Stati Generali sulle pene e sul carcere: una occasione per riflettere CON le persone detenute Ristretti Orizzonti, 5 febbraio 2015 All'attenzione delle persone detenute, dei volontari e degli operatori che hanno sostenuto la nostra battaglia "Per qualche metro e un po' di amore in più". Il 28 gennaio la Commissione Giustizia della Camera ha iniziato l'esame di due proposte di legge in materia di relazioni famigliari e affettive delle persone detenute. È un piccolo passo importante di cui possiamo tranquillamente prenderci il merito: perché è stata la campagna di informazione promossa da Ristretti Orizzonti, in collaborazione con la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, sono state le vostre firme di sostegno a sollecitare la politica a occuparsi degli affetti delle persone detenute, delle loro famiglie, delle sofferenze a cui sono condannate se non vogliono abbandonare i loro cari. Questo primo risultato ci spinge ad andare avanti con più forza sulla strada della umanizzazione delle carceri, che è per noi prima di tutto la strada dell'esercizio dei diritti, di cui non deve essere privato chi ha commesso un reato e sconta una pena. Ecco perché vi chiediamo di sostenere la "candidatura" di Ristretti Orizzonti a organizzare nella Casa di reclusione di Padova gli Stati Generali sulle pene e sul carcere: perché gli Stati Generali possono essere una occasione unica per una riflessione culturale profonda sul senso della pena, e noi vogliamo che in quell'occasione si parli davvero dei diritti delle persone detenute, e siano loro stesse ad assumersi la responsabilità di riprendersi in mano la loro vita. Ma gli Stati Generali devono essere anche una "scuola" per imparare a comunicare in modo efficace con la società e informare sulla realtà delle pene e del carcere, senza suscitare la rabbia dei cittadini: e anche in questo ambito noi di Ristretti Orizzonti riteniamo di avere acquisito una esperienza unica, grazie al confronto continuo con studenti, insegnanti, genitori che mettono ogni giorno alla prova la nostra capacità di testimoniare una realtà complessa come quella delle pene e del carcere senza banalizzarla. Vi chiediamo allora di darci, in tutti i modi che ritenete utili, con una firma, con suggerimenti, con una cartolina al Ministro, il vostro appoggio: perché così possiamo portare avanti con maggior efficacia la battaglia a tutela della dignità delle persone detenute e avere più forza nel chiedere che gli Stati Generali non parlino DELLE persone detenute, ma dialoghino davvero CON le persone detenute, perché non è più pensabile che si chieda ai detenuti di diventare persone responsabili e non gli si riconosca la responsabilità di occuparsi della propria vita, di riflettere sul senso della pena che stanno scontando e di esercitare i propri diritti. La redazione di Ristretti Orizzonti I detenuti chiedono che gli Stati Generali sul carcere vengano fatti in galera di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 5 febbraio 2015 "Il carcere è una giungla nel quale è difficile sopravvivere eppure c'è tanta umanità ed energie positive, basterebbe trovare qualcuno che li raccogliesse". (Diario di un ergastolano: www.carmelomusumeci.com). Tempo fa, il Ministro della giustizia, per tentare di risolvere alcuni problemi e per portare umanità e legalità nelle nostre patrie galere, aveva lanciato l'idea di organizzare gli Stati Generali sui temi della pena e del carcere. All'inizio, l'annuncio, sinceramente non mi ha molto entusiasmato perché ho pensato che come al solito gli addetti ai lavori (associazioni di volontariato, politici, funzionari e docenti) se la sarebbero suonata e cantata da soli. Poi mi è venuto in mente che molti padri della nostra Carta Costituzionale conoscevano il carcere perché c'erano stati negli anni della dittatura fascista. E mi sono ricordato anche che da qualche parte avevo letto che alcune democrazie sono nate in carcere. Mi è pure venuto in mente che i politici di una volta (come il senatore Gozzini, padre dell'attuale ordinamento penitenziario) prima di legiferare visitavano le carceri e parlavano e si confrontavano spesso con i prigionieri. I nostri legislatori di adesso invece ormai vengono in carcere per lo più per qualche visita rapida e "indolore" o quando li arrestano e non fanno in tempo a capire qualcosa perché appena dentro si sentono male e per fortuna loro (anche nostra perché in questo modo liberano dei posti letto) escono subito. Poi all'improvviso, in una riunione della redazione di "Ristretti Orizzonti", ad alcuni detenuti è venuta l'idea di chiedere, al Ministro della Giustizia Orlando, di fare gli Stati Generali nel carcere di Padova in rappresentanza di tutta la popolazione carceraria in Italia. Ed ecco, allora, il mio appello: Signor Ministro, se lei veramente vuole dare una possibilità ai diretti interessati, i prigionieri, di fare crescere una coscienza individuale e di gruppo, se vuole che si accendano i riflettori sul carcere, come il luogo dei dimenticati, organizzi prima possibile gli Stati Generali qui nel carcere di Padova con e fra i detenuti. E con la collaborazione della redazione di Ristretti Orizzonti che da anni, insieme al suo direttore, Ornella Favero, ha come scopo sociale la ricerca, l'informazione e l'intervento attorno a questioni inerenti i diritti dei detenuti. Favorendo un ruolo attivo delle persone detenute in iniziative di sensibilizzazione, in campagne di denuncia e in attività di ricerca sociale e penitenziaria. Le nostre testimonianze e le nostre proposte potrebbero servire a voi e a noi affinché l'Italia in futuro non venga più condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Signor Ministro, alcuni detenuti della redazione per sensibilizzare e coinvolgere migliaia di prigionieri stanno già scrivendo in diverse carceri per raccogliere proposte, consigli e contributi dei nostri compagni per poi eventualmente discuterne durate gli "Stati Generali" per portare nelle nostre patrie galere legalità costituzionale, rispetto degli affetti, studio e lavoro. Numerosi detenuti si sono già espressi con una forte partecipazione delegandoci a rappresentarli. Signor Ministro, non ci deluda. Noi siamo sicuri che non lo farà. E coglierà l'occasione per dare voce e luce a chi per mille motivi non ha né l'una né l'altra. Un sorriso fra le sbarre. Giustizia: nelle carceri celle aperte 8 ore al giorno, ma le guardie non gradiscono più di Damiano Aliprandi Il Garantista, 5 febbraio 2015 Patrizio Gonnella, il Presidente di Antigone, non ci sta: "tornare indietro, alla marcatura ad uomo del detenuto, è deresponsabilizzante e retrogrado". Le celle aperte per otto ore al giorno creano problemi alle guardie penitenziarie e quindi bisogna non permetterlo più. È ciò che il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, denuncia attraverso le parole di Donato Capece, il segretario generale del sindacato: "Sono aumentati i soprusi tra detenuti - dichiara Capece, aumentano le risse e i casi di violenze, sequestriamo ogni giorno materiale che arriva in carcere. La situazione è ingestibile: è arrivato il momento di dire basta". È un fiume in piena il segretario del Sappe: "Da circa un anno, ovvero dopo la sentenza Torreggiani, è stata data a tutti i carcerati, eccetto i 41 bis ovviamente, la possibilità di circolare liberamente per la sezione carceraria per otto ore al giorno. Non si è tenuto però conto dei profili dei detenuti, così ci troviamo di fronte a situazioni estreme in cui coloro che sono più forti si trovano a commettere soprusi nei confronti dei più deboli e si è arrivati, col tempo, a una condizione del tutto ingestibile". Capece poi chiarisce: "E come se ogni sezione fosse stata consegnata in mano ai reclusi. Gli agenti, infatti, restano fuori dal cancello della sezione e li controllano a vista o dovrebbero farlo, secondo quanto stabilito, attraverso le telecamere interne che, però, nella maggior parte dei casi non funzionano. Questo - continua - impedisce alle guardie carcerarie di avere la situazione sotto controllo. Peraltro il personale è scarso e si è arrivati a un punto in cui davvero non ce la possiamo fare più. Per ogni piano c'è un agente che ha il compito di controllare tra i 60 e i 100 carcerati". Il progetto tanto contestato dagli agenti si chiama "vigilanza dinamica". Prevede la libera circolazione nelle sezioni e l'apertura delle celle per otto ore al giorno, con gli agenti che non devono più restare di guardia ad ogni singola cella ma a zone di passaggio dei detenuti. Questo modello è già prassi nelle carceri europee e lo ha spiegato molto bene Patrizio Gonnella, il presidente dell'associazione Antigone: "Sono assolutamente contrario a che si torni indietro alla marcatura ad uomo del detenuto: è deresponsabilizzante. Non è un progetto che l'Italia s'inventa perché è un Paese particolarmente avanzato. Anzi, ci stiamo adeguando alle regole europee perché il nostro modello è retrogrado". Però l'apertura della cella in sé, non basta. E su questo punto, sia il Sappe che Antigone, convergono. Capece afferma che il progetto è fallimentare se i detenuti stanno ad oziare. Gonnella lo conferma: "Bisogna riempire la vita dei detenuti di attività che siano utili per la loro formazione. Solo in questo modo si rende il carcere un luogo che assomiglia alla vita normale". Il segretario del Sap- pe però ribadisce che la soluzione sia la chiusura delle celle e che le attività vadano svolte fuori, oppure che ci debbano essere meccanismi di "premialità" che regolino la possibilità per i detenuti di uscire dalla cella. Gonnella non ci sta e spiega: "Premialità che significa? Se un detenuto ha maggiore libertà e aggredisce qualcuno, avrà sicuramente sanzioni. In ogni caso - chiarisce Gonnella - non può essere trasformato in beneficio da meritare, ciò che è un diritto!". Il presidente di Antigone poi sottolinea che in realtà nel medio lungo periodo la vigilanza dinamica darà anche più soddisfazioni agli agenti di polizia penitenziaria che non vedranno il loro lavoro ridursi ad aprire e chiudere le celle. C'è infatti l'esempio del carcere modello di Bollate dove da anni vige la cosiddetta "vigilanza dinamica" ed effettivamente il tasso delle aggressioni si sono ridotte con il tempo. Capece però insiste che questa sperimentazione vada fermata e annuncia una manifestazione davanti al ministero della giustizia. Il segretario del Sappe appare determinato: "O si provvede col prendere misure immediate, o saremo costretti a intraprendere la strada delle lotte eclatanti finché non otterremo ciò che chiediamo". Nel frattempo i garanti dei detenuti, come quello di Milano, non sono d'accordo con l'allarmismo del Sappe. Non risulta l'aumento delle aggressioni alle guardie penitenziarie da quando è stata introdotta la sperimentazione della vigilanza dinamica. Giustizia: il carcere per i detenuti stranieri è ancora più duro di Arianna Giunti L'Espresso, 5 febbraio 2015 Carenza cronica di interpreti e mediatori culturali. Misure alternative mai concesse a chi è in attesa di giudizio. E ancora, risse, pestaggi, suicidi. Gli allarmanti dati dell'Osservatorio Antigone. Due mediatori culturali per cento stranieri. Interpreti qualificati che si contano sulle dita di una mano. Al punto che, quando occorre parlare con una persona appena arrestata, si chiede aiuto al traduttore automatico di Google. Diritti basilari che vengono sepolti e che degenerano in risse, pestaggi, aggressioni agli agenti della polizia penitenziaria. E poi, ancora, più in generale, decessi e suicidi che non si fermano in un lento e anonimo stillicidio. Fra le emergenze del nostro sistema carcerario che richiedono con urgenza di essere affrontate, il sovraffollamento non è più al primo posto, ma in pole position troviamo la violazione dei diritti dei detenuti stranieri, la cui presenza in carcere è ancora altissima, soprattutto quelli in attesa di giudizio, ai quali non vengono concesse misure alternative al carcere. È il ritratto delle nostre prigioni fatto dall'Osservatorio Antigone, che redige un bilancio sull'anno appena trascorso anticipando i dati ufficiali che saranno contenuti nel rapporto annuale del 2014 e che ha focalizzato i suoi studi sulla presenza degli stranieri nelle celle italiane. Rispetto a un anno fa, infatti, dati alla mano, il totale dei detenuti risulta diminuito in maniera significativa dopo l'approvazione del decreto carceri che ha fatto evitare al nostro Paese, per un soffio, la sonora condanna da parte dell'Unione Europea per trattamenti inumani e degradanti. E mentre manca ancora la figura di un garante nazionale a tutela dei detenuti, scende il numero totale dei carcerati - al 31 dicembre 2014 erano 53.623 contro i 62.157 dell' anno precedente - ma continua a rimanere alto quello degli stranieri dietro le sbarre ai quali non vengono concesse misure alternative al carcere: il 32,56% del totale della popolazione carceraria. Di questi il 34% è ancora in attesa di giudizio, mentre gli italiani nella stessa condizione sono il 29 per cento. Tutto questo - spiegano da Antigone - avviene perché mancano investimenti dello Stato sulle comunità, ormai colme, e molto spesso gli stranieri non sono in grado di fornire l'indirizzo di un'abitazione dove scontare eventuali domiciliari. E quindi tutto il sistema si ingolfa. Così si scopre che nelle celle si continua a morire. Nell'anno appena trascorso i decessi ammontano a 131, di cui 43 sono suicidi. L'ultimo caso si è verificato lo scorso 29 gennaio nel carcere di Palermo. A togliersi la vita è stato un ragazzo di 26 anni. E soprattutto, l'emergenza nazionale diventa la difficile convivenza e lo stato di abbandono dei detenuti stranieri, ai quali vengono negati anche i diritti più elementari previsti dall'ordinamento giudiziario. Come quello ad avere a disposizione interpreti e mediatori culturali. Niente interpreti Secondo i dati resi noti da Antigone, infatti, sono 379 in tutta Italia. Ovvero meno di due mediatori ogni cento detenuti stranieri. Una penuria di personale che dà vita a storie al limite dell'incredibile, come quella raccontata dalla direttrice di Regina Coeli Silvana Sergi: "Per poter allentare le tensioni negli istituti quando i detenuti entrano ed escono e non abbiamo l' aiuto prezioso dei mediatori, non ci resta che utilizzare il traduttore di Google", spiega. Una situazione, questa, che mette ben in evidenza il ruolo fondamentale svolto dai mediatori culturali che, ad oggi, lavorano solo con piccoli bandi e sono legati ad associazioni e cooperative e non direttamente agli istituti di pena. Figure professionali che il più delle volte vengono garantite, a rotazione, soltanto una volta a settimana. "I mediatori culturali sono assolutamente pochi - ha spiegato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella - . Non possono reggere il peso della quantità di detenuti stranieri presenti in carcere. Di fronte ad una utenza straniera così significativa, parliamo di un detenuto straniero su tre, dovrebbe esserci un grosso investimento nel sistema penitenziario e nel sistema delle figure professionali". "Capita spesso che i detenuti italiani non capiscano la terminologia di un atto ad esempio di una custodia cautelare - ha aggiunto Natalia Moraro, mediatrice culturale per l'associazione Medea - figuriamoci una persona straniera. Per questo il mediatore dovrebbe essere presente per lo meno al servizio nuovi giunti". Ed è stata anche l'Europa a chiedere un investimento maggiore su queste figure professionali. "La raccomandazione del 2012 del Consiglio d'Europa ci dice che bisogna investire in mediatori culturali, interpreti e traduttori - ha aggiunto Gonnella, perché è un problema di tutta l'Europa. Non possiamo pensare di avere un'organizzazione tutta pensata per un detenuto che non esiste più, il detenuto italiano, e non tradotta nella lingua delle persone che ci sono dentro. Questo aumenta la conflittualità". Risse e aggressioni Una conflittualità che, appunto, più in generale si traduce in uno stato di tensione che degenera i continue risse e pestaggi, dove i protagonisti sono in uguale misura detenuti stranieri e italiani. A subire le botte inoltre non sono solo i carcerati, ma anche gli agenti della polizia penitenziaria. Come denunciano dal sindacato Sappe, che registra una media di tre aggressioni al mese. Mentre, più in generale, le violenze non si fermano: l'ultima rivolta carceraria si è registrata nel carcere "Due Palazzi" di Padova lo scorso 23 gennaio. E continuano, anche le inchieste interne ai penitenziari. Come quella, appunto, che riguarda sempre il carcere padovano, dove detenuti condannati in via definitiva avrebbero trasformato il penitenziario in un "supermarket fuorilegge" dove tutto aveva un prezzo, dal materiale informatico alla droga. Un'indagine delicatissima ancora in corso - che ha svelato un sistema di crimini, abusi e complicità tra alcuni agenti di polizia penitenziari e un gruppo di carcerati - opposta a quella che ha travolto Poggioreale, dove circa sessanta detenuti ed ex detenuti hanno denunciato ai magistrati napoletani di essere stati picchiati a sangue in piena notte nella "cella zero" del carcere. In sostanza, un gruppo di guardie si sarebbe trasformato in una squadra deviata di picchiatori, che prendeva di mira soprattutto i detenuti stranieri. Diritti dimenticati L'Osservatorio Antigone, quindi, sempre focalizzandosi sulla presenza degli stranieri nelle nostre prigioni, sottolinea l'incompletezza della legislazione interna alle carceri, che dà per scontato che il detenuto sia italiano e non tiene conto della forte presenza degli stranieri. "Nel codice di procedura penale - si legge - non esiste ancora una norma che preveda il divieto di trasferimento di una persona da noi detenuta verso Paesi dove vi sia il rischio di essere sottoposti alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti". Mentre ancora una volta si mette l'accento sulle lacune del personale impiegato nel carcere, che molto spesso non conosce neppure una lingua straniera: "Occorre assumere con concorso pubblico interpreti e traduttori dalle varie lingue in numero sufficiente affinché possano operare in ogni istituto penitenziario - si legge nella relazione - e la lingua inglese deve essere inserita fra le materie d'esame per l'accesso ai vari ruoli della carriera penitenziaria e del servizio medico". E, poi, ancora, "prevedere che l'insegnamento della legislazione interna e internazionale sugli stranieri in vigore, compresa la raccomandazione europea del 2012, e delle lingue più parlate dai detenuti facciano parte dei programmi di aggiornamento professionale e formazione continua". Più in generale, si chiede che all'interno delle nostre prigioni si mantengano i diritti finora faticosamente conquistati, come l'apertura delle celle nella fascia pomeridiana della giornata, fortemente osteggiate invece dai sindacati di polizia penitenziaria. Mentre la nascita di laboratori internet, aree verdi e corsi di aggiornamento professionale potrebbero essere una risposta all'alto tasso di recidiva dei detenuti. Perché le celle - come prevede il nostro ordinamento giudiziario - non si trasformino in un abisso ma in un luogo di recupero. Giustizia: ok Commissione Camera a pdl su reato tortura, previsti fino a 12 anni carcere di Simona D'Alessio Italia Oggi, 5 febbraio 2015 Reclusione da 4 a 10 anni per chi "con violenza, o minaccia" procuri a una persona affidatagli "acute sofferenze fisiche, o psichiche" per ottenere informazioni, o la maltratti in virtù della sua "appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale, o delle opinioni politiche, o religiose". E se a commettere gli abusi è un pubblico ufficiale, rischia dai 5 ai 12 anni. A stabilirlo è la proposta di legge per introdurre nell'ordinamento italiano il reato di tortura, che ottiene ieri il via libera della Commissione giustizia della camera. Il testo, già approvato dai senatori nel marzo scorso, non riceve modifiche sostanziali. "Composto da 6 articoli", spiegano la presidente della commissione Donatella Ferranti e il relatore Franco Vazio, entrambi del Pd, il provvedimento da un lato "marca gli elementi determinanti per il reato commesso dal pubblico ufficiale" e, dall'altro, individua "gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta, al fine di evitare sovrapposizioni improprie con altre fattispecie", come per esempio "le lesioni personali gravissime, o i maltrattamenti, che sono già punite dal codice penale". A essere incriminato di tortura, perciò, "chiunque, con violenza o minaccia, ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche alfine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni, o infliggere una punizione, o vincere una resistenza, o in ragione dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose"; prevista la reclusione da 4 a 10 anni, innalzata da 5 a 12 qualora a compiere soprusi sia "un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri, o in violazione dei doveri inerenti alla funzione, o al servizio". Tuttavia, se dal fatto deriva una lesione personale le pene lievitano: per una "grave" salgono di un terzo, della metà in caso sia "gravissima", ma se si arriva alla morte dell'individuo torturato "quale conseguenza non voluta, è della reclusione di anni trenta", mentre se il decesso è causato volontariamente c'è "l'ergastolo". Quanto all'istigazione da parte di pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio a un collega a commettere il delitto, la norma prevede che se l'incitamento non è accolto, ovvero se è accolto, ma il delitto non è commesso, scatta "la reclusione da sei mesi a tre anni". La proposta di legge, negli articoli 3 e 4, si occupa di casi internazionali, innanzitutto (mediante modifica al decreto legislativo 286/1998) puntualizzando che "in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o' oggetto di tortura", ossia possa rischi di essere rinviato in altra nazione in cui non sia protetto dalle violazioni dei diritti umani". Infine, nessuna immunità diplomatica agli stranieri alla sbarra, o condannati per tortura in altro stato, o da un tribunale internazionale, masi alla loro estradizione. Giustizia: ok al reato di tortura, aggravante se a commetterlo è un pubblico ufficiale di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 5 febbraio 2015 La commissione Giustizia della Camera ha approvato ieri il disegno legge che introduce il reato di tortura. Si sono infatti concluse le votazioni sugli emendamenti e il testo sarà formalmente licenziato per l'aula dopo i pareri delle altre commissioni. "L'impianto - spiegano Donatella Ferranti e Franco Fazio, rispettivamente presidente della commissione e relatore del provvedimento - è rimasto nella sostanza quello votato dal Senato, ma abbiamo meglio puntualizzato la norma recependo quasi letteralmente le indicazioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura". Il reato di tortura, in pratica, resta reato comune (punito con la reclusione da 4 a 10 anni), ma aggravato con pene da 5 a 12 anni se commesso dal pubblico ufficiale: "Abbiamo seguito le raccomandazioni del Comitato Onu contro la tortura e quanto emerso nel corso delle audizioni, da un lato - sottolineano Ferranti e Fazio - marcando in maniera specifica gli elementi determinanti per il reato commesso dal pubblico ufficiale e dall'altro individuando gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta al fine di evitare sovrapposizioni improprie con altre fattispecie, quali per esempio le lesioni personali gravissime o i maltrattamenti, che sono già punite dal codice penale". Quanto alla condotta, il disegno di legge, che era già stato approvato dal Senato, ma ora è stato modificato dalla commissione Giustizia della Camera, sanziona chi provoca, in maniera intenzionale, a una persona a lui affidata o in ogni caso soggetta alla sua autorità, vigilanza o custodia, "acute sofferenze fisiche o psichiche per ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni, o vincere una resistenza, o in ragione dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose". Prevista anche l'inutilizzabilità delle dichiarazioni estorte con tortura. Giustizia: il ministro Orlando; banca dati Dna in dirittura d'arrivo, l'avvio entro il 2015 Askanews, 5 febbraio 2015 "Il collaudo del Laboratorio centrale è in via di ultimazione, con riguardo al relativo materiale informatico e al modulo di comunicazione tra il sistema informativo del Dap e quello del Ministero dell'interno. Dopo l'immissione degli allievi nel Laboratorio, per la formazione sul campo, e dopo il collaudo, si potrà procedere all'accreditamento del Laboratorio, necessario per passare alla fase di raccolta e conservazione dei profili genetici. Si tenga conto che i singoli Istituti penitenziari sono già dotati delle cd "stanze bianche" fornite dei kit necessari per le operazioni di prelievo del Dna nei confronti dei detenuti. Credo che il secondo semestre del 2015 potrà vedere l'avvio concreto di operatività di Banca dati e Laboratorio, dotando così la polizia giudiziaria e la magistratura di un nuovo, efficace mezzo di conduzione delle indagini e lotta alla criminalità". Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha scritto nella nota inviata al convegno "Banca dati del Dna: le soluzioni della scienza contro il crimine", tenutosi ieri. L'adeguamento dell'Italia al trattato di Prum, che istituisce una banca dati e un laboratorio del Dna, le difficoltà burocratiche, le resistenze sulla gestione di dati personali, la questione della privacy, i benefici attesi dall'introduzione della banca dati nazionale del Dna: questi i temi al centro del dibattito che si è tenuto ieri presso il Museo Criminologico di Roma. "Il ritardo dell'Italia ci permette di adeguare i nostri standard legislativi ai livelli più alti- spiega Renato Biondo, Min. dell'Interno e Banca dati del Dna. L'analisi del dna delle persone ad esempio nel nostro Paese non lo fa l'organo inquirente ma il ministero della Giustizia, mentre la polizia penitenziaria ricopre un ruolo tecnico, una garanzia di rispetto e tutela, un doppio passaggio che è previsto solo dalla nostra legge. L'Inghilterra, che è partita nel 1995, ha cambiato 3 volte la norma adeguandosi al progresso delle tecnologie, l'Italia arrivando per ultima usufruisce di una qualità dei dati, e di uno standard già definito. Dal punto di vista delle procedure il nostro paese rappresenta un'eccezione di garanzia: il campione non ha nome e cognome, l'anagrafica è solo nella banca dati delle impronte, l'identificazione del soggetto avviene solo dopo concordanza. Solo dopo l'avvenuto match si può risalire alla persona con un livello di sicurezza molto alto". "È giusto richiamare i profili di garanzia dei cittadini e della loro libertà - ha sottolineato anche il Ministro Orlando - nell'ambito di queste innovazioni. Perché c'è chi teme, ovviamente, una sorta di Grande Fratello genetico, in funzione di controllo e prevenzione totale. L'ambito applicativo della legge del 2009 è allo stato circoscritto alla raccolta del Dna nei confronti di autori o presunti autori di reati, e non di tutti, e, aggiuntivamente, nei confronti di un numero circoscritto di persone offese o potenzialmente offese da reati (persone scomparse, persone decedute non identificate o non identificabili). Quanto agli autori o presunti autori di reati, ad essere raccolto sarà solo il materiale biologico di tre categorie di soggetti: - condannati in via definitiva per un reato non colposo, che siano detenuti, o internati, o sottoposti a misura di sicurezza detentiva, o a pena alternativa alla detenzione; - arrestati in flagranza di reato, o sottoposti a fermo; - sottoposti a custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. Svariate tipologie di reati sono sottratte alle previsioni. Il prelievo è consentito solo per i reati per i quali è consentito l'arresto in flagranza, per tipologia o entità della pena. Il prelievo del Dna non è consentito per i reati previsti dalla legge fallimentare, dal codice civile (reati societari), per i reati tributari e finanziari, per alcuni falsi minori, per i delitti previsti dal cod. pen. contro industria, economia e commercio, verosimilmente perché ai fini della prova di tali reati l'indagine genetica non è di particolare ausilio. Per converso, ad esempio, l'inasprimento del trattamento sanzionatorio per i delitti contro la pubblica amministrazione, ad opera della legge Severino, consentendo quasi sempre l'arresto in flagranza per tali reati, consente anche il prelievo genetico". Giustizia: appello a Mattarella; guardi il caso di Brega Massone, capirà come siamo messi di Vincenzo Vitale Il Garantista, 5 febbraio 2015 Diamo per buone tutte le affermazioni - in gran parte ovvie - fatte dal presidente della Repubblica all'atto del suo insediamento davanti al Parlamento. A proposito di giustizia egli si è limitato ad auspicare una sua maggior rapidità: insomma, ci risiamo, perché neppure al Capo dello Stato è venuto in mente di auspicare invece una sua maggiore equità, vale a dire un tasso di giustizia delle decisioni dei giudici nettamente maggiore rispetto a quello oggi ancora riscontrabile. Può darsi che non sia ancora informato abbastanza sul punto. E se così fosse provvediamo qui ad informarlo, chiedendone subito l'intervento, di un caso assai particolare - e grave - che ci passa per le mani. Ricordate Pier Paolo Brega Massone, il chirurgo imputato di lesioni e omicidi a carico di pazienti della casa di cura Santa Rita di Milano? Oggi i suoi processi sono ancora in via di definizione e comunque lungi dall'essere conclusi: anzi, siccome in uno dei due si deve ancora celebrare l'appello, i difensori chiedono a gran voce che sia nominato un consulente d'ufficio, vale a dire che sia davvero indipendente dalla Procura, allo scopo di far emergere la verità delle cose, che cioè egli non è colpevole di nulla. Insomma, tutto è ancora in piena discussione. Nonostante ciò - roba da non crederci - giunge ora notizia che la Corte dei Conti già nel 2009 aveva provveduto in primo grado a condannare Brega Massone a ben otto milioni di euro di risarcimento a favore dell'Erario per il danno all'immagine consumato attraverso i reati di cui si è reso colpevole: fra qualche settimana sarà celebrato l'appello. Cerchiamo di spiegare meglio l'assurdità di tale situazione che più assurda non potrebbe essere. Brega Massone viene accusato di gravi delitti e per questo langue in carcere da circa sei anni, con grande difficoltà, fra l'altro, per la sua capacità difensiva: di fatto, di fronte ad accuse che hanno meritato addirittura la condanna all'ergastolo, egli non è in grado di difendersi in modo compiuto, perché non può fruire di un computer, come invece sarebbe necessario per consultare decine di migliaia di documenti, non può parlare liberamente con i propri difensori che hanno orari e tempi ristretti, non può confrontarsi in modo efficace con i propri accusatori. Una cosa tuttavia è sicura: tutto è ancora in gioco, ogni fatto va ancora accertato, ogni giudizio può essere ribaltato. È allora logico e giusto che mentre ancora non c'è nulla di certo e definito, la Corte dei Conti sopraggiunga con una sentenza di questo genere, dando per assodati fatti che in realtà non lo sono per nulla e che potrebbero essere poi smentiti dal giudice penale? Non siamo forse di fronte all'ennesima ingiustizia perpetrata a carico del dottor Brega Massone? C'è da dire che fino al 1989 esisteva un congegno processuale che garantiva che questa ingiustizia non fosse portata a termine: era cioè previsto che se il medesimo fatto fosse stato posto a base del giudizio penale e di quello amministrativo ( o civile), questo secondo giudizio doveva essere obbligatoriamente sospeso in attesa che il giudice penale accertasse i fatti in modo definitivo. Ed era logico e giusto che così fosse. Poi una gran pensata del nostro legislatore ha condotto a eliminare questa sospensione - definita necessaria - rendendola solo facoltativa. E qui casca l'asino. Infatti, anche se non vige più l'obbligo di sospendere il giudizio contabile in attesa della conclusione di quello penale, rimane pur sempre possibile farlo in chiave di opportunità. E di questa opportunità dovrebbero farsi carico i giudici contabili, sospendendo appunto il giudizio fino all'esito di quello penale. E invece no: avanti tutta con una furia degna di miglior causa, a costo non solo di rovinare una persona, ma di produrre mostruosità giuridiche impossibili poi da rimediare. Poniamo infatti il caso - in via di pura ipotesi - che Brega Massone sia costretto a pagare questa iperbolica somma di otto milioni per danno ad una immagine - quella della Sanità pubblica lombarda - che tanto pulita proprio non ha mostrato di essere negli ultimi anni; cosa accadrebbe se fra due o tre anni egli fosse assolto, poniamo, con la formula "il fatto non sussiste"? Siccome egli sarebbe stato espropriato di ogni avere - il cui valore complessivo è comunque di gran lunga inferiore a quella somma -come fare a rendergli ciò che gli apparteneva? Del tutto impossibile. Ecco dunque che si capisce bene la logica che sta alla base della opportuna sospensione del giudizio contabile: evitare simili assurdità e danni non riparabili a carico dei diretti interessati nel caso fossero riconosciuti innocenti. O forse dobbiamo desumere che la Corte dei Conti ne sappia più delle Corti di Milano e che - in forza di un potere profetico - conoscendo il futuro, sappia già con certezza quale sarà la decisione del giudice finale milanese? Forse che la fretta e la rapidità debbono qui prevalere, come sovente accade, sulla giustizia? Ecco allora che sottoponiamo all'attenzione del nuovo Capo dello Stato questo problema, che se forse sarà piccolo di fronte ai grandi problemi di cui lui dovrà occuparsi, invece piccolo non potrà mai essere di fronte alla sua coscienza di uomo e di giurista. Per far presto, si può rischiare di essere gravemente ingiusti? Che egli dica a tutti, chiaro e forte - ed anche perciò alla Corte dei conti - di no: dica che la giustizia va sempre protetta da ogni fretta cieca e produttiva di gravi iniquità. Confidiamo dunque nel Capo dello Stato? Confidiamo. Giustizia: caso Yara; legale di Bossetti "slitta a domani la nuova istanza di scarcerazione" Adnkronos, 5 febbraio 2015 Le ultime rifiniture, ma l'impianto della nuova istanza di scarcerazione è pronto e venerdì verrà consegnato al gip di Bergamo Ezia Maccora. Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l'accusa di aver ucciso con crudeltà la 13enne Yara Gambirasio, spera di tornare a casa dopo quasi otto mesi dietro le sbarre. Dopo il no dello stesso gip alla scarcerazione perché "persistono i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di reiterazione del reato" e del giudice del Riesame di Brescia che ha lasciato in carcere l'imputato per la presenza del suo Dna sul corpo della vittima, domani il pool difensivo di Bossetti presenterà la nuova istanza; in attesa del ricorso in Cassazione fissato per il prossimo 25 febbraio. Una scelta presa alla luce delle ultime relazioni consegnate in procura a Bergamo a partire da quella "sul sequestro degli abiti e degli attrezzi di Bossetti che non ha fornito elemento utili all'accusa, all'analisi sul furgone anche in questo caso un buco dell'acqua per la procura - spiega l'avvocato Claudio Salvagni, all'assenza di capelli e peli di Bossetti sul corpo della vittima". Nuovi elementi che si aggiungono a dire di Claudio Salvagni, legale dell'imputato, a un quadro indiziario "già ridotto da parte del Riesame rispetto alla decisione del gip" e che ora vanno riconsiderati anche alla luce di quanto emerso nella relazione del consulente della procura Carlo Previderè in cui emerge - in una tabella che riporta a una consulenza del Ris di Parma - come nella traccia mista trovata sugli slip della 13enne il Dna mitocondriale dell'imputato non corrisponde con quello di Bossetti. Contro il 44 muratore resta il Dna nucleare, ma sul resto ci sono "quei dubbi che bastano per far cadere i gravi indizi di colpevolezza. È proprio sulla mancanza di quegli indizi di colpevolezza che si fonda questa istanza per ribadire - conclude l'avvocato - che non ci sono le esigenze cautelari per tenere in carcere Bossetti". Il gip Maccora, una volta ricevuta l'istanza, ha cinque giorni per decidere. Di fronte a un eventuale parere negativo da parte del giudice dell'udienza preliminare, la difesa dell'imputato ha nuovamente la possibilità di ricorrere in Appello e quindi ancora in Cassazione. I giudici di piazza Cavour chiamati a decidere il prossimo 25 febbraio dovranno pronunciarsi solo sul primo ‘ricorso' non tenendo conto delle ultime rivelazioni sull'omicidio di Yara. Molise: oggi firma del Protocollo di Intesa con il Ministero sul reinserimento dei detenuti Ansa, 5 febbraio 2015 Questa mattina alle ore 12, presso la Sala Livatino di Via Arenula, il ministro della Giustizia Andrea Orlando firma un protocollo d'intesa con il fine di potenziare l'accesso alle misure alternative alla detenzione per i detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza e di potenziare i percorsi di inclusione sociale e reinserimento lavorativo per i detenuti. Sono 11 i protocolli d'intesa già stipulati. Dopo quelli con Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Liguria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sicilia, Lombardia e Abruzzo, domani la firma di quello con la regione Molise. Sono presenti, insieme al guardasigilli Andrea Orlando, il presidente della Regione Molise Paolo Di Laura Frattura, il presidente dell'Anci Molise Pompilio Sciulli, il presidente del tribunale di sorveglianza di Campobasso Daniela Della Pietra, il capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo e il provveditore regionale reggente M. Claudia Di Paolo. Trani: Sappe; chiudere "sezione blu" del carcere, stanze con servizi igienici senza privacy Ansa, 5 febbraio 2015 Stanze grandi poco più di 4,5 metri quadri in cui i detenuti sono costretti a fare i loro bisogni corporali senza alcuna privacy, nello stesso spazio in cui mangiano, dormono e trascorrono la maggior parte della giornata: è la situazione "al di fuori di ogni contesto di civiltà" denunciata in una nota dal segretario nazionale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). Federico Pilagatti, che chiede alle autorità competenti la chiusura immediata della sezione ‘blu' (alta sicurezza) del carcere di Trani. Il Sappe chiede che venga adottato questo provvedimento "anche attraverso l'intervento delle autorità sanitarie o amministrative" perché "non è pensabile che in un Paese civile si possano consentire condizioni di vita e di lavoro così mortificanti". Una situazione che, sostiene il Sappe, sarebbe presente anche in altri istituti di pena quali Lucera (Foggia) e Foggia, per cui si chiede al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e al nuovo capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, di "porre in essere ogni misura idonea affinché tali sezioni detentive vengano chiuse". Firenze: l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo diventerà un albergo a 5 stelle Redattore Sociale, 5 febbraio 2015 A Montelupo la prestigiosa Villa medicea dell'Ambrogiana, attualmente sede dell'Opg, non avrà più una funzione carceraria. Ma è improbabile arrivare alla chiusura dell'ospedale entro il 31 marzo. La prestigiosa Villa medicea dell'Ambrogiana, attualmente sede dell'Opg di Montelupo, sarà restituita ai cittadini e non avrà più una funzione carceraria. Tra le ipotesi in cantiere, quella di inserire la villa nel percorso delle ville medicee patrimonio dell'Unesco, anche se la struttura potrebbe diventare un hotel di lusso. È questa una delle ipotesi che sta trapelando in questi giorni nel piccolo comune in provincia di Firenze. Oltre all'albergo a cinque stelle, nella villa, attualmente di proprietà del Demanio e in uso al Ministero della Giustizia, potrebbe sorgere anche un centro congressi. Quel che è certo, è che prima di ogni trasformazione, la villa necessiterebbe di un grande percorso di ristrutturazione. A pronunciarsi sulla restituzione della Villa ai cittadini è stato il Dap (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) attraverso un comunicato ufficiale dopo un incontro con il Soprintendente per i beni archeologici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Firenze, Pistoia e Prato, Alessandra Marino. "Con la chiusura degli Opg - scrive il Dap - la storica struttura diventerà patrimonio dell'intera collettività. La piena disponibilità dell'amministrazione a cedere la storica Villa dell'Ambrogiana è stata manifestata nell'incontro che si è tenuto il 3 febbraio tra la soprintendente, il direttore generale dei detenuti e del trattamento e il direttore generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria". Ma Carmelo Cantone, direttore del Dap Toscana, è molto scettico sui tempi di chiusura dell'Opg, previsti per il 31 marzo: "Credo obiettivamente molto difficile arrivare alla chiusura dell'ospedale psichiatrico giudiziario entro il 31 marzo. La Regione Toscana sta lavorando per trovare strutture alternative per i pazienti, ma ancora non sono state trovate". Da parte sua, il sindaco del Comune di Montelupo, Paolo Masetti, ha istituito un tavolo tecnico che possa decidere il futuro della coinvolgendo tutte le istituzioni competenti. "Dopo il comunicato del Dap, oggi abbiamo un importante punto fermo, quello che la struttura non avrà più una funzione carceraria. Il futuro dell'hotel di lusso? È una delle ipotesi ma certamente, data la vastità della struttura, sorgerà insieme all'albergo qualcos'altro. È pertanto necessario continuare il percorso istituzionale intrapreso". Chieti: ex internati in Opg all'ospedale di Guardiagrele, il Consiglio comunale è contrario Sebastiano Calella www.primadanoi.it, 5 febbraio 2015 Il Sindaco di Guardiagrele Sandro Salvi ha convocato per martedì prossimo un Consiglio comunale monotematico per dire no ai detenuti psichiatrici nel locale ospedale. All'odg è previsto infatti un punto solo e cioè la bocciatura del decreto commissariale firmato Luciano D'Alfonso che prevede l'istituzione della Rems (la residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) all'ospedale di Guardiagrele. Si tratta delle strutture che sostituiscono gli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari recentemente chiusi, e la cui realizzazione e gestione è stata affidata alle Asl. Ogni Regione dovrebbe istituire la propria Rems ed in questo caso l'Abruzzo è stata associato al Molise. Il commissario ad acta ha individuato la Asl di Lanciano-Vasto-Chieti per accogliere l'unica Rems prevista ed il dg Francesco Zavattaro ha individuato l'ospedale di Guardiagrele come sede temporanea di questa Rems, in attesa del completamento della sede definitiva che aprirà a Ripa Teatina. Questa scelta comporterà lo spostamento temporaneo della Clinica psichiatrica di Guardiagrele ad Ortona, da dove poi si sposterà al SS. Annunziata di Chieti, una volta pronto il reparto definitivo. Il sindaco Salvi ha contestato questa scelta e questo tour costoso ed inspiegabile "per il mancato rispetto della programmazione sanitaria regionale, che prevedeva l'area chirurgica nell'Ospedale di Ortona e l'area medica a Guardiagrele". Il tutto è contenuto in un dura lettera a D'Alfonso ed al manager Asl, il cui contenuto è stato confermato a PrimaDaNoi.it: "Ci sarà un consiglio comunale proprio su questa scelta che appare antieconomica e penalizzante per Guardiagrele. Infatti andranno eseguiti doppi lavori di adeguamento ad Ortona e qui per garantire la sicurezza dei pazienti, degli operatori e dei cittadini, e per assicurare anche la sicurezza della detenzione. Purtroppo in Italia la provvisorietà è più durevole del definitivo e comunque il tutto sarebbe uno sperpero di denaro per rendere idonee le due strutture alla nuova destinazione, sia pur provvisoria. Queste risorse - aggiunge Salvi - potrebbero essere meglio impiegate per il bene dei cittadini, aumentando i servizi sanitari destinati al territorio ed il mantenimento dei reparti a basso indice di intensità assistenziale che ora funzionano all'ospedale di Guardiagrele". Come noto, da anni sia il Comune a gestione centrodestra che l'opposizione di centrosinistra hanno contestato la chiusura dell'ospedale di Guardiagrele decisa dal precedente commissario Gianni Chiodi. E tra breve il Consiglio di Stato deciderà definitivamente il destino di questa struttura che la Asl ha fatto morire lentamente, anche se non ufficialmente. Ora c'è "questo decreto quanto mai inopportuno - conclude il sindaco Salvi - avvicinandosi la discussione al Consiglio di Stato dei ricorsi ed in previsione di un nuovo piano sanitario regionale, come annunciato dall'attuale Governo regionale" Il centrosinistra impugna Decreto commissariale e delibere Asl Anche il centrosinistra è contrario alla Rems, come spiega l'avvocato Simone Dal Pozzo, consigliere della Lista di opposizione, che ha impugnato sia il decreto commissariale D'Alfonso che le delibere Asl, allo stesso modo in cui aveva impugnato (vittoriosamente) le precedenti decisioni di Chiodi e Zavattaro. "Intanto bisogna dire la verità sui costi - spiega l'avvocato - la relazione tecnica allegata al decreto del commissario prevede una spesa totale pari a 110 mila euro. Le recenti delibere Asl invece rivelano che la spesa sarà ben maggiore e cioè di 552 mila euro, sommando i vari lavori di Guardiagrele, Ortona e Chieti. Questo significa un incremento di circa mezzo milione di euro sulla previsione iniziale, totalmente ignorato dall'atto commissariale. Inoltre nessuna delle somme previste appare finalizzata ad una destinazione futura diversa da quella che oggi si asserisce provvisoria. E si può definire provvisorio ciò che finirà - se tutto va bene - tra tre anni?". Ma c'è un altro aspetto che Dal Pozzo contesta: "Secondo la relazione dei Ministeri della Salute e della Giustizia, i pazienti non dimissibili sarebbero solo 3. Insomma non serve nessuna Rems, che comunque logisticamente non sarebbe compatibile con il nostro ospedale e con il Distretto che vi opera. Li chiudiamo per ospitare 3 pazienti? Suvvia… mi sembra sperpero di denaro pubblico". Frosinone: a Ceccano e Pontecorvo gli ex internati degli Ospedali psichiatrici giudiziari di Denise Compagnone Il Messaggero, 5 febbraio 2015 Il futuro dell'ex ospedale di Ceccano, o almeno di una parte di esso, sta in una sigla: Rems. Che significa Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria. "Ma attenzione, non è un carcere" avverte la manager della Asl Isabella Mastrobuono. È invece una struttura che accoglierà, accanto alla futura Casa della salute, i pazienti che provengono dagli ospedali psichiatrici giudiziari da chiudere definitivamente per legge (la 81del 2014) entro il 31 marzo 2015. Un po' un ritorno al passato per la città dei conti, la cui storia è legatissima all'ex Santa Maria della Pietà, entrato in funzione agli inizi del ‘900 proprio come ospedale psichiatrico. Per più di 70 anni quel grande palazzo a pochi passi dal Sacco è stato per tutti semplicemente "il manicomio". Poi con la legge Basaglia del 1978 che aboliva, appunto, i manicomi, si tentò la strada lunga e faticosa del recupero e della riconversione. Il Santa Maria della Pietà dunque diventò un vero e proprio ospedale, almeno per pochi anni, almeno fino al Decreto 80 della Polverini. A Ceccano, a tirare fuori per primo la notizia, qualche giorno fa, è stato l'ex consigliere comunale e leader del polo civico Per La Gente Angelino Stella che aveva espresso la sua preoccupazione. In città infatti si parlava di un carcere psichiatrico. L'ipotesi è stata smentita pochi giorni dopo dal commissario prefettizio Emilio Dario Sensi, ma senza che la preoccupazione in città venisse meno. Anzi… Ieri dunque, per tagliare una volta per tutte la testa al toro delle polemiche, Il Messaggero ha chiesto la versione ufficiale al manager della Asl. "Il governo ha imposto alle Regioni di trovare una soluzione alternativa agli ospedali psichiatrici giudiziari in cui accogliere questi pazienti, non detenuti - ha detto. Sono state individuate così delle strutture territoriali che andranno ad ospitarli". Strutture e relativi fondi: la Asl di Frosinone avrà a disposizione ben nove milioni di euro da destinare a questo scopo. Sono interessati due edifici: l'ex ospedale di Ceccano e l'ex Spdc di Pontecorvo. Lo spiega meglio la manager. "Con quei fondi rimetteremo in sesto l'ex Spdc di Pontecorvo che ospiterà provvisoriamente, in attesa che la Regione trovi una collocazione definitiva in provincia di Rieti, 12 donne. A Ceccano, invece, arriveranno in via temporanea venti uomini. Ma quei nove milioni serviranno soprattutto a sistemare - con lavori della durata di circa 400 giorni - spazi da anni in preda al degrado e all'incuria adiacenti all'attuale presidio sanitario, per poi allocarvi, stavolta in via definitiva, due blocchi da 20 uomini, sempre pazienti provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari, molti dei quali già in cura nel dipartimento di salute mentale di Frosinone". Si tratta di quella famosa "Ala Mosconi", oggi ricoperta dalle erbacce e ricettacolo di ogni genere di rifiuti. Ma le novità non sono ancora finite. "Avremo la possibilità di assumere - continua la Mastrobuono - circa 120 unità di personale ex novo e di potenziare i servizi già esistenti". Insomma, la manager è più che soddisfatta: "Questa novità diventa, oltre che una risposta istituzionale doverosa, un momento importante per l'occupazione e la riqualificazione di vecchi edifici. Una serie di vantaggi importanti che mi pare superino di gran lunga le polemiche di questi giorni". Bollate (Mi): mense in carcere, la coop "Abc - La sapienza in tavola" cerca finanziamenti Redattore Sociale, 5 febbraio 2015 Dopo che la Cassa delle ammende ha sospeso il servizio, si cercano alternative per continuare. Oggi a palazzo Marini, vertice con i consiglieri di maggioranza e opposizione. La cooperativa dei detenuti "Abc - La sapienza in tavola" del carcere di Bollate (Milano) sopravvive nonostante la chiusura del progetto di gestione della mensa. Ma la presidente Silvia Polleri non sa quanto potranno tirare avanti, così sta lavorando ad un grande progetto che è ancora tenuto in segreto attraverso cui accedere a nuovi fondi. È quanto emerge dalla Sottocommissione carceri di Palazzo Marino, in cui i consiglieri comunali di maggioranza e opposizione hanno chiesto alla presidente Polleri e al direttore del carcere Massimo Parisi come aiutare la cooperativa a restare in piedi. I problemi al momento sono tutti di ordine finanziario. Da quando il 15 gennaio la Cassa delle ammende ha sospeso i finanziamenti per le cooperative che avevano in gestione le mense di nove carceri italiane, i detenuti di Abc sono pagati a mercede, attraverso un voucher erogato dall'azienda in cui sono comprese le coperture Inps e Inail. Sul fatto che il finanziamento di Cassa delle ammende si interrompesse, l'amministrazione penitenziaria non ha mai fatto mistero: "Lo sapevamo già da un anno", ammette il direttore di Bollate Parisi. Per la cooperativa non ci sono più sgravi fiscali, previsti invece dalla Commissione Smuraglia per il lavoro in carcere. Anche lo stipendio dei detenuti si è dimezzato con il cambio di regime: da circa 1.200 euro al mese a meno di 600. "Questo non sarà il catering della misericordia. Stiamo continuando a cercare strade alternative per proseguire con il nostro servizio", dichiara Polleri. Da parte della direzione del carcere c'è stata la disponibilità a continuare a concedere l'uso della cucina anche per i prodotti di catering esterno, una delle stampelle su cui si reggono le finanze di Abc. I numeri raccolti dalla cooperativa confermano i risultati positivi dei dieci anni di progetti: dei 50 detenuti che hanno lavorato ad Abc solo cinque sono tornati a delinquere. Polleri stima che il carcere di Bollate abbia risparmiato all'anno grazie ad Abc 43 mila euro, soprattutto in spese di manutenzione della cucina e spese per la sorveglianza dei detenuti. Salerno: il Comune pensa a un Tavolo permanente dedicato alle condizioni delle carceri La Città di Salerno, 5 febbraio 2015 Un tavolo permanente dedicato alle condizioni in cui versano le carceri del nostro territorio. È la proposta lanciata dal Consigliere comunale Luciano Provenza nel corso della riunione di ieri della commissione Politiche sociali di cui è Presidente. "Sarebbe opportuno - ha detto - coinvolgere altri enti. Ho parlato già di questa idea al sindaco di Baronissi, Gianfranco Valiante, e ad alcuni consiglieri provinciali. Tra l'altro c'è una convenzione tra il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e l'Anci proprio per iniziative che favoriscano le condizioni di integrazione". Ad ascoltare la proposta ieri in commissione c'erano anche il segretario dei Radicali Salerno Donato Salzano, la vedova di Carmine Tedesco, detenuto morto due anni fa, ed Emilio Fattorello segretario nazionale del sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria. Si è parlato delle condizioni in cui versano sia gli agenti che i detenuti. "A Fuorni - ha spiegato Salzano - abbiamo 87 agenti di polizia per 450 detenuti. Siamo al di sotto della pianta organica necessaria almeno di un trenta per cento. Basti pensare che il 25 dicembre c'erano solo 28 "eroi" che mantenevano in piedi la struttura". Ma oltre al problema della carenza di organico c'è anche quello, come sottolineato dal sindacalista, della mancanza di formazione rispetto alle condizioni psicofisiche dei detenuti: "Non ci possiamo prendere certe responsabilità. Siamo sottoposti a un fortissimo stress". Quindi il caso Tedesco: "Un caso emblematico - ha spiegato Salzano. A distanza di due anni la Procura ha chiesto per due volte l'archiviazione. Noi ci siamo opposti. E se siamo venuti a conoscenza di quello che è accaduto è solo grazie allo zelante rapporto proprio degli agenti di polizia penitenziaria". Prato: donato un forno al carcere, ora i detenuti faranno il pane e le caramelle per tutti di Barbara Burzi Il Tirreno, 5 febbraio 2015 Ventisei aziende artigiane di Prato hanno donato un forno alla Dogaia e presto insegneranno anche la produzione di dolciumi. Per fare pane e piazza ci vuole un forno. Presto ne avrà uno anche il carcere di Prato, grazie a un'iniziativa di Enrico Fogacci, titolare dell'omonimo panificio, che ha avuto l'idea di lanciare una sottoscrizione per l'acquisto di un macchinario da donare alla casa circondariale "La Dogaia" per l'allestimento di un laboratorio di panificazione. In tanti - 26 aziende di cui 16 forni, 3 pasticcerie, 3 associazioni (Granprato, Confartigianato e Barnaba) e 1 negozio - hanno risposto all'appello compiendo un gesto di solidarietà, che si traduce nel versamento di 100 euro a testa, a contributo della donazione. Mancano soltanto 500 euro per acquistare lo strumento di cottura, usato ma solo poche volte, il cui costo ammonta a circa 3.000 euro. "Iniziando ad assistere agli spettacoli teatrali messi in scena da alcuni detenuti con l'aiuto dei volontari che li seguono in quest'attività ho imparato a conoscere la realtà del carcere e a capire quanto sia importante non lasciare sole queste persone - racconta Fogacci - da qui l'idea di destinare un forno per le attività a favore degli ospiti della Dogaia, con l'intento di creare un ponte tra la società civile e la realtà carceraria coinvolgendo, in questo progetto, non solo i miei colleghi, ma anche le aziende agricole del territorio e le pasticcerie, attraverso una sottoscrizione". L'iniziativa è stata molto apprezzata dagli operatori della casa circondariale, in particolare dal direttore Vincenzo Tedeschi, che sottolinea come "in tempi di crisi sia raro trovare così tanta sensibilità tra le persone, specie per sostenere lo sviluppo del lavoro in carcere". "Il recupero e il reinserimento dei detenuti nella società civile, come prevede la Costituzione, si fa cercando di aiutare queste persone ad acquisire competenze spendibili sul territorio - aggiunge - ecco perché questo gesto è un'iniziativa lodevole. Non dimentichiamoci che il carcere non è un luogo avulso dal contesto, ma una realtà che insiste sul territorio". Nell'ottica di allargare la gamma di proposte legate all'artigianato alimentare, un settore tra i più gettonati, la direzione insieme all'associazione di volontariato Barnaba e Confartigianato, sta valutando la possibilità di allestire un caramellificio. La lavorazione della pasta per la produzione di pane e prodotti da forno si è inserita tra le attività della Dogaia da circa due anni, durante i quali sono stati organizzati 4 corsi che hanno coinvolti circa 60 detenuti ("la pizza sarà inserita in menù"). "In seguito al successo di queste iniziative - spiega Marco Masini, volontario e docente di panificazione al laboratorio Dolcelab - con l'associazione Barnaba stiamo progettando un percorso di formazione nell'ambito della produzione di caramelle artigianali, un prodotto quasi scomparso che però è facilmente realizzabile in una realtà come quella del carcere, e soprattutto ha un valore, in quanto si inserisce bene nella tradizione dolciaria pratese. Le caramelle prodotte nel laboratorio della Dogaia entreranno nel circuito distributivo di importanti catene commerciali". Rimini: detenuti al servizio della città, avviato il progetto per la cura del decoro urbano www.riminitoday.it, 5 febbraio 2015 "Crediamo molto in questo progetto, una delle varie iniziative che vogliamo mettere in campo per favorire il percorso rieducativo dei detenuti", commenta il vice sindaco Gloria Lisi. Entra nel vivo il progetto promosso dal Comune di Rimini e dalla Casa circondariale di Rimini per il coinvolgimento dei detenuti nella cura del decoro urbano della città. Dopo l'approvazione della convenzione tra l'Amministrazione e la Casa Circondariale, sono state individuate le persone che saranno coinvolte nel progetto e che dunque saranno impegnate attivamente in attività di pubblica utilità, a partire dalla rimozione dei graffiti e delle scritte che deturpano le mura e gli edifici sia pubblici sia privati della città. Al momento sono tre le persone che sono state scelte per avviare il progetto, che sono già state dotate di tutte le attrezzature e dei dispositivi di sicurezza utili per portare a termine i lavori, realizzati sulla base delle indicazioni fornite dall'Amministrazione. Definita anche la prima parte del piano di intervento sugli edifici pubblici: tra i primi immobili ad essere ‘ripuliti' anche due edifici scolastici e le mura dell'Università di via Cattaneo, in centro storico. Programmati anche i primi interventi sugli edifici privati: a tal proposito l'Amministrazione Comunale invita sia i proprietari degli immobili sia gli amministratori di condominio a fare presenti le situazioni di degrado in modo tale da poter definire in maniera precisa gli interventi di rimozione dei graffiti e di pulizia. "Crediamo molto in questo progetto, una delle varie iniziative che vogliamo mettere in campo per favorire il percorso rieducativo dei detenuti - commenta il vice sindaco Gloria Lisi - e soprattutto per avvicinare la città con il mondo del carcere. I primi interventi partiranno a breve e speriamo di poter coinvolgere a breve un maggior numero di persone. Il progetto è affiancato ad altri che abbiamo già avviato, come la convenzione con il Tribunale per ospitare lavori socialmente utili come pensa sostitutiva per guida in stato di ebbrezza, ambito nel quale dal 2012 al 2014 sono state coinvolte un centinaio di persone. Si tratta di un modo per agevolare il reinserimento nella società, di rinforzare la funzione riabilitativa chi sta scontando una pena in carcere, dando loro l'opportunità di svolgere un lavoro utile alla comunità". Lecce: gatti abbandonati o feriti ricoverati in carcere, se ne prenderanno cura i detenuti www.lecceprima.it, 5 febbraio 2015 L'assessore comunale Andrea Guido, assieme all'istituto penitenziario e all'associazione delle guardie ambientali, ha lanciato un'iniziativa unica nello Stivale. I felini che non possono essere più lasciati in libertà saranno accolti dagli ospiti di Borgo San Nicola. La struttura sarà realizzata a titolo gratuito da una ditta di Carmiano I gatti infermi o soccorsi dopo gli incidenti? Se ne prenderanno cura i detenuti. È stato firmato questo pomeriggio il protocollo d'intesa tra il Comune di Lecce, la direzione del carcere, l'associazione Guardie per l'ambiente e la ditta Mello di Carmiano per la realizzazione e la gestione di un'area attrezzata per l'accoglienza dei felini presso l'istituto carcerario di Borgo San Nicola. L'accordo, sottoscritto dall'assessore alle Politiche ambientali Andrea Guido, dalla direttrice dell'istituto di pena, Rita Russo, dal referente provinciale dell'associazione, guidata da Domenico Clemente, e dall'amministratore della ditta, prevede la realizzazione di una struttura adeguata all'accoglienza di tutti quei felini che, avendo subito traumi o incidenti di vario genere, non sono più idonei a circolare sul territorio in completa libertà. Un'area adeguata, recintata e provvista di opportuni ripari e cucce e in cui l'assistenza ai felini sarà garantita dagli stessi detenuti. Caso unico in Italia. Alla realizzazione dell'area contribuirà in maniera gratuita la ditta la quale, secondo il protocollo sottoscritto, s'impegna nella predisposizione di tutte le opere necessarie come la recinzione con rete metallica e la posa in opera dei paletti di castagno. Mentre tutte le altre strutture in legno come, ad esempio, le cucce, saranno realizzate a cura della falegnameria del carcere stesso. Le guardie per l'ambiente, invece, provvederanno all'assistenza sanitaria dei gatti ospitati impegnandosi al contempo a fornire ai detenuti tutta l'assistenza necessaria per la corretta gestione comportamentale dei felini. "Non è la prima volta che mi avvalgo della collaborazione della casa circondariale di Borgo San Nicola - commenta Andrea Guido - e, ogni volta, ho avuto modo di rilevare la grande disponibilità della direzione e la concretezza dell'aiuto reso a supporto delle mie iniziative". L'esponente di Palazzo Carafa ha poi aggiunto: "Dopo l'accordo per la bonifica delle discariche abusive, per la manutenzione del verde e, soprattutto, dopo il grande impegno dimostrato appena lo scorso anno e volto all'aumento della percentuale di differenziata, arriva adesso un altro importantissimo accordo che permetterà di risolvere un grosso problema come quello della cura e della tutela dei felini in difficoltà. Un ringraziamento doveroso va rivolto alla dottoressa Rita Russo, direttrice dell'istituto, ma anche alla ditta Mello che non ha esitato a patrocinare gratuitamente tutto il progetto fornendo supporto tecnico e strutturale per la realizzazione dell'area di accoglienza". Piazza Armerina (En):, maxi rissa in carcere nel 2009, processo chiuso con venti condanne di Josè Trovato Giornale di Sicilia, 5 febbraio 2015 Si è chiuso con venti condanne e cinque assoluzioni il processo per la maxi rissa del 28 settembre del 2009 all'interno del carcere di Piazza Armerina, nel corso della quale rimasero feriti o contusi dieci detenuti e tre assistenti di Polizia penitenziaria. La furibonda lite, le cui ragioni sono rimaste oscure, è avvenuta proprio all'interno della casa circondariale, durante un momento che doveva essere di "socializzazione". La maggior parte degli imputati è siciliana, ma ci sono anche dei napoletani e alcuni detenuti extracomunitari, provenienti dal Marocco. In 31 erano originariamente sotto processo, poi alcune posizioni sono state stralciate e ieri il giudice monocratico Alessandra Maria Maira ha emesso la sentenza di primo grado a carico dei primi venticinque. In quattordici vengono condannati a 9 mesi per rissa: sono Francesco La Marca di Saviano, in provincia di Napoli, Vincenzo Di Somma di Castellammare di Stabia, Santo Naselli di Nissoria, il marocchino Walid Harhour, Bafoday Ceesay del Gambia, Domenico Russo e Vincenzo Nappello di Napoli, il nigeriano Okamibo Okorie, il ragusano di Ispica Giuseppe Monti, il palermitano Giovanni Scavone, i marocchini Yunes Moutamid, Samir Fernane, Driss Guerine e Mohamed Ain Tomar. In sei prendono invece 3 anni e 3 mesi di reclusione: sono i catanesi Gaetano e Sandro Berti, Salvatore Bonaccorsi, Antonio Nigito, Giuseppe Scuderi (di Acicatena) e il serbo Zeliko Dinovic. Oltre ad aver partecipato, secondo l'accusa, alla rissa, i sei avrebbero anche colpito degli assistenti di polizia penitenziaria. Sanremo: Sappe; scoppia rissa durante partita di calcetto tra cinque detenuti nordafricani Ansa, 5 febbraio 2015 Cinque detenuti nordafricani del carcere di Sanremo sono rimasti coinvolti in una rissa scoppiata nel pomeriggio durante una partita di calcetto sul campo sportivo del penitenziario. Una decina, secondo il sindacato Sappe, gli agenti intervenuti, che hanno impiegato circa un'ora per riportare i detenuti alla calma e poi in cella. Diversi gli agenti contusi e medicati nell'infermeria del carcere. Sembra che a provocare la rissa sia stato un detenuto di 27 anni, recentemente trasferito a Sanremo dal carcere genovese di Marassi, considerato particolarmente riottoso, violento e polemico. Lo stesso pochi giorni fa si è arrampicato sulla tettoia dei passeggi, in segno di protesta, perché voleva tornare nel penitenziario di Genova. Il Sappe mette sotto accusa "la linea morbida della direzione del carcere". "Abbiamo un direttore in servizio da 24 anni che ormai non è più motivato e un comandante della polizia penitenziaria troppo morbido". Perugia: l'Azienda Farmacie Comunali regala ai detenuti prodotti di cura e bellezza di Sabrina Busiri Vici Corriere dell'Umbria, 5 febbraio 2015 Una detenuta con lunghi capelli biondi raccolti in coda può essere la testimonial della giornata. Lei è davvero contenta di quegli shampoo e creme arrivati in omaggio dall'Azienda farmacie comunali (Afas). Pure gli altri prodotti per la cura della persona, contenuti all'interno di una decina di pacchi, fanno felici gli ospiti del carcere di Capanne. Martedì 3 febbraio, nella sala polivalente, si è conclusa la campagna portata avanti da Afas nel 2014: dieci mesi, da febbraio a dicembre, di raccolta per una solidarietà che va oltre le sbarre. I clienti delle farmacie del circuito in questi mesi hanno fatto il loro gesto di umanità donando un articolo per la cura della persona e riponendolo nei contenitori all'interno del punto vendita. I risultati sono stati "positivi al di là delle aspettative e significativi per una scelta di vicinanza diretta a chi sta lavorando per migliorare se stesso" commenta il direttore generale Afas, Raimondo Cerquiglini. A ricevere simbolicamente la gran quantità di prodotti è stato un giovane, fra i tanti in sala, che ha parlato spontaneamente a nome di tutti: "Per me la solidarietà è una pianta che bisogna far crescere perché faccia tanti frutti e in tanti possano raccoglierli". Il ragazzo è poi tornato alla sua sedia e ha aggiunto: "Beh, non mi fate l'applauso". Anche la donna bionda e la sua compagna, una giovane di colore, hanno voluto ringraziare porgendo al presidente Virgilio Puletti un biglietto rosso con un inserto all'uncinetto realizzato da loro. Dentro una bella frase: "La chimica cura e custodisce il corpo. La solidarietà e l'amore curano e custodiscono il cuore. Grazie della vostra presenza". Al clima di festa e di riflessione si sono aggiunte le parole della direttrice del carcere, Bernardina Di Mario, e dell'assessore comunale alle politiche sociali, Edi Cicchi, utili a fare il punto sulle iniziative che mettono in relazione carcere e territorio. "Il Comune di Perugia ha intanto tenuto invariato lo stanziamento diretto alla casa circondariale - annuncia l'assessore - e abbiamo intenzione di sviluppare soprattutto attività di tirocini extracurriculari, intendo le vecchie borse lavoro: periodi di orientamento professionale nelle aziende da svolgere a fine della pena per facilitare un reinserimento nella comunità". "È un aspetto molto importante - rilancia la direttrice - che abbiamo sperimentato con esito positivo nel progetto cucina e ha portato anche a dei contratti a tempo determinato per un paio di ex detenuti proprio per le loro ottime capacità". Altra iniziativa utile è la disponibilità offerta dall'amministrazione comunale, e gestita dalla cooperativa Ora d'aria, di una abitazione nel quartiere di San Mariano come punto di appoggio per familiari in visita o detenuti in permesso. "Spesso non ci sono le possibilità per trovare un alloggio in queste occasioni - precisa Di Mario - e avere questa casa per noi è assolutamente necessario". Così come sono utili tutti i servizi che Ora d'aria svolge all'interno del carcere: dalla riscossione delle pensioni alla diffusione di informazioni. Anche per l'Afas i progetti non finiscono qui, ce ne sono altri, assicura il presidente, con il coinvolgimento di altre istituzioni: Caritas e Croce rossa: "Il lavoro è complesso e la solidarietà richiede impegno condiviso". Bologna: all'Arena del Sole arriva la storica compagnia teatrale del carcere di Volterra di Ambra Notari Redattore Sociale, 5 febbraio 2015 Due serate all'Arena del Sole con lo spettacolo "Santo Genet" e due settimane di incontri e laboratori. Tra gli appuntamenti la lectio magistralis del fondatore Armando Punzo, dal titolo "La Compagnia della Fortezza: storia di un'utopia realizzata". Due settimane per scoprire e approfondire l'esperienza della Compagnia della Fortezza, il progetto di laboratorio teatrale nato nel carcere di Volterra (Siena) nel 1988 a cura di Carte Blanche sotto la direzione di Armando Punzo. Il loro ultimo lavoro, "Santo Genet", andrà in scena all'Arena del Sole il 21 e 22 febbraio, ma già da martedì 10 un percorso monografico curato da Rossella Menna condurrà il pubblico bolognese alla scoperta della storia di una delle vicende artistiche più innovative d'Europa. Si chiama "Voi non conoscete la sofferenza dei santi" e include attività artistiche, cinematografiche, formative, laboratoriali ed editoriali, con tappa in alcuni luoghi simbolo della cultura in città, tra i quali il Dipartimento delle Arti dell'Università di Bologna (nel 2014 proprio con il dipartimento e le Sovrintendenze archivistiche di Emilia-Romagna e Toscana è stato avviato il progetto di Archivio storico della compagnia). Come spiega la curatrice, "il progetto nasce dalla volontà di coltivare una relazione profonda, peculiare e duratura, distante dalla politica dell'evento, tra l'esperienza artistica e il territorio che la ospita. Intende dunque costruire uno spazio e un tempo d'incontro ideali in cui la compagnia possa letteralmente abitare la città". L'esordio del percorso è affidato ad Armando Punzo, regista e fondatore della Compagnia, che il 10 febbraio dalle 11 terrà una lectio magistralis – "La Compagnia della Fortezza: storia di un'utopia realizzata" - nel salone Marescotti di via Barberia 4. Martedì 17 dalle 17.45, nella Sala Cervi della Cineteca di Bologna sarà proiettato "Nella tana del lupo", docu-film di Matteo Belinelli sulla Compagnia e, a seguire, "Un chant d'amour" di Jean Genet. Mercoledì 18 febbraio alle 10, presso la Casa circondariale La Dozza Armando Punzo e Aniello Arena (detenuto del carcere di Volterra, condannato all'ergastolo, protagonista nel 2012 del film "Reality" di Matteo Garrone per cui ha vinto anche un Nastro d'Argento come miglior attore protagonista) incontreranno i detenuti. Alle 17.15, in Cineteca, proiezione proprio di Reality, Grand Prix al Festival di Cannes nel 2012. Giovedì 19 febbraio, dalle 15, all'Arena del Sole workshop per allievi condotto da Armando Punzo, mentre alle 18, "Benvenuta Fortezza!", una serata organizzata dal teatro di via Indipendenza per dare il benvenuto alla Compagnia e ripercorrere la sua storia attraverso i racconti di tanti di coloro che ne hanno seguito e condiviso il percorso fino a oggi. Venerdì 20 alle 17 all'Arena del Sole ci sarà la possibilità di assistere all'allestimento dello spettacolo Santo Genet". Caltanissetta: "Ip Musica", il progetto nisseno che porta le note nelle carceri minorili www.blogsicilia.it, 5 febbraio 2015 Portare la musica all'interno degli istituti penitenziari minorili coinvolgendo gli ospiti delle strutture in un mini laboratorio. È con questo spirito che nasce il nuovo progetto "Ip Musica", ideato e promosso dalla Muddy Waters Musica, etichetta discografica nissena, che riunisce le band Carnaby (Pietro Pelonero, Giuseppe Racalbuto, Joseph e Vincent Sandonato), Marilù (Andrea Amico, Marco Gioè, Salvo Montante) e Zafarà (Sergio Zafarana). Il primo appuntamento è fissato per il 12 febbraio quando, i tre gruppi musicali, nel corso della stessa giornata terranno un concerto pomeridiano, alle 18, all'istituto penitenziario minorile di Caltanissetta, e uno serale, alle 22 in un locale, che in questo caso sarà il Covo del Pirata di via Palermo. Il tutto sarà documentato in un reportage a cura del regista sancataldese Salvatore Pellegrino, allo scopo, come spiegano Andrea Amico e Sergio Zafarana, di cogliere emozioni e reazioni di chi prenderà parte al progetto. Palermo: incontro "Carceri e informazione, da presunzione innocenza a diritto all'oblio" Ristretti Orizzonti, 5 febbraio 2015 Nell'ambito degli eventi formativi organizzati dall'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, venerdì 6 febbraio 2015 (ore 9,30 - 13,30), a Palermo nella sede di via Bernini 52, il Prof. Avv. Lino Buscemi, docente a.c. di Teorie e tecniche della comunicazione pubblica nell'Ateneo palermitano, relazionerà sul tema "Carceri e informazione: dalla presunzione di innocenza al diritto all'oblio". Parteciperanno all'evento i giornalisti, pubblicisti e professionisti, iscritti al corso. Introdurrà i lavori il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia Dott. Riccardo Arena. Immigrazione: il Cie di Torino non chiude… diventerà una piccola Guantánamo? di Damiano Aliprandi Il Garantista, 5 febbraio 2015 Tra gli "ospiti" c'è già l'operaio pakistano di 26 anni, residente a Macerata, che inneggiava su Facebook alla jihad, dopo la sanguinosa catena di esecuzioni da parte dell'Isis. Il Centro di identificazione ed espulsione di Torino non verrà chiuso, ma sarà adibito per rinchiudere - almeno transitoriamente - i presunti terroristi islamici. La chiusura era stata promessa dallo stesso Sergio Chiamparino, il presidente della regione Piemonte. Invece ora si viene a scoprire che nel Cie torinese di via Brunelleschi verranno rinchiusi potenziali jihadisti. In realtà il Centro e già stato messo alla prova. Veniamo così a conoscenza che l'operaio pakistano di 26 anni, residente a Macerata, che inneggiava sul web alla Jihad, esultando su Face-book per la sanguinosa catena di esecuzioni Isis, il 20 gennaio scorso è stato rinchiusa nel Cie di Torino assieme ad altri islamici colpiti da provvedimenti analoghi in Piemonte. Lo avevano prelevato nel calzaturificio di Civitanova Marche - dove lavorava da anni - gli investigatori della Digos di Macerata; il gip del Tribunale ha convalidato la sua immediata espulsione. Il giovane, in Italia da 12 anni con la famiglia, non ha alcun tipo di precedente penale e si era difeso: "Non ho contatti con i guerriglieri, ho ricevuto i video jihadisti da un amico", aveva detto. Ma dopo la permanenza nel Cie, è stato espulso. Il Centro di identificazione ed espulsione di Torino dunque diventerà un luogo di transito, ultima meta prima del rimpatrio definitivo, di presunti fiancheggiatori, propagandisti, arruolatori, "foreign fighters" in partenza o di ritorno dai fronti di guerra del Califfato dell'Isis, tutti gli espulsi dal territorio nazionale dopo indagini incrociate tra l'intelligence europea e l'anti-terrorismo di polizia e carabinieri, in stretto collegamento con il Viminale. Il Cie in questione doveva essere chiuso. Fu visitato dal senatore Luigi Manconi e ne denunciò la situazione degradante. Poi fu la volta degli esponenti del Sel, tanto da presentare un'interrogazione parlamentare. E infine c'è stato il consiglio regionale del Piemonte che aveva approvato una mozione presentata da Sei che chiede la chiusura. Invece la beffa. Nel più stretto riserbo hanno ristrutturato varie sezioni del Cie e dai 20 posti attuali, se ne otterranno ben 90. Siamo passati dalla chiusura imminente, ad una riproposizione di una piccola Guantánamo? Stati Uniti: detenuto "giustiziato" in Texas, è la 521esima condanna a morte dal 1976 Ansa, 5 febbraio 2015 È stata eseguita in Texas la 521esima condanna a morte dal 1976, quando venne reintrodotta la pena capitale. Donald Newbury, di 52 anni, è stato ucciso con una dose di pentobarbital iniettata in vena ieri sera nel carcere di Huntsville. L'uomo è il terzo membro della "banda dei sette", protagonista di una delle evasioni più eclatanti della storia del Texas, messo a morte per l'uccisione di un poliziotto nel 2000, durante una rapina compiuta il giorno della vigilia di Natale. Un membro della banda si è suicidato poco prima della cattura, avvenuta circa un mese dopo la fuga, pur di non tornare in carcere. Tutti sono stati condannati a morte. Newbury, prima della fuga, era stato condannato all'ergastolo per rapina a mano armata. Costa d'Avorio: il governo ha accordato una "grazia collettiva" a tremila detenuti Agi, 5 febbraio 2015 Ne beneficeranno autori di reati comuni considerati in stato di precarietà o vulnerabilità e le persone che hanno avuto un comportamento "esemplare" in carcere. La misura non riguarda invece le diverse centinaia di persone finite in carcere in seguito alla crisi postelettorale del 2010-2011, segnata da scontri e violenze che hanno provocato tremila morti in cinque mesi. Lo scorso dicembre alcune centinaia di detenuti in carcere per gli scontri avvenuti dopo le elezioni hanno cominciato uno sciopero della fame per protestare contro la loro reclusione. Le carceri della Costa d'Avorio sono caratterizzate dal sovraffollamento cronico. Medio Oriente: la Giordania si vendica e impicca i prigionieri dell'Isis di Chiara Cruciati Il Manifesto, 5 febbraio 2015 Dopo la morte del pilota al-Kasasbeh, scoppia la rabbia: manifestanti danno fuoco ad un ufficio governativo. Re Abdallah promette un nuovo ruolo nella coalizione. Altissima tensione ad Ay e nella capitale. Il governo esegue le condanne contro i due iracheni affiliati all'Isis ed esamina tutte le "opzioni militari". Gli Usa raddoppiano la fornitura di armi al regno. La Giordania vendica il pilota Moath al-Kasasbeh e spera di impedire con il sangue l'escalation di tensioni interne: ieri all'alba la condanna a morte che pesava sulla qaedista Sajid al-Rishawi è stata eseguita. Con lei è stato impiccato nella prigione di Swaqa l'iracheno Ziad Karboli. Ex consigliere del leader di al Qaeda in Iraq al-Zarqawi, Karboli - come al-Rishawi - rappresentava il legame con quella branca dell'organizzazione madre che lo Stato Islamico considera riferimento ideologico. Nel pomeriggio di ieri il portavoce governativo al-Momani ha aggiunto che il paese sta discutendo in queste ore le possibili opzioni militari per contrastare l'Isis. Sul tavolo c'è la probabile intensificazione del ruolo all'interno della coalizione: "Ogni agenzia militare e di sicurezza dello Stato sta studiando le proprie opzioni - ha detto al-Momani - La risposta della Giordania sarà annunciata al momento opportuno". La questione è stata trattata anche oltreoceano: mentre un gruppo di senatori repubblicani annunciava l'intenzione di accelerare i tempi di consegna di nuove armi alla monarchia hashemita, la Casa Bianca firmava un nuovo accordo che fa passare gli aiuti militari e economici per il prossimo triennio da 660 milioni di dollari l'anno ad un miliardo. Così Amman spera di tenere a bada le pericolose pressioni interne. Le autorità giordane hanno promesso "una reazione da far tremare la terra" e martedì sera re Abdallah è apparso per poco più di un minuto in tv per ricordare che il pilota era figlio di tutta la Giordania, e non solo un membro di una tribù, un modo per tenere unito un paese che la lotta all'Isis potrebbe sfaldare. I primi segni di insofferenza sono comparsi martedì notte: nella capitale manifestanti furiosi si sono ritrovati in piazza e intonato slogan contro l'Isis. Non convincono del tutto i tentativi della monarchia di calmare le acque: esercito e esecutivo hanno dichiarato che al-Kasasbeh è stato giustiziato un mese fa. C'è chi considera tale versione un modo per giustificare lo stallo del negoziato in corso la scorsa settimana con lo Stato Islamico. Amman aveva chiesto prove che il pilota fosse ancora vivo, prima di rilasciate la qaedista al-Rishawi: se fosse effettivamente morto un mese fa, il governo sarebbe "scagionato". Molto più intense le manifestazioni che hanno avuto come teatro Ay, città natale degli al-Kasasbeh: decine di persone hanno preso d'assalto un ufficio governativo, lo hanno dato alle fiamme e accusato le autorità di non aver fatto abbastanza per salvare la vita del pilota. Il padre Safi - che nei giorni scorsi ha alzato la voce contro il governo - ha bollato le due esecuzioni come insufficienti e chiesto di più: "Voglio che lo Stato vendichi il sangue di mio figlio condannando a morte quei criminali che non hanno niente a che vedere con l'Islam". Una richiesta giunta anche da una delle più autorevoli istituzioni sunnite del mondo arabo, la moschea e università egiziana Al-Azhar, che senza mezzi termini ha auspicato la più irreversibile delle pene per i miliziani: "L'Islam vieta l'uccisione di esseri umani, atto maligno e vile - ha scritto il grande imam al-Tayib. Un atto così codardo richiede la punizione menzionata nel Corano per oppressori corrotti che combattono contro Dio e il profeta: la morte, la crocifissione, il taglio degli arti". E se da ogni angolo della regione, dal Libano all'Iran al Golfo, si condanna la brutalità dello Stato Islamico, a parlare è anche Damasco: il ministro degli Esteri siriano ha fatto appello ad Amman perché non abbandoni "la lotta contro il terrorismo del califfato, del Fronte al-Nusra e delle organizzazioni operative in Siria e nella regione". La Siria non ha mai cessato di accusare la Giordania di sostegno a quei gruppi di opposizione laici e islamisti che combattono da 4 anni il presidente Assad, attraverso aiuti finanziari e militari e appoggio politico, permettendo l'infiltrazione di estremisti. Ufficialmente Amman, uno dei partner strategici della coalizione, sta prendendo parte al programma Usa di addestramento di 5mila miliziani dell'Esercito Libero Siriano (che avrà come teatro Turchia, Arabia Saudita e Giordania), e già prima aveva messo a disposizione della Cia basi militari per il training delle opposizioni moderate anti-Assad. Ieri i media siriani definivano la morte di al-Kasasbeh la naturale conseguenza del sostegno di Amman ai ribelli. Nelle stesse ore quella morte convinceva gli Emirati Arabi a sospendere i propri raid aerei contro l'Isis. Amnesty: omicidio orribile, ma le esecuzioni non sono la risposta La crudele uccisione sommaria del pilota giordano Muath al-Kasasbeh, bruciato vivo in una gabbia dal gruppo armato Stato islamico - addirittura dopo una "consultazione" on-line sulle modalità della messa a morte, è per Amnesty International un crimine di guerra e un'efferata azione contro i principi più elementari di umanità. Muath al-Kasasbeh, pilota d'aviazione, era stato catturato nel dicembre 2014 quando il suo aereo si era schiantato al suolo nei pressi di Raqqa, in Siria, nel corso di un'operazione militare contro lo Stato islamico. In quello che è apparso in tutta evidenza un atto di vendetta, il 4 febbraio 2015 le autorità giordane hanno messo a morte due cittadini iracheni legati ad al-Qaeda, Sajida al-Rishawi e Ziad al-Karbouli. Al-Rishawi era stata condannata a morte per aver preso parte, nel 2005, a un attentato nella capitale giordana Amman, che aveva provocato 60 morti. Il suo avvocato difensore aveva inutilmente chiesto una perizia psichiatrica. Secondo un rapporto del relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, che nel 2006 aveva visitato la Giordania, la detenuta era stata torturata nel corso di un mese di interrogatori ad opera dei servizi d'intelligence del paese. Al-Karbouli era stato condannato a morte per appartenenza a un'organizzazione illegale, possesso di esplosivi che avevano causato la morte di una persona e omicidio. Secondo il suo avvocato, era stato torturato per costringerlo a confessare. "Le autorità giordane hanno tutto il diritto di provare orrore per l'uccisione del loro pilota, ma la pena di morte è la sanzione più estrema, una punizione crudele, disumana e degradante che, per di più, non dovrebbe mai essere usata come strumento di vendetta" ha dichiarato Phiilip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. "L'uccisione di Muath al-Kasasbeh ha mostrato di quanta e quale ferocia sia capace un gruppo come lo Stato islamico. Ma non dovrebbe essere permesso alle sue brutali tattiche di alimentare un ciclo sanguinoso di esecuzioni per vendetta" ha agggiunto Luther. Dopo otto anni di sospensione, nel dicembre 2014 la Giordania aveva ripreso a usare la pena capitale, mettendo a morte 11 prigionieri. Amnesty International ha sollecitato il governo a istituire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni in vista dell'abolizione della pena di morte. Brasile: ok Senato ddl ratifica del trattato sul trasferimento delle persone condannate Agi, 5 febbraio 2015 "Grande soddisfazione per il voto di questa mattina in Senato che ha approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato sul trasferimento delle persone condannate, sottoscritto fra l'Italia ed il Brasile nel 2000" viene espressa dal senatore socialista Fausto Guilherme Longo, eletto nella Circoscrizione dell'America meridionale, primo firmatario di un analogo ddl che ne sollecitava la ratifica. "Il provvedimento, già licenziato dalla Camera dei Deputati e quindi definitivo - spiega - è finalizzato allo sviluppo della cooperazione tra l'Italia ed il Brasile nel trasferimento dei cittadini detenuti nel territorio dell'altro Stato, in modo che tali soggetti possano scontare la pena nel proprio Paese". Egitto: 228 ergastoli per le proteste del 2011, condannato anche l'attivista Ahmed Douma Adnkronos, 5 febbraio 2015 228 persone, tra cui il noto attivista Ahmed Douma, sono state condannate all'ergastolo e a un'ammenda da 17 milioni di sterline egiziane (circa due milioni di euro) per gli scontri del 2011 con le forze di sicurezza alla fine del 2011, nei pressi della sede del governo al Cairo. Lo riporta il sito del quotidiano al-Masry al-Youm, secondo il quale il tribunale penale del Cairo ha condannato altre 39 persone a 10 anni di carcere. Douma è tra i leader della rivolta del 2011 contro l'allora presidente Hosni Mubarak e ha da subito preso posizione contro la giunta militare che ha preso il potere dopo la sua destituzione. Gli sono state rivolte numerose accuse, tra cui quelle di organizzazione di tumulti, di assalti alle forze di sicurezza, di incendio alle sedi del governo e del parlamento. Portogallo: Pastorale penitenziaria, Chiesa aiuta il reinserimento dei detenuti nella società Radio Vaticana, 5 febbraio 2015 "Dare dignità ai detenuti: dalle parole all'azione". Sarà questo il tema del 10° Incontro nazionale di Pastorale penitenziaria che si terrà a Fatima, in Portogallo, l'8 ed il 9 febbraio prossimi. Nel comunicato di presentazione dell'evento, padre João Gonçalves, coordinatore della Pastorale penitenziaria portoghese, ribadisce che "è sempre bene parlare di carceri e di detenuti, poiché si tratta di un argomento poco conosciuto e del quale si discute poco all'interno delle nostre comunità, ecclesiali o no". "In carcere - continua padre Gonçalves - il nostro rispetto ed il nostro aiuto vanno a tutti, sia nel periodo di reclusione, sia successivamente, nella fase di reinserimento familiare, lavorativo e sociale". I lavori del convegno si apriranno domenica prossima, nel pomeriggio, con la prima sessione, dedicata al settore religioso della Pastorale carceraria. Il giorno seguenti, dalle 9.30 alle 12.30 si discuterà dell'argomento dal punto di vista giuridico, mentre dalle 14.30 alle 17.30 si affronterà la questione sociale. L'incontro nazionale di quest'anno segue quello del maggio 2014 a carattere transnazionale, al quale hanno preso parte rappresentanti di Spagna, Gibilterra, Andorra e Portogallo. Nel comunicato congiunto diffuso lo scorso anno, si ribadisce la necessità di tutelare i diritti dei detenuti e ci si appella alle istituzioni affinché ricorrano alla pena della privazione della libertà solo come ultima scelta. Inoltre, si sottolinea l'impegno della Pastorale penitenziaria ad offrire supporto educativo ai prigionieri e si ricorda la necessità di una giustizia più umana, che implichi il perdono e la misericordia, e non sia solo "il prolungamento di una condizione di povertà" in cui si trovano molti detenuti ancor prima di commettere un reato. Di qui, l'invito a far passare il messaggio che "non è l'inasprimento delle pene che riduce i casi di recidiva nel crimine, bensì processi penali equi e dalla giusta durata, che guardano alla persona nella sua integrità".