Giustizia: il carcere in Europa arranca, scarse opportunità di lavoro e cura per detenuti Redattore Sociale, 13 gennaio 2015 A Bruxelles si riunisce l'Osservatorio europeo sul carcere, promosso da Antigone, che ha valutato le condizioni di detenzione in diversi Paesi europei. Prendendo atto che non sempre sono conformi alle regole penitenziarie. Si è riunito ieri a Bruxelles L'Osservatorio europeo sul carcere. Si tratta di un progetto coordinato da Antigone e sviluppato con il sostegno finanziario del Programma giustizia penale dell'Unione europea. Tra le organizzazioni partner europee, per l'Italia figura l'Università degli studi di Padova. Tornando alla giornata di studi odierna, va detto che l'Osservatorio europeo sul carcere ha valutato la condizione dei sistemi carcerari nazionali e dei sistemi connessi di alternative alla detenzione. Nel descrivere le condizioni carcerarie in Europa, si è cercato di mettere in evidenza come e in quale misura le condizioni dei vai paesi sono conformi alle regole penitenziarie europee (Epr). Ecco una veloce panoramica dei risultati. Salute. Nonostante la disposizione che l'assistenza sanitaria in carcere deve essere integrata con i sistemi nazionali, solo in Francia, Italia e Regno Unito sono i ministeri nazionali della Salute responsabili per la in carcere. Tuttavia, servizi medici, chirurgici e psichiatrici in carcere sono scarsi in tutti i paesi coinvolti. Un medico non è sempre presente in ogni istituzione, e anche quando c'è, la domanda spesso supera la capacità di fornire cure. Inoltre, nonostante le regole europee e le leggi nazionali che stabiliscono direttive chiare in materia, detenuti malati contagiosi non sono sempre isolati, mentre i rischi connessi all'isolamento sono spesso trascurati (lo stesso vale per il trattamento della malattia mentale e della prevenzione del suicidio, come il numero elevato di suicidi indicano). Inoltre, a causa della carenza di risorse, soddisfare le esigenze di tutti i prigionieri che soffrono di tossicodipendenza risulta problematico, con la sola eccezione della Spagna. Educazione. Nella maggior parte dei paesi partecipanti, le istituzioni educative che operano in carcere comprendono tutti i livelli educazione, fino all'università. Ciò è conforme con le raccomandazioni europee. Tuttavia, a causa di una mancanza di risorse, i tipi di corsi e le opportunità offerte sono spesso limitate (in particolare per l'istruzione superiore). Corsi di studi sono comunemente eseguiti dai ministeri della pubblica istruzione, ma esistono anche programmi di educazione informale, talvolta organizzata dai membri del personale carcerario (in Grecia). L'apprendimento a distanza è offerto solo in Francia, Spagna, Portogallo e Regno Unito, ma i detenuti riescono raramente a usufruirne a causa dei costi elevati. Esistono biblioteche ovunque ma, nonostante le disposizioni Epr, l'accesso è talvolta reso difficile per la sicurezza o per motivi organizzativi e la disponibilità di libri in lingua straniera è limitata. Formazione e opportunità di lavoro. Nonostante le disposizioni europee, nella maggior parte dei casi le opportunità di lavoro all'interno del carcere sono scarse e di bassa capacità di acquisizione. Offerte di lavoro in carcere non sono sempre pagate. In ogni paese la legge dà ai detenuti l'opportunità di lavorare fuori dal carcere, ma in pratica questo accade raramente. Anche se, per soddisfare obiettivi riabilitativi, le leggi nazionali prevedono programmi di formazione professionale, esigenze formative individuali sono raramente prese in considerazione. Sebbene disposizioni europee richiedano che dovrebbero assomigliare il più possibile a quelle all'esterno, le condizioni di lavoro di detenzione sono molto diverse, in particolare per quanto riguarda remunerazione, qualità del lavoro, salute, sicurezza e diritti dei lavoratori (sciopero, vacanze, possibilità sindacali). Sicurezza. In tutti i paesi esaminati le misure di sicurezza più comuni sono controlli fisici (di prigionieri e visitatori), controlli sui cellulari e isolamento dei detenuti nelle sezioni dedicate. Sorvolando sui diversi livelli di controllo, l'Osservatorio sottolinea che l'isolamento come forma di punizione sembra essere usata ovunque. "È importante sottolineare che questo può essere molto problematico - si evidenzia, per esempio perché espone i detenuti a varie forme di abuso da parte di agenti di polizia penitenziaria". Azioni di riabilitazione e reinserimento. "Contrariamente alle disposizioni Epr, le modalità di visita e dei mezzi di comunicazione consentite ai detenuti (lettere e telefonate, esclusi strumenti web) sono molto limitati e non consentono di mantenere un adeguato contatto con il mondo esterno", afferma l'Osservatorio. Per quanto riguarda il regime carcerario, solo a un piccolo numero di detenuti sono offerte opportunità di impegnarsi in attività significative quali l'istruzione, la formazione professionale, l'esercizio fisico, attività ricreative, e così via. Come previsto dalla legge in tutti i paesi monitorati, i detenuti condannati dovrebbero ricevere piani di individuali, ma la mancanza di personale, di opportunità di lavoro e programmi di formazione professionale riducono le possibilità di attuare tali programmi di riabilitazione su misura. Dopo il rilascio, solo in casi eccezionali (la Polonia è un buon esempio) i detenuti sono assistiti dall'amministrazione carceraria nella ricerca di alloggi adeguati e di un lavoro. Programmi di giustizia riparatoria, infine, sono implementati solo nel Regno Unito. Sistema penitenziario minorile. Non c'è sovraffollamento nei sistemi penitenziari minorili dei paesi monitorati: la densità di detenuti nelle carceri minorili è inferiore al 100%. Quasi ogni paese cerca di seguire la disposizione Epr di separare i minori dagli adulti, ma diversi rapporti (in particolare francese, portoghese e quelli greci) indicano che in alcuni casi viene ignorata questa regola. Altri problemi del sistema carcerario minorile riguardano l'organizzazione di corsi di formazione e la loro accessibilità (Italia e Portogallo), e di strutture carcerarie e delle caratteristiche del regime carcerario, che in genere non si adattano alle esigenze dei minori (Grecia). Casi di abuso, intimidazioni e violenze sono stati riportati in alcuni strutture penitenziarie in Portogallo e nel Regno Unito. Giustizia: sistema carcerario italiano ancora deficitario, linee guida per diritti dei detenuti Redattore Sociale, 13 gennaio 2015 L'analisi del sistema carcerario effettuato dall'Osservatorio europeo sulla detenzione, che fornisce dieci pillole per migliorare gli standard dei diritti umani nei paesi Ue. Monitorare il sistema penitenziario su scala europea. È questo il compito con il quale è sorto, poco meno di due anni fa, l'Osservatorio Europeo sulla Detenzione carceraria che ieri a Bruxelles propone il convegno dal titolo "Detention conditions in the European Union". L'incontro è suddiviso in due sessioni e rappresenta una ghiotta occasione per fare il punto sulla situazione carceraria europea. Tra le varie attività dell'osservatorio vi è anche quella di fornire alcuni suggerimenti agli stati aderenti. Partendo da alcuni esempi di buone pratiche che ha incontrato nel corso del suo lavoro, l'Osservatorio offre, infatti, dieci linee guida per migliorare gli standard dei diritti umani nei paesi dell'Unione europea. Essi si basano sul principio chiave del rispetto delle regole penitenziarie europee di normalizzazione e responsabilizzazione. Galles e Inghilterra. Lo sviluppo di una democrazia rappresentativa all'interno delle carceri in Inghilterra e Galles è stato positivo per i prigionieri, il personale e la società in generale. Un dialogo costruttivo aiuta a migliorare le relazioni tra personale-detenuti, è trasformativo per i prigionieri e porta ad una riduzione generale della tensione. I direttori delle carceri in tutta l'Ue devono essere incoraggiati a fornire consigli utili in tutte le strutture. Perquisizioni e isolamento. In tutta l'Ue, le perquisizioni e l'isolamento devono essere vietati. Il controllo delle celle deve essere poi condotto in presenza del prigioniero. Pratiche disciplinari. Il saper mediare rispetto ad un procedimento disciplinare è una pratica del tutto assente in tutti gli stati coinvolti nell'osservatorio, il quale raccomanda all'Ue di raccogliere prove sulla mediazione come pratica positiva e di comunicare attivamente questa ricerca ai sistemi penali degli Stati membri. Evitare le ri-condanne. Il carcere di Grendon Prison, nel Buckinghamshire in Inghilterra, dimostra da circa mezzo secolo come l'efficacia della sicurezza dinamica, e un approccio terapeutico nella realizzazione di una migliore qualità della vita in carcere, possa portare a tassi più bassi di ri-condanna. Secondo l'osservatorio l'Ue dovrebbe incoraggiare lo sviluppo di un processo e di valutazione del Modello Grendon in ogni Stato membro. Esempio polacco. La Polonia ha dimostrato che fornendo ai detenuti gli stessi diritti democratici degli altri cittadini, si può arrivare ad una partecipazione sociale senza dover impegnare troppe risorse nella sicurezza. Un monito all'Unione Europea, che dovrebbe promuovere il franchising del carcere universale, sull'esempio polacco, per favorire la responsabilizzazione e la normalizzazione dei prigionieri e per rafforzare la democrazia in Europa. Agevolare le visite. La maggior parte dei detenuti proviene da alcune tra le comunità più svantaggiate dell'Unione europea e molti si trovano in prigioni situate a grande distanza da famiglie e amici. In queste circostanze, il mantenimento di relazioni vitali può essere difficile perché le visite sono molto costose per le famiglie a basso reddito e ciò può rappresentare un peso per chi visita parenti detenuti. Agevolare le spese di viaggio per la famiglia e gli amici, come dimostrato dalle visite assistite previste in Inghilterra, Galles e Scozia, dovrebbe essere una pratica standard in tutta l'Ue. Privacy e intimità. Quando i familiari visitano i propri cari, la necessità di privacy e di intimità sono di primaria importanza. Da una ricerca effettuata in alcuni istituti penitenziari francesi si è dimostrato che una giusta privacy comporta benefici e migliora i legami familiari, senza compromettere la sicurezza. La ricerca ha indicato anche che la tensione in carcere viene ridotta se per i detenuti sono ammesse visite private. Secondo l'osservatorio il sistema francese Familial Visit unità (Uvf) dovrebbe essere attuato in tutte le carceri d'oltralpe e sperimentato in ogni paese. Ruolo della tecnologia. Oggi la tecnologia digitale offre la possibilità di mantenere i contatti tra detenuti e famiglie, anche quando per queste ultime vi è l'impossibilità di intraprendere viaggi. In tutta l'Ue, coloro che non sono in grado di viaggiare per fare visita ai propri cari (a causa della distanza, malattia, disabilità o età) traggono grande vantaggio dall'adozione dei sistemi di visite-video, sviluppata da Apex e il Prison Service scozzese. Tale tecnologia è inoltre a basso costo e sicura, come dimostrato in Scozia. Colmare il gap digitale dei detenuti. Per coloro che devono scontare pene detentive a medio e lungo termine c'è il forte rischio che si allarghi il divario digitale. Il XXI secolo è stato testimone di una rivoluzione digitale e la velocità del cambiamento significa che i prigionieri possono essere tagliati fuori da questi sviluppi e sono in un notevole svantaggio sociale. Per questo, secondo l'osservatorio, è necessario stabilire un programma globale di cyber-accesso sicuro in tutta l'Ue, già attuato nel sistema penale francese. Istruzione come sviluppo personale del detenuto. L'accesso ai corsi incentrati sull'apprendimento dovrebbe essere un punto centrale per tutti gli istituti dell'Unione Europea. il Union. Alcune ricerche condotte in Italia dimostrano che l'accesso all'istruzione universitaria può essere trasformativo per l'individuo in termini di auto-riflessione e di sviluppo personale. I corsi di apprendimento, inoltre, possono ampliare le opportunità di lavoro. Dieci pillole che possono contribuire a rendere più accettabili le condizioni di vita di chi deve pagare i propri errori vivendo quotidianamente tra quattro mura. Ma qual è ad oggi la situazione carceraria italiana? Buone e cattive notizie sono state elencate dall'osservatorio europeo. Partiamo con le note dolenti. Le condizioni di vita in carcere nel Belpaese sono purtroppo ancora degradanti. I diritti fondamentali non sono spesso garantiti ai detenuti, prima di tutto per quanto riguarda la salute. Una percentuale molto ridotta della popolazione carceraria ha accesso al lavoro, ciò anche perché gli stipendi sono ben lungi dall'essere sufficienti. Dal maggio 2013, quando cioè la Corte europea dei Diritti umani ha condannato l'Italia per le inumane condizioni carcerarie, varie disposizioni normative e amministrative sono state adottate al fine di ridurre la popolazione carceraria e per migliorare la qualità di vita interna. Anche se il sistema penitenziario italiano è ancora sovraffollato, il numero di detenuti è in diminuzione, di circa 11.500 unità negli ultimi 18 mesi e in molte strutture carcerarie i detenuti sono ora autorizzati a trascorrere una parte significativa del giorno del loro celle. Giustizia: mense carceri, niente proroga per le coop. Il Dap: "non era stata promessa" Redattore Sociale, 13 gennaio 2015 Il 15 gennaio le dieci cooperative che hanno in gestione le mense di nove carceri italiane dovranno restituire le chiavi. La Cassa delle Ammende non ha approvato la proroga fino al 31 gennaio dei progetti. Il Dap però incontrerà nei prossimi giorni i responsabili delle cooperative "Non avevo mai promesso di poter ottenere la proroga della gestione elle mense alle cooperative". Santi Consolo, capo gabinetto del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria smentisce le ricostruzioni dell'incontro tenutosi il 30 dicembre in via Arenula con il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il capo del Dap Santi Consolo, il capo gabinetto Giovanni Melillo e i rappresentanti delle dieci cooperative di detenuti che hanno al momento in gestione le mense delle carceri di Torino (cooperativa Ecosol), Ivrea (Divieto di sosta), Trani (Campo dei miracoli), Siracusa (L'Arcolaio), Ragusa (La Città Solidale), Roma Rebibbia (Men at Work e Syntax Error), Milano Bollate (ABC), Rieti (Pid) e Padova (Officine Giotto). In tutto, queste impiegavano 170 detenuti e 40 operatori sociali. "Non avrei mai potuto garantire la proroga - continua Consolo - a decidere è la Cassa delle Ammende che è un organismo collegiale". Presidente della Cassa, per altro, è lo stesso direttore del Dap. Consolo quindi respinge la nuova accusa delle cooperative: non aver mantenuto la promessa del 30 dicembre di una proroga fino al 31 gennaio del progetto mense nelle carceri di dieci cooperative di detenuti. È infatti saltata la possibile proroga al 31 gennaio: il 15 le cooperative dovranno restituire le chiavi delle mense al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, che riprenderà di nuovo in mano la gestione del servizio mensa. Per le cooperative di detenuti è un colpo durissimo: "Il 15 gennaio è l'ultimo giorno in cui andremo alle mense: dovremo chiudere", afferma Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto di Padova. "Hanno trovato il modo per chiudere la più vecchia cooperativa di detenuti di Roma, sopravvissuta 28 anni contro una media di 2,3", rincara la dose Maurizio Morelli di Syntax error, cooperativa che lavora alla casa di reclusione di Rebibbia con otto detenuti e tre operatori. "Non avremmo mai accettato una proroga se non avessimo visto la possibilità di mantenere in vita i progetti", prosegue Boscoletto. Domani, mercoledì 14 gennaio le dieci cooperative s'incontreranno a Roma per organizzare una manifestazione unitaria contro la decisione della Cassa delle Ammende. "Già da oggi manderò le convocazioni ad ogni singola cooperativa per capire come affrontare il problema", replica Santi Consolo, sottolineando l'apertura verso le cooperative. Le quali però hanno ormai perso le speranza: "È la vittoria della politica del non fare", sostiene Boscoletto, e ricorda che il Dap è stato senza un capo per sei mesi, tempo che poteva essere utilizzato per affrontare la questione prima che il progetto mense arrivasse a scadenza. Secondo la nota diffusa da Emergenza lavoro carcere, il gruppo composto dai referenti delle dieci cooperative, "dopo la chiusura delle cucine in dieci istituti questo fatto conferma l'esistenza di un disegno di progressivo smantellamento del lavoro in carcere, così come oggi è organizzato e gestito dalle cooperative sociali". Per di più, le cooperative di detenuti il 17 dicembre 2014 avevano scoperto di avere scoperto il 34% dei finanziamenti richiesti tramite gli istituti penitenziari lo scorso anno. Invece che 9 milioni, il Dap ne ha a disposizione solo 6 per il 2015. Federsolidarietà: non mantenuti impegni La cessazione dell'affidamento della gestione delle mense alle cooperative sociali "non ha avuto una motivazione del Governo. È una scelta che contraddice le dichiarazioni sul valore del Terzo Settore". È la protesta di Guido Geninatti, presidente di Federsolidarietà Piemonte. Il 16 gennaio in tutta Italia, ricorda Geninatti "come disposto dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, chiuderanno i progetti di somministrazione dei pasti ai detenuti garantiti dalle cooperative sociali", che in Piemonte hanno riguardato la Casa circondariale di Torino ed il carcere di Ivrea coinvolgendo nel lavoro 40 detenuti. A fine dicembre a Roma i responsabili delle coop sociali ed i garanti regionali dei detenuti si erano incontrati con il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. "Nessuna delibera di proroga dell'affidamento del servizio è stata fatta. Chiediamo con forza - dice Geninatti - che gli impegni di fine dicembre siano rispettati e inizi un dialogo davvero proficuo sul futuro di questo importante servizio, la cui validità è unanimemente riconosciuta, anche dai direttori stessi delle strutture carcerarie". Giustizia: mense carceri; Presidente Coop Abc "obbligata a licenziare 8 detenuti su 12" di Daniele Biella Vita, 13 gennaio 2015 L'incubo diventa realtà per le 10 cooperative sociali coinvolte nella gestione delle mense carcerarie: smentita l'ipotesi di proroga governativa, dal 15 gennaio stop al servizio. "Non ci sono parole per quanto sta accadendo, doveva essere il governo più vicino al sociale, si dimostra il peggiore dell'ultimo decennio", denuncia Silvia Polleri. "È pazzesco: fra tre giorni devo licenziare 8 dipendenti dei 12 che lavorano nella mensa della Casa circondariale di Bollate, nonostante nei 10 anni di sperimentazione ci è stato detto che è un servizio di qualità che funziona e che fa risparmiare anche rispetto alle mercedi, i lavori gestiti direttamente dal Dap, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria". È disperata Silvia Polleri, presidente e anima della cooperativa sociale Abc La speranza in tavola, che abbiamo sentito nelle ore più calde e difficili per tutto il mondo della cooperazione sociale inframuraria: non solo per le 10 cooperative a cui verrà tolta la gestione del servizio mensa in altrettante carceri dal 15 gennaio (e non più dal 31 gennaio, "è stata smentita la proroga di 15 giorni proposta il 30 dicembre 2014 dal ministro Andrea Orlando, che nelle cinque ore dell'incontro con noi aveva anche detto che avrebbe trovato lui i soldi per andare avanti", sottolinea Polleri), ma anche per tutte le altre a causa della sforbiciata del 34 per cento dei finanziamenti erogati secondo la Legge Smuraglia, come si evince da questo documento ministeriale datato 17 dicembre 2014 ma diffuso nei giorni scorsi (tra l'altro, nell'elenco si trova ancora la coop 29 giugno, incriminata per Mafia capitale: svista?). "Devo fare tutto in fretta: chiudere i rapporti di lavoro con i detenuti, che naturalmente sono senza parole di fronte a tutto questo, e poi trovare il modo di far sopravvivere le altre realtà lavorative che abbiamo, in primo luogo il catering Abc, riconosciuto come eccellenza da molti: non ci abbatteremo, nonostante non si può tenere in piedi con efficienza un catering senza una mensa alle spalle, in carcere come fuori", prosegue Polleri. Anche le altre nove cooperative sociali coinvolte (Ecosol a Torino, Giotto a Padova, La città solidale a Ragusa, Men at work e Syntax error a Rebibbia, Divieto di sosta a Ivrea, Pid a Rieti, Campo dei miracoli a Trani, L'Arcolaio a Siracusa) sono in estremo affanno e stanno capendo come reagire a quello che tutti gli effetti è un colpo devastante, alla luce del fatto che fino a poche settimane fa non ci si sarebbe mai aspettati un tracollo simile. "Sono 10 anni che lavoriamo nelle mense carcerarie, anni in cui sono passati governi decisamente negativi. Mai ci saremmo aspettati da quello attuale, che sembrava essere il migliore per il mondo del sociale, un simile gesto: ci sentiamo colpiti e affondati", riporta la presidente della coop Abc. Anche i direttori delle 10 carceri coinvolte, nel luglio scorso, avevano scritto una lettera elogiando il servizio. Intervistato nei giorni scorsi da Vita, il direttore di Bollate si è detto "preoccupato" e determinato a mantenere perlomeno in vita le attività di qualità della coop presente nel proprio penitenziario, l'Abc, appunto. "In effetti dobbiamo ringraziare la direzione del carcere se in questi giorni stiamo provando a trovare nuove strade per salvaguardare il resto del nostro lavoro", indica Polleri. "Comunque, né al ministero della Giustizia ne al Dap si rendono conto che le persone detenute che dovremo licenziare fra tre giorni sono contribuenti statali, che versavano al fisco regolarmente la parte spettante del loro stipendio". Il neodirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, che nel fine settimana ha dichiarato alla Stampa "L'esperimento è ottimo, intendiamoci, e auspico che con i responsabili di queste coop si trovino progetti in grado di sostenersi da soli. Ma sono finiti i fondi, questa è l'amara verità", incontrerà dal 15 gennaio in poi le cooperative coinvolte, una a una. Si salverà il salvabile? Giustizia: via il lavoro dalle carceri? Manconi (Pd): è la vittoria dei giustizialisti www.ilsussidiario.net, 13 gennaio 2015 Via le cooperative sociali dalle carceri. Il governo tira dritto, e a quanto pare non è intenzionato a rinnovare l’affidamento del servizio per la fornitura di pasti ai detenuti. Con il provvedimento andrà perduta l’opportunità, per i detenuti che aderiscono al progetto, non solo di lavorare in carcere, ma anche di imparare un lavoro, in modo da essere pronti al “dopo”, a quando saranno in libertà. Un duro colpo alla loro dignità, a quella riscoperta di sé come uomini che viene dal lavoro. L’ultima novità, in ordine di tempo, è la mancata concessione della proroga di 16 giorni alla gestione delle cucine (dal 16 al 31 gennaio 2015), annunciata il 30 dicembre nell’incontro con il ministro Andrea Orlando, il capo di gabinetto Giovanni Melillo e il capo del Dap Santi Consolo. I 15 giorni dovevano servire a incontrare le cooperative e trovare delle soluzioni per evitare l’interruzione dei progetti di gestione delle cucine in dieci carceri, che hanno dato risultati estremamente positivi. Ne abbiamo parlato con Luigi Manconi, sociologo e scrittore, già sottosegretario alla Giustizia. Che ne pensa, Manconi? Quanto va succedendo intorno a questa vicenda appare difficilmente comprensibile. In ogni caso, non sono state fornite finora dall’autorità competente adeguate motivazioni. Mi spiego. Lasciando da parte per un attimo gli argomenti delle cooperative sociali, mi risulta che direttori, provveditori, personale dell’amministrazione, agenti di polizia penitenziaria, educatori, cappellani, volontari, magistrati di sorveglianza siano concordi in grandissima maggioranza, e forse all’unanimità, nel valutare positivamente questa modalità di attività lavorativa in carcere. Dunque, ciò che non è stato esplicitato e che, comunque, io non riesco a comprendere, è quali e dove siano i fatti e gli aspetti negativi. Dal punto di vista economico questa scelta dell’amministrazione penitenziaria porta o no un risparmio per le casse dello Stato e quindi per i cittadini? Dal punto di vista economico, non sembra esservi alcun dubbio sul fatto che con l’attività delle cooperative sociali non solo si risparmia, ma - fatto ancora più importante - si ottengono risultati altrimenti irraggiungibili. Pertanto, se pure con il ritorno alla vecchia gestione si avesse un qualche risparmio, risulterebbero annullati l’utilità sociale e benefici derivanti dall’attività delle cooperative. Se poi aggiungiamo le multe che l’amministrazione deve pagare per i ricorsi (e sono molti di più quelli per il lavoro rispetto a quelli per il sovraffollamento), faccio fatica a capire dove stia l’interesse pubblico. Da ultimo, la risocializzazione, il rispetto dei diritti, la dignità della persona, anche se privata della libertà, non possono essere ignorati o messi in secondo piano. È un problema della società e del suo livello di civiltà giuridica. Se, quindi, questi interrogativi che, come ho detto, non sono solo miei, non trovano risposte convincenti, rischia di venire confermata l’ipotesi peggiore. Quale, professore? Esito a dirlo, tanto la prospettiva mi sembra cupa e regressiva, ma sembra affiorare l’idea di trasformare il lavoro penitenziario in una forma velata, in ogni caso fortemente ambigua, di lavoro forzato, quello che papa Francesco chiama “le nuove forme di schiavitù”: lo sfruttamento delle fasce più vulnerabili che, tanto più se hanno commesso errori, è bene che paghino e tacciano. Capisco che possa apparire un’ipotesi inaudita per le nostre orecchie e per la nostra sensibilità, ma in Italia e anche a livelli istituzionali elevati, ci sono orecchie e sensibilità che trovano del tutto plausibile una simile opzione. Che, non a caso, ha già i suoi mezzi di propaganda e i suoi testimonial eccellenti. E non mi riferisco certo al ministro Orlando e al suo capo di Gabinetto Melillo, che hanno tutt’altra posizione. Sono sicuro che, nella sua forma più brutale (lavoro gratuito coatto), quell’ipotesi, difficilmente potrà essere accolta, ma temo che in altre variabili rischi di essere apprezzata dal giustizialismo dilagante. Dal 16 di gennaio circa 170 detenuti e circa 40 operatori (maestri cuochi, psicologi, educatori, personale civile in genere) perderanno il posto di lavoro. Gli operatori esterni diventeranno disoccupati. Per i detenuti il ministero ha garantito che tutti quelli che lavoravano con le cooperative saranno riassunti dall’amministrazione penitenziaria con la modalità delle mercedi (i due terzi del contratto di lavoro dell’anno in corso, peccato che l’anno in corso per i detenuti è il 1993, cioè quando ancora c’erano le lire, da allora il contratto non è mai stato aggiornato). Questo comporterà uno stipendio almeno dimezzato da una parte e l’assenza totale di formazione, accompagnamento, qualità e il rispetto di tutte quelle norme specifiche della preparazione dei pasti. In altre parole, abbandonati a se stessi, non impareranno più un mestiere da spendere poi all’esterno. Questo è un grande problema ed è il motivo per cui nel 2003 era partito il progetto di trasformazione dei lavori domestici a mercedi in servizi veri, secondo le regole del mercato. A mio avviso, se la verifica del progetto, partito ormai 11 anni fa, risulta essere complessivamente positiva, esso va salvaguardato ed esteso a tutte le carceri. Se dal 16 gennaio i detenuti, vedendosi più che dimezzata la busta paga, decidessero qualche forma di protesta “legittima” come ad esempio alcune giornate di sciopero o il rifiuto del vitto, o lo sciopero della fame, a che cosa potrebbero andare incontro? Hanno questi diritti o possono avere delle ritorsioni magari in nome della sicurezza? Hanno quel diritto, eccome. Va ricordato, infatti, che la reclusione comporta la privazione della libertà, ma non certo l’annullamento degli altri diritti, garanzie, facoltà, che sono propri di ciascun individuo e inalienabili. Senza dubbio il carcere comporta la compressione di alcuni diritti e la loro più faticosa applicazione, determina limitazione e sospensione nell’esercizio di alcune libertà, ma tutto questo va puntualmente motivato e può essere sottoposto ad appello e ricorso. Nessun’altra privazione di diritto è consentita. D’altra parte, l’opportunità di svolgere un’attività lavorativa risponde a quella finalità rieducativa della pena così tassativamente prevista dalla carta costituzionale. E la possibilità di ricorrere a forme di protesta qualora ci si ritenga vittime di comportamenti ingiusti corrisponde a un fondamentale atto di libertà. Se, pertanto, in presenza di forme pacifiche di protesta, vi fossero ritorsioni, esse sarebbero, appunto, ritorsioni: esercizio illegale di potere. Giustizia: De Poli (Udc); rinnovare appalto cooperative per garantire lavoro ai detenuti Italpress, 13 gennaio 2015 "Sulla questione delle cucine nelle carceri chiederò al ministro Andrea Orlando di valutare approfonditamente l'opportunità di procedere al rifinanziamento di una sperimentazione che ha avuto risultati positivi in tutta Italia. I numeri parlano chiaro: chi tra i detenuti ha avuto la possibilità di imparare un mestiere durante la detenzione, una volta libero, commette nuovi reati solo nel 2 dei casi". Lo afferma il senatore e vicesegretario vicario Udc Antonio De Poli, che presenterà un'interrogazione parlamentare indirizzata al Guardasigilli con cui si chiederà di affrontare il problema delle cooperative sociali che gestiscono il lavoro in 10 strutture penitenziarie. "Il lavoro in carcere non può essere considerato un optional. I detenuti assunti dalle cooperativa, stando ai risultati diffusi dal Ministero stesso, hanno avuto modo di acquisire professionalità decisive per il loro reinserimento sociale". De Poli cita tra tutti il caso di Padova dove "si trova un'eccellenza con i panettoni (donati anche a Papa Francesco) prodotti da un laboratorio pasticceria che si trova all'interno del carcere Due Palazzi". "Il 15 gennaio scade la convenzione nelle 10 strutture penitenziarie - sottolinea. La notizia informale di venerdì è che non è stata concessa un'ulteriore proroga per 16 giorni, fino al 31 gennaio, come avrebbe comunicato il ministro Orlando in un incontro avvenuto il 30 dicembre a Roma. Da qui la decisione dei direttori delle 10 cooperative sociali coinvolte di inviare un'altra richiesta di incontro urgente con il ministro, il capo di Gabinetto Giovanni Mellilo e con il capo del Dap Santi Consolo. Ora il caso sbarca in Parlamento". Giustizia: allarme del Sappe sul rischio fondamentalismo islamico nelle carceri italiane Ansa, 13 gennaio 2015 "Anche il carcere è luogo sensibile, da monitorare costantemente, per scongiurare pericolosi fenomeni di proselitismo del fondamentalismo islamico tra i detenuti presenti in Italia. La Polizia Penitenziaria, attraverso gruppi selezionati e all'uopo preparati, monitora costantemente la situazione, ma non dimentichiamo che oggi è ancora significativamente alta la presenza di detenuti stranieri in Italia. Rispetto agli oltre 53.600 presenti alla data del 31 dicembre scorso, ben 17.462 erano stranieri e di questi circa 8mila di Paesi del Maghreb e dell'Africa". È la denuncia del segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. Capece ricorda come: "indagini condotte negli istituti penitenziari di alcuni paesi europei tra cui Italia, Francia e Regno Unito hanno rivelato l'esistenza di allarmanti fenomeni legati al radicalismo islamico, che anche noi come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria abbiamo denunciato in diverse occasioni. Tra questi fenomeni, vi è la radicalizzazione di molti criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, i quali, pur non avendo manifestato nessuna particolare inclinazione religiosa al momento dell'entrata in carcere, sono trasformati gradualmente in estremisti sotto l'influenza di altri detenuti già radicalizzati. Un po' come accadde ai tempi del terrorismo, quando la consistente detenzione di molti terroristi - in particolare delle Brigate Rosse - portò delinquenti comuni ristretti in carcere ad abbracciare la lotta armata in carcere". Il Sappe evidenzia infine che "nel periodo giugno-settembre 2004 l'Ufficio per l'Attività Ispettiva e del Controllo dell'Amministrazione Penitenziaria ha effettuato un primo monitoraggio, teso a verificare la possibilità e le modalità d'incontro, sia di natura casuale (rientrante nella normale vita d'Istituto) sia quelli finalizzati alla professione della fede religiosa, costituzionalmente garantita, il cui esito ha permesso di venire a conoscenza che il carcere rimarcava fedelmente la realtà geografica strutturale esterna. E le regioni con una maggiore concentrazione di ristretti musulmani sembravano essere quelle del Nord e la Campania o comunque altre località le cui realtà esterne rilevavano una forte presenza della comunità islamica rappresentata da centri islamici e Moschee. Questo fa comprendere il gravoso compito affidato alla Polizia Penitenziaria di monitorare costantemente la situazione nelle carceri per accertare l'eventuale opera di proselitismo di fondamentalismo islamico nelle celle, anche alla luce dei tragici fatti di Parigi. Ma per fare questo, servono anche fondi per la formazione e l'aggiornamento professionale dei poliziotti penitenziari nonché per ogni utile supporto tecnologico di controllo, fondi che in questi ultimi anni sono stati invece sistematicamente ridotti e tagliati dai Governi che si sono via via succeduti alla guida politica del Paese. Giustizia: carceri italiane, si entra innocenti, si esce di Al Qaeda di Damiano Aliprandi Il Garantista, 13 gennaio 2015 La stretta repressiva invocata da Alfano esiste già. Basta essere musulmani e sospettati di terrorismo per vedere i proprio diritti negati. Leggi speciali, ritiro del passaporto e applicazione di misure antimafia a sospetti terroristi. Questo è ciò che prospetta il ministro degli interni Angelino Alfano come reazione all’attentato jihadista al Charlie Hebdo, a Parigi. Ancora una volta lo stato di diritto vacilla e c’è un’attenzione particolare alle nostre disastrare carceri. Che l’istituzione carceraria rischi di diventare una fabbrica di nuovi terroristi è una realtà più che concreta. Un ragazzo musulmano che entra in carcere per un furtarello, corre il pericolo di subire un lavaggio del cervello dai fanatici religiosi e magari essere reclutato per entrare a far parte di una cellula terroristica. Ma il reclutamento viene facilitato proprio dalla repressione che avviene all’interno delle carceri e che Alfano vorrebbe accentuare ancora di più in nome della lotta al terrorismo. La Guantánamo italiana Fino a qualche tempo fa l’Italia aveva una piccola Guantánamo, ovvero il carcere “speciale” sardo di Macomer che provocò numerose proteste da parte dei detenuti islamici - la maggior parte di loro in attesa di giudizio - per presunte persecuzioni religiose e civili nel regime di massima sicurezza. L’associazione Antigone denunciò i maltrattamenti a cui sarebbero stati sottoposti i presunti terroristi fin dal loro arrivo nel carcere, Presunte violenze confermate anche all’avvocato Rainer Burani, legale di numerosi imputati di 270bis. “I detenuti mi hanno riferito di non poter comprare le medicine, che costano molto, perché non hanno le possibilità economiche e il carcere non le passa. Inoltre non hanno la possibilità di lavorare in prigione”, raccontò il legale. “Bisogna tener conto che molti di loro non ricevono soldi né pacchi dalle famiglie, anche perché spesso si trovano in Italia da soli”. Particolarmente dure le condizioni di carcerazione: “Mi hanno detto che vivono in isolamento continuo, con il passeggio attaccato alla cella di sette metri quadrati e la porta sempre chiusa - proseguiva Burani -. Inoltre non possono avere vestiti personali né possono contattare i volontari, anche per motivi religiosi”. “Questi detenuti sono sottoposti in modo quasi burocratico all’isolamento”, spiegò un altro avvocato specializzato della difesa dei presunti terroristi, Luca Bauccio. “Il dramma è che si è passati da una politica emergenziale a una normalizzazione dell’emergenza. I 270bis sono trattati con un automatismo burocratico - che prevede l’isolamento e altre misure - senza che alla base ci sia una valutazione reale dei rischi e della loro pericolosità”. Nel 2009 i detenuti musulmani sottoposti al regime duro al carcere di Macomer inviarono una lettera descrivendo la loro condizione, esordendo con queste parole di denuncia. “Vogliamo raccontare alla associazione gli abusi di potere contro i prigionieri islamici che si verificano al carcere di Macomer (Nuoro). Una piccola Guantánamo nell’isola di Sardegna. Però adesso i prigionieri di Guantánamo stanno meglio di noi che siamo chiusi in questo lager”. Oggi il carcere in questione è stato chiuso, e i detenuti sono stati trasferiti in altre carceri speciali. Livello di sicurezza AS2 Per i detenuti musulmani accusati di terrorismo, nel 2009, è stato creato appositamente un nuovo livello sicurezza, denominato Alta sicurezza secondo livello (As2), con particolari caratteristiche: isolamento dagli altri reclusi, colloqui e telefonate in numero ridotto (quattro al mese invece di sei), ora d’aria da svolgersi in aree particolari, porta della cella blindata sempre chiusa. E inoltre niente radio né televisione, divieto di leggere giornali arabi, libri e vestiti centellinati, posta controllata e fornelli del gas consegnati giusto il tempo necessario per cucinare e subito ritirati. Ma soprattutto nessuna possibilità di entrare in contatto con gli altri detenuti, anche per evitare il rischio di proselitismo tra gli islamici imputati di reati comuni. In pratica un circuito speciale all’interno del circuito speciale ad alta sicurezza e ovviamente i detenuti considerano questo modo di procedere una ghettizzazione e un’etichettatura ingiusta, subita per di più prima ancora di essere stati condannati. Quanti di essi poi, per reazione, rischiano davvero di diventare terroristi veri? Attualmente sono circa una quarantina, tutti maschi, i detenuti islamici rinchiusi nelle prigioni italiane e accusati di terrorismo internazionale, il reato previsto dall’articolo 270 bis del codice penale. E questo reato - utilizzato recentemente anche per accusare i tre ragazzi No Tav, recentemente assolti - è un regalo di Al Qaeda. Nella sua versione attuale venne infatti istituito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle, quando la situazione politica internazionale, con le guerre in Iraq e Afghanistan, radicalizzò ulteriormente l’attività dei gruppi islamici. La conseguenza fu quella di estendere un reato che puniva gli atti di violenza compiuti contro lo Stato italiano anche a quelli mossi in atto contro altri paesi. Per molti avvocati penalisti, si tratterebbe di una mostruosità giuridica. “È chiaro che lo Stato deve difendersi, ma ho forti dubbi che gli episodi che ci troviamo a trattare in Italia possano essere inquadrati come terrorismo internazionale”, spiegò ad esempio Carlo Corbucci, legale di molti imputati per il 270bis e autore del libro “Il terrorismo islamico in Italia: realtà e finzione”. Ma a preoccupare Corbucci sono soprattutto le successive modifiche apportate all’articolo 270: “L’ultima versione, il 270 quinqes, arriva a colpire anche chi scarica materiali, o semplicemente li visiona, dai siti internet considerati vicini ad Al Qaeda”. Il ruolo dei magistrati Il ministro Alfano ha posto una particolare attenzione alle carceri, nelle quali sono recluse decine di migliaia di stranieri, molti dei quali provenienti dal mondo arabo. E viene rispolverato un dossier redatto nel 2010 dall’allora capo del Dap Franco Ionta, che parlò di circa 40mila detenuti sensibili al richiamo integralista islamico. Si rischia così nuovamente - al livello istituzionale - di equiparare la fede religiosa islamica al terrorismo. Il dossier in questione è composto da 136 pagine e spiega in maniera dettagliata il rischio potenziale del reclutamento jhadista. Per arrivare a compilare la lista dei possibili reclutatori la polizia penitenziaria ha monitorato “i normali aspetti di vita quotidiana” di centinaia di carcerati: “flussi di corrispondenza epistolare, colloqui visivi e telefonici, somme di denaro in entrata e in uscita, pacchi, rapporti disciplinari, ubicazione nelle stanze detentive, frequentazioni e relazioni comportamentali”. Informazioni che confermano quanto avevano segnalato i servizi segreti con un rapporto nel quale indicavano “un’insidiosa opera di indottrinamento e reclutamento svolta da “veterani”, condannati per appartenenza a reti terroristiche, nei confronti di connazionali detenuti per spaccio di droga o reati minori”. In realtà i dati non sono attendibili perché si rifanno agli atti giudiziari che hanno portato in carcere i presunti terroristi. Ciò significa che l’analisi si è fatta in base alle accuse ancora non confermate dalla Cassazione. Dagli atti sono state identificate varie sigle che ipoteticamente ricercano nuovi affiliati: si tratterebbero del Gruppo Salafita per la predicazione ed il combattimento (Algeria); Gruppo islamico combattente marocchino; Ansar ai-Islam (Medio Oriente); Hamas ) e naturalmente al Qaeda. “L’elemento psicologico ed emozionale di cui l’individuo è vittima entrando nel sistema carcerario - segnala il rapporto del Dap -è divenuto col tempo un fertile terreno per i reclutatori delle organizzazioni estremistiche islamiche, che nell’ambito del sistema carcerario hanno saputo col tempo costruire una poderosa rete di controlla e manipolazione”. Ma il rapporto dimentica di citare le condizioni dure cui l’istituzione carceraria sottopone i detenuti in attesa di giudizio di fede musulmana e accusati di terrorismo. È elemento psicologico “perfetto”, supportato dallo Stato. Giustizia: curarsi in carcere, il diritto del detenuto conviene a tutti di Antonio Mattone* Il Mattino, 13 gennaio 2015 È opportuno parlare oggi di sanità all’interno delle carceri? Vale la pena di soffermarsi sulla domanda salute dei detenuti? Se ne discuterà nella giornata di oggi nella casa circondariale Giuseppe Salvia - Poggioreale, alla presenza del ministro della giustizia Andrea Orlando e del presidente della regione Stefano Caldoro. Un dibattito a più voci all’interno di quello che fino a pochi mesi fa era definito “l’inferno Poggioreale” e che dopo la riduzione di mille detenuti e l’avvio di un nuovo corso trattamentale sta tornando ad essere un carcere a misura d’uomo. C’è un laborioso fermento e un grande entusiasmo per preparare questo evento ma anche in vista della venuta di papa Francesco che il prossimo 21 marzo visiterà questa periferia esistenziale nel cuore della città e si fermerà a pranzo con i carcerati. Nell’aprile 2008 fu emanata una importante riforma che trasferiva le competenze della medicina penitenziaria dal ministero della giustizia al servizio sanitario nazionale. Questo decreto legislativo prevedeva un principio fondamentale sancito dalla Costituzione: i detenuti e gli internati hanno gli stessi diritti nel campo della prevenzione, diagnosi e cura del cittadino libero. Tuttavia, a sette anni dalla sua approvazione, permangono ancora criticità e molti problemi restano aperti, e c’è chi parla di “riforma incompiuta”. Mancano modelli organizzativi omogenei per la medicina penitenziaria tra i diversi territori, andrebbe assicurata la stabilizzazione del personale medico e infermieristico laddove ci sono continui turnover, permangono lunghe liste di attesa per ricoveri, visite ed esami specialistici, i posti nei reparti detentivi degli ospedali sono insufficienti. Indietro, però, non si può tornare. Il vecchio sistema era caratterizzato da un servizio sanitario anacronistico, autoreferenziale, emergenziale, dotato di strumentazioni obsolete, subordinalo all’esigenza di ordine e sicurezza, in contrasto con il dettato costituzionale che garantisce ai cittadini privati della libertà pari diritti a salute e cura. La riforma ha espresso il bisogno di una cultura nuova davanti a pregiudizi e rassegnazione. Nessuno può essere escluso dall’assistenza sanitaria perché ha commesso un reato. A chi vive una difficoltà, un disagio, psichico o fisico, deve essere data la possibilità di essere curato. La società civile deve sentire questa responsabilità. Si dice che i detenuti hanno le stesse difficoltà che hanno le persone libere nel curarsi. Ma questo non è vero. I cittadini liberi possono scegliere da chi e dove farsi curare, per i carcerati questo none possibile. Inoltre in carcere è più facile ammalarsi. La privazione della libertà, la promiscuità, la sedentarietà, la pressione psicologica, causano molteplici patologie. I centri clinici somigliano a dei veri e propri cronicari. Basti pensare che solo negli istituti campani ci sono 60 ultrasettantenni. Altro aspetto è quello dei tossicodipendenti, che necessitano di interventi socio-sanitari esterni per il loro recupero, ma scontano la pena tra le mura del carcere fino all’ultimo. Un carcere sano vuol dire un territorio sano. Far uscire persone sane dal carcere, significa restituire persone sane alla società. E questo sarà possibile solo se ci sarà una collaborazione e una sinergia tra tutte le istituzioni per far emergere la potenzialità che la riforma può e deve ancora esprimere. *Responsabile per le carceri in Campania della Comunità di Sant’Egidio Giustizia: caso Cucchi; motivazioni sentenza di appello "fu picchiato, ora nuove indagini" La Repubblica, 13 gennaio 2015 Depositate le carte dei giudici dopo l'assoluzione nell'ottobre scorso di tutti gli imputati per la morte del geometra romano. Gli atti del processo alla procura: "Accertare eventuali responsabilità di persone diverse". "Stefano Cucchi "è stato picchiato". Ma resta ancora da indagare su chi furono gli autori del pestaggio. A ripetere questo concetto sono i giudici della corte d'assise d'appello nelle motivazioni della sentenza con la quale il 31 ottobre scorso hanno assolto da tutte le accuse i tre agenti penitenziari, i sei medici e i tre infermieri imputati nel processo per la morte del geometra romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 per droga e deceduto una settimana dopo nell'ospedale Sandro Pertini, ribaltando la sentenza di primo grado che condannava i camici bianchi per omicidio colposo. Gli atti vanno dunque trasmessi al procura affinché "valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse" dai poliziotti della penitenziaria già giudicati. Nelle 67 pagine della Corte d'Assise d'Appello di Roma i giudici riportano lo svolgimento del processo e ribadiscono che, se da una parte non sono chiare le cause della morte, dall'altra va chiarito il ruolo di chi, a cominciare dai carabinieri, ha avuto in custodia Cucchi nella fase successiva alla perquisizione domiciliare. Per il collegio, presieduto da Mario Lucio D'Andria, "le lesioni subite dal Cucchi debbono essere necessariamente collegate a un'azione di percosse; e comunque da un'azione volontaria, che può essere consistita anche in una semplice spinta, che abbia provocato la caduta a terra, con impatto sia del coccige che della testa contro una parete o contro il pavimento". E "non può essere definita una astratta congettura l'ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l'azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare". L'ipotesi si fonda su testimonianze secondo cui "già prima di arrivare in tribunale Cucchi aveva segni e disturbi che facevano pensare a un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte". L'attività di medici e infermieri su Stefano Cucchi "non è stata di apparente cura del paziente ma di concreta attenzione nei suoi riguardi" aggiungo i giudici. E rispetto alla causa stessa del decesso - si sottolinea - che "non c'è alcuna certezza" e, conseguentemente, "non è possibile individuare le condotte corrette che gli imputati avrebbero dovuto adottare". Inoltre "le quattro diverse ipotesi avanzate al riguardo, da parte dei periti d'ufficio (morte per sindrome da inanizione), dai consulenti del pubblico ministero (insufficienza cardio-circolatoria acuta per brachicardia), delle parti civili (esiti di vescica neurologica) e degli imputati (morte cardiaca improvvisa), tutti esperti di chiara fama - si spiega - non hanno fornito una spiegazione esaustiva e convincente del decesso. Dalla mancanza di certezze, non può che derivare il dubbio sulla sussistenza di un nesso di causalità tra le condotte degli imputati e l'evento". La riapertura delle indagini era stata già chiesta dalla famiglia. Nell'ottobre scorso, alla lettura della sentenza, la sorella Ilaria era scoppiata in lacrime: "La giustizia malata ha ucciso Stefano. Attenderemo le motivazioni e andremo avanti. Chi ha commesso un errore deve pagare, ma non con la vita come mio fratello" aveva detto. "È un verdetto assurdo - aveva ripetuto Rita, mamma di Stefano. Mio figlio è morto dentro quattro mura dello Stato che doveva proteggerlo". "Vogliamo la verità. Possono assolvere tutti ma io continuerò a chiedere allo Stato chi ha ucciso mio figlio", aveva aggiunto papà Giovanni. E la famiglia Cucchi non si era arresa, annunciando il ricorso in Cassazione dopo la lettura delle motivazioni e presentando un esposto in Procura contro il perito Arbarello. Dall'altro lato c'era stata la soddisfazione degli imputati: il primario del reparto detenuti del ‘Pertinì, Aldo Fierro, i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo e Rosita Caponetti; gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe; gli agenti della Penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. "Sono veramente felice di questa sentenza - aveva commentato Giuseppe Flauto, uno degli infermieri assolti anche in secondo grado - non solo per me, ma anche per i medici del Pertini perché più volte in primo grado hanno detto che non erano degni di vestire il loro camice. Oggi c'è stata una giustizia vera". La sentenza aveva provocato anche un'ondata di solidarietà nei confronti della famiglia del 31enne e la richiesta, proveniente anche da alti esponenti della politica nazionale come il presidente del Senato Pietro Grasso e il premier Matteo Renzi, di chiarire i punti oscuri della vicenda della morte del giovane. Garante detenuti Lazio: amara conferma a mie denunce "Le motivazioni della Corte d'Appello sono, purtroppo, l'amara conferma di quello che ho denunciato fin dalle prime ore seguenti la morte di Stefano Cucchi e cioè che la verità andasse cercata anche nelle fasi precedenti la sua presa in carico da parte della Polizia Penitenziaria. Paradossalmente, però, una sentenza di assoluzione può oggi aiutarci a trovare la verità". Lo dichiara in una nota il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando la sentenza con cui i giudici dell'Appello hanno assolto gli agenti della polizia penitenziaria, i medici e i paramedici dell'ospedale Sandro Pertini accusati della morte di Stefano Cucchi avvenuta il 22 ottobre 2009. Nelle ore immediatamente successive alla morte del giovane, il garante inviò un esposto alla Procura della Repubblica della Capitale nella quale si chiedeva, prima ancora che fossero noti tutti i dettagli della vicenda, di "verificare se effettivamente la mattina del 16 ottobre 2009 vi fosse stato un intervento del 118 presso la camera di sicurezza dei carabinieri che ospitava il Cucchi e di verificare chi fosse materialmente intervenuto in quella occasione e quali fossero le condizioni cliniche del detenuto al momento dell'intervento". "Un convincimento, quello che la verità andasse cercata altrove rispetto alla direzione presa dalle indagini", che il Garante ha espresso "chiaramente in più occasioni, compresa una audizione davanti alla Commissione Parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e un intervento all'interno del docufilm 148 Stefano, presentato al Festival del Cinema di Roma. Denunce rimaste tutte senza esito". "L'invio della sentenza alla Procura della Repubblica perché valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità dimostra", secondo Marroni "la carenza delle attività investigative svolte concentrate esclusivamente sul periodo di permanenza di Cucchi in carcere e in ospedale. Indagini che hanno tralasciato colpevolmente le vicende precedenti al suo arrivo al Tribunale di piazzale Clodio, l'arresto e la sua detenzione nelle mani dei carabinieri. Se si fossero svolte indagini a 360°, come la logica imponeva, forse oggi la famiglia Cucchi avrebbe quella giustizia che da cinque anni va disperatamente cercando, e si sarebbero risparmiate sofferenze ed umiliazioni non solo ai familiari del povero Stefano ma anche a tutte quelle persone che sono state accusate e poi giudicate innocenti". Giustizia: caso Loris; avvocato di Veronica Panarello "attendiamo ancora esiti esami Dna" Ansa, 13 gennaio 2015 "Sono passati 30 giorni, ma ancora non abbiamo avuto gli esiti degli accertamenti irripetibili eseguiti in casa Stival e degli esami del Dna". Lo afferma l'avvocato Francesco Villardita, che assiste Veronica Panarello, la 26enne accusata di avere ucciso il figlio Loris, di 8 anni, strangolandolo con delle fascette di plastica il 29 novembre del 2014 a Santa Croce Camerina, nel Ragusano. "Per noi - aggiunge il penalista - sul piano processuale e delle indagini difensive sono dati importanti. Aspettiamo di poterli avere nel più breve tempo possibile". Il legale è ancora "in attesa anche delle motivazioni del Tribunale del riesame di Catania, che non hanno ancora depositato il provvedimento, capire come hanno superato le criticità sottolineate dalla difesa" nei confronti dell'ordinanza restrittiva che tiene la donna reclusa nella prigione di Agrigento. Il 3 gennaio scorso i giudici hanno rigettato la richiesta di scarcerazione della mamma di Loris, confermando l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 12 dicembre del 2014 dal Gip di Ragusa, Claudio Maggioni, su richiesta del procuratore Carmelo Petralia e del sostituto Marco Rota. Il Giudice delle indagini preliminari, in quell'occasione, ha anche confermato il fermo per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere eseguito tre giorni prima da polizia di Stato, squadra mobile e carabinieri di Ragusa. Giustizia: un anno in cella da innocente, il vero rapinatore confessò ma non gli credettero di Valeria Di Corrado Il Tempo, 13 gennaio 2015 Lo scambio di persona si era palesato sin dal principio, eppure lo Stato è stato costretto a sborsare 100 mila euro per quell'errore. Manolo Zioni, romano di 26 anni, ha trascorso in carcere un anno con l'accusa di concorso in tre rapine, nonostante un detenuto si fosse sin da subito autoaccusato di quei "colpi". Dopo la sentenza di assoluzione, la quarta sezione penale della Corte d'appello di Roma ha condannato il ministero dell'Economia a corrispondere a Zioni un indennizzo pari a 235 euro per ciascuno dei 351 giorni trascorsi in carcere. Il 20 settembre 2010 il giovane, all'epoca aveva 22 anni, viene arrestato per aver commesso tre rapine, il 16 agosto, il 9 e il 19 settembre 2010, nello stesso supermercato di via San Cleto Papa (zona Pineta Sacchetti) e con le stesse modalità. Il fermo viene convalidato il 23 settembre e il 12 ottobre la custodia cautelare in carcere è confermata dal Riesame. Il 29 dicembre Alessandro Rossi, già recluso per una serie di rapine consumate nella stessa zona, in un interrogatorio reso al pm, ammette di aver commesso anche le tre conteste a Zioni. Il 10 gennaio 2011, a una settimana dalla prima udienza dibattimentale, la difesa chiede di revocare la misura cautelare nei confronti del giovane, sulla base della testimonianza che lo scagiona. L'istanza viene però rigettata dal Tribunale. Nel corso del processo i dipendenti del supermercato, sentiti come teste, non riconoscono in Zioni l'autore delle rapine. Ma i giudici non sono convinti dell'innocenza dell'imputato e dispongono d'ufficio una perizia antropometrica sulle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza. La svolta arriva grazie a un tatuaggio. Sul corpo del vero ladro è tatuato una specie di diamante. Anche Zioni ha un segno sul collo ma il perito ha chiarito che si trattava di solo di una macchia sulla pelle. Sulla base di questo accertamento, il 6 settembre 2011 il Tribunale rimette in libertà il giovane e, a distanza di venti giorni, lo assolve "per non aver commesso il fatto". I suoi legali presentano subito alla Corte d'appello un'istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita. I giudici riconoscono le conseguenze psicologiche e morali connesse al provvedimento coercitivo, considerata "soprattutto la sua inutilità". Già dal 29 dicembre 2010, infatti, Alessandro Rossi aveva confessato la paternità delle rapine attribuite a Zioni. "Nonostante questo e nonostante le successive deposizioni dei testimoni oculari - si legge nella sentenza - sono dovuti trascorrere oltre 8 mesi per escludere la sua responsabilità. Lo scambio di persona è fuor di dubbio, unitamente all'assenza da parte di Zioni di comportamenti che possano averlo favorito". Il 26enne è stato nuovamente arrestato lo scorso giugno per aver gambizzato in zona Primavalle Gianluca Alleva, personal trainer di 35 anni, che con Zioni sembra avesse un debito in sospeso. Massa: i detenuti potranno scegliere il medico di fiducia (tra quelli operanti in carcere) Ansa, 13 gennaio 2015 I detenuti potranno scegliere il medico di fiducia tra quelli operanti all'interno della struttura e uno sportello informativo sanitario consentirà ai familiari di monitorare le condizioni di salute del paziente in carcere. È quanto prevedono due progetti attivati all'interno della casa circondariale di Massa e che sono stati presentati stamani a Carrara alla presenza del sottosegretario alla giustizia Cosimo Maria Ferri. In particolare, dal primo novembre per due giorni al mese, è possibile per i parenti dei detenuti, e con il loro consenso, avere un colloquio sulle condizioni di salute del congiunto. Ferri ha sottolineato l'importanza delle due iniziative, uniche a livello nazionale, che nascono "con l'obiettivo di assicurare standard migliori di assistenza sanitaria ai soggetti reclusi e rendere questa più omogenea alle regole esterne valide per i liberi cittadini. La possibilità per il detenuto di avere un medico di riferimento - ha proseguito il sottosegretario - assicura una continuità terapeutica e facilita il rapporto di fiducia medico paziente, come peraltro ribadito dalle indicazioni dell'organizzazione mondiale della sanità, in un ambiente, quello carcerario, in cui tale rapporto presenta delle evidenti criticità". Bergamo: Tumore mentre è in cella. La moglie: “Curato male, ora rischia di morire” www.bergamonews.it, 13 gennaio 2015 “Mio marito si è ammalato di tumore al pancreas in carcere ed è stato trascurato per oltre un mese”. È l’accusa di Ave, una 61enne di Lovere, moglie di Giacomo Mazza, 66 anni, detenuto fino alla scorsa settimana in via Gleno per rapina. Dal penitenziario: “Nessuna anomalia sul caso. Qualche settimana non cambia il quadro clinico”. Il detenuto ha iniziato a sentirsi male nei primi giorni di novembre dello scorso anno, come racconta la donna: “Inizialmente avvertiva dei forti dolori allo stomaco. Pian piano è peggiorato e non è più riuscito a mangiare. I dipendenti del carcere - denuncia, invece di sottoporlo a esami specifici, lo curavano con pastiglie generiche per i dolori”. Pasticche che, purtroppo, non servivano al signor Mazza: “Passavano i giorni e mio marito stava sempre peggio, ed era sempre più deperito. A un certo punto non è più riuscito a camminare, ed è stato costretto a muoversi su una sedia a rotelle”. E i risultati delle analisi finalmente effettuate hanno dato infatti un esito amaro: “Solo quando le sue condizioni sono peggiorate il carcere ha portato Giacomo in ospedale. È stata sottoposto a una Tac, che ha svelato la presenza di un tumore al pancreas. Un male che in questo periodo è cresciuto a una velocità impressionante. Se fosse stato diagnosticato prima - ne è sicura la donna - la situazione di mio marito ora sarebbe diversa”. Dopo la richiesta di scarcerazione da parte del suo avvocato, Leonardo Peli di Brescia, Giacomo Mazza viene fatto uscire giovedì 8 gennaio: “Ora è troppo tardi. Mio marito è fin di vita. Hanno già cominciato terapia del dolore”. Interpellato per una dichiarazione sulla vicenda Antonio Porcino, direttore della casa circondariale di via Gleno, si è limitato a dire: “Il signor Gamba è uscito dal carcere la scorsa settimana. Per ulteriori informazioni rivolgetevi all’autorità sanitaria”. Il dottor Claudio Arici, responsabile organizzativo della parte sanitaria del carcere bergamasco, commenta: “Se l’accusa che ci viene mossa è quella di non aver trattato il caso del signor Mazza nel modo adeguato, posso dire che questo non corrisponde alla realtà dei fatti. Abbiamo fatto quello che c’era da fare, nel rispetto del paziente. Purtroppo, nel caso di un tumore al pancreas come questo, qualche settimana è insignificante per la prognosi”. Rieti: attivata una sezione speciale del carcere riservata ai detenuti sex offenders di Massimo Cavoli Il Messaggero, 13 gennaio 2015 In sordina e senza annunci, tra Natale e Capodanno, nel carcere di Rieti è stata aperta una sezione speciale riservata ai sex offenders, detenuti che hanno commesso reati a sfondo sessuale (violenze nei confronti di donne e minori, sfruttatori della prostituzione, pedofili) e che per questo godono di uno spazio protetto rispetto al resto della popolazione carceraria che, secondo un codice non scritto, non ha rispetto per coloro che si sono macchiati di colpe infamanti. I primi sono arrivati a bordo di pullman, sotto scorta, provenienti da vari penitenziari italiani come Vigevano, Brescia, Frosinone, Viterbo ed altri, e sono stati sistemati nell'ala originariamente destinata a soggetti in regime di custodia attenuata, come i tossicodipendenti, il cui numero però è scemato dopo l'entrata in vigore della legge che ha reintrodotto la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, in seguito all'abrogazione per incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi che equiparava la marijuana a cocaina ed eroina. Così, è nato il progetto per ospitare nel reparto "F" i sex offenders. Usufruiscono, inoltre, di orari di apertura delle celle ridotti rispetto ai "colleghi" comuni che, invece, si muovono in regime di sorveglianza dinamica (libertà di spostamento e possibilità di socializzare all'interno del reparto), con la chiusura delle porte alle otto di sera. Sono stati effettuati dei lavori di adeguamento all'interno del reparto e l'iniziativa è potuta decollare. Per Rieti si tratta di una novità assoluta, perché nella vecchia Casa circondariale di Santa Scolastica, in via Terenzio Varrone, non c'erano spazi adatti e chi veniva arrestato per reati sessuali finiva spesso nei carceri più vicini, a Viterbo o a Roma. In Italia, poi, le strutture destinate ai sex offenders sono poche e, tra queste, c'è quella di Bollate, in provincia di Milano, considerata un modello. Attualmente nel nuovo reparto sono arrivati una quarantina di soggetti ma il numero è destinato a crescere, fino a superare le cento unità. Il progetto è solo all'inizio e necessita delle opportune verifiche che saranno al centro di un incontro che i sindacati degli agenti penitenziari si apprestano ad avere con la direttrice del Nuovo Complesso, Vera Poggetti, forse già domani. Uno dei problemi, infatti, è quello di destinare alle attività del reparto personale particolarmente adatto a svolgere certi compiti di sorveglianza nei confronti di soggetti dalla caratteristiche particolari. L'apertura della sezione F coincide con una diminuzione dei detenuti comuni grazie alla legge svuota carceri che prevede una serie di misure alternative per chi deve scontare condanne non superiori a tre anni. Così, il picco superiore a 400 detenuti raggiunto prima del varo della legge, si è sensibilmente ridotto. C'è chi ha ottenuto i domiciliari oppure la scarcerazione anticipata ma anche chi in carcere non ci finisce perché, se il reato commesso non prevede una pena non oltre il limite fissato dalla legge, può usufruire di altre misure. Santa Maria C.V. (Ce): raccolta differenziata in carcere, l'assessore incontra la direzione www.campanianotizie.com, 13 gennaio 2015 Prosegue l'attività di sensibilizzazione dell'amministrazione comunale per invitare cittadini, enti e aziende a rispettare le regole della raccolta differenziata. Nei giorni scorsi, l'assessore all'Ambiente Donato Di Rienzo ha fatto visita alla casa circondariale, dove ha incontrato i vertici dell'amministrazione penitenziaria, con i quali si è trovato in sintonia rispetto all'esigenza improcrastinabile di attuare la normativa ambientale anche all'interno del carcere. I rifiuti prodotti da una popolazione di oltre mille persone, infatti, incidono pesantemente sulle percentuali di raccolta differenziata nella città di Santa Maria Capua Vetere. Stessa sensibilità, ormai da tempo, è stata manifestata dai dirigenti scolastici, sempre più attenti al rispetto dell'ambiente, anche per la loro funzione educativa nella comunità degli alunni. Nel corso del mese di gennaio, intanto, sarà potenziata - a cominciare dagli istituti scolastici e dagli uffici pubblici - la raccolta di pile esauste, neon e piccoli elettrodomestici, a seguito di una delibera adottata dalla giunta guidata dal sindaco Biagio Di Muro. Il provvedimento approva l'iniziativa del Consorzio Italia Ricicla - già affidatario del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) - che amplierà, dal mese di gennaio, la raccolta di tali materiali. Il progetto prevede, dunque, di posizionare appositi contenitori presso i rivenditori e presso uffici o luoghi pubblici, in modo da rendere agevole il conferimento delle pile, dei neon e dei piccoli elettrodomestici (quali rasoi, mouse, stampanti, frullatori, telefoni). Questa iniziativa segue le numerose altre messe in campo dall'amministrazione comunale, come per esempio la raccolta "porta a porta" del vetro, che viene ormai regolarmente depositato la domenica sera e ritirato il lunedì mattina dagli operatori della ditta incaricata. Confermato il calendario per le altre tipologie di rifiuti: umido (domenica, martedì e giovedì), plastica e metalli (giovedì), carta e cartone (martedì), secco indifferenziato (lunedì, mercoledì e venerdì), con l'aggiunta del vetro la domenica sera. Si ricorda che i sacchetti per la differenziata sono distribuiti all'Ecosportello in via Galatina, allo sportello comunale nel Rione Iacp e al Rione Sant'Andrea. I rifiuti ingombranti sono ritirati a domicilio, concordando le modalità al numero verde 800.170.905. Anche i rifiuti ingombranti da apparecchiature elettriche (elettrodomestici, ecc.) sono ritirati a domicilio (numero verde 800.132.960). I materiali in buone condizioni che non vengono più utilizzati e che si vuole donare a chi ne ha più bisogno possono essere lasciati al "teatro del riuso" in via Galatina (angolo via Perlasca). Macomer (Nu): il Sindaco scrive al Dap "annullare chiusura del carcere, o riconvertirlo" Ansa, 13 gennaio 2015 Il sindaco di Macomer, Antonio Onorato Succu, ha scritto al Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) per cercare di rivedere le posizioni sulla chiusura del carcere di Macomer, avvenuta a fine dicembre, o in alternativa a promuovere la riconversione della struttura. Ieri il sindaco è andato a visitare la struttura carceraria che da fine dicembre è abbandonata dopo il trasferimento degli ultimi 45 detenuti. "Lo stabile è sporco e in abbandono - ha spiegato Succu - chiedo che almeno venga ripulito e messo in ordine". Nella lettera - che ha inviato anche al presidente Pigliaru, al ministro della Giustizia Andrea Orlando, ai parlamentari del Nuorese - chiede la costituzione immediata di un tavolo tecnico per parlare del futuro della struttura. "Chiediamo come prima istanza l'annullamento della decisione di dismissione in corso - afferma il sindaco. Ma qualora questo non si potesse fare proponiamo altre possibilità di recupero della struttura carceraria, che ha tutte le caratteristiche perché si possa pensare al riutilizzo come centro per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, come centro per ospitare condannati sottoposti a misure alternative alla detenzione, o come struttura per la riabilitazione del reinserimento di tossicodipendenti". "L'importante - conclude il sindaco di Macomer - è avere una risposta che dia qualche certezza sul futuro della struttura che può essere una opportunità per la nostra cittadina". Parma: Radicali; il report della visita ispettiva del 7 gennaio scorso al carcere cittadino www.radicali.it, 13 gennaio 2015 Mercoledì 7 gennaio, una delegazione di Radicali di Parma, a sostegno del Satyagraha di Natale con Marco Pannella, composta da Marco Maria Freddi, Silvio Tiseno, Agostino Agnero, Giovanni Ronda, Marina Rossi e Mara Rossi, si è recata in visita ispettiva al carcere di Parma: "Visitare un carcere non è un esperienza semplice, è una cosa che ti segna davvero. Ma è una esperienza importante per chi fa politica, poiché poche cose come la visita di un carcere ti ricordano che se ti dimentichi degli ultimi, dei più emarginati, non hai capito nulla di cosa deve essere la politica. Raccontare il carcere nel nostro paese non è facile perché calato in quella civiltà che definiamo democrazia. Il sovraffollamento, i suicidi, il richiamo istituzionale del Presidente della Repubblica Napolitano non sono sufficienti per trovare soluzioni politiche in grado di restituire dignità alle migliaia di detenuti le cui condizioni di vita coincidono con quel "trattamento disumano e degradante" ricordato dalle sentenze europee. Parma è un carcere problematico, per i diversi regimi detentivi a cui sono soggetti i detenuti. Accompagnati nella visita dal Direttore, Mario Antonio Galati, abbiamo visitato un settore del 41bis, un settore dei detenuti comuni e le infermerie. Il sovraffollamento è stato contenuto dalle recenti norme approvate dal Governo, al 7 gennaio 2015, i detenuti erano 530 su una capienza regolamentare di 430 detenuti. Da notare che solo 115 detenuti, sono nella media sicurezza, il rimanete dei detenuti appartengono a stati detentivi di alta sicurezza o regime di 41bis. Ciò di cui abbiamo discusso, durante il breve briefing, oltre al problema sovrappopolazione, abbiamo discusso dell'accesso ai servizi sanitari e ai tirocini lavorativi al fine di poter effettuare lavori esterni di utilità pubblica o presso l'industria privata. Abbiamo riscontrato che nonostante la complessità dei regimi detentivi, Parma ha un numero elevato di detenuti in semi-libertà o impiegati a lavori di pubblica utilità. L'importanza della formazione è legata a doppio filo alla necessità del reinserimento nel mondo del lavoro, in carcere prima e fuori successivamente, e nonostante l'amministrazione comunale abbia in essere un protocollo per attivare tirocini formativi ed inserimenti lavorativi protetti, le necessità di rinserimento all'esterno sarebbero più ampio. Il ruolo delle cooperative è fondamentale sia dentro che fuori dal carcere e se l'industria privata difficilmente assume, le cooperative sociali offrono possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Il carcere di Parma è dotato di un centro diagnostico terapeutico e quando questo non è sufficiente a coprire le esigenze, i detenuti hanno un canale di accesso dedicato, all'ospedale di Parma, che riduce i tempi di attesa in caso di urgenza. In attesa della reale messa in opera dello svuota-carceri con il ricorso alle pene alternative, il carcere di Parma attuerà il regolamento carcerario con il modello della sorveglianza dinamica che prevede una sorta di carcere a regime aperto che, per i detenuti a media e bassa pericolosità, potenzia gli spazi dedicati a lavoro, sport, attività ricreative e culturali, accesso al lavoro esterno e come dichiarato dal Direttore, la vigilanza dinamica punta sull'aspetto riabilitativo della pena, la vigilanza dinamica funziona e da questo nuovo modello di regime aperto, non si torna indietro. La sorveglianza dinamica, rappresenta il sistema più efficace per assicurare l'ordine all'interno degli istituti, senza ostacolare le attività trattamentali e fonda i suoi presupposti su di un sistema che fa della conoscenza del detenuto il fulcro su cui deve piegare qualsiasi tipo di intervento trattamentale o securitario adeguato. Tanto da fare, diritti da garantire, da tutelare, in nome di ciò che crediamo essere il livello di civiltà di società a cui ambiamo. A Parma, il servizio penitenziario non è sufficiente ma adeguato, anche grazie alle qualità umane di chi dirige e lavora nel carcere". Napoli: oggi il Ministro Orlando al carcere di Poggioreale per un convegno di Anna Ansalone www.contattolab.it, 13 gennaio 2015 Oggi 13 gennaio 2015 alle ore 10,00 presso la Casa Circondariale "Giuseppe Salvia - Poggioreale" Napoli, si terrà un dibattito sulla riforma penitenziaria degli ultimi 8 anni, dal titolo "2008-2014: analisi, proposte e criticità della Riforma della salute nel carcere". Il convegno è stato promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, il Provveditorato dell'Amministrazione Penitenziaria della Campania con il patrocinio de Il Mattino. Il tema del convegno ha l'obiettivo di discutere sulle problematiche dei detenuti, in particolare dei problemi della salute dei detenuti nel carcere dopo il passaggio della medicina penitenziaria dal Ministero di Giustizia alle Asl. Il convegno sarà moderato da Antonio Mattone responsabile della Comunità di Sant'Egidio. Saranno presenti Antonio Fullone, Direttore della Casa Circondariale "Giuseppe Salvia - Poggioreale", Adriana Tocco Garante dei detenuti Regione Campania, Carminantonio Esposito Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Tommaso Contestabile Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria Campania. Interverranno Roberto Di Giovanpaolo Presidente Nazionale Forum Salute dei detenuti, Liberato Guerriero Direttore della Centro Penitenziario di Napoli Secondigliano, don Virgilio Balducchi Ispettore generale dei cappellani delle carceri, Ornella Favero Ristretti Orizzonti, Ernesto Esposito Direttore Generale Asl Na1, Stefania Tallei Comunità di Sant'Egidio, Franco Milani Dirigente Regione Lombardia - componente del Gruppo tecnico interregionale Sanità penitenziaria, Alessandro Barbano Direttore del Il Mattino, Francesco Cascini vicecapo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Stefano Caldoro Presidente della Regione Campania. Concluderà il ministro Andrea Orlando Ministro della Giustizia. D'altronde il tema della salute in carcere, è un tema molto delicato, da un lato bisogna garantire il diritto alla salute, dall'altro bisogna garantire ai detenuti pari opportunità nell'accesso al bene salute tenendo conto delle differenze (in questo caso, deficit) di partenza nei livelli di salute, nonché delle particolari condizioni di vita in regime di privazione della libertà, che di per sé rappresentano un ostacolo al conseguimento degli obiettivi di salute. La condizione carceraria richiede un approccio globale del diritto alla salute in carcere, a partire da una accurata ricognizione dei bisogni di salute (e non solo dei bisogni di servizi sanitari) della popolazione carceraria, col coinvolgimento dei detenuti stessi e delle associazioni di volontariato che operano nel carcere. In questa ricognizione, sono centrali le variabili ambientali della salute, ponendo attenzione agli aspetti del regime carcerario e della quotidianità dentro il carcere. Un convegno di riflessione e progettualità per un percorso programmatico attento al diritto alla salute del detenuto. Padova: cooperativa Giotto, il “penultimo pranzo” al Due Palazzi di Alberta Pierobon Il Mattino di Padova, 13 gennaio 2015 È un colpo basso, e pure a tradimento, la notizia pur informale di ieri: non è stata concessa la proroga di 16 giorni alla gestione delle cucine da parte di cooperative in dieci carceri italiane, tra cui il Due Palazzi di Padova con la cooperativa Giotto. La proroga (dal 16 al 31 gennaio) era stata annunciata in un incontro al ministero e sarebbe servita ad evitare l’interruzione dei progetti in corso di gestione delle cucine da parte di cooperative che formano, impiegano e retribuiscono, detenuti. Nel caso del Due Palazzi sono in 22 a lavorare nella mensa, più sei non detenuti; oltre ai circa 130 che sono impiegati nel laboratorio di pasticceria della Giotto (i cui panettoni finiscono sul natalizio tavolo del papa Francesco e di Obama, tanto per fare due nomi), nell’assemblaggio di bici, valigeria, call center per le prenotazioni degli ospedali di Padova e Mestre. Su 900 detenuti che vivono stipati nella casa di reclusione Due Palazzi, il numero di quelli che lavorano è risicato assai, certo. Ma si tratta di aumentarlo, non di far di tutto per ridurlo. È successo che a fine anno dovevano essere rinnovati gli accordi con le cooperative, e stabilmente visto che per 11 anni la sperimentazione era andata alla grande, ma dal ministero niente. Lettere, proteste, anche di Nicola Boscoletto presidente della cooperativa Giotto, che la faccenda non digerisce proprio. A creare lo sconquasso che ha messo in croce le cooperative è stato il taglio del credito d’imposta del 34% per il 2015 deciso dal ministero. E ora la proroga bocciata, come dire: non ci sono più speranze. E Boscoletto ieri ha lanciato una provocazione, l’invito al “penultimo pranzo” che sarà preparato e servito dai detenuti che hanno partecipato al Progetto Cucine. Invito, in casa di reclusione Due Palazzi mercoledì 14 gennaio alle 12.30, rivolto al personale dell’amministrazione penitenziaria, ai detenuti coinvolti e “a tutte quelle autorità e personalità di ogni ordine e grado che ci sono state vicine e spesso sono venute a trovarsi”, scrive il presidente della Giotto, definendo l’iniziativa “un momento di saluto e ringraziamento a quanti in questi 11 anni ci hanno sostenuto con forza e incoraggiato”. Un “penultimo” appello ai politici, alla società civile, a chi ha voce. “Dal punto di vista economico, con questa scelta l’Amministrazione carceraria non realizzerà alcun risparmio reale per le casse dello Stato. Anzi, il rischio è una maggiore spesa”. E maggiori costi, per esempio un enorme passo indietro dal punto di vista del trattamento rieducativo del detenuto e quindi dell’abbattimento della recidiva. “A chi giova tutto ciò?”, si legge nella presa di posizione del Gruppo emergenza carcere “Ecco che la crisi, la difficoltà economica diventa l’occasione mascherata di sperperare denaro pubblico, creare insicurezza sociale, incorrere nelle sanzioni europee. Sappiamo che nel mondo delle carceri qualcuno è contento di questa prospettiva e se la sta ridendo, come è successo con il terremoto a L’Aquila. Ma noi la speranza non la perdiamo, non vogliamo farcela rubare. Diceva Guareschi: “Non moriamo neanche se c’ammazzano”. Bologna: "Menomale è lunedì", un film sui detenuti proiettato nel carcere della Dozza Redattore Sociale, 13 gennaio 2015 Al via in città il ciclo di proiezioni del film di Filippo Vendemmiati sull'officina "Fare impresa in Dozza". Proiezioni al cinema da giovedì, mentre sabato il documentario sarà visto nel luogo in cui è stato girato, il carcere di Bologna. "Sono contento che si sia organizzato questo ciclo di proiezioni che partirà giovedì', e mi fa piacere soprattutto che il film venga proiettato nel luogo in cui è stato girato: il carcere della Dozza". Filippo Vendemmiati, giornalista Rai e regista, non nasconde la sua soddisfazione per essere riuscito a portare a Bologna "Meno male è lunedì", film sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna di cui sono protagonisti alcuni detenuti della Dozza che, guidati da ex metalmeccanici in pensione, hanno partecipato al progetto lavorativo "Fid-Fare impresa in Dozza". I carcerati hanno lavorato per conto di Gd, Ima e Marchesini, tre colossi del packaging, potendo contare su un contratto a tempo indeterminato. "Alcuni di loro, circa nove - spiegano Gian Guido Naldi di "Fid' e Claudia Clementi, direttore del carcere - dopo la fine delle riprese sono usciti e ora continuano a lavorare per queste imprese". Il titolo del film, aggiunge il regista durante la conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa ieri in Regione, riprende "una frase detta da un detenuto, che lamentava il fatto di non poter lavorare il sabato e la domenica: per loro, infatti, il lunedì è una bella giornata perché, lavorando, ottengono uno spazio di libertà". L'assessore regionale alla Cultura, Massimo Mezzetti, si dice "fiero di aver contribuito alla realizzazione del film, che rappresenta alla perfezione l'idea che si debba recuperare il valore sociale del lavoro". Che "Meno male è lunedì" sia incentrato sul lavoro più che sulle condizioni dei reclusi lo pensa anche il regista, che racconta come "dopo la proiezione di ottobre al Festival di Roma un ex operaio Fiat mi ha detto: "Credevo che avrei visto un film sul carcere, invece ho visto un film sul lavoro. Quella, secondo me, è stata la miglior recensione possibile". Clementi pone invece l'accento sulla particolarità del progetto raccontato nel film, che "non fa parte di un percorso assistito, come spesso accade nelle carceri, ma è un percorso produttivo a tutti gli effetti, in cui i detenuti sono assunti con un vero contratto di lavoro". Girare il documentario, che racconta una settimana di lavoro dei detenuti e degli ex operai che fanno loro da tutor, non è stata però un'impresa facile: il direttore della fotografia Stefano Massari afferma infatti che "inizialmente alcuni detenuti non volevano partecipare alle riprese, ma quando hanno capito che con questo film non volevamo dare alcun tipo di giudizio si sono ricreduti e si sono prestati volentieri". Nonostante la soddisfazione per la proiezione di sabato 18 gennaio, Vendemmiati si dice anche "un po' nervoso", perché "quando abbiamo proiettato il film nel carcere di Spoleto è nato un dibattito molto acceso tra i detenuti, uno dei quali mi ha chiesto se con questo documentario avessi voluto dire che per trovare un lavoro bisogna prima finire in prigione". In chiusura, Naldi si sofferma invece su un altro aspetto positivo del progetto Fid, osservando che "i detenuti che vi partecipano, tra cui alcuni di quelli che appaiono nel film, ricevono ottimi giudizi professionali da parte delle aziende. Questo valorizza il progetto, perché non è facile vincere i pregiudizi nei confronti degli ex carcerati". Il film sarà proiettato al cinema Nosadella giovedì alle 21, venerdì alle 19.30, lunedì 19 e martedì 20 alle 20, per poi arrivare a Ozzano, Porretta e Castenaso il 21 gennaio, il 5 e il 20 febbraio. A marzo invece, come spiega la produttrice esecutiva Donata Zanotti "sarà proiettato a Bruxelles su richiesta del Parlamento europeo". Andria (Ba): progetto "Senza sbarre", serata di beneficenza per l'accoglienza dei detenuti Corriere del Mezzogiorno, 13 gennaio 2015 L'Associazione Amici di San Vittore Onlus, in collaborazione con Confcommercio e Confesercenti Andria, Siap (Sindacato di Polizia di Stato), Sappe (Sindacato di Polizia Penitenziaria), Ara (associazione ristoratori andriesi) La Puglia in tavola, gli enti e le associazioni che vorranno contribuire, organizza sabato 17 gennaio, alle ore 20, una serata di beneficenza "Senza sbarre", presso l'ex Masseria Posta Milella ad Andria, direzione Castel del Monte (km 7,050). I proventi serviranno per la Cittadella San Vittore, in agro di Andria, la masseria fortificata con oltre 10 ettari di terreno, entro cui si anima il progetto "Senza sbarre" di accoglienza residenziale e non per detenuti e di recupero alternativo alla carcerazione. Il progetto è stato presentato a settembre scorso con la pubblicazione di "Dono di un dono - Don Riccardo Agresti, Claudio Baglioni e miracoli", il volume-rivelazione di Stefano Del Bravo che sarà distribuito nel corso della serata. Palermo: al Centro di Giustizia Minorile riprende il "Festival della città educativa" Adnkronos, 13 gennaio 2015 Dopo la firma del Patto educativo per Palermo avvenuta a Palazzo delle Aquile lo scorso 5 gennaio, riprende il percorso del Festival della Città Educativa. Si comincia oggi con il seminario "Garantire la Salute: benessere, territorio e agenzie educative" è il tema del seminario che si terrà questa mattina alle ore 10 al Centro di Giustizia Minorile. Un incontro in cui si confrontano gli esponenti di spicco della sanità e della politica locale per la salute e si guarda anche al ruolo dell'urbanistica, dell'ambiente e della formazione nel garantire benessere ai più piccoli e a tutti i cittadini. L'incontro sarà coordinato da Giovanna Perricone, docente all'Università di Palermo, e vede la partecipazione, tra gli altri, dell'assessore comunale Agnese Ciulla, dell'assessore regionale alla Salute Lucia Borsellino, il direttore dell'Asp di Palermo Antonino Candela. Nella seconda sessione di lavori, a partire dalle ore 15,30, intervengono: Maurizio Carta, Silvano Riggio, Anna Terminello. "In concreto, a conclusione del percorso (ultima settimana di febbraio 2015), istituzioni, enti, organizzazioni e associazioni che aderiscono al Festival si assumono un compito specifico e verificabile: realizzare un "pezzo" di quel progetto di città che si è elaborato insieme. Nel corso del 2015 si cureranno momenti di monitoraggio e verifica dell'attuazione degli impegni assunti da ciascuno", si legge in una nota. India: i marò italiani spiazzati dalla giustizia indiana di Antonio Armellini Corriere della Sera, 13 gennaio 2015 Stretta fra l’imbarazzo di un capo d’accusa ancora da formulare e a dir poco fragile, e le pressioni di chi anche a Delhi vorrebbe mettere la parola fine a questa storia, la Corte Suprema indiana con un ennesimo espediente procedurale ha rinviato l’esame del caso a mercoledì. Ha perpetuato così un’agonia sempre più insopportabile, mentre la soluzione rimane avvolta nella nebbia. Oltretutto, mercoledì il permesso accordato a Massimiliano Latorre sarà scaduto: dovrebbe essere automaticamente rinnovato in attesa della decisione sul ricorso dell’Italia, ma il giudice su questo punto è rimasto silente. Diversamente da quanto si è sentito e letto da noi, l’opinione pubblica indiana non è per nulla mobilitata intorno alla vicenda dei marò: l’attenzione è modestissima e l’informazione è altrettanto scarsa. I pochi media che ogni tanto ne parlano, lo fanno in maniera marginale riportando qualche “velina” che lascia perlopiù indifferenti. Stando a quanto si dice in alcuni ambienti a Delhi, il primo ministro Modi avrebbe lasciato intendere in più occasioni di volersi fare carico del problema e dipanare la matassa, prima che i rapporti con l’Italia raggiungano un livello di tensione del tutto sproporzionato alla sostanza del contendere. Le prime mosse avrebbero incontrato più difficoltà del previsto e, a questo punto, il governo indiano sarebbe a corto di idee, in attesa che anche da parte italiana vengano avanzate proposte nuove e sostenibili. Il tutto è reso più complicato dal fatto che la Corte Suprema, che avrebbe dato in passato segnali di flessibilità, ha chiaramente irrigidito le sue posizioni. La nomina del nuovo presidente proveniente dal Kerala ha prodotto, come era stato largamente previsto, un effetto negativo per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Il problema è che quella dei marò è una crisi asimmetrica: di scarso rilievo per gli indiani (per i quali presenta un valore strumentale modesto, utile al massimo a far suonare più forte la grancassa della dignità nazionale), sempre più imbrogliata e politicamente insidiosa per noi. È una asimmetria che pesa fortemente sulla posizione negoziale italiana e dovrebbe spingerci a utilizzare a fondo i pochi strumenti di pressione che abbiamo: arbitrato internazionale, Nazioni Unite (fra l’altro, il segretario generale Ban Ki-moon è in questi giorni a Delhi). L’impressione che si ha è invece che l’alternanza fra dichiarazioni pubbliche e trattative più o meno riservate si sia risolta sinora in una maggiore confusione e in immobilismo, talché la posizione italiana appare paragonabile a quella di una lepre paralizzata davanti ai riflettori dell’auto che sta per travolgerla. Ci auguriamo di essere smentiti nei prossimi giorni e di poter accogliere presto in Italia Salvatore Girone, ma le basi per l’ottimismo si fanno di giorno in giorno più sottili. Francia: 152 islamisti radicali detenuti nel Paese, 22 sono isolati nel carcere di Fresnes La Presse, 13 gennaio 2015 In totale 152 islamisti radicali sono in stato di detenzione in Francia, 22 dei quali sono raggruppati per evitare che abbiano contatti con il resto dei detenuti e facciano così proseliti. Lo riferisce il ministero francese della Giustizia. Nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del ministero, Pierre Rancé, ha spiegato che quei 22 prigionieri sono isolati nel carcere di Fresnes, a sud di Parigi. In totale, ha aggiunto, il numero di detenuti e reclusi in Francia per "associazione a delinquere con fini terroristici" è di 283 persone. Secondo quanto riferito oggi, il ministero proverà a lanciare questa settimana in due strutture dell'area parigina un programma pilota per migliorare il rilevamento della radicalizzazione tra i detenuti in carcere. Il portavoce ha spiegato che le autorità giudiziarie stanno lavorando da mesi per ampliare questo programma. Le autorità carcerarie francesi hanno a disposizione dal 2003 un ufficio di intelligence composto da 30 persone per rilevare ogni movimento sospetto in questo ambito e gestire gli arresti delle persone coinvolte. Coulibaly e Kouachi furono detenuti esemplari Quando erano detenuti, Amedy Coulibaly e Cherif Kouachi, due degli autori dei recenti attacchi terroristici, avevano dimostrato una buona condotta. Lo ha detto il portavoce del ministero della Giustizia di Parigi, Pierre Rancé, secondo cui Coulibaly (autore dell'assalto al supermercato ebraico venerdì scorso e dell'omicidio di una poliziotta il giorno precedente) dimostrò addirittura un comportamento "esemplare" in prigione. A dicembre 2013, l'uomo era stato condannato per aver partecipato a un piano di evasione nel 2010 di un altro sospetto jihadista, Smaïn Ait Ali Belkacem, in cui era coinvolto anche Kouachi, anche se la sua posizione era stata archiviata. Coulibaly, ha spiegato il portavoce in conferenza stampa, rispettava il regolamento interno, partecipava alle attività sportive e culturali, prese parte a corsi di formazione e veniva considerato un detenuto "particolarmente motivato" che ebbe solo un piccolo incidente disciplinare, quando venne sorpreso con un telefono cellulare. Secondo Rancé, diede segnali di "reintegrazione", scontò la pena nelle condizioni normali e maggio 2014, secondo quanto previsto, venne liberato. A metà degli anni 2000, fu detenuto in contemporanea a Cherif Kouachi per un breve periodo nel carcere di Fleury-Mérogis, a sud di Parigi. Rispetto a Coulibaly, Cherif, dimostrò un comportamento un "po' più agitato", ma non ebbe particolari problemi, né sembrava legato all'islamismo radicale. Mentre suo fratello Said era apparso solo nei documenti della polizia, Cherif venne incarcerato per la prima volta nel 2005 e condannato nel 2008 a tre anni per aver preso parte alla cosiddetta "Rete de Buttes Chaumont", che reclutava giovani per la causa fondamentalista. Spagna: sedici arrestati nel "fronte delle carceri" dell'Eta, tra loro anche dodici avvocati Ansa, 13 gennaio 2015 Sedici persone, fra le quali una decina di avvocati di detenuti dell'Eta, sono state arrestate oggi nei Paesi Baschi, in Navarra e Madrid, in un'operazione ribattezzata dalla guardia civile "Scacco matto", informano fonti del ministero degli interni in un comunicato. L'operazione, cominciata all'alba di ieri, è diretta contro il così detto "fronte delle carceri" dell'organizzazione indipendentista armata, avvocati e responsabili della direzione economica, accusati di appartenenza a banda terrorista, riciclaggio di capitale e reati contro il Fisco. I legali sono accusati di controllare i detenuti dell'Eta trasmettendo le direttive dell'organizzazione all'interno delle carceri. Fronte delle carceri: Eta frodato Secondo fonti del ministero degli interni, i 12 avvocati di membri dell'Eta detenuti nei Paesi baschi, in Navarra e a Madrid avrebbero occultato al fisco entrate superiori ai 1,3 miliardi di euro durante il 2012 e il 2013, provenienti dall'assistenza legale a membri dell'organizzazione indipendentista armata. Gli avvocati, secondo l'accusa, sarebbero stati anche incaricati di fare visita in carcere ai detenuti dell'organizzazione armata per evitare che ci fossero dissociazioni o pentimenti percorrendo vie individuali per l'uscita dalla banda armata. E, se qualcuno non seguiva le direttive, veniva espulso e la sua foto ritirata dalle "taverne del popolo". Per l'operazione "Scacco matto", il cui bilancio complessivo è di 16 e non 17 arresti, come inizialmente informato, è stato sospeso il processo previsto oggi all'Audiencia Nacional di Madrid contro 35 persone per appartenenza a organizzazione terrorista, fra le quali i gruppi dirigenti di Batasuna, del partito comunista delle terre basche (Pctv) e dell'Azione nazionalista basca Pakistan: 7 terroristi impiccati, condannati a morte in quattro prigioni Ansa, 13 gennaio 2015 Sette detenuti condannati a morte per reati legati al terrorismo sono stati impiccati all’alba in quattro diverse carceri del Pakistan, nell’ambito di importanti misure di sicurezza. Lo riferisce DawnNews Tv. I centri di detenzione dove sono avvenute le esecuzioni, riprese dopo la revoca del premier della moratoria imposta nel 2008, sono quelle di Karachi, Sukkur, Faisalabad e Rawalpindi. Libano: dopo raid polizia nel carcere di Roumieh il Fronte Nusra minaccia soldati rapiti La Presse, 13 gennaio 2015 In risposta al doppio attentato kamikaze di sabato a Tripoli, nel nord del Libano, la polizia libanese ha fatto irruzione oggi in un'ala del carcere di Roumieh, il più grande del Paese, perché è emerso che alcuni dei detenuti hanno collegamenti con l'attacco. A seguito di questa operazione il Fronte Nusra, gruppo legato ad al-Qaeda che sabato aveva rivendicato l'attentato, ha minacciato su Twitter azioni contro i membri delle forze di sicurezza libanesi che tiene prigionieri. "In conseguenza del deterioramento della sicurezza in Libano, sentirete sorprese a proposito del destino dei prigionieri con noi", afferma il gruppo. Militanti legati allo Stato islamico (ex Isil o Isis) e al Fronte Nusra detengono una ventina di membri delle forze di sicurezza libanesi che sono stati sequestrati lo scorso agosto in un assalto compiuto nella città di Arsal. Quattro dei soldati in mano al Fronte Nusra sono stati uccisi in detenzione nonostante i negoziati in corso con le autorità libanesi per il loro rilascio. Il ministro dell'Internno del Libano, Nohad Machnouk, si è recato stamattina nel carcere di Roumieh, e ha spiegato a Reuters che l'operazione è scattata dopo che l'intelligence ha appurato il collegamento di alcuni detenuti con l'attentato. "Abbiamo accertato il loro coinvolgimento negli attacchi bomba tramite il monitoraggio delle comunicazioni", ha spiegato, precisando che i detenuti comunicavano con le organizzazioni militanti usando cellulari e Skype, e aggiungendo che i sospettati saranno trasferiti in una sezione separata del carcere. La prigione di Roumieh, a est di Beirut, originariamente costruita per ospitare circa 1.500 detenuti ne ospita oggi circa 3.700, alcuni dei quali sono membri del Fronte Nusra. Iran: frase su leader opposizione in carcere scatena bagarre in parlamento Aki, 13 gennaio 2015 Le proteste antigovernative del 2009 sono una ferita ancora aperta in Iran. Lo dimostra la bagarre che si è scatenata in Parlamento dopo che il deputato riformista Ali Motahari ha definito "incostituzionali" gli arresti domiciliari a cui sono sottoposti dal febbraio 2011 i due leader dell'Onda Verde, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi. La frase di Motahari ha provocato la reazione di alcuni deputati ultraconservatori che hanno interrotto il parlamentare riformista gridando "morte ai sedizionisti", ovvero auspicando la condanna a morte di Mousavi e Karroubi, come ha riferito il sito di al-Arabiya. A quel punto il vice presidente del Parlamento, Mohammad Hassan Aboutorabi-Fard, che stava dirigendo i lavori in Aula, è stato costretto ad aggiornare la sessione, che è ripresa dopo circa 30 minuti. Cuba: dopo accordo con Usa liberati 53 dissidenti, ma per l'opposizione lista è incompleta di Alessandra Baldini Ansa, 13 gennaio 2015 Con un passo definito "una pietra miliare" dall'amministrazione Obama, tutti e 53 i prigionieri politici che Cuba aveva promesso di liberare come parte di un accordo di normalizzazione dei rapporti con Washington sono stati rimessi in libertà. L'annuncio di alti funzionari al seguito del segretario di Stato John Kerry in Pakistan ha coinciso con il primo commento ufficiale di Papa Francesco sul disgelo del 17 dicembre tra Stati Uniti e l'isola di Fidel Castro. Le fonti Usa non hanno diffuso i nomi dei prigionieri che la Casa Bianca renderà noti ai membri del Congresso. L'annuncio americano è stato accolto con scetticismo dai dissidenti cubani nell'isola: Berta Soler, leader del gruppo Damas de Blanco, ha parlato della liberazione di soltanto 41 oppositori: "Dove sono finiti gli altri 12?". Nel corso del fine settimana il governo cubano aveva informato l'amministrazione Obama che gli ultimi prigionieri nella lista erano stati messi in libertà vigilata. La sezione di interesse americana all'Avana, che tratta gli affari consolari e altri contatti con Washington, aveva confermato. Gli Stati Uniti continueranno a far pressione su Cuba per la liberazione di altri prigionieri politici ancora in carcere: "Ci sono altri individui detenuti per aver affermato i loro diritti universali il cui caso abbiamo sollevato in passato", ha detto una fonte al seguito di Kerry auspicando che "si proceda anche per loro in futuro". Il governo cubano ha sempre negato di incarcerare gli oppositori e usualmente definisce i dissidenti come mercenari pagati dagli Usa. Parlando al corpo diplomatico in Vaticano, il Papa ha definito la decisione di Stati Uniti e Cuba di "rompere il reciproco silenzio durato mezzo secolo" come "un esempio di come il dialogo può costruire ponti". Il prossimo esempio tangibile di questo dialogo sarà la prossima settimana, quando Roberta Jacobson, assistente segretario di Stato per l'America Latina, guiderà all'Avana la delegazione Usa di più alto livello in decenni per colloqui sulla migrazione e la normalizzazione dei rapporti. L'annuncio è stato salutato come "rincuorante" per le famiglie degli ex prigionieri dall'ambasciatrice all'Onu Samantha Power che però ha sottolineato come "il più ampio problema dei diritti umani a Cuba" non è ancora risolto. L'amministrazione sperava che il rilascio degli ex detenuti potesse essere completato nel corso della settimana, prima dei colloqui della Jacobson nell'isola. Adesso, mentre repubblicani vicini agli esuli come il senatore della Florida Marc Rubio denunciano un accordo "in cui Cuba ha avuto più di quanto abbia dato", si aspettano gli ordini esecutivi della Casa Bianca per la normalizzazione dei commerci e dei viaggi: secondo il Washington Post i Dipartimenti del Tesoro e del Commercio potrebbero pubblicare già in settimana i primi regolamenti. Stati Uniti: il Papa plaude all'accordo con Cuba e a chiusura del carcere di Guantánamo Agi, 13 gennaio 2015 "Un esempio di come il dialogo possa davvero edificare e costruire ponti" secondo Papa Francesco "viene dalla recente decisione degli Stati Uniti d'America e di Cuba di porre fine ad un silenzio reciproco durato oltre mezzo secolo e di riavvicinarsi per il bene dei rispettivi cittadini". "Accolgo con soddisfazione - ha detto nel discorso al corpo diplomatico - la volontà degli Stati Uniti di chiudere definitivamente il carcere di Guantanámo, ringraziando "di cuore" quei paesi che con "generosa disponibilità" si sono resi disponibili ad accogliere i detenuti. In merito, Bergoglio ha voluto esprimere il suo "apprezzamento ed incoraggiamento per quei Paesi che si stanno attivamente impegnando per favorire lo sviluppo umano, la stabilità politica e la convivenza civile tra i loro cittadini". Egitto: il tribunale di Azbakia ha assolto 26 persone accusate di "omosessualità" Nova, 13 gennaio 2015 Un tribunale di Azbakia, in Egitto, ha assolto oggi 26 persone accusate di omosessualità. Lo riferisce l'emittente televisiva di stato, secondo la quale 22 degli imputati erano accusati di aver fondato una rete omosessuale in un centro benessere gestito da quattro uomini a piazza Ramses, nel centro del Cairo. Anche se l'omosessualità non è riconosciuta ufficialmente come reato, in Egitto viene considerata "socialmente e religiosamente non tollerabile". Gli uomini erano stati arrestati lo scorso 8 dicembre mentre erano intenti a organizzare un "gay party" all'interno del centro benessere. Nel mese di novembre, altre 8 persone sono state condannate a 3 anni di carcere per essere apparsi in un video pubblicato su Youtube nel quale veniva ripresa una festa di matrimonio tra due uomini.