Gli Stati generali sul carcere nella Casa di Reclusione di Padova
Lettera "aperta" al Ministro Orlando a proposito degli Stati Generali sul carcere e le pene
da Ristretti Orizzonti

Gentile Ministro Orlando, siamo la redazione di Ristretti Orizzonti, la rivista realizzata da detenuti e volontari nella Casa di reclusione di Padova. Vorremmo avanzarle una proposta molto concreta: quella di organizzare gli Stati Generali sulle pene e sul carcere qui, in questa Casa di reclusione. Lei forse sa che ogni anno noi organizziamo un Convegno, a cui partecipano circa seicento persone dall'esterno, e 150 persone detenute. Non pensa che portare gli "addetti ai lavori" a confrontarsi con le persone detenute sul senso che dovrebbero avere le pene avrebbe un valore davvero fortemente educativo per tutti, per chi deve essere protagonista di un percorso di rientro nella società, e per chi deve aiutare a costruire quel percorso?
Ci sono tante buone ragioni per cui riterremmo utile fare qui nella Casa di reclusione di Padova gli Stati Generali sulle pene e sul carcere, prima fra tutte che in tal modo si eviterebbe di trasformarli in un lungo elenco di interventi di "esperti" senza nessun confronto con chi le pene e il carcere li vive direttamente come parte della sua vita.
Abbiamo cercato di immaginare per un attimo una cosa inimmaginabile: di essere noi il ministro della Giustizia in questo difficilissimo periodo per le carceri, con l'Europa che ci sta addosso perché il nostro Paese sta gestendo il sistema della Giustizia in modo ancora pesantemente illegale. La prima cosa che faremmo allora è di provare ad aprire un dialogo con i diretti interessati, quelli che hanno sì commesso reati, ma a loro volta ora subiscono ogni giorno l'illegalità del sistema.
Ecco, se gli Stati Generali si organizzassero nella Casa di reclusione di Padova, ci sarebbe l'occasione per confrontarsi non con il singolo detenuto che porta la sua testimonianza sulla sua condizione personale, né esclusivamente con operatori ed esperti, perché 
il confronto avverrebbe con una redazione di detenuti che da anni lavora per cambiare le condizioni di vita in carcere, ma anche per ridare un senso alle pene. Forse è paradossale che a fare questo siano i detenuti stessi, ma in fondo non è neppure così assurdo, perché proprio vivendo pene insensate tante volte le persone hanno accumulato altri anni di carcere e hanno ulteriormente rovinato la loro vita e non vogliono più farlo;
gli addetti ai lavori potrebbero sentir raccontare nei particolari più crudi anche quello che patiscono le famiglie da un sistema, che dimostra spesso scarsissima attenzione nei confronti dei famigliari dei detenuti. Ormai non c'è paese al mondo dove non si discuta di rendere più umane le condizioni delle visite dei famigliari. E noi, con tutta la nostra democrazia, continuiamo a permettere in tutto sei ore al mese di colloquio con controllo visivo, l'equivalente cioè di tre giorni all'anno, e una telefonata di dieci miserabili minuti a settimana;
gli addetti ai lavori potrebbero sentir parlare di come è possibile comunicare in modo efficace con la società e informare sulla realtà delle pene e del carcere, senza suscitare la rabbia dei cittadini: glielo diciamo con assoluta certezza, perché noi incontriamo ogni anno in carcere più di seimila studenti, e le assicuriamo che attraverso le testimonianze delle persone detenute, che parlano dei loro reati per assumersene la responsabilità e per fare prevenzione rispetto ai comportamenti a rischio delle giovani generazioni, le persone cominciano a farsi una idea diversa delle pene e del carcere. Forse, se in tanti comunicassero con l'onestà e la consapevolezza con cui lo facciamo noi, non si perderebbero neppure voti a parlare del carcere, perché i cittadini capirebbero che pene più umane sono garanzia di maggiore sicurezza;
le persone detenute, chiamate a partecipare da interlocutori alla pari a un confronto sulla propria condizione, vedrebbero riconosciuta alla propria voce dignità, e questo è un passo importante per imparare ad aprirsi all'ascolto dell'altro e al dialogo;
da ultimo, sarebbe significativo fare gli Stati Generali in un carcere come quello di Padova, descritto dai mass media ora come un carcere modello, ora come un luogo violento e fuori legge: in realtà, non è né l'uno né l'altro, è un carcere che sarebbe dignitoso, con esperienze anche innovative, se non contenesse ancora il doppio dei detenuti che dovrebbero esserci. A Padova convivono, per forza malamente, due realtà, quella di una detenzione che dà un senso alla pena attraverso lo studio, la cultura, il lavoro, l'apertura e il confronto con il mondo esterno, e quella di un carcere in cui le persone sono costrette ad "ammazzare il tempo" per mancanza di spazi e attività per tutti, e quindi accumulano solo rabbia e rancore.
Nella speranza di essere stati convincenti, le porgiamo i nostri saluti e ci auguriamo di poter ospitare gli Stati Generali sulle pene e sul carcere nella Casa di reclusione di Padova. E, per prepararli seriamente, speriamo anche che lei possa al più presto essere ospite della nostra redazione.