far comprendere le loro priorità politiche, si va al voto. I detenuti portano avanti, ovviamente con il supporto e la supervisione dell'istituzione ma tuttavia con un forte senso di responsabilizzazione, la vita carceraria. Gli indicatori della qualità della vita ci dicono che in questi istituti si sta meglio, tanto se sei un detenuti quanto se sei un poliziotto, e che la relazione tra le due categorie è ben migliore. In Francia si utilizzano stanze per le visite famigliari intime. Nelle carceri italiane il sesso è formalmente bandito, salvo poi ovviamente non esserlo nella prassi. Vari studi hanno mostrato come l'accesso a visite intime riduca la tensione carceraria e migliori la qualità della vita anche per gli operatori. In Scozia un sistema di visite video permette anche ai detenuti molto lontani da casa di non recidere i legami famigliari. L'uso delle nuove tecnologie dovrebbe essere al centro del ripensamento delle nostre norme penitenziarie. Gli esempi potrebbero continuare. In ambito strettamente italiano, una ricerca davvero interessante condotta da Daniele Terlizzese sul carcere di Bollate mostra, utilizzando dei correttori scientificamente molto precisi per individuare i vari campioni statistici, come il solo fatto di essere immersi in un contesto nel quale il rispetto della dignità umana è assicurato, anche senza essere direttamente beneficiari di operazioni rieducative classiche quali attività penitenziarie di vario tipo, porti a una diminuzione della recidiva. Chi viene trattato dignitosamente delinque meno di chi viene trattato in maniera degradante. Delle due indicazioni relative alle pene contenute nel comma terzo dell'articolo 27 della Costituzione - che non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato - tutto ciò racconta la relazione logica per la quale la prima indicazione implica la seconda. Trattare un detenuto con umanità contribuisce per ciò stesso alla sua rieducazione. Non sembra valere l'implicazione inversa: il modello rieducativo non porta con sé necessariamente il rispetto della dignità umana. Quarant'anni di applicazione della nostra legge penitenziaria mi pare lo abbiano dimostrato, ma sarebbe troppo lungo aprire qui questa questione. Al governo che si troverà a scrivere la riforma penitenziaria diciamo perciò: mettete al centro la dignità, perché conviene a tutti. Fatevi guidare, non dall'ondata mediatica del momento, bensì da riflessioni serie basate su ricerche altrettanto serie. Lo European Prison Observatory guarda a tanti Paesi europei e ha molto da raccontare. Siamo a disposizione per dare consigli e indicazioni fondate sulla nostra esperienza. Giustizia: qualcosa si muove… detenuti in calo, arretrato delle cause civili sotto i 5 milioni di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 2015 Eppur si muove. L'universo immobile della giustizia comincia a dare qualche timido segnale di ripresa, ancora circoscritto al civile e al carcere, ma che fa ben sperare sulla politica portata avanti dal governo almeno su entrambi i fronti. Le cause civili pendenti scendono sotto la soglia dei 5 milioni (4.898.745 al 30 giugno 2014 con un calo del 6,7% rispetto al 2013) che da anni veniva sistematicamente superata, sia pure con una progressiva riduzione a partire dal 2009; i detenuti presenti nelle carceri italiane sono scesi stabilmente, dal 31 dicembre 2014 a oggi, a 53.623 (a dicembre 2013 erano 62.536; 66.000 al momento della condanna della Corte di Strasburgo e circa 70.000 nel corso del 2010) mentre sono aumentate (31.962) le misure alternative alla detenzione. Sono i primi frutti delle misure seminate dai governi Monti e Letta e implementate dall'attuale Esecutivo, deciso a proseguire su questa strada. E su quella dell'innovazione organizzativa, per "chiudere" una lunga stagione di "aspro scontro politico" che ha penalizzato i cittadini, le imprese, la crescita del Paese. Con questo auspicio e con l'impegno a "dialogare" con tutti, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha presentato ieri alle Camere il resoconto di un anno di politica della giustizia, rivendicando risultati poco mediatici ma essenziali per la ripresa di efficienza. E assicurando che dopo la fase destinata alle "emergenze unanimemente ritenute tali" (cioè carcere e civile), il governo dedicherà la medesima "determinazione" al settore penale e alla lotta alla corruzione, "fenomeno criminale che le inchieste giudiziarie dimostrano aver raggiunto dimensioni intollerabili, anche per il suo intreccio con strutture organizzative di tipo mafioso". Di qui "l'esigenza di un più efficace contrasto" con un intervento "mirato a perfezionare gli strumenti di prevenzione e di repressione" di un fenomeno "devastante" sul piano economico e della fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il ministro ha dovuto difendere il suo operato dalle critiche o dallo scetticismo dell'opposizione, in primis Lega, 5 Stelle e Forza Italia e lo ha fatto con passione ma anche cercando di ricondurre a razionalità alcune obiezioni. Come quella, ormai ricorrente, secondo cui il decreto sulla "tenuità del fatto" (possibilità che il Pm chieda al giudice l'archiviazione di alcuni procedimenti se risulta in concreto la particolare inoffensività della condotta) sarebbe una "depenalizzazione" di 157 reati, con "gravi conseguenze per la sicurezza". Oppure quella, anch'essa ripetitiva, secondo cui i provvedimenti "svuota carceri" sarebbero stati degli "indulti mascherati". Orlando ha tentato di ricordare i valori costituzionali che ci obbligano a garantire una pena sensata, rispettosa dei diritti dei detenuti e diretta al loro reinserimento sociale. Ma inutilmente. Ha quindi invitato i detrattori a ragionare almeno in termini "utilitaristici", cioè di sicurezza e di spesa: dopo gli svuota-carceri, a differenza del dopo-indulto "non c'è stata alcuna escalation dei reati, che anzi sono diminuiti; inoltre è dimostrato che là dove sono utilizzate misure alternative alla detenzione, la recidiva "scende in modo drastico" e "ci ha fatto risparmiare 50 milioni di euro". "Sviluppare le pene alternative non è un atto di buonismo: è un modo di costruire un'esecuzione della pena che sia più efficiente, che abbassi la recidiva e che consenta anche una razionalizzazione della spesa" ha osservato, ricordando che le misure alternative non sono libertà ma un modo diverso di scontare comunque la pena. Quanto al civile, dopo aver ricordato le incoraggianti parole del vicepresidente della commissione europea Jyrki Katainen, il ministro ha rivendicato il carattere "prioritario" dell'intervento per "impedire che lo Stato ceda il passo ad altri soggetti, non sempre collocati nell'alveo della legalità, nella risoluzione dei conflitti". Ha ricordato che gli avvocati sono stati chiamati a svolgere una "collaborazione attiva" a questa sfida, di cui sono tasselli essenziali la delega sul processo civile (approvata ad agosto ma non ancora giunta in Parlamento), l'analisi dell'arretrato, il processo telematico, l'informatizzazione e, non ultimo, il reperimento del personale amministrativo (su 35.625 unità presenti rispetto a un organico di 43.702, 71 sono già state recuperate con la mobilità infra-comparto e "nei prossimi giorni" sarà pubblicato il bando per il reclutamento di 1.031 unità). Inevitabile un riferimento alla riforma della responsabilità civile dei magistrati, necessaria perché le norme vigenti "non hanno garantito un'effettiva tutela al cittadino", ma scritta in modo tale da non provocare "alcun conformismo giudiziario". Nessun intento punitivo, ha ribadito il guardasigilli, semmai l'esigenza di "corresponsabilizzare" chi ha causato il danno nel risarcimento che lo Stato è tenuto a corrispondere. Quanto alla preoccupazione che la riforma possa comprimere l'autonomia delle toghe e la loro libertà interpretativa, il governo - ha detto Orlando - ha contrastato questa deriva, che sarebbe incostituzionale e danneggerebbe i cittadini. Giustizia: misure alternative vittime di un sistema zoppo, il 97% delle risorse al carcere Redattore Sociale, 20 gennaio 2015 In Italia appena mille operatori per 32mila soggetti affidati, contro i 170 mila della Francia (con 4.600 operatori) e 200mila nel Regno Unito (16mila operatori). Petralla: "Serve un programma per gestire le pene non detentive e una rivoluzione culturale per spostare l'attenzione dall'aspetto detentivo a quello non detentivo". Quello delle misure alternative al carcere, non è solo un problema di risorse. Serve invece una "politica nuova, un programma strutturato per gestire le pene non detentive e una rivoluzione culturale che sposti l'attenzione dall'aspetto detentivo a quello non detentivo". A sottolinearlo è Vincenzo Petralla, dirigente Uepe (Ufficio dell'esecuzione penale esterna) del ministero dell'Interno. "In Francia ci sono 170 mila persone in misure alternative, seguite da 4.600 operatori, nel Regno Unito i servizi di esecuzione penale esterna possono contare su 16 mila operatori a fronte di 200 mila soggetti affidati, mentre in Italia abbiamo appena mille operatori e 32 mila soggetti. È chiaro che il sistema non regge - spiega. Soprattutto se si pensa che i numeri in Italia sono in forte crescita. Per la questione delle norme, infatti, una rivoluzione è stata già in parte avviata, mentre sul piano gestionale ci sono segnali incoraggianti e positivi ma manca ancora un vero cambiamento di prospettiva". Nonostante l'aumento di cinque milioni di euro per gli Uepe, previsto dalla legge di stabilità, in Italia il 97 per cento delle risorse a disposizione del ministero è usato per il sistema carcerario, e solo una parte residuale per l'esecuzione esterna. "È un gigante zoppo - afferma Petralla - è vero che le risorse sono importanti, e che è la prima volta che si destinano 5 milioni di euro solo agli Uepe, ma questo non può essere la soluzione problema. Servono politiche che spostino risorse dal carcerario al non carcerario. Ma è spesso difficile anche solo nominare questi temi perché nella nostra cultura pena e carcere sono sinonimi, e come per un riflesso condizionato qualsiasi trasgressione va punita con il carcere. Serve quindi una sensibilità culturale maggiore. Il sistema delle norme si sta orientando verso un equilibrio che ci porta in Europa, dove i due terzi delle sanzioni sono non detentive e un terzo detentive, ma in Italia manca ancora una vera cultura su questo". Petralla si dice scettico sul fatto che l'aumento delle misure alternative possa costituire uno "svuota carceri". "È vero, come si dice spesso, che la recidiva del soggetto ammesso alle misure alternative è più bassa rispetto a quella dei detenuti, ma questo è dovuto al fatto che si tratta di persone con un tasso di pericolosità più basso, cioè di soggetti che hanno un graviente penale minore - spiega il dirigente Uepe. Detto questo è indubbio che l'ingresso nelle misure non detentive, per determinate fasce, rappresenta un miglioramento e un abbassamento dei livelli di recidiva. Il nostro lavoro deve puntare a questo, ma va detto anche che il numero dei detenuti in Italia rispetto al resto della popolazione non è maggiore a quello di altri paesi europei. Il numero delle persone in esecuzione penale esterna deve quindi crescere, ma non possiamo pensare all'esecuzione penale esterna come alla valvola di sfogo del carcere. Questo non è uno strumento per ridurre il sovraffollamento o meglio può esserlo fino a un certo punto, perché i due sistemi si sovrappongono solo per una parte: quella delle persone che dal carcere vanno in misura alternativa. Ci sono, poi, un numero elevato di soggetti che dal carcere non andranno mai in misura alternativa e dalla misura alternativa non passeranno al carcere. Per questo l'esecuzione penale esterna non può essere considerato come un sistema che assorbe il sovraffollamento". Giustizia: responsabilità magistrati; 4 condanne su 400 cause, norma non tutela i cittadini Avvenire, 20 gennaio 2015 Sulla complessa partita per riformare la macchina della giustizia, il Guardasigilli Andrea Orlando lancia un appello ai partiti di maggioranza e d'opposizione, invocando il superamento di uno scontro politico "ventennale", capace di produrre "uno dei più grandi macigni per la crescita". Tra i parametri per misurare lo stato di salute del pianeta giustizia, il ministro cita anche il nodo mai sciolto sulla responsabilità civile dei magistrati: solo 4 casi di condanna su 400 cause da quando la legge Vassalli è in vigore, è il suo ragionamento, dicono che quella norma "non tutela i cittadini" e pertanto andrebbe cambiata, senza comunque intaccare l'indipendenza dei giudici. Una riforma sollecitata, nei loro interventi in Aula, anche dagli esponenti di Ncd e Scelta civica. Sul fronte delle assunzioni, invece, Orlando sottolinea gli investimenti sul personale amministrativo, che "aumenterà di 1.200 unità, per la prima volta dopo 25 anni. Nella legge di stabilità quest'anno sono previsti 50 milioni di investimenti su questo fronte, 90 milioni per il 2016 e 110 per il 2017". Giustizia: l'Associazione Antigone chiede la nomina del Garante nazionale dei detenuti di Damiano Aliprandi Il Garantista, 20 gennaio 2015 Sarà indirizzata al nuovo Capo dello Stato la petizione, lanciata dall'associazione Antigone, per chiedere la nomina del Garante Nazionale dei Detenuti. A tal proposito l'associazione aveva lanciato, negli ultimi giorni del 2014, un appello al presidente dimissionario Giorgio Napolitano per arrivare alla nomina di una figura istituita ormai da un anno. Nonostante la questione sia rimasta tuttora irrisolta, Antigone ha voluto ringraziare il presidente uscente per l'attenzione dimostrata negli anni al tema delle carceri. "All'indomani delle dimissioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - afferma l'associazione - vogliamo ringraziarlo per la costante attenzione che, nel corso di questi 9 anni, ha messo sul tema delle carceri. Riconosciamo al Presidente di essere stato il principale stimolo al Governo e al Parlamento, affinché si ponesse rimedio alle gravissime inadempienze denunciate dalla Corte europea dei diritti umani". La petizione è stata lanciata sulla piattaforma change.org, e l'associazione Antigone si augura che il nuovo presidente della Repubblica raccolga la palla al balzo e metta tra i primi punti in agenda la nomina del Garante. "È passato un anno - afferma Antigone - da quando è stata approvata la legge che prevede l'istituzione di questa figura senza che si sia giunti alla sua nomina. La petizione oggi resta aperta e sarà indirizzata al nuovo Presidente della Repubblica al quale, non appena eletto, la presenteremo, chiedendogli di aprire il suo mandato all'insegna dei diritti e delle garanzie costituzionali". A chiedere con urgenza la nomina di un garante nazionale è anche la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. La presidentessa Elisabetta Laganà chiede che l'appello dello scorso 7 gennaio di Stefano Anastasia per una rapida nomina del Garante nazionale dei detenuti non cada nel vuoto, e auspica che tra i favoriti alla carica vi sia un esponente dell'Associazione Antigone, da sempre impegnata nella tutela dei diritti delle persone private della libertà e promotrice di importantissime azioni e proposte sui temi del carcere e della pena. Ad un anno dall'approvazione del Decreto Legge 23.12.2013 n° 146 convertito in L. 21 febbraio 2014, n. 9, nato dalla necessità di restituire alle persone detenute la possibilità di un effettivo esercizio dei diritti fondamentali e di affrontare il fenomeno dell'ormai persistente sovraffollamento carcerario, tra le varie norme approvate viene istituita la figura del "Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale"; della cui nomina però nulla è stato fatto sinora. Il 5 giugno scorso l'Europa ci ha valutato come "sorvegliati speciali" per un anno. Un anno passa rapidamente. La popolazione penitenziaria è notevolmente diminuita, ma il carcere è ancora sovraffollato e molti ancora sono i problemi da risolvere. L'anno di tempo concesso dalla Cedu richiede rapidi passaggi che sanciscano una netta discontinuità da un trascorso politico che si è caratterizzato come una lunga stagione orientata al privilegiare l'allargamento delle risposte penali a scapito del sociale. La speranza della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia è che la scelta di una così importante funzione si orienti nella direzione di chi, concretamente, si è impegnato in questi anni per la soluzione di questo problema, e che la scelta converga su un nome che susciti il più largo consenso delle rappresentanze del mondo della società civile, del volontariato, dell'accademia. L'auspicio della Conferenza per una celere nomina da parte del Governo si associa quindi a quello di Antigone, perché questo nuovo anno possa iniziare con questo necessario traguardo raggiunto. Giustizia: ministro Orlando; negli Opg leggera ma costante diminuzione delle presenze www.panoramasanita.it, 20 gennaio 2015 Alla data del 31 ottobre 2014, gli internati erano 780, a fronte degli 880 presenti alla data del 31 gennaio 2014; nel 2010 si registrava la presenza di 1.448 internati. Costituito presso il Ministero della salute l'organismo di coordinamento per il superamento degli Opg. "Si sta operando in piena adesione agli accordi raggiunti con la Conferenza unificata e nel rispetto della collaborazione istituzionale instauratasi con le regioni, i dipartimenti di salute mentale e la magistratura di sorveglianza. È stato costituito presso il Ministero della salute l'organismo di coordinamento per il superamento degli Opg. L'obiettivo è quello di evitare ulteriori ritardi ed arrivare entro i termini stabiliti alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando in occasione della presentazione in corso a Montecitorio della relazione annuale sull'amministrazione della giustizia e delle linee di intervento che ispirano l'azione del Ministero e del Governo. Sul tema degli ospedali psichiatrici giudiziari Orlando ha affermato: "il superamento di questo modello ha purtroppo subito una proroga per la complessità delle procedure necessarie alle regioni per realizzare le strutture sanitarie sostitutive. L'impatto delle innovazioni legislative sugli Opg viene costantemente monitorato attraverso la rilevazione delle presenze degli internati negli Opg del territorio nazionale e attraverso un'analisi delle ordinanze emesse dall'autorità giudiziaria. E ciò al fine di rilevare le condizioni di perdurante pericolosità degli internati confermando o revocando in ragione di ciò le misure di sicurezza. Va segnalato che, a seguito dell'entrata in vigore della legge, si è rilevata una leggera ma costante diminuzione delle presenze. Alla data del 31 ottobre 2014, gli internati erano 780, a fronte degli 880 presenti alla data del 31 gennaio 2014, dato ancora più rilevante se paragonato a quello del 2010 in cui si registrava la presenza di ben 1.448 internati". Iori (Pd): bene Orlando, no altro rinvio per chiusura Opg "Condivido le parole del ministro Orlando sulla necessità di non rinviare ulteriormente la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevista per il 31 marzo". Lo dichiara, in una nota, la deputata del Pd e membro della commissione Giustizia Vanna Iori. "Il superamento degli Opg - sottolinea Iori - è fondamentale per vari motivi, a partire dalla necessità di considerare l'internato come una persona da riabilitare, fisicamente e psicologicamente, e non come un oggetto abbandonato a se stesso, come purtroppo avviene in molti Opg fatiscenti, caratterizzati da condizioni umane e igieniche al limite della decenza". "Il decreto del ministero della Salute disciplina in modo corretto e funzionale il superamento dell'Opg, prevedendo la creazione di residenze dove l'internato può usufruire di un'assistenza psicologica degna di questo nome", aggiunge. "Auspico che nel predisporre questo passaggio, la collaborazione tra la magistratura, le Asl e le Regioni sia massima e all'insegna dell'obiettivo principale dello stop agli opg: restituire dignità alla persona", conclude Iori. Giustizia: questo è l'anno della chiusura degli Opg… e le alternative? di Marta Bicego Verona Fedele, 20 gennaio 2015 Tra molti dubbi, una certezza: gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) devono chiudere. Dovevano "sparire" già il 31 marzo del 2013, data che poi è slittata al 1° aprile dello scorso anno. Adesso, dicono, ci siamo. Dove è il problema? Capire, alla scadenza del 31 marzo dettata dal legislatore, da quali strutture dovranno essere sostituiti. Nati a fine anni Settanta sulle macerie dei manicomi criminali, in Italia ne esistono sei: a Montelupo Fiorentino; in provincia di Caserta, ad Aversa; a Napoli e Reggio Emilia, nel Messinese a Barcellona Pozzo dì Gotto e nel Mantovano a Castiglione delle Stiviere. Sulla carta gli Opg sono destinati al recupero delle persone affette da malattie psichiatriche che hanno commesso reato. Di fatto, negli anni, varie associazioni sì sono mobilitate per la loro definitiva chiusura. E sono stati definiti "luoghi orrendi, non degni di un Paese appena civile" dallo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Secondo il dossier a cura del Coordinamento interregionale della Sanità penitenziaria, gli Opg italiani contavano al 31 dicembre 2013 un totale di 1.051 presenze. A questi internati si rivolge in particolare la legge Marino, che ha messo lo stop agli ospedali psichiatrici giudiziari e ha annunciato la nascita in ogni regione di Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie (Rems). Tra proroghe e nulla di fatto, si arriva all'oggi. E agli interrogativi: "Come affrontare la questione?" si chiede in prima battuta il professor. Carlo Andrea Robotti. Psichiatra forense, esperto in criminologia e già direttore del primo Servizio psichiatrico di Verona, è nel comitato scientifico del convegno "Brutti sporchi e cattivi. Viaggio attorno alla pericolosità sociale", in programma il 23 gennaio al Polo Zanotto. Altro nodo importante, prosegue accennando ai contenuti dell'incontro promosso da associazione e Casa don Giuseppe Girelli "Sesta Opera", è quello della custodia: "Cosa fare davanti a una persona che ha commesso reato, ma è incapace di intendere e volere dunque penalmente non perseguibile, che fugge? Il problema non è stato ben chiarito dal legislatore". A ciò si unisce l'incognita della continuità della cura, necessaria soprattutto in quei soggetti che non hanno coscienza della propria malattia e magari interrompono l'assunzione di farmaci. Inoltre, fa notare, anche l'emarginazione di individui considerati pericolosi può rivelarsi un'arma a doppio taglio. A molte domande, spiega Robotti, si cercherà dì rispondere al convegno. "La mia visione - aggiunge - riprende quella scandinava. Chiunque commetta reato, ne deve rispondere. In presenza di una patologia psichiatrica, alla pena correlata al reato, ci dev'essere l'obbligo della cura". Da attuare in carcere con un percorso preciso, prosegue, che preveda il passaggio a comunità terapeutiche esterne con diversi livelli di sorveglianza. A preoccupare lo psichiatra sono soprattutto ì rischi di recidiva, specie in soggetti affetti da schizofrenia e da gravi disturbi della personalità che necessitano di costanti terapie. Proprio per arginare episodi di violenza o aggressività, verso se stessi o gli altri. Giustizia: Mannone (Cisl); detenuti in diminuzione, ma mancano 7mila agenti penitenziari Ansa, 20 gennaio 2015 "È vero che il sovraffollamento delle carceri è diminuito senza ricorrere a misure straordinarie ma le problematiche che investono gli istituti di pena sono sostanzialmente rimaste estremamente critiche. Il Ministro Orlando si dimentica delle questioni che riguardano il personale della polizia penitenziaria e della dirigenza". Lo dichiara in una nota il segretario generale della Federazione nazionale sicurezza Cisl. "Si registrano infatti - continua Mannone - forti problemi strutturali e una grave carenza di organici. Mancano circa 7.000 poliziotti penitenziari e il personale è in attesa del rinnovo contrattuale da circa sei anni. I dirigenti penitenziari, poi, ancora non hanno stipulato il primo contratto di lavoro dalla legge Meduri del 2005. La condizione del personale ed il malessere in tutte le sedi di servizio non può essere trascurato dal Governo ed in particolare dal ministro Orlando: è grave e superficiale immaginare che gestione delle carceri possa essere fatta senza misure volte a migliorare il "benessere" del personale che sinora in silenzio ha lavorato in condizioni proibitive ed in turni massacranti senza avere la speranza di un cambiamento ed un miglioramento complessivo delle proprie condizioni. Non è accettabile che la politica guardi solo alle problematiche certamente reali e delicate dei detenuti e trascuri chi opera con abnegazione e sacrificio per garantire un livello possibile di servizio di sicurezza nelle carceri italiane. Su questo versante il Governo è colpevolmente assente" conclude Mannone. Giustizia: cooperazione, bando dell'Ue per progetti nel settore del diritto civile e penale di Paolo Bozzacchi Italia Oggi, 20 gennaio 2015 La Commissione europea ha pubblicato un bando di gara da oltre 8 milioni di euro per l'attuazione di progetti nel settore del diritto civile e penale. Obiettivo comunitario cofinanziare progetti nazionali o transnazionali che supportino la cooperazione giudiziaria in materia civile e progetti internazionali dedicati a quella in materia penale. Saranno finanziati progetti che favoriscano il buon funzionamento del mandato di arresto europeo e altri strumenti di riconoscimento reciproco. La parte del bando relativa alla cooperazione nel settore civile prevede che vengano cofinanziate attività quali la raccolta dati, indagini e ricerche, oltre all'apprendimento reciproco, lo scambio di buone pratiche, la cooperazione (tra cui l'individuazione delle best practice potenzialmente trasferibili ad altri paesi partecipanti, nonché l'attività di diffusione e sensibilizzazione). I progetti potranno anche promuovere tecnologie che facilitano lo scambio dati tra le autorità designate ai sensi della legislazione comunitaria, ad esempio tra i Tribunali, la trasmissione elettronica dei documenti, l'audizione delle parti e dei testimoni attraverso le frontiere in applicazione della legislazione comunitaria, nonché lo scambio di best practice in materia di procedure concorsuali e pre-insolvenza. La parte dedicata alla cooperazione nel settore penale, invece, prevede che i progetti siano focalizzati sull'apprendimento reciproco, lo scambio di informazioni e la diffusione di best practice. In particolare lo scambio di migliori pratiche dovrà riguardare le condizioni di detenzione e la gestione carceraria, la cooperazione tra le autorità giudiziarie e amministrative e le professioni legali. Budget disponibile per le azioni di cooperazione nel settore civile è di 4 milioni e 800 mila euro, mentre quello per il settore penale è di 3 milioni e 300 mila. Possono partecipare ai bandi sia organismi pubblici che privati, nonché Ong attive nel settore. Scadenza per la presentazione dei progetti il prossimo 11 marzo. Liguria: Scajola (Fi); sistema sicurezza penitenziaria da rivedere, Regione faccia qualcosa www.imperiapost.it, 20 gennaio 2015 Il Consigliere regionale di Forza Italia Marco Scajola sostiene le problematiche del Sappe, (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) sulle condizioni delle carceri del territorio Ligure. Il consigliere regionale di Forza Italia Marco Scajola sostiene le problematiche del Sappe, (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) sulle condizioni delle carceri del territorio Ligure. "Le condizioni nelle quali opera il personale di Polizia Penitenziaria sono sempre più difficili su tutto il territorio ligure. E non vi sono segnali dal Governo e dalla Regione per contrastare la grave situazione che lo stesso sindacato ha ripetutamente denunciato - dichiara il consigliere regionale di Forza Italia Marco Scajola - nel 2014 sono stati circa un migliaio gli eventi critici che si sono verificati nelle carceri liguri. Alla luce di questi gravi episodi è importante che l'intero sistema di sicurezza e di organizzazione penitenziaria venga rivisto per dare la possibilità ai nostri operatori di polizia di lavorare in sicurezza". "Presenterò un'interrogazione urgente per chiedere alla Giunta regionale se è a conoscenza di queste gravi problematiche e quali azioni intenda intraprendere. Nello stesso tempo, nei prossimi giorni, ho intenzione di incontrare i responsabili del Sappe per avere con loro un confronti diretto", conclude Marco Scajola. Firenze: Palanti (Linea Civica); il superamento dell'Opg è davvero all'ordine del giorno? www.gonews.it, 20 gennaio 2015 "La questione della chiusura dell'Opg sta assumendo ormai i contorni di una sconfortante e inquietante indeterminatezza. Dalla tavola rotonda dello scorso 15 dicembre, nella quale il superamento della struttura di Montelupo era stato dato come imminente, è passato appena un mese e già le carte in tavola vengono rimescolate. Le parole dell'assessore regionale Marroni, che auspica una forte collaborazione inter-istituzionale per centrare l'obiettivo della chiusura al 31 marzo, lasciano intravedere controluce una concreta difficoltà di capire concretamente quale sarà il destino dei degenti, del personale e della struttura. E su tutto questo, aleggia lo spettro del commissariamento. Ci chiediamo allora se, nonostante i proclami, il superamento sia davvero all'ordine del giorno, visto che ad oggi niente di ufficiale è stato comunicato alla direttrice Tuoni e sulla struttura il Ministero continua a fare investimenti importanti in previsione di un uso a lungo termine, non ultimo l'impianto di aspirazione del fumo da 170.000 € e il rinnovo di alcuni contratti per i prossimi anni, come se niente fosse davvero sul punto di fermarsi entro il 31 marzo. La struttura ha un importantissimo valore artistico e culturale e può rappresentare una risorsa fondamentale per il rilancio del territorio. Ci sembra molto opportuna la proposta della direttrice Tuoni di impiegare la struttura per detenuti a fine pena e per le detenute della struttura empolese, in modo da coprire i costi della struttura con l'impiego di persone in procinto di tornare in libertà (che avrebbero così concretamente l'occasione di reinserirsi socialmente), ricevere i finanziamenti della Cassa Ammende e restituire la parte nobile della struttura alla cittadinanza. Abbiamo chiesto di incontrare presto la direttrice, per farci promotori presso le istituzioni di un progetto tanto ambizioso, che farà venire alla luce gli eventuali rifiuti di carattere esclusivamente politico da parte di chi governa questi territori". Matteo Palanti, Consigliere comunale Linea Civica Montelupo Fiorentino Eboli (Sa): lavori di pubblica utilità, sottoscritto un protocollo d'intesa con l'Icatt www.salernonotizie.it, 20 gennaio 2015 È stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra Comune di Eboli, rappresentato dal Commissario Straordinario Vincenza Filippi, e l'Amministrazione penitenziaria - Icatt di Eboli, rappresentato dal Direttore Rita Romano, finalizzato ad avviare una collaborazione per l'impiego dei detenuti in progetti di pubblica utilità da svolgere a titolo volontario. Le attività da realizzare riguarderanno interventi di manutenzione, ripristino e adeguamento degli spazi pubblici ed aree verdi del Comune di Eboli e delle zone urbane di interesse storico. Ciò al fine di conseguire gli obiettivi da un lato di migliorare le condizioni di decoro urbano del territorio, dall'altro favorire l'inclusione e la risocializzazione di soggetti in regime di articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, ossia lavoro volontario all'esterno. Uno dei primi interventi di riqualificazione urbana che si intendono realizzare riguarderà le aiuole. I giardini e il monumento in Piazza della Repubblica. Le attività saranno coordinate dal Responsabile del Settore Manutenzione, ing. Giuseppe Barrella. Catania: "La dignità è incoercibile", il senso del teatro nel carcere di piazza Lanza La Sicilia, 20 gennaio 2015 "Dio come sono ridotto! Che spavento! Che mostro! Per questo da anni ho temuto gli specchi. Non è bello vedere con i propri occhi la propria rovina". Sono le parole pronunciate, davanti allo specchio di un famoso bar parigino, da Andreas Kartak, il protagonista de "La leggenda del Santo bevitore", il romanzo di Joseph Roth pubblicato nel 1939, una cui riduzione teatrale è stata messa in scena dai detenuti della Casa circondariale di Piazza Lanza. Andreas è un barbone, un ubriacone: vive sotto i ponti della Senna e, come egli stesso dice, nemmeno sa dove lo portano le gambe... Va, e basta! Un pomeriggio, però, incontra un uomo distinto e ben vestito che gli regala 200 franchi, chiedendogli in cambio un unico impegno: quello di restituire quel denaro. Non, però, a chi glielo ha prestato, ma a Santa Teresina del Bambin Gesù, nella chiesa di Batignolles, della quale quell'angelico e generoso signore è devoto ammiratore. Da quel momento, la vita di Andreas cambia: non perché egli metta la testa a posto e diventi "perbene", ché anzi, con i soldi che si ritrova, resta bevitore e puttaniere come e più di prima. Solo che ora ha uno struggimento nel cuore e il suo non è più un andare e basta: egli va - ci tenta almeno, con tutte le forze e un mare di volte - dove deve e vuole andare, alla chiesa di Batignolles, dove c'è la piccola Teresa ad aspettarlo. Vi riuscirà e salderà il suo debito solo in punto di morte. Tre le repliche dello spettacolo a cura dei detenuti: due la mattina, per tutti i compagni "di ventura" accorsi in massa dai reparti, una al pomeriggio per i familiari. È, quest'ultimo, il momento più atteso e temuto: senza palcoscenico, senza quinte e sipario, muovendosi un po' a fatica negli stretti spazi tra tavoli e sedili della sala colloqui, non c'è applauso che valga gli occhi sgranati e stupiti del figlio o quelli commossi e un po' malinconici di mogli, mariti, genitori che vedono il papà, il marito, il figlio recitare. Non è - né potrebbe esserlo - un teatro professionistico, anche perché la notevole mobilità interna all'istituto fa sì che non di rado gli "attori" vengono trasferiti, cambiando così il volto della compagnia: tra i detenuti impegnati nel "Santo bevitore", solo uno è tra quelli che c'erano all'inizio, alcuni hanno al più due spettacoli nel loro carnet, un paio vanno in scena dopo aver provato solo due o tre volte. C'è, poi, chi recita una particina di poche battute, c'è invece chi - l'unica attrice - deve fare gli straordinari, per poter impersonare ben quattro ruoli. L'impegno, però, è massimo in tutti e la tensione a far il meglio possibile si vede: gli applausi, alla fine, sono spontanei e convinti. E qualcuno del pubblico - alla scena conclusiva - si commuove. Nato nel 2012 (quasi per caso, l'esperienza era cominciata con una chitarra e le canzoni di Battisti ed Equipe 84), il teatro di Piazza Lanza è arrivato ormai al suo settimo "spettacolo" e può vantare un cartellone di tutto rispetto: Sartre, Pirandello, Lagerkvist, prima di Roth. Tre, di norma, gli spettacoli realizzati nell'arco di un anno: a Natale, a Pasqua e in estate, con prove settimanali di tre ore ciascuna. Materialmente guidato dai volontari della Cappellania, il laboratorio riesce a mantenersi solo grazie all'impegno infaticabile e dell'intera istituzione carceraria, nei suoi diversi soggetti: direzione, polizia penitenziaria, educatori. Ciò nella convinzione che la permanenza nella struttura carceraria possa e debba essere redentiva più e oltre che detentiva e che per far ciò "gli ospiti" del carcere debbano fare esperienza concreta della loro incoercibile dignità. Padova: in mostra a Piove di Sacco le opere realizzate dai detenuti del Due Palazzi Il Mattino di Padova, 20 gennaio 2015 "La creatività libera": è questo il titolo della mostra allestita al Centro di arte e cultura di via Garibaldi dove per la prima volta sono esposte le opere realizzate dai detenuti del carcere Due Palazzi di Padova. La mostra, organizzata grazie alla collaborazione del Gruppo Artisti della Saccisica, rimane aperta fino a domani ed è visitabile dalle 10 alle 12.30. Livia Gaddi, professoressa all'Università di Padova e coordinatrice del progetto, illustra il senso di questa esposizione: "La creatività esce dalle mura del carcere e raggiunge per la prima volta un territorio più ampio, in una forma di condivisione sociale allargata, e creando uno spazio di riflessione. Grazie all'impegno dei volontari, i detenuti hanno potuto dedicarsi ad attività ricreative, dando libera sfogo alla loro creatività, recuperando così fiducia nelle loro capacità, socializzando e lavorando in gruppo". Variegato il panorama di opere esposte: ci sono pitture, lavori in legno, manufatti, oggetti creati con materiali di scarto o riciclati, disegni e molto altro. "Siamo molto felici di ospitare questa mostra" il commento dell'assessore alla Cultura Paola Ranzato, "per cui ringraziamo il Gruppo Artisti della Saccisica". India: annullato l'ergastolo per gli italiani Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni di Jacopo Storni Corriere della Sera, 20 gennaio 2015 La Corte suprema decide l'immediata liberazione. Stavano scontando l'ergastolo per l'accusa di aver ucciso un loro compagno di viaggio nel 2010. Svolta nella vicenda di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, reclusi nel carcere di Varanasi, in India. La Corte Suprema chiamata a pronunciarsi sulla vicenda ha deciso di annullare l'ergastolo. Accusati di omicidio - erano stati considerati responsabili dell'uccisione del loro compagno di viaggio, Francesco Montis, i due giovani adesso sono liberi. Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni erano rinchiusi da quasi cinque anni nel "District Jail" di Varanasi. Ammassati insieme ad altri 3mila detenuti, ristretti in spazi di un metro per due dentro stanzoni con 140 reclusi ciascuno. Un carcere duro, dove la temperatura può sfiorare i 50 gradi, senza condizionatori e senza ventilatori, senza acqua corrente e senza medicine, con pochissima corrente elettrica e con stuoie sul pavimento al posto dei letti. Accusati di aver strangolato il loro compagno di viaggio Francesco Montis, Tomaso ed Elisabetta si erano sempre dichiarati innocenti e le indagini degli studi legali indicati dall'ambasciata italiana hanno smontato le dubbiose tesi dell'accusa. Quello del 2014 è stato il quarto Natale che i due giovani italiani hanno trascorso nella prigione indiana. I loro genitori hanno rivoluzionato le proprie vite. La madre di Tomaso si è trasferita in India, gli altri vanno avanti e indietro almeno tre volte l'anno, pendolari lungo le rotte della disperazione. L'inizio di questa odissea risale al dicembre 2010, quando Tomaso ed Elisabetta (il primo di Albenga, 30 anni, la seconda di Torino, 40) decisero di partire per l'India per festeggiare il Capodanno. Insieme a loro l'amico Francesco Montis (di Terralba in provincia di Oristano), che viveva a Londra. Restano in India per oltre un mese, affascinati da questo Paese. È la mattina del 4 febbraio quando Tomaso ed Elisabetta trovano Francesco agonizzante sul letto, in una stanza dell'hotel Buddha di Chentgani di Varanasi. Tomaso ed Elisabetta avvertono gli albergatori, che chiamano i soccorsi. Francesco viene portato all'ospedale mentre Tomaso contatta l'ambasciata italiana e il padre Euro. La polizia indiana vieta ai due ragazzi di lasciare l'albergo. Sale la preoccupazione, è l'inizio dell'incubo. La condanna all'ergastolo arriva il 7 febbraio: Tomaso ed Elisabetta vengono arrestati sulla base di un esame post mortem sul cadavere della vittima e vengono condannati all'ergastolo. Il decesso, secondo l'accusa, sarebbe avvenuto per asfissia da strangolamento visto che sul collo della vittima ci sarebbero alcune lesioni. L'accusa comincia a parlare di "relazione clandestina" tra Tomaso ed Elisabetta (che secondo l'accusa aveva una relazione con Francesco), eppure nella sentenza, paradossalmente, si dice che "il movente che ha spinto i due accusati a uccidere Francesco Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove, tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita". Il corpo del defunto è stato cremato, in rispetto alla sua volontà, ed è stato impossibile effettuare nuove autopsie. Lo studio Legale Titus, indicato ai familiari degli imputati su indicazione dell'ambasciata italiana, ha ribaltato ogni accusa e ha sempre sostenuto che quelle lesioni erano già presenti sul copro di Francesco prima della morte, avvenuta sì per asfissia ma non da strangolamento. Altre ferite sarebbero state provocate durante il trasporto in ospedale. Sempre secondo la difesa, Francesco aveva problemi di salute, una tesi confermata anche dalla madre di Francesco, Rita Concas, che rilascia malvolentieri interviste e non crede alla teoria dell'omicidio, così come ha dichiarato alla Procura indiana. Non si esclude neppure l'uso di droghe, che potrebbero aver influito sul decesso. Nel referto medico, inoltre, si parla del ritrovamento un ematoma nel cervello, un ematoma subaracnoideo, che da solo potrebbe aver provocato la morte. I due imputati si sono sempre dichiarati innocenti, negando qualsiasi relazione amorosa (relazione smentita anche dagli amici dei tre ragazzi) e sostengono che la mattina del decesso si trovavano a vedere l'alba sul Gange. In effetti, il direttore dell'hotel, sulla base delle telecamere a circuito chiuso, ha sempre detto di non aver visto nessuno rientrare in camera nell'ora in cui sarebbe avvenuta la morte, ma quei filmati non sono mai stati utilizzati per il processo. Inoltre, sostengono i genitori degli imputati, l'autopsia sul cadavere è stata fatta da un semplice oculista e non da un medico esperto. Un fitto mistero su cui i familiari di Tomaso ed Elisabetta non hanno mai visto chiaro, ipotizzando persino il carrierismo tra i magistrati della giustizia indiana, che avrebbero potuto trarre particolare notorietà con la condanna di due italiani. La Corte Suprema indiana ha sempre respinto le richieste di libertà su cauzione e soltanto dopo cinque anni ha giudicato ammissibile il ricorso degli imputati. La burocrazia indiana ha inciso non poco sul rallentamento dell'iter giudiziario, allungando inesorabilmente i tempi. I genitori di Tomaso ed Elisabetta hanno vissuto in una disperata attesa da 1.800 giorni. Non potevano comunicare telefonicamente con i figli. Andavano in India almeno tre volte all'anno, mentre Marina Maurizio, la madre di Tomaso, si è trasferita a Varanasi: "Vivo secondo le abitudini indiane per stare vicino a mio figlio, ho cercato di adattarmi a questo Paese, cercando di capire anche questa burocrazia che sta allungando incredibilmente la detenzione di mio figlio". Amici e parenti si sono mobilitati per il rilascio di Tomaso ed Elisabetta. Il regista Adriano Sforzi, amico di Tomaso, sta ultimando il documentario Più libero di prima, prodotto da Articolture e Ouvert ( www.piuliberodiprima.it) , drammatico racconto di questa vicenda, ma anche intenso viaggio nella rivoluzione interiore di Tomaso dopo cinque anni di galera: "Sono entrato in carcere in India come un ragazzo in perenne conflitto con se stesso" - scriveva nelle lunghe lettere dalla prigione ai familiari - "Oggi sono talmente tranquillo che non provo nemmeno un pizzico di odio verso i responsabili di questa vergognosa ingiustizia" Sono state proprio le lettere l'unico modo che i due detenuti hanno avuto per comunicare con l'esterno. Lunghe e appassionate quelle di Tomaso, lettere che raccontano l'estrema difficoltà di trascorrere cinque lunghi anni in un carcere indiano, ma anche intense riflessioni sul senso della vita e della libertà. I genitori dei due detenuti non hanno mai messo minimamente in dubbio l'innocenza dei loro figli. Su questo Euro Bruno, padre di Tomaso, è chiarissimo: "Da quella lontanissima notte quando mio figlio mi chiamò, subito dopo l'accaduto, non ho mai avuto il minimo dubbio sull'innocenza di Tomaso. Conosco perfettamente mio figlio e sarebbe totalmente incapace di compiere un atto simile". Parole simili dalla madre: "Abbiamo totale fiducia in nostro figlio, gli avvocati ci hanno detto chiaramente che lui è innocente e che Francesco non è stato assolutamente ucciso. Questa è un'ingiustizia, non c'è nessuna prova che possa testimoniare la colpevolezza di Tomaso ed Elisabetta. E quello che lascia perplessi è che durante questi anni non hanno mai potuto esprimere la loro versione dei fatti durante il processo". Corea del Nord: il disertore dai campi nordcoreani ha confuso i particolari, non l'orrore di Giulia Pompili Il Foglio, 20 gennaio 2015 Provate a elencare le differenze tra Auschwitz e Birkenau. Non ci riuscite? Eppure, tecnicamente, uno era il campo di concentramento e l'altro il campo di sterminio. In Corea del nord le cose stanno più o meno così: sappiamo dell'esistenza di vari luoghi, ufficialmente di rieducazione o di lavoro. C'è il campo numero 15 (Yodok), il più famoso campo di lavoro dove finiscono i nemici politici, c'è il campo 18 (Pukchang) a nord di Pyongyang lungo il fiume Taedong, una "colonia penale" che confina con un'altra zona, di cui però si sa poco o niente: il campo numero 14, il peggior campo in cui un nordcoreano possa finire perché, a quanto pare, se finisci lì è perché sei condannato all'ergastolo. Come per ogni notizia sulla Corea del nord, il luogo più misterioso e chiuso del mondo, è quasi impossibile avere fonti certe su cosa accada davvero nei campi. L'unica cosa che si può fare è analizzare, con precisione, i dati di fatto. "Ho sentito Shin, appena saputa la notizia", dice al Foglio Chiara Stangalino, direttore editoriale della narrativa di Codice edizioni, che ha pubblicato nel 2014 "Fuga dal campo 14". "Gli ho espresso la mia solidarietà. È un uomo debole", e per debolezza qui s'intende il de-hìbilis, l'inabile, l'uomo dalla voce fievole con un segreto dentro di sé. Stangalino parla di Shin Donghyuk, uno dei più famosi nordcoreani fuggiti dal regime e diventato, nell'arco di una decina di anni, il simbolo della lotta per i diritti umani in Corea del nord. Sabato scorso è finito nel tritacarne mediatico per aver confessato: ho alterato alcune parti del mio racconto. Sulla sua pagina Facebook si legge ancora: l'unica persona conosciuta nata in una prigione nordcoreana che è fuggita ed è sopravvissuta. Secondo le nuove dichiarazioni, Shin avrebbe trascorso poco tempo nel famigerato campo numero 14, mentre la maggior parte della sua vita l'avrebbe passata nel campo 18. Le torture subite gli sarebbero state inflitte dopo un primo tentativo di fuga compiuto a vent'anni, e non a 13 come aveva raccontato. Dettagli che hanno scatenato i sostenitori di Pyongyang (sul sito dell'associazione di amicizia tra Italia e Corea del nord si legge un documento il cui titolo è: "L'infame Shin finalmente smascherato!") ma che rischiano di mettere in dubbio anche altre testimonianze di disertori e rifugiati. Le loro dichiarazioni, infatti, sono un elemento sostanziale per la messa in stato di accusa della Corea del nord per violazione dei diritti umani. "Shin ha avuto una debolezza, ma questa non può compromettere tutta la storia", dice al Foglio Stangalino, "stiamo parlando di una persona che è nata in un campo di concentramento. Aveva 23 anni, era da poco scappato dalla Corea del nord quando ha incontrato Blaine Harden, l'ex giornalista del Washington Post con cui ha deciso di scrivere le sue memorie nel libro "Escape from camp 14". In quel periodo Shin era in mezzo a una crisi personale profonda, era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico, aveva continuamente incubi". E in effetti durante le sue conferenze pubbliche - anche all'Orni, anche davanti a George Bush e a John Kerry - Shin ripete sempre di non riuscire a ricordare tutto. Perché i suoi ricordi si confondono, e perché ci sono cose che non possono essere raccontate, nemmeno con tutta la forza del mondo. E quando è stato diffuso online un video, prodotto dai funzionari di Pyongyang, in cui il padre di Shin - che è ancora in Corea del nord - getta un'ombra di dubbio su buona parte del libro, "forse Shin ha capito che aveva sbagliato una cosa, e doveva tornare indietro nel racconto", dice Stangalino, "il video del padre in alcune parti è addirittura comico, dice che il figlio era uno scansafatiche perché non voleva mai andare a lavorare in miniera!". A oggi però la Penguin, la casa editrice americana che ha pubblicato la versione originale del libro, sta "valutando" cosa fare del volume. "Io le interviste le faccio, se proprio ci tenete. Ma non ci credo più. Per i giornali sono soltanto un'altra bella storia", aveva detto Shin al suo arrivo in Italia a Chiara Stangalino. Qualunque cosa succeda in Corea del nord, i segni indelebili sul corpo e nella testa di Shin parlano chiaro. Usa: discorso Unione; ex detenuto a Cuba tra invitati Obama, siederà accanto a first lady Ansa, 20 gennaio 2015 Un astronauta, un'operaia della Fiat Chrysler, l'ex contractor che ha trascorso 5 anni in una prigione a Cuba e un avvocato sostenitore della riforma sull'immigrazione. Sono alcuni degli ospiti invitati a sedere accanto alla first lady statunitense, Michelle Obama, durante il discorso sullo stato dell'Unione che Barack Obama terrà domani davanti le Camere riunite de Congresso. Da tradizione, sono proprio gli ospiti sul palco della first lady che ottengono i maggiori applausi nel momento in cui il presidente li citerà come esempi del successo e del cambiamento americani. Una delle risposte più entusiastiche potrebbe arrivare quando il presidente farà il nome di Alan Gross, l'ex contractor rilasciato dal governo dell'Avana alla fine dello scorso anno, mentre la politica Usa nei confronti di Cuba stava cambiando. Lui e la moglie siederanno accanto alla First Lady. Poi c'è anche Tiairris Woodward, 43 anni, madre di tre figli e operaia dell'impianto Fiat Chrysler a Detroit, dove vengono assemblate le Jeep Grand Cherokee. Oltre alla fabbrica, la donna era impiegata anche a tempo pieno per il distretto scolastico, lavorando 17 ore al giorno. Alla fine del 2010, ha mantenuto solo il lavoro alla fabbrica; dopo un anno, ha risparmiato abbastanza per comprare un'auto e affittare un appartamento nuovo e, attraverso il programma di assistenza della società, sta studiando per ottenere la laurea in gestione aziendale. La sua storia "è una delle tante rese possibile attraverso la ripresa di Detroit e dell'industria automobilistica americana", sostiene la Casa Bianca. Tra gli altri ospiti, Scott Kelly, l'astronauta che si sta preparando per una missione di un anno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Il fratello gemello di Kelly è l'astronauta in pensione, Mark Kelly; gli scienziati mirano a paragonare i dati medici tra i due uomini durante il viaggio. La ricerca contribuirà a "sostenere la prossima generazione di esplorazione dello spazio e l'obiettivo del presidente Obama di inviare uomini su Marte entro il 2030", ha detto la Casa Bianca.