Impiccati tra le sbarre di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 27 febbraio 2015 "È questa una macchina mostruosa che schiaccia e livella secondo una certa serie. Quando vedo agire e sento parlare uomini che sono da 5, 8, 10 anni in carcere, e osservo le deformazioni psichiche che essi hanno subito, davvero rabbrividisco, e sono dubbioso nella previsione di me stesso. Penso che anche gli altri hanno pensato (non tutti ma almeno qualcuno) di non lasciarsi soverchiare e invece, senza accorgersene neppure, tanto il processo è lento e molecolare, si trovano oggi cambiati e non lo sanno, non possono giudicarlo, perché essi sono completamente cambiati". (Antonio Gramsci, Lettera a Giulia, 19 novembre 1928). A volte penso che molti detenuti che in carcere si tolgono la vita forse scelgono di morire perché si sentono ancora vivi. E forse, invece, alcuni rimangono vivi perché si sentono già morti o hanno già smesso di vivere. Credo anche che molti detenuti si tolgano la vita perché l'Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) non risponde mai ai loro appelli disperati. Altri invece lo fanno per ritornare a essere uomini liberi. E molti si tolgono la vita perché non hanno altri modi per dimostrare la loro umanità. Oggi nella rassegna stampa ho letto la notizia di un altro suicidio, poche parole, pochi dati: Si chiamava Osas Ake. Si è impiccato nel carcere di Piacenza. Era in cella di isolamento perché "molto agitato". Aveva 20 anni, era nigeriano. Ed ho pensato a quella volta che ero entrato in una cella dove s'era impiccato un detenuto: Piano terra, cella 17. La chiave non girava. La mandata non scattava. Il blindato non si apriva. Mi stanco di aspettare con il sacco nero della spazzatura con dentro la mia roba personale sulle spalle. La poso in terra e chiedo alla guardia: Ma da quando è che non aprite questa porta? La guardia prima di rispondermi mi guarda con sufficienza, dall'alto al basso e poi ringhia: Da alcuni mesi, c'erano i sigilli giudiziari, c'è stata un'inchiesta, quello che c'era prima si è impiccato tra le sbarre. Puzzava di galera. Aveva una faccia da beccamorto. Una faccia di vampiro sfortunato che non riceveva da tempo una sufficiente razione di sangue. Gli dico: Mettetemi in un'altra cella. La faccia da beccamorto mi risponde: Non sei in albergo, qui sei a Nuoro e poi celle libere non ce ne sono. E poi urla alla guardia del piano di sopra: Collega, manda quelli della manutenzione: la porta non si apre. Io intanto aspetto. Dopo dieci minuti arriva una guardia con due lavoranti e un cannello con la fiamma ossidrica. Tagliano la serratura e ne saldano una nuova. Entro, mi chiudono il cancello e mi lasciano il blindato aperto. Mi guardo intorno, non mi muovo, rimango fermo e vedo escrementi di topo dappertutto, ragnatele al soffitto, macchie di umidità alle pareti. Ero arrivato all'inferno di Badu e Carros. E pensai per un attimo di impiccarmi anch'io alle sbarre della finestra. Solo i coraggiosi però hanno il coraggio di evadere dal carcere, i vigliacchi come me rimangono. Ed io sono rimasto in quella cella per cinque lunghi anni. Poi ho saputo che il compagno che s'era tolto la vita in quella cella era un ergastolano ostativo. E sono diventato amico del suo fantasma che mi ha tenuto compagnia per tanti anni. Giustizia: i magistrati e la responsabilità civile? "ci vogliono normalizzare" di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 2015 Rodolfo Sabelli va subito dritto al punto: "La riforma della responsabilità civile ha un valore politico, il vero tema è il riequilibrio dei rapporti tra politica e magistratura. Da decenni si parla di riformare la responsabilità civile dei giudici e questa legge è il punto d'arrivo. Così si manda un messaggio simbolico". Quale? "La normalizzazione dei magistrati" risponde Maurizio Carbone. "Delegittimare la magistratura - aggiunge Valerio Savio. L'equilibrio tra poteri si gioca sulla reciproca legittimazione ma questa legge è un attacco alla legittimazione dei magistrati davanti alla comunità". Le parole del presidente, del segretario e del vicepresidente dell'Anm fanno impallidire quelle pronunciate quando governava Silvio Berlusconi e lo scontro politica-giustizia era conclamato. Tutt'altro che alle spalle, quello scontro si ripropone oggi in modo persino più acuto, come testimonia la conferenza stampa di ieri dei vertici Anm. Nelle stesse ore il premier Matteo Renzi twittava: "Responsabilità civile dei magistrati: una firma attesa da 28 anni. Un gesto di civiltà", scavando ancora di più il baratro che separa il suo governo dai magistrati. Non a caso, il ministro della Giustizia dice che la legge "tutelerà di più i cittadini" ma l'Anm ribatte che invece "li danneggerà", soprattutto "i più deboli". Tipico esempio di "travisamento del fatto", tanto per citare uno dei punti (critici) della legge, che chiamerebbe a risponderne per "colpa grave" l'uno o l'altro dei contendenti. L'Anm non vuole "tirare per la giacca" il Capo dello Stato, al quale ha chiesto un incontro soprattutto per parlare della giustizia. Ricorda che il caso-Tortora, "doloroso e terribile", risale al vecchio Codice di procedura penale ma portò a modifiche della custodia cautelare e della legge sui pentiti "ben più importanti che risarcire gli errori". Accusa però il governo di mentire. Sull'Europa, perché "non è vero" che questa riforma l'ha voluta l'Ue; l'Europa è stata il "pretesto" per iniziare, "con slogan demagogici e delegittimanti, una "campagna propagandistica contro la magistratura" finalizzata alla sua "normalizzazione". "Non è vero" che la legge tutela i cittadini, perché la sua carica "intimidatoria" verso i magistrati potrebbe danneggiarli, specie "i più deboli", anche se "i magistrati non si faranno intimidire" e l'Anm vigilerà su "abusi" e "uso strumentale della legge". "Non è vero" neppure che il governo stia facendo buone riforme per la giustizia. "Aveva annunciato 12 punti, in gran parte non realizzati o indeboliti rispetto agli annunci". La legge sulla responsabilità civile è "la scappatoia" con cui il legislatore scarica sui magistrati "l'incapacità di varare interventi seri e concreti". Ecco allora "la sfida" al governo, un decalogo di 10 "buone riforme": dalla cancellazione della ex Cirielli sulla prescrizione (con blocco dei termini dopo la condanna di primo grado) all'estensione alla corruzione degli strumenti investigativi previsti per la mafia, dal rafforzamento della lotta all'evasione all'assunzione di nuovi cancellieri ("Orlando ne aveva annunciati mille, ma il bando non si è mai visto"). "Non è vero", infine, che l'eventuale azione risarcitoria scatterà solo dopo la sentenza definitiva, perché la riforma la prevede anche nella fase cautelare (arresti, sequestri nel penale; giudizi sommari e d'urgenza nel civile) e, spiega Sabelli, con l'eliminazione del filtro e l'introduzione del "travisamento del fatto e delle prove" molti magistrati saranno "costretti" ad affiancare (anche formalmente) l'Avvocatura dello Stato per tutta la durata del giudizio di responsabilità e dovranno quindi astenersi (o saranno ricusati) nel procedimento cautelare. Accadrà, quindi, il contrario di quanto la Consulta aveva detto nel 1990 promuovendo il filtro, e cioè che non bisognava lasciar spazio a qualunque azione per evitare il proliferare di astensioni e ricusazioni. "C'è il rischio - osserva Ezia Maccora, componente del Comitato direttivo centrale dell'Anm - che, per i cautelari più rilevanti, le conseguenze più pericolose dell'azione diretta contro i magistrati, uscite dalla porta, rientrino dalla finestra. In contrasto con la sentenza della Corte costituzionale del 90". Giustizia: Orlando "la responsabilità civile non è una punizione, più poteri ai magistrati" di Liana Milella La Repubblica, 27 febbraio 2015 Intervista al ministro Guardasigilli. Andrea Orlando "deluso" dalle toghe. Orlando che assicura: "Il governo non è contro la magistratura". Orlando che rimbrotta chi critica la legge "perché non è stato compreso pienamente il meccanismo". Le toghe sono furibonde contro di lei. Se l'aspettava? "Francamente no, e mi è dispiaciuto per gli argomenti usati, quel parlare di "volontà punitiva", anche perché loro conoscono bene l'iter testo. Hanno visto l'intervento del governo per correggere il ddl Buemi al Senato e la legge Comunitaria alla Camera, dove c'erano forme di responsabilità invasive e lesive dell'autonomia e indipendenza della magistratura". Deluso? "Non me lo aspettavo, perché il testo è passato al Senato con una larghissima maggioranza, per giunta non "nazarenica", visto che Fi era critica e M5s a favore. Ho incontrato tutte le componenti dell'Anm, ci hanno segnalato i punti critici, ho speso l'impegno del governo per garantire nella relazione una nota chiarificatrice sul "travisamento del fatto e delle prove"". Dica la verità, c'era un patto con l'Anm di "tagliandare" il testo in cambio del no allo sciopero? "Non c'era alcun accordo, ma ho garantito il monitoraggio a tutte le componenti, comprese quelle pro sciopero". Il monitoraggio non si poteva fare prima? "E come si faceva? Non sappiamo quanti ricorsi ci saranno, né gli errori contestati, ci sarebbe voluto Nostradamus… Ma faccio io una domanda, perché i magistrati hanno cominciato a gridare solo dopo il voto? All'apertura dell'anno giudiziario hanno parlato di ferie, non certo della responsabilità civile…". Forse pensavamo che vi sareste fermati, invece avete tagliato il filtro sui ricorsi strumentali… "Quel filtro si era trasformato in una muraglia al punto da scoraggiare i ricorsi. Era una barriera insormontabile". Coscienza tranquilla? "Ho difeso il giudice non mero applicatore di sillogismi, ma autonomo interprete della legge". Ne ha parlato con Mattarella? "L'ho aggiornato sui passi avanti". Però Legnini teme l'escalation dei ricorsi… "Questo timore c'era pure per la Vassalli, ma i ricorsi sono via via scemati". E se la legge finisce alla Consulta? "Si pronuncerà come su qualsiasi legge". Non è incostituzionale togliere il filtro? "Nel processo civile ci sono gli strumenti per disincentivare le liti temerarie". Il "travisamento dei fatti e delle prove": è la frase che allarma le toghe. Lei la minimizza, perché? "Sono due profili distinti, lo Stato è condannato a pagare quando c'è un dolo, una colpa grave, o un travisamento di fatti e prove. Il giudice è chiamato a rispondere solo quando c'è la negligenza inescusabile. Molti di quelli che commentano legge non hanno colto la differenza. Voglio ricordare che parliamo sempre di fatti macroscopici". Tutte le toghe non hanno capito? "Interpretano male il segnale politico". Sarà un boomerang per Renzi? "No, chi si aspetta che i giudici siano condannati ogni tre per due resterà deluso. Chi pensa che si possano rimettere in discussione dei giudicati resterà deluso. Ma valutiamo se è utile creare una corsia preferenziale per i ricorsi palesemente infondati nel civile, un'ipotesi già prevista nella legge Berruti". E la pagina a pagamento sui giornali per ringraziarvi della legge? "Il tema si è caricato di una valenza fortemente ideologica. Questa legge equilibrata chiude una guerra ventennale". A danno dei magistrati. "Assolutamente no. Il segnale più forte sta nel dar loro poteri più stringenti come l'auto-riciclaggio, le norme contro la corruzione, portate avanti con determinazione assoluta". Anti-corruzione? Ma siamo a caro amico… "La settimana prossima andrà in aula al Senato e a metà marzo tocca alla prescrizione alla Camera". Ha finito di litigare con la Guidi sul falso in bilancio? "Il Mise era preoccupato per una norma che penalizzasse imprese che, per dimensione e struttura, possono commettere errori. Ne terremo conto, ma senza ricorrere alle soglie. Berlusconi considerava i magistrati dei nemici potenti e faceva leggi contro di loro. Voi li sminuite come una casta di fannulloni che deve pagare quando sbaglia. Non è una delegittimazione più subdola? "È una lettura forzata. Siamo molto attenti alla vita dei magistrati, affrontiamo i loro problemi, cancellieri compresi. I nuovi strumenti ci saranno, dall'anti- corruzione alla legge sugli eco-reati, alla procura anti-terrorismo. Sono segnali di fiducia verso la magistratura. E comunque io non ho mai detto che lavorano poco, o che il taglio delle ferie risolve i problemi della giustizia. Ma se si chiede al Paese di fare sacrifici l'invito va raccolto, pur riconoscendo la specificità del lavoro dei giudici". Si farà il tagliando? Il vice ministro Costa dice già di no… "Ho preso un impegno per il governo, non mio personale. Il Csm si candida a vigilare". Legnini commissario per la responsabilità civile? "Il Csm è l'organo giusto". Giustizia: il ministro Orlando "deluso dai magistrati, reazioni sproporzionate" Silvia Barocci Il Messaggero, 27 febbraio 2015 "Responsabilità civile, dispiaciuto per le critiche: non c'è alcuna volontà punitiva da parte del governo. Mossi con massima attenzione e in dialogo con il Colle". Reazioni che lo amareggiano e che arrivano tardivamente rispetto a un testo che "non espone i magistrati ad alcun tipo di pressione" e che "assolutamente non renderà più difficili le indagini di mafia e di corruzione". Il ministro della Giustizia Andrea Orlando tenta di rassicurare le "toghe", accogliendo con favore la proposta del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini di compiere un monitoraggio degli effetti della nuova legge sulla responsabilità civile per poi farne un "tagliando" tra sei mesi. Ministro, i magistrati non hanno fatto sciopero ma la loro reazione contro la legge è pesantissima. Se lo aspettava? "Francamente no e ne sono anche dispiaciuto. Non c'è alcuna volontà punitiva da parte del governo nei loro confronti. Trovo che ci sia una sproporzione tra la legge approvata e le reazioni. Ricordo infatti che il testo era passato al Senato con una larghissima maggioranza non "nazarenica", tra le critiche di Forza Italia, l'astensione di Sel e il sì di M5S. Si tratta esattamente dello stesso testo ora approvato alla Camera". Il presidente Mattarella ha richiamato i magistrati a non essere né protagonisti né burocrati. Non è che per timore di sbagliare le toghe, adesso, vireranno verso una normalizzazione, come denuncia l'Anm? "Credo che tutti i magistrati italiani abbiano timore di commettere negligenze inescusabili e che non per questo siano condizionati nel giudizio. Noi abbiamo respinto qualsiasi ipotesi di responsabilità legata all'interpretazione delle norme. Prima dell'approvazione della legge avevo incontrato l'Anm e le sue preoccupazioni si erano concentrate sulla cancellazione del filtro di ammissibilità dei ricorsi, che avrebbe potuto ingorgare i tribunali o determinare una pressione indiretta. Ma non fino al punto di chiamare in causa l'indipendenza e l'autonomia della magistratura". Perché, se ciò fosse avvenuto avreste cambiato il testo? "Se l'Anm non ha sollevato prima la questione significa che l'argomento non era così stringente. Anche perché prima di procedere ci siamo mossi con grande attenzione al profilo costituzionale, in dialogo costante con la presidenza della Repubblica". Eppure l'annuncio di "tagliando" alla legge, fatto ancor prima della sua approvazione, ha fatto pensare a una sorta di patto: voi magistrati non scioperate e noi cambiamo le norme. "No, questo è un impegno che avevo preso a suo tempo con l'Anm e in quell'occasione erano presenti anche le componenti che volevano lo sciopero, Magistratura indipendente e Proposta B. Mi ero impegnato a un'attività di monitoraggio ed è una prassi che stiamo utilizzando per tutti i provvedimenti adottati". Ma questo monitoraggio non si poteva fare prima? "Come si fa a monitorare una legge che ancora non è stata approvata? Ci voleva Nostradamus. Abbiamo costruito una relazione di accompagnamento con la quale facciamo delle ipotesi. Ma è giusto che gli effetti siano misurati". Solo 9 ricorsi accolti in 10 anni, colpa del filtro? "Il filtro si è trasformato oggettivamente in una muraglia e ha scoraggiato anche la domanda di giustizia che probabilmente esisteva e che non possiamo misurare". La legge sulla responsabilità delle toghe non è riuscita a Berlusconi e riesce ora a Renzi. C'è una volontà ostile del governo? "No, assolutamente. Penso invece che abbiamo manifestato la volontà di preservare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura intervenendo contro qualunque tentativo di introdurre la responsabilità diretta dei magistrati e contro qualsiasi altri ipotesi surrettizia, penso ad esempio a chi voleva legare il quantum del risarcimento alla dimensione del danno provocato. Con questa legge il giudice risponderà soltanto in ragione del proprio stipendio e non del danno prodotto. Trovo veramente offensivo l'argomento utilizzato della giustizia di classe". Sull'abolizione del filtro c'è però il rischio che venga sollevata questione di legittimità costituzionale in relazione a una sentenza del 1990 della Consulta secondo cui quel meccanismo tutela la serenità di giudizio. "Nel caso si pronuncerà la Corte. Ma ritengo che oggi ci siano strumenti per disincentivare la lite temeraria che possono essere ulteriormente rafforzati, prevedendo nella riforma del processo civile una corsia preferenziale per decidere celermente i ricorsi manifestamente inammissibili o infondati. E poi mi lasci dire una cosa su cui si sta facendo molta confusione". Quale? "Esistono due profili distinti: lo Stato è condannato a pagare quando c'è un dolo, una colpa grave o un travisamento del fatto e delle prove. Il giudice, per quanto riguarda ipotesi di colpa e travisamento, è chiamato a rispondere soltanto quando si prova la negligenza inescusabile, quando ad esempio si è dimenticato una persona in galera. Molti di quelli che stanno commentando questa legge questo aspetto non l'hanno colto, soprattutto per quanto riguarda il travisamento del fatto o delle prove". Eppure, magistrati di punta denunciano con forza il rischio di indebolimento. "Credo che questa legge non esponga ad alcun tipo di pressione né diretta né indiretta. Arriva in un momento storico in cui ci sono molti cambiamenti, che possono anche stressare l'attività del giudice. E questo è un malessere che ha generato anche una forte conflittualità tra le correnti della magistratura". Esclude che questa legge possa da domani rendere più difficile le indagini di mafia e corruzione? "Lo escludo totalmente. Credo che il segnale più forte di fiducia nella magistratura è l'introduzione di nuovi reati come l'auto-riciclaggio, per arrivare alle norme sulla corruzione che saranno portate avanti con determinazione". A proposito di anticorruzione, avete vinto le preoccupazioni del ministro Guidi sul falso in bilancio? "La preoccupazione è per le imprese che, per struttura e dimensione, possano incorrere più facilmente nel falso in bilancio. Un criterio oggettivo per escludere quelle più piccole. L'emendamento arriverà la prossima settimana". Giustizia: piangono e strillano… così i magistrati hanno ottenuto il massimo di Rita Bernardini (Segretario di Radicali Italiani) Il Tempo, 27 febbraio 2015 Hanno ottenuto il massimo che potevano dopo 28 anni di tradimento del voto popolare espresso a grandissima maggioranza nel referendum promosso dai radicali e dopo che, nel 2011. "Il pianto frutta": nessuno meglio dei magistrati italiani sa mettere in pratica questo antico modo di dire della saggezza popolare. Frignano per poi piangere fino a singhiozzare perché con la legge appena approvata sulla responsabilità civile, le toghe nostrane ritengono di non essere più indipendenti, di essere sottoposte a continui ricatti e costrette ad auto-contenersi per il timore di essere chiamate in causa. La verità è che hanno ottenuto il massimo che potevano dopo 28 anni di tradimento del voto popolare espresso a grandissima maggioranza nel referendum promosso dai radicali e dopo che, nel 2011, la Corte di Giustizia Europea aveva condannato l'Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei giudici nell'applicazione del diritto europeo. Oggi al Governo e in Parlamento sono tutti protesi a rassicurare i magistrati che strillano e battono i piedi minacciando sfracelli. Da una parte il Parlamento è arrivato ad appiccicare alla legge una relazione d'accompagnamento in cui si spiega che per "negligenza inescusabile" si intende un travisamento "macroscopico ed evidente" dei fatti; dall'altra il Governo che, con il ministro della Giustizia, s'inventa il "tagliando", affermando di essere pronto a cambiare la legge entro sei mesi se ci saranno abusi. Ma quali abusi si possono temere se saranno giudici a giudicare altri giudici? In realtà, già quando fu promosso quel referendum, insieme al compianto Enzo Tortora, i radicali avevano ammonito che occorreva urgentemente affrontare le questioni della separazione delle carriere, degli incarichi extragiudiziari, dei distacchi dei magistrati nell'amministrazione pubblica, dell'automaticità delle carriere, del principio (falso perché impossibile da attuare) dell'obbligatorietà dell'azione penale, della correntocrazia nel Csm, insomma, una riforma organica della Giustizia che affermasse concretamente la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Oggi, con oltre cento magistrati distaccati presso gli uffici legislativi dei ministeri, c'è poco da stare tranquilli: c'è sempre una manina pronta a pinzare alle leggi l'interpretazione autentica, oppure un'intimidazione per la quale l'esecutivo si ritiene costretto a promettere revisioni nel caso in cui gli effetti delle leggi non assicurino, come è stato fino ad oggi, l'impunità delle toghe, i loro privilegi, le loro carriere. Grande assente da questo film - e ho motivo di dubitare che entrerà in scena - è l'illegalità palese dell'amministrazione della Giustizia che colpisce, come denunciava il Commissario per i diritti umani Alvaro Gil-Robles 10 anni fa, il 30 per cento della popolazione italiana per tempi irragionevoli trascorsi in attesa di una decisione giudiziaria, in violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; Convenzione che, secondo il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa viene sistematicamente violata dall'Italia fin dal 1980. Noi che la lotta per la responsabilità civile dei magistrati l'abbiamo per anni fatta-vissuta-vinta assieme ad Enzo Tortora con il calvario che quest'uomo perbene ha dovuto subire, siamo raggiunti da un'infinita tristezza quando vediamo che Renzi twitta esultante la foto di Tortora e tutti i media lo ritwittano raggianti. Quando nell'83 abbiamo sposato la causa di Tortora l'abbiamo fatto contro tutto e tutti perché era unanime il coro che definiva Enzo un camorrista, "cinico mercante di morte". Non c'è da meravigliarsi, dunque, se oggi - pressoché isolati - Marco Pannella e i radicali fanno proprio, nell'impegno politico quotidiano, il messaggio che il Presidente Emerito Napolitano ha inviato al Parlamento nell'ottobre del 2013 sulle infami carceri e sulla débâcle della giustizia italiana: non siamo bizzarri oggi, così come non lo eravamo più trent'anni fa al fianco di Enzo Tortora. Mi auguro che questa volta ci si aiuti ad aiutare il Paese e coloro che abitano il nostro territorio a non subire per troppo tempo ancora le conseguenze di una democrazia perennemente tradita nei suoi connotati costituzionali. Giustizia: la riforma? è solo uno sberleffo, ma gli Dei non accettano oltraggi di Piero Sansonetti Il Garantista, 27 febbraio 2015 Anm furiosa per le nuove norme sulla responsabilità civile, carbone e sabelli: "è la normalizzazione della magistratura". Libererebbe forse l'Italia da un sovrappeso "feudale" che ancora ne condiziona profondamente la struttura democratica, e che probabilmente è in contrasto con lo spirito della Costituzione, che è una Costituzione Repubblicana e che prevede l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Alcuni magistrati dicono: ma noi siamo magistrati, non cittadini. E su questa base pretendono di non dover sottostare alla legge. Ritengono - temo in buona fede - che la saldezza di una società, e la sua moralità, e il suo essere "società etica" (successivamente si passa all'idea dello "Stato Etico") non possono che essere affidati ad una entità e ad un gruppo di persone migliori degli altri ("aristoi") i quali siano in grado di "sapere" la vita degli altri, valutarla, giudicarla, punirla. Non è questa una funzione - pensano - che possa essere affidata alla democrazia, o al libero svolgimento delle relazioni umane e sociali, perché la democrazia è un buon sistema di governo ma è viziato da corruzione. E l'eccesso della libertà, della deregolamentazione, sono pericolose per la collettività. La democrazia deve essere " corretta", o comunque controllata, e anche la società, da qualcosa di superiore e di "certamente morale": e cioè da i giudici. Contestare questa funzione dei giudici vuol dire contestare la loro indipendenza. E mettere in discussione l'indipendenza dei giudici vuol dire correre il rischio che la magistratura finisca per non essere più autonoma dalla politica. L'autonomia dalla politica non è vista come una condizione di funzionamento della magistratura, o come un elemento necessario nell'equilibrio dei poteri, ma come un valore assoluto al quale una società "morale" deve sottomettersi, e in assenza del quale la società diventa "immorale" e la democrazia, e le istituzioni, scendono in una condizione di subalternità alla politica. La politica è "il male" , la giustizia (lo dice la parola stessa) è il bene, e il bene può governare il male, e può redimerlo, correggerlo, sottometterlo. Il male non solo non può governare il bene, ma non può aspirare ad essere alla pari col Bene. Ecco, questo ragionamento è alla base delle molte dichiarazioni rilasciate ieri dal dottor Carbone, e anche dal presidente dell'Anm Sabelli. Il quale ha rimproverato al governo di avere promesso una riforma della Giustizia in 12 punti, e di avere realizzato invece l'unico punto che non va bene, e cioè la riforma della responsabilità dei giudici. I magistrati invece - ha spiegato - vogliono cose diverse: per esempio la riduzione della prescrizione, l'estensione dei poteri speciali "antimafia" anche ad altri reati, il processo telematico (cioè la cancellazione del diritto dell'imputato ad essere presente al suo processo), la riduzione dei gradi di giudizio, eccetera. In sostanza, la proposta dell'Anm (che più o meno è stata organicamente strutturata nella proposta di riforma del dottor Nicola Gratteri) è quella di escludere norme che riportino alla normalità la magistratura, ristabilendo la legittimità dello Stato liberale e dell'equilibrio dei poteri, ma, viceversa, decidere un forte aumento dei poteri della magistratura, un ridimensionamento drastico dei diritti dell'imputato, e un rafforzamento della condizione di preminenza e di insindacabilità dei pubblici ministeri. Sabelli ha anche annunciato che l'Anm ha chiesto un incontro al Presidente della Repubblica. Per dirgli cosa? Per esprimere le proprie rimostranze contro il Parlamento. Già nella richiesta dell'incontro c'è un elemento di scavalcamento dell'idea (puramente platonica in Italia) dell'indipendenza dei poteri. La magistratura ritiene che il suo compito non sia quello semplicemente di applicare le leggi, ma di condizionarne il progetto e la realizzazione. L'associazione magistrati chiede al Presidente della Repubblica di frenare, o condizionare, o rimproverare il Parlamento. E vuole discutere nel merito delle leggi. La magistratura considera inviolabile la propria indipendenza dagli altri poteri, e inaccettabile la pretesa di indipendenza degli altri poteri dalla magistratura. Devo dire che la passione con la quale i magistrati hanno reagito alla miniriforma della responsabilità civile mi ha colpito soprattutto per una ragione: questa riforma è quasi esclusivamente simbolica. La responsabilità dei giudici resta limitatissima. L'unica vera novità è la rimozione del filtro che in questi vent'anni aveva permesso solo a 4 cittadini di ottenere un risarcimento per la mala-giustizia (nello stesso periodo sono stati processati e condannati 600.000 medici). Tutte le altre barriere restano. I magistrati saranno giudicati solo in caso che sia accertata una colpa grave, o addirittura un dolo nel loro comportamento, saranno giudicati non da una autorità esterna ma dai loro colleghi (visto che oltretutto non esiste una divisione delle carriere) e se alla fine saranno ritenuti colpevoli pagheranno con una sanzione che in nessun caso potrà superare la metà dell'ammontare di un anno di stipendio. Voi conoscete qualche altra categoria professionale protetta fino a questo punto? La probabilità di essere condannati per i magistrati è così bassa, e l'esiguità della pena così forte, che chiunque può mettersi al riparo pagando una assicurazione con poche decine di euro. Cosa che non vale per i medici, o gli ingegneri (non parliamo dei giornalisti) che essendo espostissimi al rischio di condanna (anche senza dolo e senza colpa grave) se vogliono sottoscrivere una assicurazione devono pagare migliaia e migliaia di euro. Diciamo che il privilegio non è affatto toccato da questa riformetta. Appena appena scalfito. E allora? Il fatto è che comunque la riforma ha un valore ideale, è una specie di metafora. Il Parlamento, per una volta, non si è inginocchiato davanti alla magistratura. È questa la novità che ha messo in allarme i settori più corporativi della magistratura. Il timore è che davvero possa cambiare il clima politico e possa essere aperta una via alle riforme vere, e al ridimensionamento della "Divina Giustizia". No, la riforma non comporterà la caduta degli Dei. Solo che gli Dei non sopportano gli oltraggi. Sono permalosi. È sempre stato così, dai tempi di Omero. E questa legge è uno sberleffo inaccettabile, anche se innocuo. Giustizia: irresponsabilità civile… come i magistrati proveranno a svuotare la riforma di Claudio Cerasa Il Foglio, 27 febbraio 2015 Minimizzare la portata del disegno di legge appena approvato sulla responsabilità civile dei magistrati sarebbe errato. Non fosse altro perché siamo pur sempre di fronte al legittimo tentativo di un governo di rispondere, con 27 anni di ritardo, a un'esigenza che i cittadini italiani allora dimostrarono di avere ben chiara in sede referendaria. Tuttavia non sarebbe nemmeno utile concedere spazio alle sole critiche distruttive del nuovo regime di responsabilità dei giudici, come quelle che arrivano da Anm e corifei vari. Piuttosto merita una riflessione l'intervista concessa ieri al Messaggero dal procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio. Quest'ultimo mette in guardia dalla "possibilità" che in una prima fase ci siano "valanghe di ricorsi" da parte dei cittadini interessati per presunto "travisamento del fatto" operato dal giudice. Considerato che "lo stesso fatto può essere valutato in diversi modi in tutti i gradi di giudizio", un monitoraggio (auspicabilmente terzo) è da prevedere. Nordio però aggiunge pure: "È sacrosanto che lo stato risarcisca davanti a una decisione ingiusta, anche andando al di là del testo approvato e riconoscendo il pagamento delle spese legali a chi ha subìto un processo dal quale è risultato innocente". Non solo. Se i magistrati facilmente si assicurano contro sanzioni pecuniarie, il procuratore auspica che "un magistrato che manda in galera una persona contra legem non deve pagare, deve essere buttato fuori dalla magistratura". Tutto ciò che infatti perpetua l'autotutela dell'ordine giudiziario rischia di svuotare il tentativo di responsabilizzare i singoli giudici. Giustizia: strumenti anti-corruzione, più personale e risorse, la sfida delle toghe al governo di Dino Martirano Il Corriere della Sera, 27 febbraio 2015 E ora, dopo il varo della legge sulla responsabilità civile delle toghe, per l'Associazione nazionale magistrati si apre un doppio fronte. Quello esterno, sul quale viene lanciata la sfida al governo Renzi per "dieci riforme della Buona Giustizia" utili al Paese, e quello interno che vede la leadership dell'Anm combattere le spinte corporative favorevoli allo sciopero. Spinte che arrivano dalla base e, paradossalmente, con più forza dalla corrente conservatrice di Magistratura indipendente legata al sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri. L'arroccamento corporativo, è il parere del vertice dell'Anm, "sarebbe in questo momento un errore gravissimo". Il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli, nella sua conferenza stampa è dunque andato oltre la denuncia reiterata contro lo "spirito punitivo" e le "spinte alla normalizzazione" che, secondo i magistrati, porta con sé la legge sulla responsabilità civile. Sabelli ha fatto sapere che c'è una richiesta di incontro con il presidente della Repubblica al quale i magistrati si rivolgeranno (anche nella sua qualità di presidente del Csm) per cercare un alleato sul piano delle riforme della "Buona Giustizia". Eccolo il decalogo che l'Anm propone al governo Renzi: prescrizione e abrogazione della ex legge Cirielli; più strumenti investigativi contro la corruzione (gli stessi previsti per la mafia); rafforzamento della lotta all'evasione; assunzione di nuovi cancellieri; riqualificazione del personale amministrativo; più risorse alla Giustizia; riforma del sistema delle nullità; investimenti per gli educatori nelle carceri. Su due punti il Parlamento potrebbe presto dire la sua: i primi di marzo va in aula al Senato il ddl anticorruzione (con le incognite sul falso in bilancio) e il 16 la Camera affronta il testo sulla prescrizione. Due temi, questi, sui quali sono accesi i riflettori della comunità internazionale: "Essenzialmente, l'Italia ha due problemi, i processi lenti e la corruzione che è una tassa sui vostri prodotti" ha detto l'ambasciatore Usa John R. Phillips alla Scuola Sant'Anna di Pisa. Giustizia: i magistrati travisano i fatti e la legge, quando si parla della loro responsabilità dalla Giunta dell'Unione delle Camere Penali www.camerepenali.it, 27 febbraio 2015 È in corso un'imponente campagna di disinformazione orchestrata da parte della magistratura volta a far credere che, con la nuova disciplina, il magistrato che viola manifestamente la legge o travisa grossolanamente i fatti o le prove è chiamato personalmente a pagare i danni e che si tratta di una modifica incostituzionale. Né l'una né l'altra cosa corrispondono al vero e chi dice il contrario non conosce la legge, o dice consapevolmente il falso. La categoria interessata dalla recente approvazione della riforma della disciplina del risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e della responsabilità civile dei magistrati sta mettendo in essere una sistematica ed imponente opera di disinformazione per far credere all'opinione pubblica che i magistrati potranno essere chiamati direttamente a rispondere di tasca propria per gli eventuali errori compiuti nell'esercizio delle loro funzioni. Si cerca, inoltre, di propagandare l'incostituzionalità della nuova disciplina nella parte in cui indica quale fonte di responsabilità il travisamento del fatto e della prova. Va chiarito immediatamente che l'ampliamento della sfera della responsabilità civile ha riguardato solo lo Stato, mentre quella del magistrato è rimasta immutata: l'azione diretta continua ad essere consentita solo nei confronti dello Stato e perché possa essere esperita l'azione di rivalsa, non solo il magistrato deve avere violato manifestamente la legge o travisato altrettanto macroscopicamente i fatti o le prove, ma deve averlo fatto per un tale profilo di negligenza da essere considerata "inescusabile" (o con dolo, cioè volontariamente e con la consapevolezza di violare la legge) e ciò esattamente negli stessi termini in cui era previsto dalla legge Vassalli. Nella eventualità in cui ciò dovesse accadere, il limite della rivalsa - a prescindere dall'ammontare del danno cagionato (anche si trattasse di svariati milioni di euro) e dal numero dei danneggiati (anche fossero centinaia di persone) - sarà pari complessivamente alla metà dello stipendio netto del giudice autore del provvedimento (considerando lo stipendio medio di un magistrato, il limite della rivalsa si aggirerebbe intorno alla somma di 25.000 euro), e tale importo potrà essere agevolmente coperto da una polizza assicurativa di circa 200 euro all'anno. È poi assolutamente conforme ai principi costituzionali la norma che fa sorgere la responsabilità civile dello Stato ove il giudice emetta un provvedimento a seguito del travisamento del fatto o della prova - poiché come osservato dall'Unione delle Camere Penali Italiane in sede di audizione davanti alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (osservazioni condivise dalla Commissione e riprese espressamente in sede di relazione davanti all'Assemblea parlamentare) - l'unico "travisamento" rilevante, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata, è quello "macroscopico, evidente che non richiede alcun approfondimento di carattere interpretativo o valutativo". Se il "travisamento" si traduce esclusivamente in un "evidente stravolgimento del dato fattuale" è agevole dimostrare che ci si trova davanti ad ipotesi patologiche che nulla hanno a che fare con la normale interpretazione o valutazione della prova che, diversamente da quanto denunciato dalla magistratura in questi giorni, resta anche per la nuova legge del tutto insindacabile. La pretesa di porre un tale "travisamento macroscopico" al di fuori di ogni profilo di responsabilità è la pretesa di mantenere i magistrati "legibus soluti", secondo canoni e principi ottocenteschi tipici di stati autoritari, il tutto in danno del cittadino vittima. Non si può poi dimenticare che è la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ad aver condannato l'Italia proprio perché la legge Vassalli non prevedeva la risarcibilità dei danni procurati da un provvedimento giudiziario reso sulla base del travisamento del fatto o della prova. Era la precedente disciplina, dunque, ad essere incostituzionale, per effetto del recepimento dei principi del diritto europeo attraverso gli artt. 11 e 117 della Costituzione e non certo quella attuale. Né può dimenticarsi che la stessa legge Vassalli è stata oggetto di condanna proprio perché il risarcimento per responsabilità civile dei magistrati risultava essere "eccessivamente difficile se non impossibile", e pertanto la nuova legge risponde ad una evidente esigenza di tutela dei cittadini danneggiati da macroscopiche violazioni, i quali hanno visto in passato i responsabili di gravi condotte, non solo sottratti a qualsivoglia azione di responsabilità, ma anche beneficiati da avanzamenti in carriera. Quando, infine, sentiamo affermare dal Presidente di Anm che con questa legge si è inteso "riequilibrare" i rapporti fra magistratura e politica, immaginiamo che il dott. Sabelli sia incorso in un lapsus freudiano capace di svelarci come, anche per lui, tali rapporti siano effettivamente nel nostro paese del tutto squilibrati in favore della magistratura. Giustizia: 50 giorni in prigione perché i giudici erano distratti di Armando Veneto (Avvocato) Il Garantista, 27 febbraio 2015 Clamoroso errore della Cassazione, le argomentazioni del ricorso erano inoppugnabili ma non le hanno ascoltate. Questa è la cronaca dettagliata di un piccolo errore giudiziario. È un episodio, a mio parere significativo; e capace di orientare chi vorrà esprimere una opinione informata e responsabile sulla questione della responsabilità civile dei magistrati. Ometterò data e nomi per ragioni di opportunità e rispetto di chi ha sbagliato e di chi ha subito l'effetto dell'errore; ma i fatti sono questi. Si discuteva in Cassazione il ricorso di imputati condannati per avere coltivato cannabis; si chiedeva l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito perché, essendo intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge che equiparava le pene per possesso di droghe pesanti e leggere, venisse ricalcolata la pena e ridotta la condanna, in base alla normativa precedente a quella non più applicabile. Visto che la cannabis è una droga leggera. Il procuratore generale è d'accordo e concorda con i difensori per l'accoglimento del ricorso sul punto. I difensori intervengono e ribadiscono la fondatezza della tesi: infatti non si può fissare una pena sulla base di una norma non più applicabile. Viene emessa la sentenza e i difensori sono allibiti: il ricorso viene dichiarato inammissibile. Il giorno dopo i condannati vengono arrestati e condotti in carcere. Ma il giorno stesso del deposito della sentenza, e solo dopo averla firmata, il Presidente del Collegio (anticipando addirittura l'iniziativa della difesa) si avvede che è stato commesso un errore: l'estensore nel motivare la sentenza ha trattato tutti i punti del ricorso, tranne l'unico che "doveva" essere accolto: cioè quello relativo all'annullamento per essere venuta meno la norma applicata dal giudice della condanna. Comunica il fatto al Procuratore generale e perché lo stesso ricorra al rimedio del ricorso straordinario per errore di fatto e, nel contempo, intervenga per far liberare coloro che sono stati portati in carcere in base ad una sentenza nulla. Conclusione: dopo oltre un mese e mezzo di detenzione senza titolo valido i ricorrenti vengono liberati; la sentenza dovrà essere emendata, la pena ricalcolata con la prospettiva che gli imputati possano chiedere di non scontarla in carcere. Bene; il lettore potrà dire: tanto rumore per un errore sanato in tempi brevi. C'è di peggio, certo. Ma il problema non è quello di un magistrato, gravato da tanto lavoro, con in testa i problemi che ogni giorno deve affrontare, dimentichi di scrivere in sentenza le quattro parole che servivano per annullare la sentenza impugnata con rinvio allo stesso giudice per ricalcolare la pena. Il problema sta in queste domande: a cosa pensava il giudice relatore negli oltre 40 minuti nel corso dei quali il Pg e la Difesa chiarivano e spiegavano le ragioni che, senza alternative, imponevano l'annullamento? Ed a cosa pensavano tutti i componenti del collegio quando parevano interessati all'argomento? Ma soprattutto, come e con quali contributi hanno partecipato alla camera di consiglio? E come mai nessuno di loro, nel licenziare il verdetto di declaratoria di inammissibilità del ricorso si è ricordato che vie era un tema che "doveva" imporre l'annullamento della sentenza? Ed infine: perché mai un errore così madornale non è stato visto prima di rendere pubblica la sentenza e prima di apporre le firme in calce ad essa; e prima di spedire in galera due cittadini? L'attento lettore risponda alle domande che ogni cittadino dovrebbe porsi, e solo dopo, esprima un "consenso informato" a favore del timido accenno alla repressione degli errori in materia di giustizia. Timido, perché ci sarebbe ancora tanto altro da fare. Cassazione: Cassazione; in cella i tre metri sono "targati" Cedu, respinto il ricorso del Ministero di Maurizio Caprino Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 2015 Non c'è una legge che imponga una superficie minima da garantire ai detenuti in cella, ma il giudice di sorveglianza può fissarne una: basta che motivi correttamente la sua decisione. È in base a questo principio che la Prima sezione penale della Cassazione, con la Sentenza n. 8568/15 depositata ieri, ha bocciato un ricorso del ministero della Giustizia contro un'ordinanza che prescriveva di garantire al detenuto che l'aveva sollecitata uno spazio di tre metri quadrati, al netto di mobili e servizi igienici. Il ministero aveva appunto eccepito che i tre metri quadrati non sono un parametro di legge, ma solo un'elaborazione della Corte europea dei diritti dell'uomo (caso Torreggiani contro Italia), mentre la Convenzione europea dei diritti dell'uomo si limita a vietare "trattamenti inumani e degradanti". Inoltre, la superficie andrebbe calcolata comprensiva di mobili e servizi igienici. La Cassazione nota che in questo caso l'impugnazione è possibile solo per violazione di legge: all'ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza si può applicare l'articolo 71-ter della legge 354/1975. La violazione di legge può consistere solo in motivazione inesistente o "meramente apparente". Ma ciò non è accaduto nel caso in esame, perché il tribunale ha citato la sentenza Torreggiani motivandone correttamente le ragioni e in particolare motivando la necessità di calcolare la superficie al netto di mobili e servizi. Giustizia: Ospedali psichiatrici giudiziari; si avvicina la chiusura, ma futuro ancora nebuloso di Luciana Grosso L'Espresso, 27 febbraio 2015 Dal primo aprile gli ospedali psichiatrici giudiziari dovrebbero lasciare il passo alle nuove strutture "per l'esecuzione della misura di sicurezza". Ma sulla sorte dei malati-detenuti, c'è nebbia fitta e l'unica apparente certezza è che per loro cambierà poco o nulla. Manca poco più di un mese e poi, il primo aprile, i sei Ospedali psichiatrici giudiziari attivi in Italia chiuderanno per sempre, ultimo capitolo della lunga transizione iniziata nel 1978 con la legge Basaglia. Un passo atteso da tempo e che anzi, avrebbe già dovuto compiersi lo scorso marzo, salvo poi essere prorogato di un altro anno. Nonostante questo, però, sulla sorte dei malati-detenuti, c'è nebbia fitta e l'unica apparente certezza è che per loro cambierà poco o nulla. Lo scorso 30 novembre, negli Opg italiani, risultavano detenute poco meno di 800 persone, più di 400 delle quali perfettamente dimissibili che, in base a quanto previsto dalla legge 81 del 2014, dovrebbero essere affidati ai dipartimenti di salute mentale delle Regioni di residenza. Diverso invece il discorso per i non dimissibili, ossia per chi è considerato pericoloso per sé o per gli altri: a loro toccherà il ricovero nelle nuove Rems, residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza, strutture sanitarie che, in teoria, le regioni si sarebbero dovute preoccupare di preparare a partire dal 2008, o costruendole ex novo o riattando strutture esistenti. Solo che non lo hanno fatto. "Nella migliore delle ipotesi le regioni sono in ritardo, nella peggiore non si vedrà nulla per anni - dice Michele Miravalle di Associazione Antigone, gruppo tra i più attivi nel monitorare la condizione di chi vive in carcere-e il risultato è che oggi, a 40 giorni dall'ora X, di Rems, in Italia, non si vede l'ombra.". Al ministero, in base a quanto si legge nella relazione trimestrale dello scorso settembre, disponibile sul sito del Ministero della Giustizia, sono arrivati piani, progetti, proposte (per una spesa complessiva di circa 88 milioni di euro) ma i tempi saranno lunghi, tanto che nella relazione stessa si legge testualmente: "Nonostante il differimento al 31 marzo 2015 del termine per la chiusura degli OPG, sulla base dei dati in possesso del Ministero della salute appare non realistico che le Regioni riescano a realizzare e riconvertire le strutture entro la predetta data". Quindi se il 31 marzo chiudono gli Opg e il primo aprile non aprono le Rems cosa succederà ai detenuti? "Niente, o quasi: che le Rems dovessero sostituire gli Opg si sa dal 2008 e le regioni hanno avuto tutto il tempo e le proroghe per mettersi in regola - continua Miravalle - e comunque o non lo hanno fatto del tutto oppure comunque non sono riuscite a rispettare i tempi. E questo comporterà, di fatto, la non chiusura degli Opg che, in buona sostanza rimarranno operativi, sia per i dimissibili che per i non dimissibili, cambiando nome e poco altro, diventando strutture sanitarie e non più detentive, sulla scia di quanto in parte si verifica già da tempo a Castiglione delle Stiviere, in Lombardia e mettendoci una pezza, anche se le Rems sono e dovevano essere un'altra cosa". Le Rems, almeno nelle intenzioni, dovrebbero essere strutture molto più piccole, espressamente terapeutiche, e presenti in ogni regione, cosa che evidentemente non sarà se ci si limiterà a un riciclo dei sei Opg esistenti. E qui arriva il secondo snodo della faccenda, ossia l'intenzione da parte del Ministero della Giustizia di commissariare le regioni inadempienti, "Da parte del Governo - dicono da Via Arenula - c'è la ferma intenzione di dare attuazione concreta e definitiva al superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari entro l'annunciato termine del primo aprile 2015, senza ulteriori proroghe. Per questo sarà avviata la procedura di commissariamento per quelle Regioni che non sapranno garantire il completamento delle iniziative necessarie per la presa in carico dei soggetti dichiarati dimissibili e di quelli non dimissibili". In buona sostanza tutte, o quasi, rischiano il commissariamento ad acta. "I ritardi - continua, Cesare Bondioli, responsabile Opg per il gruppo Psichiatria Democratica-sono da attribuire a vari fattori, primo tra tutti il fatto che molte regioni hanno presentato dei progetti faraonici che poi, giocoforza, hanno dovuto ridimensionare in corsa. Ad oggi solo quattro Regioni hanno dichiarato di essere in grado di rispettare la scadenza senza ricorrere al privato: Emilia Romagna, Campania, Calabria e Friuli Venezia Giulia, quest'ultima ricorrendo a strutture a gestione mista. Allo stesso modo, però, dieci regioni Veneto, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo Molise, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna e la Provincia Autonoma di Trento non sono state in grado di indicare un termine certo per la presa in carico dei propri internati. Una situazione che, anche sulla scia di quanto successo con la chiusura dei manicomi, l'ultimo dei quali ha chiuso i battenti con 20 anni di ritardo sulla Legge Basaglia, non lascia presagire niente di buono". Forza Italia: no a Rems in centri abitati e strutture ospedaliere "È evidente che andare oltre l'esperienza degli ospedali psichiatrici giudiziari sia una battaglia di civiltà completamente condivisibile. È però altrettanto evidente che sia una battaglia di civiltà anche quella di non far ricadere le criticità legate a strutture di questo tipo su cittadini, territori e offerta sanitaria. Dunque, il nostro no è fermo e risoluto su ogni proposta di realizzazione di Rems in centri abitati, o che vadano a sottrarre posti letto e infrastrutture alla offerta sanitaria sul territorio, già ridotta all'osso da Zingaretti. Un no chiaro sia sulla proposta di Rems definitiva a Subiaco che a quella provvisoria - dal valore di 1.345milioni di euro - a Palombara Sabina, proprio perchè non rispondono in alcun modo a questi semplici requisiti di buon senso. Queste strutture saranno oggetto di ampia verifica nella commissione salute di lunedì prossimo: è urgente trovare soluzioni chiare per le residenze, le cui esigenze però devono compenetrare completamente quelle dei territori. Non è pensabile infatti localizzare in un ospedale in un centro abitato reparti dove si scontano vere e proprie pene detentive, nè tantomeno se site a poche decine di metri da una scuola materna. La salute dei detenuti deve essere preservata, è sacrosanto. Non a scapito, però, delle necessità di Subiaco o di Palombara Sabina". Lo dichiarano Antonello Aurigemma e Adriano Palozzi, capogruppo e consigliere FI della Regione Lazio. Abruzzo: il vice Presidente del Consiglio regionale Paolini in visita al carcere di Sulmona Askanews, 27 febbraio 2015 Il Vice Presidente del Consiglio regionale, Lucrezio Paolini, ha visitato questa mattina il penitenziario di massima sicurezza di Sulmona. Le motivazioni della visita sono state due: la necessità di verificare la condizione dei detenuti e del personale del penitenziario e la sicurezza all'interno dell'istituto di pena. "Il carcere di massima sicurezza di Sulmona - spiega il Vice Presidente Paolini - ospita attualmente 500 detenuti e nell'immediato futuro vedrà ampliare la sua capienza di altri 200 unità, questo a fronte di un organico già oggi sottodimensionato. Alla carenza di personale si deve aggiungere la necessità di potenziamento di strutture giudiziarie, sanitarie e di polizia. Sarà importante quindi l'azione di programmazione della Regione per garantire il necessario supporto. Un altro aspetto è quello della sicurezza: la pericolosa opera di indottrinamento e reclutamento svolta da condannati per appartenenza a reti terroristiche, nei confronti di altri detenuti, attraverso lo sfruttamento del particolare stato psicologico di coloro che entrano nel sistema carcerario, obbliga a porre l'attenzione sul sistema di sicurezza adottato nei nostri Istituti di pena. Sarà importante che le forze di polizia penitenziaria svolgano un ruolo di controllo e prevenzione e per fare questo devono essere adeguatamente supportate e preparate. In questo momento bisogna dare massima attenzione alla sicurezza dei cittadini". La mattinata si è conclusa con la visita alla sede della Scuola di formazione e aggiornamento del personale di Polizia Penitenziaria. Lavori ripartiranno in estate "I lavori per la realizzazione del nuovo padiglione del carcere di Sulmona ripartiranno all'inizio della prossima estate per terminare entro la fine dell'anno". Lo ha annunciato il vicepresidente del Consiglio regionale, Lucrezio Paolini, il quale, accompagnato da Susanna Loriga, vice responsabile nazionale del dipartimento sicurezza dell'Italia dei Valori e dal già vicequestore del Corpo Forestale del Lazio, Lamberto Alfonsi Schiavitti, ha visitato il carcere di Sulmona incontrando il direttore Sergio Romice e i sindacati dei poliziotti penitenziari. Nel nuovo padiglione ci sarà spazio per 200 detenuti che andranno a sommarsi agli attuali 500. "Questo a fronte di un organico già oggi sottodimensionato - ha spiegato Paolini. Alla carenza di personale si deve aggiungere la necessità di potenziamento di strutture giudiziarie, sanitarie e di polizia; sarà importante quindi l'azione di programmazione della Regione per garantire il necessario supporto". Paolini ha sostenuto, soprattutto dopo il colloquio con i sindacati, che "deve essere perfezionato il piano sanitario regionale dell'assistenza penitenziaria su Pescara - precisando che - sulla struttura sanitaria pescarese è previsto un piano che deve servire per ospitare i detenuti di tutti gli istituti abruzzesi, anche di quelli di Sulmona perché l'attuale repertino dell'ospedale peligno non soddisfa le esigenze di salubrità". Attenzione per indottrinamento in carcere "Sarà importante che le forze di polizia penitenziaria svolgano un ruolo di controllo e prevenzione per evitare che la pericolosa opera di indottrinamento da parte dei condannati per appartenenza a reti terroristiche islamiche, nei confronti di altri detenuti, possa favorire il loro reclutamento". Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio regionale, Lucrezio Paolini insieme a Susanna Loriga, vice responsabile nazionale del dipartimento sicurezza dell'Italia dei Valori, al termine della visita odierna al carcere di Sulmona. Secondo Paolini "sarà importante che le forze di polizia penitenziaria svolgano un ruolo di controllo e prevenzione e per fare questo devono essere adeguatamente supportate e preparate". "Nessun caso nel carcere di Sulmona, ma in tutti gli istituti italiani si sta svolgendo un'opera di sensibilizzazione - ha aggiunto Loriga. Servirebbe un maggior coordinamento fra il personale in servizio presso gli Istituti penitenziari e l'intelligence per un rapporto di costante segnalazione ed osservazione dei soggetti a rischio". "I reclutatori hanno costruito una consistente rete di controllo - ha concluso la vice responsabile nazionale del dipartimento sicurezza dell'Idv - e il reclutamento nel carcere esige un sistema di controllo di massimo livello poiché, proprio la popolazione carceraria è più vulnerabile e con una forma mentis predisposta a tale fenomeno di radicalizzazione". Piacenza: dicono che Osas si è suicidato in cella, ma ora scatta un'inchiesta di Damiano Aliprandi Il Garantista, 27 febbraio 2015 Aperta un'inchiesta sul suicidio di Osas Ake, il 20erme nigeriano che si è impiccato il 14 febbraio scorso all'interno della sua cella del carcere di Piacenza, Da quattro mesi era in carcere in attesa di giudizio, l'accusa era grave: quella di aver violentato e rapinato, in un appartamento della zona-stazione, due donne colombiane. Quando decise di farla finita era in isolamento, ha ritagliato un pezzo della sua maglietta e ne ha ricavato un cappio. Era stato prontamente soccorso dalle guardie penitenziarie, ma niente da fare: dopo quattro giorni di agonia è morto in ospedale. Il giorno che decise di impiccarsi era avvenuto però qualcosa di particolare. Il giovane nigeriano era andato in escandescenze in un corridoio della struttura piacentina e si denudò, per questo motivo fu punito e rinchiuso in cella di isolamento. Poi la macabra scoperta da parte di un agente carcerario che, per motivi di sicurezza, chiama alcuni colleghi per poi soccorrere il ventenne impiccatosi alla finestra. Come da prassi la Procura ha aperto una inchiesta e disposta l'autopsia per chiare cosa accadde quel giorno, tra l'altro coincidente con un altro detenuto che, senza riuscirci, voleva togliersi la vita. Ciò evidenza l'inferno che si vive in carcere: il tragico gesto del nigeriano è il settimo, dall'inizio dell'anno, nelle carceri italiane. "Come uomo - spiega l'avvocato Domenico Noris Bucchi alla Gazzetta di Reggio - il suicidio di Osas mi ha turbato non poco. Come suo difensore e come presidente della Camera penale reggiana, questo episodio mi induce ad una riflessione più complessa". L'avvocato continua con il racconto: "Osas Ake aveva vent'anni, non era ancora stato condannato e in attesa del processo si è tolto la vita impiccandosi in una cella di isolamento. Questo è il settimo suicidio in carcere dall'inizio dell'anno. Nel 2014 i suicidi nelle carceri italiane sono stati quasi 50. Un fenomeno che deve fare riflettere tutti noi". Poi prosegue: "Da anni le Camere Penali denunciano le condizioni disumane nelle quali sono costretti a vivere i detenuti in Italia. Lo stesso presidente Giorgio Napolitano ha recentemente denunciato pubblicamente questa insostenibile situazione. Tuttavia nessuno fa nulla per, non dico risolvere, ma neppure affrontare, denunciare, questa situazione". L'avvocato Bucchi rilancia: "Ebbene io vorrei approfittare di questa triste vicenda per ricordare a tutti e ribadire ad alta voce che la situazione dei detenuti in Italia è drammaticamente al collasso. Che nessuno ha il diritto di privare un altro uomo della sua dignità. Che anche i detenuti sono uomini e come tali devono essere trattati, Che occorre stimolare le istituzioni ad affrontare questo delicatissimo tema". E conclude: "Se qualcosa, anche poco, si muoverà allora anche il sacrificio umano di Osas Ake non sarà stato vano". Osas Ake era un clandestino di appena vent'anni totalmente solo, tanto è vero che la notizia della sua morte è arrivata nello studio di Bucchi il quale era il suo unico riferimento in Italia. Non sappiamo se sia innocente o meno, sappiamo solamente che non doveva morire. Ma il sistema penitenziario, di fatto, ha rispristinato la pena di morte. L'emergenza - tra l'altro confermata dai due rapporti internazionali pubblicati oggi su questa stessa pagina de Il Garantista - non è finita. Livorno: il Garante regionale Corleone "le scale sociali in prigione sono sempre pericolose" www.gonews.it, 27 febbraio 2015 "Presto sarà attivo il nuovo padiglione di alta sicurezza; manca solo il collaudo della cucina, ma per rendere le condizioni del carcere di Livorno accettabili c'è ancora molto da lavorare" - ha detto il garante regionale dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, al termine del sopralluogo di questa mattina. "Sono preoccupato - ha aggiunto Corleone - per la disparità di ambienti, per la differenza abissale che c'è tra il padiglione di alta sicurezza e le altre strutture. I 97 detenuti che andranno nel nuovo padiglione avranno celle doppie con servizi, una sala colloqui ampia e luminosa, mentre i 117 "poveretti" che sono nei locali di media sicurezza, per reati minori, si trovano in tre per cella, in locali piccoli con docce e servivi igienici inadeguati". "Un conto è se tutti stanno male - ha commentato Corleone - ma le scale sociali in carcere possono rappresentare un problema". La visita al penitenziario Le Sughere rientra nel percorso che il garante sta portando avanti attraverso gli istituti penitenziari della Toscana con l'obbiettivo di verificare sul campo se la diminuzione delle presenze di detenuti rispecchi anche il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Corleone ha parlato della mancanza della sezione femminile che "in Toscana è presente solo a Pisa, Empoli e Sollicciano", "il penitenziario di Livorno avrebbe lo spazio per riattivare il reparto donne". "Dei 117 detenuti presenti - ha aggiunto il garante - ben il 50 sono per detenzione a fine di spaccio e oltre la metà sono stranieri". Tra le criticità evidenziate da Corleone ci sono le condizioni deplorevoli in cui si trovano la vecchia cucina, l'infermeria e la biblioteca, quest'ultima "ospita 4 mila volumi, adesso inaccessibili per l'inagibilità dei locali". Hanno partecipato alla visita nell'istituto penitenziario anche il garante dei detenuti del comune di Livorno Marco Solimano e il consigliere regionale Marco Taradash (Ncd). Domani Corleone visiterà la casa di reclusione di Massa. Saranno presenti la direttrice Maria Martone e l'ex garante provinciale Umberto Moisè. Milano: 8 Marzo; 400mila bracciali realizzati da detenute, parte ricavato a lotta contro violenza Ansa, 27 febbraio 2015 Saranno le detenute di alcune carceri a realizzare in occasione della festa della donna, il prossimo 8 marzo, circa 400 mila braccialetti in stoffa, che si potranno trovare nei punti vendita dei supermercati Conad in tutta Italia. Il progetto è stato illustrato nella giornata di debutto in Italia della rete di imprenditori del sociale Ashoka, da Luciana Delle Donne imprenditrice pugliese che ha creato con la sua cooperativa il marchio "Made in Carcere", per dare lavoro alle detenute delle carceri di Trani e Lecce. La cooperativa è una delle tre realtà italiane che si sono presentate ad Ashoka come partner potenziali. Sono 20 le detenute assunte dalla cooperativa a tempo indeterminato e dal carcere realizzano braccialetti con gli scarti dell'industria tessile. Un progetto che è cresciuto coinvolgendo altri penitenziari del Paese, per realizzare l'edizione speciale dei braccialetti in occasione dell'8 marzo. Con il ricavato si pagheranno le detenute e una parte andrà in beneficenza ad una associazione che lotta contro la violenza sulle donne. Il progetto è realizzato in collaborazione con il ministero della Giustizia, che ha sostenuto la formazione delle detenute nei laboratori tessili, tra le carceri coinvolte anche Milano e Vigevano. "Progetti come questi nascono anche con il sostegno delle imprese - ha spiegato il primo imprenditore che ha deciso di sostenere Ashoka in Italia, Mimmo Costanzo - che da parte loro devono imparare a guardare al sociale con interesse, a saper ascoltare e a essere termometro del cambiamento". Reggio Emilia: dalla chiusura degli Opg l'inizio di una nuova vita di Vanna Iori (parlamentare del Pd) Gazzetta di Reggio, 27 febbraio 2015 Nel 1975 Antonietta Bernardini morì bruciata viva perché legata al letto di contenzione. Era stata arrestata alla Stazione Termini perché aveva schiaffeggiato un agente in borghese per una lite sul posto nella fila allo sportello. Da Rebibbia era stata portata all'Opg di Pozzuoli. L'episodio riportato da molti giornali aveva aperto il dibattito su una realtà quasi sconosciuta, sui drammi di malati dimenticati da anni nell'incuria e nell'abbandono. La lunga e faticosa chiusura degli Opg, che dovrebbe concludersi finalmente il 31 marzo di quest'anno, è una storia che viene da lontano e ha le sue radici nel peggior degrado dell'istituzione manicomiale e di quella carceraria. È la storia dei manicomi giudiziari che la legge 345/1975 ha denominato ospedali psichiatrici giudiziari, cambiandone solo il nome, mentre è rimasta la fisionomia di luoghi di segregazione, strutture fatiscenti, disumane e infernali di custodia, luoghi di punizione e sofferenza con letti di contenzione e violenze, basate sulla filosofia del "sorvegliare e punire" (Foucault). Queste strutture giudiziarie sono sopravvissute alla Legge 180/1978 (legge Basaglia per la chiusura dei manicomi), per le motivazioni ideologiche della pericolosità sociale e della non imputabilità del malato di mente. La paura del diverso ha prevalso e ha comportato la privazione delle libertà fondamentali. Sempre sul crinale del confine tra cura e custodia, tra tutela della salute mentale e istituzione totale della follia (Goffman, Asylums), la persona non imputabile non è "responsabile". Ma togliere la responsabilità a una persona è toglierle la dignità stessa dell'esistenza. "In manicomio giudiziario ti dicono che tu non sei più tu, perché qua non ti hanno solo tolto tutto, ma anche quell'azione per quanto tragica per cui tu sei finito qua dentro, anche quel gesto te l'hanno portato via, nemmeno quell'azione ti appartiene più." (Il dialogo di Marco Cavallo). Restituire a una persona il diritto a essere processato e a essere punito anche con il carcere, significa riconoscere il diritto a essere cittadino, a un progetto terapeutico, alla libertà vigilata, a un inserimento lavorativo, a tutte le condizioni dei detenuti comuni, ferma restando la garanzia della sicurezza sociale e la certezza della pena. Ed è con decreto del Presidente del Consiglio del 1° aprile 2008 che le persone detenute negli Opg passano dal ministero della Giustizia a quello della Salute, dallo Stato alle Regioni e alle Ausl. Dopo due proroghe si avvicina ora la data del 31 marzo 2015 in cui concretizzare le dimissioni di tutti gli internati ritenuti in grado di proseguire il loro cammino terapeutico-riabilitativo all'esterno. Le Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) previste dalla Legge 81/2014 per il superamento degli Opg sono pronte solo in alcune regioni, mentre altre non sono ancora in grado di ricevere i pazienti dimessi. A Reggio Emilia le dimissioni sono già iniziate e si è ridotto il problema del sovraffollamento (oggi 142 internati), inoltre 4 reparti su 5 sono aperti e le persone possono muoversi. Sono predisposti i programmi specifici per le misure alternative all'internamento, accompagnate da personale qualificato, e un potenziamento dei servizi territoriali di salute mentale. È giunto il momento di "buttare giù" i muri. Ma non possiamo considerare superficialmente risolta la complessità di una questione che andrà affrontata ancora. La chiusura è la fine di una storia di segregazione disumana, ma deve essere anche l'inizio di buone pratiche socio-sanitarie, di percorsi individualizzati, di inclusione sociale e assistenza in famiglia o in gruppi di convivenza, di collaborazione degli operatori con le reti territoriali di avvocati, associazioni, garanti dei detenuti, familiari, volontari, cooperative. La legge 81/2014 va attuata nel suo spirito autentico. Il che significa innanzitutto non trasferire semplicemente i malati psichiatrici dagli Opg alle Rems, trasformandole in neostrutture manicomiali o "mini Opg" più confortevoli, ma ancora improntate alla logica custodialistica. Inoltre bisogna evitare che ridiventi definitiva la permanenza temporanea (da 18 a 33 mesi) nelle Rems. Questo sarebbe un nuovo fallimento. Dopo la chiusura non dobbiamo quindi dimenticarci di potenziare e monitorare l'effettivo recupero della dignità umana, etica, civile e politica di queste persone, della libertà e dei diritti di reale cittadinanza. Roma: Fns-Cisl; nel carcere di Regina Coeli condizioni pietose e luoghi detentivi invivibili www.romatoday.it, 27 febbraio 2015 La denuncia dei sindacalisti dei baschi azzurri in sopralluogo nell'istituto penitenziario di via della Lungara: "Lontani dal poter garantire standard di vivibilità accettabili". "Condizioni pietose dove lavorano la Penitenziaria e luoghi detentivi a dir poco vivibili". Non ci girano intorno i sindacalisti della Fns-Cisl di Roma Capitale e Rieti (sindacato della Polizia Penitenziaria) in vista questa mattina al carcere romano di Regina Coeli. Il sopralluogo nell'istituto penitenziario di Trastevere da parte del neo segretario generale Riccardo Ciofi, unitamente ai Segretari Regionali Massimo Costantino e Davide Barillà. Una visita durante la quale i sindacalisti dei baschi azzurri "hanno verificato le precarie condizioni igieniche e logistiche in cui sono costretti a lavorare il personale di Polizia Penitenziaria in servizio a Regina Coeli ma anche gli ambienti detentivi, dove si trovano i detenuti, una situazione da far accapponare la pelle". Una situazione denunciata con delle immagini eloquenti: "Le foto scattate fanno capire, al di la di quando scritto, la reale situazione critica in cui si trova l'Istituto. Purtroppo - prosegue la nota della Fns-Cisl - anche i sopralluoghi sullo stato di pulizia delle stanze ed il mantenimento delle condizioni alloggiative circa l'adeguatezza della sistemazione alloggiativa del personale lasciano desiderare, scarsa pulizia ed infiltrazioni varie e muffe ai muri". Oltre al danno la beffa, prosegue la nota del sindacato della Polizia Penitenziaria: "E pensare che per questi alloggi il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) vuole che si paghino canoni di affitto. Assurdo è dir poco. La realtà è un'altra. Purtroppo siamo lontani dal poter garantire standard di vivibilità accettabili sia per i detenuti, visto il sovraffollamento attuale, presenti 899 detenuti rispetto ai 642 previsti, ma alla stessa stregua anche per il personale di Polizia Penitenziaria che lavora in condizioni pessime". Chieti: Ripa Teatina dice "no" all'ospedale dei criminali, nasce il Comitato anti-Rems di Francesco Blasi Il Centro, 27 febbraio 2015 Non vogliono la Rems a Ripa, dove invece Regione e Asl hanno deciso che verrà aperta in quello che da decenni è il rudere una volta destinato a ospitare la casa di riposo sanitaria per anziani, la Rsa. Contro l'arrivo dei criminali con problemi mentali provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ormai fuori legge in Italia si costituisce un comitato di cittadini contro la Rems. La prima riunione l'altro ieri sera alla pizzeria La Margherita di piazza San Rocco, dove si sono incontrati in venti su iniziativa di Luisa Bucciarelli, un'insegnante residente in contrada Feudo (la zona in cui sorge il rudere da ristrutturare con 4,5 milioni di euro dello Stato) che ha suonato la carica per raccogliere un dissenso cresciuto negli ultimi giorni dopo la presentazione ufficiale del progetto alla polivalente di via Marcone con l'assessore regionale alla Sanità Silvio Paolucci. "È stato sufficiente fare un giro di telefonate", racconta Bucciarelli, "per capire che serpeggia molto malumore su un'iniziativa, quella di procedere con la Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, che ci è stata comunicata a giochi già fatti, mettendoci di fronte al fatto compiuto". I promotori del neonato comitato civico non ci stanno, e propongono di azzerare tutto. La prima idea lanciata è un referendum consultivo. "È però il Comune che dovrà farsene carico", sottolinea la portavoce del comitato, "perché i problemi posti da questa struttura e dai suoi ospiti riguardano Ripa e non soltanto i residenti di Feudo". Il no alla Rems è legato al timore di evasioni tra i detenuti che soggiorneranno nella struttura. "Non vorremmo", è una delle paure manifestate nell'incontro, "che un Izzo, un qualsiasi "mostro del Circeo", riesca a fuggire seminando terrore nella nostra comunità, anche perché quel poco che sappiamo del progetto non include una sorveglianza come quella che c'è nelle carceri, con alte mura di conta e agenti penitenziari, ma solo infermieri". Il comitato chiederà di incontrare il sindaco Ignazio Rucci, mentre alcuni componenti si sono impegnati a richiedere tutta la documentazione sul progetto all'ufficio tecnico della Asl teatina. All'incontro ha preso parte anche il consigliere di opposizione Fernando Zuccarini, medico in servizio alla Asl. L'esponente Pd ha spiegato che "Ripa legò le sue sorti a un mini Opg nello scorso decennio, quando l'allora sindaco Mauro Petrucci diede a Regione e Asl l'assenso a procedere con quella struttura poiché da tempo era sfumato il finanziamento per la Rsa. Oggi, sindaco e giunta non possono più fare nulla". Livorno: progetto Frescobaldi, a Gorgona raddoppiano le vigne curate dai detenuti Ansa, 27 febbraio 2015 Prosegue il progetto sociale Frescobaldi per Gorgona: oggi sono iniziati i lavori per raddoppiare il piccolo vigneto curato direttamente dai detenuti dell'ultima isola-carcere in Italia, nell'arcipelago toscano, sotto la guida di Lamberto Frescobaldi, presidente della Marchesi de Frescobaldi, e del suo staff. Un nuovo ettaro di Vermentino si aggiunge a quello già in produzione e che ad oggi ha regalato tre vendemmie. La produzione è un numero selezionatissimo di bottiglie numerate, dalle 2700 del 2012 alle 3200 della vendemmia 2014, di vino bianco a base di uve Ansonica e Vermentino battezzato appunto Gorgona. L'obiettivo Frescobaldi per Gorgona è dare ai detenuti la possibilità di imparare il mestiere del viticoltore e di fare un'esperienza professionale concreta in vigna sotto la supervisione degli agronomi e degli enologi della storica azienda vitivinicola toscana, che ha avuto in affitto per 15 anni le vigne dell'isola. Il progetto di collaborazione tra l'azienda Frescobaldi e il penitenziario dell'isola Gorgona, è iniziato tre anni fa e prosegue oggi sotto l'occhio vigile del direttore dell'istituto Carlo Mazzerbo. Attualmente nei vigneti della Gorgona lavorano, a rotazione, sei dei settanta detenuti che vivono sull'isola. "Anche questo secondo ettaro di vigna ha uno scopo profondo, coinvolgente ed educativo per i detenuti - ha sottolineato Lamberto Frescobaldi. È un modo per insegnare loro un mestiere e dargli anche qualcosa a cui pensare per portare la mente altrove". "Con questo nuovo ettaro - ha concluso - puntiamo a portare, nei prossimi anni, la produzione a circa 6 mila bottiglie che raccontino l'unicità di questo luogo ma anche l'eccellenza italiana". Teramo: costretti a detenzione "in condizioni inumane", due ex carcerati saranno risarciti Il Centro, 27 febbraio 2015 Il tribunale dell'Aquila accoglie i ricorsi di due teramani: hanno denunciato come a Castrogno e in altri istituti le condizioni di vita violino la Convenzione dei diritti dell'uomo. Devono essere risarciti perchè costretti a una detenzione "in condizioni inumane". Due ex detenuti, C.G. di Teramo e C.A. di Campli, hanno vinto il ricorso contro il ministero della Giustizia. Il presidente del tribunale dell'Aquila, Ciro Riviezzo, ha emanato lunedì scorso due decreti in cui dispone che il primo venga risarcito con 25mila euro e il secondo con 8mila, riconoscendo il danno subito per aver espiato la pena in condizioni di palese contrasto dei criteri previsti dall'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. È la prima volta in Abruzzo, e una delle prime in Italia, che viene accolto un ricorso di questo tipo. A rappresentare i due ex detenuti è stato l'avvocato Massimo Ambrosi che spiega come un decreto legge del 2014 abbia "previsto la possibilità, anche per i detenuti i quali abbiano già finito di espiare un periodo di detenzione in contrasto con i principi sanciti dalla Convenzione, di adire il tribunale del capoluogo del distretto in cui risiedono per ottenere il risarcimento del danno subito". C.G. ha scontato 3.189 giorni di detenzione, tra il 1996 e il 2014, in una serie di istituti di pena: Teramo, Pisa, Pistoia, Massa, Vasto, Lucca e Firenze. Diversi i problemi riscontrati: da uno spazio a disposizione in ogni cella inferiore ai 3 metri quadri, a mancanza di acqua calda, riscaldamento, bagni idonei, sovraffollamento. C.A. invece è stato in carcere circa tre anni. L'ex detenuto racconta che nel carcere di Castrogno era "costretto a condividere una cella singola di forse 5 metri quadri - bagno incluso - con un'altra persona e con letto a castello; le docce erano in pessimo stato". E che "in carcere faceva sempre un freddo insopportabile e che, al più, i termosifoni funzionavano per un'ora al giorno". Nel ricorso si fa poi notare che "le condizioni generali dell'istituto erano dir poco drammatiche", soprattutto per il sovraffollamento: "solo al 2012 c'erano 400 detenuti a fronte di una capienza massima di circa 270". Ambrosi sottolinea che il decreto ha riconosciuto il diritto ad ottenere il risarcimento, stabilito per legge in 8 euro al giorno ,rilevando che la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del gennaio 2013 (la cosiddetta "Torreggiani") e ancor prima la Sulejmanovic "hanno introdotto principi che l'Italia ha dovuto recepire e ha ribadito, anche, che le carenze delle carceri sono strutturali e le condizioni sono tali da costituire un trattamento inumano". Il direttore del carcere di Castrogno, Stefano Liberatore attende di leggere il decreto "per verificare le situazioni segnalate e se sarà necessario intervenire. Ma noi siamo in regola per gli spazi detentivi: abbiamo trasmesso una stima tecnica a Roma, siamo allineati alle normative della Unione europea. Le celle sono a norma, con oltre 9 metri quadri. E ogni stanza ospita due detenuti. Le docce erano in passato vetuste, ma abbiamo fatto gli interventi di manutenzione. Sul freddo usiamo ancora il riscaldamento a gasolio, abbiamo da anni avviato la pratica per arrivare alla metanizzazione. Addirittura ci siamo interessati per un impianto fotovoltaico. Il carcere di Castrogno, soprattutto per la sua posizione, è freddo, ma i riscaldamenti funzionano. Siamo sempre attenti a garantire le esigenze di salute dei detenuti. I soldi per fare tutto non ci sono, facciamo tutto quel che è possibile. Il problema del sovraffollamento si è ridotto, da un paio d'anni: ora ci sono 360-370 detenuti rispetto ai 420-430 del passato. Teramo è il carcere più complesso d'Abruzzo e Molise, nonostante sia meno grande rispetto a Sulmona: ci sono 4-5 tipologie di detenuti, comprese le donne. Nonostante le grosse criticità facciamo molto". Il direttore: celle a norma e meno sovraffollamento Il direttore del carcere di Castrogno, Stefano Liberatore (nella foto) attende di leggere il decreto "per verificare le situazioni segnalate e se sarà necessario intervenire. Ma noi siamo in regola per gli spazi detentivi: abbiamo trasmesso una stima tecnica a Roma, siamo allineati alle normative della Unione europea. Le celle sono a norma, con oltre 9 metri quadri. E ogni la stanza ospita due detenuti. Le docce erano in passato vetuste, ma abbiamo fatto gli interventi di manutenzione. Sul freddo usiamo ancora il riscaldamento a gasolio, abbiamo da anni avviato la pratica per arrivare alla metanizzazione. Addirittura ci siamo interessati per un impianto fotovoltaico. Il carcere di Castrogno, soprattutto per la sua posizione, è freddo, ma i riscaldamenti funzionano. Siamo sempre attenti a garantire le esigenze di salute dei detenuti. I soldi per fare tutto non ci sono, facciamo tutto quel che è possibile. Il problema del sovraffollamento si è ridotto, da un paio d'anni: ora ci sono 360-370 detenuti rispetto ai 420-430 del passato. Teramo è il carcere più complesso d'Abruzzo e Molise, nonostante sia meno grande rispetto a Sulmona: ci sono 4-5 tipologie di detenuti, comprese le donne. Nonostante le grosse criticità facciamo molto". Lanciano (Ch): detenuto risarcito con 8 euro per ciascuno dei 717 giorni trascorsi in cella di Stefania Sorge Il Centro, 27 febbraio 2015 È stato recluso in condizioni "inumane e degradanti" nel carcere di Lanciano. Per questo motivo il ministero della Giustizia è stato condannato a risarcire un ex detenuto. Dal tribunale dell'Aquila arriva una delle prime applicazioni, in Abruzzo, della norma contenuta nel "decreto carceri", approvato la scorsa estate dal Parlamento. Una norma che prevede il risarcimento in denaro dei detenuti costretti a vivere in celle anguste e sovraffollate e che evita all'Italia, più volte richiamata, di incappare nelle pesanti sanzioni della Corte europea dei diritti dell'uomo. Sostanzialmente il decreto prevede, nel caso che il periodo di detenzione sia terminato, un risarcimento di 8 euro per ogni giorno trascorso in carcere in violazione dell'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo. Limitazione degli spazi a disposizione dei detenuti dovuta al sovraffollamento, mancanza di servizi igienici adeguati, illuminazione insufficiente, sono alcune delle condizioni che fanno scattare il risarcimento dei danni subiti. In queste condizioni ha dichiarato di essere stato recluso un ex detenuto del braccio comune dell'istituto penitenziario di Villa Stanazzo. L'uomo vi ha trascorso 717 giorni a partire dal 2012. Assistito dall'avvocato Elvezio Caporale, ha chiesto il risarcimento dei danni, che gli è stato accordato dal giudice Ciro Riviezzo del tribunale dell'Aquila, competente in materia. All'ex carcerato il ministero di Giustizia dovrà risarcire poco più di 5mila euro. "Il ricorrente ha avuto a disposizione nella cella meno di 3 metri quadrati di spazio", sancisce il decreto del tribunale emesso il 18 febbraio, "con condizioni di illuminazione ed igieniche precarie, mancanza di acqua calda, di doccia e di aspirazione nel bagno privo di areazione naturale, difetto di riscaldamento, in una condizione generale di sovraffollamento carcerario". Gli ultimi dati che riguardano la popolazione del supercarcere frentano, che ospita anche sezioni di alta sicurezza (416 bis) parlano di 290 detenuti, mentre la capienza regolamentare è di 180. Nell'ottobre 2013 la Uil-Pa penitenziari fotografò le condizioni del penitenziario, dove nelle celle singole vengono stipati tre detenuti e il terzo letto si trova a 45 centimetri dal soffitto. Nel luglio 2012 Antigone, l'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione, insieme all'angustia degli spazi testimoniò anche di bagni con impianti di areazione mal funzionanti, interruzioni nell'erogazione dell'acqua e macchie di umidità su pareti e soffitti. Vigevano (Pv): al carcere in black-out elettrico per circa dieci ore consecutive Ansa, 27 febbraio 2015 Un carcere con circa 400 detenuti, quello alla frazione Piccolini di Vigevano, in black-out elettrico per circa dieci ore consecutive, un'intera notte: dalle 22.30 di ieri sera sino a questa mattina, quando la corrente è finalmente tornata. La polizia penitenziaria si è trovata in forte difficoltà, tanto che ha dovuto chiedere l'intervento dei vigili del fuoco, per illuminare con le fotoelettriche gli esterni, e della polizia di Stato come supporto al servizio di ronda perimetrale. "La corrente - spiega il direttore Davide Pisapia - è saltata in quasi tutto l'istituto. Il guasto è collegato a lavori di ammodernamento appena conclusi alla cabina elettrica di media tensione. Ora è molto sensibile, basta un piccolo sbalzo o un dispositivo guasto per mandare tutto in blocco. Abbiamo un gruppo elettrogeno, ma ad avvio solo manuale, e la notte scorsa neanche quello voleva partire. Ma dovrebbe essere automatizzato". I sindacati già da settimane denunciavano il funzionamento a singhiozzo dell'impianto elettrico. In una lettera inviata il 16 febbraio al direttore e al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria parlavano di "istituto in costante black-out, con alcune zone assolutamente prive di un minimo di illuminazione. La cinta muraria è illuminata per circa il 10 per cento e la zona antistante il passo carraio e il parcheggio è totalmente al buio, così come l'area del nucleo traduzioni e tutta la zona della block-house, che non si riesce a vedere dalla portineria interna, da dove dovrebbe essere controllata". Taranto: "Dalla progettazione alla confezione", la moda per il reinserimento delle detenute www.tarantobuonasera.it, 27 febbraio 2015 Un progetto, l'ennesimo, per facilitare il reinserimento sociale dei detenuti o, in questo caso, delle detenute. La casa circondariale Carmelo Magli di Taranto, nella persona del direttore Stefania Baldassarri, e l'istituto scolastico Archimede, dirigente scolastico Pasqua Vecchione, hanno avviato un rapporto di collaborazione attraverso la realizzazione di un percorso di apprendimento relativo all'indirizzo operatore dell'abbigliamento-moda, dal titolo "Dalla progettazione alla confezione", rivolto proprio alle detenute. Il percorso mira a far acquisire competenze di base nel cucito, partendo dalle nozioni basilari, per giungere a saper attuare ‘trasformazioni creativè su cartamodelli già esistenti. Il via al corso è fissato per domani, e coinvolgerà le corsiste detenute per 30 ore in attività di laboratorio, a cura della professoressa Eugenia Schirone, col coordinamento didattico del preside Salvatore Montesardo e la collaborazione, fondamentale, dell'area pedagogica del penitenziario. L'iniziativa, spiegano dalla Casa circondariale, è volta a favorire "concreti percorsi di cambiamento nella vita e nelle scelte di chi è incorso nella giustizia. Questo a partire da un tempo detentivo che diventa, per quanti realmente decidono di dare una svolta al proprio modo di vivere, un'opportunità scolastica e di formazione professionale, di orientamento, e quando possibile di collocamento lavorativo". Roma: presentato il progetto "Letture d'evasione", per la donazione di libri alle carceri Ansa, 27 febbraio 2015 Raccogliere libri e dizionari da donare alle biblioteche delle case circondariali sparse sul territorio nazionale. È l'obiettivo del progetto "Letture d'evasione", presentato ieri mattina alla Sala stampa della Camera. L'iniziativa è promossa a livello nazionale dai deputati Laura Coccia e Khalid Chaouki del Pd, intervenuti all'incontro, che seguono con attenzione i problemi del nostro sistema carcerario, i temi dell'integrazione e del recupero sociale dei detenuti e di coloro che hanno scontato la pena. L'iniziativa punta ad aumentare la disponibilità delle biblioteche carcerarie e migliorare, seppur marginalmente, le condizioni dei detenuti. "È un dato di fatto che tra devianza e precedenti esperienze scolastiche fallimentari esiste un nesso stretto (evidenziato anche da documenti europei) e che il livello d'istruzione dei detenuti è mediamente basso, senza considerare l'alta percentuale di stranieri presenti nei nostri istituti, ai quali mancano le conoscenze di base della lingua italiana", ha dichiarato Coccia. "Con Letture d'evasione ci si propone di rendere disponibile anche agli stranieri detenuti in Italia materiale nel proprio idioma per aiutarli nell'apprendimento della nostra lingua, agevolando così il reinserimento nella società una volta scontata la pena e nel periodo di libertà parziale previsto per le pene alternative alla detenzione" ha sottolineato Chaouki. L'incontro è stato moderato dal direttore del Il Garantista Piero Sansonetti. Ivrea (To): Sinappe; agente penitenziario colpito mentre cerca di sedare rissa tra detenuti Agi, 27 febbraio 2015 Ancora una volta, a fare le spese dell'ennesimo scoppio di violenza nelle carceri Italiane, è stato un Agente di Polizia Penitenziaria. Il fatto si è consumato alle ore 11:45 circa, nella Casa Circondariale di Ivrea, all'interno del Reparto scuola, dove è scoppiata una rissa tra due detenuti. All'interno dell'area si trovava l'Agente comandato di servizio nel turno mattinale, con circa una ventina di detenuti, intenti a seguire le ultime lezioni della mattina. Probabilmente per futili motivi, due ristretti di nazionalità italiana, sono venuti violentemente alle mani facendo scorrere subito del sangue; il poliziotto, al fine di salvaguardare la salute dei due, evitando che la situazione degenerasse, è prontamente intervenuto ricevendo in cambio alcuni colpi, oltreché ritrovarsi imbrattato del sangue dei litiganti. Il malaugurato episodio ha determinato nel poliziotto penitenziario intervenuto, una prognosi di tre giorni che sicuramente sarebbe potuta essere più lunga se altre unità, richiamate dalle urla, non fossero giunte in aiuto del collega. A margine di questo doloroso evento - per cui il Sinappe tiene ad esprimere la propria vicinanza e solidarietà al collega coinvolto - emergono tutta una serie di inquietanti problematiche legate alla sicurezza del personale e ad un valido intervento di primo soccorso. Innanzi tutto pare che il malcapitato, nel tentativo di chiedere aiuto suonando l'allarme generale, si sia fatto male alla mano rompendo il vetro di protezione, chiaramente (per motivi di sicurezza)sprovvisto di martelletto. Inoltre, quando i colleghi giunti sul posto hanno cercato di prestare le prime cure al poliziotto ferito, si sono resi conto che i medicamenti contenuti nella valigetta del primo soccorso, erano scaduti da un bel pezzo e quindi inutilizzabili. Pare quindi che siano diverse le cose da rivedere tanto nell'Istituto de quo che in tutti i penitenziari italiani, dove sembrerebbe che la garanzia della sicurezza è lasciata solo nelle mani del personale senza essere supportata dai giusti mezzi e predisposizioni. Pertanto, al fine di salvaguardare e tutelare tutti i dipendenti sul luogo di lavoro, si auspica in un pronto intervento dell'Amministrazione, affinché si eviti il reiterarsi di altri casi drammatici. Unione Europea: noi garantisti dobbiamo essere uniti in Europa di Massimiliano Annetta (Avvocato) Il Garantista, 27 febbraio 2015 Intervengo, buon ultimo, nel dibattito provocato dall'articolo a firma di Errico Novi sulla "tangentopoli" sammarinese. Premetto che non potrò entrare troppo nel merito della vicenda giudiziaria in corso, non tanto per la questione "estetica" che sconsiglia al difensore di tessere le lodi delle proprie tesi processuali, ma perché nell'ordinamento sammarinese esiste il reato di cui all'art. 17 delle norme di attuazione del codice penale e di riforma della procedura penale per il quale "i difensori delle parti sono tenuti al segreto sia per tutto quanto avvenuto nel corso degli atti ai quali hanno presenziato sia per quanto concerne la copia dei verbali di detti atti loro rilasciata, fino al momento della pubblicazione del processo"; che poi sulla stampa sia tutto un florilegio di indiscrezioni in ordine all'indagine già di per sé la dice lunga sulla parità delle armi in campo tra accusa e difesa. Posso, invece, offrire un contributo alla riflessione sollecitata dalla replica che all'articolo ha voluto rivolgere la Segreteria di Stato agli Interni della Repubblica di San Marino e dalla controreplica che ne è seguita, perché è riflessione che va diritto al punto della questione Giustizia, in Italia, a San Marino ed in ogni altro Paese, e che è una sola: l'equilibrio fra i poteri. Perché, all'evidenza, la questione è quella della costruzione di uno spazio giuridico europeo e, soprattutto, della direzione che questa costruzione vogliamo che prenda. Certo comprendo che il diritto sia materia che, come diceva Winfried Hassemer, mal si presta alle semplificazioni (sebbene il filosofo aggiungesse che nondimeno tutti volessero dire la loro, un po' come nel calcio). Ma alla Segreteria di Stato agli Interni della Repubblica di San Marino verrebbe da chiedere qual è la sua opinione circa la compatibilità tra adesione alla Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo ed un ordinamento inquisitorio puro quale quello sammarinese, nel quale non son previsti termini temporali di sorta alla durata della custodia cautelare e in carcere ci si può finire, di fatto, senza vaglio di un giudice terzo, data la totale devoluzione della fase cautelare al magistrato inquirente. Sono domande che, all'evidenza, non urtano la "sovranità" di nessuno né tantomeno paiono "illazioni avanzate in ordine alla correttezza e alla competenza dei giudici", ma, chissà perché, restano senza risposta. Torniamo, quindi, al tema principale: quale spazio giuridico europeo? Perché qui la questione diventa rilevante anche alle nostre latitudini e il riferimento alla proposta Gratteri pare tutt'altro che campato in aria, perché in Italia un sistema compatibile con i principi della Cedu ce l'abbiamo, ed è quello costruito dal codice Vassalli e basterebbe depurarlo dai sedimenti che sin dalla sua nascita i nostalgici dell'inquisizione gli hanno appiccicato addosso. Sarà per questo che, nonostante sia ormai un ragazzone di ventisei anni, ancora nelle aule dei tribunali ci si ostina a chiamarlo "nuovo codice" come se fosse un discolo che va riportato alla ragione a suon di scappellotti. E a ben vedere i centotrenta articoli della proposta Gratteri questo sono: buffetti, nemmeno troppo affettuosi, al rito accusatorio. E non è che se alziamo lo sguardo al livello europeo le cose vadano troppo meglio perché si replica il solito problema che abbiamo a casa nostra: la produzione legislativa in materia di giustizia non è mai affrontata come problema giuridico e neppure giudiziario, ma solo politico, spesso nella sua declinazione più prosaica, che anche i bambini sanno essere esclusivamente quella di guadagnare il consenso. E non c'è niente di meglio del populismo forcaiolo per raggiungere lo scopo, agitando ogni volta un idolum theatri diverso: una volta la sicurezza, l'altra la corruzione, l'altra ancora il terrorismo, e chi più ne ha più ne metta. Questo produce al Parlamento Europeo come in quello nostrano, una continua rincorsa, quasi sempre esclusivamente enfatica, a modelli securitari. E non è che fuori dai parlamenti le cose vadano meglio perché si fa avanti sempre più forte una suggestione che immagina di poter risolvere tutti i problemi trasferendo al Giudice un inammissibile potere punitivo talvolta al di là dei limiti normativamente fissati, ritenendo che il giudice sia chiamato a inverare non lo Stato di diritto ma lo Stato etico, senza accorgersi, o forse accorgendosene benissimo, che così si negano alla base quelli che sono i principi fondamentali dello stato democratico. Ecco allora che il tema di quale spazio giuridico europeo costruire dimostra tutta la sua attualità. Proprio perché abbiamo il timore che qualcuno a Bruxelles o più vicino a noi abbia la tentazione di "tornare indietro", abbiamo deciso di costituire Jus Progress. A ben vedere nel nome ci sta già tutto: diritto, in un'ottica progressista e riformista, mischiando latino e inglese, per rammentarci dove andiamo ma ricordarci pure da dove veniamo. Perché i garantisti saranno pure pochi, magari si sono pure un po' imborghesiti e hanno persino messo su un po' di pancetta, ma sui fondamentali non transigono e se sono riusciti con le loro battaglie, che affollate non sono state mai, a fare inserire il Giusto Processo in Costituzione, possono farsi sentire anche in Europa. Mi sento quindi di tranquillizzare la Segreteria di Stato agli Interni della Repubblica di San Marino: il fine che chi scrive, sia quando indossa la toga del difensore sia quando come oggi si occupa di politica giudiziaria, cos' come del giornale che ospita queste mie riflessioni, del quale sono innanzitutto un assiduo lettore, è ben più ambizioso che quello di polemizzare con la Serenissima Repubblica di San Marino. P.S.: una cosa però alla Segreteria di Stato agli Interni della Repubblica di San Marino proprio non riesco a fare a meno di dirla: non una riga, nella replica, sulla questione carceraria; sul tema che c'è qualcosa che non va non lo diciamo noi "garantisti": lo dice il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, e a ricordarlo non mi pare che si possa offendere nessuno. Montenegro: l'ex parlamentare Massimo Romagnoli è stato estradato negli Stati Uniti di Sergio Granata Giornale di Sicilia, 27 febbraio 2015 La difesa ha presentato un ricorso a Strasburgo. Il senatore Di Biagio: "Ho contattato le ambasciate a Podgorica e negli Usa. Massimo Romagnoli, arrestato in Montenegro per traffico di armi, è stato estradato negli Usa. A darne notizia il legale Nicola Pisani: "Trasferito senza nemmeno avvisare gli avvocati e adesso tutto passa alla giurisdizione americana". Massimo Romagnoli, l'ex parlamentare Orlandino di Forza Italia, arrestato in Montenegro lo scorso dicembre con l'accusa di traffico d'armi, dietro mandato di cattura spiccato dalle autorità Usa, è stato estradato. L'ex parlamentare ha lasciato il carcere di Podgorica per salire su un aereo diretto a New York. A darne notizia, attraverso il sito internet "Italia Chiama Italia" (vicino a Romagnoli sin dal sua campagna elettorale degli italiani all'estero) è stato l'avvocato Nicola Pisani - che difende l'imprenditore Orlandino. Il legale dell'ex patron dell'Orlandina calcio ha spiegato che l'estradizione è avvenuta in maniera repentina "senza nemmeno avvisare gli avvocati e quindi adesso tutto passa alla giurisdizione americana". La situazione che riguarda Massimo Romagnoli, sempre secondo suo legale, a questo punto "è più complicata, si sposta su un piano diverso". Comunque, ricorda Pisani, "è stato fatto un ricorso a Strasburgo". Ieri è intervenuto sulla vicenda anche il senatore Aldo Di Biagio, eletto nella ripartizione estera Europa, che fin dall'inizio si è dato molto da fare per cercare soluzioni sulla questione che vede Romagnoli coinvolto in prima linea. "Ho sentito nelle scorse ore l'ambasciatore italiano a Podgorica - ha raccontato il senatore Di Biagio - mi ha detto che Romagnoli era comunque sereno, cosciente del fatto che tutto ciò che si poteva fare per aiutarlo in qualche modo era stato fatto. Personalmente da subito mi sono interessato al caso, coinvolgendo anche la Commissione diritti umani del Senato e il suo presidente, Luigi Manconi, che da parte sua ha presentato interrogazioni parlamentari e contattato ministro dell'Interno e prefetto di Roma. Purtroppo non c'è stato nulla da fare per provare a fare estradare Romagnoli in Italia. L'ambasciatore italiano negli Stati Uniti è stato già contattato - ha aggiunto Di Biagio, avvertito che un cittadino italiano arrestato in Montenegro è a New York, estradato negli Usa, affinché l'ambasciata e la nostra diplomazia possano assicurare massima assistenza a Romagnoli anche in territorio americano". Svizzera: non chiamatele più pretoriali… Gobbi presenta le nuove "celle di polizia" www.liberatv.ch, 27 febbraio 2015 Il Direttore del Dipartimento delle istituzioni ha presentato oggi il nuovo Servizio Gestione Detenuti della Polizia cantonale e le nuove celle. Oggi, giovedì 26 febbraio, alla presenza del Direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, del Capo della Gendarmeria della Polizia cantonale Decio Cavallini e del Direttore delle Strutture Carcerarie cantonali Stefano Laffranchini, si è volto un incontro con i media per presentare il nuovo Servizio Gestione Detenuti della Polizia cantonale e le nuove celle di polizia. Il Servizio Gestione Detenuti (Sgd) si occupa della sorveglianza dei carcerati nelle celle di polizia, della gestione dei detenuti piantonati, della traduzione delle persone in stato di arresto provvisorio, del trasporto dei carcerati per le autorità penali cantonali e presso le autorità di altri Cantoni, dell'organizzazione dei trasporti intercantonali e dell'allestimento dei profili segnaletici degli arrestati. Il servizio, attivo dal 2013, ha visto completata la sua evoluzione con la certificazione di agibilità delle celle di polizia presso il Palazzo di giustizia di Lugano, attive dal novembre 2014. Inoltre, sono state sistemate le celle di sicurezza presso l'Ospedale Civico di Lugano ed è stata realizzata una cella di sicurezza presso la Clinica psichiatrica cantonale a Mendrisio. Con il nuovo Servizio Gestione Detenuti si è proceduto a professionalizzare la gestione delle persone incarcerate fuori dalle Strutture carcerarie, sgravando nel contempo gli agenti di polizia da questo onere, in favore della loro attività sul terreno. Le nuove celle di polizia implicheranno una riduzione delle incarcerazioni presso il carcere giudiziario La Farera, permettendo così un'ottimizzazione delle risorse e un miglioramento nei flussi di lavoro. Non da ultimo, questo progetto ha favorito la costituzione di un centro cantonale di competenza per l'allestimento di profili segnaletici (fotografie, dati dattiloscopici, ecc.). "Non chiamatele più pretoriali! Da oggi sono celle di polizia", ha detto il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi nel corso dell'incontro con la stampa. Stati Uniti: nelle carceri della California preservativi gratis ai detenuti, per legge Askanews, 27 febbraio 2015 Sono le 10.30 del mattino, è già ora di pranzo per i detenuti del carcere di contea di San Francisco. È in questo momento, che i prigionieri possono avere accesso al distributore di profilattici, situato nell'area ricreativa. Da oltre 25 anni le carceri della contea di San Francisco distribuiscono gratuitamente profilattici per contrastare la diffusione dell'Aids, una pratica che per legge verrà presto estesa alle altre prigioni della California. Giornalista: "È una buona idea?". Detenuto: "Certo. Sesso sicuro", ha risposto questo detenuto. San Francisco ha iniziato a distribuire condom gratuiti ai detenuti negli Anni Ottanta per arginare la diffusione dell'hiv. Oggi ci sono una dozzina di distributori nelle prigioni della città e ogni mese vengono ritirati circa 2.000 profilattici. Kate Monaco Klien, del dipartimento sanitario di San Francisco: "C'è un'enorme stigmatizzazione a causa dell'Aids nelle prigioni. Ogni tanto alcuni prigionieri ci raccontano di avere usato il profilattico. Anche se far sesso in carcere è vietato, accade". Entro il 2020 la California ha in programma di piazzare distributori di profilattici in circa trenta prigioni di Stato. A differenza dei carceri di contea, che detengono persone in attesa di giudizio, le prigioni di Stato ospitano detenuti con pesanti condanne o ergastolani. Bahrain: tre persone condannate a morte per omicidio poliziotti in attentato Aki, 27 febbraio 2015 Tre persone sono state condannate a morte e sette all'ergastolo in Bahrain per l'omicidio di tre poliziotti. Lo ha riferito l'agenzia Dpa, precisando che l'episodio risale al marzo scorso, quando tre poliziotti, tra i quali un cittadino degli Emirati, rimasero uccisi nell'esplosione di un ordigno in un sobborgo della capitale Manama. L'attentato arrivò dopo giorni di intensi scontri tra manifestanti antigovernativi e polizia scoppiati dopo la morte di un giovane dimostrante in carcere. Secondo i suoi familiari, il giovane sarebbe morto a causa delle torture subite. Stando a uno degli avvocati della difesa, le autorità hanno anche revocato la cittadinanza ai tre imputati condannati a morte. Egitto: avvocato muore causa delle torture subite in carcere, arrestati 2 ufficiali polizia La Presse, 27 febbraio 2015 Due ufficiali della polizia egiziana, sospettati di avere ucciso un avvocato mentre si trovava in custodia, sono stati arrestati su ordine di un procuratore e potrebbero essere accusati di omicidio. Lo hanno riferito fonti giudiziarie, spiegando che gli ufficiali, un tenente colonnello e un maggiore, saranno trattenuti in carcere per quattro giorni in attesa dei risultati delle indagini sulla morte dell'avvocato Karim Hamdy, avvenuta martedì. Hamdy, 27 anni, è morto a causa delle torture subite mentre era in detenzione, due giorni dopo essere stato arrestato. Il rapporto iniziale sul suo corpo mostra che ha subìto la frattura di alcune costole e percosse che hanno causato lividi ed emorragie al petto e alla testa. Decine di avvocati hanno protestato fuori da un tribunale del Cairo contro la morte di Hamdy, arrestato in casa sua per avere preso parte a manifestazioni dei Fratelli musulmani. Ucraina: pilota di Kiev detenuta in Russia in fin di vita "il Papa intervenga o morirà" di Anna Lesnevskaya Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2015 Nadezhda Savchenko, ufficiale delle Forze Aeree ucraine, è stata fermata lo scorso giugno con l'accusa di aver causato la morte di due giornalisti russi. Il Tribunale di Mosca ha respinto l'appello degli avvocati contro la proroga della carcerazione preventiva al 13 maggio. "È in sciopero della fame da 75 giorni, non arriverà a quella data", spiega a IlFattoQuotidiano.it l'attivista Zoya Svetova. La vita di Nadezhda Savchenko, ufficiale delle Forze Aeree ucraine, è appesa a un filo, e solo un uomo, il presidente russo Vladimir Putin, può decidere se salvarla o lasciarla morire in carcere. Lo spiega a IlFattoQuotidiano.it Zoya Svetova, attivista per i diritti umani russa, che il 24 febbraio ha consegnato al Cremlino una petizione con più di 11 mila firme che chiede di rivedere la misura di carcerazione preventiva applicata alla donna. La Savchenko, detenuta in Russia, è accusata di complicità nell'omicidio di due giornalisti russi nell'Ucraina dell'est. Da più di 75 giorni è in sciopero della fame. Ha perso quasi 20 chili, beve solo dell'acqua e del tè e ormai da più giorni rifiuta le iniezioni di glucosio. "La sua è una protesta contro l'ingiustizia - continua la Svetova - a nostra ultima speranza per scongiurare una tragedia è che Papa Francesco intervenga col patriarca russo. Cirillo potrebbe vincere la resistenza di Putin per cui basterebbe una sola telefonata per salvare la vita alla donna". Il Tribunale di Mosca ha respinto il 25 febbraio l'appello degli avvocati della militare ucraina contro la proroga della carcerazione preventiva al 13 maggio. "Non arriverà a quella data", dice sconfortata la Svetova. La donna, una volta di corporatura robusta, assisteva all'udienza sdraiata sulla panchina. Era collegata in video conferenza dal famigerato centro di detenzione di Mosca "Matrosskaja Tishina", dove nel 2009 era stato lasciato morire l'avvocato russo Sergej Magnitskij. La Savchenko però non è intimidita dal rischio al quale va incontro, dice che interromperà lo sciopero solo se gli verranno concessi gli arresti domiciliari all'Ambasciata ucraina di Mosca per il periodo delle indagini preliminari, che ormai vanno avanti da otto mesi senza approdare a nulla di concreto. Che la donna sia molto pervicace lo dicono non solo gli avvocati di lei, ma anche la sua storia personale. In Ucraina la chiamano "Soldato Jane", ma anche "Giovanna d'Arco". Da piccola sognava di fare la pilota di caccia, ma la prestigiosa Accademia delle Forze Aeree di Kharkiv non accettava allieve femmine. Allora ha affrontato la gavetta militare dimostrando di essere alla pari dei colleghi uomini. Dopo vari tentativi Nadezhda è riuscita a farsi ammattere a Kharkiv ed è diventata pilota dell'elicottero d'attacco MI-24. In Ucraina era conosciuta già prima che fosse scoppiato questo caso, perché era stata l'unica donna ad aver fatto parte delle forze di pace ucraine in Iraq. Come raccontato dalla stessa Savchenko, quando il governo di Kiev lanciò l'"operazione antiterroristica" con i ribelli filorussi nell'Est la primavera scorsa, lei si trovava in congedo dal servizio e raggiunse alcuni amici di Maidan, che all'epoca facevano parte di un battaglione volontario ucraino, di stanza nei pressi di Lugansk. Durante uno scontro avvenuto il 17 giugno tra gli ucraini e i separatisti alcuni combattenti di Kiev sono rimasti feriti: mentre la pilota ucraina andava in loro soccorso è stata catturata dalle milizie russe. In un video postato in rete il 19 giugno la si vede in una stanza incatenata a dei tubi, mentre viene interrogata dalle forze prorusse. Vogliono sapere la disposizione del nemico, ma lei non molla. "Anche se lo sapessi, non ve lo direi", risponde con un sorriso. Dopo, il vuoto. L'ufficiale ucraina ricompare soltanto l'8 luglio in un centro di detenzione nel Sud della Russia, a Voronezh. Il Comitato investigativo russo la accusa di aver causato la morte dei giornalisti russi, Igor Korneljuk e Anton Voloshin, uccisi il 17 giugno da colpi di mortaio, mentre si trovavano nelle vicinanze di Lugansk: l'ufficiale avrebbe fornito alle forze di Kiev le coordinate del luogo in cui si trovavano i reporter. Le autorità russe sostengono che la Savchenko era riuscita a fuggire dalla prigionia dei separatisti e sarebbe entrata in Russia fingendosi una rifugiata (da qui la seconda accusa contestata alla donna, ossia l'attraversamento illecito della frontiera). Il 23 giugno, nella regione di Voronezh, sarebbe stata fermata casualmente per un controllo dei documenti, dove si è scoperto che era sospettata nell'ambito dell'inchiesta sulla morte dei giornalisti russi. A quel punto è stata portata in un motel dove avrebbe vissuto per una settimana senza nessuna guardia che la custodisse, mentre gli investigatori russi la interrogavano in qualità di testimone. Il 30 giugno è seguita l'accusa ufficiale e l'arresto, con il trasferimento a Mosca in settembre. La Savchenko però racconta una storia molto diversa. I separatisti, dice, l'hanno prima bendata e poi portata in Russia per consegnarla alle autorità. Prima dell'arresto ufficiale, era stata tenuta per una settimana, con due sentinelle che le facevano la guardia, in quel famoso motel. Per l'Ucraina, quindi, si tratta di sequestro di persona. Durante la seduta per valutare l'appello degli avvocati, il giudice si è rifiutato di illustrare le prove. Perché non esistono, dicono gli avvocati. La difesa invece ha fornito i tabulati telefonici del cellulare della Savchenko e dei giornalisti uccisi, la cui analisi dimostra che la militare ucraina era stata catturata e portata nel centro di Lugansk per un interrogatorio più di un'ora prima della morte della troupe russa. "Se fosse colpevole, si sarebbe già arresa, avrebbe patteggiato", è convinta la Svetova, figlia di famosi dissidenti, che di processi politici ne ha visti tanti. "Lo sciopero della fame per la Savchenko è l'unica arma disponibile per chiedere giustizia". Gli appelli della comunità internazionale cadono nel vuoto. Il Senato americano ha approvato a febbraio una risoluzione, chiedendo il rilascio della pilota ucraina. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande hanno sollevato la questione durante il vertice di Minsk dell'11 febbraio. Il Cremlino insiste: "Bisogna aspettare i risultati delle indagini". "I silovik si sentono ricattati dallo sciopero della fame e non vogliono cedere - conclude la Svetova - noi chiediamo a Putin un atto di grazia per una persona che sta per morire".