Psicologi Penitenziari: gli Stati Generali sul carcere nella Casa di Reclusione di Padova di Alessandro Bruni (Presidente Società Italiana Psicologia Penitenziaria) Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2015 Richiesta partecipazione agli Stati Generali sul carcere e le pene e sostegno allo svolgimento dell'iniziativa a Padova come richiesto da "Ristretti Orizzonti". Gentile Ministro, siamo gli psicologi penitenziari (cosiddetti esperti ex art. 80) che operano oramai da molti anni negli istituti penitenziari e nell'esecuzione penale esterna. In passato ci siamo rivolti a lei e ai suoi predecessori per sollevare le questioni relative al nostro lavoro sempre nell'ambito del contesto generale e con la finalità del miglioramento dell'esecuzione della pena e non come mera difesa della nostra categoria. Nel 2013 abbiamo lanciato anche l'appello "Detenuti ed operatori travolti da un insolito destino!", per evidenziare le complesse problematiche penitenziarie che richiedevano profondi interventi strutturali e, oggi, registriamo che la diminuzione della popolazione penitenziaria è un primo e significativo segnale. Ci siamo costituiti da più di dieci anni in una società scientifica proprio per poter dare in modo specifico il contributo della psicologia nell'esecuzione della pena ed abbiamo anche elaborato le linee guida Elementi etici e deontologici per lo psicologo penitenziario. Considerazioni e contributi per l'operatività professionale nella consapevolezza della complessità e delicatezza del campo penitenziario. L'esperienza maturata in 35 anni ha oramai permesso di verificare nel tempo ipotesi, definire contenuti e strumenti che caratterizzano la psicologia penitenziaria, dandole confini ed identità propri. Essa riguarda la psiche dell'individuo, ma anche le sue relazioni nei gruppi, nelle istituzioni e l'istituzione stessa. La psicologia penitenziaria costituisce un patrimonio di conoscenze e uno strumento a disposizione di utenti ed operatori: diagnosi e trattamento psicologico finalizzati alla tutela della salute psichica e al trattamento penitenziario per i detenuti; formazione e contenimento del rischio di burn-out per gli operatori. In vista della convocazione degli "Stati generali sulle pene e sul carcere" ci permettiamo di chiedere di poter partecipare per offrire il nostro punto di vista e la nostra esperienza umana e professionale. Cogliamo, inoltre, l'occasione per sostenere la proposta della redazione di "Ristretti Orizzonti" di organizzare gli Stati generali presso la Casa di Reclusione di Padova per permettere il confronto con le persone detenute. Giustizia: il Diritto e il Sospetto di Piero Sansonetti Il Garantista, 6 febbraio 2015 Molti hanno paragonato il discorso tenuto l'altro giorno dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ai discorsi di Aldo Moro. Moro è ricordato come uomo dai discorsi complicati, fumosi, smussati. Non è sempre stato così. Moro tenne un clamoroso discorso, a Camere riunite, nella notte tra il 10 e l'11 marzo del 1977, a difesa del suo amico e collega onorevole Luigi Gui, accusato di essere corrotto, ma soprattutto a difesa della Democrazia cristiana e a difesa della politica e del diritto. Concluse quasi gridando - con la sua vocina flebile e gentile - "non ci faremo processare nelle piazze…". Avevo un pessimo ricordo di quell'intervento parlamentare di Moro. Ero convinto che fosse stato una sintesi dell'arroganza del potere e della boria della Dc. Lo ho riletto proprio ieri, dopo aver ascoltato - deluso - il discorso di Mattarella. Ho cambiato del tutto idea: quel discorso di Moro fu un atto politico gigantesco, di difesa della politica e dello Stato di diritto dall'assalto del populismo e della "religione del sospetto". Moro era isolatissimo quella notte: solo, solo, solo con il suo partito e un pezzettino di fuoriusciti dal Msi. Forse pagò con la vita la sua denuncia e il suo coraggio anticonformista. Il discorso a difesa di Gui gli valse l'etichetta di "primo esponente del regime dc", e probabilmente anche per questa ragione, appena un anno dopo quella fatidica nottata in Parlamento, fu rapito dalle brigate rosse e, 55 giorni dopo, ucciso. L'occasione del discorso di Moro fu lo scandalo-Lockheed. E cioè l'acquisto - tra il 1970 e il 1975 - da parte di vari governi, tra i quali quello italiano, di aerei da guerra ("Ercules") dalla azienda americana Lockheed. Si scoprì che gli americani avevano pagato delle tangenti e si sospettò di un paio di presidenti del Consiglio (Mariano Rumor e Giovanni Leone) e di due ministri della difesa (il socialdemocratico Mario Tanassi e il dc Luigi Gui). La commissione Inquirente (allora le cose funzionavano così) ritenne ragionevoli le accuse contro Gui e Tanassi e non quello verso Rumor (Leone era presidente della Repubblica, dunque non indagabile) e chiese al Parlamento di rinviarli a giudizio davanti alla Corte Costituzionale. Il Parlamento si riunì e tenne una discussione in qualità - diciamo così per semplificare - di pubblico ministero. Poche ore dopo l'appassionata difesa di Moro decise il rinvio a giudizio di Gui e Tanassi. Il processo in Corte Costituzionale si tenne nel 1979: Aldo Moro era già morto. Gui fu assolto, Tanassi condannato a due anni e 4 mesi di prigione. Intanto, nel 1978, Leone, inseguito dai sospetti e da una campagna dell'"Espresso" alla quale si accodò il Pci, fu costretto a dimettersi da Presidente della Repubblica. "L'urlo" di Moro contro il processo in piazza era in qualche modo riferito a una famosissima "requisitoria" (questa però metaforica) contro il potere e la Dc, tenuta dal più aggressivo e indipendente degli intellettuali italiani, Pier Paolo Pasolini, con un articolo pubblicato sul "Corriere della Sera" il 4 novembre 1974 (esattamente un anno prima della morte di Paoslini) e intitolato "Io So". Nel quale Pasolini sosteneva di conoscere gli autori della stragi di quegli anni e di tutte le malefatte della politica e di sapere che la Dc c'entrava con le stragi e con le malefatte, ma di non avere le prove. Il discorso di Pasolini può essere considerato il punto di partenza del moderno giustizialismo della sinistra italiana. Il discorso di Moro può essere considerato un pilastro del garantismo (e la sconfitta di Moro, il suo rapimento, la sua morte, l'abbandono che subì da parte di tutta la politica italiana, la viltà con la quale fu trattato dal potere, tutto ciò, probabilmente è anche la spiegazione della sconfitta devastante subita, in questi 40 anni, da ogni idea garantista). E tuttavia, se leggete bene Pasolini, vedrete che tra quell'inizio di "processo alla politica" e il populismo di oggi c'è un abisso. Pasolini ama la politica, e non fa niente per sostituire la "lotta" con "l'Odio". È lontanissimo dal forcaiolismo e dall'antipolitica come lia conosciamo oggi, non solo nel grillismo o nel travaglismo, ma anche, abbondantemente, dentro i grandi partiti. E però non c'è dubbio che tra l'idea pasoliniana di "trasparenza" come antidoto al potere e l'idea morotea del "potere" come elemento essenziale per il progresso, esista un abisso. Abbiamo voluto pubblicare questi due discorsi perché ci pare che quella contrapposizione tra "Giganti" - tra un laico e un cattolico, un uomo di sinistra e un centrista, un leader del palazzo e un intellettuale puro - ci sia moltissimo da imparare. No, Mattarella non è Moro. Del resto, ancor di più, Grillo non è certo nemmeno l'ombra di Pasolini. Giustizia: forse siamo pronti a chiudere gli ex manicomi criminali di Lidia Baratta www.linkiesta.it, 6 febbraio 2015 La data ultima è il 31 marzo. Il rischio è che le strutture sostitutive siano riproduzioni degli Opg. La data ultima è il 31 marzo 2015. Dall'1 aprile gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, Opg, non dovrebbero più esistere. O almeno questo è quello che prevede la legge 81 del 2014, dopo che per ben due volte la chiusura delle strutture è stata spostata in avanti. È successo il 31 marzo 2013, e la stessa cosa è avvenuta l'anno dopo. Le immagini di abbandono e disperazione filmate nei vecchi manicomi criminali dalla commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Ignazio Marino avevano portato l'argomento alla ribalta. Ma nonostante il decreto "svuota carceri" avesse già stanziato oltre 270 milioni spalmati tra il 2012 e il 2013, per ben due volte le regioni si sono fatte trovare impreparate ad accogliere nelle strutture sanitarie del territorio i pazienti autori di reato internati negli Opg. Il 5 febbraio, il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo in un incontro con i comitati per la chiusura degli Opg ha confermato che non ci saranno altre proroghe e che saranno possibili commissariamenti per le regioni inadempienti. La realtà, al momento, è che quasi nessuna regione ha ultimato la realizzazione delle strutture sostitutive, ma la maggior parte ha presentato percorsi di cura individuali nelle strutture sanitarie del territorio per i pazienti ritenuti "dimissibili", che sono più di 400 su 780. Per gli altri, l'ipotesi più plausibile è che saranno messe a disposizione strutture provvisorie in attesa di realizzare le cosiddette Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza. E qui il rischio è la riproduzione, seppur in piccolo, del funzionamento degli Opg. Tanto che dal Senato stanno pensando a una nuova commissione di inchiesta che monitori le nuove strutture. "Sembra ripetersi quello che è accaduto con la legge Basaglia", dice Cesare Bondioli, psichiatra membro dell'associazione Psichiatria democratica, fondata da Franco Basaglia. "La legge era del 1978, ma la parola fine per i manicomi è stata messa nel 1999, con la chiusura di Siena, dopo che la finanziaria ha detto che le regioni inadempienti sarebbero state commissariate e penalizzate nei trasferimenti statali". In ogni caso, per evitare la sorpresa di un'altra proroga, il comitato Stop Opg propone alle altre associazioni attente al tema un digiuno a staffetta per tutto il mese di marzo. Oltre che un monitoraggio dei nuovi istituti a partire da aprile 2015. "Il rischio è che dopo il 31 marzo si spengano di nuovo i fari su queste realtà", dice Stefano Cecconi, portavoce del Comitato Stop Opg, "e che si ripropongano le logiche da manicomio criminale". Regioni in ritardo e soluzioni "provvisorie" Il problema è che nell'ultimo anno il trend degli ingressi non è stato invertito: su 67 dimissioni ci sono stati 84 nuovi detenuti che hanno varcato i cancelli dei sei Opg sparsi in tutta Italia, nonostante la legge chiedesse di dare priorità alle misure alternative. Nell'Opg Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dove la Commissione Marino trovò 329 malati e un solo medico, neppure psichiatra, è stata addirittura aperta una nuova ala femminile da 12 posti, facendo pure trasferire alcune pazienti dall'Opg di Mantova (l'unico fino ad allora ad avere una sezione dedicata alle donne). A meno di due mesi dalla chiusura prevista dalla legge, quasi nessuna regione ha ultimato la realizzazione degli edifici sostitutivi previsti dalla legge. E alcune, come la Toscana, non hanno neanche stabilito dove sorgeranno queste strutture. La Conferenza Stato Regioni a gennaio 2014 aveva approvato un emendamento che prevedeva un'ulteriore proroga della chiusura fino ad aprile 2017. Poi a novembre, nonostante fosse scritto nero su bianco nella relazione di ministri della Salute e della Giustizia al Parlamento che nessuna regione sarebbe riuscita a realizzare le Rems nei termini previsti dalla legge, le Regioni hanno fatto sapere che invece i termini verranno rispettati, seppure con soluzioni transitorie. Così, mentre si avvicina lo scadere del tempo massimo, si sta cercando di mettere una pezza ai ritardi per sistemare i pazienti "non dimissibili". Secondo i comitati, l'errore è subordinare la chiusura degli Opg alla realizzazione delle Rems, che non sarebbero poi così indispensabili. O almeno non nella misura prevista dalla legge inizialmente, secondo cui i posti letto disponibili dovrebbero essere in tutto 900. Un numero stabilito sulla base degli internati presenti negli Opg al momento della stesura della legge Marino del 2013. Il cui fine però non "deve essere un travaso delle persone da una struttura a un'altra", dice Stefano Cecconi, "ma l'individuazione di percorsi di cura e riabilitazione individuali, potenziando i servizi socio-sanitari territoriali". Tanto più che secondo la relazione presentata al Parlamento dai ministri Beatrice Lorenzin e Andrea Orlando, più del 50% dei pazienti presenti negli Opg è stato giudicato "dimissibile" e quindi non più socialmente pericoloso. "Questo riduce il fabbisogno previsto per le Rems", dice Cecconi. "Tra i pazienti non dimissibili, poi, la maggior parte lo è per ragioni cliniche e solo una piccola percentuale conserva la condizione di pericolosità sociale che prevede la presenza di strutture adeguate". Insomma, "la condizione è affrontabile anche se, come viene fuori dalla relazione, le strutture non saranno costruite nei tempi previsti dalla legge. Un'altra proroga sarebbe delittuosa". Intanto le regioni si stanno attivando. C'è chi chiede aiuto alla struttura di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, l'unica dove le cure sanitarie prevalgono già da tempo sulla reclusione così come chiede la legge (e che per questo verrà in parte "salvata" e riqualificata per una capienza di 120 posti). E c'è anche chi sta unendo le forze per individuare strutture comuni tra più regioni, di fatto contravvenendo allo spirito della legge che prevede che i pazienti debbano essere curati nei territori di appartenenza, superando quindi la formula di una struttura per più regioni come accade oggi. La legge 81 del 2014, frutto delle proroghe e delle modifiche delle leggi precedenti, prevede che per l'infermo o seminfermo di mente il giudice disponga la misura di sicurezza in una struttura di custodia "quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale". Tradotto: un malato deve essere inviato in una Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza solo in casi estremi. Le Rems sono istituti da 20 posti al massimo a gestione prevalentemente sanitaria e con una vigilanza perimetrale "ove necessario", cioè per i casi ritenuti più pericolosi. In alternativa ci sono comunità, centri di salute mentale o in alcuni casi anche il ritorno in appartamento, con le famiglie o no, come è già accaduto per alcuni pazienti toscani. Il problema è che nonostante le regioni abbiano rivisto al ribasso la cifra iniziale dei 900 posti letto, i progetti non sono comunque realizzabili nei tempi previsti dalla legge. Nonostante avessero già i finanziamenti pronti e nonostante per la gestione delle Rems sia previsto addirittura uno sblocco del turnover. Che significa: la possibilità di assumere persone. Dalla relazione presentata al Parlamento, viene fuori che a novembre 2014, cioè a quattro mesi dalla data ultima di superamento degli Opg, Friuli, Valle D'Aosta, Campania, Calabria, Sardegna e le province autonome di Trento e Bolzano non avevano ancora trasmesso un programma di utilizzo dei finanziamenti. Mentre Piemonte, Lombardia, Umbria, Marche, Molise, Puglia e Sicilia avevano trasmesso un programma non conforme alle indicazioni ministeriali. La Toscana, ad esempio, che pure è all'avanguardia su altri temi sanitari (vedi la fecondazione eterologa), ha presentato un progetto che sfora di almeno due anni i termini previsti dalla legge 81, e ancora non ha individuato le strutture sostitutive dell'Opg di Montelupo Fiorentino, dove a fine anno erano internate ancora 80 persone. All'inizio si era pensato a un edificio di San Miniato, ma il sindaco ha detto di no. Gli altri progetti prevedevano di riutilizzare le carceri di Empoli o di Massa Marittima, ma ancora non è stata presa una decisione definitiva. In base ai dati indicati dalla relazione di Lorenzin e Orlando, i pazienti toscani, di cui quindi la regione dovrà prendersi cura, sono in tutto 33, di cui 15 dimissibili. I numeri, quindi, non sono alti. Nella relazione al parlamento, si parla di un accordo interregionale stipulato tra Toscana e Umbria, ma i tempi di realizzazione sono stimati da 9 e 30 mesi. Nel frattempo da Firenze avrebbero chiesto di trasferire i pazienti toscani di Montelupo nell'Opg di Castiglione delle Stiviere, pagando una retta. Quello che si sa, finora, è che la villa medicea di Montelupo che ospita i pazienti potrebbe essere trasformata in un albergo di lusso e che, come ha dichiarato il direttore del Dap Toscana, arrivare alla chiusura dell'Opg entro il 31 marzo sarà "molto difficile". In Sicilia, dove dovranno farsi carico di un centinaio di pazienti, all'inizio si era pensato addirittura di riutilizzare la vecchia struttura del 1925 di Barcellona Pozzo Di Gotto, salvo poi ripensarci e individuare quattro nuove sedi tra Messina, Caltanissetta e Caltagirone, in provincia di Catania, dove già esiste un polo psichiatrico. In Calabria, per sistemare i 31 pazienti (di cui 5 non dimissibili) presenti per lo più nella vicina Sicilia hanno pensato di riutilizzare le strutture già esistenti. Compreso l'ex manicomio di Girifalco, in provincia di Catanzaro, quello a cui Simone Cristicchi si ispirò anche per una sua canzone. Ma anche qui per l'apertura bisognerà aspettare ben oltre la data del 31 marzo. Nebbia fitta anche per Lazio e Campania, tra le regioni a dover rispondere del maggior numero di pazienti internati (104 per il Lazio, 115 per la Campania), e pure per l'accordo interregionale Abruzzo-Molise, che prevede la realizzazione di 20 posti letto in non meno di "2 anni e 9 mesi". Con il ridimensionamento delle Rems, "le regioni hanno accelerato il lavoro dando priorità all'individuazione dei percorsi di cura degli oltre 400 pazienti dimissibili", racconta Stefano Cecconi di Stop Opg. Ma per il superamento degli Opg e le dimissioni dei pazienti serve un coordinamento tra Regioni, Comuni, Asl, ministero della Sanità e della Giustizia. Niente di difficile, in teoria. Non in Italia. I magistrati dovrebbero ridurre al minimo gli invii in Opg, preferendo le misure alternative e i percorsi di cura. Ma i servizi a disposizione del magistrato non sono sufficienti. È un cane che si morde la coda, e così anche molti dei pazienti dimissibili oggi sono ancora in Opg e il rischio è che molti verranno solo "travasati" dalle vecchie alle nuove strutture. "Non è con le scorciatoie e la ripetizione delle logiche manicomiali che si chiudono gli Opg giusto per dire di rispettare i termini di chiusura", dice Cesare Bondioli. "Ogni ipotesi di proroga va rifiutata, e un ridimensionamento dei progetti delle Rems di certo contribuisce a rispettare le scadenze. Servono programmi individualizzati di presa in carico territoriale degli attuali internati dichiarati dimissibili. I programmi di dimissione e i relativi progetti terapeutici individuali, anziché essere trasmessi al ministero e poi messi in un cassetto in attesa degli eventi, dovrebbero trovare concreta attuazione nel territorio dei dipartimenti di salute mentale di competenza usufruendo delle risorse già disponibili visto che, almeno gli oltre 400 pazienti dichiarati dimissibili a giugno 2014, una volta revocata la misura di sicurezza non differiscono in nulla dai "normali" utenti dei servizi di salute mentale. Così si riduce anche il numero di posti letto nelle Rems, facilitandone anche la realizzazione". Gli Opg e l'ergastolo bianco In Italia a oggi esistono sei Opg, ciascuno a copertura di più regioni. Dalla denuncia della Commissione parlamentare d'inchiesta a oggi, il numero degli internati è in costante diminuzione. Da giugno a ottobre 2014 i detenuti sono calati da 826 a 780, meno della metà rispetto ai 1.600 del 2010. Queste strutture, ex manicomi criminali a cui è stato affidato poi l'acronimo Opg, sono una sorta di somma tra il carcere e il manicomio. Chi commette un crimine ed è incapace di intendere e di volere perché affetto da gravi disturbi mentali non può essere condannato a una pena da scontare in carcere. Se la persona è dichiarata anche socialmente pericolosa viene sottoposta a una misura di sicurezza. E nei casi più gravi, si aprono le porte di un Opg. La differenza principale tra pena e misura di sicurezza, però, è nella durata: la pena ha una durata certa, che di solito di accorcia; la misura di sicurezza si può prorogare anche all'infinito ed è per questo che si parla di "ergastolo bianco". Come le storie riportate negli atti della commissione d'inchiesta Marino. Nel 1992 un uomo, fingendo di avere una pistola in tasca, fa una rapina e viene arrestato. Dichiarato incapace di intendere e di volere, ha trascorso più di vent'anni nell'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre i suoi complici, senza alcuna infermità mentale, non hanno fatto neanche un giorno dietro le sbarre. Non solo. "L'80% delle persone uscite dagli Opg", spiega Cesare Bondioli, "è tornato in altri istituti psichiatrici o comunità, di fatto rientrando in una logica manicomiale. I dipartimenti di salute mentale hanno difficoltà a prendere in carico i pazienti in maniera singola, così preferiscono affidarli a modalità collettive di gestione. Succede anche con i pazienti psichiatrici che non hanno avuto problemi con la giustizia. Dopo la legge 180 sono cresciuti i posti nelle residenze di tipo psichiatrico e oggi sono oltre 20mila". La stessa logica si ripeterà se il modello seguito nella riforma degli Opg sarà solo quello delle Rems. "I detenuti degli Opg dichiarati dimissibili non hanno necessità di andare nelle Rems", continua Bondioli. "Perché un detenuto che non è più ritenuto socialmente pericoloso esce dal carcere e queste persone invece devono restare in strutture controllate?". I problemi della legge La proroga, comunque, nonostante le difficoltà questa volta non ci sarà, assicurano tutti. "Ma le regioni che allo scadere del tempo non saranno pronte dovranno essere commissariate", dice Stefano Cecconi. Resta aperto un solo punto, sollevato anche dalla Associazione nazionale magistrati (Anm): la legge 81 dispone che sia le misure di sicurezza detentive (provvisorie o definitive) che i ricoveri nelle Rems non possono protrarsi per una durata superiore al tempo stabilito per la pena prevista per il reato commesso, fatta eccezione per i reati per i quali è previsto l'ergastolo. I giudici saranno così tenuti a revocare le misure di sicurezza per internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo, senza però che vi sia nessuno che se ne faccia carico. Il risultato è che soggetti ad alta pericolosità sociale potrebbero finire fuori dalle strutture vigilate senza che siano state predisposte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie. Con gravi conseguenze sia per la salute del paziente, sia per la sicurezza. "La libertà vigilata "mantiene" in qualche modo una attenzione alla persona: può funzionare come momento di presa in carico ma la espone al rischio di violare prescrizioni e quindi di tornare in Opg, mentre la liberazione incondizionata evita questo rischio ma può accompagnarsi all'abbandono della persona", dicono da Stop Opg. "Su questo problema è necessario aprire un confronto. Bisogna individuare una via di mezzo tra l'ergastolo bianco e la libertà incondizionata". E anche dall'Anm dicono: sì alla chiusura degli Opg, ma "avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia". Giustizia: il reato di tortura sarà legge, ma punirlo sarà difficile di Damiano Aliprandi Il Garantista, 6 febbraio 2015 La tortura diventerà presto un reato da perseguire. La commissione Giustizia alla Camera ha dato via libera al progetto di legge che introduce il reato di tortura nell'ordinamento italiano. Mercoledì scorso si sono infatti concluse le votazioni sugli emendamenti e il testo sarà formalmente licenziato per l'aula dopo i pareri delle altre commissioni. "L'impianto - spiegano Donatella Ferranti e Franco Fazio, rispettivamente presidente della commissione e relatore del provvedimento - è rimasto nella sostanza quello votato dal Senato, ma abbiamo meglio puntualizzato la norma recependo quasi letteralmente le indicazioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Non resta ora che calendarizzare celermente in aula il testo - aggiungono i due esponenti del Pd - in modo che quanto prima si possa colmare un pesantissimo ritardo adempiendo agli obblighi internazionali". La legge iniziale votata al Senato aveva infatti ricevuto ampie critiche perché, in sostanza, non faceva differenze tra persone comuni e funzionari dello Stato. Il progetto di legge votato dalla commissione ha quindi ottenuto delle piccole modifiche. Il reato di tortura, in pratica, resta reato comune (punito con la reclusione da 4 a 10 anni), ma aggravato con pene da 5 a 12 anni se commesso dal pubblico ufficiale: "Abbiamo seguito le raccomandazioni del Comitato Onu contro la tortura e quanto emerso nel corso delle audizioni, da un lato - sottolineano Ferranti e Vazio - marcando in maniera specifica gli elementi determinanti per il reato commesso dal pubblico ufficiale e dall'altro individuando gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta al fine di evitare sovrapposizioni improprie con altre fattispecie, quali per esempio le lesioni personali gravissime o i maltrattamenti, che sono già punite dal codice penale". In sintesi, potrà essere incriminato del reato di tortura chi, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, cagiona intenzionalmente a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza o ancora in ragione dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose, E se a torturare sarà un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o in violazione dei suoi doveri, scatta la pena aggravata fino a 12 anni. Restano comunque le critiche perché, di fatto, la tortura sarà reato comune e non specifico del pubblico ufficiale. Quindi si discosta dagli standard internazionali. Introdurre questa figura di reato nei codici serve principalmente a fini di prevenzione. Approvandola, il parlamento manda un chiaro messaggio alle forze dell'ordine: dice che abusare dei detenuti, violare l'integrità di cittadini sottoposti a limitazioni legittime della libertà, è un'infamia insopportabile. Dovrebbe essere un messaggio forte e chiaro, visto che l'Italia in materia di abusi sui detenuti ha un curriculum preoccupante. La legge sull'introduzione del reato dì tortura è fortemente ostacolata dai vertici delle forze dell'ordine, con il sostegno dei sindacati di polizia. Hanno sempre interpretato questo progetto di riforma come un'onta, come un attacco all'affidabilità e alla credibilità delle forze dell'ordine. Finora sono riusciti a bloccare tutti i tentativi di approvare una legge. Ma l'inadempienza degli obblighi internazionali, dal punto di vista del parlamento, doveva essere superata, perciò la commissione Giustizia ha dato il via ad un progetto di legge che è frutto di un compromesso. Da una parte il reato di tortura è comune, dall'altra però fa distinzione tra cittadini comuni e uomini dello Stato con la pena aggravata. Ma è una legge che difficilmente renderà giustizia, c'è una postilla nella legge che è rimasta invariata: affinché sia definito reato, la tortura diventa tale se e ripetuta più volte. Giustizia: la maggioranza trova un'intesa sulla corruzione, stretta sul falso in bilancio di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 6 febbraio 2015 Il governo ci ripensa sul falso in bilancio. E con la maggioranza cerca di rendere più efficaci le misure anticorruzione, sull'onda delle critiche emerse durante le inaugurazioni dell'anno giudiziario e, soprattutto, del richiamo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In una riunione in via Arenula, ieri si è fatto ordine nel mare magnum di emendamenti al ddl Grasso sull'anticorruzione (presentato un anno e mezzo fa al Senato) trovando una mediazione tra le diverse anime della maggioranza. La novità principale riguarda il falso in bilancio che, contrariamente alla proposta del governo, sarà sempre perseguibile d'ufficio (anche nel caso di società non quotate) e non dovrebbe avere più zone di non punibilità, sul presupposto che, anche se lieve, si tratta pur sempre di falsificazione e non di mera omissione. Il condizionale, però, è d'obbligo perché la soluzione tecnica che dovrebbe far scomparire la non punibilità sarà messa nero su bianco nei prossimi giorni dai tecnici della Giustizia e presentata come emendamento entro martedì, in commissione Giustizia. Una strada possibile - se ne è parlato ieri - è prevedere, per i fatti più lievi, una figura attenuata del reato sempre procedibile d'ufficio ma punito con il carcere fino a 4 anni, invece che 6. Una mediazione tra chi vorrebbe eliminare tout court la non punibilità e chi, forte della proposta governativa, difende una sia pur minima soglia di non punibilità. Si vedrà, anche perché per ora nelle dichiarazioni ufficiali - a cominciare da quelle del ministro della Giustizia Andrea Orlando - ci si limita a parlare di "restrizione" dell'area di non punibilità, mantenendo fermo il principio, ha aggiunto il guardasigilli, "di tener conto della dimensione delle imprese e della rilevanza del fatto". I partiti Il vertice di maggioranza (presenti i capigruppo Pd, Sc, Ncd delle commissioni Giustizia, la presidente Donatella Ferranti, il responsabile giustizia del Pd David Ermini e il sottosegretario Ncd Enrico Costa) è stato convocato da Orlando per evitare il rischio di maggioranze variabili al momento del voto, previsto mercoledì scorso e slittato alla prossima settimana su richiesta di Ncd. Tutti hanno però definito "tranquillo" il clima e "positivo" l'accordo raggiunto. "Soddisfatto" Orlando, che parla di "risultato non scontato e molto faticoso". "Una buona prova per il governo pur partendo da basi diverse", secondo Costa. In attesa della nuova versione del falso in bilancio, si è convenuto su alcune modifiche alle norme sulla corruzione. No a riunificare concussione e induzione indebita (quest'ultima figlia dello spacchettamento voluto dalla legge Severino), sì a reintrodurre l'incaricato di pubblico servizio tra gli autori della concussione. L'offerta La proposta governativa si limitava ad aumentare il minimo e il massimo della pena della "corruzione propria", l'accordo prevede invece aumenti anche per altri reati: carcere da 4 a 10 anni, invece che da 3 a 8, per l'induzione indebita e fino a 6 (invece che 5) per la corruzione per l'esercizio della funzione. Nessun aumento per abuso d'ufficio e traffico di influenze illecite, mentre la pena accessoria per il pubblico impiegato scatterà con condanne superiori a 2 anni, e non più a 3. Il divieto di contrattare con la Pa passa da 3 a 5 anni. Sì alle attenuanti nei casi di collaborazione, per tutti i reati di corruzione e anche per l'induzione: la pena diminuirà da un terzo alla metà. No all'introduzione degli "agenti provocatori". Quanto alla prescrizione, sarà la Camera a occuparsene, di pari passo con il ddl governativo sul processo penale. C'è già un testo base in commissione Giustizia e il 12 scade il termine per gli emendamenti. In una nuova riunione di maggioranza, la prossima settimana, verranno affrontati i punti più caldi: se la riforma varrà anche per i processi in corso (il governo lo esclude, la commissione non dice nulla); decorrenza dei termini per i reati che vengono alla luce dopo molti anni (corruzione, disastro ambientale); sospensione o interruzione della prescrizione dopo la condanna di primo grado. "Credo che gli aumenti di pena previsti per i reati di corruzione consentiranno di lavorare più serenamente sulla prescrizione" osserva Ferranti, secondo cui l'accordo di ieri è "di buon profilo". "Tutti potranno verificare che le norme concordate vanno nell'ottica di quello che ci ha chiesto il Presidente Mattarella" dice Ermini. Orlando è certo che ormai "la corsia preferenziale è nei fatti" e confida in una "valutazione serena" di Sel e M5S nonché di Fi che "non è necessariamente tagliata fuori dal confronto". Giustizia: falso in bilancio sempre perseguibile d'ufficio con estensione area di punibilità di Simona D'Alessio Italia Oggi, 6 febbraio 2015 Giro di vite per i casi di corruzione che vedano protagonisti incaricati di pubblico esercizio: scatterà, infatti, il medesimo regime di sanzioni penali che riguarda i pubblici ufficiali. Subisce una netta accelerata il percorso parlamentare delle misure anti-corruzione, attualmente all'esame dei senatori: al termine di un vertice con i rappresentanti dei partiti di maggioranza, convocato dal ministro della giustizia Andrea Orlando, insieme al suo vice Enrico Costa, in via Arenula, emerge l'intesa che consentirà al disegno di legge governativo C 2798, che era stato presentato il 23 dicembre 2014 ("Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena") di essere votato in II commissione a Palazzo Madama già "la prossima settimana". E il Guardasigilli assicura che si andrà velocemente verso il passaggio successivo: "Per ragioni che non devo spiegare", dice ai cronisti, il presidente dell'Assemblea, Pietro Grasso (già procuratore nazionale antimafia, ndr) "avrà tutta la solerzia del caso per portare al più presto il provvedimento in Aula". Ma in cosa consiste la "stretta" decisa ieri dall'esecutivo? Qualche dettaglio sulle scelte per arginare gli episodi di malaffare, nel nostro Paese, era già trapelato, nei giorni scorsi: a partire, ad esempio, dall'idea di concedere uno "sconto" di pena a chi decide di raccontare quel che sa delle inchieste. Una possibilità, quella di servirsi dei collaboratori (in cambio di una condanna ridotta) aveva riferito Orlando, che si rivelerebbe efficace, giacché una simile norma sarebbe "in grado di rompere la logica di omertà che, spesso, caratterizza le organizzazioni corruttive". L'accordo, poi, come già evidenziato, stabilisce l'ampliamento del regime sanzionatorio previsto per il pubblico ufficiale all'incaricato di pubblico servizio; intenzione governativa è, inoltre, fissare un'armonizzazione delle sanzioni per i casi di corruzione propria, induzione e messa a libro paga, elementi che, incalza il ministro, sortiranno "riflessi anche sulle pene accessorie". Cuore delle modifiche preannunciate è il restyling del perimetro del reato di falso in bilancio, visto che, innanzitutto si punta ad estenderne l'area di punibilità, fermo restando il principio che considera sia la dimensione dell'impresa in cui avviene la frode contabile, sia la rilevanza del fatto stesso. E, soprattutto, le false comunicazioni sociali saranno sempre perseguibili direttamente (d'ufficio); una prima impostazione del testo messo punto definitivamente ieri al dicastero della Giustizia fissava la sola procedibilità a querela per le società non quotate in borsa, successivamente è arrivata la modifica che non permetterà alcuna eccezione. Tracciata la "road map" anticorruzione, in vista dell'imminente esame da parte dei senatori, Orlando annuncia di voler delineare un iter comune fra questo provvedimento ed il testo sulla prescrizione (l'istituto in base al quale, trascorso un determinato periodo, un diritto non può più essere esercitato, previsto sia in ambito civile, sia in quello penale), che si trova al vaglio della II commissione di Montecitorio; l'iniziativa legislativa, che ha come relatori Sofia Amoddio (Pd) e Stefano Dambruoso (Sc), contempla l'aumento di un quarto del termine della prescrizione attuale, nonché la sospensione dei tempi di decorrenza tra il primo grado e l'appello per due anni, nonché il congelamento di un anno dopo il deposito della sentenza di condanna in grado di appello. Gli emendamenti al testo base sulla prescrizione potranno essere depositati fino al prossimo 12 febbraio. Giustizia: la telefonata della Cancellieri a Ligresti per la figlia detenuta non fu reato di Andrea Ossino e Ivan Cimmarusti Il Tempo, 6 febbraio 2015 La procura di Roma ha archiviato il fascicolo. L'accusa era falsa testimonianza al magistrato. La lunga gogna a cui era stata sottoposto l'ex Guardasigilli è terminata con un'archiviazione. È questo l'esito dell'indagine che ha rischiato di far finire sul banco degli imputati Anna Maria Cancellieri. I giudici del tribunale penale romano di piazzale Clodio hanno infatti accolto la richiesta dei sostituti procuratori Simona Marrazza, Erminio Amelio e Stefano Pesci, gli stessi che avevano passato al setaccio il comportamento del Ministro sospettato di aver reso false dichiarazioni a un pubblico ministero. La vicenda riguardava le telefonate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, arrestato dalla procura di Torino insieme alle figlie Giulia e Jonella, nell'ambito dell'inchiesta su Fonsai. Il fascicolo, aperto dalla procura piemontese e approdato successivamente, per competenza, presso la procura capitolina, inizialmente non aveva né indagati né ipotesi di reato. Gli inquirenti lavoravano principalmente su un verbale, quello dell'audizione dell'ex Ministro, avvenuta il 22 agosto presso la sede del ministero di via Arenula. Pur non essendo indagata, la donna aveva dovuto rispondere alle domande del procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi. Il magistrato chiedeva delucidazioni su alcune telefonate. Chiamate finite nell'inchiesta sulla compagnia assicurativa. Contatti avvenuti nei giorni in cui pendeva la richiesta di arresti domiciliari per Giulia Ligresti, figlia di Salvatore. La ragazza infatti non mangiava da giorni e rischiava l'anoressia. Il Ministro aveva subito ammesso di aver parlato con il suo "amico di famiglia" Antonino Ligresti, discutendo in merito alle condizioni di salute della nipote. L'attenzione degli inquirenti si era dunque spostata su una domanda: fu il Ministro a chiamare Ligresti o il contrario?. "Qualsiasi cosa io possa fare conta su di me" avrebbe inoltre affermato al telefono Anna Maria Cancellieri il 17 agosto conversando con Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti. La questione era semplice, bisognava capire se il Ministro fosse intervenuto direttamente con il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria omettendo poi di dire la verità alla procura di Torino. La donna, sentita come persona informata sui fatti, spiegò che si trattava di una telefonata di "solidarietà" da inquadrarsi "sotto l'aspetto umano". Successivamente, il 28 agosto, 11 giorni dopo la telefonata, Giulia Ligresti ottenne gli arresti domiciliari, grazie a un'istanza di patteggiamento. Il caso politico era nato e la Cancellieri si era difesa: "Non c'è stata alcuna interferenza con le decisioni degli organi giudiziari e nel caso di Giulia Ligresti era mio dovere trasferire questa notizia agli organi competenti dell'Amministrazione Penitenziaria per invitarli a porre in essere gli interventi tesi a impedire eventuali gesti autolesivi. Mi sono comportata nello stesso modo quando sono pervenute al mio Ufficio segnalazioni, da chiunque inoltrate, che manifestassero preoccupazioni circa le condizioni sullo stato psicofisico di persone in stato di detenzione". Giustizia: trattativa Stato-mafia; ex Dap Capriotti tace, Ciampi e Conso non deporranno di Giorgio Petta La Sicilia, 6 febbraio 2015 Si è avvalso della facoltà di non rispondere Adalberto Capriotti, l'ex capo del Dap citato l'altro ieri a deporre al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il giorno precedente, davanti alla Corte di Assise di Palermo in trasferta nella capitale, aveva deposto il suo predecessore, Nicolò Amato, sostenendo di essere stato "defenestrato" nel giugno del 1993 per ordine del defunto presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Secondo la Procura di Palermo, l'allontanamento di Amato dal Dap avrebbe segnato, con l'alleggerimento del regime carcerario del 41 bis ai mafiosi detenuti, il primo passo della trattativa avviata da pezzi dello Stato per fermare la stragi di Cosa nostra. Di qui l'importanza della deposizione di Capriotti, nominato all'epoca dall'allora guardasigilli Giovanni Conso. Essendo indagato di procedimento connesso, Capriotti ha deciso di non rendere testimonianza. Nel corso dell'inchiesta sulla trattativa fu iscritto, infatti, nel registro degli indagati per false informazioni al pm, lo stesso reato contestato all'ex ministro della Giustizia, Conso, e all'ex eurodeputato Giuseppe Gargani. Se avesse risposto alle domande dei pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, Capriotti avrebbe dovuto parlare, tra le altre cose, anche della revoca del 41 bis, disposta da Conso nel novembre del 1993, nei confronti di altrettanti detenuti mafiosi. Una decisione, per l'accusa, che confermerebbe l'esistenza dell'accordo Stato-mafia. Il processo è stato rinviato ad oggi. Al tribunale di Roma verrà sentito Arnaldo Forlani, l'ex segretario nazionale della Dc. Erano stati citati anche Conso e l'ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, ma entrambi hanno comunicato di non poter deporre per motivi di salute. "Non avevamo dubbi che Capriotti si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. Insomma, sembriamo alla Waterloo della verità sulle stragi del 1993". Questo il commento di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione fra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. "Il professor Conso e l'ex presidente Ciampi, che sono ormai ammalati e molto anziani - aggiunge - non verranno in aula al processo trattativa a dire ciò che sanno. Sono pronti i certificati dei medici di famiglia. Dovevano parlare prima - conclude - magari al Tribunale di Firenze, ma non lo hanno fatto o lo hanno fatto male". Toscana: Fondo sociale destinato anche alla formazione dei detenuti Redattore Sociale, 6 febbraio 2015 La vicepresidente Saccardi: "Non si può pensare a un vero reinserimento se la persona non viene presa in carico in modo reale". "Stiamo lavorando per impegnare parte del Fondo sociale europeo ai fini dell'inclusione sociale delle categorie più deboli e per la formazione e l'inserimento sociale dei detenuti. La partita dei fondi europei è importantissima e rappresenta una grande opportunità per creare percorsi veri che non si esauriscano in corsi di formazione fini a loro stessi. Non si può pensare a un vero reinserimento se la persona non viene presa in carico in modo reale". È quanto dichiarato dalla vicepresidente della Regione Toscana Stefania Saccardi, intervenuta al convegno "Dal carcere alla comunità". "Ritengo - ha detto Saccardi - che un assessore alle politiche sociali debba porsi una domanda: Cosa succede alle persone quando escono dal circuito del carcere e delle comunità, e che fine fanno gli ex detenuti quando sono di nuovo liberi di circolare nel territorio? Per risolvere il problema occorre pensare a questo quesito fin da quando la persona si trova nel carcere e continuare a porselo fino a quando torna in libertà. Dobbiamo creare dei percorsi della pena che fin dal primo momento siano finalizzati al reinserimento e al recupero del detenuto". "Il problema non è "svuotare le carceri", nel caso in cui la detenzione sia la pena adeguata alla persona questa deve essere applicata - ha aggiunto Saccardi. Il nostro fine è riabilitare il soggetto così come vuole la nostra Costituzione e per far questo dobbiamo scegliere il percorso appropriato. Come fare? La sensibilità toscana su questo tema deve tradursi in azioni concrete. La Regione è disposta a impegnarsi ancora di più, ad esempio investendo sulla formazione di chi ogni giorno opera in questo ambito. Abbiamo a disposizione una rete di associazioni, istituzioni ed enti che opera già in modo efficace, ma dobbiamo sempre più valorizzare questa sinergia". Lazio: Radicali; una strategia d'inclusione dei nomadi, è unica risposta a Mafia Capitale www.radicali.it, 6 febbraio 2015 Lettera del Partito Radicale al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. "Siamo certi che lei comprenderà l'urgenza di avviare i percorsi previsti dalla Strategia nella Regione Lazio, tanto più ora che anche il Comune di Roma si trova a fronteggiare, dopo la presunta "emergenza nomadi", una vera emergenza legalitaria". Così il Partito Radicale sollecita l'apertura del Tavolo Regionale per l'attuazione della Strategia Nazionale d'Inclusione per Rom, Sinti e Camminanti in una lettera di Marco Pannella e Rita Bernardini al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, che è stata già sottoscritta dal sen. Luigi Manconi, da Moni Ovadia, Santino Spinelli, Erri De Luca, Marco Brazzoduro, dai Radicali Marco Perduca, Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Elisabetta Zamparutti, Maria Antonietta Farina Coscioni, Vincenzo Di Nanna, Ariberto Grifoni, Gianni Carbotti, Camillo Maffia, dal Presidente dell'Associazione 21 Luglio, Carlo Stasolla e dal direttore dei Quaderni Radicali, Giuseppe Rippa, che l'ha pubblicata integralmente su Agenzia Radicale". "Gli avvenimenti ormai noti come "Mafia Capitale" stanno sconvolgendo l'Italia: come Radicali siamo stati i primi ad allertare le istituzioni in merito alla connessione fra criminalità organizzata, campi nomadi e modalità emergenziali già nel 2008. La Strategia, oggi, ci sembra la risposta che le istituzioni dovrebbero offrire ai cittadini sconvolti da uno scandalo che sta mettendo in luce come l'emarginazione e l'esclusione sociale subite dai Rom siano il frutto diretto di politiche interessate e poco trasparenti", prosegue il testo. "Mantenendo il garantismo che ci è proprio, non possiamo comunque non rilevare come l'enorme mole di fondi che hanno ruotato intorno al sistema-campi negli ultimi vent'anni avrebbero potuto essere investiti in azioni inclusive. Oggi il Quadro di sostegno finanziario previsto dalla Strategia include la possibilità di accedere ai finanziamenti messi a disposizione dall'Unione Europea". "Eppure apprendiamo con stupore che il Tavolo previsto dalla Strategia per l'attuazione della stessa nella Regione Lazio non è ancora stato aperto. In un momento che vede la politica travolta dall'ennesimo scandalo, il quale a sua volta segue a tensioni e violenze di carattere discriminatorio che appaiono, secondo le ultime rivelazioni, direttamente o indirettamente connessi con lo schema di tipo mafioso che la procura sta rapidamente delineando, riteniamo che le istituzioni dovrebbero dare una risposta trasparente. Per questo sollecitiamo l'apertura del Tavolo regionale sulla Strategia Nazionale d'Inclusione: questo ritardo di quasi due anni non può protrarsi ora che tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro etnia e dalla loro provenienza, hanno un disperato bisogno di risposte concrete", concludono i Radicali. Molise: reinserimento detenuti, Protocollo d'intesa tra Regione e Ministero della Giustizia Agi, 6 febbraio 2015 "Il protocollo firmato oggi con il Presidente della Regione Molise è un percorso ideale intrapreso con le regioni italiane. È il dodicesimo che sigliamo e rappresenta una formula collaudata che si sta estendendo". A parlare è il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, durante la firma del protocollo al ministero, al fine di potenziare l'accesso alle misure alternative alla detenzione per i detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza e l'inclusione lavorativa per i detenuti. "Fondamentale ancora una volta è stata ed è la cooperazione e la collaborazione con il territorio, in questo caso la regione Molise". In conclusione il ringraziamento del ministro Andrea Orlando al Tribunale di "Sorveglianza di Campobasso". Sappe: nel 2014 cinque tentativi di suicidio nelle carceri di Campobasso e Isernia "Nel corso del 2014 a Campobasso 4 detenuti hanno tentato il suicidio, salvati in tempo dai nostri eroici poliziotti, ed uno ha provato ad uccidersi anche a Isernia. Gli atti di autolesionismo, poi, con detenuti che si sono deturpati il proprio corpo sono stati 18 a Larino e 10 a Campobasso. Anche le aggressioni sono state molte, con 20 ferimenti a Larino e 4 a Campobasso, che ha pure contato 5 colluttazioni". A fornire i dati relativi ai penitenziari molisani è il vice segretario regionale del Sappe, Luigi Frangione. "Basta dare un'occhiata a questi numeri - aggiunge - per rendersi conto del fatto che la situazione, in Molise e nelle carceri italiane, resta grave e questo determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli agenti di Polizia penitenziaria". Oggi, venerdì 6 febbraio, una delegazione del Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, composta dal segretario nazionale Emilio Fattorello e dal vice segretario regionale, visiterà i penitenziari di Campobasso e Isernia. "Il senso delle nostre visite - spiega Frangione - è vedere come lavorano i nostri colleghi e portare loro il saluto e il ringraziamento del Sappe per quello che fanno ogni giorno, nel silenzio ma con grande professionalità". Sempre oggi, nel pomeriggio, la delegazione del sindacato incontrerà anche l'assessore regionale ai Trasporti Pierpaolo Nagni per discutere della libera circolazione degli uomini delle Forze dell'ordine sui mezzi pubblici. "Confidiamo che la Regione Molise, sempre attenta e sensibile ai problemi di ordine pubblico - evidenzia il vice segretario regionale, prosegua nella convenzione che consente la libera circolazioni dei poliziotti sui mezzi pubblici. Questo consentirebbe di aumentarne l'attuale presenza sull'intero territorio molisano, considerato che il personale delle forze dell'ordine è tenuto, per proprio compito istituzionale, all'obbligo di intervento nel caso in cui assista alla commissione di reati. Ma ha la sua importanza anche e soprattutto in funzione preventiva: sapere che a bordo dei pullman e dei treni regionali vi sono appartenenti alle Forze di Polizia fa sentire più sicuri i cittadini". Molise: pena fuori dal carcere, le misure alternative soluzione per le celle sovraffollate www.primonumero.it, 6 febbraio 2015 Regione Molise e Ministero della Giustizia hanno firmato un'intesa per le misure alternative alla detenzione in cella con azioni orientate al reinserimento delle persona nel tessuto socio-economico esterno all'istituto di pena. Frattura: "Sono convinto che il carcere non rappresenti l'unica esperienza penale possibile". Al momento sono 14 i detenuti in regione che già scontano la loro pena in regime di affidamento: si tratta per lo più di uomini, italiani, nella fascia d'età 36-50, condannati prevalentemente per rapina, furto e spaccio. Il protocollo mira a prevenire anche il problema del sovraffollamento. È "solo" un protocollo d'intesa quello firmato ieri al ministero della Giustizia dal presidente della Regione Molise per potenziare le misure alternative alla carcerazione. Ma è un passo importante per avviare anche qui da noi un percorso capace di tamponare il problema sovraffollamento e iniziare a discutere seriamente della condizione dei detenuti. L'intesa, nata allo scopo di "attuare azioni urgenti a sostegno dei programmi di reinserimento di persone condannate alla reclusione", porta la firma del guardasigilli Andrea Orlando del governatore Frattura, oltre a quelle di Pompilio Sciulli (Anci Molise), del presidente del Tribunale di sorveglianza di Campobasso, Daniela Della Porta, del capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Santi Consolo e del provveditore regionale reggente M.Claudia Di Paolo. Diciamo subito che una delle ragioni che ha portato alla saturazione nelle carceri è la legge Fini-Giovanardi (dichiarata incostituzionale l'anno scorso dalla Consulta). Le persone con problemi di dipendenza dalle droghe leggere e pesanti formano la categoria dei reclusi più numerosa. In Molise i detenuti con problemi di tossicodipendenza (solitamente spacciano per procurarsi le sostanze e finiscono dietro le sbarre per questo) rappresentano addirittura il 30 per cento. Ecco perché pensare alle misure alternative, prima che anche in Molise il sovraffollamento diventi un'emergenza, significa essere previdenti. "Questa firma - ha detto Frattura, nella ferma condivisione del principio secondo cui il carcere non rappresenta l'unica esperienza penale possibile, ma che è necessario e giusto provare a realizzare misure alternative alla detenzione per favorire processi di reinserimento nel quotidiano reale. È un segno di attenzione vera a una questione, il sovraffollamento delle carceri e non solo, che spesso ha i contorni della drammaticità sociale. Il coinvolgimento di Regione e Anci Molise, in una stretta e proficua collaborazione con il Ministero della giustizia e il Tribunale di sorveglianza di Campobasso, ci consentirà di realizzare quella rete di presenza, assistenza e solidarietà con la quale saremo in grado di assicurare una migliore qualità della vita nelle carceri attraverso la costruzione sul territori o di percorsi di reinserimento socio-economico e lavorativo, destinati in particolare ai soggetti detenuti più fragili". Il protocollo d'intesa, il decimo firmato col governo Renzi, pone particolare attenzione "a quei soggetti che, a causa della loro condizione di tossicodipendenti, necessitano di speciali percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo" come leggiamo sul documento. Compito della Regione Molise sarà quello di adottare misure "per potenziare le capacità recettive delle comunità residenziali anche di tipo terapeutico idonee ad ospitare agli arresti domiciliari od in misura alternativa alla detenzione soggetti in esecuzione penale". Il Ministero da parte sua "si impegna a non trasferire, salvo casi eccezionali, i detenuti individuati per l'inserimento comunitario e a promuovere, anche con il contributo della Cassa delle Ammende, progetti condivisi con la Regione e gli enti territoriali finalizzati alla realizzazione di quanto sopra descritto". Al momento sono 14 i detenuti che scontano la loro pena in regime di affidamento: si tratta per lo più di uomini, italiani, nella fascia d'età 36-50 condannati per rapina, furto e spaccio. Trani: detenuti murati vivi in celle da medioevo, con dentro anche cesso e cucinino di Astolfo Di Amato Il Garantista, 6 febbraio 2015 Celle di 4 metri quadrati. Il Governo? (silenzio). Il Parlamento? (silenzio). Il "Sappe" (sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha, negli anni, maturato molti meriti. Da ultimo, quello di aver denunciato lo stato della sezione blu (la sezione di alta sicurezza) del carcere di Trani. I servizi igienici sono collocati nelle celle, di appena 4,5 metri quadrati, senza alcuna separazione. I detenuti, di conseguenza, non hanno alcuna possibilità di veder rispettata la propria intimità neppure nell'effettuazione dei loro bisogni. Qui non si tratta della ricostruzione di accadimenti, rispetto ai quali possono esservi tesi diverse e prove contrastanti, ma di dati oggettivi, documentati mediante fotografie. Non ci vuole molta fantasia per immaginare quale sia lo stato di degrado che una tale situazione comporta. Privare un uomo, e tale dovrebbe restare anche un detenuto, anche il peggiore detenuto, delle condizioni minime, per un rispetto della sua dignità, significa sprofondare nella vergogna di una società che ha perso il senso del valore della dignità dell'uomo. Né questa perdita di valore può essere nascosta dalle battute sulle carceri a cinque stelle o, all'opposto, sull'affermazione che per alcuni delinquenti la punizione non sarebbe mai sufficiente. Di fronte ad una situazione del genere viene in discussione il valore della vita umana. Di ogni vita umana, anche la più sfortunata o la più indegna. A questa prima considerazione se ne deve aggiungere un'altra. Il degrado generato da quella situazione non può non avvelenare tutto l'ambiente e coloro che vi vivono. Il che significa sottoporre gli agenti della polizia penitenziaria ad un contesto che finisce con l'aggredirli sul piano della loro sensibilità personale e con il rendere praticamente impossibile un adeguato adempimento dei loro doveri istituzionali. Vengono costretti ad un ambiente di lavoro impossibile. Nessun altro lavoratore potrebbe essere costretto a quelle condizioni di lavoro. Né è ragionevole trincerarsi dietro l'affermazione che si sarebbe in presenza di una eccezione. A parte la considerazione che affermazioni del genere in tema di carceri hanno, ormai, perso credibilità essendo smentite ogni giorno, va osservato che anche in questa materia vale il principio della catena. La forza di una catena va misurata sul suo anello più debole. In un sistema, quale è il sistema delle carceri, l'esistenza di una situazione di indiscutibile degrado in un carcere finisce con il segnare la qualità di tutto quel mondo. Con la conseguenza che viene spontaneo sentire vergogna per il nostro sistema delle carceri. Ma il sentimento di vergogna riguarda anche altro. Perché una situazione come quella di Trani non è stata denunciata dallo stesso Governo? Perché Ministro e strutture ministeriali si affannano a vantare significativi miglioramenti, guardandosi bene dal dare conto di situazioni come quella di Trani? In definitiva, perché in questa materia la trasparenza è un traguardo irraggiungibile? Ed allora grazie al Sappe, che ha avuto il coraggio civile della denuncia. Lucca: Fsn-Cisl; il carcere di San Giorgio è fatiscente, disagi per gli agenti e per i detenuti www.luccaindiretta.it, 6 febbraio 2015 Carcere di San Giorgio, continuano i disagi sia per i detenuti sia per gli agenti della polizia penitenziaria. A sottolinearli è il segretario generale territoriale della Fns Stefano Pierini e il segretario territoriale della Fns Cisl Carlo Angioli. "Era il 4 settembre del 2013 - scrivono - quando denunciammo le situazioni di scarsa salubrità e funzionalità degli ambienti di lavoro, oltre a quelli destinati al benessere personale, della casa circondariale San Giorgio. Quella denuncia seguiva ad altra già fatta due anni prima sempre a seguito di una visita agli ambienti interni del carcere. Quanto denunciammo, pur tenendo presente la vetustà degli edifici, era frutto di segnalazioni sindacali dettagliate ed oggetto di precisi progetti d'intervento preposti dalla stessa direzione dell'istituto lucchese. Quasi metà dell'intera struttura rimane - tutt'oggi - chiusa e dichiarata inagibile, senza che sia chiaro quale sia il progetto di recupero e di interventi straordinari, necessari per affrontare e risolvere i problemi. Proponevamo, ad esempio, l'automatizzazione dei cancelli e qualche piccola miglioria all'ambiente e agli arredi della portineria principale". "L'ingresso di un carcere - prosegue il sindacalista - è spesso anche un po' il biglietto da visita dell'istituto e quello di Lucca è un pessimo biglietto. Su questo specifico punto, confidammo in certi interventi urgenti e ci veniva dichiarata disponibilità immediata, peraltro ricevendo conferme di finanziamenti da Roma. Invece ad oggi nulla è stato fatto. I modesti spazi nei quali perano servizi essenziali (l'ufficio matricola, l'ufficio servizi, l'ufficio comando, le postazioni degli addetti ai due diversi lati del cortile interno, snodo operativo cruciale di transito di ogni attività dell'istituto), ma anche l'inadeguatezza dei locali destinati a infermeria, che così come segnalammo nel 2011, avvengono in un locale dove il personale della Asl deve assicurare le attività di assistenza sanitaria ai detenuti. Una stanza dove gli operatori devono condividere lo svolgimento di varia attività, di qualunque si tratti, in un locale con un'unica via di accesso e di uscita che afferisce sul cortile all'aperto. E di fronte a detto locale, separata solo dallo spazio aperto nel cortine, ci sono altre due piccole stanze per visite specialistiche, dove gli eventuali pazienti attendono il loro turno all'aria aperta. La cucina detenuti rimane un ambiente privo di necessari impianti di climatizzazione, che possano produrre caldo in inverno e raffreddare l'aria in estate. Gli arredi e gli strumenti sono modesti". "Nei reparti detentivi - prosegue Angioli - il sovraffollamento determina condizioni pesanti di lavoro e di convivenza. Gli ambienti avrebbero bisogno di interventi di manutenzione, alcuni di natura ordinaria, altri straordinari. Le celle sono utilizzate oltre misura e questo, oltre all'eccessivo numero di persone detenute, vede conseguentemente gli arredi appesantire spazi, luminosità e aerazione, tutte situazioni che si ripercuotono anche sull'esercizio del servizio dei colleghi di polizia penitenziaria. C'è poi un altro reparto dove, nonostante la precedente segnalazione, rimane il problema legato all'inesistente ricircolo d'arai, dove è peraltro assente qualsiasi sistema di aspirazione. Anche in questo caso il personale che opera in tale sezione è costretto a trascorrere l'intero turno in un reparto assolutamente insalubre, dove odori e fumi - di ogni tipo - sono diffusi uniformemente ed ampiamente nel reparto stesso". E poi la sala colloqui detenuti. "Il locale - va avanti Angioli - a distanza di anni ha ancora l'intera superficie dei soffitti puntellata come se fosse passato un "terremoto" con supporti in legno alle colonne centrali che rendono impossibile osservare i movimenti che accadono nella sala in occasione dei colloqui tra detenuti e loro congiunti. Oltretutto non esiste ancora una postazione protetta del collega addetto a tale sala colloqui, il quale è costretto a sedere in un angolo della stessa sala, insieme a detenuti e congiunti, in una modalità operativa che non è neanche rispondente delle norme vigenti dei regolamenti, che precludono generalmente all'ascolto dei contenuti dei colloqui che i reclusi possono condividere con coniugi, figli, genitori, eccetera nei colloqui ordinari. Inidoneo il cortile dei passaggi detenuti che non dispone di nessuna pur parziale zona coperta, dove poter ipotizzare l'uso dello stesso in ogni giornata prescindendo dalle condizioni atmosferiche esterne. Ciò limita la possibilità di vedere in certe giornate, pur se per poco tempo, i detenuti uscire dalle celle e dalle sezioni per alleggerire la situazione operativa interna. Seri problemi restano per le condizioni del camminamento del muro di cinta. Le garitte non sono neanche degne di essere definite tali. Solo una delle garitte, quella dove il muro di cinta termina e quindi da lì possibile solo tornare indietro al punto di partenza, è poco più spaziosa. Era l'unica che disponeva di sistema di climatizzazione che pare ormai fuori uso anch'esso. Sono in corso lavori di ristrutturazione ad una parte della caserma del personale che, per esempio, è promiscua fra personale maschile e femminile, con servizi igienici e docce, comuni anch'esse per uso e gestione. Ci sono stanze stracolme di arredi, dove anche l'eventuale uso a spogliatoio diventa difficoltoso. Così come permangono materiali fuori uso nei corridoi, dormendo un'idea peggiore di quello che non è a chiunque vi accede. Inidonea la Sala Regia, un piccolo locale deve il personale, ancora grazie all'impegno di alcuni colleghi, rende funzionali i pochi strumenti disponibili. La mensa rimane allocata in un piccolo locale, dignitoso pur se angusto, viste le dimensione e la collocazione. I locali invece destinati allo spaccio sono quelli apparentemente più spaziosi e che però sono utilizzati meno, visto che sovente lo spaccio è purtroppo chiuso. In conclusione ribadiamo l'assenza di un sistema di automatizzazione delle porte. In tutto l'istituto ogni passaggio avviene con chiavi e chiavistelli e tutto rigorosamente manuale. Anche su questo sarebbe necessario capire che fine hanno fatto le proposte che negli anni, comunque, erano state avanzate dalla direzione per un progetto di automatizzazione, utile non solo a migliorare la qualità del lavoro ma anche a paventare eventuali nuovi sistemi di organizzazione del lavoro stesso per poter anche razionalizzare l'uso dell'insufficiente numero di personale. Questo ultimo aspetto, relativo alla carenza di personale, necessità di richiamare l'amministrazione ad una attente rivisitazione della pianta organica prevista. Per Lucca sulla carta pare quasi a posto quella del ruolo agenti assistenti, mentre resta gravemente inadeguata quella dei ruoli di sovrintendenti ed ispettori. Su questo è necessario programmare interventi, Tale condizione espone il personale del ruolo esecutivo a dover assolvere a mansioni non solo definibili superiori ma ad assolvere funzioni improprie giuridicamente e non previste". "L'assenza di spazi - conclude il sindacato, abbinata alle carenze di organico di polizia penitenziaria, ed al sovraffollamento detenuti, è la causa principale di uno stress lavoratori eccessivo per il personale e di tensioni fra la popolazione detenuta. È pur vero che non si può pensare di continuare ad attuare interventi tampone, in particolare rispetto alla struttura. Se è vero che non è possibile in questa fase economica prevedere la costruzione di un nuovo carcere per Lucca, si può e si deve pretendere di attuare un serio progetto di ristrutturazione dell'intero istituto, prevedendone se necessario anche una parziale chiusura a rotazione tra reparti e settori. Con un progetto generale si può ipotizzare anche il recupero di importanti porzioni della struttura, oggi interdette all'uso e che porterebbero a recuperare spazi per nuovi posti detentivi. Chiaramente questo progetto andrebbe legato ad una riorganizzazione interna del lavoro ed all'adeguamento di dotazione di personale. Su questi temi la Fns Cisl si è sempre dichiarata pronta a collaborare, consapevole che gli attuali vertici dell'istituto sarebbero probabilmente i più adeguati attori di una importante riorganizzazione e ristrutturazione del carcere lucchese. Anche per tutto ciò che abbiano detto non comprendiamo certe dichiarazioni politiche che dalla vigilia di Natale fino ai giorni scorsi hanno visto alcuni esponenti di diversi partiti affermare tutto e l'esatto contrario sulla stampa locale e nazionale, occupandosi prevalentemente dei detenuti e senza altrettanta attenzione del personale". Milano: carcere di San Vittore, fine dell'emergenza, tanti detenuti quanti posti disponibili di Elena Gaiardoni Il Giornale, 6 febbraio 2015 Dopo anni di sovraffollamento le 880 persone rinchiuse in cella corrispondono al numero di reclusi previsto dalle normative. Per il sistema carcerario la parola "sovraffollamento" è come il termine "crisi" per l'economia. Un concetto passe partout che serve più a chi lo pronuncia per darsi un tono di competente attualità che alle sorti di carceri e economia. Per quanto riguarda i luoghi di pena sempre al centro di eventi e polemiche, ce ne sono alcuni che si danno da fare per rendere a misura d'uomo la giornata di un detenuto. Da dieci anni direttrice di San Vittore, prima donna a sedere in quell'ufficio dalla nascita del carcere, la riminese Gloria Manzelli cerca di fare della casa circondariale una struttura nella quale si preme preferibilmente il tasto sulla parola "casa" che sull'attributo "circondariale", favorendo attività all'interno che infondano alla reclusione uno spiraglio sempre più largo di vita. Si può parlare di sovraffollamento a San Vittore? "Oggi come oggi no. Noi contiamo circa 875 posti e quasi altrettanti sono i detenuti attualmente, visto che sono 880. Le loro necessità di spazio sono in piena linea con quelle previste dai diritti dell'uomo secondo le normative della comunità europea. Teniamo presente che, essendo San Vittore una casa circondariale, le entrate e le uscite si succedono con maggiore rapidità rispetto a un carcere normale". Diversamente da altri istituti di pena, il grande complesso che si apre nel pieno centro di Milano punta sull'ottimizzazione di due fasi della detenzione: l'accoglienza iniziale, che corrisponde alle fasi processuali del detenuto e l'accompagnamento verso il carcere definitivo in cui il soggetto continuerà la pena. "Dopo che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sanzionato il nostro Paese in tema di diritti carcerari, l'Italia ha risolto i disagi accusati dalla pronuncia Cedu e grazie agli interventi normativi e giurisprudenziali ha ridotto le pene detentive per i reati di minor pericolo sociale, fatto che ha diminuito le presenze nelle carceri. L'anno scorso abbiamo avuto mille persone in meno, per cui non posso lanciare l'allarme congestione per San Vittore perché è un problema che non esiste. Oggi noi siamo impegnati soprattutto a sostenere progetti con associazioni per coinvolgere uomini e donne in attività lavorative, molto importanti per il recupero delle persone". Approdata a San Vittore nel 1991 come braccio destro dell'allora direttore Luigi Pagano, Gloria Manzelli prende dopo qualche anno il suo posto con dolcezza e determinazione, sentendo solo un disagio: la nostalgia del mare di Rimini. Ha sempre espresso una visione "aperta" di questi moloch pieni di sbarre e sbarramenti, tanto da essersi sempre dichiarata a sfavore della pena carceraria ai tossicodipendenti, che dopo l'arresto dovrebbero essere dirottati in comunità. "Invece di parlare di congestione delle carceri, dovremmo lanciare un'altra priorità: favoriamo la nascita di progetti che impieghino i carcerati in lavori socialmente utili. Milano è una città che si colloca al centro di un trafficato crocevia europeo. È meta di notevoli flussi immigratori che favoriscono purtroppo la malvivenza, perché non può assorbire in modo corretto tutte le persone che arrivano qui. La devianza ha percentuali anomale, per questo una casa circondariale come San Vittore deve progettare una modalità di vita interna che riesca a favorire nei detenuti quegli aspetti positivi che da uomini liberi non hanno potuto esprimere in un contesto a loro ostile, visto che la maggioranza sono stranieri condannati per reati di non grave entità". A San Vittore c'è un servizio d'ascolto per gli uomini che hanno compiuto violenza sulle donne. Un gruppo di detenute, guidate da Renata Discacciati, stampa un giornale, Oltre gli occhi , in cui si raccontano storie di vita. Si fanno corsi di teatro, per far capire che la vera prova per un carcerato è quella di eliminare, grazie alla crescita della parte migliore del suo carattere, il lato peggiore. Il dolore insegna solo se è giusto. Livorno: il Garante Marco Solimano "no all'Alta Sicurezza nel nuovo padiglione" Ansa, 6 febbraio 2015 Il dipartimento di amministrazione penitenziaria ha ufficializzato nei giorni scorsi l'assegnazione del nuovo padiglione del carcere di Livorno destinandolo ai detenuti di alta sicurezza e ad elevato indice di vigilanza. Ad annunciarlo, stamani, il garante della libertà personale del Comune di Livorno, Marco Solimano nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato tra gli altri anche la vicesindaco Stella Sorgente e la presidente del consiglio comunale Giovanna Cepparello. "Contrariamente a quanto auspicato e richiesto - ha detto Solimano - è arrivata questa decisione che mortifica il lavoro di questi anni svolto anche con il sostegno del consiglio comunale, e che non prende minimamente in considerazione i bisogni del territorio livornese. Il dipartimento di fatto non si è mai attivato ad alcun livello di interlocuzione con la città e le sue istituzioni". "Con questa decisione - ha aggiunto il garante - gli spazi riservati alla media sicurezza saranno estremamente ridotti e non in grado quindi di soddisfare un territorio provinciale come il nostro. Immaginiamo che sempre di più i detenuti di media sicurezza appartenenti al territorio livornese verranno spostati in altre strutture regionali se non addirittura fuori regione, con tutti i problemi che ne conseguono, specialmente per i familiari e gli avvocati che li seguono, con una conseguente lievitazione dei costi". Anche la vicesindaco Stella Sorgente ha espresso solidarietà a Solimano: "Condividiamo l'amarezza del garante - ha detto Sorgente - e solleciteremo il Dap affinché quantomeno vengano ristrutturati quanto prima i due padiglioni ora chiusi per destinarli alla media sicurezza". Giovanna Cepparello ha ribadito che il Consiglio si impegnerà anche per realizzare iniziative all'interno della struttura carceraria, primo fra tutti proprio una seduta del consiglio comunale. Firenze: Uil-Pa Penitenziari; su chiusura Opg Montelupo ci vuole maggiore trasparenza Ansa, 6 febbraio 2015 "La notizia di chiusura definitiva dell'Opg di Montelupo Fiorentino continua a circolare sui giornali, ed anche stamane apprendiamo di un'ennesima riunione avuta ieri tra i vertici dell'amministrazione penitenziaria regionale e dipartimentali ed enti esterni come i beni culturali, dopo quella del consiglio comunale avuta prima delle feste natalizie, dove il provveditore regionale ha dichiarato che: "l'Opg Montelupo Fiorentino il 31 Marzo 2015 chiude e consegneremo le chiavi al Sindaco Paolo Masetti". L'opacità e la partita politica con cui l'amministrazione penitenziaria continua a intrattenere, non piace all'Organizzazione Sindacale Uil-Pa Penitenziari". Lo afferma Eleuterio Grieco, componente della Segreteria Regionale della Uil-Pa Penitenziari Toscana. "Purtroppo tutti sanno che l'Opg di Montelupo Fiorentino chiude, ma nessun atto ufficiale è stato ancora prodotto, da quanto ci è dato sapere, dall'amministrazione penitenziaria, ne tanto meno sono state informate le OO.SS. Regionali e Nazionali. Grieco afferma - l'amministrazione penitenziaria regionale, invece di avere a cuore ‘accordi politici' con dichiarazioni di chiusura, convochi al più presto le rappresentanze del personale per discutere la mobilità e la collocazione del personale di Polizia Penitenziaria e del Comparto Ministeri nel distretto e/o extra distretto e ci dica definitivamente se anche la Casa Circondariale di Empoli verrà ceduta all'Asl 10 come Rems, poiché a noi Organizzazione Sindacale questo interessa ed oggi riteniamo che sia giunto il momento di avere chiarezza definitiva e trasparenza sull'intera partita". Oristano: Sdr; peggiora detenuto di Massama con patologia del midollo spinale Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2015 "Le condizioni di Gigino Milia, 68 anni, di Fluminimaggiore, ristretto nel carcere di Oristano-Massama, sono ulteriormente peggiorate. La patologia del midollo spinale, che sta provocando una costante riduzione del tono muscolare, impedisce all’uomo di reggersi sulle gambe". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", accogliendo la segnalazione dei familiari che frattanto hanno richiesto e ottenuto copia della Cartella Clinica del detenuto. "Non si comprende - sottolinea Caligaris - perché il paziente detenuto, che peraltro aveva subito tempo fa due arresti cardiaci - uno dei quali verificatosi quando era ristretto nella Casa Circondariale di Cagliari-Buoncammino - non possa essere ricoverato in un Reparto neurologico per accertamenti. Ciò consentirebbe di approfondire le cause del grave disturbo riducendo i rischi di una degenerazione con effetti invalidanti". "La certificazione medica nella cartella clinica del resto attesta - ricorda la presidente di Sdr - che fin dal mese di ottobre la neurologa del Poliambulatorio di Oristano aveva consigliato "vista la complessità del caso ed il corteo sintomatologico, il ricovero presso un reparto neurologico per accertamenti". Sembra però che il suggerimento sia stato tuttavia finora ignorato". "Recentemente Milia è stato sottoposto anche a un intervento per un’ernia inguinale. Le sue condizioni però non sono migliorate e non riesce più a camminare senza un aiuto. Non è dunque pensabile che possa permanere nella struttura penitenziaria di Massama senza i necessari accertamenti. E’ evidente che il diritto alla salute prescinde dalla condizione di limitazione della libertà e deve essere garantito specialmente quando - conclude Caligaris - il quadro appare molto complesso". Brescia: a Canton Mombello riapre la mensa degli agenti, fu chiusa dall'Asl a dicembre www.bsnews.it, 6 febbraio 2015 A dicembre 2014 era stata chiusa, perché alcuni operatori dell'Asl avevano rilevato non idonee le condizioni igienico sanitarie. Ora, finalmente, a poco più di un mese di distanza è stata riaperta la cucina della mensa degli agenti di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Canton Mombello. Il 19 dicembre, durante la visita ispettiva di routine alla prigione, il personale Medico e Tecnico dell'Asl aveva deciso di adottare un provvedimento di sospensione dell'attività specificando le prescrizioni in ordine agli interventi igienico sanitari e strutturali necessari per la ripresa dell'attività. Il 3 febbraio 2015, un nuovo sopralluogo ha confermato la messa a punto della cucina, secondo le indicazioni date e quindi è stato revocata la sospensione dell'attività che è ripresa il giorno stesso. Cassino (Fr): nuove celle nella sezione per sex-offeder del carcere di via Sferracavalli Il Messaggero, 6 febbraio 2015 Nuove celle, ma soprattutto nuovi spazi ricreativi per i detenuti. Nel carcere di Cassino cresce la sezione sex offeder, vale a dire quella sezione dedicata a chi si è macchiato di reati a sfondo sessuale. Ieri mattina c'è stato il taglio del nastro nell'area ricreativa ed assistenza, ma sono state aperte anche nuove celle, tre per la precisione per una totale di 15 posti. Attualmente sono 32 i detenuti, presto, con le nuove celle, diventeranno 47. Presente al taglio del nastro il Direttore generale del Dap Gianfranco De Gesu, il Provveditore regionale Maria Claudia Di Paolo, il colonnello Giampiero Romano, il capitano Silvio De Luca, il Comandante della polizia locale di Cassino Alessandro Buttarelli, il Sindaco Petrarcone, la Direttrice della Caritas Di Lauro, don Luigi e il vescovo Gerardo Antonazzo. Perugia: il progetto dell'Ainc "Un notaio per le carceri italiane" parte da Capanne Ansa, 6 febbraio 2015 Parte dal carcere di Capanne di Perugia, e sarà attivato in tutte le regioni d'Italia, il progetto dell'Ainc "Un notaio per le carceri italiane", Associazione italiana notai cattolici con sede all'istituto Serafico di Assisi, dove è stato firmato il protocollo di intesa per la consulenza gratuita alla popolazione detenuta del carcere perugino: l'hanno sottoscritto la direttrice del carcere, Bernardina Di Mario, ed il notaio Roberto Dante Cogliandro, presidente dell'Ainc. In un comunicato, l'Ainc fa presente che anche presso la popolazione carceraria "si registra la necessità di assistenza nel disbrigo di pratiche giuridiche attinenti al lavoro, alle relazioni familiari, alle situazioni patrimoniali e a quelle civili in generale". Da qui la disponibilità dell'associazione "a fornire assistenza gratuita a favore della popolazione detenuta indigente per la cura di pratiche giuridiche e notarili". Il progetto, secondo la convenzione con il carcere di Perugia, prevede una prima fase dedicata all'informazione dei detenuti riguardo al tipo di servizio disponibile, cui seguiranno i colloqui su richiesta dei singoli detenuti sotto la vigilanza del personale in servizio. Pesaro: violenza contro le donne, sui sacchetti del pane i numeri per chiedere aiuto Redattore Sociale, 6 febbraio 2015 Campagna dell'associazione di volontariato "Olinda" di Cagli. "Per troppe donne la violenza è pane quotidiano": questo lo slogan stampato insieme ai recapiti del Centro antiviolenza provinciale "Parla con noi". "Il problema esiste e va affrontato, e ci sono persone pronte ad aiutare le donne in difficoltà". Sono ancora in distribuzione, fino ad esaurimento scorte, i sacchetti per il pane con la scritta "Per troppe donne la violenza è pane quotidiano", legati alla campagna di sensibilizzazione promossa dall'associazione di volontariato "Olinda" di Cagli (Pu). L'iniziativa è stata pensata in collaborazione con il Centro antiviolenza provinciale "Parla con noi", gestito dalla provincia di Pesaro e Urbino, i comuni di Cagli, Cantiano, Acqualagna, Serra Sant'Abbondio, Piobbico, Frontone e Apecchio e 35 esercizi commerciali, con il coinvolgimento dell'Ambito sociale 3 e del distretto sanitario Asur di Cagli. L'iniziativa, svoltasi dal 26 al 31 gennaio dopo un incontro di presentazione al Ridotto del Teatro di Cagli, con letture e testimonianze delle operatrici del Centro antiviolenza, ha contribuito alla riflessione sul problema, riportando nei sacchetti anche i contatti del Centro antiviolenza provinciale "Parla con noi". "Ringraziamo istituzioni ed esercizi commerciali - dichiarano dall'associazione Olinda - che hanno contribuito al successo della campagna. I sacchetti per il pane continueranno a diffondere il messaggio, facendo capire non solo che il problema esiste e va affrontato, ma anche che ci sono persone pronte ad aiutare le donne in difficoltà". Avellino: detenuto ingoia lamette, salvato in extremis con delicato intervento chirurgico www.ottopagine.it, 6 febbraio 2015 Paura nel carcere di Ariano Irpino. Un detenuto ha rischiato di morire, dopo aver ingoiato lamette, è salvo grazie al tempestivo intervento degli agenti di polizia penitenziaria e dei medici del pronto soccorso dell'ospedale Frangipane che lo hanno subito trasferito nel blocco operatorio per essere sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. È ora sotto osservazione, piantonato all'interno della struttura ospedaliera arianese. Protagonista del gesto di protesta un detenuto cinquantenne, già seguito dai servizi sanitari, non nuovo ad episodi del genere. Il direttore della Casa Circondariale Gianfranco Marcello, si è congratulato con il personale intervenuto, per l'intervento tempestivo e provvidenziale, teso a scongiurare il peggio avendo ingoiato le lame senza alcuna protezione. Cinema: "Meno male è lunedì", il lavoro come dignità nel nuovo film di Vendemmiati di Silvia Franzoni www.estense.com, 6 febbraio 2015 Dopo la presentazione all'ultima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma e le numerose proiezioni, da Spoleto a La Spezia, "Meno male è lunedì" approda anche a Ferrara: l'ultima opera del regista ferrarese Filippo Vendemmiati, vincitore del Bif&St e del David di Donatello per "È stato morto un ragazzo", sarà infatti proiettato nella giornata di mercoledì 11 febbraio; la mattina, presso il carcere cittadino, la sera, invece, alle ore 21 presso il Cinema San Benedetto. La proiezione di quel contenitore di "storie di viti e di vite" che è il film, presentata questa mattina in conferenza stampa, si deve alla forte volontà di don Domenico Bedin che, attento alle varie fasi del lavoro di produzione, si è speso affinché "la città affrontasse - spiega don Bedin - le dinamiche trattate e la distribuzione del film abbracciasse quindi anche Ferrara". Fresco della selezione ottenuta al Festival Visioni Italiane e del successo degli oltre 1.500 spettatori in una sola settimana di proiezione a Bologna, la brillante commedia-documentario di Vendemmiati costringerà alla riflessione anche la città estense: lontano dall'essere "un film di inchiesta o di denuncia", come precisa lo stesso regista, "la pellicola affronta con tono leggero, quasi ironico, una esperienza positiva di lavoro". Vissuta all'interno delle mura di un carcere. L'esperienza virtuosa è quella della Casa Circondariale "Dozza" di Bologna, nella quale tre aziende hanno istituito una officina metalmeccanica assumendo come operai a tempo indeterminato 13 detenuti del carcere. Si tratta di una officina vera e propria, con tanto "di bilancio in positivo - continua Vendemmiati - e nella quale, dopo le 300 ore di formazione professionale, si producono manufatti altamente tecnologici". Operai volontari ormai in pensione affiancano i detenuti, sono insegnate le regole del vivere quotidiano, e si conosce la disciplina del lavoro, quello vero, "niente barchette di fiammiferi": si tratta di uno spazio di libertà all'interno del carcere capace di diventare "impresa di transizione - come precisa il Garante dei detenuti Marcello Marighelli riferendosi alla realtà bolognese - verso il mondo al di fuori". Nella "officina dei detenuti" il lavoro è mezzo per una realizzazione personale altrimenti impensabile, è dignità, e il carcere diventa "ambiente in forma attiva, una cornice di sicurezza - interviene don Bedin - in cui i detenuti sono protagonisti essi stessi del proprio recupero". È questa la realtà che le telecamere dirette da Vendemmiati hanno seguito per otto giorni, da lunedì a lunedì, e che si è tradotta negli 80 minuti di film che la Tomotao doc&film ha poi prodotto: un affondo in un'oasi in cui il tempo dell'ozio non esiste più, in uno spazio-tempo che trova significato nei ritmi di lavoro. Al di là delle condizioni materiali, la realtà carceraria riscontra infatti il problema principale nella costrizione psicologica di quanti "scontano una pena giusta sì, ma sono annichiliti - interviene l'assessore Sapigni - nel non far niente": la realtà ferrarese conta 304 detenuti ai quali sono offerte diverse attività, ma manca una logica di incremento delle stesse per la "assenza totale - sottolinea il Garante Marighelli - di progetti di edilizia carceraria". E se la proiezione che di "Meno male è lunedì" sarà fatta in carcere sottoporrà il regista "ad uno stress emotivo - confessa lo stesso Vendemmiati - notevole, e già mi immagino le prime obiezioni", quella serale, dedicata alla città, ha la precisa vocazione della responsabilità condivisa: invogliare aziende ed enti a proporsi per ri-proporre la felice esperienza della Dozza, e favorire il fiorire di risposte in merito alle tematiche del lavoro in carcere. L'entrata ad offerta libera è un primo passo in questa direzione: il ricavato sarà devoluto infatti per sostenere la Associazione Viale K nella costruzione di un piccolo orto che sia curato da quanti, oggi, aspettano di uscire dalla Casa Circondariale ferrarese. Teatro: "Certe notti non accadono mai", la follia degli Opg in scena a Milano Agi, 6 febbraio 2015 L'orrore dei manicomi giudiziari, gli "ergastoli bianchi", il disagio di un "diverso" cui viene negato il diritto di vivere e che ritrova la sua identità nella follia. Un messaggio forte e una denuncia quelli espressi nell'opera teatrale della regista Patrizia Masi che con "Certe notti non accadono mai", torna in scena con la sua Compagnia Bolero il 9 febbraio presso lo Studio Corno di Lissone (Milano), in un remake presentato a meno di due mesi dall'attesa chiusura degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, il 31 marzo prossimo, più volte rimandata. Protagonisti della picee un gruppo di detenuti psicotici in fuga da un Opg, che decidono di entrare a sorpresa in un locale e di dare spettacolo con le loro storie, provocando il pubblico, davanti ad un'intransigente direttrice, una guardia carceraria e uno psichiatra. Storie che corrono su un filo surreale tra normalità alienate e devianze normali, senza cedere mai alla pesantezza del dramma. C'è qualcosa di più importante della logica: l'immaginazione senza la quale "Certe notti" forse non accadrebbero mai. Le storie dei personaggi della Masi riempiono la scena con il loro dolore ma anche con la leggerezza dello spirito. Anime nude che gravitano in uno spazio al confine dell'irreale, bisognose di amore e attenzione, che mostrano come la follia sia una condizione di creatività e di espressione umana e non una semplice malattia. La barriera tra scena e pubblico scompare e la soluzione finale è il ribaltamento del ruolo del potere: la direttrice e la guardia carceraria sono anch'essi vittime di un sistema sociale complesso, mostrando devianze psicotiche analoghe al resto del gruppo. La Compagnia Bolero contribuisce da tempo alla campagna per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari dove sono ancora internate 906 persone. Nel 2014 la compagnia ha ricevuto il Premio Vincenzo Crocitti come migliore compagnia teatrale emergente. In Lombardia la chiusura degli Opg riguarda soprattutto l'ospedale di Castiglione delle Stiviere che soffre da anni di sovraffollamento. La Regione sta ripensando il piano, approvato appena lo scorso anno e che prevedeva la creazione in Lombardia di 12 Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza), in pratica mini comunità protette da 20 posti massimo nelle quali collocare i pazienti dal prossimo primo aprile. Ma il nuovo decreto approvato e modificato da diversi emendamenti, introduce ora la possibilità di inviare i pazienti, dopo la chiusura degli Opg, a "misure alternative" e non più automaticamente nelle Rems. Europa: il primo Paese europeo per detenuti stranieri non è l'Italia… ma la Svizzera di Roberta Lunghini www.west-info.eu, 6 febbraio 2015 Ben il 74,2% dei 4.896 detenuti nelle carceri svizzere è straniero. E per la maggior parte si tratta di clandestini (solo 1.330 hanno un regolare permesso di soggiorno e 716 sono richiedenti asilo). Seguono, in questa speciale classifica degli Stati europei, l'Austria (46,75%) e il Belgio (42,3%). Le percentuali più basse, invece, si registrano tra quelli dell'est, che sono tradizionalmente Paesi di emigrazione e non di immigrazione. Se consideriamo tutti i carcerati del Vecchio Continente, che in totale sono 1 milione 737 mila, quelli di origine immigrata sono il 21%. L'Italia è più o meno in linea con questo dato per quanto riguarda la popolazione carceraria straniera sul territorio nazionale. Mentre, la quota dei nostri concittadini detenuti all'estero è superiore alla media europea di oltre 11 punti percentuali essendo pari al 32%. Sono alcune delle cifre rese note nel corso della presentazione, a cura dell'Associazione Antigone, del volume di Patrizio Gonnella "Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti". Siria: Osservatorio per i Diritti Umani; dall'inizio del 2015 l'Isis ha ucciso 100 prigionieri Reuters, 6 febbraio 2015 La denuncia dell'Osservatorio siriano per i Diritti Umani su fonti raccolta in Siria e Iraq. L'Isis ha ucciso un centinaio di prigionieri dall'inizio dell'anno in Iraq e in Siria, come denuncia l'ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Nel primo mese del 2015 i jihadisti hanno decapitato, lapidato o ammazzato in pubblico diverse decine di persone che si trovavano nelle sue carceri, arrestati per blasfemia, prostituzione o spionaggio. L'Isis ha tolto la vita anche a diversi miliziani delle fazioni terroriste avverse, come al-Nusra, la sezione siriana di al-Qaida. I reporter giapponsi Haruna Yukawa e Kenji Goto e il giordano Muaz al-Kasaesbeh non sono purtroppo le uniche vittime della brutalità dell'Isis in questo inizio 2015. Nell'ultimo mese l'organizzazione terroristica di al-Baghdadi ha ucciso almeno un centinaio di prigionieri in Siria e Iraq. Le esecuzioni dell'Isis sono state brutali, con carcerati decapitati, lapidati oppure uccisi su pubblica piazza. Le nuove uccisioni dell'Isis sono state documentate da un'Ong siriana, Osservatorio siriano per i diritti umani, grazie a testimonianze dirette raccolte nei territori controllati dall'organizzazione terrorista islamica.Dall'estate del 2014 una vasta porzione di Siria e Iraq è sottoposta alla feroce repressione dell'Isis, che ha provocato diverse migliaia di morti. I jihadisti di al-Baghadi hanno ucciso un centinaio di prigionieri che erano finiti nelle loro carceri con diverse accuse quali blasfemia, prostituzione, oppure omosessualità. Altre persone sono state invece ammazzate perché ritenute spie del governo siriano oppure di Paesi stranieri avversi all'Isis come la Giordania, la Russia alleata di Assad e Israele. Secondo le fonti raccolte dall' Osservatorio siriano per i diritti i terroristi dell'Isis hanno ucciso 50 prigionieri in Siria, tra cui i due ostaggi giapponesi e il pilota siriano le cui esecuzioni terrificanti sono state diffuse via video. In Siria sono stati uccisi circa 25 militanti di altri gruppi jihadisti, tra cui diversi esponenti di al-Nusra, la sezione siriana di al-Qaida. Nel vicino Iraq sono state rendicontate 48 esecuzioni, tra cui due cristiani, due giornalisti e tre avvocati. La maggior parte delle vittime sono state uccise con colpi di pistola o fucile sparati in pubblico. Le morti documentate sono probabilmente inferiori al vero numero di vittime dell'Isis. Nelle ultime settimane i peshmerga curdi hanno trovato diverse fosse comuni quando sono riusciti a ritornare nei territori occupati dall'Isis nel nord dell'Iraq prima dei bombardamenti americani. Diverse organizzazioni internazionali, tra cui l'Onu, hanno rimproverato all'Isis di uccidere su larga scala i propri prigionieri. In questo momento l'Isis controlla ancora una porzione di territorio significativa tra Iraq e Siria, l'area che viene definita califfato dal cosiddetto Stato islamico. Medio Oriente: sono 151 i bambini palestinesi rinchiusi nelle prigioni israeliane www.infopal.it, 6 febbraio 2015 Almeno 151 bambini palestinesi sono attualmente detenuti come "prigionieri di sicurezza" nelle carceri israeliane, ha affermato il consigliere legale palestinese di Military Court Watch nel comunicato di martedì. L'associazione ha reso noto che il 47 per cento è detenuto in Israele in violazione delle Convenzioni di Ginevra, che impediscono il trasferimento dei detenuti al di fuori del territorio occupato in quanto limita le possibilità di "visita delle loro famiglie e degli avvocati". I numeri evidenziano le continue difficoltà che affrontano i bambini palestinesi nelle carceri israeliane, componendo il gruppo più vulnerabile dei 5.528 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Il gruppo ha anche aggiunto nel comunicato che i dati rilasciati dal Sevizio carceri israeliano spesso non mostra i numeri reali, in quanto si basa semplicemente sul "numero" dei prigionieri detenuti alla fine di ogni mese. Di conseguenza, quei palestinesi trattenuti per ore o giorni che non siano l'ultimo giorno del mese non rientrano nei dati. L'associazione ha affermato che anche se molti bambini al di sotto dei 14 anni sono registrati come detenuti dal Sevizio carcerario israeliano, i dati ufficiali rilasciati nell'agosto 2013 non ne mostrano alcuno. Il divario tra i dati ufficiali rilasciati dalle autorità carcerarie israeliane e il numero effettivo dei Palestinesi detenuti in custodia israeliana riflette questo problema di raccolta dati. Il comunicato emesso da Military Court Watch giunge tra la crescente preoccupazione per la sorte dei bambini palestinesi nelle carceri israeliane accentuata dal caso di Malak al-Khatib, una ragazzina di 14 anni, condannata a due mesi di carcere, accusata da Israele di aver lanciato pietre e di possesso di un coltello. È stata arrestata mentre tornava a casa da scuola nel suo villaggio di Beitin il giorno di Capodanno poco più di un mese fa. Al-Khatib è una delle poche ragazzine dei circa 1.000 bambini palestinesi arrestati ogni anno, e l'immagine del suo volto giovane è diventato comune durante le proteste e sui manifesti in tutta la Cisgiordania. Medio Oriente: in Israele 14enne palestinese condannata a due mesi di carcere di Mario Lucio Genghini www.polisblog.it, 6 febbraio 2015 Il caso di Malak riaccende le polemiche sugli arresti e i maltrattamenti subiti da minori palestinesi. Israele è l'unico paese al mondo dove chi non ha compiuto la maggiore età può essere processato da un Tribunale militare Sta facendo molto discutere la condanna, a due mesi di detenzione e a 1.500 dollari di multa, per la quattordicenne Malak al-Khatib. La sentenza è stata emessa dal Tribunale militare israeliano e non è un caso isolato. Sono centinaia i minori palestinesi che attualmente si trovano nelle carceri di Israele. Come riportato da al-Araby, la ragazza ha confessato che, mentre tornava a casa da scuola a Betin (Cisgiordania), ha lanciato un sasso contro delle automobili. Ma secondo la testimonianza di alcuni militari non sarebbe tutto, Malak avrebbe avuto un coltello con sé che sarebbe stata pronta ad usare contro le forze di sicurezza in caso di arresto. Il padre ha respinto tale versione dei fatti, affermando che a sua figlia sarebbe stata estorta con minacce una confessione da parte dei militari: "Una ragazzina di 14 anni circondata da soldati israeliani ammetterebbe qualsiasi cosa, anche di avere un'arma nucleare" (Via Nenanews). Military Court Watch, associazione di volontariato costituita principalmente da avvocati, ha colto l'occasione per ribadire che sono 151 i minori detenuti nelle carceri israeliane. Cosa che lascia molto perplessi sul sistema di garanzie democratiche di Tel Aviv: unico paese al mondo dove chi non ha compiuto la maggiore età può essere processato da un Tribunale militare. Sul problema, in passato, sono intervenute organizzazioni come l'Unicef e l'Onu. Nei rapporti stilati dai due enti non si denuncia soltanto il fatto che dei minori possano finire in carcere, ma viene lanciata anche un'accusa aggiuntiva a Israele, accusa ampiamente documentata. Ovvero di torturare, maltrattare, violentare i bambini palestinesi. Quando i minori vengono arrestati nei territori occupati, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, "le accuse nei loro confronti sono lette in ebraico, lingua che non capiscono, e vengono costretti a firmare confessioni scritte". Inoltre è messo nero su bianco che ragazzi e ragazze, in stato di arresto, subiscono "sistematiche violenze fisiche, verbali e sessuali". Per Defense for Children International, i giovani arrestati, nel 20% dei casi, sono tenuti in isolamento per dieci giorni. Inoltre, segnaliamo che, in aperta violazione della Convezione di Ginevra, i minori fermati nei territori occupati sono spesso tradotti in carceri di Israele. Infine ricordiamo, che, per il diritto israeliano, i minori "lanciatori di pietre" possono essere condannati fino a 20 anni di carcere.