In Parlamento finalmente qualcuno si è accorto delle famiglie dei detenuti Ristretti Orizzonti, 19 gennaio 2015 Quando hanno partecipato, nel carcere di Padova, lo scorso dicembre, al seminario "Per qualche metro e un po' di amore in più", alcuni parlamentari hanno ascoltato gli interventi di tante figlie di detenuti, e dei loro padri, e poi si sono impegnati a fare propria la battaglia per una umanizzazione vera delle carceri, che deve passare attraverso un autentico e profondo miglioramento dei rapporti delle persone detenute con le loro famiglie. Ora, questo impegno sta diventando qualcosa di concreto: nei prossimi giorni, la Commissione Giustizia della Camera inizierà la discussione su una proposta di legge sugli affetti dei detenuti, e al Senato verrà presentata una seconda proposta in materia. Noi speriamo che le forze si uniscano, le due proposte diventino una sola, che finalmente venga calendarizzata, discussa e approvata. Perché nelle carceri c'è davvero bisogno di un po' di amore in più da dedicare alle famiglie. Noi, nel frattempo, dedicheremo tutte le nostre energie a tener viva l'attenzione su questi temi con testimonianze come quelle che seguono, che raccontano l'emozione e la sofferenza dei colloqui, quei colloqui crudelmente brevi (sei ore al mese, quattro nelle sezioni di Alta Sicurezza) che la nuova legge dovrebbe prolungare e rendere più frequenti. Il mio primo colloquio in carcere Mi chiamo Slavisa, ho 43 anni e provengo dalla Serbia. Sono detenuto presso la Casa di Reclusione di Padova, con la pena dell'ergastolo. Io e la mia compagna abbiamo tre figli. Sono stato arrestato nel 2006 per la prima volta nella mia vita. Prima di arrivare a Padova ho vissuto nelle carceri del Meridione. Come potete immaginare mi era difficile avere colloqui con i miei famigliari, perciò nel 2007 ho chiesto un trasferimento, in Friuli. Nel 2011 da Palermo sono stato trasferito in provincia di Udine, presso la Casa circondariale di Tolmezzo. Per prima cosa ho avvertito subito la mia famiglia. Dopo un mese siamo riusciti a ottenere il primo colloquio. Il 4 agosto 2012 i miei figli e la mia compagna sono venuti a trovarmi. Quella mattina mi ero alzato molto presto e non facevo altro che pensare a loro, parlando da solo e cercando le parole giuste. Cosa dirgli, dopo otto anni che non li vedo? È arrivato il momento. Gli agenti mi hanno chiamato. Il percorso fino alla sala colloqui mi sembrava lunghissimo. Mi sembrava di volare. Non posso spiegare come mi sentivo, non so come descriverlo. Ecco, ci siamo, mi ripeto dentro di me, sono nella sala colloqui che aspetto. Sento il mio cuore che batte forte dentro il mio petto, tutum, tutum, tutum. A quel punto si è aperta la porta, ed entrano subito due splendide ragazze. Dietro loro una donna con gli occhi gonfi e rossi, di quelli che hanno appena pianto. A chiudere la fila un uomo. In quell'attimo volevo urlare di gioia, volevo urlare fortissimo perché avevo male al petto. Sono cresciuti e la donna è invecchiata. Mi sono ritrovato quasi incredulo, poi ho pensato che era meglio abbracciarli con un grandissimo sorriso. Dopo i saluti ci siamo seduti a parlare, per la prima volta dopo otto anni. In quella confusione c'erano parole che avremmo voluto dirci, ma i sospiri erano quello che riuscivamo a darci. Mio figlio e la maggiore delle mie figlie mi chiedevano di tutto. La più piccola era silenziosa, mi parlava solo se le chiedevo qualcosa, pensavo fosse stanca per il viaggio. Le quattro ore concesse dalla Direzione per il colloquio sono passate in un attimo, veloci come un lampo. A quel punto l'agente entra nella stanza e a voce alta comunica che la visita è terminata. Ci siamo salutati con un lungo abbraccio e poi se ne sono andati. Rientrando pian piano nella mia stanza, mi tenevo appoggiato al muro con i pensieri fissi ai bei momenti appena trascorsi. Dopo un paio di giorni ho chiamato a casa per risentirli e chiedere come era andato il viaggio. Mi risponde la mia piccola: "Ciao, papà, come stai?" E io rispondo che sto bene, a mia volta chiedo se è ancora stanca del viaggio. Lei mi risponde: "No, non sono stanca e anche in Italia non ero stanca". Le chiedo perché, al contrario dei suoi fratelli, non mi aveva parlato al colloquio, ma non mi giungeva nessuna risposta. Riuscivo solo a sentire un sospiro lieve e umido. Allora ho capito che stava piangendo. "Parlami", le dissi, e dopo qualche attimo mi esplose in faccia la verità: "Papà, io non ti conosco". Non ho più avuto parole, né io e neppure lei, siamo rimasti in silenzio fino a quando si è interrotta la telefonata. Il tempo era scaduto. Slavisa D. La pena non la sconti solo tu, ma anche la tua famiglia Per un detenuto la famiglia è vita. Quando si avvicina il giorno del colloquio, dire di sentirsi una gioia dentro che voglia esplodere da un momento all'altro è poco. L'attesa di essere chiamato per entrare al colloquio è però angosciante. Si inizia con la notte che precede il giorno del colloquio, non si riesce a dormire, si pensa alla famiglia che si metterà in viaggio nella mattinata, nel mio caso alle 5 per prendere un aereo per Roma, per poi proseguire con una macchina fino a Spoleto, dove mi trovo ristretto. In questa attesa faccio i calcoli di quanto possono impiegare per arrivare a Spoleto, ma vuoi per una cosa o per un'altra, i conti non mi tornano mai, c'è sempre un ritardo, la mia mente inizia a tormentarsi e faccio tanti pensieri brutti. Dico a me stesso che se succede qualcosa la colpa è mia, questa attesa mi distrugge dentro, mi rilasso solo quando l'agente mi chiama, in quel momento è come se mi sentissi mancare le forze per la gioia di sapere che la mia famiglia è qui. La legge dice che i detenuti dovrebbero stare "in istituti prossimi alla residenza delle famiglie", ma tutto questo nella realtà conta poco, si è detenuti spesso lontano da casa, e il motivo della lontananza non si riesce a capirlo. Quando avviene l'incontro con i familiari il mio cuore inizia a battere più forte come se volesse uscire dal mio torace, li abbraccio con forza e sento il calore della mia famiglia, ci sediamo attorno ad un tavolo, stringo la mano a mia moglie, accarezzo i miei figli e i miei nipotini, quando possono venire. Osservo la mia famiglia e sono fiero di loro, cerco di chiedere come stanno quelli che sono assenti, ma poi mi accorgo che mi ripeto sempre con le stesse domande. Quando si avvicina la fine del colloquio vorresti che le lancette dell'orologio della sala colloqui si spostassero indietro per avere ancora tempo di stare con loro, ma è finita, in quei pochi minuti che rimangono vorrei dire tutto quello che non ho detto in tre, quattro ore di colloquio. Poi ci sono i saluti con abbracci e baci, in quel momento non vorrei staccarmi più da loro, ma devono andare, il colloquio è finito. Il rientro in stanza è tra gioia e malinconia, la gioia perché hai un po' di cibo cucinato da casa, dalle mani di mia moglie, questo odore mi fa dimenticare per alcuni minuti che sono chiuso tra quattro mura. Poi inizia l'angoscia perché sai che la tua famiglia è di nuovo in viaggio, un'altra notte di tormenti nella mente che troverà pace quando sai che sono arrivati a casa e dirò: grazie mio Dio che hai avuto cura di loro. Io posso solo concentrare il mio affetto e l'amore per la mia famiglia su un foglio di block notes dove posso esprimere le mie paure, il mio amore e tutto quello che passa per la mia mente, questo foglio di block-notes lo invierò alla mia famiglia, ma lo odio già in quanto ha il privilegio di poter stare tutto il tempo che vuole con i miei cari, quello che a me manca. Questa affettività in carcere è solo angoscia e paura. Penso che sia una sofferenza che si aggiunge alla pena che devi scontare, ed è una pena a tutti gli effetti che però non sconti solo tu, ma anche la tua famiglia. La nostra Costituzione credo sia la più bella al mondo, solo che viene violata quotidianamente. Leonardo G. Giustizia: il ministro Orlando "la corruzione ha dimensioni intollerabili" La Repubblica, 19 gennaio 2015 Nell'annuale relazione sull'amministrazione della giustizia il Guardasigilli difende l'autonomia delle toghe e sottolinea che la riforma "non ha finalità punitive" nei confronti dei magistrati. Per il ministro necessarie nuove misure per contrastare il terrorismo. Migliora la situazione delle carceri, detenuti in calo. "Una giustizia efficiente è un importante obiettivo da raggiungere, un pilastro di ogni moderna democrazia. Faccio appello a tutte forze le politiche perchè la giustizia non torni a rappresentare terreno di misera polemica, ma di collaborazione". Si conclude con un appello alla collaborazione rivolto a tutte le forze politiche l'annuale relazione sull'amministrazione della Giustizia illustrata alla Camera dei deputati del Guardasigilli Andrea Orlando. Il passaggio più significativo è quello sulla corruzione, una vera emergenza del nostro Paese come ribadito anche dal ministro: "Le inchieste dimostrano che la corruzione ha raggiunto dimensioni intollerabile anche per il frequente suo intreccio con le organizzazione di tipo mafioso. Questo ha effetti devastanti sul piano economico e per i cittadini". Il ministro non ha voluto nascondere "la polvere sotto al tappeto" e ha anche affrontato i temi più controversi dato che "il malfunzionamento del sistema giudiziario rappresenta, secondo chi ci guarda da fuori, uno dei più grandi macigni sulla strada della crescita". Giustizia civile e responsabilità civile magistrati. Il ministro non ha eluso i temi più spinosi sul tavolo, a cominciare dalla responsabilità civile delle toghe: "Una riforma - ha sottolineato - che non ha una finalità punitiva" ma nasce "dall'esigenza di corresponsabilizzazione di chi ha causato il danno" e non intende "comprimere l'autonomia o la libertà del magistrato". L'Anm aveva aspramento criticato il provvedimento, così come aveva bocciato la riduzione delle ferie dei magistrati. Orlando ha sottolineato che il Governo contrasta "qualunque ipotesi di compressione dell'autonomia dei magistrati, e dell'interpretazione delle norme". Dal Guardasigilli è arrivata una ferma difesa del reato di falso in bilancio, "un tema cruciale nel contrasto delle più gravi forme di criminalità economica e mi auguro sinceramente che il confronto parlamentare possa svilupparsi proficuamente, contribuendo alla ricerca di soluzioni equilibrate ed efficaci". Poi ha spiegato la proposta dell'esecutivo in materia, già trasformata in emendamenti al testo in esame al Senato, che consiste nel "considerare le condotte di falsificazione come illecito di pericolo elevando le pene per garantire la deterrenza della sanzione e l'efficienza delle indagini". La giustizia civile, oggetto di una riforma approvata dal Parlamento a novembre, vede un calo delle cause pendenti al giugno del 2014 (poco più di 4 milioni 800 mila): per la prima volta dal 2009 il dato scende "sotto la soglia dei 5 milioni". In ambito penale invece gli obiettivi da perseguire sono il "rafforzamento del patteggiamento e la riforma del giudizio di appello, da trasformare in un controllo del giudizio di primo grado, e la razionalizzazione dei casi di ricorribilità per Cassazione". Rafforzare strumenti protezione contro terrorismo. Un passaggio della relazione è stato dedicato alla minaccia terrorista, arrivata ad un livello altissimo anche nel nostro Paese: "La crescente minaccia del terrorismo pone obbligo di un rafforzamento degli strumenti di prevenzione e repressione" ed è "ineludibile introdurre nuove misure per rendere selettivi e stringenti i controlli sui materiali che potrebbero essere usati per attentati e sulle misure contro gli stranieri combattenti", spiega il ministro. Carceri, dati in miglioramento. Inevitabile poi un riferimento alla situazione carceraria: il ministro ha comunicato che al 31 dicembre 2014 i detenuti nelle carceri italiani sono 53.623. Una situazione in miglioramento rispetto al 2013, quando nelle nelle nostre case circondariali erano stipati 62.536 detenuti (erano 66 mila quando è arrivata la condanna della corte di Giustizia europea). Orlando ha comunicato che "l'archiviazione degli oltre 3 mila ricorsi alla Corte di Strasburgo" da parte dei detenuti, grazie alle misure compensative predisposte dal governo, "comporterà un risparmio di 42 milioni di euro". Questo grazie alle misure compensative introdotte dal governo, promosse a novembre dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Infine l'annuncio della prossima nomina del Garante nazionale dei detenuti. Giustizia: detenuti stabili sotto quota 60mila. Misure alternative, "iter coraggioso" Dire, 19 gennaio 2015 Lo stato della giustizia in Italia nel 2014, relazione di Andrea Orlando al Parlamento. Numero dei detenuti stabilizzato: a dicembre 2013 erano 62.536 e al momento della condanna della Ue oltre 66 mila. Merito anche del ricorso a misure alternative. Opg, l'obiettivo rimane la chiusura definitiva. Orlando: "La corruzione ha dimensioni intollerabili" Al 31 dicembre 2014 i detenuti presenti nelle carceri "sono 53.623" e da alcuni mesi questo numero si è stabilizzato. Al dicembre 2013 erano 62.536. Al momento della condanna della Ue erano oltre 66 mila, mentre alla fine del 2010 erano 77 mila. Lo dice il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, alla Camera nella relazione annuale sull'amministrazione della giustizia. Sempre al 31 dicembre 2014, i posti nelle carceri sono 49.635. "A chi parla di indulto mascherato - aggiunge Orlando - i numeri ci dicono che non abbiamo rinunciato a una stabile diminuzione dei detenuti senza provvedimenti eccezionali, ma facendo ricorso ‘'a misure alternative al carcere. Un percorso coraggioso che risponde alla richiesta di sicurezza cittadini". Opg, l'obiettivo rimane chiusura definitiva. Il superamento del modello degli ospedali psichiatrici giudiziari ha subito purtroppo una proroga in attesa delle strutture sanitarie sostitutive. L'obiettivo è quello di evitare altri ritardi e arrivare alla chiusura definitiva degli Opg nel termine indicato. Orlando ricorda che attualmente negli Opg ci sono 780 persone a fronte degli 880 del 31 gennaio 2014. Ricorda poi che nel 2010 le presenze erano di 1.448 internati. Malfunzionamento della giustizia, un macigno. "Il malfunzionamento del sistema giudiziario è uno dei più grandi macigni sulla strada della crescita", sottolinea il ministro. La giustizia "per i cittadini e le imprese non è la sfera a cui rivolgersi per la tutela dei diritti, ma il simbolo di un calvario da tenere lontano il più possibile dalla propria vita. E a farne le spese e stato il Paese". Per il ministro a giustizia è stato "il terreno di un aspro scontro politico che ha impedito le necessarie riforme atte a garantire l'efficienza di un servizio fondamentale", ma l'auspicio è che "questa stagione possa dirsi chiusa e che si possa riuscire insieme ad aggredire i mali che rendono il sistema giudiziario un elemento di debolezza del Paese". "La corruzione ha dimensioni intollerabili". Orlando sottolinea che la corruzione "ha effetti devastanti sul piano economico e sulla fiducia dei cittadini verso le istituzioni" e spiega che si è sentita forte l'esigenza "di un efficace contrasto alla corruzione, un fenomeno che le inchieste" hanno mostrato essere "di dimensioni intollerabili anche per l'intreccio con strutture di tipo mafioso". Giustizia: Comitato nazionale Radicali Italiani; il problema-carceri nella mozione generale di Rita Bernardini, Segretario Nazionale www.radicali.it, 19 gennaio 2015 Il Comitato Nazionale di Radicali Italiani, riunito a Roma il 16, 17, 18 gennaio 2015, rileva il permanere dell'illegalità in cui versa il sistema giustizia con la sua immonda appendice carceraria; le violazioni dei diritti umani nei confronti dei detenuti e quelle concernenti la durata non ragionevole dei processi sono state condannate in forma alta e solenne nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica l'8 ottobre 2013; denuncia il comportamento degli interlocutori istituzionali del Presidente che hanno sistematicamente negato dignità al testo formale proveniente dalla più alta carica dello Stato nell'esercizio della sua massima autorità magistrale e volto a richiamare gli improcrastinabili obblighi di riforma strutturale della Giustizia, a partire da un provvedimento di amnistia e indulto; rileva che questo comportamento scandaloso è servito e serve al regime partitocratico per continuare ad impedire all'opinione pubblica e al popolo italiano il diritto di conoscere e giudicare gli atti del Presidente della Repubblica nel solenne esercizio delle sue funzioni costituzionali; prende atto inoltre della sostanziale rinuncia del Presidente della Repubblica a proseguire il proprio incarico; ne comprende motivazioni e significato, e rivolge al Presidente un non formale ringraziamento per la preziosa, essenziale, azione svolta di garante delle istituzioni. Il Comitato Nazionale di Radicali Italiani ritiene essenziale ed istituzionalmente necessario fare proprio il messaggio presidenziale ponendolo al centro dell'iniziativa politica del Movimento; impegna così i suoi organi dirigenti a perseguirlo come obiettivo; richiamando la mozione generale del XIII Congresso di Radicali italiani impegna altresì gli organi dirigenti a perseguire l'attivazione degli strumenti di iniziativa popolare e referendaria, a qualsiasi livello, prevedendo momenti assembleari di studio ed elaborazione, anche con le associazioni legate al Movimento, i punti di riferimento ed esperti esterni, al fine di individuare la fattibilità, priorità e campi d'azione. Il Comitato di Radicali italiani riconosce la centralità del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito (Prntt) nella vita e nell'iniziativa politica della galassia radicale. Prendendo atto delle difficoltà economiche del Prntt, si impegna, in quanto organo di un soggetto costituente, a lanciare da subito sei mesi di mobilitazione straordinaria al fine di promuovere una raccolta fondi diretta esclusivamente ad offrire al Prntt la possibilità di tenere il proprio congresso. Il Comitato di Radicali italiani invita, inoltre, gli altri soggetti costituenti, le associazioni territoriali, gli iscritti, i militanti, i simpatizzanti, a contribuire alla campagna, con la convinzione che solo attraverso il rientro nella legalità statutaria il partito avrà la forza e la credibilità per rilanciare la propria azione. Il Comitato Nazionale di Radicali Italiani esprime la convinzione che il modo migliore di manifestare affetto, vicinanza e incoraggiamento ad Emma Bonino sia quello di corrispondere alle sue parole iscrivendosi e promuovendo le iscrizioni a Radicali Italiani e al Partito Radicale. Giustizia: per i detenuti islamici regime speciale, vitto differenziato ma più controlli di Francesco Grignetti La Stampa, 19 gennaio 2015 Sessanta in carcere, imam dall'esterno per le preghiere. L'incubo dei direttori: proselitismo con colloqui in arabo. Rispetto e attenzione. In due parole, è qui riassunto il trattamento speciale che la Direzione delle carceri riserva ai detenuti musulmani. Rispetto: da anni il vitto è differenziato e si permette la preghiera ai fedeli islamici in moschee autogestite nelle carceri; in qualche caso ciò avviene con l'ingresso di imam dall'esterno, in altri casi con il riconoscimento ad alcuni detenuti del ruolo di imam, che notoriamente nella tradizione sunnita sono i più valenti tra i fedeli. Attenzione: il pericolo del proselitismo da parte dei fondamentalisti è molto considerato dal 2001 in poi. Di qui un occhiuto controllo sulle comunicazioni interne ed esterne e sulle rimesse di denaro. Non per caso, i responsabili delle carceri partecipano dal 2008 alle riunioni settimanali del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo al ministero dell'Interno. Esattamente dieci anni fa, il Dap ordinò il primo screening sui detenuti musulmani. Ne venne fuori un elenco di 58 nomi che scontavano pene per reati in qualche modo legati al terrorismo internazionale. I 58, peraltro, erano confinati in un circuito di 4 carceri speciali, ad Asti, Benevento, Macomer e Rossano. Dal monitoraggio emerse che, proprio perché chiusi in un circuito ad alta sicurezza, questi elementi più pericolosi non avevano contatti con la malavita comune e le occasioni di proselitismo erano eliminate. Non tutti i pericoli, però. "Era evidente - scriveva Francesco Cascini, vicedirettore delle carceri fino a qualche mese fa - come taluni dei soggetti interessati si fossero ben integrati con gli altri reclusi, tanto da mantenere contatti anche quando non si trovavano nella stessa sede". Nel frattempo, il programma di monitoraggio si è esteso e affinato. Si è temuto che il proselitismo potesse venire dal basso. Perciò sono stati schedati tutti i soggetti che rivestivano la figura di imam. Tra i tanti, uno era davvero fuori dal comune: Domenico Quaranta, convertito all'Islam nel penitenziario di Trapani, arrestato nel 2002 per due attentati falliti, nella Valle dei Templi ad Agrigento e nella metrò di Milano, dove lasciò striscioni con scritte inneggianti ad Allah ed ai mujaheddin in Afghanistan, nel carcere dell'Ucciardone ha condotto la preghiera dei detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale. L'incubo dei direttori di carcere è la lingua. Infatti, non ci si può illudere pensando che i colloqui dei detenuti arabi, in arabo, possano essere decifrati dal personale. Vengono però frenati in ogni modo i contatti dall'esterno. Il regolamento carcerario prevede la possibilità per i detenuti di usare una radiolina personale. Gli apparecchi che essi usano per tale collegamento sono le radio a "banda larga", le uniche che consentono di captare il segnale di loro interesse. Il Dap, però, con una circolare del 2010 ne ha vietato l'uso per sicurezza. Anche i libri possono essere uno strumento di proselitismo. La polizia penitenziaria è abituata a esaminare bene i testi. Ma lo scontro diventa incandescente, quando oggetto di perquisizione è il Corano, "libro che i detenuti portano sempre con sé: spesso rifiutano la perquisizione e rinunciano anche ad uscire dalla stanza detentiva pur di non permettere a nessuno di toccare il Libro Sacro". Giustizia: Toto Cuffaro, il mistero del detenuto modello che non vuole la grazia www.siciliainformazioni.com, 19 gennaio 2015 Totò Cuffaro non è il primo detenuto che proclama la sua innocenza, ma è il primo che "smentisce" la madre, che ha inoltrato un'istanza di grazia. Cuffaro è contrario, perché l'istanza presuppone l'ammissione della colpa. Una condizione che Cuffaro non accetta. Perciò preferisce scontare il resto della pena, dieci mesi circa, ed annuncia di volere recarsi in Africa, in Burkina Faso, dove tornerebbe a fare il medico, professione che gli sarebbe impedito di esercitare in Italia a causa della sua espulsione dall'Albo. È la volontà di proclamare la sua innocenza, il motivo del suo clamoroso dissenso? Forse c'è qualcosa d'altro. Cuffaro non ha ottenuto alcuni benefici previsti dalla legge, come l'assegnazione ai servizi sociali (ciò che è stato concesso a Silvio Berlusconi), e il suo "no" all'istanza di grazia è un modo per protestare, in modo civile, per il trattamento ricevuto. I giudici ritengono che non abbia tenuto un atteggiamento collaborativo con la magistratura inquirente. Insomma, non avrebbe detto tutto ciò che sa. Perciò, pur ammettendo che il comportamento del detenuto Cuffaro sia esemplare, gli è stato negato ciò che ad altri è concesso normalmente. Giusta o sbagliata che sia la decisione della magistratura, appare controversa. L'atteggiamento collaborativo dei cosiddetti "pentiti" - uomini con decine di delitti sulla coscienza - regala talvolta il ritorno alla libertà, e perfino una congrua indennità, mentre il sospetto di reticenza impedirebbe la fruizione di benefici di legge concessi normalmente. È una forbice troppo ampia perché venga accettata da chi la subisce e sia compresa dagli altri. Cuffaro è l'unico caso di un detenuto che sconta per intero e senza benefici, la pena a causa del sospetto di reticenza. Un sospetto che peraltro potrà difficilmente essere provato, a meno che non si abbia testimonianza indiretta delle verità nascoste. Solo in un caso siffatto, sarebbe giustificata la negazione dei benefici. Ma non risulta affatto che questa testimonianza sia in possesso della magistratura. E allora? L'ex presidente della Regione siciliana non è il primo detenuto lasciato in galera allo scopo di "incoraggiarne" la collaborazione, ma a differenza degli altri, Cuffaro non si trova in carcere in custodia cautelare, ma sconta una pena. C'è una bella differenza. I detenuti "custoditi" possono regalare informazioni utili agli inquirenti, sono coinvolti nell'inchiesta in corso di svolgimento, i detenuti che espiano la pena, dovrebbero intervenire sui fatti già giudicati, possono svelare verità (o bugie) postume su episodi che appartengono al passato. Il caso Cuffaro pone due questioni: il diritto del detenuto a rimanere distante dalla verità processuale e proclamare la sua innocenza; il diritto del detenuto ad usufruire dei benefici di legge se il comportamento in carcere è stato esemplare. Una giustizia che a causa dei suoi tempi morti - non addebitabili certo alle toghe - regala ogni giorno l'impunità agli autori di reati gravi o premia la collaborazione di autori di crimini efferati (la premialità è uno strumento efficace nell'azione di contrasto alla mafia), dovrebbe avere verso il detenuto che sconta la pena, nel caso di Cuffaro miracolosamente per intero, un atteggiamento indulgente e non, come sembra, quasi rancoroso, affinché prevalga l'immagine di una giustizia forte e giusta, sempre e comunque. Altrimenti finisce che il detenuto diviene una vittima. E non è una buona cosa. Giustizia: "Buzzi? Come Dottor Jekyll e Mister Hyde"… parola di Raffaele Cantone www.fanpage.it, 19 gennaio 2015 Chi è Salvatore Buzzi? Detenuto modello e benefattore o criminale incallito? Per Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, il ras delle cooperative e braccio destro del boss di Mafia Capitale Massimo Carminati, "Salvatore Buzzi è riuscito veramente ad avere una doppia vita come Dr Jekyll e Mr Hyde". "Una vicenda - aggiunge Cantone che mia ha inquietato moltissimo". Abile manipolatore? Genio dell'inganno? Detenuto modello o criminale incallito? Chi è davvero Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati e ras delle cooperative, arrivato a controllare un impero da milioni di euro da una piccola cooperativa per ex detenuti. Per il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ospite a L'Intervista di Maria Latella su Sky tg24, Buzzi avrebbe avuto davvero due facce, capace di infiltrarsi in qualsiasi ambienti mostrando di momento in momento quella più conveniente. Di volta in volta ex detenuto modello redento (primo a laurearsi in carcere e graziato da Oscar Luigi Scalfaro nonostante i gravissimi fatti di sangue di cui si era macchiato), imprenditore di successo ed esponente autorevole del mondo della cooperazione; ma anche regista di torbide trame volte esclusivamente ad arricchire se stesso e la sua cricca, corruttore implacabile, segugio a caccia di appalti e affidamenti diretti ad ogni costo. "Salvatore Buzzi è riuscito veramente ad avere una doppia vita tipo Dottor Jekyll e Mister Hyde È una vicenda che mia ha inquietato moltissimo. Buzzi era frequentatore di ambienti importanti malgrado fosse stato condannato per un omicidio - racconta Cantone - Ovviamente attendiamo le sentenze, ma se dovesse essere confermato questo meccanismo, veramente lui era in grado di cambiare posizione. Lo scenario che emerge dal caso di Mafia Capitale è sicuramente poco atteso da chi da troppo tempo aveva sottovalutato il rischio di infiltrazioni criminali nella capitale. Si tratta di una vicenda veramente inquietante, perché mette insieme tutti i pezzi della politica, moltissimi pezzi dell'amministrazione e vede soprattutto un pezzo della politica asservita a un sistema criminale a metà tra mafia e fatti corruttivi e organi di criminalità organizzata". Lettere: lavoro in carcere; il terzo settore è pronto, la politica lo lasci operare di Letizia Moratti* e Marco Morganti** Corriere della Sera, 19 gennaio 2015 Caro direttore, lo scorso 14 gennaio Milena Gabanelli sul Corriere è tornata sul tema delle carceri italiane. E ancora una volta dall'inchiesta emerge, con straordinaria efficacia giornalistica, come il sistema penitenziario abbia grandi difficoltà a svolgere quello che in ogni Paese civile è la finalità principale della pena detentiva: il recupero del cittadino condannato e il suo reinserimento nella società. Un settore, quello della giustizia, che soffre di un problema che attraversa trasversalmente ogni ambito delle politiche pubbliche: la sempre crescente scarsità di risorse disponibili da parte della pubblica amministrazione. Da una recente ricerca realizzata da Oxford Economics emerge come, solo in Italia, il gap tra domanda di welfare e risorse pubbliche disponibili arriverà fino a 70 miliardi di euro nel 2025. Non si tratta però di una specificità italiana. Viviamo in un'area del mondo, l'Europa, che conta circa il 7 per cento della popolazione mondiale e produce oltre il 25 per cento del prodotto interno lordo, ma che finanzia il 50 per cento della spesa sociale mondiale. Difficile immaginare la sostenibilità di questo modello. È dunque necessario trovare soluzioni alternative. La strada che si sta consolidando in Nord America e in molti Paesi europei nell'erogazione di servizi pubblici è il progressivo affiancamento allo Stato centrale di soggetti privati e, soprattutto, attori del terzo settore, anche mediante l'utilizzo di strumenti innovativi di finanza sociale, come i Social impact bond (Sib), che in Italia potrebbero dare grandi risultati in termini di riduzione della spesa pubblica e di creazione di posti di lavoro nel sociale. Maggiore prossimità ed efficienza nella gestione, accompagnati da un rigoroso monitoraggio e valutazione dei risultati, garantiscono infatti una più alta efficacia nel raggiungimento degli obiettivi ed una più grande efficienza nell'erogazione dei servizi. In poche parole, servizi migliori e meno risorse impiegate. Proprio sul tema delle carceri, Banca Prossima - Gruppo Intesa Sanpaolo, con San Patrignano e altre realtà del mondo delle cooperative sociali ed Associazioni di recupero, ha presentato al ministero della Giustizia un progetto che si propone di accogliere mille detenuti in regime di esecuzione esterna della pena. Un progetto che ha il doppio beneficio di produrre un risparmio di circa 200 milioni di euro per lo Stato e di garantire alle persone coinvolte un percorso di inclusione sociale che comprende anche fasi terapeutico-riabilitative, oltre al reinserimento lavorativo. Come dimostrato dall'esperienza di altri Paesi e riportato nel servizio di Milena Gabanelli, l'apprendimento di un mestiere e l'ingresso nel mondo del lavoro rappresentano la migliore garanzia di minimizzazione del rischio di recidiva e di miglioramento della qualità della vita degli ex detenuti. Si tratta di un progetto concreto che è in attesa di una risposta da parte del Ministero. Un esempio delle tante possibilità che potrebbero contribuire fattivamente al grave problema dell'affollamento delle carceri e alla mancanza di risorse da parte dell'amministrazione penitenziaria italiana per il miglioramento della qualità delle strutture di detenzione. Il mondo del terzo settore, grazie al supporto di strumenti di finanza sociale messi a punto dal mondo del credito, è ormai da tempo pronto a offrire il proprio contributo e assumersi le proprie responsabilità verso l'intera comunità. Siamo convinti che sia ormai inderogabile una risposta rapida ed efficace da parte del mondo della politica e delle istituzioni. *Cofondatrice della Fondazione San Patrignano **Amministratore delegato Banca Prossima Firenze: l'Opg dovrebbe chiudere, ma spende 170 mila euro per un impianto anti-fumo di Viola Centi Corriere Fiorentino, 19 gennaio 2015 Il direttore: nessuna comunicazione sulla chiusura. La villa dell'Ambrogiana di Montelupo vive ancora nel limbo della chiusura dell'Opg, tra proroghe e interrogativi. Direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario da quattro anni è Antonella Tuoni, bionda, occhi azzurri, cinquantenne. "Chiusura? Non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione ufficiale - esordisce. Addirittura, sono in via di conclusione lavori importanti: sarà la prima struttura carceraria in Italia con un impianto di aspirazione del fumo da sigarette, un progetto costato 170 mila euro. Le cose sono molto cambiate dall'ispezione della Commissione del Senato nel 2010 presieduta da Ignazio Marino. Dal punto di vista strutturale, oggi l'Opg di Montelupo è il miglior carcere della Toscana. Inoltre, sull'ala che finì sotto accusa nel 2010, oggi chiusa, c'è un progetto di ristrutturazione fermato dal continuo rimandare il superamento dell'Opg". E potrebbe arrivare un ennesimo slittamento della chiusura, ben oltre la data del 31 marzo: "Entro un mese sapremo se ci sarà bisogno di un'altra proroga - spiega l'assessore regionale alla salute, Luigi Marroni - Stiamo trovando ostacoli all'accoglienza sul territorio dei malati". "A parte le dichiarazioni di Enrico Rossi il 15 dicembre alla tavola rotonda organizzata dal Comune di Montelupo, e la legge del 2008 - ribadisce Tuoni - noi non abbiamo direttive. Qui tutto continua ad andare avanti: abbiamo fatto gli ordini per il magazzino e rinnovato per altri 9 anni la convenzione per la rivendita tabacchi". La legge del 2008 vuole che nel piano di superamento sia inclusa la futura destinazione d'uso delle strutture. Nel caso di Montelupo, si era parlato di un albergo di lusso nella villa delle quattro torri, e uno spazio a disposizione della cittadinanza nell'attuale manicomio. "Ma quale albergo di lusso - dice Tuoni. La struttura deve restare carceraria, ma non più ospedale psichiatrico. La villa potrebbe essere il primo esempio virtuoso di vero reinserimento in società per detenuti lavoratori a fine pena in regime di semi sorveglianza. La Cassa ammende del ministero della Giustizia finanzia progetti lavorativi. I detenuti potrebbero essere impiegati per le visite guidate, nella manutenzione, nelle pulizie, nei punti di ristoro". Nello scenario prefigurato dalla dottoressa Tuoni, anche le detenute del carcere di Empoli. "Dovevano essere trasferite nell'ala ristrutturata dell'Ambrogiana e i pazienti più gravi dell'Opg a Empoli. Non se n'è più fatto niente". Resta in sospeso anche il problema degli internati non toscani: "Le altre quattro regioni che si servono dell'Opg di Montelupo (Emilia, Liguria, Umbria e Sardegna) sono molto indietro. Dovrebbero accogliere i loro pazienti sul territorio, ma non hanno le strutture. Nei prossimi giorni arriveranno qui i loro delegati per studiare un piano". Avellino: Osapp; il carcere di Ariano Irpino cade a pezzi, subito lavori e più personale www.ottopagine.it, 19 gennaio 2015 Ariano Irpino, proteste in Carcere. Scrive il sindacato Osapp agli enti preposti per segnalare una serie di richieste. Disfunzioni organizzative e anomalie strutturali, manutenzione ordinaria e straordinaria, vengono elencati in un'articolata nota stampa redatta per denunciare degrado e abbandono nella struttura detentiva che creerebbero non pochi disagi e rischi anche agli stessi agenti penitenziari. Secondo il referente sindacale sarebbe ormai necessaria "una revisione organizzazione del lavoro anche alla luce delle ultime assegnazioni dei neo ispettori e l'istituzione delle unità operative previste dall'art. 33 del Dpr 82/99". A creare disagi la carenza di organico nel comparto sicurezza e comparto ministero. "Serve una ristrutturazione vecchio reparto detentivo e riapertura cucina detenuti attualmente chiusa per lavori di ristrutturazione mai iniziati. Ma anche il ripristino caserma agenti e alloggi di servizio in stato di abbandono e la riparazione cancello lato esterno non funzionante e adeguamento porta carraia. Ma servono anche ascensori e riscaldamenti nei reparti detentivi non funzionano in entrambi i padiglioni sia del vecchio che del nuovo. E poi la creazione box chiuso infermeria, attualmente unità impiegata nel corridoio al gelo, ciò è mortificante. Senza dimenticare il ripristino apertura portineria centrale per accesso istituto pedonale, attualmente transitano tutti a vario titolo per lo stesso ingresso, impiego della seconda unità per i dovuti controlli ed eventuali perquisizioni, attualmente ne viene impiegata solo una. Necessario delocalizzare il deposito armi in altro luogo più sicuro e acquisto cassettiere perché quelli attuali non sono sicure e si aprono facilmente". secondo i sindacati sarebbe necessario individuare un locale idoneo ingresso istituto da assegnare come ufficio alla sorveglianza generale al fine di coordinare e controllare il vecchio e nuovo padiglione detentivo. Da automatizzare cancello ingresso sezioni, ufficio comando e matricola e istallare monitor video sorveglianza. Istituire un gruppo di unità che si occupano di esigenze legate a ricoveri esterni e visite ambulatoriali presso i luoghi esterni di cura, fermo restando la competenza del nucleo di Avellino. Per il benessere del personale prevedere apertura spaccio anche nelle ore serali considerato l'inesistenza di erogatori automatici di bevande e snack. Per questo la scrivente O.S. auspica che gli organi competenti s'interessino in modo concreto rispetto a quanto segnalato, poiché la situazione stà pregiudicandosi sempre di più, al fine di migliorare le condizioni lavorative del personale di Polizia e rendere un contesto già di se difficile, più dignitoso anche per gli ospiti, salvaguardando in primis l'immagine dell'Amministrazione Penitenziaria e di coloro che ne fanno parte". Pistoia: il carcere di Pescia; costruito nell'86, mai aperto, usato per i film e come deposito di Melania Carnevali Il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2015 Il penitenziario di Veneri, frazione di Pescia, ha 40 posti letto, ma in questi ventinove anni è stato trasformato due volte in set cinematografico, mentre adesso è diventato un deposito-discarica del Comune. Nonostante che nelle carceri italiane si viva il dramma del sovraffollamento. Quindici celle più due di isolamento, per un totale di circa quaranta posti letto e cinque miliardi delle vecchie lire spesi. Il carcere di Veneri, frazione di Pescia (provincia di Pistoia) è stato costruito nel 1986, quando presidente del consiglio era ancora Bettino Craxi e ministro di Grazia e Giustizia, il democristiano Fermo Mino Martinazzoli. Ma non è mai stato aperto. Anzi, no. È stato aperto due volte per diventare, però, un set cinematografico: nel 2004, per "Amanti e segreti", miniserie televisiva di Gianni Lepre e nel 2006 per il film esordio di Alessandro Angelini, "L'aria salata". Per il resto, è inutilizzato da ventinove anni. Una struttura di 1.500 metri quadrati (2.500 se si considera anche l'aria all'aperto) inghiottita adesso dal degrado. Vuoto, a parte qualche scartoffia del Comune e dei motorini ritirati dalla polizia municipale. Nonostante le carceri italiane scoppino di detenuti. Il calvario della struttura sembra iniziare con una modifica del codice penale. Era stato infatti costruito come carcere (o casa) mandamentale, ossia dove, ai tempi delle preture, erano detenute le persone in attesa di giudizio per reati lievi oppure condannate a pene fino a un anno. Un carcere piccolo, ma considerato quasi di massima sicurezza, con la struttura principale in cemento armato e doppio muro di cinta. Diciassette celle, la cucina, la sala colloqui e due cortili per le ore d'aria. Accanto sorge una palazzina di dodici vani, che era destinata agli uffici, all'alloggio del direttore, all'infermeria. Tutto costruito in un'area agricola, non senza il disappunto della popolazione di Pescia che aveva già dovuto digerire la costruzione di un depuratore nella stessa zona. Era tutto pronto quindi, tanto che fu anche indetto il bando nazionale per l'assunzione di dodici secondini. Ma nel 1989 le leggi cambiano: le preture mandamentali vengono soppresse e quel carcere rimane improvvisamente senza identità. Con un semplice decreto ministeriale sarebbe potuto diventare un altro carcere, ma il Ministero di Grazia e Giustizia, dopo qualche anno di tentennamento, opta per cederlo al Comune. Ché però non sa cosa farne. La fantasia non è certo mancata: da un ostello della gioventù alla sede provinciale della Protezione civile, passando per un canile con clinica veterinaria. Certo è che, come spiega l'attuale sindaco di Pescia, Oreste Giurlani del Pd (nominato a giugno 2014) "quella struttura rimane un carcere a tutti gli effetti e non è facile metterci mano. Muro in cemento armato, sbarre, portoni in ferro. Per renderlo accogliente bisognerebbe buttarlo giù e ricostruirlo. Ma ricordiamo che il Comune di Pescia, fino allo scorso anno, rischiava il fallimento e non ha certo i fondi per farlo". A fine anni 90 il sindaco socialista Renzo Giuntoli pensò di farci un centro sociale rivolto all'infanzia, agli adolescenti, ai giovani e alle famiglie. Ristrutturò quindi la palazzina chiedendo un finanziamento alla Regione Toscana. Ma di centri sociali nemmeno l'ombra. "Chi avrebbe mandato il figlio a passare il pomeriggio in un carcere?", fa notare il sindaco. E vai ancora, quindi, soldi pubblici gettati nel nulla: circa trecento milioni delle vecchie lire, quelli che adesso sarebbero, rivalutati, 300mila euro. "Chiederò un incontro al sottosegretario di stato alla giustizia, Cosimo Ferri - chiarisce il sindaco - per capire se questa struttura possa tornare, o meglio diventare, un carcere. È sicuramente più utile come istituto penitenziario". Ma perché, appunto, non è stato trasformato in carcere penitenziario? Il provveditore della Toscana, Carmelo Cantone, sostiene che non fosse conveniente. "Non risponde alle esigenze del sistema penitenziario - dice - perché è piccolo, decentrato e costoso. Inoltre la logica è la territorializzazione della pena e in quel Comune non c'è criminalità. A un calcolo costi-benefici quindi risultava sconveniente per l'amministrazione penitenziaria". Eppure non la pensa così la Corte dei Conti che nel 2010 fece presente che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche "la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri". Adesso quindi, dicevamo, quella struttura è diventata un deposito-discarica del Comune, con vecchi computer e archivi ammassati nelle stanze e motorini rinchiusi nelle celle. Più il tempo passa e più diventa fatiscente, con infiltrazioni ovunque, odore di muffa, portoni in ferro arrugginiti. Un vero esempio dello spreco all'italiana. E non è l'unico carcere nel Belpaese ad aver fatto questa fine. Negli anni 80 infatti furono costruite oltre cento case mandamentali. Alcune di queste furono assorbite dall'amministrazione penitenziaria, come quella di Massa Marittima (Grosseto), dove è sorto un carcere di quaranta posti per detenuti condannati o quella di Empoli (Firenze), dove invece è nato un carcere femminile di altrettanti posti. Altre sono state cedute alle amministrazioni comunali e utilizzate nei modi più disparati. A Cropani, ad esempio, in provincia di Catanzaro, è diventata un deposito per la raccolta differenziata e un archivio del Comune. A Monopoli, invece, in provincia di Bari, è diventata la dimora dei senzatetto. Saluzzo (Cn): Sappe; detenuto rumeno devasta la propria cella e poi ferisce un poliziotto www.targatocn.it, 19 gennaio 2015 Un Assistente capo del corpo della Polizia penitenziaria ha dovuto ricorrere alle cure dei medici dell'ospedale cittadino. Alta tensione nel carcere di Saluzzo, dove un detenuto straniero, di cittadinanza rumena, ha improvvisamente dato in escandescenze e turbato l'ordine e la sicurezza della struttura penitenziaria. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Dopo gli eventi critici occorsi negli ultimi giorni all'interno di altre due carceri piemontesi (Torino e Asti, con agenti di Polizia Penitenziaria aggrediti ed azioni di contrasto all'ingresso nei penitenziari di droga e telefonici), si registra anche nel penitenziario di Saluzzo un grave episodio. Un detenuto rumeno ha prima devastato la cella, senza alcuna plausibile ragione, e si è poi scagliato fisicamente contro i poliziotti intervenuti", spiega il segretario generale del Sappe Donato Capece. "Un Assistente Capo del Corpo è rimasto seriamente ferito, con lesioni varie che hanno imposto il suo ricovero in Ospedale. Una situazione davvero incredibile e allucinante, gestita con grande professionalità, sprezzo del pericolo e competenza dagli uomini della Polizia Penitenziaria di Saluzzo. Al collega ferito vanno la nostra solidarietà e vicinanza". Il Sappe, che in occasione dell'aggressione di un poliziotto nel carcere di Asti aveva chiesto "di dotare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di spray anti aggressione recentemente assegnato a Polizia di Stato e Carabinieri", sollecita il Governo Renzi ad azioni efficaci finalizzate ad espellere i detenuti stranieri presenti in Italia. "È sintomatico che negli ultimi dieci anni ci sia stata un'impennata dei detenuti stranieri nelle carceri italiane, che da una percentuale media del 15% negli anni 90 sono passati oggi ad essere quasi 20mila. Fare scontare agli immigrati condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile la pena nelle carceri dei Paesi d'origine può anche essere un forte deterrente nei confronti degli stranieri che delinquono in Italia". "Il dato oggettivo è però un altro - conclude il leader del Sappe: le espulsioni di detenuti stranieri dall'Italia sono state fino ad oggi assai contenute: 896 nel 2011, 920 nel 2012 e 955 nel 2013, soprattutto in Albania, Marocco, Tunisia e Nigeria. Si deve però superare il paradosso ipergarantista che oggi prevede il consenso dell'interessato a scontare la pena nelle carceri del Paese di provenienza. Oggi abbiamo in Italia 53.623 detenuti: di questi ben 17.462 (quasi il 35 per cento del totale) sono stranieri, con una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. O a quel che è avvenuto proprio nel carcere di Saluzzo". Lucca: L'Associazione Infioratori versiliesi insegna ai detenuti l'arte dei tappeti di petali Il Tirreno, 19 gennaio 2015 L'associazione camaiorese protagonista di progetto per la rieducazione dei detenuti. Si parte dalla Casa circondariale di Lucca. In carcere per insegnare ai detenuti l'arte dei tappeti di petali. Angelo Tabarrani, presidente degli infioratori versiliesi, associazione che da anni raccoglie applausi per le opere realizzate con i fiori, annuncia un'altra importante iniziativa. "A breve - racconta il presidente - parteciperemo a un percorso rieducativo nelle carceri. Insegneremo ai detenuti l'arte degli infioratori. Il progetto partirà dal carcere San Giorgio di Lucca, dove resteremo per circa un mese e mezzo. Poi l'iniziativa toccherà altre case circondariali". Tabarrani non conferma perché ancora manca l'ufficialità, ma a quanto pare nel progetto (al via tra un mese) potrebbero essere coinvolti anche i ragazzi di alcune scuole della Provincia di Lucca. Non è la prima volta che l'associazione camaiorese partecipa ad iniziative di questo tipo, lavorando con le scuole e partecipando a concorsi in Italia e all'estero. Lo scorso luglio, ad esempio, i membri dell'associazione fuorno protagonisti a Città del Vaticano, dove realizzarono un'opera dedicata all'Angelus che ottenne anche il plauso di Papa Francesco: "Sono proprio bravi". Saluzzo (Cn): con "Amunì" i detenuti-attori sul palco del teatro Milanollo di Savigliano www.cuneocronaca.it, 19 gennaio 2015 Alle 21, sul palcoscenico del teatro Milanollo di Savigliano, in provincia di Cuneo, andrà in scena lo spettacolo dei detenuti dl carcere di Saluzzo "Amunì". Il gruppo degli attori porta in scena la storia di figli che vivono in attesa del ritorno del padre. Il testo, firmato da Grazia Isoardi di cui ne cura la regia, nasce dall'esperienza che tredici reclusi hanno vissuto nel Laboratorio Teatrale dell'Istituto e dal confronto che i protagonisti hanno aperto sul tema della paternità, sul senso di essere contemporaneamente figli e padri, padri assenti e figli difficili, figli cresciuti senza padri non perchè orfani quanto privi di padri autorevoli, portatori di valori e testimoni delle responsabilità della vita. Ora questi figli vivono nell'attesa del ritorno alla libertà e nel frattempo, diventati loro stessi genitori, attendono il ritorno del padre proprio come Telemaco fece con Ulisse. Amunì è la storia di fratelli che attraverso i giochi e i ricordi dell'infanzia ritornano a loro volta bambini. Lo spettacolo viene replicato in trasferta grazie alla volontà del direttore del carcere, Giorgio Leggieri e del magistrato di sorveglianza del tribunale di Cuneo ed è frutto di un'evoluzione del progetto teatrale del carcere saluzzese che è riconosciuto dal coordinamento nazionale e dal ministero di Giustizia come esempio di eccellenza artistica e sociale della regione Piemonte. Lo spettacolo quest'anno entra nel cartellone della stagione teatrale con il patrocinio della Fondazione Piemonte dal Vivo e dell'assessorato alla Cultura del Comune di Savigliano. Il costo è di 8 euro, 5 euro per il ridotto. Informazioni sul sito www.vocierranti.org. Milano: il "Christian Rockers" Roberto Bignoli nel carcere di Opera Ristretti Orizzonti, 19 gennaio 2015 L'artista internazionale di musica cristiana ha fatto vivere un'esperienza emozionante alle persone detenute nel carcere di Opera con un messaggio di fede e speranza. Roberto Bignoli, tra i principali musicisti internazionali della Christian music, ha riscosso molto successo mercoledì 14 gennaio nel carcere di Opera con le persone detenute. L'esibizione dell'autore, che ha suonato alcuni dei brani più significativi dei suoi dodici album è stata infatti seguita con grande attenzione sia per le emozioni che la musica porta sempre con sé -soprattutto in un contesto difficile come una casa di detenzione - sia per il messaggio di fede, speranza e fiducia che ha saputo veicolare. Non è stata certamente una performance musicale, ma un racconto autobiografico accompagnato musicalmente, espresso con grande umiltà e la consapevolezza di un percorso di vita complesso e doloroso: l'esperienza di un uomo come tanti. L'iniziativa è stata di Cisproject-Leggere Libera-Mente, associazione culturale che si propone di favorire il reinserimento delle persone detenute nella cosiddetta società civile. Nell'occasione, Bignoli ha presentato anche il libro autobiografico "Il mio cuore canta" Piemme Incontri, che racconta la sua storia di difficoltà fisiche ed esistenziali, superate grazie alla fede cristiana e alla musica. Bignoli, tramite la fede, l'amore verso il prossimo e la propria famiglia, il dialogo e la condivisione del proprio percorso, ha diffuso un messaggio di speranza e fiducia valido per tutti: la vita è nelle nostre mani e per chi crede in quelle di Dio. Ognuno sa dove poter attingere la forza per cambiare il corso del proprio destino e affrontarlo con il sorriso sulle labbra, come lui ha dimostrato. "La fede ha risanato il mio cuore, mi ha permesso di trovare serenità e gioia dove prima c'era rabbia e dolore", ha spiegato Bignoli. Un messaggio raccolto da molte persone detenute, che a loro volta hanno aggiunto cosa, oltre alla fede, è stato d'aiuto per ritrovare serenità e superare i momenti difficili: gli affetti, la musica, lo sport, scrivere, leggere. Tra loro Ivan, che ha riassunto in modo molto efficace il significato più profondo dell'incontro: "L'amore per la mia famiglia, l'amore per i miei genitori, l'amore per me stesso, l'amore per la vita. È l'amore che mi sta dando la forza di riprendere in mano la mia vita, la più grande forza dell'universo, in grado di scatenare una guerra o sciogliere il cuore più duro". "Il concerto di Bignoli nel carcere di Opera è stata un'esperienza molto emozionante per tutti coloro che hanno partecipato, un incontro intenso più che uno spettacolo, fatto di musica ma anche di riflessione sul tema del cambiamento, di cosa aiuta a cambiare, a voltare pagina, a superare le ferite - ha detto Barbara Rossi di Cisproject-Leggere Libera-Mente - La musica e i messaggi di fede, proposti in un luogo di sofferenza e privazione della libertà, hanno creato un forte pathos e hanno regalato una giornata di gioia alle persone detenute. In considerazione del risultato ottenuto, ci auguriamo di poter ripetere presto un'iniziativa di questo genere". A Opera, Bignoli ha suonato con il grande musicista-arrangiatore Mario Ferrara ed è stato intervistato dal giornalista Renzo Magosso e dai corsisti del progetto "Leggere Libera-Mente", attivo da diversi anni nella Casa di reclusione di Opera, che si occupa di biblioterapia con le persone detenute attraverso la lettura, la scrittura creativa, poetica, autobiografica, giornalistica. La giornata è stata inoltre arricchita dalla partecipazione musicale di due giovani rapper, che hanno colpito anche per i loro messaggi di vicinanza alle persone detenute: Stefano Reale e Giovanni Paoli. L'incontro è stata un'opportunità anche per presentare il giornalino In Opera, curato dai redattori diversamente liberi della Casa di reclusione di Milano-Opera, molto apprezzato anche dall'ispettore Maria Visentini, che a nome della direzione e degli operatori penitenziari del carcere si è congratulata per la qualità dei testi e la profondità espressiva raggiunta, a testimonianza della qualità del lavoro svolto da tutti coloro coinvolti nel progetto. L'evento che si è svolto a Opera è stata seguito da Giovanni Certomà, che ha scattato le fotografie dei momenti più significativi. Empoli: dal libro "Codice a sbarre" nasce "Sbarre d'inchiostro", carcere visto dagli studenti Ristretti Orizzonti, 19 gennaio 2015 Nell'ambito del progetto "Oltre i muri" che ha visto i ragazzi vivere esperienze nella Casa Circondariale femminile di Pozzale. Presentato nell'ottobre scorso il primo volume di racconti e storie redatto dalle donne detenute della Casa Circondariale femminile di Empoli, intitolato "Codice a sbarre", ecco che pochi mesi dopo nasce un nuovo percorso culturale, personale, di conoscenza, di superamento di quei muri per andare oltre. Si tratta di una realizzazione e di un risultato ispirato proprio dal lavoro delle ospiti "del Pozzale", ma portato avanti dagli studenti dell'Isis Pontormo di Empoli delle classi quarte e quinte. Dunque siamo alla nascita del volume "Sbarre d'inchiostro". Una esperienza unica dove il file rouge è la consapevolezza, la presa di coscienza che oltre quei cancelli ci sono persone. Esseri umani che nonostante gli errori, si mettono in gioco e credono nel cambiamento. Un testo che si compone di due parti: una intitolata "Riflessioni" ed una "Lettere". In questi giorni, gli insegnanti dell'Isis Pontormo (Sandra Troilo, Daniela Innocenti, Giovanni Lopez, Elisa Mariani, Daniela Malanima, Rosella Luchetti, Daniela Desideri, Elisa Dei), si sono recati alla Ibiskos Editrice Risolo di Empoli, per consegnare il materiale scritto dai loro studenti. La casa editrice curerà i testi e la grafica del nuovo volume "Sbarre d'inchiostro". Le studentesse e gli studenti negli ultimi due anni hanno preso parte al progetto "Oltre i muri" che ha previsto incontri e visite nella struttura penitenziaria, insieme ad assemblee nelle classi con la presenza dei docenti e di Patrizia Tellini per approfondire questi temi con la sua testimonianza diretta di ex ospite del carcere. Saranno organizzati due momenti per la presentazione ufficiale di "Sbarre d'inchiostro". Il primo nel mese di aprile all'auditorium dell'Isis Pontormo con la presenza delle donne detenute "scrittrici" e vari interventi, sulla falsa riga della giornata conclusiva del progetto "Oltre i muri". Successivamente "Sbarre d'inchiostro" verrà presentato alla città di Empoli con una iniziativa agli Agostiniani. Testimonianze, riflessioni, considerazioni, partecipazione, semplicemente per capire che cosa c'è "Oltre i muri". Giacomo Cioni Responsabile Ufficio Stampa Comune di Empoli Immigrazione: inchiesta sul Centro di accoglienza di Pozzallo, accuse di truffa e peculato di Valentina Raffa Il Giornale, 19 gennaio 2015 Dopo la pista siciliana di Mafia Capitale, che gestiva l'affaire immigrati al Cara di Mineo (Catania), un'inchiesta disposta dal procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia, riguarda il Cpsa di Pozzallo. È tra le strutture di accoglienza più interessate dal fenomeno immigrazione, con 25.500 immigrati transitati nel solo 2014. Sotto la lente di ingrandimento delle Fiamme gialle dirette dal colonnello Alessandro Cavalli ci sono gli ultimi 5 anni di attività del Cpsa, gestito da una cooperativa su incarico diretto del Comune di Pozzallo in attesa di un bando di gara arrivato soltanto di recente. L'indagine ha preso il via dal rinvenimento di materiale logistico destinato al Cpsa ma non presente nel centro. Sono quindi partiti i controlli incrociati con i fornitori per appurare se quanto dichiarato corrisponde a quanto acquistato o se ci sono piuttosto fatture gonfiate. Non è passato molto da un sequestro operato dai finanzieri di materassi in gommapiuma sozzi utilizzati nel Cpsa. L'inchiesta assume, quindi, le sembianze di un calderone in cui sono confluite diverse indagini legate dall'obiettivo di riscontrare la regolarità o meno della spesa di fondi erogati dal ministero dell'Interno attraverso la Prefettura di Ragusa. Basti pensare che il costo a immigrato è passato da 80 euro al dì agli attuali 28 euro. Un ribasso notevole effettuato da una nuova cooperativa che si è accaparrata il servizio dopo che la convenzione precedente è scaduta il 31 agosto e sono seguite due proroghe. L'enorme divario non si spiega nemmeno supponendo un numero inferiore di servizi erogati, dal momento che è la convenzione stessa a prevedere un pacchetto di servizi da fornire obbligatoriamente. Al vaglio della Guardia di finanza anche il passaggio dei lavoratori dalla prima alla seconda cooperativa. Sono passati da 90 a 50. Sarà controllata la mansione, perché non sia inferiore rispetto alle qualifiche. Come dimenticare, poi, quei piatti pieni di ogni ben di Dio gettati ancora incellofanati nei cassonetti dei rifiuti? La convenzione tra il Comune di Pozzallo e una ditta di Pescara con succursale a Ispica, non lontano dal Cpsa, era di 15 euro al giorno per tre pasti a persona. L'inchiesta non vede al momento indagati, ma tra le ipotesi di reato si ravvedono truffa aggravata, peculato, abuso d'ufficio e malversazione. Ciò dimostra che gli eventuali interessi sarebbero non solo del privato ma anche del pubblico. Unione Europea: svolta nella lotta al terrorismo, un codice per schedare i passeggeri aerei di Marco Mensurati La Repubblica, 19 gennaio 2015 L'Europa si americanizza, e la privacy cede il passo alla sicurezza. Così entro il 2015, questo è l'obbiettivo più realistico, entrerà in vigore la nuova normativa europea sul pnr, il personal number record, la "scheda" individuale di ogni passeggero che le compagnie aeree dal momento in cui entrerà in vigore dovranno mettere a disposizione delle forze dell'ordine. Il pnr, per capire la portata della novità, raccoglie tutti i dati relativi al passeggero e può dunque dire moltissimo della sua storia e della sua personalità. Oltre all'anagrafica (nome, cognome, indirizzo ecc) e alle informazioni di viaggio (data, luogo di partenza e destinazione) raccoglie elementi personali potenzialmente "sensibili", come le preferenze sul pasto consumato a bordo (da cui si potrebbero desumere informazioni di tipo religioso), eventuali esigenze sanitarie o semplicemente il metodo di pagamento del biglietto. Dati che correttamente analizzati e incrociati tra di loro potrebbero essere molto utili sia per la prevenzione sia per le eventuali indagini. Se li avessero avuti a disposizione, i servizi segreti francesi avrebbero potuto comprendere il pericolo che la Francia stava per correre, leggendolo attraverso gli spostamenti in Yemen e in Siria dei fratelli Said e Cherif Kouachi, gli autori del blitz al Charlie Hebdo ( 12 morti). Negli Stati Uniti, una normativa molto simile era entrata in vigore dopo gli attacchi alle torri gemelle. Ma anche in Canada e Australia ci sono leggi del genere. Nel 2013 la commissione Libertà civili del Parlamento europeo aveva bocciato, per una manciata di voti, una proposta di direttiva del 2011. Da allora il dibattito sul punto è molto acceso e a fine agosto è intervenuto il consiglio europeo invitando il parlamento a concludere i lavori. La procedura sembrava comunque destinata rimanere a lungo nella palude burocratica. Il nuovo picco della lotta al terrorismo ha di colpo sbloccato tutto. Dopo l'incontro dei ministri dell'Interno europei a Place Beauvau la scorsa settimana, i contatti tra i vari Stati e il parlamento si sono intensificati e le parti sono arrivate a un accordo di massima. Accordo che si regge sul compromesso intorno al tempo di conservazione dei dati. La direttiva, nella sua stesura originaria, parla di cinque anni. Nella forma in cui dovrebbe essere approvata, saranno solo tre. La rivoluzione è comunque storica. L'Europa rinuncia a un valore che, almeno fino ai fatti di Parigi, aveva ritenuto inviolabile: la privacy dei cittadini. "La disputa tra sicurezza e privacy - è la posizione del ministro dell'Interno Angelino Alfano, da sempre un grande sostenitore dell'utilità di questa legge - è un conflitto tipico di questo tempo. In passato c'è stata una tutela molto accentuata della privacy. In questo momento occorre valutare molto bene il tema della sicurezza". Il prossimo passaggio è l'incontro tra i ministri dell'Interno e della Giustizia, il 29 gennaio a Riga. L'ordine del giorno è già stato modificato per inserire anche il tema del pnr. Poi si dovrebbe passare a una fase più operativa. La Francia, ovviamente la maggiore interessata, ha già dichiarato di avere pronta la piattaforma tecnologica per la raccolta, l'analisi, la condivisione e la conservazione delle informazioni. Del resto, dicono da Parigi, non c'è tempo da perdere. Come dimostrano anche i numeri elencati ieri dal ministro Alfano. I foreign fighters sono un problema continentale. Il dato parla di un numero compreso tra i tre e i 5mila combattenti partiti dall'Europa per gli scenari di guerra mediorientali. Partiti ed, eventualmente, pronti a tornare, e a rappresentare un pericolo reale e imprevedibile. In Italia, dove l'allerta è stata elevata al massimo grado, il numero è teoricamente più gestibile: si parla di 59 persone (nell'ultima rilevazione il dato era 53) che sono transitate passando per l'Italia. Cinque di questi sono italiani di nascita. Egitto: piano del ministero Interno per spingere detenuti islamisti al pentimento Nova, 19 gennaio 2015 Il ministero dell'Interno del Cairo ha stilato un piano per spingere i detenuti islamsti, e in particolare quelli legati ai Fratelli musulmani, a pentirsi e a cambiare idea. Il piano, secondo quanto riporta il giornale "al Masry al Youm", prevede il tentativo da parte di una sezione del ministero dell'Interno dedicata alla gestione dei detenuti di convincere i membri dei Fratelli musulmani in carcere a riconosce la validità della rivoluzione che ha portato al potere Abdel Fattah al Sisi, rinunciando alla violenza. Alcuni ufficiali del ministero hanno iniziato a far circolare nelle carceri un documento di pentimento da firmare. Nord Corea: raccontò fuga da gulag, ora ritratta, duro colpo a campagna per diritti umani Askanews, 19 gennaio 2015 Shin Dong-hyuk, fuoriuscito nordcoreano punta di diamante della campagna per i diritti umani nel regno dei Kim, s'è rimangiato una parte della storia che ha raccontata nel best-seller internazionale che l'ha reso famoso, "Fuga dal campo 14". Il libro, che racconta le atrocità subite mentre era prigioniero sin da bambino del famigerato Campo 14, ha reso famoso il fuoriuscito. Tuttavia, secondo quanto racconta il New York Times, oggi Shin racconta che alcuni elementi chiave del suo racconto sono parzialmente veri e alcuni altri sono stati spostati nel tempo. La sua ammissione rischia d'indebolire anche altre testimonianze nella campagna per costringere Pyongyang a intervenire sull'atroce situazione dei diritti umani nel paese, recentemente oggetto di una campagna in sede Onu. "Sono spiacente per molte persone" ha detto Shin, raggiunto al telefono negli Stati uniti, dove ha sposato una donna di origini coreane. "Io sapevo che non avrei potuto nascondere la cosa a lungo, ma avevo rimandato per evitare che la mia confessione danneggiasse il movimento per i diritti umani in Corea del Nord". Shin, che ha incontrato anche il segretario di Stato Usa John Kerry e ha contribuito a costruire la campagna per i diritti umani in Corea del Nord degli ultimi mesi. Nel libro Shin racconta di essere nato e cresciuto nel Campo 14, di essere sopravvissuto alla fame, alle torture, di aver visto uccidere tutti i suoi familiari, di essere riuscito a scappare - unico caso registrato - dal campo passando sopra il corpo di un amico finito folgorato sul recinto elettrificato del campo. Ora, nella nuova versione, in realtà sarebbe scappato due volte dal meno pesante Campo 18, per essere ripreso, e poi fuggire ancora. Inoltre, torture che ha detto di aver ricevuto da bambino, sarebbero da situare più avanti nel tempo. Il co-autore del libro Blaine Harder, dal canto suo, ha cercato di giustificare Shin. E lo stesso protagonista ha cercato di sostenere di non aver voluto "raccontare esattamente ciò che è accaduto per non rievocare questi momenti tristi". Tuttavia il danno è pesante. E anche la sua nuova versione pone dubbi. "Sta ancora mentendo" ha detto un ex detenuto del Campo 18 scappato dalla Corea del Nord, secondo il Nyt. "Semplicemente - ha spiegato - non si può scappare due volte dal un campo di prigionia nordcoreano, come lui dice d'aver fatto, e restare ancora vivi e tentare di fuggire una terza volta, questa volta da una zona del tutto incontrollata". Un altro ex detenuto, Chung Kwang Il, ha detto di non capire perché Shin abbia mentito. "Senza dire di essere scappato dal Campo 14, aveva una grande storia da raccontare, era un buon testimone degli abusi dei diritti umani in Corea del Nord".