Giustizia: stop ai ddl, la riforma non assomiglierà più a un "piano quinquennale" di Errico Novi Il Garantista, 10 gennaio 2015 Il ministro Andrea Orlando si mette a giocare a zona. Addio definitivo al percorso di guerra dei 12 punti: la riforma della giustizia non assomiglierà più a un piano quinquennale. Molto più realisticamente il Guardasigilli si acconcia a integrare con proposte governative i testi parlamentari già avviati. Lo ha fatto giovedì al Senato con gli emendamenti al ddl Grasso sul contrasto alla corruzione, lo farà a breve con delle variazioni da proporre sulla prescrizione, in corso d'esame alla Camera, È la stessa strategia che non a caso ha consentito di mandare avanti la legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Proprio ieri nell'aula di Montecitorio Orlando è intervenuto per presentare il testo, che sarà approvato nei prossimi giorni: "Siamo aperti a verificare se alcuni passaggi possono essere migliorati", dice il ministro, "ma questo è un passaggio storico, è lo dico anche se l'aula è vuota". Certo, il testo del ddl originario "era più nitido rispetto a quello uscito dal passaggio parlamentare". Ma la verità è che il Guardasigilli non intende tornare indietro su due punti che non piacciono per nulla all'Associazione magistrati. La prima è l'eliminazione del filtro di ammissibilità, che poi è il punto più qualificante di tutto il provvedimento. Si tratta della vera novità rispetto alla legge Vassalli dell'88, rimasta quasi del tutto inapplicata in questi 25 anni. Nel suo intervento di ieri in Aula, infatti, il ministro della Giustizia ricorda che la legge in procinto di essere licenziata dalla Camera assicura la tutela dei cittadini danneggiati da errori giudiziari attraverso "un rimedio funzionale accessibile". E quest'ultimo aggettivo si riferisce proprio alla decisiva abolizione del filtro. Il secondo punto riguarda la definizione di colpa grave. Orlando dice che "abbiamo fatto una scelta di equilibrio che parte da un ulteriore scrupolo: la responsabilità colpisce il magistrato solo quando ci si trova davanti a errore per negligenza inescusabile". Vuol dire per esempio che il giudice non potrà più giustificarsi con la sottovalutazione di una precedente sentenza se quello stesso precedente giurisprudenziale era stato segnalato dalla parte danneggiata. Anche qui l'Anni e il Csm se ne dorranno, ma il ministro fa capire chiaramente che i cardini del provvedimento sono immodificabili. Sul versante delle norme anticorruzione, viene dunque accantonata l'idea di un ddl di riforma penale onnicomprensivo. Gli inasprimenti contro corrotti e mafiosi entrano nel ddl Grasso. Compresa una concessione alla commissione Gratteri, con l'estensione delle udienze in videoconferenza a tutti i detenuti per reati gravi, mentre oggi la modalità è prevista solo per quelli al 41 bis. Un evidente limite al diritto di difesa e un lieve cedimento alle posizioni ultra-giustizialiste dell'organismo consultivo guidato dal pm di Reggio Calabria. Ma fa parte del gioco a zona adottato da Orlando: un po' di bastone alle toghe con la responsabilità civile, un po' di carota sui processi ma soprattutto niente più ddl monstre che condannano la riforma della giustizia al binario morto dell'utopia. Giustizia: ministro Orlando; responsabilità civile magistrati, ddl epocale in aula vuota Adnkronos, 10 gennaio 2015 Testo meno chiaro rispetto a stesura originaria, ma obiettivo tutelare cittadini centrato. "Un'aula scarna di presenze", o meglio "vuota". A sottolineare le assenze nelle file di Montecitorio è il ministro della Giustizia Andrea Orlando, intervenendo nell'Aula della Camera dove oggi è approdato il ddl sulla responsabilità civile dei magistrati. "Un passaggio - a detta del Guardasigilli - storico, e lo dico anche se l'Aula è vuota. È importante sottolineare l'importanza" del provvedimento incardinato oggi. Che, a detta del ministro, "centra l'obiettivo, che è quello di tutelare i cittadini". Il ddl dà luogo a un "rimedio funzionale e accessibile, senza minare l'indipendenza e l'autonomia della magistratura. Credo, dunque - ribadisce Orlando - che l'obiettivo sia stato centrato". "È giusto sottolineare - aggiunge il ministro - che la tempistica, il calendario, non è stato dettato dall'agenda ma da un fatto concreto: la procedura di infrazione che il Paese sta subendo". Poi qualche critica sulle modifiche apportate. Quello originario "era - a detta del Guardasigilli - un testo più nitido rispetto a quello uscito dal passaggio parlamentare. Spesso siamo rimproverati di non ascoltare il Parlamento - riconosce -ma il testo è meno chiaro rispetto alla stesura originaria". Detto questo, però, "il punto di equilibrio è accettabile. Il metodo può aver compresso i tempi di discussione, ma abbiamo voluto evitare la decretazione", rivendica il ministro. Quanto ai contenuti del provvedimento, "abbiamo fatto una scelta di equilibrio e responsabilità che parte da un ulteriore scrupolo: la responsabilità colpisce il magistrato solo quando ci si trova davanti solo errore di negligenza inescusabile. Siamo aperti a verificare se alcuni passaggi possono essere migliorati, ma non sottovalutiamo l'importanza di questo testo". Poi una precisazione sulle norme anticorruzione, la cui bontà "rivendico. Non confondiamo i due temi perché sarebbe un errore contrapporre i due aspetti: è importante avere una magistratura al di sopra di ogni sospetto, è nell'interesse di tutti", conclude il Guardasigilli. Giustizia: un altro internato muore in cella come un cane… e gli Opg restano aperti di Damiano Aliprandi Il Garantista, 10 gennaio 2015 Nonostante la proroga a marzo, le nuove strutture non saranno pronte prima di due anni: la brutta storia dei "luoghi di tortura" continua. Lo hanno trovato immobile sul letto. Insospettiti dalla sua strana posizione, gli uomini della polizia penitenziaria dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa non hanno potuto fare altro che accertare la sua morte. La vittima è il 50 enne Antonio Staiano, affetto da turbe psichiche, ed è stato trovato senza vita lo scorso 6 gennaio. L'uomo era in carcere da dieci anni perché nella notte fra il 20 ed il 21 agosto del 2001, colto da un raptus, uccise i genitori a Vico Equense. A trovare il corpo senza vita sono stati i poliziotti penitenziari poco dopo le cinque del pomeriggio del giorno dell'Epifania. Stavano effettuando controlli di routine e hanno notato l'uomo immobile. Si sono quindi insospettiti e hanno chiamato il medico legale, che non ha potuto far altro che constatare il decesso del cinquantenne. Apparentemente il decesso sarebbe avvenuto per una crisi cardiaca, ma è stata aperta un'inchiesta da parte dei magistrati della procura presso il tribunale di Aversa per far luce sulla sua morte. Come già abbiamo ricordato, gli Opg sarebbero dovuti essere chiusi in Italia, ma finora non è ancora successo grazie a diverse proroghe e c'è il serio rischio che se ne prospettino altre. Secondo la relazione sul Programma di superamento degli opg trasmessa al Parlamento dai ministri della Salute, Beatrice Lorenzin, e della Giustizia, Andrea Orlando, aggiornata al 30 settembre, sarebbe irrealistico pensare di chiudere le strutture entro il 15 marzo del 2015, come previsto dall'ultimo decreto legge. "Nonostante il differimento al 31 marzo 2015 del termine per la chiusura degli Opg, sulla base dei dati in possesso del ministero della Salute - si legge nella relazione - appare non realistico che le Regioni riescano a realizzare e riconvertire le strutture entro la predetta data. In caso di mancato rispetto dell'anzidetta data, ovvero in caso di mancato completamento delle strutture nel termine previsto dai programmi regionali, è ferma intenzione dei ministri attivare la procedura che consente al governo di provvedere in via sostitutiva. E quindi di nuovo auspicabile un ulteriore differimento del termine di chiusura degli Opg". Inizialmente dovevano essere 38 i milioni predisposti dallo Stato affinché le Regioni presentassero i programmi di conversione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in strutture sanitarie alternative. Oggi, secondo l'ultimo aggiornamento del ministero della Salute e del ministero della Giustizia, la spesa è salita a 88,5 milioni di curo. I costi, dunque, continuano incredibilmente a lievitare. Tutta colpa della lentezza della macchina burocratica regionale che è da anni che dovrebbe chiudere quelli che Amnesty International ha definito "luoghi di tortura", senza però ancora riuscirci. Dalla relazione trasmessa al Governo, quindi, si apprende che passerà ancora molto tempo affinché gli Opg chiudano definitivamente. Se si considera che attualmente la regione Piemonte ha già previsto che dovranno passare altri 24 mesi per la realizzazione della struttura sanitaria alternativa, si arriverà dunque a fine 2016. Ancora peggio per la struttura sanitaria di Abruzzo e Molise: sono stati stimati 2 anni e 9 mesi. Si arriverà, in questo caso, all'estate del 2017. Nel frattempo la tortura - e troppo spesso anche la morte come nel caso del detenuto psichiatrico di Aversa -continua a persistere. Alla scadenza della proroga del 15 marzo ci sarà la resa dei conti. Giustizia: Davide Mattiello (Pd) e la visita a Massimo Carminati nel carcere di Parma di Gianluca Perricone L'Opinione, 10 gennaio 2015 Lui si chiama Davide Mattiello, è nato a Torino il 31 maggio 1972, è laureato in giurisprudenza e fa l'operatore sociale. È deputato del Pd e componente della Commissione Giustizia e di quella che si occupa di mafie ed altre associazioni criminali. L'altro giorno il deputato Pd ha deciso di andare al supercarcere di Parma a far visita a Massimo Carminati (il quale, ne siamo quasi certi, tra le tante disavventure non si aspettava di certo di ritrovarsi di fronte pure Mattiello) e, in un'intervista rilasciata all'Huffington Post, ne descrive anche i particolari: "È uscito dalla cella - racconta Mattiello - ed è stato portato in una stanza. C'eravamo io, il personale del Gom, la polizia penitenziaria e la direttrice del carcere di Parma. Mi sono presentato: "Salve, sono Davide Mattiello, deputato del Partito democratico". Gli ho chiesto come stesse. Le uniche tre frasi che ha pronunciato sono state: "Sto bene, grazie. Non mi serve niente. La ringrazio per la visita, arrivederci". Poi è uscito e se ne è andato". Indubbiamente elegante il Carminati: pensate se, davanti al "salve, sono Davide Mattiello", avesse risposto con un sonoro chi se ne frega. Invece nulla, solo una frase striminzita, in parte giustificata dal deputato: "L'ho trovato sobrio, freddo. Lei si immagini che gli hanno aperto la porta del carcere, lo hanno portato in una sala in cui a ventaglio erano seduti un parlamentare che non aveva mai incontrato prima, la direttrice del carcere e una serie di funzionari. Mi ha guardato in faccia, ma non ho ravvisato un'aria di sfida. Ha controllato la situazione, si è limitato ad una serie di scarne frasi di cortesia". Povero Carminati, per quanto non nuovo alla detenzione carceraria, come detto non si aspettava di dover incontrare (e pure all'improvviso) Mattiello: anzi lo ha pure guardato in faccia controllando la situazione (e addirittura senza sputare). Con quell'incontro il 41bis sembra quasi essere stato reso più duro. Ma mica finisce qui. Nella medesima intervista si può leggere, testualmente riportato, quanto segue: Ha parlato di lui (Carminati, ndr) con il personale del carcere? "Sì, lo stretto indispensabile. Sono persone abituate a gestire determinate situazioni, non mi hanno avanzato nessun rilievo significativo. Poi con gli altri detenuti non ha nessun rapporto. È in regime di isolamento giudiziario, non sta scontando una sentenza, per cui non può condividere spazi con nessun altro detenuto. Il problema semmai è un altro". Vale a dire? "I dirigenti del carcere mi hanno raccontato che i sistemi di registrazione audio-video di quel che succede dentro il carcere sono costantemente a rischio per problemi alla rete elettrica. Hanno chiesto al provveditorato regionale e al Dap otto gruppi di continuità, generatori che consentano di monitorare qual che i detenuti fanno e dicono anche in caso di black-out, ma non sono mai arrivati. E teniamo conto che quello non è un carcere come tanti, è la struttura dove, oltre a Carminati, sono rinchiusi boss come Totò Riina". Dunque basta un sovraccarico per "spegnere la luce" su alcuni dei più pericolosi capibastone della malavita organizzata?. "Esatto. Ho chiesto appositamente ai dirigenti del carcere se potevo divulgare la notizia. Anche perché la sicurezza dei detenuti del 41bis non è un capriccio, una questione di carceri d'oro, ma un problema che riguarda lo stato nella sua interezza. E non è possibile trascurarlo in questo modo". Ma come, uno va a fare visita ad un detenuto al 41bis e poi si mette ad interloquire sui problemi della rete elettrica? Ma come, un membro della Commissione Giustizia non è al corrente dei problemi strutturali dei penitenziari italiani? Ma come... ma come si fa? Onorevole Mattiello, la preghiamo, smentisca quell'intervista ed abbia invece il coraggio di chiedere e, soprattutto, di spiegarci come mai ha inteso andare a trovare proprio Carminati e come mai quest'ultimo ("che non sta scontando una sentenza" come dice lei) è sottoposto al regime di carcere duro. E, se ne ha voglia, ci spieghi altresì come mai il vero dominus (Buzzi) di tutta l'organizzazione criminale nella quale detto detenuto è coinvolto, non sia sottoposto al 41bis mentre Carminati sì. Ci faccia sapere onorevole Mattiello, siamo in trepida attesa. Lettere: Salvatore Buzzi scrive dal carcere "sono innocente" Il Garantista, 10 gennaio 2015 Caro Sansonetti, sono il famigerato Salvatore Buzzi, arrestato il 2 dicembre nell'inchiesta Mafia Capitale, che ti scrive la notte di Natale per chiederti di darmi un attimo del tuo tempo. Sono accusato di essere un mostro, un mafioso, un corruttore e non ho alcuna possibilità di difendermi. E la gloriosa Cooperativa 29 Giugno, ove lavoravano 1.254 persone, è stata commissariata e nessuno ha ricevuto né stipendio né tredicesima, causando gravi disagi a tutti i lavoratori, in gran parte svantaggiati. Sono stato condannato a mezzo stampa e solo tu, Bordin e Ferrara avete un minimo provato a prendere le distanze dall'inchiesta; ma la presunzione di innocenza non dovrebbe valere anche per me? Io mi reputo una persona seria e onesta, che ha lavorato tanto per creare un gruppo cooperativo ove lavorano migliaia di persone e che non ha mai rubato nulla alle aziende che amministra. Conosco Carminati da oltre 30 anni e l'ho frequentato dal 2012, quando era un uomo libero e senza pendenze; non ho mai commesso reati con lui né, tanto meno, l'ho visto commetterne! I miei rapporti con lui sono sempre stati alla luce del sole e non ho mai nascosto la sua frequentazione, era lui il maniaco della sicurezza, ma constato che è servita a poco. Non ho mai corrotto un politico, ma ho finanziato legalmente moltissimi esponenti politici; casomai sono io che ho subito qualche "delicata estorsione" da qualche solerte funzionario e/o dirigente. Sto provando a far uscire le mie ragioni e ho scritto una lunga lettera al mio avvocato, articolata sui punti più controversi, per farla avere a Rosi Bindi nella sua funzione di presidente della Commissione Antimafia della Camera. La lettera spiega analiticamente molti episodi che mi sono contestati. Non ti chiedo di credermi a priori, ma ti chiedo di chiamare il mio avvocato e documentarti anche sulle fonti della difesa, e se ti convinco anche un po', aiutami nella mia solitaria battaglia per far valere le mie ragioni e riconquistare l'onore perduto. Certo ho detto tante parole in libertà, ma sfido chiunque nell'intimità, se registrato, a non doversi poi scusare per qualche giudizio avventato espresso: e io ho avuto le microspie in ufficio e in auto per due anni. La Procura, inoltre, censura con aggettivi dispregiativi la semplice attività di lobbying, del tutto legittima. Siamo in uno Stato di diritto e non in uno Stato etico. Non voglio rubarti ancora tempo, ti chiedo solo di documentarti sulle ragioni della difesa con la serietà che ti contraddistingue. Augurandoti buone feste ti porgo i miei più cordiali saluti. Lettere: caro Buzzi, assurdo accusarti di essere un mafioso di Tiziana Maiolo Il Garantista, 10 gennaio 2015 Se Salvatore Buzzi fosse milanese, probabilmente lo conoscerei. Sarebbe uno dei tanti ex detenuti con cui avrei avuto contatti e collaborazione in qualche mia veste istituzionale. E la Cooperativa 29 Giugno sarebbe stata una di quelle con cui avrei organizzato il lavoro, interno e esterno alle carceri milanesi di S. Vittore, Opera e Bollate, come la Cooperativa Alice e le altre. L'avrei frequentato, sarei andata a qualche pranzo come quello della famosa fotografia cui partecipò anche l'attuale ministro Poletti, magari sarei diventata sua amica, sapendo benissimo che non stavo frequentando l'oratorio della mia parrocchia. Perché i casi sono due: o si crede nella Costituzione o in tutto le leggi che predicano il reinserimento dei detenuti o non ci si crede. Nel primo caso, bisogna sapere quanto sia fondamentale il lavoro per dare speranza non solo a chi esce dal carcere di poter fare una vita normale, ma anche a tutti noi, perché sappiamo che quell'ex detenuto difficilmente commetterà ancora reati. Ben vengano quindi quelli come Buzzi che hanno la capacità di mettere in piedi una cooperativa che dà lavoro a 1.254 persone. E male, anzi malissimo fa il governo se cerca, come sta facendo, di intralciare in qualche modo questo tipo di attività. La lettera di Buzzi mi colpisce prima di tutto per questo aspetto della vicenda, perché conosco tanti "Buzzi", ogni tanto "sfrutto" le loro capacità professionali e manuali dando loro qualche lavoretto in più, qualche aiuto a muover le mani nella direzione giusta. Ma la lettera di Salvatore Buzzi pone anche ben altri problemi: mostro, mafioso, corruttore. Questa è oggi la sua fotografia, questo sono le sue impronte digitali, il suo Dna. Mostro per il solito circo mediatico-giudiziario messo in piedi da magistrati esibizionisti e giornalisti in toga. Su questo punto, caro Salvatore, non c'è speranza. Tu stesso ti sci domandato, quando cri ancora libero e rispettato, come mai sia stato arrestato Claudio Scajola per quella vicenda assurda che ha riguardato un altro mio ex collega parlamentare, Amadeo Matacena. Neanche io ho capito perché, e posso dare una sola spiegazione: se arresti, conquisti qualche titolo e qualche foto sui giornali. Altrimenti, poche righe in cronaca. Ma neanche mi convince l'incriminazione di Matacena, visto che anch'io, insieme a Vittorio Sgarbi, fui indagata per otto mesi per lo stesso reato, "concorso esterno in associazione mafiosa". E so che è un reato inesistente. Come lo so io, lo sanno e lo dicono in tanti, cosi come in tanti, quelli che lo conoscono, sanno bene che Buzzi non è un mafioso. Dove sono i tartarughini, con la testa nascosta, i garantisti del Pd? Se la loro identità politica non è più quello del giustizialismo, come vent'armi fa, si facciano sentire. Se devono "far pulizia" nel Pd romano, la facciano, problema loro. Ma alzino la voce per dire che non si deve più confondere la giustizia con la morale e che vogliono uno Stato di diritto laico e rispettoso nei confronti del "signor chiunque". Le mie esperienze, sia giudiziarie che politiche, mi hanno reso non solo sensibile, ma anche molto diffidente nei confronti delle Grandi Inchieste, soprattutto se basate sulla contestazione del reato associativo, come contenitore che tutto comprende e tutto giustifica. E mi sta molto sulle scatole un Procuratore (che non conosco) che fa conferenze stampa e che crea un nuovo reato, l'associazione mafiosa in salsa romana, solo per poter usare tutti gli strumenti, anche persecutori, consentiti per i reati più gravi, come il 416-bis. E altrettanto non apprezzo un ministro che applica l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario (che andrebbe abolito subito) a indagati che non sono neppure accusati di omicidi e stragi. Si vogliono forse creare nuovi "pentiti" come Scarantino? Purtroppo la storia giudiziaria di questo paese, se e quando fa giustizia, la fa molti anni dopo, quando la reputazione e la vita di tanti sono ormai rovinate. Ma so per esperienza che far uscire qualche voce dal silenzio e dal vocio urlante del consueto circo a volte a qualcosa serve ed è giusto farlo. Io so che Salvatore Buzzi non è un mostro e non è un mafioso. Non so se sia solo un lobbista, come lui dice, o anche un corruttore o un concusso. Questo, ma solo questo, lasciamolo alla magistratura. Ma, si spera, a una magistratura requirente normale, senza elmetto e senza selfie. Isernia: morte sospetta in carcere, indagine interna dell'Amministrazione penitenziaria Il Giornale del Molise, 10 gennaio 2015 In attesa che il medico legale Vincenzo Vecchione consegni la perizia con l'esito dell'autopsia, emergono nuove indiscrezioni sulla morte di Fabio De Luca, il detenuto di 45 anni, originario di Roma, che nel mese di novembre ha perso la vita dopo aver battuto la testa mentre si trovava nella cella di due compagni nel carcere di Isernia. Le ultime indiscrezioni raccolte riguardano un'indagine interna disposta dall'Amministrazione penitenziaria. Sarebbero in corso alcune verifiche per capire se il 45enne in quel momento potesse o meno allontanarsi dalla sua stanza. Sembra che De Luca, in carcere da circa un mese, in quel periodo fosse sottoposto ad alcune misure di tipo precauzionale, di quelle che in genere si applicano nei confronti dei nuovi arrivati. Il 45enne poteva avere rapporti con tutti, socializzare, ricevere visite e fare telefonate. Ma in determinati orari doveva restare nella sua cella, né naturalmente poteva entrare in quella di altri compagni. Resta tuttavia da capire se questa disposizione fosse ancora in vigore. Se questa ipotesi trovasse conferme scatterebbero, da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dei provvedimenti per omessa vigilanza. Anche la Procura di Isernia ha fatto accertamenti in questa direzione, ma almeno per ora non sono emerse novità, tant'è che nel registro degli indagati restano iscritti solo i due detenuti napoletani, di 43 e 24 anni. Per ora il reato ipotizzato nei loro confronti è di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. Ma non è escluso che l'esito dell'autopsia cambi le carte in tavola: subito dopo l'esame effettuato al Cardarelli di Campobasso, infatti, si parlò di traumi alla testa non compatibili con la caduta accidentale dal letto a castello, così come ipotizzato in un primo momento. Gli inquirenti non escludono De Luca sia stato vittima di un'aggressione. Latina: è ancora emergenza sovraffollamento, oltre il 100% di detenuti in più www.latinapress.it, 10 gennaio 2015 In base ai dati sulla capienza regolamentare dovrebbero essere in 76 ed invece, secondo le ultime statistiche diffuse dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, sono in 161, oltre il 100% in più. È questa la situazione del carcere di Latina resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Nei giorni scorsi, una delegazione dei Radicali Italiani aveva visitato la casa circondariale insieme allo scrittore Antonio Pennacchi, denunciando le condizioni di vita all'interno della struttura. "Abbiamo ben presente la situazione denunciata dai Radicali - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - che continua ad essere problematica nonostante l'impegno quotidiano degli operatori, dei volontari e della direzione del carcere. Quella della casa circondariale di Latina è una vicenda purtroppo tristemente e universalmente nota. Una struttura considerata inadeguata da tutti al punto da essere destinata alla chiusura, secondo le previsioni di uno dei Piani Carceri del Ministero della Giustizia. Invece la mancanza di alternative e, soprattutto, di fondi per realizzare un nuovo carcere, ha fatto finire nel dimenticatoio questo progetto. Quella di via Aspromonte è una situazione che monitoriamo continuamente considerando anche la presenza di una sezione di Alta Sicurezza". Secondo il Garante, nonostante i problemi , negli ultimi mesi le presenze di reclusi a Latina sono aumentate, passando dai 139 detenuti censiti il 9 novembre ai 161 registrati lo scorso 31 dicembre. "Nelle prossime ore - ha concluso Marroni - ho intenzione di contattare i vertici del Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria (Prap) e la stessa direzione dell'Istituto per verificare insieme, se sia possibile ridurre il sovraffollamento e per individuare quali provvedimenti concreti possano essere adottati celermente per migliorare la qualità della vita all'interno del carcere". Parma: visita ispettiva dei Radicali "carcere problematico per i diversi regimi detentivi" www.parmatoday.it, 10 gennaio 2015 Mercoledì 7 gennaio una delegazione di Radicali di Parma, a sostegno del Satyagraha di Natale con Marco Pannella si è recata in visita ispettiva al carcere di Parma. Mercoledì 7 gennaio una delegazione di Radicali di Parma, a sostegno del Satyagraha di Natale con Marco Pannella, composta da Marco Maria Freddi, Silvio Tiseno, Agostino Agnero, Giovanni Ronda, Marina Rossi e Mara Rossi, si è recata in visita ispettiva al carcere di Parma. Abbiamo parlato con Marco Maria Freddi, segretario dell'Associazione Liberamente Radicale di Parma: riportiamo di seguito il racconto che ha fatto all'uscita dalla visita della struttura di massima sicurezza di via Burla. "Visitare un carcere non è un esperienza semplice, è una cosa che ti segna davvero. Ma è una esperienza importante per chi fa politica, poiché poche cose come la visita di un carcere ti ricordano che se ti dimentichi degli ultimi, dei più emarginati, non hai capito nulla di cosa deve essere la politica. Raccontare il carcere nel nostro paese non è facile perché calato in quella civiltà che definiamo democrazia. Dopo aver visitato alcune carceri africane, nel mio recente viaggio con la delegazione di Nessuno Tocchi Caino, associazione costituente il Partito Radicale che si occupa da vent'anni della abolizione della pena capitale nel mondo, la realtà di Parma, ai miei occhi, risplende, ma parlare di carcere, in Italia, proprio perché calati in quella civiltà che definiamo "democrazia", significa affrontare i nodi che da anni lo rendono problematico e che hanno già comportato per l'Italia la condanna della Commissione europea dei diritti dell'uomo. Il sovraffollamento, i suicidi, il richiamo istituzionale del Presidente della Repubblica Napolitano non sono sufficienti per trovare soluzioni politiche in grado di restituire dignità alle migliaia di detenuti le cui condizioni di vita coincidono con quel "trattamento disumano e degradante" ricordato dalle sentenze europee. Parma è un carcere problematico, per i diversi regimi detentivi a cui sono soggetti i detenuti. Accompagnati nella visita dal Direttore, Mario Antonio Galati, abbiamo visitato un settore del 41bis, un settore dei detenuti comuni e le infermerie. Il sovraffollamento è stato contenuto dalle recenti norme approvate dal Governo, al 7 Gennaio 2015, i detenuti erano 530 su una capienza regolamentare di 430 detenuti. Da notare che solo 115 detenuti, sono nella media sicurezza, il rimanete dei detenuti appartengono a stati detentivi di alta sicurezza o regime di 41bis. Ciò di cui abbiamo discusso, durante il breve briefing, oltre al problema sovrappopolazione, abbiamo discusso dell'accesso ai servizi sanitari e ai tirocini lavorativi al fine di poter effettuare lavori esterni di utilità pubblica o presso l'industria privata. Abbiamo riscontrato che nonostante la complessità dei regimi detentivi, Parma ha un numero elevato di detenuti in semi-libertà o impiegati a lavori di pubblica utilità. L'importanza della formazione è legata a doppio filo alla necessità del reinserimento nel mondo del lavoro, in carcere prima e fuori successivamente, e nonostante l'amministrazione comunale abbia in essere un protocollo per attivare tirocini formativi ed inserimenti lavorativi protetti, le necessità di rinserimento all'esterno sarebbero più ampio. Il ruolo delle cooperative è fondamentale sia dentro che fuori dal carcere e se l'industria privata difficilmente assume, le cooperative sociali offrono possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Il carcere di Parma è dotato di un centro diagnostico terapeutico e quando questo non è sufficiente a coprire le esigenze, i detenuti hanno un canale di accesso dedicato, all'ospedale di Parma, che riduce i tempi di attesa in caso di urgenza. In attesa della reale messa in opera dello "svuota-carceri" con il ricorso alle pene alternative, il carcere di Parma attuerà il regolamento carcerario con il modello della sorveglianza dinamica che prevede una sorta di carcere a "regime aperto" che, per i detenuti a media e bassa pericolosità, potenzia gli spazi dedicati a lavoro, sport, attività ricreative e culturali, accesso al lavoro esterno e come dichiarato dal Direttore, "la vigilanza dinamica punta sull'aspetto riabilitativo della pena, la vigilanza dinamica funziona e da questo nuovo modello di "regime aperto", non si torna indietro. La sorveglianza dinamica, rappresenta il sistema più efficace per assicurare l'ordine all'interno degli istituti, senza ostacolare le attività trattamentali e fonda i suoi presupposti su di un sistema che fa della conoscenza del detenuto il fulcro su cui deve poggiare qualsiasi tipo di intervento trattamentale o securitario adeguato". Tanto da fare, diritti da garantire, da tutelare, in nome di ciò che crediamo essere il livello di civiltà di società a cui ambiamo. A Parma, il servizio penitenziario non è sufficiente ma adeguato, anche grazie alle qualità umane di chi dirige e lavora nel carcere". Bollate (Mi): direttore carcere; mense alle coop? non perderemo la qualità raggiunta Il Velino, 10 gennaio 2015 "Se per motivi di natura amministrativa generale la mensa non sarà gestita dalle cooperative sociali, punteremo a salvare le attività a latere". "Se dal primo febbraio 2015 il vitto nel carcere sarà distribuito dai detenuti a mercede e non più tramite il servizio della cooperativa sociale, dovremo trovare un rimedio per salvare l'ottima qualità raggiunta e tutte le virtuose attività a latere". Massimo Parisi, direttore della Casa di reclusione di Bollate, una di quelle più all'avanguardia nel panorama nazionale in quanto a percorsi di reinserimento sociale dei detenuti, si dice "preoccupato" da quella che sembra essere una prospettiva sempre più concreta: dopo 11 anni, nelle dieci carceri italiani in cui i pasti venivano preparati da reclusi alle dipendenze di altrettante cooperative sociali (a Bollate, in particolare, la coop Abc La sapienza in tavola) si tornerà a fare come nelle altre 195, ovvero i cuochi torneranno a essere persone sempre detenute ma pagati direttamente dal Dap, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con il sistema delle mercedi, i lavori basilari inframurari. Questo perché il finanziamento annuale della Cassa ammende, che ha garantito le esperienze in atto negli ultimi anni, non sarà rinnovato nel 2015: "è necessaria una progettualità strutturale, non si può più parlare di sperimentazione", la motivazione del ministro della Giustizia. Il 31 gennaio scade la proroga di 15 giorni concessa alle coop e agli Istituti di pena e il "piano strutturale" sembra lontano dal trovare un riscontro immediato: "C'è la speranza che avvenga presto, nel frattempo noi dobbiamo capire come mantenere tutte le altre attività oltre al vitto, per esempio, nel nostro caso, il catering di altissimi livello garantiti dalla Abc", spiega il direttore di Bollate, "in questo senso, stiamo già studiando soluzioni con la stessa cooperativa". Parisi, assieme agli altri nove direttori coinvolti, aveva inviato una lettera al Dap sottolineando i risultati positivi del servizio mensa della cooperazione sociale, che ora rischiano di essere vanificati o quantomeno ridimensionati per "motivi di natura amministrativa". Agrigento: Uil-Pa; la Casa circondariale di contrada Petrusa è ridotta a un colabrodo www.agrigentonotizie.it, 10 gennaio 2015 Il Sindacato di categoria andrà in visita nella Casa circondariale di contrada Petrusa, senza direttore da circa due mesi e con i lavori di ampliamento fermi da un anno. "Andare a visitare il carcere nella città natia dell'ex guardasigilli Angelino Alfano, ora ministro dell'Interno e leader del Ncd, e venire a scoprire che da oltre 2 mesi non c'è un direttore titolare, e i lavori per il nuovo padiglione da 250 posti sono fermi da più di un anno è qualcosa di davvero incredibile". Con queste parole il coordinatore regionale della Uil-Pa penitenziari Sicilia, Gioacchino Veneziano, entra direttamente nel cuore dei problemi che attanagliano la casa circondariale di Agrigento, che visiterà il 23 gennaio prossimo, alle 10, accompagnato dal coordinatore provinciale Uil Penitenziari di Agrigento, Calogero Speziale, e dal segretario aziendale Gioacchino Zicari. "Vogliamo vedere e fotografare situazioni che ormai hanno superato il limite della decenza - dichiara il leader siciliano della Uil di categoria - poiché è davvero raccapricciante che una sede di importanza penitenziaria di primo ordine come Agrigento non vi sia assegnato ancora un dirigente titolare. Eppure - continua Veneziano - l'allora guardasigilli Alfano individuò la cittadina dei Templi come struttura penitenziaria da potenziare con il cosiddetto Piano Carceri che di piano ha avuto solo la lentezza dei lavori mai ultimati, considerato che da più di un anno i lavori sono fermi, determinando che dopo il danno di non vedere alla luce la nuova struttura, vi è anche la beffa di non avere somme necessarie per mantenere la vecchia struttura, visto che ormai è ridotta a un vero e proprio colabrodo". "A questo punto - conclude la Uil-Pa Penitenziari Sicilia - è obbligatorio a tutela di tutti i poliziotti delle carceri di Agrigento garantire un sistema di adeguata sicurezza operativa e funzionale, quindi fotografare lo stato dei luoghi di lavoro e la loro funzionalità, e relazionare agli organi competenti del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, del Visag, e nelle parti di pertinenza Asp e Nas, consegnando il cd con le 40 fotografie tramite conferenza stampa presso la sede Uil di Agrigento". Frosinone: oggi una delegazione dei Radicali effettua una visita alla Casa Circondariale www.radicali.it, 10 gennaio 2015 Una folta delegazione dell'Associazione Radicale Pier Paolo Pasolini della Provincia di Frosinone, composta dal Segretario Michele Latorraca, dal Presidente Sandro Di Nardo, dal Tesoriere Giorgio Cataldi, da Monia Ciotoli e da Stefano Barletta si recherà, oggi 10 gennaio 2015, presso la casa Circondariale di Frosinone per una ennesima visita volta a comprendere sempre meglio la realtà della struttura penitenziaria del capoluogo ciociaro. L'iniziativa dell'Associazione è legata alla campagna denominata Satyagraha di Natale promossa da Radicali Italiani e dal Partito Radicale Transnazionale Transpartitico e Nonviolento volta a porre l'attenzione sul sempre più imbarazzante stato in cui versano le carceri italiane. Nonostante le baldanzose dichiarazioni del Premier Renzi sul fatto che l'Italia grazie al provvedimento cosiddetto "svuota carceri" sia rientrata in un alveo di legalità mai conosciuto in precedenza e che ormai non si parla più di amnistia ed indulto in quanto non esiste più sovraffollamento, la realtà dei numeri e del quotidiano che le carceri italiane vivono, comprese anche quelle ciociare, in particolar modo la realtà di Frosinone, descrivono una realtà lontana dalle auto proclamazioni governative. È fondamentale sempre più assumersi la responsabilità di arrivare a stretto giro ad una amnistia e ad un nuovo indulto, in modo da consentire una ritrovata operatività ai magistrati, ormai sommersi da carte e procedimenti che spesso arriveranno a prescrizione, che rappresenta una vera e propria amnistia di classe, visto che chi si può permettere i migliori professionisti troverà sempre il modo per allungare processi e superare il termine prescrittivo. La stessa recente sentenza di proroga del 41 bis all'ultraottantenne ed incapace di intendere e di volere Bernardo Provenzano dimostra altresì che lo Stato usa metodi peggiori di quelli delle cosche per contrastare la criminalità organizzata di stampo mafioso, mentre la la criminalità mafiosa prospera e si diffonde in ogni angolo nel Paese a scapito dello Stato democratico sempre più agonizzante. Per questo e per altri motivi fra i quali l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, una migliore sanità carceraria, l'abolizione dell'inutile 41 bis e la presenza dei detenuti nel preannunciato Stato Generale delle carceri noi siamo vicini ai detenuti, vicini alle forze di polizia Penitenziaria, agli educatori, agli assistenti sociali, ai mediatori culturali, ai volontari e a tutto il personale che a vario titolo quotidianamente si trovano a vivere un quotidiano di illegalità e di abbandono. Nei giorni successivi alla visita, la delegazione radicale preparerà e metterà a disposizione dei media un piccolo dossier sul Carcere di Frosinone. Cagliari: Caligaris (Sdr); negato colloquio a familiare di detenuto, per ritardo 10 minuti Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2015 "È assurdo che un presunto ritardo di 10 minuti sull'orario d'ingresso per effettuare un colloquio con un detenuto possa impedire a un familiare di incontrare un parente ristretto. L'increscioso episodio, che si è verificato nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta, è costato al parente un viaggio a vuoto di oltre 560 chilometri tra andata e ritorno". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" sottolineando che "si tratta di un episodio che fa riflettere sulla necessità di una maggiore elasticità nelle disposizioni soprattutto quando le distanze sono ragguardevoli e esistono oggettive difficoltà a raggiungere la Casa Circondariale di Cagliari-Uta ubicata nell'area industriale senza adeguate indicazioni stradali". "L'uomo, residente a Olbia, afferma di aver raggiunto la struttura detentiva intorno alle 13,10 convinto che l'orario d'ingresso, come aveva appreso in precedenza, fosse fino alle 13.15. Giunto davanti all'ingresso però - sottolinea Caligaris - ha saputo che il limite di accesso era stato anticipato alle 13. Nonostante abbia fatto presente la sua situazione e la distanza di provenienza, si è visto negare l'ingresso e sconcertato non ha potuto far altro che tornare a casa". "È evidente che, aldilà delle disposizioni relative agli orari, è preferibile evitare situazioni così assurde e tenere nella massima considerazione il disagio che i familiari devono affrontare per poter trascorrere un'ora con un parente privato della libertà. L'auspicio è che episodi come questo non si verifichino più anche perché il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e la legge sull'ordinamento valorizzano l'azione rieducativa e risocializzante della relazione costante con i familiari. Un pò di buon senso - conclude la presidente di Sdr - avrebbe evitato amarezza e sconcerto". Firenze: Brogi (Pd); interrogazione chiede "tempi certi" su chiusura dell'Opg Montelupo Redattore Sociale, 10 gennaio 2015 Il consigliere Enzo Brogi (Pd) interroga la giunta regionale chiedendo chiarezza. "Tempi certi e una soluzione definitiva. La Toscana può diventare un modello". "Tempi certi e una soluzione definitiva per la chiusura dell'Ospedale Psichiatrico di Montelupo Fiorentino. La nostra Regione sia capofila, come peraltro ha già saputo ben fare su diverse materie, metta fine alla pagina orribile degli Opg e inauguri un nuovo corso, una nuova organizzazione per la detenzione di persone affette da patologie psichiatriche. Si partorisca un nuovo sistema sociale, sanitario e culturale per la gestione di queste situazioni, che possa servire anche da modello per le altre Regioni". È quanto dichiara Enzo Brogi consigliere regionale Pd, primo firmatario di un'interrogazione, sottoscritta anche da altri consiglieri Pd e rivolta al presidente e alla giunta regionale, "In merito alla chiusura dell'Ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino". "La Toscana ha approvato un progetto di superamento dell'Opg di Montelupo Fiorentino, peraltro imprescindibile dal momento che la chiusura di queste strutture è prevista per legge entro marzo 2015 - continua Brogi - Adesso quel termine sta per scadere e per scongiurare la richiesta di ulteriori proroghe, come purtroppo già avvenuto nell'aprile 2014, chiedo che la Toscana metta a punto un crono-programma, con degli step risolutivi: in primis, è necessario sapere quanti sono attualmente gli internati toscani suddivisi per Asl di appartenenza e qual è la loro situazione clinica e giudiziaria. Nello specifico, quanti coloro che, in base ai Programmi terapeutico-riabilitativi individuali, potrebbero essere già dimessi e, soprattutto, dove potrebbero andare; quanti, invece, non hanno tali caratteristiche e per quali ragioni, ad esempio se per motivi clinici o per permanenza di pericolosità sociale. Infine, chiedo se la nostra Regione, allo scopo di arrivare con tempi brevi e certi al superamento dell'Opg di Montelupo F.no, non possa, attraverso un piano di revisione delle Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive) individuare e utilizzare strutture che sono già nella sua disponibilità, evitando di dover cercare edifici che richiedono intese con altre Amministrazioni (Dap), e in molti casi consistenti lavori di ristrutturazione". Firenze: detenuto evade da Sollicciano, bloccato da Polizia penitenziaria a pochi chilometri Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2015 "Un'evasione dal carcere durata un'ora. È accaduto intorno all'una di oggi pomeriggio a Sollicciano e ha visto protagonista un detenuto di nazionalità marocchina, 30 anni, ristretto per spaccio di droga, lesioni ed oltraggio a pubblico ufficiale. Sono stati momenti di grande tensione", spiega il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Il detenuto è fuggito dal campo sportivo del carcere e, scavalcando il muro di cinta, si è allontanato. L'Agente di Polizia Penitenziaria di servizio di vigilanza sul muro di cinta se n'è però subito accorto ed ha dato l'allarme. Altri poliziotti sono usciti immediatamente dal penitenziario e si sono messi sulle stracce del fuggitivo, arresto dopo circa un'ora nei pressi del cimitero di Ugnano, a pochi chilometri dal carcere". Capece punta il dito contro il sistema della "vigilanza dinamica" che è in atto nel carcere di Firenze Sollicciano: "In pratica, si vuole cercare di tenere tutta la giornata aperti i detenuti per farli rientrare nelle loro stanze solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione. Il Sappe si batte da tempo contro questa improvvida soluzione che si ritiene assolutamente destabilizzante per le carceri italiane. È infatti nostra opinione che, lasciando le sezioni detentive all'autogestione dei detenuti, si potrebbero ricostituire quei rapporti di gerarchia tra detenuti per cui i più potenti e forti potrebbero spadroneggiare sui più deboli e determinare soluzioni di tensione ed eventi critici, come l'evasione di oggi conferma. In secondo luogo, sempre a nostro avviso, si sta ignorando l'articolo 387 del codice penale per il quale potrebbe essere comunque l'agente, anche se esiliato davanti a un monitor, a rispondere penalmente di qualsiasi cosa accada nelle sezioni detentive. Ancora più grave potrebbe essere l'accentuarsi in maniera drammatica di episodi di violenza all'interno delle stanze ove i detenuti non sono controllabili". Ma il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria richiama anche "la disattenzione dei vertici regionali toscani dell'Amministrazione Penitenziaria verso le criticità del carcere fiorentino di Sollicciano, considerato che non ancora non si adottano interventi urgenti per garantire adeguati livelli di sicurezza del carcere e migliori condizioni di lavoro per i poliziotti penitenziari nonostante le nostre reiterate sollecitazioni". Viterbo: sventato un tentativo d'evasione, trovata corda di sei metri fatta con le lenzuola www.viterbonews24.it, 10 gennaio 2015 Un tentativo di evasione dal carcere di Mammagialla è stato sventato dagli agenti di Polizia penitenziaria che, durante i controlli, hanno trovato delle lenzuola intrecciate per formare una corda lunga circa sei metri. La corda era stata nascosta nei condotti di areazione del locale doccia di una sezione penale. Insieme alle lenzuola intrecciate, sono stati trovati dei ganci rudimentali, ricavati dagli spazzoloni per le pulizie delle celle che, probabilmente, sarebbero stati utilizzati come arpioni dai reclusi che stavano preparando l'evasione. "Durante un'indagine interna - spiega Daniele Nicastrini, coordinatore regionale della Uil penitenziari - il personale di polizia penitenziaria, nel tardo pomeriggio di ieri, ha trovare delle lenzuola intrecciate lunghe circa 6 metri. Con le lenzuola sono stati trovati rudimentali ganci da utilizzare come arpioni". Secondo il sindacalista, il ritrovamento ha permesso di sventare un probabile tentativo di evasione. Gli accertamenti proseguono per individuare il detenuto (o i detenuti) che stavano preparando l'evasione. La scorsa settimana, inoltre, è stato trovato un cellulare nascosto da un detenuto nelle parti intimi. Per il segretario regionale della Fns Cisl Lazio Massimo Costantini, fatti del genere dimostrano la grande professionalità del personale, anche in situazioni di carenza di organico. Varese: restano in cella gli agenti penitenziari coinvolti nell'evasione di tre detenuti rumeni www.prealpina.it, 10 gennaio 2015 Quattro ricorsi al Tribunale del riesame di Milano. E quattro no. Nessuna scarcerazione: tutti gli agenti della polizia penitenziaria arrestati lo scorso 9 dicembre con l'accusa di aver favorito l'evasione di tre detenuti romeni dai Miogni - una fuga clamorosa avvenuta nel febbraio 2013 - restano in cella. I giudici milanesi hanno ritenuto che la custodia in carcere decisa dal gip di Varese Anna Giorgetti, su richiesta del sostituto procuratore Annalisa Palomba, sia l'unica misura cautelare adeguata a garantire un seguito dell'inchiesta senza turbative. Dei cinque agenti arrestati uno solo non aveva fatto ricorso al Tribunale del riesame: tramite il suo difensore, l'avvocato Alberto Zanzi, Carmine Domenico Petricone ha chiesto infatti al pm titolare dell'indagine di essere interrogato, e il sostituto Palomba ha detto sì, fissando il colloquio con l'indagato per il prossimo 20 gennaio. Inutile dire che da questo passaggio della vicenda l'impianto accusatorio messo a punto dalla Procura di Varese esce rafforzato. Udine: all'interno di una cella ritrovati un carica batterie per telefono e una spatola www.udinetoday.it, 10 gennaio 2015 Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) per voce del suo segretario nazionale, Donato Capece, ha fatto sapere che recentemente nel carcere di via Spalato a Udine sono stati rinvenuti all'interno di una cella penitenziaria un carica batterie per telefono e una spatola; naturalmente accuratamente nascosti dal detenuto che li aveva in custodia. "È un episodio grave, condizionato probabilmente dai livelli minimi di sicurezza che la vigilanza dinamica impone", ha dichiarato il segretario della Sappe. Lo stesso Capece, poco tempo fa in un'intervista a "Il Tempo", aveva allertato come questa sorta di carcere a "regime aperto" non sia risolutiva in termini di sicurezza, né per gli agenti, né per gli stessi detenuti. Nello specifico denunciava gia lo scorso ottobre: "la vigilanza dinamica da oltre un anno prevede che i detenuti, non quelli al 41bis, siano liberi di uscire dalle celle e stare nei corridoi. Così oltre a rendere più facili i suicidi, aumenta il rischio delle aggressioni nei confronti della polizia penitenziaria, che sono infatti aumentate del 70%". Ascoli Piceno: l'attore Alessio Boni incontra i redattori della rivista "Io e Caino" Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2015 Ci sono giornate che attraversano la clessidra senza muovere nessun altro granello di vita. Poi ci sono i giorni. Quelli che restano, nonostante tutto. Mercoledì 7 gennaio. Primo pomeriggio. Freddo, col sole. L'appuntamento è alle tre e mezzo, davanti ai cancelli del carcere. Alessio Boni alle otto e mezzo sarà sul palco del Teatro Ventidio Basso col suo Dio che visita Freud. Nei mesi precedenti uno scambio veloce di mail e poi la promessa: appena torno ad Ascoli vengo a trovarvi in carcere, nella redazione del vostro giornale. Alle tre e mezzo in punto siamo davanti al blockhouse. Lui infila la carta d'identità nella feritoia, controlli di rito ed entriamo. "Posso restare solo un'oretta" erano gli accordi. Invece usciremo tardissimo, col buio, freddo, c'è la luna. A meno di due ore dallo spettacolo. Il mondo alle prese con un nuovo 11 settembre. Ma noi ancora non lo sappiamo. Nella sala grande ci sono più di venti ragazzi. Lui si presenta. Poi inizia a calamitare l'attenzione di tutti. Lentamente, abbattendo, muro dopo muro, la cortina di diffidenza che in carcere è una seconda pelle. I detenuti pendono dalle sue labbra. Lui li cattura, li coinvolge, li chiama, li addita, risponde a tono. Senza farsi mai sorprendere. L'atmosfera è energia pura. Ci sono tre ragazzi musulmani. Si parla di cinema, di teatro, del suo Ulisse, dei suoi progetti, ma anche dei problemi del nord Africa, delle frontiere sempre più distanti. Ci si confronta, sul dolore. Ma si ride, anche, alle battute che avvicinano e stemperano la tensione. Due ore, quasi tre, volano. Ci salutiamo con un arrivederci. Alla prossima tournée, al prossimo spettacolo. Andremo a teatro tutti insieme, detenuti compresi. Sarà bello. Usciamo, fuori ci aspetta un mondo diverso. Una volta di più consapevole, a carissimo prezzo, di quanto sia importante incontrarsi. Ed aprire. Teresa Valiani, Direttore Io e Caino, Giornale del carcere di Ascoli Piceno Verona: vittime di reato, uno sportello risponde alle loro domande L'Arena di Verona, 10 gennaio 2015 Chi ascolta le vittime dei reati? Chi può dar loro indicazioni quando devono presentare una denuncia o aver informazioni su come si svolge un procedimento penale? Per dare risposte a questi e a molti altri quesiti, da un anno funziona lo Sportello di ascolto per le vittime di reato, grazie alla collaborazione tra il Comune, che ospita il Servizio nella sede dell'Associazione consiglieri comunali emeriti del Comune, e l'Associazione Scaligera Assistenza Vittime di Reato (Asav). In un incontro sono stati presentati i dati del primo anno di attività dello Sportello istituito a Palazzo Barbieri nel dicembre 2013 dalla Presidenza del Consiglio comunale in collaborazione con il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Margherita Forestan, e l'Asav di cui è presidente Annalisa Rebonato. "Un servizio sperimentale ed innovativo", ha spiegato il presidente del Consiglio comunale Luca Zanotto, "finalizzato ad ampliare l'attenzione sul tema dei diritti dei cittadini che subiscono reati, come richiesto dalla normativa europea, ma anche a far luce su un numero di reati che resta ancora oscuro perché le vittime non trovano chi le ascolta. Grazie ai volontari Asav e al contributo della polizia municipale lo sportello rappresenta un'occasione per ogni cittadino che si ritiene leso nel suo diritto alla sicurezza personale di trovare un ascolto costruttivo, informazioni utili e, se necessario, di essere indirizzato alle strutture specifiche del territorio" In un anno, ha precisato Annalisa Rebonato, "si sono rivolte allo sportello 24 persone, 14 donne e 10 uomini, tra cui due coppie, di età compresa tra i 20 e i 70 anni, 21 di nazionalità italiana e tre straniera. Tra i principali reati subiti si registrano furto e truffa, lesioni, minacce, molestie e bullismo. Alle persone offriamo principalmente ascolto, ma anche informazioni riguardanti la tutela legale, il sistema penale e il procedimento giudiziario, oltre ad orientarle ai servizi territoriali come Asl e consultori, e agli Ordini professionali di competenza, avvocati e psicologi, in grado di dare un aiuto specifico". "Non vi può essere un recupero alla società per chi commette un reato", ha poi aggiunto Margherita Forestan, senza una forte azione a favore della vittima. Con questo servizio, primo ed unico in Italia, si tratta di dare pieno riconoscimento alle vittime e, in quanto tali, di garantire loro rispetto, sensibilità e assistenza personalizzata e professionale. Un'attività che in futuro può ulteriormente migliorare ampliando la collaborazione con le forze dell'ordine, che raccolgono le denunce delle vittime di reato". E a chi chiedeva perché mettere allo stesso tavolo il garante per i detenuti e quello per le vittime di reato, la risposta è l'indicazione di un metodo comune, che si potrebbe riassumere nel termine mediazione. Perché se è assodato che le persone recluse hanno necessità di qualcuno che le ascolti, che ne recepisca i bisogni, la stessa cosa accade per chi ne è stato vittima. "Alimentare le tensioni con pesanti contrapposizioni tra vittime e autori di reati è deleterio per tutti", spiega Margherita Forestan. Che fa un esempio: "Se viene messo agli arresti domiciliari una persona che ha messo a segno un'aggressione, sarebbe bene che la vittima di quel reato ne fosse informata, che le si spiegasse che il detenuto ha fatto un percorso per capire di aver sbagliato e che, comunque, la vittima sarà tutelata. Serve più comunicazione per stemperare le tensioni tra le persone che rischiano di innescare ulteriori problemi". Lo sportello è aperto il martedì dalle 16 alle 19 al piano terra di Palazzo Barbieri. Per contatti e appuntamenti: info@assistenzavittimedireato.vr.it; telefono 377.4776561. Potenza: un Corso per allenatori di calcio, promosso dalla Figc all'interno del carcere di Massimiliano Castellani Avvenire, 10 gennaio 2015 Nei campi "sbarrati" delle nostre carceri, da anni si disputano partite di calcio - solo casalinghe, le trasferte sono vietate - valide per i campionati dilettantistici. Nelle sezioni minorili, la legalità viene insegnata anche mediante dei corsi per arbitri. Ma a questo scopo, non si era ancora visto un regolare corso allenatori per dei detenuti "aspiranti Mourinho". "Dato che il tecnico portoghese rivolgendosi agli arbitri spesso mostra le manette, per un ritorno alla normalità meglio ispirarsi al nostro presidente nazionale dell'Assoallenatori, Renzo Ulivieri". È il commento di Gerardo Passarella, l'ideatore di "Trattamenti", il primo corso allenatori (promosso dalla sezione lucana dell'Associazione italiana allenatori di calcio, in collaborazione con il Comitato Regionale Figc della Basilicata) che ha preso il via all'interno della Casa circondariale di Potenza. "L'idea - spiega Passarella - è nata due anni fa quando ero allenatore del Potenza calcio in Serie D. Con il direttore generale del Potenza, la nostra "grande anima", il prof. Rocco Galasso, per la Santa Pasqua decidemmo di organizzare una partita di calcio con i detenuti. Al termine dell'incontro, parlando con il direttore del carcere, dottor Michele Ferrandina, pensammo a un corso propedeutico per dei futuri "mister", in questo caso davvero speciali...". Il tempo di avvertire il presidente di tutti gli allenatori italici, Ulivieri, ricevere il placet dell'allora prefetto del capoluogo lucano, Antonio Nunziante, e tutto era pronto per il fischio d'inizio dell'inedito corso. Tre incontri settimanali, 146 ore di lezioni per una classe di tredici detenuti. I primi tredici aspiranti allenatori dietro le sbarre: un bulgaro, un africano, il resto italiani, si sono appena diplomati. "Le materie sono le stesse dei corsi di Uefa B (il patentino che consente di allenare fino alla Serie D e di fare l'allenatore in seconda in Lega Pro) che teniamo a Coverciano: lezioni di tecnica, regolamento di gioco, carte federali, psicologia, medicina e primo soccorso con defibrillatore", spiega Ulivieri che, indossata la sua tuta d'ordinanza Aiac, è subito sceso a Potenza. "Renzaccio" è voluto entrare nell'aula della Casa circondariale per verificare di persona l'andamento del corso. "È sempre una grande emozione varcare la soglia di un luogo come il carcere dove sai di incontrare delle persone che soffrono, che stanno scontando la loro pena. Il cattivo messaggio, "chiudo e butto via la chiave", non appartiene al sottoscritto e neppure all'Assoallenatori. Anzi, mi indigna il fatto che persino nel nostro ordinamento sportivo esista ancora una condanna definitiva, senza appello, come la radiazione. Un uomo che ha commesso un errore, per quanto grave, ha diritto a un'altra chance per riabilitarsi e reinserirsi nella società. A questo corso allenatori partecipa un giovane detenuto che già conoscevo, appena mi ha visto mi è venuto incontro e mi ha detto: "Mister Ulivieri non ce l'ho fatta. Ho sbagliato ancora, ma questa volta sono sicuro che ce la farò". E ne sono convinto, perché ha capito che allenare vuol dire educare prima di tutto se stessi e poi prendersi cura di un gruppo, di uno spogliatoio intero". Parole esemplari di chi ai suoi "allievi dentro" non si pone affatto come un esempio. "Alla prima lezione mi sono presentato ai detenuti dicendo che sono stato l'allenatore "più espulso d'Italia". Però badate bene, ho precisato, io stavo alle regole: pagavo la multa e scontavo in silenzio i miei turni di squalifica. E tutto questo mi è servito per comprendere che la convivenza civile si basa sul rispetto delle leggi, alle quali nessuno di noi si può sottrarre. Questo è il senso di responsabilità". E il senso di responsabilità nella gestione di una squadra è una delle tante conoscenze apprese dagli allievi-allenatori al termine di un corso che ha ricevuto anche il plauso dell'Unione Europea. "Abbiamo ottenuto dei risultati insperati. È incredibile il livello d'attenzione mostrato da tutti i partecipanti - continua Passarella. Si sono create due "squadre" che però hanno lavorato in piena sintonia: la nostra composta dai docenti - tutti volontari - e dai detenuti, e quella degli agenti. Dalle relazioni stilate dalle dottoresse Crovatto e Di Lorenzo, è emerso che ognuno dei detenuti partecipanti si è sentito "migliorato"". Unico limite del corso, imposto da ovvie ragioni sicurezza, prevede che il tirocinio per gli aspiranti mister non si possa effettuare esternamente, andando in visita nei centri di allenamento dei club. "Ma anche per questo, così come per il materiale tecnico che ci è stato messo a disposizione, abbiamo rimediato: sono le società che hanno accettato l'invito ad entrare in carcere. Così, alle lezioni cui segue la partitella dimostrativa, hanno partecipato club dilettantistici e i professionisti del Melfi (Lega Pro). Tra i vari allenatori è venuto a trovarci Delio Rossi che è rimasto particolarmente colpito dall'atmosfera che ha riscontrato in aula e in campo". Un'atmosfera estremamente positiva che i detenuti del secondo corso stanno per sperimentare. A giorni infatti, è fissato il fischio d'inizio per il nuovo ciclo di lezioni, con il benestare di quella che è diventata la "prima tifosa". della formazione dei mister della casa circondariale lucana, il giudice di sorveglianza Paola Stella. È stata lei - insieme al prefetto Nunziante e al direttore Ferrandina - a consegnare le "panchine d'argento" agli allievi che si sono diplomati allenatori. E uno dei neo-mister, dopo quel "pezzo di carta della legalità", come lo chiama Ulivieri, ha pensato di andare oltre. "È un giovane detenuto che è stato trasferito a Cuneo - dice orgoglioso Passarella. Tornare tra i banchi per apprendere quei rudimenti che gli serviranno un giorno per allenare una squadra tutta sua, lo ha stimolato a riprendere gli studi universitari. Una grande vittoria, per lui e per noi. Così come è una grande conquista, quel ragazzo di Scampia in regime di semilibertà che ci verrà dato in affidamento. Si occuperà dello stadio del Potenza e magari darà una mano come aiutante-tecnico nella nostra scuola calcio". Il sogno comune dei tredici futuri "mister anche fuori" è quello di poter allenare una formazione di bambini. La speranza che un giorno ciò accada, è in queste righe di una lettera che porta le loro firme: "Oggi noi 13 siamo una goccia nel mare, ma auspichiamo che il nostro impegno, il nostro entusiasmo in questo corso pilota, servano a dare la stessa opportunità ad altri come noi che si trovano in situazioni difficili. Non sappiamo quanti di noi diventeranno allenatori o se qualcuno ce la farà, ma di sicuro, grazie a voi, avremo tutti noi indistintamente arricchito il nostro bagaglio personale e saremo uomini migliori". India: caso marò; indiscrezioni sull'accusa "spararono con premeditazione" di Matteo Miavaldi Il Manifesto, 10 gennaio 2015 La settimana entrante sarà l'ennesima possibile "svolta" nel caso dei due marò in India. Un appuntamento che, viste le precedenti aspettative di Roma puntualmente disattese dal sistema giuridico indiano, sarebbe il caso di attendere con quanta più precauzione possibile. Lunedì la Corte suprema valuterà una nuova richiesta di proroga del rientro in India di Massimiliano Latorre, fissato per il 13 gennaio. Elemento di novità rispetto alla richiesta di qualche settimana fa, rigettata informalmente dai giudici e ritirata ufficialmente dai legali dei due fucilieri, è l'operazione cardiochirurgica alla quale Latorre si è sottoposto il 5 gennaio. Dal policlinico di San Donato Milanese fanno sapere che l'operazione è perfettamente riuscita. Il periodo di degenza post operatoria, però, non permetterebbe al fuciliere di sostenere un viaggio intercontinentale e perciò si torna a contare sulla buona volontà della giustizia indiana, chiamata a fare un nuovo strappo alla regola. Accusati di duplice omicidio, i due marò da quasi tre anni hanno potuto godere di un regime di limitazione della libertà inedito in India, considerando la gravità del crimine che gli viene contestato. L'accondiscendenza pare incontri diverse resistenze all'interno dell'esecutivo indiano. Nell'ultima settimana fonti anonime del governo hanno affidato al quotidiano Economic Times una serie di retroscena che non depongono a favore dei due sottufficiali di Marina. Il 2 gennaio, un funzionario di Delhi ha rivelato che, secondo il ministero degli Interni, l'unica garanzia del ritorno di Latorre in India sarebbe stata trattenere Salvatore Girone nel paese, negandogli la licenza per passare il Natale con la famiglia in Puglia. Passano pochi giorni e la stampa italiana rilancia la "preoccupazione" di Ban Ki Moon, segretario generale all'Onu, per il braccio di ferro italo-indiano. In realtà, il portavoce della segreteria dell'Onu si era limitato a ribadire che la posizione delle Nazioni Unite non era cambiata rispetto a un anno fa, quando si chiarì che il caso dei due fucilieri veniva considerato una "questione bilaterale" che India ed Italia avrebbero dovuto risolvere soddisfacendo entrambe le parti. Ieri, l'ennesima picconata contro i due imputati. Sempre sull'Economic Times, è stata la National Investigation Agency (Nia) a rincarare la dose, sostenendo di avere le prove per accusare Latorre e Girone di omicidio preterintenzionale. Secondo quanto rivelato da un funzionario della Nia, i due fucilieri avrebbero "sparato al peschereccio in assenza di provocazione o altri elementi che potessero farlo scambiare per una barca di pirati", esplodendo "20 colpi di arma automatica in direzione dell'imbarcazione a una distanza di 125 metri". Secondo il documento dell'accusa, a quella distanza i militari non avrebbero potuto sbagliarsi e scambiare Ajesh Binki e Valentine Jelastine per pirati. L'impianto accusatorio, hanno ribadito ancora dalla Nia, sarebbe pronto per essere depositato agli atti. Bisogna solo aspettare di sciogliere il nodo della giurisdizione e capire dove si farà il processo. Decisione che, salvo nuovi colpi di scena, non arriverà prima della prossima udienza in Corte suprema, fissata per il mese di marzo. Stati Uniti: in Ohio condannato a mote impiegò 25 minuti per morire, stop mix di farmaci Ansa, 10 gennaio 2015 L'Ohio porrà fine all'utilizzo della combinazione dei due farmaci per le iniezioni letali che ha causato la drammatica agonia lo scorso gennaio di Dennis McGuire, condannato a morte per lo stupro e l'omicidio di una donna incinta nel 1993. Lo ha annunciato il Department of Rehabilitation and Correction statale. Per l'iniezione letale dell'uomo è stato usato un mix di midazolam e idromorfone, ma qualcosa è andato storto tanto che McGuire ha impiegato ben 25 minuti per morire. Un tempo lunghissimo, in cui il condannato si è dimenato in preda alle convulsioni ed è infine morto soffocato. JoEllen Smith, portavoce del Dipartimento, ha affermato con i media statunitensi che il sistema carcerario dell'Ohio sta pensando di utilizzare il pentobarbital insieme ad un farmaco usato per le iniezioni letali dal 1999 al 2011, il sodio tiopentale. L'Ohio Department of Rehabilitation and Correction, nel frattempo, ha anche deciso di rinviare l'esecuzione di Ronal Phillips, condannato per lo stupro e omicidio di una bimba di tre anni, figlia della sua fidanzata, in programma per l'11 febbraio. Diversi Stati americani nei quali è in vigore la pena di morte sono alla ricerca di nuove combinazioni di farmaci per le iniezioni letali dopo che alcune aziende farmaceutiche hanno fermato la fornitura dei loro prodotti per non essere più associate alla pena capitale. Siria: "Osservatorio per i diritti umani"; almeno 2.100 detenuti morti in carcere nel 2014 Nova, 10 gennaio 2015 Almeno 2.100 detenuti sono morti nelle carceri siriane nel corso dell'ultimo anno. Lo ha reso noto l'Osservatorio siriano per i diritti umani, raccogliendo le testimonianze delle famiglie dei prigionieri. Secondo gli attivisti, di base a Londra, molti dei corpi dei detenuti presentavano segni di tortura dopo il decesso. Nel corso dei combattimenti sul campo hanno perso inoltre la vita in Siria oltre 76 mila persone, cifra che ha portato il totale delle vittime della guerra civile a superare quota 200 mila Pakistan: detenuto impiccato, è il decimo condannato messo a morte in un mese Ansa, 10 gennaio 2015 Khalid Mehmood, ex responsabile tecnico dell'aviazione pachistana, è il decimo detenuto ad essere impiccato da quando il premier Nawaz Sharif ha sospeso la moratoria sulla esecuzione delle condanne a morte per terrorismo. Lo riferisce DawnNews Ttv. L'impiccagione di Mehmod, coinvolto in un tentativo di assassinio nel 2003 dell'ex generale Pervez Musharraf, è avvenuta ieri sera nella prigione centrale Adiala di Rawalpindi, città gemella di Islamabad. Prima dell'esecuzione della sentenza, si è infine appreso, ingenti forze di sicurezza sono state dispiegate attorno al carcere per prevenire possibili attacchi. Mauritania: il sovraffollamento in alcune carceri ha raggiunto il 300% www.osservatorioitaliano.org, 10 gennaio 2015 Il membro del Parlamento mauritano Sheikha Zeinab Bent Aldd ha reso noto che il sovraffollamento delle carceri in Mauritania è arrivato al 300%. Sheikha ha informato in una dichiarazione verbale diretta al Ministro della Giustizia che "il Presidente mauritano, Mohamed Ould Abdel Aziz aveva promesso dopo il suo colpo di Stato il miglioramento della giustizia". Arabia Saudita: frustato in pubblico il blogger Raif Badawi, condannato a 10 anni carcere di Michele Giorgio Il Manifesto, 10 gennaio 2015 Condannato a 10 anni di carcere e a una multa di un milione di Riyal (circa 225.500 euro), Badawi dovrà subire in totale 1000 frustate nelle prossime 20 settimane. Ma l'alleata Riyadh, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, resta intoccabile per i paesi Occidentali. Ai media occidentali piace riferire dell'Arabia saudita solo a proposito dell'aumento o del calo, come in questo periodo, del prezzo del greggio. Poco e male si parla del ruolo che tanti cittadini di questo Paese ultraconservatore - alleato di ferro degli Stati Uniti e delle politiche dell'Occidente in Medio Oriente - svolgono nella crescita dell'estremismo religioso, con generosi finanziamenti ad istituzioni e organizzazioni legate al wahabismo e al salafismo radicale. Washington lo sa ma tace si tengono strette le "storiche" relazioni con la famiglia Saud. E poco si dice anche delle sistematiche violazioni dei diritti umani e politici in Arabia saudita dove, peraltro, il 2015 è cominciato con sei esecuzioni capitali: il 2014 si era chiuso con 87 condanne a morte eseguite. Ieri un blogger, Raif Badawi, in carcere dal 2012, è stato frustato sulla pubblica piazza a Gedda, davanti alla moschea al Jafali, perchè riconosciuto colpevole di "insulti all'Islam". A denunciarlo è Amnesty International, sottolineando che la sentenza è stata eseguita nonostante gli appelli internazionali per annullarla. Badawi, condannato a 10 anni di carcere e a una multa di un milione di Riyal (circa 225.500 euro), dovrà subire in totale 1000 frustate nelle prossime 20 settimane, dopo la preghiera del venerdì. Il blogger in realtà viene punito non per aver offeso l'Islam piuttosto per aver preso di mira nei suoi articoli alcune figure religiose di primo piano. Frustate e altre forme di punizione corporale sono vietate dal diritto internazionale. Ma a quanto pare la libertà di espressione è un diritto che l'Occidente difende solo a casa sua mentre tace se viene violata da regimi autoritari e brutali che fanno i suoi interessi economici e strategici, come l'Arabia saudita. Bahrein: il leader dell'opposizione Ali Salman esorta dal carcere a continuare nelle proteste Nova, 10 gennaio 2015 Sheikh Ali Salman, il leader dell'opposizione nel Bahrein, ha esortato dal carcere i manifestanti a continuare nelle proteste contro il governo, dichiarando che "le richieste della gente sono giuste e legittime". Lo riporta l'emittente "Press Tv" secondo quanto sarebbe stato riferito da Salman durante una conversazione telefonica con la sua famiglia. L'arresto del leader, avvenuto due giorni dopo essere stato rieletto alla guida di al-Wefaq, principale partito di opposizione, ha scatenato la rabbia di molti manifestanti a Manama che sono stati dispersi dalle forze del regime attraverso l'uso di proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Al-Wefaq ha detto che "gli agenti della sicurezza hanno esercitato un uso eccessivo della forza contro i manifestanti che protestavano pacificamente per chiedere la liberazione di Salman, nel sobborgo di Bilad al-Qadeem, provocando diversi feriti". Da metà febbraio 2011, nel Bahrein, migliaia di manifestanti continuano a chiedere alla famiglia reale di Al Khalifa di cedere il potere e consentire l'istituzione di un sistema democratico.