Carceri: Ristretti Orizzonti al ministro Orlando, Stati Generali con i detenuti Adnkronos, 7 febbraio 2015 Organizzare gli stati generali sul carcere con i detenuti della Casa di reclusione di Padova. A lanciare la proposta al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è la redazione di Ristretti Orizzonti, la rivista realizzata da detenuti e volontari nel carcere padovano, con una lettera aperta con la quale invita il guardasigilli a visitare la sede. "Ogni anno organizziamo un Convegno, a cui partecipano circa seicento persone dall'esterno, e 150 persone detenute. Non pensa che portare gli addetti ai lavori a confrontarsi con le persone detenute sul senso che dovrebbero avere le pene avrebbe un valore davvero fortemente educativo per tutti, per chi deve essere protagonista di un percorso di rientro nella società, e per chi deve aiutare a costruire quel percorso? - chiede Ristretti Orizzonti al ministro. Ci sono tante buone ragioni per cui riterremmo utile fare nella Casa di reclusione di Padova gli Stati generali sulle pene e sul carcere, prima fra tutte che in tal modo si eviterebbe di trasformarli in un lungo elenco di interventi di esperti senza nessun confronto con chi le pene e il carcere li vive direttamente come parte della sua vita". "Abbiamo cercato di immaginare per un attimo una cosa inimmaginabile: di essere noi il ministro della Giustizia in questo difficilissimo periodo per le carceri, con l'Europa che ci sta addosso perché il nostro Paese sta gestendo il sistema della giustizia in modo ancora pesantemente illegale. La prima cosa che faremmo allora è di provare ad aprire un dialogo con i diretti interessati, quelli che hanno sì commesso reati, ma a loro volta ora subiscono ogni giorno l'illegalità del sistema". "Ecco, se gli Stati generali si organizzassero nella Casa di reclusione di Padova - è la proposta della redazione - ci sarebbe l'occasione per confrontarsi non con il singolo detenuto che porta la sua testimonianza sulla sua condizione personale, né esclusivamente con operatori ed esperti, perché il confronto avverrebbe con una redazione di detenuti che da anni lavora per cambiare le condizioni di vita in carcere, ma anche per ridare un senso alle pene". "Forse è paradossale che a fare questo siano i detenuti stessi, ma in fondo non è neppure così assurdo - scrive ancora Ristretti Orizzonti al ministro - perché proprio vivendo pene insensate tante volte le persone hanno accumulato altri anni di carcere e hanno ulteriormente rovinato la loro vita e non vogliono più farlo; gli addetti ai lavori potrebbero sentir raccontare nei particolari più crudi anche quello che patiscono le famiglie da un sistema che dimostra spesso scarsissima attenzione nei confronti dei famigliari dei detenuti. Ormai non c'è paese al mondo dove non si discuta di rendere più umane le condizioni delle visite dei familiari. E noi, con tutta la nostra democrazia, continuiamo a permettere in tutto sei ore al mese di colloquio con controllo visivo, l'equivalente cioè di tre giorni all'anno, e una telefonata di dieci miserabili minuti a settimana". "Gli addetti ai lavori - sottolinea ancora la lettera - potrebbero sentir parlare di come è possibile comunicare in modo efficace con la società e informare sulla realtà delle pene e del carcere, senza suscitare la rabbia dei cittadini: glielo diciamo con assoluta certezza, perché noi incontriamo ogni anno in carcere più di seimila studenti, e le assicuriamo che attraverso le testimonianze delle persone detenute, che parlano dei loro reati per assumersene la responsabilità e per fare prevenzione rispetto ai comportamenti a rischio delle giovani generazioni, le persone cominciano a farsi una idea diversa delle pene e del carcere". Inoltre "le persone detenute, chiamate a partecipare da interlocutori alla pari a un confronto sulla propria condizione, vedrebbero riconosciuta alla propria voce dignità, e questo è un passo importante per imparare ad aprirsi all'ascolto dell'altro e al dialogo". "Da ultimo, sarebbe significativo fare gli Stati Generali in un carcere come quello di Padova, descritto dai mass media ora come un carcere modello, ora come un luogo violento e fuori legge: in realtà, non è né l'uno né l'altro, è un carcere che sarebbe dignitoso, con esperienze anche innovative, se non contenesse ancora il doppio dei detenuti che dovrebbero esserci - denuncia Ristretti Orizzonti. A Padova convivono, per forza malamente, due realtà, quella di una detenzione che dà un senso alla pena attraverso lo studio, la cultura, il lavoro, l'apertura e il confronto con il mondo esterno, e quella di un carcere in cui le persone sono costrette ad "ammazzare il tempo" per mancanza di spazi e attività per tutti, e quindi accumulano solo rabbia e rancore". Carceri: pieno appoggio di Radicali Italiani alla proposta di Ristretti Orizzonti Ristretti Orizzonti, 7 febbraio 2015 La Segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini, appoggia pienamente e convintamente la proposta della redazione di Ristretti Orizzonti - formalizzata con una lettera aperta al Ministro della Giustizia - di organizzare gli Stati Generali sulle pene e sul carcere presso la Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Già con il "Satyagraha di Natale con Marco Pannella" - ha dichiarato Rita Bernardini - noi radicali abbiamo indicato tra i nostri obiettivi quello di prevedere la partecipazione dei detenuti. Sarebbe infatti un nonsenso fare la fotografia dell’attuale situazione ai fini di prefigurare un futuro di riforma, ascoltando solo "esperti" ed "operatori" ma privandosi della voce di coloro che vivono ogni giorno sulla loro pelle la realtà carceraria italiana. E non c’è dubbio che la Casa di Reclusione di Padova, che ha già ospitato in passato il Congresso di Nessuno Tocchi Caino, sia il luogo ideale proprio per l’opera svolta da Ristretti Orizzonti per il reinserimento sociale e civile dei reclusi; opera che si è fatta forte sia del metodo del confronto e del dialogo con il mondo "fuori delle mura penitenziarie", sia dell’approfondimento e del monitoraggio di ciò che avviene negli oltre 200 istituti penitenziari del nostro Paese. Giustizia: "l'Italia in crisi si abbandona al populismo penale", lo dice il ministro Orlando di Errico Novi Il Garantista, 7 febbraio 2015 "Abbiamo una cosa in comune: la passione per il panino con la milza". Beniamino Migliucci accoglie così il ministro della Giustizia Andrea Orlando alla "Inaugurazione dell'anno giudiziario dei penalisti", maxi convegno che il presidente dell'Unione Camere penali organizza a Palermo per rispondere al fuoco di fila proposto dalla magistratura nelle cerimonie dell'altra settimana. Il numero uno dell'Ucpi è di Bolzano, seppur con origini napoletane. Non si avventura dunque nella dizione corretta di "pane c'a meuza", ma dice la verità a proposito dei gusti del guardasigilli. Che prima di sedersi a fianco a lui sul palco allestito all'aula magna della Facoltà di Giurisprudenza, consuma un pasto veloce ma non leggerissimo alla focacceria Sant'Antonio. Poi interviene a lungo e si sofferma sui rischi del "populismo giudiziario", dando così prova di condividere con Migliucci e i penalisti non solo la cucina tipica palermitana. Lancia un appello a Forza Italia perché non si ritiri davvero dalla partita delle riforme, compresa quella della giustizia: "È auspicabile che quante più forze politiche partecipino alla discussione, e da questo punto di vista considero che la scelta di chiamarsi fuori è difficilmente comprensibile". Esclude che a complicare i rapporti con Berlusconi possano essere stati gli inasprimenti sul falso in bilancio concordati nel vertice di maggioranza di giovedì scorso. E ricorda d'altronde che lui stesso non intende ripensarci sulla necessità di "circoscrivere un'area di punibilità che riconosca le differenze tra aziende piccole e di grandi dimensioni, anche con una diversa consistenza delle pene". Non esclude neppure sul fronte del ddl corruzione di "portare avanti il disegno del governo senza fermare il lavoro già avviato dal Parlamento: la stessa cosa faremo sulla prescrizione che è all'esame della commissione Giustizia di Montecitorio. Si tratta", osserva il guardasigilli, "di un metodo analogo a quello che abbiamo adottato con successo sulla responsabilità civile, durante la discussione a Palazzo Madama". Misurato ottimismo sui destini della riforma, dunque. Ma anche guardia alta sul pericolo che nel frattempo il clima generale del Paese, asfissiato dalla crisi, si rifletta in forme di estremismo anche nel settore della giustizia. Campo nel quale l'opinione pubblica finisce spesso per andare in cerca di capri espiatori sui quali scaricare le tensioni più generali che si avvertono. È proprio questo il passaggio forse più interessante della relazione che il ministro Orlando fa al maxi convegno, iniziato ieri e destinato a concludersi oggi, per il quale l'Unione Camere penali sceglie il titolo "Inauguriamo la Giustizia del futuro". C'è in realtà molto da discutere sul presente, sembra voler dire il guardasigilli. Del cui intervento proponiamo qui di seguito alcuni passaggi. "Ci troviamo in una fase storica di profonda crisi: sociale e istituzionale. Crisi delle culture che hanno generato il nostro sistema. Assistiamo a una regressione culturale che porta anche verso forme di populismo penale. Mi riferisco a una visione del processo come nuovo rito di esorcismo sociale. La valenza simbolica di certi processi è un sintomo preoccupante". "Negli anni scorsi - continua il guardasigilli - c'è stata una grande discussione sulle garanzie processuali, e nello stesso momento si è assistito a una regressione sul tema del diritto sostanziale. In ambito penale questo ha voluto dire regressione del diritto e cospicuo ricorso al carcere. Si costruiva un garantismo nel processo e si placava dall'altro lato l'opinione pubblica con la ricerca di un capro espiatorio, attraverso l'introduzione di provvedimenti di segno opposto. Possiamo dire che è cambiata la stagione? Se guardiamo al clima che c'è nel Paese penso di no. Io temo che ci sia un nesso tra la crisi e l'atteggiamento che l'opinione pubblica ha sui temi della giustizia. Noi abbiamo invertito la tendenza. Ma va ricordato come questo sia avvenuto anche sulla scorta di un evento esogeno qual è stata la sentenza Torreggiani, oltre che per l'incombere sempre più insostenibile del sovraccarico penale. Tutto nasce da qui, ci si muove da un lato sulla base di esigenze emergenziali relative al carcere, e dall'altro in virtù della presa d'atto che l'esigenza punitiva dello Stato ha un limite. Ma oltre all'azione del governo serve un cambiamento nella cultura del Paese. E faccio un esempio concreto: un provvedimento come quello sulla particolare tenuità del fatto non deve passare per la rinuncia dello Stato a esercitare la propria capacità sanzionatoria". Penalisti, parlate anche ai cittadini. "Alle Camere penali rivolgo l'invito ad interloquire non solo con il governo e il Parlamento, ma anche con il Paese. La stagione del populismo penale può avere una battuta d'arresto se c'è una proposta alternativa. Naturalmente questo appello non è un modo per sfuggire alle osservazioni fatte dai penalisti sulle varie iniziative riconducibili ala riforma della giustizia. Parto dalla responsabilità civile, che abbiamo deciso di affrontare perché lo ritenevamo un problema cruciale, in una situazione in cui c'era anche una pressione europea. Nel corso di questi anni la legge Vassalli non ha funzionato. In sintonia con le Camere penali il governo ha però sempre avversato estensioni abnormi del concetto di responsabilità, ma una nuova legge deve essere obiettivo fondamentale. In questo senso siamo arrivati a una definizione normativa che considero soddisfacente, e che andrà in aula alla Camera in via definitiva nella terza settimana di febbraio. Il passaggio importante è relativo al fatto che non ci si metteva più mano dall'87, nonostante fosse un tema divisivo ci abbiamo messo mano e abbiamo trovato una sintesi". Carriere, difficile separarle. "Non sono convinto che si possa intervenire senza modifiche costituzionali. E ora non vedo proprio la possibilità di modifiche al Titolo IV della Costituzione: guardate che succede per cambiare parti della Carta riconosciute meritevoli di modifica da trent'anni. Figuriamoci su un punto come quello della separazione delle carriere per il quale l'esigenza è meno avvertita. Io userei la massima di Churchill sulla democrazia: il sistema ha molti limiti, ma le alternative mi convincono assai poco. Non mi convince l'idea di un pm assoggettato all'esecutivo. Il rimedio di un corpo separato dei pm rischia di produrre effetti ancora più estremi di quelli che si vogliono scongiurare: c'è il rischio di una deriva poliziesca che non mi lascia tranquillo. L'agenda dei provvedimenti sulla giustizia è molto fitta, non si può dire che sia stata omissiva, ma non c'è spazio per una modifica costituzionale". Siamo attenti alle garanzie. "Sulla prescrizione l'allarme è iniziato dopo la vicenda Eternit, eppure proprio in quel caso la prescrizione non c'entra. L'intervento da fare per scongiurare esiti processuali del genere è quello in corso al Senato sui reati ambientali. Io d'altronde vorrei tenere insieme la riforma della prescrizione con un ragionamento serio sulla tempistica del processo. Il che significa confronto su cos'è la garanzia nel processo, e le Camere penali sono a presidio di queste garanzie. Penso che se andiamo nella direzione di una informatizzazione integrale del processo questa problematica di tipizzazione degli atti processuali sarà inevitabile". Giustizia: la guerra è finita, ma guai a chi non sta coi pm di Beniamino Migliucci (presidente dell'Unione delle Camere penali italiane) Il Garantista, 7 febbraio 2015 All'attuale guardasigilli va riconosciuta l'apertura al confronto, ma deve guardarsi da chi come Gratteri propone riforme penali per decreto. Spesso l'avvocatura critica la politica per i metodi che adotta. E perché mostra il più delle volte di avere una corsia preferenziale nei confronti della magistratura. Il ministro Andrea Orlando rifugge invece da questo, e mi è capitato di vederlo partecipare a convegni e incontri organizzati non solo da noi dell'Unione Camere penali ma anche dal Consiglio nazionale forense e dai Giovani avvocati, e verificare come non si limiti a dire cose che accontentano la platea. C'è chi pensa che le norme debbano essere scritte dai magistrati, magari dall'Anni. Gli avvocati pensano magari di essere loro a doverle fare. Invece il compito spetta al legislatore che deve fare una sintesi nell'interesse dei cittadini. Eppure va ricordato che spesso negli uffici legislativi del ministero ci sono tanti magistrati e pochi avvocati. Se quindi il ministro, fuori da via Arenula, tende a confrontarsi un po' più spesso con gli avvocati, la cosa evidentemente è naturale, Abbiamo avuto modo di apprezzare questo metodo. Siamo d'altronde in un momento cruciale. Noi riteniamo che alcuni fattori che hanno condizionato il dibattito sulla giustizia siano finalmente superati. Che si sia usciti da uno scontro spesso strumentale. Ma vediamo che il dibattito di questi ultimi tempi si sposta spesso su problemi che dovrebbero essere tralasciati. Il taglio delle ferie non intacca l'autonomia e indipendenza della magistratura. Ed è fuorviante dire che la responsabilità civile possa intaccarle: sì tratta solo del riconoscimento di un principio: le responsabilità in questo Paese ricadono su tutti, e quando c'è un sistema equilibrato secondo il quale un magistrato risponde per inescusabile negligenza determinata da colpa grave o dolo, siamo nel perimetro di un Paese liberale e democratico. Noi delle Camere penali abbiamo voluto riaprire la discussione sulla separazione delle carriere. È una misura spesso considerata divisiva. Ma è un tema. E l'Unione delle Camere penali intende essere una fucina di idee per la politica. È questo il suo compito: di proposta, di controllo, non nell'interesse degli avvocati ma dei cittadini, spesso nell'interesse degli ultimi che non possono permettersi una difesa tecnica fiduciaria. È per questo che abbiamo apprezzato molto la norma sui difensori d'ufficio. Sulle carceri l'attuale ministro della Giustizia ha prodotto ottimi provvedimenti, che vedono la detenzione come ultima ratio. Salutiamo con grande favore il decreto sulla particolare tenuità. Non si tratta di una depenalizzazione, è prevista una valutazione concreta di un fatto con un controllo da parte di un giudice, inevitabilmente più equilibrata di quelle compiute liberamente dai pm. Ci ha fatto piacere che la commissione Giustizia della Camera abbia sostenuto, nel parere emesso sul provvedimento, che non si può costringere nessuno ad accettare un'ordinanza di archiviazione per tenuità del fatto, perché tutti possono dichiararsi innocenti. Personalmente, ho detto al presidente dell'Associazione magistrati Sabelli che se un suo collega lo indagasse per abuso d'ufficio e il giudice dicesse "vabbè, è un fatto tenue", poi gli resterebbe addosso il disvalore sociale senza la possibilità di spiegare che non ha fatto nulla. Questo provvedimento va dunque difeso, va nella giusta direzione, come va nella giusta direzione la mossa alla prova. Quello che è contraddittorio è che nel momento in cui si tenta di rendere ragionevolmente breve il processo, si faccia avanti una riforma della prescrizione che renderebbe il processo infinitamente lungo. Sospendere la decorrenza della prescrizione dopo la sentenza di primo o secondo grado confligge con gli obiettivi di rendere ragionevole la durata dei procedimenti. Nel nostro Paese per un ventennio o forse più chi parla di giustizia all'opinione pubblica sono le Procure, che hanno dato l'indicazione secondo cui che viene da loro è il bene e il resto è il male, e chi si pone contro di loro è nemico della giustizia. La politica ha la sua responsabilità: se avverte l'esigenza di nominare quali assessori alla Trasparenza dei magistrati, afferma di non essere capace di garantirla lei, quella trasparenza. Ci sono ministeri dove si registra una presenza non necessaria di magistrati - e ovviamente non è il caso del ministero della Giustizia. Ci sono sindaci che hanno come capi di gabinetto dei magistrati: è una commistione perniciosa. Ad Andrea Orlando va riconosciuta la correttezza del ricorso prevalente al disegno di legge, strada che consente lo svolgimento del dibattito. Il ministro deve confrontarsi con la politica, ma anche con chi come il procuratore Nicola Gratteri propone di riformare il diritto penale per decreto. Abbiamo avuto modo di leggere su MicroMega l'annuncio della proposta, da parte della Commissione ministeriale da lui presieduta, di un intervento in 130 articoli. Anche qui c'è una contraddizione: il presidente del Consiglio dice "i giudici applicano le leggi, ma le leggi le fa il Parlamento", poi chiama a fare leggi a Palazzo Chigi un pm che già per come avanza le sue proposte non può suscitare approvazione. Dopo averne ascoltato l'intervento all'Inaugurazione dell'Anno giudiziario in Cassazione, avremmo potuto dare al primo presidente Giorgio Santacroce la tessera dell'Unione Camere penali: ha invocato una più ragionevole durata dei processi e ha detto che l'aumento delle pene non produce un effetto di deterrenza. Dire che l'aumento delle pene sulla corruzione è un modo per combattere il fenomeno serve al massimo a inseguire il consenso. La lotta alla corruzione passa per il fatto che le norme dovrebbero essere chiare e semplici, serve un più diffuso senso di legalità, non pene aumentate. Santacroce ha detto anche che non servirebbe allungare i tempi della prescrizione, e ha dato tre indicazioni. La prima: non si fanno riforme a costo zero, la giustizia ha bisogno innanzitutto di risorse umane. Secondo: serve fare una selezione dei reati da perseguire. Terzo le riforme processuali devono superare la visione miope delle interpolazioni marginali e si deve invece procedere con una riforma dì sistemai si sta, che è la direzione verso cui ci si sta avviando, Si tratta di condurre battaglie impopolari, certo. Le Camere penali le hanno sempre fatte. Se la politica ha bisogno dell'Uopi per portarle avanti, per proporre dei cambiamenti che vadano nella direzione di un processo liberale e democratico, l'Unione sarà con lei. Giustizia: misure alternative al carcere, salgono a 12 i protocolli tra Regioni e ministero di Roberta Giuliani Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2015 Disegnato un nuovo precorso per la riabilitazione dei detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza. La Regione Molise, il ministero della Giustizia, Anci Molise e tribunale di sorveglianza di Campobasso hanno firmato un protocollo d'intesa per potenziare l'accesso alle misure alternative al carcere. Sale dunque a 12 il numero di accordi sottoscritti in poco più di un anno tra le Regioni e il dicastero di Via Arenula per trasformare le pene detentive dei soggetti più fragili in programmi di inclusione sociale e reinserimento lavorativo. La prima intesa fu firmata a dicembre 2013 dalla Toscana seguita a distanza di un mese dall'Emilia Romagna. A maggio del 2014 si susseguirono le intese di Umbria, Lazio, Liguria, Campania, Friuli Venezia Giulia e Puglia, poi da giugno a ottobre fu la volta di Sicilia, Lombardia ed Abruzzo e presto si aggiungeranno quelle di Piemonte e Basilicata. Le misure alternative o di comunità, anche conosciute come community sanction termine anglosassone riportato nella Raccomandazione (92)16 del Comitato dei ministri del Consiglio Ue, sono state introdotte in Italia dalla legge 26 luglio 1975 n. 354 e consistono nel seguire un "programma di trattamento" da svolgersi totalmente nel territorio con la finalità di evitare al massimo i danni derivanti dal contatto con l'ambiente penitenziario e dalla condizione di privazione della libertà. L'affidamento in prova al servizio sociale è considerata la misura alternativa alla detenzione per eccellenza prevista in particolare modo per tossicodipendenti e alcoldipendenti (articolo 94 legge 309/1990) e per i soggetti affetti da Aids o grave deficienza immunitaria (articolo 47-quater). Misure di recupero e sostegno a quelle alternative, inserimento occupazionale all'esterno e lavori di pubblica utilità, strumenti operativi, programmazione e finanziamenti, durata triennale: a grandi linee gli accordi ricalcano per lo più le intese precedenti. Per quanto riguarda questa ultima intesa, le parti si sono impegnate a favorire la collaborazione per il recupero sociale con la definizione di percorsi personalizzati, a individuare i soggetti idonei all'inserimento nei circuiti riabilitativi, a prendere in carico questi soggetti limitando invece l'ingresso di detenuti da altre regioni per arginare il fenomeno del sovraffollamento degli istituti e infine a predisporre un piano di azione territoriale per favorire l'applicazione delle misure alternative attraverso programmi terapeutici rivolti ai detenuti con problemi di dipendenze patologiche. Da parte sua la Regione Molise dovrà adottare misure per garantire il pieno utilizzo delle comunità terapeutiche per ospitare agli arresti domiciliari o in misura alternativa alla detenzione soggetti in esecuzione penale, mentre il ministero oltre a evitare, tranne in casi eccezionali, inserimenti di altri detenuti si impegna a promuovere anche con il contributo della Cassa della Ammende progetti condivisi tra la Regione e gli altri Enti locali. Queste azioni devono essere finalizzate all'accoglienza del detenuto nel territorio di residenza attraverso percorsi di inserimento abitativo e orientamento al lavoro, in particolare per le persone prive di risorse economiche e familiari. Prevista infine una condivisione delle previsioni di spesa per permettere l'elaborazione di un programma comune che tenga conto di ulteriori finanziamenti da parte di altri Enti e Istituti o fondi europei. Giustizia: il carcere è un problema della comunità, dobbiamo farcene carico tutti di Chiara Rizzo Tempi, 7 febbraio 2015 Ad un convegno sulla pena organizzato dalla Camera penale di Milano, magistrati, avvocati e direttori riflettono sulla detenzione. Matteo, 23 anni, parla con tono tranquillo davanti ad una platea di avvocati, giudici, giornalisti: "Finito il carcere, ho continuato a studiare. Ho finito la maturità, e adesso mi sono iscritto all'università. Per mantenermi faccio il promoter di una palestra. Ho trovato parecchi lavori dopo il carcere, perché ho portato in giro diversi curriculum, mi sono davvero "sbattuto". Prima di questo, infatti, ho trovato anche impiego due volte come cameriere in un ristorante. Non mi hanno mai chiesto sinora se avessi dei carichi pendenti, e ovviamente io, avendo pagato il mio conto con la giustizia, non ho certo scritto sul curriculum che ero stato in carcere. Forse per questo non ho avuto problemi: ora voglio studiare e lavorare". Matteo è uno dei due ex detenuti che sono intervenuti giovedì sera al convegno organizzato dalla Camera penale di Milano, "Dopo il carcere. Finalità della pena, reinserimento sociale e recidiva". Sanzioni di comunità I penalisti milanesi hanno deciso di incontrarsi per un momento di riflessione sul carcere con alcuni dei principali "addetti ai lavori", tra cui Giovanna Di Rosa, magistrato al tribunale di sorveglianza milanese, ed ex membro del Csm, che così ha sintetizzato il fil rouge degli interventi: "Le misure alternative dovrebbero essere vissute come "sanzioni di comunità": vuol dire che ciascuno di noi si deve fare carico dell'accoglienza dei detenuti e che non ci possiamo limitare a leggere il giornale che parla di condizioni disumane del carcere, e poi voltare la pagina". Non ci si chiede mai, nota il magistrato, come siano accolti i detenuti dopo il carcere che, in teoria, dovrebbe essere un percorso di reinserimento nella società. "Come si comporta la società davanti a ex detenuti? - ha chiesto Di Rosa - Non si pensa mai al carico che la società dovrebbe portare: si parla al massimo delle comunità di accoglienza e recupero. Ma non sono queste nobilissime realtà a dover stare al centro della riflessione sulla giustizia. Le misure alternative dovrebbero essere vissute come "sanzioni di comunità". È la società che deve cercare di strutturare risposte di inserimento concreto, come alloggi o occupazione: invece tutti sappiamo benissimo che è difficile trovare una rete che permetta un vero lavoro di reinserimento. È su questo che una città ricca e accogliente come Milano dovrebbe riflettere, anziché forse tirare un po' i remi in barca, come mi sembra stare facendo negli ultimi tempi". Non solo sovraffollamento Gloria Manzelli, direttrice del carcere di San Vittore, ha descritto cosa accade dietro i cancelli dell'istituto di pena milanese più noto: "Negli ultimi mesi sono cambiate molte cose in tema di sovraffollamento. Oggi siamo scesi 955 detenuti presenti, di cui 890 uomini e 60 donne (la capienza è di 752 posti, ma nel carcere milanese fino all'inizio del 2014 c'erano più di 1.200 persone, ndr) e prevalentemente sono persone in attesa di primo giudizio. Le celle restano aperte nella stragrande maggioranza dei reparti dalle 8 alle 20. La condanna che il nostro paese ha ricevuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ha portato a una svolta epocale. Ma ci siamo mossi per ridurre il sovraffollamento solo dopo l'intervento di un'autorità giudiziaria, e non per una spinta interna al nostro stesso paese". Per la direttrice di San Vittore, i problemi fondamentali restano: "Io definisco il nostro istituto "un grande contenitore di disagi sociali". Purtroppo a San Vittore ci sono ancora troppe persone detenute per reati bagatellari, per i quali nemmeno in fase di custodia cautelare si possono trovare soluzioni alternative al carcere, perché non hanno nessuno che li accolga. Ci sono poi le detenute madri, separate per i figli, e ragazzi che arrivano ad appena 18 anni, com'è avvenuto per Matteo: una follia in un paese democratico. Se solo ci fosse una rete sul territorio, per molti reati non pericolosi si potrebbero applicare tranquillamente forme di custodia cautelare diverse dal carcere". Le misure alternative sono una vera pena Severina Panarello, direttrice dell'Ufficio penale esterno di Milano, parte dai dati: "L'Uepe di Milano nel territorio della città e di Lodi e Monza, ha in carico oggi tremila persone in misura alternativa: di questi, solo 82 donne ai domiciliari. Tutte queste persone stanno scontando una pena in modo dignitoso. Ma quest'idea non viene compresa, si pensa spesso ad una pena soft. Non è così: si tratta di persone che stanno scontando una pena efficace e adeguata. L'esecuzione penale è anzi la modalità principe di scontare una pena, perché riduce drasticamente la recidiva. Tuttavia i cittadini non conoscono cosa facciamo. Qual è il problema? L'accoglienza del territorio e la cultura della pena: se non si capisce che è una pena a tutti gli effetti e che si può scontarla in una città, con un lavoro, tutto resta vano e limitato. Per far questo, occorre che tutti si muovano". Giustizia: Corte dei conti assolve il generale Ragosa, le 35 auto blindate del Dap servivano di Valeria Di Corrado Il Tempo, 7 febbraio 2015 Non dovrà restituire all'amministrazione un milione e 800mila euro per il noleggio e il successivo acquisto di 35 auto blu blindate destinate ai dirigenti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il generale Enrico Ragosa, all'epoca dei fatti direttore generale delle Risorse materiali, dei beni e dei servizi del Dap, è stato assolto dalla Corte dei conti. Non è stato provato il danno che, insieme ai funzionari apicali delle direzioni periferiche Claudia Greco e Alfonso Mattiello, avrebbe arrecato all'erario noleggiando e poi acquistando 35 Bmw 330i security per i servizi di scorta e tutela delle autorità. L'originario contratto aveva previsto il comodato gratuito delle auto dal 15 marzo al 15 ottobre 2006 e, successivamente, l'acquisto al prezzo di 44.525 euro l'una (iva esclusa). Il periodo di comodato gratuito era stato più volte prorogato dalla Direzione generale beni e servizi del ministero della Giustizia, fino al 15 luglio 2007. Nonostante la Corte dei conti, in sede di controllo, il 15 marzo 2007 avesse opposto un diniego al visto, è stato stipulato un contratto di noleggio oneroso per 36 mesi, fino al 1 settembre 2010, poi prorogato di altri due mesi. A ciò è seguito l'acquisto di 35 auto da parte del Ministero al prezzo proposto dalla Bmw: 266 mila euro, 7.600 euro ciascuna (iva e passaggio di proprietà inclusi). La Procura contestava illegittimità dei contratti stipulati a trattativa privata, con "una complessa procedura finalizzata a superare i vizi per i quali la Corte dei conti aveva rifiutato i visti", e l'illiceità dei relativi esborsi, per un totale di 2.081.818 euro, a fronte dell'originaria spesa del contratto (non registrato) di 1.728.000 euro. Per il danno arrecato alle casse pubbliche, i pm contabili hanno ritenuto che il generale Ragosa rivestisse il ruolo principale nella vicenda e per questo dovesse restituire all'amministrazione un milione e 815 mila euro. Nei confronti di Greco, per oltre 30 anni direttrice del centro "Giuseppe Altavista", e di Mattiello, responsabile del "Gruppo operativo mobile", la Procura aveva chiesto la condanna a risarcire in solido 266 mila euro. Il collegio giudicante, presieduto da Ivan De Musso, non ha condiviso il criterio con cui la Procura ha determinato il danno, "poiché manca di tenere in debito conto - si legge nella sentenza - il valore delle utilità contrattuali acquisite dall'amministrazione". Anche volendo procedere autonomamente alla valutazione del danno, per la Corte "manca un qualsiasi riferimento probatorio al valore di mercato sia del noleggio di quel tipo di vetture, sia del successivo acquisto". In sostanza, non risulta provato che il costo pattuito nei contratti per le 35 Bmw sia stato più oneroso di quello di mercato. "Anzi - spiegano i giudici - l'unico riscontro disponibile è una perizia tecnica disposta dall'amministrazione che concorda con l'offerta del concessionario, ritenendola congrua". Il che rende superfluo verificare la regolarità dei contratti stipulati da Ragosa, Greco e Mattiello nonostante il parere contrario espresso dalla Corte dei conti in sede di controllo, "anche se ciò fosse accertato - si legge nella sentenza - l'azione risulta comunque infondata per mancata prova del danno". La Corte dei conti ha quindi assolto i tre imputati e ha liquidato loro 1.500 euro ciascuno, come rimborso per le spese legali sostenute. Giustizia: caso Yara; legale Bossetti, dubbi su dna sufficienti per scarcerarlo Adnkronos, 7 febbraio 2015 È incentrata sugli "acclarati dubbi scientifici" relativi alla traccia mista trovata sugli slip di Yara Gambirasio, quindi sulla non corrispondenza tra il Dna mitocondriale e quello nucleare attribuito a Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere con l'accusa di aver ucciso la 13enne di Brembate di Sopra, l'istanza di scarcerazione avanzata dal suo difensore Claudio Salvagni. Stamane il legale ha avvisato la parte offesa, cioè la famiglia della vittima, del fatto che sarà depositata l'istanza: lunedì la richiesta di rimettere in libertà l'indagato sarà consegnata al gip Vincenza Maccora, lo stesso giudice che lo scorso giugno ha rigettato la richiesta. Nell'istanza la difesa ripercorre le tappe di questa vicenda giudiziaria - dal no del gip e dei giudici del Riesame di Brescia alla scarcerazione - fino al ricorso in Cassazione (l'udienza è il programma il prossimo 25 febbraio) focalizzando l'attenzione sulle nuove perizie dell'accusa in cui si evidenzia, oltre ai dubbi sul Dna, l'assenza di peli e capelli di Bossetti sul corpo della vittima; così come sugli abiti, gli attrezzi e il furgone sequestrati all'indagato. Nuovi elementi, "fatti nuovi sopravvenuti" che consentono alla difesa di potersi rivolgere nuovamente al giudice dell'udienza preliminare chiedendo la scarcerazione di Bossetti e in subordine una misura meno restrittiva. Da lunedì, quando l'istanza arriverà sul suo tavolo, il giudice ha cinque giorni di tempo per decidere sull'istanza. Sardegna: integrato il bando per progetti e interventi di inclusione sociale dei detenuti Adnkronos, 7 febbraio 2015 Integrato l'avviso per la concessione dei contributi in favore delle associazioni e cooperative per azioni finalizzate a sostenere la presa in carico delle persone soggette a provvedimenti penali (detenuti, ex detenuti e soggetti a misure alternative) attraverso l'attuazione di percorsi riabilitativi e di interventi alternativi alla detenzione. Le integrazioni riguardano: - i criteri di accesso per i beneficiari nella parte relativa all'iscrizione nei registri generale del volontariato, delle associazioni di promozione sociale o all'albo regionale delle cooperative istituiti presso la Regione; - le modalità di presentazione del progetto nella parte attestante l'iscrizione nei registri e all'albo. L'Assessorato dell'Igiene e sanità, inoltre, ha prorogato al 27 febbraio 2015 la data di scadenza per la presentazione dei progetti. Ricordiamo che le associazioni, oltre ad essere iscritte nei vari registri o albo, dovranno avere sede operativa in Sardegna e operare nell'ambito dell'accoglienza e dell'inclusione sociale e socio lavorativa di persone sottoposte a misure restrittive e in favore di minori entrati nel circuito penale con prescrizioni a carico. In particolare, questi i destinatari delle azioni: - soggetti adulti che si trovano in esecuzione penale interna con possibilità di ammissione al lavoro all'esterno o alle misure alternative alla detenzione, in esecuzione penale esterna o sottoposti a misura di sicurezza non detentiva e soggetti che hanno concluso l'esperienza di esecuzione penale sia detentiva che non o una misura di sicurezza non detentiva, da non più di cinque anni; - minori sottoposti a provvedimenti penali e a misure di sicurezza non detentiva nonché i fuoriusciti dal circuito penale da non più di due anni. I progetti dovranno essere presentati tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o agenzia di recapito autorizzata al seguente indirizzo: Assessorato regionale dell'Igiene e sanità e dell'assistenza sociale Direzione generale delle politiche sociali Servizio programmazione ed integrazione sociale Via Roma - 253 - 09123 Cagliari. La domanda e la relativa documentazione, firmate digitalmente, potranno pervenire alternativamente tramite posta elettronica certificata all'indirizzo: san.dgpolsoc@pec.regione.sardegna.it. Isernia: svolta nelle indagini per detenuto morto, fu colpito in testa con una spranga www.ilgiornaledelmolise.it, 7 febbraio 2015 C'è un'altra svolta - probabilmente quella definitiva - nelle indagini sulla morte di Fabio De Luca, detenuto nel carcere di Isernia e morto nel mese di novembre in seguito a gravi ferite riscontrate alla testa. Dopo l'esclusione della caduta accidentale avvenuta in cella, confermata dalle prime indiscrezioni trapelate dopo l'autopsia, arrivano altre importanti novità: il 45enne potrebbe essere stato colpito più volte con quello che in gergo viene definito un "corpo morbido", probabilmente un oggetto di ferro (oppure di legno) ricoperto da un telo o da un panno. Questo spiegherebbe le tante lesioni ritenute non compatibili con la caduta accidentale da un letto, così come avevano riferito invece i detenuti presenti nella cella. Sono dunque queste le conclusioni alle quali sono giunti gli investigatori della Squadra mobile di Campobasso. L'inchiesta - fanno sapere dalla Procura della Repubblica di Isernia - può praticamente considerarsi conclusa. Ormai manca soltanto la relazione di Vincenzo Vecchione, il medico legale che ha eseguito l'autopsia: sarà consegnata al più tardi entro un paio di settimane. Per la morte di Fabio De Luca - avvenuta dopo qualche giorno di ricovero al Cardarelli di Campobasso - sono indagati i due detenuti originari di Napoli che si trovavano nella cella quando la vittima fu colpita, più una terzo individuo, probabilmente un'altra persona rinchiusa nel carcere di Ponte San Leonardo. Il reato ipotizzato è quello di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. Trani: nella "sezione blu" del carcere il Medioevo, detenuti murati vivi in un cesso di Francesco Lo Dico Il Garantista, 7 febbraio 2015 Sono reclusi in bugigattoli di stampo medievale delle dimensioni di due metri e cinquanta per un metro e mezzo. C'è il tavolo minuscolo a pochi centimetri da un orrido cesso. Ci vivono spesso in due, in mezzo a miasmi del gabinetto, e condizioni igieniche vergognose, in spregio a ogni regola. La dignità umana di cui tanti si riempiono la bocca in questo Paese, nel condannare con alti lai la barbarie che viene da altri angoli del Pianeta, sembra essersi fermata prima di Trani. L'orrore, il disgusto, lo schifo, sono invece a due passi da noi, ignorati e quindi tacitamente accettati, in questa galera disumana che condanna gli uomini al rango di scarafaggi. Sono circa un centinaio. Non uno che ha fatto il cattivo. Sono un centinaio di persone private della dignità, costrette a denudarsi e a fare i propri bisogni sotto lo sguardo imbarazzato dell'inquilino di cella che magari consuma una schifezza brodosa a venti centimetri da lui. Odori nauseabondi, nessuna privacy, degrado e sporcizia. L'indignazione è tale, soltanto nel visionare le foto che accludiamo, che spiega bene come mai la denuncia dell'ennesima vergogna del sistema carcerario italiano non venga da qualche detenuto lamentoso, ma dalle stesse guardie carcerarie. Che in preda al disgusto, alla compassione per condizioni di vita talmente estreme, ha chiesto invano per anni la chiusura immediata della cosiddetta Sezione Blu, un ramo del carcere che prospera dagli anni 70, e che ha dato graziosa ospitalità a brigatisti e persone accusate di terrorismo. Qui, in queste celle, un detenuto deve sedere sulla tazza mentre l'altro consuma il suo pasto, o viceversa. Deve dormire nel puzzo, pasteggiare in preda al voltastomaco, vergognarsi perché ha bisogno di usare il gabinetto. "Come si può vedere dalla foto - ci racconta Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe per la Puglia - nella Sezione Blu del carcere di Trani sono in funzione ancora stanze di due metri per uno e cinquanta ove sono ristretti detenuti che sono costretti a fare i loro bisogni corporali senza alcuna privacy, nella stessa stanza in cui mangiano, dormono e passano tutta la maggior parte della giornata". Gli agenti penitenziari segnalano la situazione della sezione Blu di Trani da molti anni: denunce, appelli, telefonate, lettere. Ma niente. Nessuno interviene, nessuno risponde, nessuno spende anche solo una parola. "Si parla di scandalo a proposito della sentenza Torreggiani, di celle di 3 metri per 4 - ci dice Pilagatti. E se quelle sono condizioni di vita disumane, che cosa si dovrebbe dire di queste celle vergognose?". In più occasioni, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria ha sollecitato l'amministrazione penitenziaria affinché chiudesse con un tratto di penna, senza se e senza ma, quella che è diventata la sezione della vergogna. Ma dall'altra parte, più rumoroso di qualunque fumoso sofisma, ha tuonato il silenzio. "In un momento in cui si parla tanto della necessità di offrire ai detenuti una detenzione nel rispetto della dignità umana". La Sezione Blu del carcere di Trani dev'essere immediatamente chiusa. Con le buone o le cattive. Vogliamo l'intervento immediato delle autorità sanitarie o amministrative. Non è pensabile che in un paese civile si possano consentire condizioni di vita e di lavoro così mortificanti". "Fortunatamente - aggiunge Pilagatti - i decreti svuota-carceri hanno fatto sì in quest'ultimo periodo che i detenuti racchiusi in questa sezione speciale siano diminuiti di numero, ma ciò non toglie che una cella del genere è un fatto abominevole anche per un singolo prigioniero". Per questa ragione, i rappresentanti del Sappe hanno intenzione di andare a fondo alla vicenda, che però non è un singolo caso isolato. "Abbiamo purtroppo notizia che questa situazione sarebbe presente anche in altri Istituti della regione Puglia come Lucera e Foggia - ci racconta Pilagatti - per cui chiediamo al ministro della Giustizia Orlando ed al nuovo capo del Dap Santi Consolo, di porre in essere ogni misura idonea affinché tali sezioni detentive vengano chiuse". E anche quando raggiungiamo al telefono il segretario nazionale del Sappe, Donato Capece, la reazione allo scandalo di Trani è vigorosa e altrettanto perentoria. "Uno scandalo, una vergogna!", inveisce Capece. "Si rende conto? C'è un gabinetto in mezzo alla stanza, senza neppure una tenda!". Eppure, in questa sezione, tutto procede così. Contro le regole dello Stato stesso che ha messo in galera quei detenuti perché non hanno rispettato le sue leggi. Che rispetto potrebbe meritarsi uno Stato così indegno? Che tipo di autorevolezza? "Il Dpr del 2000 - ci ricorda il segretario del Sappe, Donato Capece - stabilisce per le celle precisi requisiti. Ad esempio il fatto che siano dotate di una doccia, e che ci sia una netta separazione tra bagno, cucina e cella". Perché tutto questo viene consentito, è lecito chiederselo. Ma la risposta è ancora più semplice. "Per le carceri del Sud non si spende un centesimo - spiega Capece - sono istituti fatiscenti, sporchi, logori, per lo più indegni di ospitare detenuti". Non si spende un euro. E non si spende neanche una parola sul carcere. Non ultimo, il capo dello Stato, acclamato e fotografato da tutti, Sergio Mattarella. Ci si augura sia stata soltanto una dimenticanza. Perché questo Paese, dove ampie parti del dettato costituzionale hanno ormai l'effetto esilarante di una barzelletta ben raccontata, non può consentirsi di far vivere nessuno come uno scarafaggio. Tanto meno se ha la pretesa di rieducarlo. Parma: detenuto perde uso gambe per mancanza terapie adeguate risarcito con 500mila € di Roberto Longoni Gazzetta di Parma, 7 febbraio 2015 Li ha saldati tutti, i suoi debiti con la giustizia: anno dopo anno. "Quelli dovuti per colpa mia, e quelli che mi sono stati appioppati ingiustamente". Ora dalla parte del creditore c'è lui, un 56enne pugliese che nel 1981, durante un tentativo di rapina, fu centrato alla schiena da un colpo di pistola. Quel proiettile gli procurò una paraparesi agli arti inferiori. Cure adeguate avrebbero potuto permettergli di continuare a camminare. "Cure che mai ricevette durante il periodo in cui fu tenuto in carcere" sottolinea l'avvocato Claudio De Filippi, che in questa causa ha trascinato alla sbarra lo Stato. I giudici hanno dato ragione al legale ("Una sentenza eclatante, che ribadisce il diritto alla salute di tutti i cittadini: speriamo possa migliorare le condizioni di tanti") e all'ex detenuto, condannando il ministero della Giustizia a pagare 473.394,07 euro, oltre a saldare le spese processuali e 22.500 euro per onorari. "Nessuno mi ridarà le mie gambe, ma almeno giustizia è fatta" commenta Antonio (il nome è di fantasia), che ora cammina con le stampelle, dopo aver condotto per anni una vita quasi normale, prima che tra lui e la sua riabilitazione (fisioterapica) si mettessero di mezzo le sbarre di via Burla. "Avevo ripreso a guidare il mio camion carico di prodotti ortofrutticoli pugliesi tra il sud e il nord-ricorda lui. Riuscivo a fare palestra e rieducazione: zoppicavo, d'accordo, ma camminavo". Antonio, le sue colpe le ammette. Aveva 23 anni, nel 1981, quando con alcuni complici assaltò una gioielleria a Taranto. Non sparò un colpo: quel giorno fu lui, mentre stava fuggendo, a essere ferito dal proiettile esploso da un vigile urbano. La pallottola lo centrò alla schiena, procurandogli una lesione midollare. "Caddi a terra e capii subito di aver perso le gambe. Dopo un mese e mezzo di ospedale, in sedia a rotelle fui portato in tribunale, dove venni giudicato per rito abbreviato. Fui condannato a due anni e mezzo". Alle spalle il giovane aveva un'altra tentata rapina. Non ci mise molto a capire di non essere tagliato per quella vita. "Mio unico scopo divenne quello di guarire: di rimettermi in piedi, in tutti i sensi". Trenta mesi di fisiokinesiterapia, in particolare dì idrokinesiterapia, gli restituirono più della speranza. "Nel 1983 cominciai a recuperare l'uso delle gambe. Poi, ripresi il lavoro di camionista, pur continuando a eseguire cicli di idromassaggi". Continuò così fino al 1990. Vita massacrante, chilometri su chilometri, salite e discese dalla cabina del camion, rientri a casa. "Mi muovevo da solo, senza problemi". Ma la sua vita stava dì nuovo deragliando. "Questa volta senza che fosse colpa mia - sottolinea. Nel febbraio del 1990 venni arrestato, con l'accusa di essere un trafficante dì droga. Un'accusa ingiusta che mi offende, perché io non ho mai avuto niente a che vedere con quella porcheria". Se le cose stanno come dice Antonio, si trattò di una doppia ingiustizia. perché gli portò ria non solo vent'anni di vita (la condanna a 26 anni fu abbreviata dai tre anni di indulto e da altrettanti di scarcerazione anticipata), ma anche la possibilità di camminare. "Entrai in carcere sulle mie gambe, pur se claudicante, ma ben presto le mie condizioni precipitarono a causa dell'interruzione dei cicli di idrokinesiterapia". E infatti nel 1991 gli venne concesso l'uso della sedia a rotelle, dopo che il centro clinico del carcere di Bari lo aveva dichiarato minorato fisico. "Difficile spiegare quanto mi amareggi pensare che tutto questo potesse essere evitato. Ho provato in tutti i modi ad attirare l'attenzione sul mio caso: scrivendo lettere su lettere, facendo anche uno sciopero della fame che mi ridusse pelle e ossa". Fu nel 1993 che Antonio venne trasferito per la prima volta nel carcere di via Burla, dove in teoria avrebbe potuto usufruire dell'idrokinesiterapia. "In teoria, già: la piscina per le cure esiste davvero, ma io non l'ho mai vista in funzione. Dallo stesso carcere venivano spediti fax su fax nei quali si sottolineava come fosse necessario che venissi trasferito in una struttura sanitaria vera e propria. Accadeva che mi mandassero i periti, che mi dessero i domiciliari. Ma ben presto quello che recuperavo tornavo a perderlo in carcere, tra Taranto e Parma". Fu nell'agosto del 2000 che i medici dissero che non si poteva fare più niente per il recupero dell'uso delle gambe del detenuto. "In piedi ero un pezzo di legno, tremavo: le gambe mi bruciavano e la sinistra mi si era accorciata di due centimetri e mezzo rispetto all'altra". Terminato di scontare la pena nel 2010, Antonio, quattro volte padre e cinque nonno, vive con 740 euro al mese dì pensione di invalidità. Ora questo risarcimento. "Soldi che hanno comunque un fondo amaro. Spero di riuscire a vivere per vederli". Napoli: inchiesta su detenuto non curato, attende il ricovero in ospedale da quattro mesi di Manuela Galletta Cronache di Napoli, 7 febbraio 2015 A ottobre era stato disposto il ricovero ospedaliero, ma il provvedimento non è mai stato eseguito. Il diritto alla salute deve essere garantito. Anche se chi sta male e un detenuto. Nel caso di Ciro Mauriello, indicato dalla Antimafia come esponente di spicco degli Amato-Pagano e attualmente sotto processo per duplice omicidio, questo diritto è stato violato. Lo gridano forte i parenti di Mauriello e il suo legale. Ma lo grida forte miche la dodicesima Sezione penale del Tribunale di Napoli (presidente Luigi Esposito) che in un duro provvedimento ha disposto l'apertura di un'indagine penale per verificare se ci siano state responsabilità nelle mancate cure che vanno assicurate al 47enne di Melito. Accogliendo un'istanza dell'avvocato Maria Grazia Padula, che dallo scorso ottobre sta lottando affinché Mauriello venga trasferito in ospedale (in stato di arresto) come disposto ad ottobre, i giudici hanno rinnovato l'immediato ricovero del detenuto, ed hanno trasmesso gli alti in procura affinché vengano avviali degli accertamenti sull'amministrazione sanitaria del carcere di Secondigliano dove il detenuto è ristretto e sul II Policlinico dì Napoli, che da quattro mesi non apre le porte della struttura a Ciro Mauriello. La storia è semplice: il 24 ottobre i giudici della dodicesima sezione penale del Tribunale del Riesame di Napoli dispongono gli arresti ospedalieri per Mauriello. riconoscendo - sulla scorta di una copiosi documentazione medica -che il 47eene necessità di cure che il carcere di Secondigliano non era in grado di assicurargli. Quel provvedimento. tuttavia, non è mai stato eseguilo. Di qui una dura battaglia dell'avvocato Maria Grazia Padula che presenta numerosi solleciti affinché il suo assistito venga trasferito in ospedale. Nessuno però sembra ascoltare le pretese, legittime. del legale. Neppure i giudici della Corte d'Assise di Napoli, dinanzi ai quali Mauriello e imputalo per il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno si mostrano sensibili alla situazione del detenuto: il 3 dicembre. infatti, rigettano una nuova istanza della difesa di concedere gli arresti ospedalieri all'affiliato agli Amato-Pagano. A fronte del "no" della Corte l'avvocato Padula presenta ricorso al Riesame ed espone, dinanzi alla dodicesima sezione penale le difficoltà nell'applicazione di un provvedimento chiaro e perentorio. Si arriva cosi al 28 gennaio, quando il Riesame - il caso vuole che sia la stessa sezione cha già il 24 ottobre si era pronunciala sulla storia di Mannello - suona la sveglia e ribadisce il concetto già espresso quattro mesi fa: "Si dispone l'immediato ricovero provvisorio di Ciro Mauriello, fermo restando il presidio cautelare carcerario in atto, presso il II Policlinico di Napoli, ai fini delio stretto monitoraggi dei valori pressori da parte dei sanitari del relativo Centro per l'ipertensione, ove verranno effettuati approfondimenti diagnostici ed eventuali modifiche terapeutiche e verrà valutata l'opportunità di sottoporre l'imputato a denegazione renale". Ma nel provvedimento firmato dal presidente Luigi Esposito e dai giudici a latere Stefania Amodeo e Daria Valletta c'è di più: c'è spazio per un intervento a gamba tesa nei confronti di chi sino ad oggi non ha ottemperato ad un procedimento dell'autorità giudiziaria. venendo così meno all'obbligo di rispettare il diritto alla salute di un cittadino. anche se questi è detenuto. "Si dispone - scrive il Riesame - la trasmissione degli atti al pm per le sue valutazioni in ordine ad eventuali responsabilità penali connesse alla mancata attuazione del ricovero disposto con provvedimento emesso da questo Tribunale il 24 ottobre". Chissà se adesso Mauriello riuscirà a beneficiare delle cure di cui necessita. Padova: rissa in carcere, chiusa l'indagine con quattro detenuti verso il giudizio di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 7 febbraio 2015 Nessun richiamo all'Islam: tre romeni e un italiano accusati di essere i sobillatori della sommossa Il quartetto aveva incitato altri carcerati, carburati dalla grappa, a non rientrare nelle celle. Rivolta in carcere: l'inchiesta è stata chiusa a tempo di record. Il pm padovano, Sergio Dini, ha formalizzato la conclusione dell'indagine a carico di quattro detenuti ritenuti gli organizzatori della sommossa che si è scatenata nella casa di reclusione Due Palazzi, appena due settimane fa. Tutto è chiaro: nessun islamico, nessun richiamo all'Isis o a "crociate" anti-occidentali tra i rivoltosi, tutti rigorosamente europei e ben carburati dall'alcol, la grappa fabbricata clandestinamente grazie alla frutta fermentata. Sono stati tre romeni e un italiano ad architettare e a far esplodere quella violenza dietro le sbarre tra le 18 e le 21 di giovedì 22 gennaio nella quarta sezione del Due Palazzi, la struttura penitenziaria riservata ai condannati in via definitiva. Rischiano il processo Valerica Panait, 33 anni, condannato per un brutale omicidio avvenuto nel 2004 in una baracca di Roma, dove uccise un connazionale a calci, pugni e a colpi di sedia per vendette e faide familiari iniziate in patria (per lui fine pena prevista nel 2029); Ion Serban, 39 anni, condannato per un omicidio e un tentato omicidio durante una sparatoria fra bande rivali romeno-albanesi nel Bergamasco; Mihai Hudisteanu, 25, in Italia senza fissa dimora, già arrestato e condannato per resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale in quanto, dopo una lite con un connazionale, aveva aggredito i carabinieri intervenuti nella stazione ferroviaria di Padova per sedare la rissa; infine Michele Cappabianca, 48 anni, originario di Capurso nel Barese, condannato per l'assassinio della moglie avvenuto il 31 dicembre 2000 in un piccolo centro dell'Anconetano, poi evaso dal carcere padovano il 5 ottobre 2012 grazie a un permesso premio per una visita a una comunità di Vicenza e arrestato di nuovo nella casa di alcuni parenti (i carabinieri lo bloccarono dopo aver circondato l'edificio). Ai quattro, a vario titolo, il magistrato contesta i reati di concorso in resistenza continuata nei confronti di pubblici ufficiali (Panait, Serban e Cappabianca) ma anche di lesioni volontarie aggravate nei confronti di sette agenti e di danneggiamento (solo Panait, il leader carismatico dei facinorosi). Secondo quanto emerso dalla ricostruzione degli investigatori (la Squadra mobile guidata dal vicequestore Marco Calì), Panait, Serban e Cappabianca, tutti d'accordo, hanno fomentato la rivolta, sollecitando un gruppo di detenuti, già ubriachi e piuttosto alterati, ad aggredire le guardie intervenute per riportare in cella i più agitati. In particolare è Cappabianca ad "accendere" la miccia, urlando minaccioso a un agente "Ti verrò a prendere a casa, appena esco di qua". A quel punto Panait afferra per un braccio un altro poliziotto e lo strattona, cercando di trattenerlo vicino al cancello di chiusura della sezione. Quindi il terzetto (Panait, Serban e Cappabianca) si frappone tra le porte del cancello per evitare la sua chiusura, facendo in modo che uno di loro (Panait) esca per aggredire altri agenti. Il giovane romeno, infatti, armato di un pezzo di legno (la gamba di un tavolo che ha appena distrutto), cerca di farsi strada ferendo altre guardie. E anche l'indomani reagisce con violenza contro altri agenti che lo stanno accompagnando in infermeria: è qui che, all'improvviso, estrae dalla bocca una lametta e si avventa su un agente, riuscendo solo a tagliare il suo giubbotto di servizio senza ferirlo. Più defilato il ruolo di Hudisteanu accusato di aver malmenato alcuni agenti, una volta sedata la rivolta, mentre lo scortavano sempre in infermeria. Cagliari: Pili (Unidos); carcere Iglesias chiuso per freddo, ma è scusa… ministro lo riapra Ansa, 7 febbraio 2015 Il carcere di Iglesias è stato chiuso ieri sera per il freddo. Lo ha rivelato il deputato di Unidos Mauro Pili, che definisce "gravissima" la decisione presa dal Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap). Per l'ex governatore si tratta di "una vergognosa messa in scena legata al mancato funzionamento dei riscaldamenti del penitenziario iglesiente. Una giustificazione che conferma l'incapacità totale del Dap Sardegna di governare il sistema carcerario sardo a partire dalle più elementari esigenze". Per Pili la decisione è "scellerata, irrazionale e grave", da qui l'appello al ministro della Giustizia. "Fermi questa decisione che costituisce - spiega - un errore tecnico sostanziale, proprio per la tipologia di reati che si scontano in quella struttura. Si tratta di un danno erariale gravissimo proprio perché resterebbe inutilizzata una struttura costata miliardi di lire funzionale alle esigenze del territorio e delle politiche di rieducazione dei detenuti". Il parlamentare ricorda che nel carcere di Iglesias "sono ospitati prevalentemente detenuti protetti" ed è uno dei pochi istituti sardi "dove ai detenuti sono garantite condizioni di vivibilità consone ad un essere umano, come previsto Consiglio d'Europa". Per Pili la chiusura della casa circondariale cittadina è "un danno economico" che "andrà ad incidere sull'economia" del Sulcis Iglesiente. "Per questo motivo - conclude - il ministro deve revocare il provvedimento di chiusura del carcere di Iglesias per evidenti incongruenze gestionali, organizzative ed economiche e predisporre un nuovo piano gestionale che preveda la salvaguardia di quelle strutture efficienti e necessarie a garantire una gestione razionale del sistema carcerario sardo". Frosinone: ex detenuti psichiatrici saranno ricoverati nell'ospedale mai finito di Ceccano di Denise Compagnone Il Messaggero, 7 febbraio 2015 La Rems di Ceccano? Nascerà in viale Fabrateria Vetus, lì dove fa bella mostra di sé quello scheletro che negli anni 70 doveva diventare il nuovo ospedale. La precisazione è arrivata ieri dalla Asl di Frosinone, tramite il dirigente del Dipartimento disagio, devianza e dipendenze Fernando Ferrauti. Parliamo delle Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza che dal 31 marzo sostituiranno gli ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi per legge. Una di queste Rems, come anticipato dal Messaggero, sarà proprio a Ceccano, non nell'ala Mosconi, bensì in viale Fabrateria Vetus. Quello scheletro - ruderi oggi in preda al degrado e all'incuria - verrà abbattuto e al suo posto sorgerà la Rems: due reparti da 20 posti letto ognuno che si estenderanno su 3.000 mq complessivi e 2.000 di giardino. La notizia, tirata fuori qualche giorno fa dall'ex consigliere comunale Angelino Stella, ha determinato molto sconcerto in città, soprattutto perché in molti parlavano con allarme carcere psichiatrico e di manicomio criminale. A far chiarezza su questo, ieri è intervenuto il dottor Ferrauti. Cosa sono esattamente le Rems? "Una via di mezzo tra gli ex Spdc e le comunità terapeutiche attualmente esistenti. Non sono carceri, non ci sono camminamenti, non ci sono grate, né Polizia penitenziaria". I pazienti sono detenuti? "No, sono pazienti, persone che devono effettuare un percorso di cura prima di essere reintegrati nella società. Quelli che arriveranno a Ceccano sono ex detenuti, quelli che una nostra equipe tecnica ha già visitato più volte e dichiarato dimissibili. Ne curiamo tantissimi già da anni in provincia di Frosinone. La sola differenza è che dal 31 marzo avranno una struttura dedicata". Chi sono questi pazienti? "Una trentina sono, perché vale il principio della prossimità delle cure". E coloro che sono dichiarati non dimissibili? "Saranno trasferiti nelle carceri di Rebibbia, Civitavecchia, Regina Coeli e Velletri, in aree a loro dedicate". Perché è stata scelta Ceccano? "Per due motivi: per eliminare lo scempio urbanistico che esiste da decenni in viale Fabrateria Vetus e per la decennale storia di grande accoglienza sul territorio nei confronti delle malattie psichiatriche". Questa sarà la Rems definitiva, che verrà realizzata entro 18 mesi dal prossimo 31 marzo. Ma il 31 marzo che succede? A Ceccano e Pontecorvo verranno realizzate due Rems provvisorie che ospiteranno rispettivamente 20 uomini e 11 donne (a Ceccano nell'attuale comunità terapeutica Priori che nel frattempo sarà trasferita a Frosinone e a Pontecorvo nell'ex Spdc). Quali vantaggi? "Tre: aumenta la nostra offerta di cura, e Frosinone ha già la migliore assistenza sanitaria per la salute mentale del Lazio; creiamo circa 120 posti di lavoro e riqualifichiamo il territorio creando un indotto virtuoso per l'economia locale". Per questi scopi lo Stato ha destinato alla Asl di Frosinone 9 milioni di euro (di cui 1,5 per le strutture provvisorie). E l'Ala Mosconi, il rudere dietro l'ex ospedale Santa Maria della Pietà? "Anche quella - conclude Ferrauti - sarà ristrutturata con un apposito finanziamento e ospiterà la futura Casa della Salute, in particolare l'assistenza infermieristica". Empoli: "Fuori area", un progetto per reinserire i carcerati nel mondo del lavoro di Chiara Capezzuoli Il Tirreno, 7 febbraio 2015 Si chiama "Fuori area" il progetto promosso da Multicons e Asev al fine di reinserire i detenuti delle carceri in un contesto sociale lavorativo. I detenuti in questione saranno 12 tra uomini e donne che gli assistenti sociali sceglieranno nelle strutture circondariali Valdorme di Empoli e Gozzini di Firenze per consentire a queste persone un reinserimento sociale partendo dalle loro capacità lavorative pregresse. "Siamo soddisfatti della realizzazione di questo progetto e crediamo possa davvero essere utile al reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo di queste persone - commenta il presidente dell'Asev Stefano Mancini - l'Asev fornirà i corsi di formazione per le varie categorie lavorative". Elettricista, fabbro, facchino, falegname: sono molti i lavori proposti dal consorzio di cooperative Multicons per i detenuti e tutti ovviamente retribuiti. "Area Fuori" è nato da due esigenze ben distinte che si sono unite in quest'unica risposta: da un lato il sovraffollamento delle carceri e dall'altro la necessità da parte delle pubbliche amministrazioni di svolgere la manutenzione ordinaria del proprio territorio a costi ridotti. Grazie a questo progetto le amministrazioni comunali dell'Empolese Valdelsa potranno usufruire di manodopera a basso costo e rappresentare per questi detenuti e per la popolazione in generale motivo di soddisfazione e rivalutazione sociale. Purtroppo si sentono spesso frasi del tipo "i detenuti vivono a spese nostre e non fanno niente" con questo progetto il detenuto può ritenersi parte integrante della società e aver modo, quando la pena sarà scontata, di poter praticare professionalmente ciò che ha imparato a fare. "Purtroppo ci sono sempre meno soldi da spendere in ogni amministrazione pubblica - dice il sindaco di Montaione e delegato dell'Unione dei Comuni al Sociale Paolo Pomponi - ma non dobbiamo perdere di vista il valore politiche o sociale delle nostre iniziative. Per tanto tutti i comuni dell'Unione, per quanto possibile, si impegneranno a far parte del progetto di rinserimento sociale dei detenuti". A seconda del tipo di lavoro assegnatogli ogni detenuto avrà un tutor di riferimento e potrà lavorare da solo o in gruppo svolgendo un normale orario di lavoro dalle 8 alle 18 ed essendo prelevato e riportato al carcere dalla cooperativa sociale. "I lavori che i detenuti svolgono all'interno delle carceri non sono molto qualificanti - sostiene Margherita Michelini direttrice del carcere Gozzini di Firenze - per questo motivo sono molto contenta dell'opportunità che questo progetto dà ai detenuti e spero che ci siano sempre più possibilità di assumere e formare detenuti che abbiano poi sbocchi lavorativi a conclusione della loro pena". Il progetto "Fuori area" può dunque essere un'ottima soluzione a due problemi che attanagliano l'Italia intera: il sovraffollamento delle carceri che di anno in anno è in continuo aumento e i costi di manutenzione ordinaria dei territori comunali che stanno diventando sempre più onerosi per le pubbliche amministrazioni. Catanzaro: arrestato agente penitenziario, per "concorso esterno in associazione mafiosa" di Sara Svolacchia www.infooggi.it, 7 febbraio 2015 Aiutava i detenuti mafiosi del carcere di Siano a comunicare tra loro: così l'agente penitenziario Luigi Struzza, di 53 anni, guadagnava soldi e favori. L'uomo è stato arrestato qieri mattina grazie all'intervento della squadra mobile di Catanzaro e al momento si trova in carcere a Vibo Valentia con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. Non erano solo i detenuti del carcere a beneficiare dell'intervento dell'agente: Luigi Struzza permetteva anche le comunicazioni con l'esterno, agevolando lo scambio di informazioni tra gli uomini in cella e gli altri membri del clan Giampà di Lamezia Terme che continuavano a operare sul territorio. A incastrare l'uomo, due diverse circostanze: le attività investigative svolte dalla squadra mobile, coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, e la confessione arrivata proprio da parte di uno dei membri del clan, Giuseppe Giampà. Questi, accompagnato dalla moglie Francesca Teresa Meliadò, nipote di Luigi Struzza, ha denunciato le attività illecite dell'agente all'interno del carcere, spiegando come l'uomo fosse principalmente incaricato di fare di trasportare le comunicazioni scritte dai boss da e verso l'interno del penitenziario. Ascoli Piceno: Pet Therapy del carcere in Tv, col programma "L'Arca di Noè" (Canale5) www.primapaginaonline.it, 7 febbraio 2015 Le telecamere del programma "L'Arca di Noè" in onda su Canale5 hanno filmato il lavoro svolto dalle insegnanti di Pet Therapy che mettono in contatto animali e detenuti. Una troupe del programma televisivo di Canale 5 "L'arca di Noè", condotto da Maria Luisa Cocozza, ha realizzato un servizio nel supercarcere di Marino del Tronto. Protagonisti i detenuti e i cuccioli del corso di Pet Therapy diretto da Chezia Carlini. Lo speciale, che andrà in onda domenica all'interno del programma, dopo il Tg5 delle 13, è stato ambientato in parte nella sala conferenze della casa circondariale e in parte nel campo di calcio dell'istituto. Al microfono del giornalista Alessio Fusco, l'insegnante Chezia Carlini, che due anni fa ha portato per la prima volta nel carcere di Marino del Tronto il corso con i cuccioli, la sua collaboratrice, Valentina Irmici, proprietaria del Collie che partecipa alle lezioni, e i detenuti del giudiziario che seguono la Pet Therapy. Davanti alle telecamere, insieme al Collie, anche un cucciolo di coniglio. Le insegnanti hanno spiegato come si svolgono le lezioni e quali risultati si ottengono dal contatto tra gli animali; i detenuti, infatti, sono impegnati a confrontarsi con regole da rispettare e da trasmettere e i ragazzi del circondariale hanno raccontato l'esperienza soffermandosi sulle emozioni e sul calore che i cuccioli sono in grado di offrire. Il servizio è stato realizzato grazie alla disponibilità della direttrice dell'istituto, Lucia Di Feliciantonio, del corpo di Polizia Penitenziaria e alla collaborazione di Teresa Valiani, direttrice di Io e Caino, il giornale dell'istituto. Firenze: sport in carcere, continua la collaborazione con la Uisp www.gonews.it, 7 febbraio 2015 Prosegue la collaborazione l'Uisp Comitato di Firenze, Il Comune di Firenze, l'Azienda Sanitaria di Frienze , il Coni Toscano e la Direzioni Educative della Casa Circondariale di Sollicciano e dell'Istituto Mario Gozzini. Anche quest'anno sono previsti progetti mirati al coinvolgimento e al benessere psico-fisico degli ospiti della Casa Circondariale di Sollicciano e Mario Gozzini. Grazie al progetto "Sport in Libertà" e il progetto "Sport in Carcere" l'Uisp prova a rispondere alle numerose difficoltà e criticità dell'ambiente detentivo, calibrando e modellando le varie proposte motorio-sportive nella maniera più attenta possibile cercando di proporre e attivare percorsi che stimolino la partecipazione, il movimento e la riattivazione di corpo e mente. Sono previsti interventi di attività sportiva più o meno intensa rivolti a donne e a uomini, in singolo o di gruppo come momenti formativi ed educativi. È in fase di definizione Un programma ludico-motorio ricco e vario con le seguenti attività: Bodybuilding: attività di palestra con istruttori (per l'intero anno, incontri di 2h. dal lunedì al venerdì); Squadra calcio: formazione squadra calcio di detenuti seguita allenatori (per l'intero anno, incontri di 2 h ogni sabato); Danza-Terapia: laboratorio di danza rivolto alle detenute ospiti della Casa di Cura e Custodia (O.p.g. Femminile) tenuto da volontarie esperte (da gennaio a giugno, incontri 2h. ogni martedì); Danza-Movimento: laboratorio di danza e movimento rivolto alle donne della sezione femminile con una operatrice (da gennaio a giugno, incontri di 2h., ogni lunedì); Calcio - Torneo interno tra sezioni: torneo di calcio tra tutte le sezioni con la presenza di arbitri e operatori (da gennaio a giungo, ogni sabato); Vivicittà: corsa campestre per donne uomini dentro le mura del carcere con operatori e istruttori della disciplina (9 maggio 2015); Scacchi: corso di avviamento e perfezionamento agli scacchi rivolto ai detenuti della sezione 8 (tossicodipendenze), 11 e 12 tenuto da maestri (da gennaio a giugno, incontri di 2h., ogni mercoledì); Ping-Pong - Torneo interno tra sezioni : torneo di calcio tra le sezioni seguito da operatori e animatori. (da gennaio a giugno, 2 incontri di 2h., ogni martedì e giovedì). A settembre, inoltre, è prevista l'organizzazione di ancora altre iniziative come Mini-olimpiade: corsa veloce, staffetta, salto in alto e lancio del peso; Corso arbitri di calcio; Attività di Circo-Teatro. Gli obiettivi alla base dei progetti dell'Area Diritti Sociali sono: Creare momenti di aggregazione tra i detenuti, con i volontari, gli operatori e gli agenti di custodia coinvolti attraverso la realizzazione di attività sportive socializzanti; Stimolare il mantenimento ed il recupero psicofisico dei detenuti e rafforzare le abilità di base; Contribuire al recupero di autostima e consapevolezza; Promuovere l'attività sportiva come strumento di reinserimento sociale per permettere l'interiorizzazione di regole da rispettare quale esempio reale di regole sociali; Concedere gli strumenti per l'acquisizione di responsabilità e autonomia; Realizzare iniziative che mettano in contatto l'ambiente esterno con la realtà carceraria favorendo il superamento della reciproca diffidenza e la creazione di un rapporto solidale tra società e detenuti; Sollecitare ad adottare le occasioni formative, anche in ambito sportivo, come strumento di collegamento, inizialmente virtuale ma successivamente pratico, con l'associazionismo, il mondo del lavoro e la quotidianità della vita normale; Creare di un modello d'intervento replicabile. Oggi, sabato 7 febbraio partiamo con il Torneo di calcio tra le sezioni che proseguirà per 5 mesi. Trani: due sacerdoti propongono la creazione di un laboratorio musicale in carcere www.tranilive.it, 7 febbraio 2015 Appello dei due sacerdoti andriesi a tutti coloro che prendono a cuore i problemi degli altri. "Nella consueta visita ai fratelli detenuti nella Casa Circondariale di Trani abbiamo recepito un bisogno: creare un Laboratorio Musicale. L'impegno ad accogliere nelle nostre comunità detenuti ed ex detenuti, che prestano servizio di volontariato in oratorio e in parrocchia, ha evidenziato la necessità di dare vita a laboratori creativi". "Negli ultimi anni - proseguono Don Riccardo e Don Vincenzo - abbiamo intensificato la nostra azione per coloro che vogliono "davvero cambiare vita", tagliare i ponti con il passato, dare una sterzata alla strada che stavano percorrendo. Molti sono riusciti a redimersi, qualche altro magari no. Ma anche il Signore "ha lasciato le novantanove pecore per cercare quella smarrita". "Nell'ambito delle iniziative atte a promuovere interesse e coinvolgimento dei detenuti della Casa Circondariale di Trani, vogliamo avviare un laboratorio musicale che impegni, coloro che si lasciano coinvolgere dal progetto, in un'avventura che li porterà a mettere a frutto le loro capacità artistiche e ad esprimere al meglio i loro talenti musicali. La proposta nasce dal desiderio di stanare i detenuti dalle loro celle per vivere momenti di aggregazione e di utilizzo del tempo in un progetto formativo: stare insieme, interpretare insieme gli spartiti musicali, andare a tempo, aspettare il momento opportuno per entrare armonicamente con il proprio strumento nell'esibizione, ecc." "Per vincere la noia o il dolce far niente, e perché la vita non sia un trascinarsi o un annaspare negli stagni della monotonia quotidiana, l'ispettore Giusto, che crede fortemente nella riabilitazione dei detenuti, mette a disposizione le sue competenze artistico-musicali per portare avanti il laboratorio musicale. Sosteniamo la realizzazione di questo sogno! Servono però gli "strumenti" per concretizzare il progetto. Eccoli: n. 1 Clarinetto piccolo Mib; n. 6 Clarinetti SIb; n. 1 Clarinetto basso; n. 2 Sax contralto Mib; n. 2 Sax tenore SIb; n. 1 Sax baritono Mib; Grancassa per banda; Piatti per banda; Rullante per banda; n. 15 leggii; n. 30 bocchini. Quindi coloro che vogliono darci una mano a concretizzare il progetto o recuperando strumenti da amici e parenti o dando un aiuto economico per l'acquisto degli stessi, possono fare riferimento a don Riccardo Agresti (cell.: 347.2760787) oppure a don Vincenzo Giannelli (cell.: 339.3810514). Gran Bretagna: si uccide poche ore prima della sentenza, killer morto in carcere www.today.it, 7 febbraio 2015 Tragedia nella tragedia nella città britannica di Hull. John Heald, 53 anni, si è ucciso la notta prima della sentenza: era accusato di omicidio e stupro. Era atteso in aula per partecipare al processo che lo vede accusato dell'omicidio della proprietaria di una "casa vacanze" e dello stupro di un'altra donna. Ma in aula, stamattina, John Heald, 53 anni, non ci è mai arrivato. L'uomo si è infatti suicidato nella sua cella all'interno del carcere di Hull. John Heald era sotto processo davanti alla corte di Hull per l'omicidio di Bei Carter e lo stupro di un'altra donna. La giuria era da nove giorni chiusa in un hotel nell'attesa di pronunciarsi sulla condanna dell'uomo. Oggi era atteso il verdetto ma Heald non è mai arrivato al cospetto della corte. Ad annunciare la morte dell'imputato è stato, questa mattina, il giudice Richardson che ha salutato i dodici membri della corta annunciando la chiusura anticipata del processo: "L'imputato si è ucciso questa notte nella sua cella. Questa mattina mi hanno portato le fotografie scattate all'interno del carcere che provano la sua morte. Vedo dalle vostre facce che questa notizia vi ha sconvolto. Posso dirvi che anch'io, stamattina, non volevo crederci. Ora sarà Dio a giudicarlo". Arabia Saudita: quando muore un criminale di Karim Metref Il Manifesto, 7 febbraio 2015 Re Abdallah. Il rispetto è dovuto a tutti i morti, quali che siano i loro meriti e le loro colpe in vita. Ma se muore un mafioso dobbiamo tutti andare dietro la sua bara e dire che era una brava persona? È quanto accaduto con il re saudita Abdallah. Lo scorso 23 gennaio è morto il re dell'Arabia Saudita, Abdallah ben Abdelaziz al-Saud. Membro della dinastia al-Saud, figlio di re Abdelaziz Ibn Saud, il fondatore, grazie ai servizi britannici, dell'Arabia Saudita, uno stato inventato di sana pianta mettendo insieme due province dell'ex impero ottomano, il Najd e l'Hejaz, per servire i piani di divisione del mondo dei maggiori imperi coloniali di allora (e anche di adesso). È stato il principe ereditario e regnante de facto dal 1995 al 2005 a causa dello stato di salute dell'allora re Fahd, suo fratellastro, per salire poi ufficialmente al trono a 71 anni dopo la morte di quest'ultimo. Con un patrimonio personale stimato in 18,5 miliardi dollari, è terzo nella classifica dei re più ricchi. Ma è alla testa di un clan di circa 25 mila persone che insieme controllano la più grossa fortuna del mondo. Un clan che gestisce il paese come una proprietà privata. In effetti l'Arabia Saudita è l'unico paese al mondo che porta ufficialmente il nome di una famiglia. Questo clan scelto dagli inglesi perché legati a una rigida tradizione conservatrice e a una lettura ottusa dei dettami dell'islam: il Wahhabismo, che è un movimento politico-religioso fondato nel XVIII secolo da Muhammad ibn Abd al-Wahhab sulla base di una visione puritana e rigorista della tradizione musulmana che va contro la maggior parte delle altre dottrine dell'Islam e sopratutto va contro ogni forma di religiosità popolare e al tempo stesso contro ogni pensiero razionale o innovazione. L'ideale, quando si vuole mantenere un popolo arretrato e ignorante. Non a caso gli inglesi misero da parte le grandi famiglie dell'Hejaz che stavano cercando di andare verso forme di modernizzazione della loro società per scegliere i beduini del deserto dell'Hejaz e tra questi la famiglia più conservatrice e più arretrata di tutte. Bisogna pur dire che in un clan così vasto e così ricco qualcuno di intelligente e di aperto c'è stato e ci sono stati anche timidi tentativi di cambio di direzione, ma sono stati repressi anche con la morte, quando è stato necessario. Da quando è al potere, il clan ha mantenuto il paese sotto una cappa di piombo. La polizia religiosa gira in continuazione per far rispettare gli spietati dettami della loro pseudo morale religiosa, che obbliga le classi inferiori a vivere in un inferno dove ogni espressione di amore o di sessualità è repressa, mentre loro girano il mondo spendendo i loro miliardi in divertimento, alcol, droghe, sesso, gioco d'azzardo e altri vizi. Nel paese più ricco del pianeta le differenze sociali sono estreme. Nessuno muore di fame ma le classi più povere sono giusto giusto al livello della sopravvivenza. Persistono varie forme di schiavitù di fatto e gli immigrati in modo particolare sono trattati come pura merce usa-e-getta, senza nessun diritto, nessun rispetto. Le donne sono recluse: non possono uscire liberamente, non possono guidare, non possono intrattenere rapporti sociali con maschi estranei alla propria famiglia. Chi esce dalle regole imposte dal regime, viene frustato nel migliore dei casi, nel peggiore può essere decapitato o lapidato pubblicamente. È il caso, ad esempio del blogger 31enne, Raif Badawi, condannato a 10 anni di carcere, a pagare una multa di 270 mila dollari, e in più a 1000 frustate (che in queste settimane gli vengono somministrate al ritmo di 50 ogni venerdì dopo la preghiera di mezzogiorno). Tutto questo per aver osato criticare il regime sul suo blog. In questi casi il silenzio dei milioni di #jesuischarlie diventa assordante come una cannonata. Dove sono le fiaccolate, dove sono le interrogazioni parlamentari, le prese di posizione delle istituzioni, i ritratti srotolati lungo la facciata dei comuni, come è stato giustamente il caso quando era il regime iraniano o sudanese a condannare qualcuno o qualcuna? Dove sono questi innamorati della democrazia e della libertà di espressione? Ma peggio di quello che fa la famiglia Ibn Saud in Arabia c'è solo quello che fanno in giro per il mondo, da mezzo secolo in qua. Miliardi spesi per diffondere la loro ideologia arretrata, le loro idee storte della vita e della società. Tonnellate di libri, cassette video, dvd, cd, cassette audio distribuite gratuitamente. Scuole aperte in molti paesi poveri, nei quartieri più disagiati, in Asia e in Africa. Borse studio per i migliori di queste scuole nelle università del regno, per produrre sempre più imam oscurantisti e moltiplicatori delle loro idee malate. Ecco come in luoghi in cui 20 anni fa ancora molte donne di famiglie musulmane continuavano ad andare a seno nudo come tutte le altre, oggi sono arrivati i burqa ed è arrivato Boko Haram. Ma oltre la diffusione della sola cultura dell'integralismo, il regno saudita e i suoi vicini degli emirati del Golfo hanno creato e finanziato tanti gruppi armati di fanatici in giro per il mondo, sfruttando il malessere vero di popolazioni oppresse per spingerle verso una radicalizzazione non in nome della loro oppressione ma in nome della loro diversità religiosa: dalla Cecenia alla Bosnia, dalle Filippine allo Xinjiang; dall'Algeria alla Nigeria. Tutto questo però non viene mai nominato quando si parla di scontro di civiltà, di guerra al terrore. Il presidente François Hollande, una settimana dopo la marcia pseudo-repubblicana di Parigi, ha reso omaggio al re Abdullah salutando "la memoria di un uomo di Stato il cui lavoro ha profondamente segnato la storia del suo paese e la cui visione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente resta più valida che mai". Visione di una pace giusta e duratura? Perché si fa la guerra al terrore ma nello stesso tempo si va a braccetto con i capi terroristi? Perché si entra nello scontro di civiltà per difendere la libertà e si è nello stesso tempo alleati strategici del principale sponsor dell'oscurantismo di cui è accusato l'altro campo? Molti dicono che dopo tutto, l'Arabia è un paese sovrano e ha il diritto di avere una propria politica estera. Anche diversa da quella dei suoi alleati. Ma la verità è che le monarchie del Golfo possono permettersi di avere le politiche che hanno perché hanno le spalle coperte. Ci ricordiamo tutti di come Saddam Hussein impiegò 24 ore per ridurre in polvere l'esercito del Kuwait. Se non fu per l'intervento di molte nazioni saggiamente allineate dietro ai padroni del mondo post guerra fredda, il Kuwait oggi non esisterebbe più e sarebbe semplicemente una delle province della repubblica irachena, dittatoriale sì, ma laica. È per la fine che fece Saddam che oggi l'Arabia Saudita e il minuscolo Qatar possono intromettersi nella politica interna della Libia, della Tunisia, dell'Egitto, dello Yemen e soprattutto della Siria. È perché hanno le spalle coperte dalla pesante presenza militare della Nato e di Israele nella regione che i paesi del Golfo, in testa l'Arabia saudita, possono avere un peso con l'iniezione di soldi, armi e mercenari, sulle politiche interne di vari paesi del mondo. Non c'entra niente la sovranità. C'entra un piano comune di gestione della regione e del mondo. Una gestione sotto il segno degli affari sporchi e della guerra infinita, fine a se stessa. Semplicemente perché i signori della guerra da una parte e dall'altra ne traggono ampiamente beneficio. Perché le famiglie ricche alla testa di più della metà delle risorse di questo pianeta non hanno né nazionalità, né colore, né religione, e quando uccidono (o fanno uccidere da un terrorista o da un soldato) non è per religione, non è per civiltà, e l'unico valore che difendono è quello dei loro conti nei paradisi fiscali. Allora io dico che il rispetto lo dobbiamo a ogni morto, ricco o povero, sultano o figlio del ghetto. Ma nessuno mi venga a cantare le lodi del criminale morto. Perché chi va a piangere al funerale di un criminale, chi ne canta le lodi sono solo i suoi compari: i criminali. Egitto: ministero Esteri, "inaccettabili" critiche su condanne a manifestanti anti-Mubarak Nova, 7 febbraio 2015 Sono "inaccettabili" le critiche piovute sull'Egitto da parte di paesi stranieri e organizzazioni internazionali dopo le condanne all'ergastolo comminate dal Cairo a 230 attivisti implicati nelle proteste del dicembre 2011 contro il regime di Honsi Mubarak. È quanto afferma il ministero degli Esteri egiziano in un comunicato diffuso oggi. Le reazioni internazionali, si legge nella nota, "costituiscono un'interferenza negli affari interni dell'Egitto che rivela l'ambiguità di quei paesi e di quelle organizzazioni". Molti degli Stati che hanno sollevato critiche contro Il Cairo, ricorda inoltre il ministero degli Esteri, "continuano a tenere in carcere detenuti per parecchi anni senza dar loro la possibilità di difendersi in un giusto processo". Due gironi fa, il dipartimento di Stato Usa aveva espresso "profonda preoccupazione" per le sentenze comminate dal Tribunale penale del Cairo nei confronti di Ahmed Douma e degli altri attivisti. Secondo la portavoce del dipartimento Mary Harff si sarebbe trattato di "una violazione dei più semplici principi di democrazia". Gli imputati sono stati accusati di aver provocato scontri con le forze di sicurezza e di aver danneggiato una libreria pubblica nei pressi di Piazza Tahrir, al Cairo, dando fuoco a centinaia di manoscritti e libri rari. Brasile: drogano la guardie durante un festino, poi rubano le chiavi e liberano i mariti Ansa, 7 febbraio 2015 Il rocambolesco piano organizzato da un gruppo di donne brasiliane per fare evadere 26 detenuti dal carcere di Nova Mutum. Evadono di prigione grazie alle mogli, che hanno attirato i secondini in una vera e propria trappola. È accaduto in Brasile, a Nova Mutum, prigione situata vicino alla città di Cuiabà, nel Mato Grosso. Secondo le ricostruzioni dell'accaduto, un gruppetto di donne, compagne di altrettanti detenuti, si sono presentate alle guardie del carcere in abiti succinti e con qualche bottiglia di alcol, annunciando l'intenzione di fare baldoria. I secondini ci sono cascati e hanno iniziato a darsi alla pazza gioia, trangugiando i drink che le signore servivano loro, tutti però "dopati" con droghe e sonniferi. E quando i secondini sono stramazzati, le tre signore hanno avuto gioco facile a rubare loro le chiavi e aprire le celle, liberando i mariti e altri 23 detenuti. Le autorità hanno aperto un'inchiesta su quanto accaduto, mentre in tutta la zona è partita una gigantesca caccia per riacciuffare gli evasi. Quanto agli sprovveduti agenti, una volta passata la sbornia, passeranno un brutto quarto d'ora davanti ai loro superiori.