"Uno in meno"… e un morto in più di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2015 "Questa notte non riuscivo a prendere sonno ed ho pensato che in carcere non puoi fare altro che lottare ma non lo puoi fare con i pugni, i calci e i muscoli. Lo puoi fare solo con il cuore forse per questo lui è più messo male di me. E non vede l'ora di smettere di battermi nel petto". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Hanno meravigliato le parole di alcuni uomini della polizia penitenziaria che hanno scritto in rete nel commentare il suicidio di un detenuto. "Detenuto suicida, le guardie esultano": "Consiglio di mettere a disposizione più corde e sapone"; "Collega scala la conta"; "Un rumeno in meno"; "Speriamo abbia sofferto"; "A me dispiace per i colleghi che si suicidano, ma per i soggetti come questo, per lui no!". Il nucleo investigativo centrale dell'amministrazione penitenziaria identifica i primi 15 agenti autori dei commenti. L'unica voce fuori dal coro resta quella del segretario della Lega Matteo Salvini: "Li capisco". (Fonte: Il Gazzettino giovedì 19 febbraio 2015) A me sinceramente, forse perché sono una persona cattiva, la cosa che ha fatto stare più male è che molte persone "buone" fuori si sono irritate più delle brutte dichiarazione di alcuni agenti che del detenuto che s'è suicidato. Io credo che più che incazzarsi per le brutte battute che hanno fatto alcuni agenti bisogna indignarsi che un altro detenuto, questa volta un ergastolano, ha scelto di togliersi la vita dentro le nostre democratiche e illuminate Patrie Galere. Purtroppo nel nostro Paese c'è l'abitudine di vedere la pagliuzza ma non la trave, e sembra ormai che togliersi la vita in carcere sia una cosa normale, ma non lo è più se c'è qualche sciagurato che spara qualche cazzata. Alcuni giorni fa commentando questo suicidio avevo scritto "Lo so, non bisogna generalizzare, e penso anch'io che nella maggioranza dei casi gli uomini e le donne della Polizia penitenziaria facciano il loro dovere con professionalità e umanità, ma trovo sempre di pessimo gusto le dichiarazioni che esponenti sindacali ogni qualvolta un detenuto si toglie la vita fanno per rivendicare benefici sindacali e decantare le doti che hanno gli uomini e le donne che rappresentano". In questi casi si dice sempre che le mele marce ci sono dappertutto sia fra i detenuti sia fra gli uomini e le donne della polizia penitenziaria, ma sembra che nelle nostre patrie galere le mele marce siano più numerose che in qualsiasi altro luogo. Probabilmente perché in Italia è il carcere che non funziona e invece che "migliorare" fa "peggiorare" sia chi ci lavora sia chi ci sconta una pena. Io credo che molti uomini e donne, quando si arruolano nella polizia penitenziaria o quando entrano in carcere per scontare una pena, hanno un cuore e un'anima. Con il passare degli anni però il carcere si mangia sia l'uno che l'altra. E non è colpa loro se poi perdono il cuore e l'anima, ma è colpa dell'Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io). Molti uomini e donne che scontano una pena o che lavorano in carcere con il passare degli anni diventano vittime e carnefici nello stesso tempo. Io nelle mie condizioni di ergastolano so di non poter fare la morale a nessuno, ma permettetemi di dire agli agenti che hanno scritto in rete quei brutti commenti sul suicidio del mio compagno che così tolgono dignità solo a se stessi e al loro lavoro. Lo so, la stragrande maggioranza degli uomini e donne della polizia penitenziaria detesta la violenza verbale o fisica, ma questo non basta se non riescono culturalmente ad emarginare chi agisce diversamente. E non basta assolutamente sconfiggere il sovraffollamento delle carceri e avere qualche centimetro in più dentro le nostre tombe, che voi avete il coraggio di chiamare camere, per migliorare il carcere. Anche di questo vorremmo discutere, dibattere e parlare se il Ministro della Giustizia Orlando si decidesse ad ufficializzare il coinvolgimento dei detenuti e degli ergastolani della Redazione di "Ristretti Orizzonti" di Padova nella preparazione degli "Stati Generali" sulla pena. Signor Ministro, noi ci siamo e siamo pronti a dare il nostro contributo per riformare e portare la legalità costituzionale in carcere, ma Lei è pronto ed ha il coraggio di coinvolgerci veramente per dare voce e luce a chi sta in carcere e a chi ci lavora? Se c'è batta un colpo. Un sorriso fra le sbarre. La mancanza di umanità di quegli agenti che hanno esultato per il suicidio di un ergastolano di Çlirim Bitri Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2015 “Uno in meno”, “Ottimo speriamo abbia sofferto”… e così via, questi i commenti su Facebook di alcuni Agenti al suicidio di un ergastolano nel carcere di Opera. Io che sono detenuto non ho provato Odio o Rabbia verso questi soggetti, ma soltanto un grande senso di pietà, ho provato pietà per il loro livello di cultura, pietà per la loro stupidità, per la loro mancanza di umanità. Nei miei anni di detenzione molte volte ho sentito frasi come: “mettiti la corda”, “impiccati”, frasi dette da qualche agente ai detenuti, ma siccome in carcere è vietato avere mezzi di registrazione e per esperienza ho imparato che il Detenuto anche quando ha ragione ha sempre torto, ho fatto finta di non sentire e cercato di ascoltare i problemi dei miei compagni detenuti e consigliare loro di rivolgersi a qualche altro agente. Queste persone che hanno avuto la “brillante idea” di rendere pubblici i lori pensieri, io le ringrazio per aver detto in modo chiaro a cui nessuno avrebbe creduto se lo avessimo detto noi. Mi domando anche: se i cattivi siamo noi, questi a quale categoria appartengono? Scusatemi, lo so, anche loro fanno parte delle schiere di persone che vengono stipendiate per rieducarci. Sono certo che per la maggior parte gli agenti della Polizia Penitenziaria sono persone che svolgono il proprio compito con correttezza ed onestà, ma non illudiamoci che solo quelli che hanno commentato pubblicamente la pensino cosi, ce ne sono tanti altri. Vorrei invitare i soggetti che vivono la frustrazione di questo pesante lavoro a scegliere se possibile di fare qualcosa che gli piace e lasciare il loro posto a chi sa compiere il suo dovere in modo più umano. Giustizia: insulti a detenuto suicida, sospesi 16 agenti. Orlando: formarli su uso dei social Il Sole 24 Ore, 20 febbraio 2015 Sulla vicenda degli insulti via Facebook a un detenuto suicida da parte di agenti della polizia penitenziaria "ho firmato 16 provvedimenti cautelari di sospensione e ho concordato con il direttore del personale l'avvio del procedimento disciplinare". Così il capo del Dap Santi Consolo, dopo l'incontro avuto con il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Confermata dunque la linea del massimo rigore e delle immediate contromisure, annunciata da Consolo ieri pomeriggio, appena diffusa la notizia dei commenti ingiuriosi sui social per la morte del detenuto. Ricordando che si è trattato di "comportamenti isolati", Consolo ha anche spiegato di aver "trasmesso un corposo rapporto all'autorità giudiziaria, alla quale sono riservate le valutazioni: se si dovessero rilevare reati - ha sottolineato il capo del Dap - questa amministrazione si costituirà parte civile per danno all'immagine". E ha aggiunto: "Ci sono dei limiti nel manifestare il proprio pensiero che discendono dal ruolo e dalle funzioni del Corpo: la Polizia penitenziaria deve svolgere i suoi compiti affinché il suo esempio eserciti un'influenza positiva su chi è chiamato a vigilare". Orlando: evitare generalizzazioni Nel corso della conferenza stampa congiunta seguita all'incontro con Consolo, il Guardasigilli ha invitato "a non generalizzare", convinto che "le opinioni emerse non corrispondano al sentire comune della polizia penitenziaria, impegnata quotidianamente per impedire i suicidi in carcere, non per esultare quando avvengono". Ora, ha concluso, occorre "isolare l'episodio, e alle sigle sindacali chiederò di non sottovalutare vicende come questa". Alle 15, il ministro ha invece avuto un incontro con le organizzazioni sindacali per sollecitare "un'iniziativa "politica" da parte dei rappresentanti della polizia penitenziaria" che condanni l'episodio. Formazione sull'uso dei social network per gli agenti Nel corso dell'incontro con i sindacati, il ministro ha sollecitato iniziative di formazione oper gli agenti penitenziari sull'uso dei social network. "Tra le iniziative del Dap ce n'è una che prevede questo tipo di formazione - ha ricordato il ministro - non si tratta di limitare la libertà di espressione, ma gli agenti devono essere consapevoli delle insidie che si nascondono nell'uso di questi mezzi, anche se questi fatti non sono in alcun modo derubricabili a disattenzione". Questa vicenda "triste e intollerabile - è l'auspicio di Orlando - può essere l'innesto per una riflessione su come questo Corpo deve atteggiarsi verso i mezzi di comunicazione". Le contromisure adottate in tempo di record dall'amministrazione penitenziaria hanno riscorro oggi il plauso dell'Unione delle Camere penali (Ucpi), che in una nota esprimono "apprezzamento" per l'immediato intervento del ministro. L'auspicio è che l'inchiesta interna consenta "di giungere all'identificazione degli autori di quelle ignobili frasi", che dovrebbero essere puniti "con una sanzione disciplinare adeguata, trattandosi di atti che rivelano una totale mancanza di senso morale". Il suicidio riguardava un detenuto rumeno all'ergastolo per omicidio, impiccatosi nella sua cella nel carcere di Opera, alla periferia di Milano. Nei giorni successivi, i commenti agghiaccianti al post che dà la notizia, pubblicati sulla pagina Facebook dell'Alsippe, l'Alleanza sindacale Polizia penitenziaria. Tra gli altri, "un rumeno in meno" e "speriamo abbia sofferto". Oggi l'intervento del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, che ha avviato accertamenti sugli insulti pubblicati. Il Dap aveva subito definito i commenti ingiuriosi "un'offesa al lavoro di tutti gli agenti impegnati a salvaguardare le persone che hanno in custodia". L'inchiesta interna doveva accertare prima di ogni altra cosa se gli autori dei post sotto accusa fossero effettivamente agenti di Polizia penitenziaria, per poi procedere alle sanzioni. Il Dap aveva sottolineato come "profonda irritazione" per l'accaduto sia stata espressa anche dalle sigle sindacali della Polizia penitenziaria "più rappresentative" dell'Alsippe. A muoversi era stato subito anche il ministro della giustizia Andrea Orlando, che domani incontrerà il capo del Dap Santi Consolo, per "avere elementi sull'inchiesta interna avviata e per valutare i provvedimenti da adottare". Nei prossimi giorni, il Guardasigilli convocherà anche le sigle sindacali della polizia penitenziaria per "discutere dell'accaduto e di come evitare che simili inqualificabili comportamenti possano ripetersi". Giustizia: Santi Consolo (Dap) "Polizia penitenziaria vicina ai detenuti, siamo mortificati" Asca, 20 febbraio 2015 "La Polizia penitenziaria è mortificata per quanto è successo e continueremo a muoverci su questa linea positiva: ho avviato una circolare che richiama tutti gli appartenenti al dipartimento ai doveri propri del Corpo e già oggi ho inviato una missiva per implementare e continuare l'attività di formazione sulla deontologia". Il capo del Dap Santi Consolo ha spiegato di aver avuto "dal ministro Orlando vicinanza e attenzione su questo pettegolezzo squallido che ha fatto cambiare l'attenzione sul valore più grande che è la vita delle persone. Il Corpo della Polizia penitenziaria si è distinto per sensibilità, attenzione, sacrificio e vicinanza alle sofferenze dei detenuti". "Il nostro Nucleo investigativo centrale - ha proseguito il capo del Dap - ha svolto subito un'attività di accertamento capillare individuando in breve tempo chi ha scritto quelle frasi. La Polizia penitenziaria è mortificata per quanto è successo e continueremo a muoverci su questa linea positiva: ho avviato una circolare che richiama tutti gli appartenenti al dipartimento ai doveri propri del Corpo e già oggi ho inviato una missiva per implementare e continuare l'attività di formazione sulla deontologia". Santi Consolo ha infine chiarito che sui sedici presunti responsabili dei commenti su Facebook "sarà un organo alto a decidere le eventuali sanzioni disciplinari da erogare, una commissione disciplinare che si sta interessando del caso". Saremo parte civile se individueranno reati "Stamattina ho firmato 16 provvedimenti cautelari di sospensione e concordato con il direttore generale del personale l'avvio di procedimenti disciplinari" a carico degli appartenenti alla Polizia penitenziaria individuati come gli autori dei commenti su Facebook sul suicidio di un detenuto nel carcere di Opera. Lo ha detto il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Santi Consolo, in una conferenza stampa al ministero della Giustizia con il ministro Orlando. Ricordando che si è trattato di "comportamenti isolati", Consolo ha anche reso noto di aver "trasmesso un corposo rapporto all'autorità giudiziaria, alla quale sono riservate le valutazioni: se si dovessero rilevare reati - ha sottolineato - questa amministrazione si costituirà parte civile per danno all'immagine. Ci sono dei limiti nel manifestare il proprio pensiero che discendono dal ruolo e dalle funzioni del Corpo: la Polizia penitenziaria deve svolgere i suoi compiti affinché il suo esempio eserciti un'influenza positiva su chi è chiamato a vigilare". Uil-Pa: dubbi su tempistica Dap Dopo i 16 provvedimenti cautelari di sospensione e l'avvio di procedimenti disciplinari decisi dal Dap a carico degli appartenenti alla Polizia penitenziaria individuati come gli autori dei commenti su Facebook sul suicidio di un detenuto nel carcere di Opera arrivano anche le prime reazioni delle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. L'Uil-Pa, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, "condivide la necessità di provvedimenti esemplari nei confronti di chi si è reso responsabile di dichiarazioni che offendono la sensibilità, l'umanità e la professionalità di chi ogni giorno lavora per impedire il tracollo del sistema penitenziario salvando decine di vite" ma, allo stesso tempo, esprime "perplessità sulla tempistica di questi provvedimenti, che avrebbero potuto giungere al termine di un percorso disciplinare espletato con le modalità ordinarie". "Se questa metodologia, però, adottata da parte del Dap è propedeutica a perseguire inefficienze e violazioni - afferma Eugenio Sarno, segretario nazionale Uil-Pa - ci aspettiamo nelle prossime ore sanzioni esemplari nei confronti dei detenuti che si sono resi responsabili di aggressioni in danno dei poliziotti e, soprattutto, nei confronti dei Dirigenti Generali, dei Direttori e dei Comandanti che certificatamente hanno violato norme contrattuali e regolamenti calpestando diritti soggettivi e contribuendo significativamente allo stato comatoso in cui versa il sistema penitenziario italiano". Sappe: infangano Corpo, vanno cacciati "Esultare ad un suicidio è quanto di più squallido e vergognoso ci possa essere. Dico all'amministrazione: senza indulgenze, perseguire queste persone e se è del caso, destituirle dal corpo". Così Donato Capece, del Sappe, il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, è intervenuto a Effetto Giorno, su Radio 24, in merito al caso degli insulti al detenuto morto suicida. "Non rappresentano la polizia penitenziaria e hanno gettato fango su migliaia di operatori che tutti i giorni salvano la vita a decine e decine di detenuti che tentano il suicidio. Se sono mele marce è giusto che vengano cacciati dal corpo. Senza pietà e senza indulgenze. Non sono degni di indossare l'uniforme della polizia penitenziaria. Noi in carcere rappresentiamo lo Stato, un suicidio in carcere è una sconfitta per lo Stato e una sconfitta per la polizia penitenziaria". Osapp: provvedimenti Dap illegittimi "Provvedimento illegittimi", perché "assunti con un giudizio sommario". Il segretario dell'Osapp, Leo Beneduci, pur giudicando "esecrabili" i post di alcuni agenti sulla pagina Facebook di un altro sindacato della Polizia penitenziaria sul suicidio di un detenuto romeno, ritiene che i provvedimenti di sospensione presi dal Dap siano "illegittimi" perché "non preceduti da un procedimento disciplinare secondo le regole" Per Beneduci, i provvedimenti sono "indiscriminati" e decisi "da un'Amministrazione che si è rivelata fallimentare" in relazione ai problemi di organico della Polizia penitenziaria e alla situazione delle carceri che mutata negli anni. Quelle degli agenti su Facebook sono "prese di posizione inaccettabili per chi indossa una divisa" ma "sarebbe anche il caso di affrontare, una buona volta, anche il disagio da cui nascono". Beneduci non ha risparmiato critiche al ministro della Giustizia Andrea Orlando con il quale in sindacati hanno avuto "un incontro di tre minuti". "Mi chiedo - ha concluso il segretario dell'Osapp - se si ricorda di essere anche il ministro della Polizia penitenziaria". Fns-Cisl: provvedimenti Dap non ci convincono "Riteniamo che l'incontro di oggi con il ministro della Giustizia Orlando sia stato tempestivo ed importante per la tutela e la salvaguardia di tutti coloro che si muovano all'interno delle carceri italiane, dai detenuti, al personale penitenziario, ma i provvedimenti presi dal Dap non ci convincono fino in fondo mancando ancora un'indagine della Procura della Repubblica sui tristi fatti verificatisi nel carcere di Opera". Lo dichiara in una nota il Segretario Generale della Fns Cisl, la Federazione nazionale della Sicurezza della Cisl, Pompeo Mannone, commentando l'incontro di oggi tra sindacati della sicurezza e Ministro della Giustizia sul caso degli agenti della polizia penitenziaria che hanno esultato su Facebook per il suicidio di un detenuto. "Quanto accaduto in questi giorni, il caso del detenuto suicida e le frasi incaute di alcuni agenti di polizia penitenziaria - conclude Mannone - siano uno stimolo concreto che porti il Ministro ad affrontare una volta per tutte i problemi che riguardano ormai da tanto tempo, troppo, le carceri italiane e che in troppi fanno finta di non vedere". Giustizia: intervista al Senatore Luigi Manconi "in carcere anche gli agenti sono vittime" di Lorenzo Maria Alvaro Vita, 20 febbraio 2015 Dopo il caso che ha visto agenti penitenziari schernire su Facebook un detenuto suicida interviene Luigi Manconi, presidente dell'Associazione "A buon diritto" che sottolinea: "La causa di tutto è il sovraffollamento. Oggi ci sono 10mila detenuti di troppo. E stanno aumentando vertiginosamente i suicidi tra i poliziotti" La vicenda inizia tre giorni fa, con la notizia del suicidio dell'uomo: 39 anni, Ioan Gabriel Barbuta, romeno, era detenuto nel carcere di Opera dopo essere stato condannato all'ergastolo nel giugno del 2013 per l'omicidio di un vicino di casa. Dopo il decesso fa scalpore come su Facebook le guardie carcerarie si riferiscano alla vicenda. "Meno uno". "Un rumeno in meno", "mi chiedo cosa aspettino gli altri a seguirne l'esempio". Una serie di commenti violentissimi che compaiono in un gruppo del social network appartenente al sindacato di agenti, l'Alsippe. Una storia emblematica anche perché documenta per l'ennesima volta la barbarie delle condizioni delle carceri in Italia, sia per i detenuti sia per chi ci lavora. Gli ultimi dati, aggiornatissimi, di Ristretti Orizzonti parlano di 6 suicidi e 12 decessi in Italia da inizio anno. Numeri preoccupanti. Nel 2014 il bilancio era stato di 43 suicidi e 131 decessi. Numeri che, è vero, sono in decrescita rispetto agli anni precedenti, ma rimangono comunque altissimi. Sempre R.O. sottolinea anche che l'Italia risulta essere, dopo la Russia, il paese europeo con il più numeroso personale carcerario, pari a 45.772 unità. In Russia il personale carcerario ammonta a circa 300.000 unità. Per capire la materia e provare a trovare qualche risposta abbia chiesto aiuto a Luigi Manconi, senatore e presidente dell'Associazione "A Buon Diritto". Con la notizia del suicidio e lo scandalo delle dichiarazioni dei poliziotti su Facebook è tornato di attualità il tema carcere. A che punto siamo? "La situazione penso sia questa: il sovraffollamento al di là di valutazioni ottimistiche non è stato ridotto ai minimi termini, c'è eccome. Nelle carceri italiane risulta un'eccedenza di almeno 10 mila persone. Questo è il dato da cui non si può prescindere. Perché il sovraffollamento non è un fattore estremamente negativo per i soli reclusi, ma per tutti coloro che vivono il carcere. All'origine di tutto c'è un carcere sovraffollato che ha fatto degradare la qualità di tutti i servizi e tutte le attività". Sta dicendo che quelle dichiarazioni possono essere dovute alla condizione difficile di lavoro cui quei poliziotti sono sottoposti? "Dico che dopo i detenuti, che sono le prime vittime, ci sono i poliziotti che subiscono un vero stress professionale. Sono numerosi i casi burnout, di esaurimenti dovuti alla condizione di lavoro. Tanto è vero che c'è un fenomeno sconosciuto e non affrontato che è quello dei suicidi tra le guardie carcerarie. Mentre rimane altissimo ma stabile il numero di suicidi tra i carcerati cresce costantemente quello dei poliziotti". Non è un modo per giustificare quelle dichiarazioni? "Quella vicenda mi interessa molto poco. Esiste in ogni gruppo sociale e in ogni professione una percentuale di sciagurati. Mi preoccupa di più che la reazione de sindacati di polizia penitenziaria, che questa volta c'è stata, in passato non sia stata sempre così pronta". Secondo i dati di Ristretti Orizzonti nel 2015 ci sono già stati 6 suicidi e 12 decessi. Non è poco. L'anno scorso furono in tutto 43 i suicidi e 131 i decessi. Un dato in decrescita rispetto a quelli precedenti ma comunque altissimo... "Sono dati che vanno considerati nei decenni. In passato abbiamo avuto persino 71 casi di suicidi in un anno. Io ho fatto un indagine scientifica su questo tema e avevo verificato come la frequenza dei suicidi all'interno della popolazione detenuta fosse 17/18 volte maggiore rispetto a quella della popolazione non detenuta. All'interno della popolazione detenuta poi si registrano molti suicidi all'interno delle fasce della prima età adulta, tra i 24 e i 35 anni. Fascia d'età che nella popolazione non carcerata ha percentuali di suicidio molto basse. Avevo anche verificato che la frequenza di suicidi è maggiore tra i primi 3 giorni, i primi 7 e i primi 30. Il motivo è l'impatto con l'universo carcerario". Secondo Ristretti Orizzonti l'Italia è il Paese europeo con il più numeroso personale penitenziario pari a 45.772 unità secondo solo alla Russia. Come si spiega? "Una parte significativa di quel personale non è adibita a compiti di custodia e trattamento ma ad altre mansioni. Fino a qualche tempo fa, ad esempio, il numero di poliziotti penitenziari che stavano alla sede Ministero di Giustizia di via Arenula a Roma era consistente". Cosa è stato effettivamente fatto per risolvere il problema del sovraffollamento? "Sono state prese delle misure sagge a mio avviso eccessivamente prudenti. Sarebbero stati necessari provvedimenti di amnistia e indulto. In assenza di questo il problema rimane significativo e la riforma del carcere risulta troppo lenta". Giustizia "Uno di meno"… stessi commenti anche per il suicidio di Bartolomeo Gagliano di Riccardo Arena www.ilpost.it, 20 febbraio 2015 "Uno di meno", "ottimo, speriamo abbia sofferto", "mettere a disposizione più corde e sapone". Questi i commenti scritti da alcuni agenti della polizia penitenziaria e apparsi su una pagina Facebook della stessa polizia penitenziaria. Commenti relativi al suicidio di Joan Gabriel Barbuta, che si è impiccato venerdì scorso nel carcere Opera di Milano utilizzando un lenzuolo. "Uno di meno". Non certo un caso isolato, visto che, nel mese di gennaio, commenti analoghi e sempre scritti da agenti di Polizia penitenziaria sono apparsi su un'altra pagina di Facebook, chiamata "Solidarietà ai poliziotti penitenziari aggrediti in carcere", quando a suicidarsi è stato Bartolomeo Gagliano detenuto nel carcere di Sanremo. Le solite "mele marce" da isolare e sanzionare? No. È l'ennesima dimostrazione di come oggi il carcere sia ridotto a un canile abbandonato. Un canile, il peggiore, dove custodi e custoditi subiscono le conseguenze quotidiane dello stesso degrado, comportandosi di conseguenza e in modo simile. Il cane abbaia rabbioso per quella gabbia fatiscente e il custode lo picchia selvaggiamente. Esattamente ciò che avviene oggi negli istituti penitenziari, con l'unica differenza che gli agenti possono scrivere su Facebook e i detenuti ovviamente no. Dunque, non carceri, ma canili che ospitano detenuti e agenti. Canili dove i detenuti disprezzano gli agenti e dove gli agenti disprezzano i detenuti. Canili senza legge e dove tutto è consentito. Lo svilimento della persona e della vita, la violenza, la commissione di reati e l'impunità. E cosa è questo se non la conseguenza di un intero sistema penitenziario del tutto illegale che è collassato su se stesso? Inutile sanzionare qualche agente disgraziato per quei commenti sul detenuto suicida, come vuole il Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Come ipocrita sarebbe ignorare che anche tra i detenuti c'è chi gioisce per la morte di un agente. Più serio e onesto sarebbe capire che oggi si lasciano vivere delle persone, agenti e detenuti, in condizioni bestiali. Più serio e onesto sarebbe capire il profondo degrado in cui versano le nostre carceri, ridotte a dei canili illegali, e individuare soluzioni concrete ed efficaci per far tornare la legalità e il decoro negli istituiti di pena. Ma, purtroppo, non c'è da illudersi. Se il carcere è ridotto a un canile, chi ha la responsabilità di governare il sistema penitenziario è ridotto all'inconsapevolezza ed è incline alla superficialità. Giustizia: quei secondini dal "cuore nero" che non sanno di custodire Qualcosa di Mauro Leonardi www.ilsussidiario.net, 20 febbraio 2015 Ad Opera, un uomo di 39 anni, un rumeno, si suicida in carcere per essere stato condannato all'ergastolo, e alcuni - pochi - agenti di polizia penitenziaria scrivono su Facebook commenti vergognosi: "Meno uno", "Un rumeno in meno". Una storiaccia. Ci sarà un'inchiesta. Ci saranno dei colpevoli. Ci saranno condanne. Per ora c'è un morto e persone felici che lo sia. E l'orrore aggiunto è che queste persone sono deputate alla custodia di uomini come quello che si è ammazzato. Questa è la notizia di cronaca. La prima cosa che mi viene in mente è che abbiamo un nuovo deterrente contro la criminalità. Non è la virtù, non è la fede, non è la scuola, non è la famiglia: è la paura di cosa ti aspetta se finisci dentro. Luogo di detenzione, certo. Ma anche luogo di recupero. Se un nostro figlio sbaglia - sbaglia grosso e finisce in galera - di cosa dobbiamo avere paura? Del male che ha fatto? Del dolore che ha procurato? Sarebbe solo giusto, normale. Ma se devo aver paura di cosa gli accadrà lì dentro, c'è qualcosa che non va. So che è una prigione, non sto parlando della privazione di diritti. Parlo della privazione di umanità. Ciò che c'era su Facebook è stato cancellato come certe scritte indecenti sui muri, e hanno fatto bene. E io sono qui che non so da che parte rivoltare la notizia per cercare di scusare le guardie: lo stress di un lavoro logorante come quello della guardia penitenziaria, può giustificare frasi da aguzzini? Vorrei fosse una domanda retorica, a cui si sa come rispondere. Leggo alcune giustificazioni che dicono addirittura essere necessario avere un "core nero" per fare questo lavoro. Davvero per fare l'agente penitenziario devi avere nel curriculum il "core nero"? Un agente di custodia non è un impiegato qualunque. Tutti i lavori sono una vocazione, ma alcuni di più. Se il cuore è nero, dico, non occuparti di vite macchiate perché avrai bisogno di forza ma non violenza. Vicino a un un uomo debole ce ne vuole uno forte, non uno cattivo. Se mio figlio fosse un assassino vorrei che accanto gli stesse un uomo, non un "core nero". Non è civiltà questa, non è umano questo. Dire, come giustificazione, che per fare la guardia ci vuole un "core nero" vuol dire essere complici, vuol dire preparare il terreno di cultura della violenza. La forza di una civiltà si vede da come difende i deboli, non da come si arrende ai forti. Una civiltà vera ha una cultura che non tocca i deboli ma li custodisce. I deboli, sia chiaro, non sono solo gli innocenti e non sono solo quelli di una razza. Un delinquente, un assassino a cui hanno appena dato l'ergastolo, è debole. Più debole di chi ha le chiavi della sua cella. Non tanto tempo fa Papa Francesco ha parlato dell'ergastolo dicendo che andava abolito perché era come una pena di morte "nascosta". Forse quell'uomo di 39 anni sapeva di cosa stava parlando il Papa, ma le guardie lo sapevano? No. A guardare facebook, quelle guardie - quelle guardie di custodia - parevano festeggiare. Se perdessi qualcosa che dovevo custodire mi sentirei male, non festeggerei. Ma quelle guardie sapevano di custodire qualcosa? E allora perché non sanno di aver perso qualcosa? Un romeno, non è un uomo? Un ergastolano, non è un uomo? Chi siamo quando entriamo in galera? Se non puoi permetterti un avvocato decente per rendere meno pesanti i tuoi sbagli, cosa succede? C'era una risposta a queste domande tra i post di Facebook di quegli agenti? Spero che nei loro "cori neri" ci sia una risposta, se non bianca, almeno grigia. Giustizia: le frasi cretine sul suicidio del detenuto e il Messaggio del Presidente Napolitano di Valter Vecellio Notizie Radicali, 20 febbraio 2015 Leggo i commenti (tutti giusti, tutti puntuali, tutti condivisibili) a quelle che vengono definite "frasi choc" apparse su un sito web di un sindacato di agenti di polizia penitenziaria di cui pochissimi o nessuno fino a ieri conosceva l'esistenza, a commento della notizia del suicidio di un detenuto romeno ("Si è ucciso? Bene, uno di meno"). Frasi imbecilli scritte da cretini, di quelle che si possono sentire, purtroppo, salendo su un autobus o al mercato. Perché almeno, una volta, il cretino aveva pudore e cura di tenerla un po' occultata, la sua cretinaggine. Oggi, al contrario, la palesa, compiaciuto e tronfio. Poi ci sono i Matteo Salvini, che non giustifica, ma capisce. Gli si può credere a metà, e neppure tanto. Hanno ragione, Luigi Capece ("Il Garantista"), e Massimo Gramellini ("La Stampa"); Luigi Pagano (intervista a "Repubblica") e Michele Serra ("Repubblica"), Luigi Manconi e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Quei commenti sono una vergogna per tutti gli agenti della polizia penitenziaria; "agenti di custodia che tradiscono non solo la propria uniforme, ma anche quel poco o quel tanto di civiltà che resta in quel deposito di carne umana che sono le carceri italiane"; "barbarie", "inqualificabili comportamenti", "episodio intollerabile". Tutto giusto, puntuale, condivisibile. Si può poi aggiungere, mutuando un detto popolare, che si raccoglie quello che si è seminato? L'8 ottobre 2013 l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per la prima e unica volta nei suoi nove anni al Quirinale invia un messaggio alle Camere. Al centro la questione della giustizia e delle carceri. Un messaggio solenne, di quelli previsti dalla Costituzione, un testo di alta politica, quella merce rarissima in Italia, che si occupa e preoccupa di "governare" gli avvenimenti e le cose. Un prezioso documento con analisi, proposte, indicazioni di lavoro. Quel documento, inviato al Parlamento è stato considerato, letteralmente, carta straccia. Il presidente del Senato, la presidente della Camera, i capigruppo avrebbero avuto l'obbligo di dibattere quel documento, di avviare un confronto, magari di respingerlo in toto o in parte. Invece, nulla; come se non fosse stato mandato. Non un parlamentare su quasi mille che sono che abbia alzato la mano in apertura di seduta, per porre la questione e chiedere spiegazione di questo comportamento. Non un giurista che abbia fatto presente e commentato quanto accaduto. Non un giornale che abbia pubblicato il testo del messaggio presidenziale. No, non è vero, qualcuno c'è stato: i radicali che hanno assunto quel documento come loro programma politico per le settimane a venire; e Marco Pannella che dalla "Radio Radicale" non si stanca di sottolineare e rimarcare l'importanza di quel testo. Che nessuno ha pubblicato, su cui nessun confronto è stato avviato; di cui nessuno degli innumerevoli talk show e programmi di approfondimento si è occupato. Vogliamo vederlo, quel testo? "Se mi sono risolto a ricorrere ora alla facoltà di cui al secondo comma dell'articolo 87 della Carta, è per porre a voi con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza", scrive Napolitano. "Parlo della drammatica questione carceraria… l'Italia viene a porsi in una condizione che ho già definito umiliante sul piano internazionale per le tantissime violazioni di quel divieto di trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti che la Convenzione europea colloca accanto allo stesso diritto alla vita. E tale violazione dei diritti umani va ad aggiungersi, nella sua estrema gravità, a quelle, anche esse numerose, concernenti la durata non ragionevole dei processi… …Sottopongo dunque all'attenzione del Parlamento l'inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all'Italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall'ordinamento su cui si fonda quell'integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini. Ma si deve aggiungere che la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale. Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell'insensibilità e nell'indifferenza, convivendo - senza impegnarsi e riuscire a modificarla - con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari. Il principio che ho poc'anzi qualificato come "dovere costituzionale", non può che trarre forza da una drammatica motivazione umana e morale ispirata anche a fondamentali principi cristiani... E vengo ai rimedi prospettati o già in atto. Per risolvere la questione del sovraffollamento, si possono ipotizzare diverse strade, da percorrere congiuntamente. Ridurre il numero complessivo dei detenuti, attraverso innovazioni di carattere strutturale quali: 1) l'introduzione di meccanismi di probation. A tale riguardo, il disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora all'esame del Senato, prevede, per taluni reati e in caso di assenza di pericolosità sociale, la possibilità per il giudice di applicare direttamente la "messa alla prova" come pena principale. In tal modo il condannato eviterà l'ingresso in carcere venendo, da subito, assegnato a un percorso di reinserimento; 2) la previsione di pene limitative della libertà personale, ma "non carcerarie". Anche su questo profilo incide il disegno di legge ora citato, che intende introdurre la pena - irrogabile direttamente dal giudice con la sentenza di condanna - della "reclusione presso il domicilio"; 3) la riduzione dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere. A tale proposito, dai dati del Dap risulta che, sul totale dei detenuti, quelli "in attesa di primo giudizio" sono circa il 19%; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch'essi circa il 19%; il restante 62% sono "definitivi" cioè raggiunti da una condanna irrevocabile. Nella condivisibile ottica di ridurre l'ambito applicativo della custodia carceraria è già intervenuta la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto legge n. 78 del 2013, che ha modificato l'articolo 280 del codice di procedura penale, elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può giustificare l'applicazione della custodia in carcere; 4) l'accrescimento dello sforzo diretto a far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena inflitta in Italia nei loro Paesi di origine… 5) l'attenuazione degli effetti della recidiva quale presupposto ostativo per l'ammissione dei condannati alle misure alternative alla detenzione carceraria; in tal senso un primo passo è stato compiuto a seguito dell'approvazione della citata legge n. 94 del 2013, che ha anche introdotto modifiche all'istituto della liberazione anticipata. Esse consentono di detrarre dalla pena da espiare i periodi di "buona condotta" riferibili al tempo trascorso in "custodia cautelare", aumentando così le possibilità di accesso ai benefici penitenziari; 6) infine, una incisiva depenalizzazione dei reati, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non minore… Tutti i provvedimenti, di cui ritengo auspicabile la rapida definizione, appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell'immediato con il ricorso a "rimedi straordinari". Considerare l'esigenza di rimedi straordinari: la prima misura su cui intendo richiamare l'attenzione del Parlamento è l'indulto, che - non incidendo sul reato, ma comportando solo l'estinzione di una parte della pena detentiva…Ritengo necessario che - onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l'indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006 - il provvedimento di clemenza sia accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all'effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione. Al provvedimento di indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia… Ritengo che ora, di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all'imperativo - morale e giuridico - di assicurare un "civile stato di governo della realtà carceraria", sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all'adozione di atti di clemenza generale… A ciò dovrebbe accompagnarsi l'impegno del Parlamento e del Governo a perseguire vere e proprie riforme strutturali - oltre le innovazioni urgenti già indicate in questo messaggio - al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del "sovraffollamento carcerario". Il che mette in luce la connessione profonda tra il considerare e affrontare tale fenomeno e il mettere mano a un'opera, da lungo tempo matura e attesa, di rinnovamento dell'Amministrazione della giustizia. La connessione più evidente è quella tra irragionevole lunghezza dei tempi dei processi ed effetti di congestione e ingovernabilità delle carceri… confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia". Il Parlamento come (non) sappiamo, ha risposto con gelida indifferenza, con offensiva volontà di non fare. Un sogno: che il presidente Sergio Mattarella riprenda il messaggio del presidente emerito Napolitano e lo faccia suo, inviandolo nuovamente al Parlamento. Secondo sogno: che i parlamentari oggi indignati per le frasi choc di alcuni cretini, chiedano ai presidenti del Senato e della Camera, e ai loro capigruppo di discutere e dibattere quel messaggio. Terzo sogno: che i commentatori indignati e tutti noi si chieda che quel programma politico delineato e descritto in quel documento presidenziale sia attuato; e se lo si respinge perché, e cosa si propone e offre in alternativa. Quarto sogno: che ai cittadini di questo paese sia consentito di conoscere, sapere, poter valutare. È troppo? Vogliamo provare, almeno, a porci la questione del perché questi sogni sono destinati a restare tali? E se si può fare, e cosa, perché non restino tali? Potrebbe essere la migliore risposta alle corbellerie e alle scempiaggini di quei cretini che non vanno perdonati, anche se non sanno quello che dicono e scrivono. P.S.: dall'inizio dell'anno siamo arrivati a dodici detenuti morti; sei i suicidi. Giustizia: Farina (Sel); certe culture non hanno diritto cittadinanza fra Forze dell'ordine www.diariodelweb.it, 20 febbraio 2015 Dopo i commenti feroci sul web, da parte di sedicenti agenti, a proposito del suicidio di un detenuto nel carcere milanese di Opera, l'On. Daniele Farina, parlamentare di Sel, ha rilasciato un'intervista per DiariodelWeb.it. Sul profilo Facebook dell'Alsippe (Alleanza Sindacale della Polizia Penitenziaria), sono comparsi commenti feroci da parte di sedicenti agenti, a proposito del suicidio di un detenuto nel carcere milanese di Opera. Le frasi sono state subito cancellate, ma hanno lasciato un ricordo indelebile sui social network e acceso un forte dibattito nazionale. La Lega Nord si è rifiutata di rilasciare interviste sulla questione, dichiarando esplicitamente che si tratta di un silenzio assenso in comunione con le frasi postate. L'On. Daniele Farina, parlamentare di Sel, ha invece rilasciato un'intervista per DiariodelWeb.it. Qual è la posizione di Sel in merito alle frasi comparse sul profilo Facebook dell'Alsippe? "Non qualifico le frasi, perché non sono qualificabili. Ma il problema non è il bon-ton: il problema è che, ancora una volta, si evidenzia nel corpo della - pur ottima - polizia penitenziaria italiana una cultura che non sempre corrisponde al senso del lavoro loro demandato. Si tratta certamente di un impegno di grande responsabilità, esercitato in condizioni veramente difficili, ma questo tipo di cultura è incompatibile col corpo della polizia penitenziaria, indipendentemente dalle sigle di appartenenza. Mi permetto di rilevare che questo è solo l'ultimo di tanti casi che hanno acceso un campanello d'allarme. È vero che il Parlamento, dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte dei diritti umani, è più volte intervenuto sulla materia, e che la situazione delle carceri - per quanto riguarda il sovraffollamento - è migliorata, però permane una situazione molto grave. È per questo che Sel ha chiesto, con un progetto di legge, di istituire una commissione parlamentare d'indagine sulle morti in carcere." Questa mattina, il segretario generale del Sappe ha dichiarato a DiariodelWeb.it che le condizioni in cui la polizia penitenziaria è costretta a lavorare sono pessime: turni più lunghi rispetto al contratto nazionale, straordinari non pagati e personale ridotto. Mancano all'appello circa settemila agenti. Si sentono abbandonati dall'Amministrazione, dalle Istituzioni e dal mondo politico: cosa rispondete a questo appello? "Quello che dice il segretario generale del Sappe penso lo possano dire tutte le sigle della polizia penitenziaria italiana, ma anche quelle di altri corpi dello Stato. Io faccio parte di un partito che è all'opposizione: la principale critica che abbiamo mosso a questo governo è che le riforme non si fanno a costo zero. È chiaro che non si possono fare le riforme senza mettere risorse a disposizione, ma anzi traducendo una riduzione del sovraffollamento con una riduzione dei costi dell'amministrazione. Tuttavia, questa ragionevole obiezione (da parte del segretario generale del Sippe) non può occultare il fatto che ci siano culture che non hanno titolo di stare nelle delicate funzioni in cui stanno. Non vale solo per la polizia penitenziaria: pensiamo anche alla vicenda di Aldrovandi. Io credo che ci siano un insieme di problematiche, ma resta il fatto che in quella posizione delicatissima del custode sul custodito certe culture non hanno il diritto di stare." E quali sono le proposte di Sel per migliorare queste problematiche? "Noi abbiamo agito sulla base di uno spettro molto ampio di provvedimenti che sono arrivati. Ci prendiamo il merito di aver agito anche sulle problematiche relative alla situazione carceraria, perché a noi è sembrato ovvio che il sovraffollamento, cioè l'esplosione della popolazione detenuta, abbia una causa precisa: la data di origine è il 2006-2007, quando il Testo unico sugli stupefacenti venne approvato nella versione promossa dal centrodestra. È stato inefficace dal punto di vista della repressione del narcotraffico, ma anzi ha avuto come effetto collaterale negativo quello di riempire le carceri italiane per reati di modestissima gravità. Credo che in questo senso siano stati fatti dei passi decisivi, passi tuttavia compiuti a metà: noi avremmo agito più profondamente, anche col ricalcolo automatico della pena per coloro che sono ancora detenuti in base ad una norma giudicata incostituzionale. Se avessimo agito prima, come Sel chiedeva da tempo, la situazione sarebbe oggi migliore e nulla sarebbe accaduto alla sicurezza dei cittadini: perché uno dei dati più chiari è quello che dimostra che non vi è alcuna relazione tra il tasso di carcerazione di un paese e la sicurezza dei suoi cittadini. Significa che non è vero che più carcere si infligge, più i cittadini sono al sicuro. Credo che Sel su questo abbia fatto un bel lavoro, un lavoro coraggioso; ma, purtroppo, ci sono all'interno del governo - ora come prima - componenti che frenano su provvedimenti che potrebbero essere decisivi". Giustizia: troppo facile prendersela solo con gli Agenti, ma il Dap non c'entra mai nulla? www.poliziapenitenziaria.it, 20 febbraio 2015 Facile, troppo facile adesso per i vertici del Dap diramare roboanti comunicati stampa sulle indagini e sui possibili, esemplari, provvedimenti disciplinari che saranno intrapresi nei confronti di quei colleghi della Polizia Penitenziaria che hanno scritto commenti inqualificabili su Facebook, riguardo il suicidio avvenuto nei giorni scorsi nel carcere di Milano Opera, da parte di una persona detenuta. Perché con pari solerzia, il Ministro della Giustizia, il Governo e il Parlamento, non dovrebbero a loro volta indagare e mettere in campo tutti i provvedimenti normativi e disciplinari nei confronti dei vertici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (presenti e soprattutto passati) che sono i principali, e più colpevoli, responsabili dello sfascio del sistema penitenziario padre, a mio avviso, di quelle gravi esternazioni che hanno gettato discredito su tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria. Ciò nondimeno la responsabilità, penale e disciplinare, è personale e come tale dovrà essere valutata, procedendo (mi auguro) con le adeguate singole sanzioni; ma se un gruppo di persone appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria si lascia andare a commenti del genere (e non è certo la prima volta che fatti simili avvengono e non sono sempre e solo questi i colleghi che si sono lasciati andare ad analoghe dichiarazioni), non siamo solo davanti ad un manipolo di stolti o di persone incapaci di valutare le possibili ricadute delle proprie parole, sia sul piano personale che su quello collettivo, ma siamo di fronte ad un problema culturale che deriva da pesanti responsabilità per la carenza di formazione del personale, prima, e che, poi, vanno alla deriva in dissennate carenze di controllo e di indirizzo su certe dinamiche che i vertici del DAP non possono non aver osservato in precedenza. E se non sono stati capaci di osservarle, allora sono ancora più colpevoli.  Mentalità militare e carenze sulla formazione In conseguenza dell'abolizione della leva obbligatoria del servizio militare nelle Forze Armate italiane, per evitare una drastica carenza di arruolamenti volontari nell'Esercito, nella Marina, nell'Aeronautica, con una forzatura normativa si è proceduto a vincolare l'arruolamento nel Corpo di Polizia Penitenziaria, alla permanenza da uno a quattro anni in una delle Forze Armate. Questo artificio legislativo, ha comportato qualche problema di passaggio da un Corpo Militare ad una Forza di Polizia ad ordinamento civile, quali la Polizia di Stato e il Corpo Forestale, e comporta tutt'ora notevoli problemi di adeguamento del paradigma culturale per un ragazzo formato in un ambiente militare e proiettato dopo pochi mesi di formazione in un ambito penitenziario assolutamente sui generis, con indosso l'uniforme della Polizia Penitenziaria, che non esito a definire una delle più difficili professioni praticabili per l'enorme gamma di competenze e capacità umane e professionali da introiettare e mettere in pratica ogni giorno. In questo quadro, già di per se problematico, si sono andati ad aggiungere provvedimenti di dimezzamento del periodo di formazione professionale, praticata con procedure di emergenza che, se riproposte e protratte da svariati anni, evidentemente hanno a che fare più con l'incapacità dei Ministri della Giustizia e dei vertici del Dap di programmare e pianificare idonee soluzioni alla cronica carenza d'organico della Polizia Penitenziaria, che non con reali ed eccezionali calamità naturali sopraggiunte all'improvviso. Oltremodo, non può essere un caso che, più di una volta negli anni passati, per tutte le altre Forze di Polizia ad ordinamento sia civile che militare, si è proceduto ad arruolamenti in deroga ai limiti imposti dalle varie Leggi finanziarie, mentre gli stessi limiti sono stati pedissequamente rispettati per la Polizia Penitenziaria decretando e peggio, aggravando, la "cronica" carenza d'organico del Corpo. Per non parlare, poi, dell'omesso controllo sulle disposizioni di indirizzo impartite dal centro verso la periferia, con Circolari tanto puntuali quanto inapplicabili sul piano della reale quotidianità della vita d'Istituto (vedi ad esempio la Circolare sui dischi colorati di verde, giallo e rosso da assegnare a ciascun detenuto), che hanno portato, negli anni, ad un sostanziale distacco del Dap dalle sue diramazioni periferiche, costringendo il personale di Polizia Penitenziaria (ancora di più di quanto non avvenisse nei decenni precedenti) a divenire esperto indiscusso nell'antica arte dell'arrangiarsi. Questa sostanziale incapacità della figura del Capo del Dap di avere il polso della situazione (si consideri la vergognosa ammissione del Ministro Cancellieri sulla ignoranza delle reali capacità detentive delle carceri italiane), e la reale capacità di incidere nelle scelte e nei comportamenti dei sottostanti livelli decisionali, hanno reso di fatto completamente autonomi i Provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria che oggi, possono decidere ed attuare scelte interpretative come meglio credono, adottando spesso decisioni che vanno contro gli interessi del personale di Polizia Penitenziaria (non da ultimo le discordanti scelte e i diversi criteri e tempi attuativi delle Circolari sui rimborsi degli alloggi a disposizione dei colleghi penitenziari). Per non parlare, infine, della assoluta mancanza di controllo (da parte del Dap e dei Prap) nei confronti dei Direttori penitenziari che pure sono stati chiamati a predisporre urgenti corsi di formazione, volti a diffondere e mettere in pratica le disposizioni dipartimentali sull'importante tema della cosiddetta "sorveglianza dinamica" e regime di "detenzione aperta" dei detenuti. Come conseguenza, questo importante momento di aggiornamento professionale, che pure è stato considerato uno dei cardini principali dei miglioramenti della situazione detentiva in Italia, è stato ancora una volta lasciato al caso e alla buona volontà di singoli Direttori e Comandanti di Reparto delle carceri. Benessere del personale La maggior parte delle scelte e delle disposizioni impartite dalla Direzione Generale del Personale e della Formazione del DAP, sono andate verso una direzione costrittiva e peggiorativa delle condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria. Se ormai sono diventate famose le Circolari sul comportamento e l'atteggiamento da assumere nei confronti dei superiori gerarchici al momento del saluto… non si conosce alcuna iniziativa che possa alleviare le difficili condizioni abitative (e conseguentemente familiari) di tutto quel personale proveniente dalle Regioni del sud Italia e che invece presta servizio nelle carceri del nord Italia. Tale personale presta servizio da decenni senza avere la benché minima certezza sui tempi e sulle regole (che il Dap adotta in un modo eufemisticamente definibile "poco trasparente") sul delicato tema dei distacchi e trasferimenti tra le diverse sedi dell'amministrazione penitenziaria. Se è vero che il Dap adotta di continuo convenzioni e protocolli d'intesa per migliorare (sulla carta) le condizioni detentive e le possibilità di reinserimento sociale delle persone detenute, nessun accordo è stato mai assunto in modo centralizzato, preventivo e pianificato, per risolvere i problemi di alloggio e residenza agevolata per il Corpo di Polizia Penitenziaria. Alle tante richieste di attenzione il Dap ha risposto con un ridicolo numero verde di cui peraltro, dopo un singolo lancio di comunicato stampa, si sono perse ormai le tracce. Il Dap inoltre non si rende conto dell'estremo segnale di disagio che proviene dall'incredibile mole di provvedimenti disciplinari elevati a migliaia di Poliziotti penitenziari ogni anno (più di ottantamila). Provvedimenti disciplinari che, anche se spesso vengono derubricati a sanzioni minori, creano un clima di sospetto e avversità nei confronti delle procedure amministrative dipartimentali considerate meramente punitive. Ad aggravare la situazione, poi, c'è l'indiscutibile fatto che analoga fermezza non viene applicata a quei detenuti che commettono minacce ed aggressioni nei confronti dei Poliziotti penitenziari che subiscono quotidianamente attacchi fisici e psicologici anche gravi. Due pesi e due misure che finiscono per acuire ancora di più la tensione e il rancore nei confronti dell'amministrazione e della "popolazione detenuta". Elevazione professionale e responsabilità dei dirigenti Uno dei più grandi paradossi del Corpo è che la stragrande maggioranza dei Poliziotti penitenziari (ventiseimila) ricopre la qualifica di "Assistente Capo", che si consegue automaticamente dopo quindici anni di servizio privi di sanzioni disciplinari gravi. Ai ruoli e qualifiche superiori si può accedere solo attraverso concorso pubblico o interno. Nonostante però le gravissime carenze d'organico nel ruolo dei Sovrintendenti e nel ruolo degli Ispettori, le procedure concorsuali non vengono portate avanti in modo pianificato ed efficiente e quando anche si riesce a proseguire nell'iter amministrativo, i Dirigenti del Dap spesso adottano criteri e decisioni che danno inizio a ricorsi amministrativi che quasi sempre vedono il Dap soccombere di fronte ai diversi gradi di giudizio della giustizia amministrativa. Tuttavia, nessun provvedimento disciplinare è stato mai intrapreso nei confronti di quei Dirigenti che ricoprono le stesse cariche da decenni, né gli stessi Dirigenti sono stati semplicemente ed opportunamente spostati in Uffici diversi. Si prenda ad esempio il Concorso "esterno" da Vice Ispettore di Polizia Penitenziaria indetto con Bando pubblico del 2002 e conclusosi solo nel dicembre 2014, dove sono state commesse gravi inadempienze, omissioni ed errori da parte dei Dirigenti del Dap, senza che vi sia stato alcun provvedimento disciplinare da parte dei livelli amministrativi superiori e senza che nemmeno il livello politico sia mai riuscito a porre argine di fronte a quello che, di fatto, è diventato "un livello dirigenziale di mezzo", immune da qualsiasi sanzione e/o controllo. Ultimamente poi, il recente decreto che ha ridefinito le piante organiche della Polizia Penitenziaria, ha ulteriormente decurtato il ruolo degli Ispettori di settecento unità per consentire invece l'incremento di novecento unità nel ruolo degli Agenti/Assistenti, a costo zero per lo Stato. Appare del tutto evidente come l'incremento di Poliziotti penitenziari, conseguente a questo artificio contabile, va a scapito della capacità del Corpo di dotarsi di figure di "concetto" e di "coordinamento", indispensabili al dispiegamento di una efficace catena di comando che parte dai Commissari e arriva fino agli Agenti neo assunti. Questo ulteriore sbilanciamento verso il basso, arginato dalla "diga naturale" della qualifica di Assistente Capo, congiunto alla carenza dei Sovrintendenti e degli Ispettori, acuisce ancora di più il divario tra Commissari e Agenti. A questo va aggiunta l'ormai annosa questione del mancato riallineamento delle posizioni giuridiche ed economiche tra i Sovrintendenti, gli Ispettori e i Commissari di Polizia Penitenziaria con le analoghe figure delle altre Forze di Polizia che, manco a dirlo, sono peggiori nella prima, rispetto alle seconde. Immagine pubblica e ruolo sociale Il termine "secondino" di per sé non è dispregiativo così come non lo è l'appellativo "agente di custodia". La differenza la fa il contesto in cui tali termini vengono usati. Attualmente, questi si ispirano a quel retaggio culturale di antica memoria in cui i "carcerieri" (altro termine simbolico) venivano associati a comportamenti afflittivi ai limiti della tortura. Pur tuttavia, se però da un lato il Corpo di Polizia Penitenziaria, dal 1991 ad oggi, ha saputo crescere con le sole proprie forze in termini professionali ed umani, analogo sforzo non è stato intrapreso dal DAP per far conoscere e comprendere all'opinione pubblica tale elevazione culturale e operativa. La mancata adozione da parte del Dap di un Piano della Comunicazione (che pure è obbligatorio per tutte le amministrazioni pubbliche) e la mancata selezione di personale adeguatamente formato che presti servizio negli Uffici deputati alla diffusione dell'immagine pubblica del Corpo di Polizia Penitenziaria, vengono considerati una ulteriore mancanza di sensibilità da parte del Dap nei confronti dei Poliziotti penitenziari che, oltretutto, costituiscono in termini numerici la stragrande maggioranza dei dipendenti dell'amministrazione penitenziaria. Quasi tutte le "energie umane ed economiche" del Dap vengono spese per divulgare quelle iniziative a favore dei detenuti, acuendo ancora di più la frustrazione del personale di Polizia Penitenziaria, che percepisce il Dap e i suoi Dirigenti come amministratori più propensi ai bisogni dei detenuti che del personale di Polizia. La vicenda del caso Cucchi, ad esempio, ha messo in luce tutte le carenze e le inadeguatezze del settore della comunicazione pubblica del Dap che non ha saputo minimamente arginare l'ondata di sdegno e di accuse pregiudizievoli nei confronti dell'intero Corpo di Polizia Penitenziaria. Quand'anche fosse stata accertata la responsabilità personale dei colleghi del Tribunale di Roma sul decesso di Stefano Cucchi (che oltretutto sono stati totalmente scagionati da qualunque responsabilità diretta o indiretta), ormai il danno di immagine derivante da una campagna stampa che non è stata in alcun modo arginata né dall'Ufficio stampa del Ministero della Giustizia, né tantomeno dall'Ufficio stampa del Dap, è stato fatto e chissà per quanto tempo fornirà un appiglio mnemonico in tutte quelle persone che non hanno né il modo né il tempo di approfondire il complesso mondo penitenziario e che il Dap non tenta nemmeno di raggiungere con adeguati strumenti di "comunicazione di massa". Dichiarazioni choc nei confronti dei suicidi delle persone detenute In verità, nessuno degli argomenti fin qui esposti può essere preso a giustificazione delle parole scritte dai colleghi su Facebook riguardo il suicidio avvenuto nel Carcere di Milano Opera nei giorni scorsi. Tutto quanto raccontato, però, potrebbe quantomeno contribuire ad inquadrare il motivo per cui un limitatissimo numero di Poliziotti penitenziari (di volta in volta quando avvengono casi analoghi), liberi dal servizio e in ambiti probabilmente (e in modo maldestro) ritenuti "familiari" e "riservati", si lancino in commenti a dir poco inadeguati al ruolo che si ricopre in ogni momento della propria vita quotidiana, così come è anche previsto dal Regolamento del Corpo. Ed ora, al di là della legittimità degli eventuali procedimenti disciplinari, Il fatto che oggi il Dap si prodighi in comunicati stampa, dichiarazioni ed interviste e prometta "pugno di ferro" contro i trasgressori, non può che acuire ancora di più il senso di frustrazione dell'intero Corpo di Polizia Penitenziaria, soprattutto alla luce del fatto che in passato il Dap, quando c'era da tutelare il Corpo di Polizia Penitenziaria da accuse infamanti provenienti dall'esterno, si è girato dall'altra parte e si è adagiato su posizioni e dichiarazioni del tipo "lasciamo fare alla Magistratura". Dichiarazioni che nell'immaginario collettivo, sono una mezza ammissione di colpevolezza. Accertare le responsabilità e punire con gli adeguati provvedimenti i responsabili di questo danno di immagine al Corpo di Polizia Penitenziaria è giusto, ma è anche opportuno valutare e intraprendere le necessarie correzioni (avvicendamenti e rotazioni d'Ufficio) per chi in tutti questi anni, ha causato, ha tollerato o ha semplicemente sottovalutato questi sentimenti di rancore nei confronti delle persone detenute, nei confronti del proprio lavoro e nei confronti dei propri (maggiormente responsabili) superiori gerarchici.   Giustizia: l'agente che non si pente "nessuna stupidaggine… a me non piace subire" di Giambattista Anastasio Il Giorno, 20 febbraio 2015 "No, cari miei, non ho fatto nessuna stupidaggine! Chi lotta per il proprio Paese dovrebbe essere cento volte più forte, sono sorpreso che non ci siamo ancora organizzati in migliaia per andare a inforcare tutti i cialtroni che con arroganza e cupidigia campano alle nostre spalle e ci riempiono la vita di spese!". Nessun segno di pentimento. E tiene a farlo sapere sulla sua bacheca Facebook, del tutto pubblica: non è necessario aver stretto la virtuale amicizia per poterla consultare. Torna sul luogo del "delitto", l'agente della polizia penitenziaria. Proprio su un'altra pagina Facebook, quella dell'"Alleanza sindacale della polizia penitenziaria", aveva postato il commento dello scandalo: "Consiglio di mettere a disposizione più corde e sapone". Un consiglio rivolto a chi come lui lavora in carcere. Così aveva voluto commentare la notizia del suicidio del detenuto rumeno Ioan Gabriel Barbuta, 40 anni, condannato all'ergastolo nel 2013 per un omicidio commesso sei anni prima e infine impiccatosi in cella ad Opera solo venerdì sera. Un commento che, insieme ad un'altra ventina dello stesso tenore, ha provocato, nell'ordine, l'apertura di un'indagine interna da parte del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap), un incontro tra il capo dello stesso Dipartimento, Santi Consolo, e il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, la trasmissione di un rapporto in Procura e, ieri, la sospensione dei 16 poliziotti penitenziari individuati come gli autori dei post apparsi sul web. Scrive, l'agente in questione, qualche ora prima che le sospensioni fossero ratificate. Ma poco importa la consecutio temporum, poco sarebbe cambiato a giudicare dal tenore del nuovo post. Si spiega, l'agente, certo. Ma, soprattutto, rilancia. "Nel caso mi stiate controllando dopo i commenti al vetriolo sul mostro (già, il mostro ndr) che si è impiccato in carcere, ho un messaggio per voi...": questo l'incipit. "Non sono diverso da tante altre persone, lavoro, mangio e penso quanto sia duro far funzionare le cose, ogni giorno e ogni notte dormo con un occhio aperto perché non mi sento al sicuro, mia moglie dice che ho fatto una cazzata...". Ecco, allora, il rilancio, intriso di un risentimento che va oltre la vita all'interno del carcere. Ce l'ha con tutti, l'agente. "No, cari miei, non ho fatto nessuna stupidaggine! Chi lotta per il proprio Paese dovrebbe essere cento volte più forte, sono sorpreso che non ci siamo ancora organizzati in migliaia per andare a inforcare tutti i cialtroni che con arroganza e cupidigia campano alle nostre spalle e ci riempiono la vita di spese!". Quindi il monito: "State attenti! Io non sono un sintomo di disagio, sono uno di quei pericolosissimi uomini che non vogliono subire! Forse qui intorno ce ne sono altri". Infine, il post scriptum: "Invece di perdere tempo con me, tenete d'occhio quelli che si muovono invisibili al di sopra delle regole, non usano il telefono, hanno auto con targhe straniere o rubate e in questo momento girano anche intorno a casa vostra...". Un riferimento, questo, proprio alla vicenda di Barbuta: secondo quanto emerse dall'inchiesta, il rumeno uccise perché sorpreso mentre tentava di rubare l'auto di quella che sarebbe poi diventata la sua vittima, l'agricoltore padovano Guerrino Bissacco. Giustizia: quale risposta al rischio della radicalizzazione islamista nelle carceri? di Martino Pillitteri Vita, 20 febbraio 2015 Francia e Italia cercano di affrontare il problema della radicalizzazione islamista senza legiferare sotto la spinta del populismo penale. Reclutamento di personale qualificato e realizzazione di cinque distretti/ aree dedicate dove raggruppare 167 detenuti di fede islamica di cui 60 ritenuti intensamente radicalizzati. É il piano messo a punto del ministero della Giustizia francese per affrontare il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri. Ogni distretto accoglierà 20-25 detenuti; di loro si occuperanno 100 educatori e psicologi,74 nel 2015 e 26 nel 2016, e 60 nuovi imam, che si aggiungono agli attuali 181 sparsi tra le carceri di tutta la Francia. I musulmani costituiscono più della metà dei 68.000 detenuti del paese. "Le prigioni favoriscono i processi di radicalizzazione in quanto sono luoghi dove le persone convivono in uno spazio ristretto e non hanno niente altro da fare che parlare gli uni agli altri" sostiene Francesco Ragazzi ricercatore e professore di scienze politiche alla Leiden University. "Ci sono dei musulmani che entrano in prigione come dei semplici praticanti ma poi diventano vittime dell'ambiente e finiscono per entrare nelle reti violente o network legati alla jihad". Farhad Khosrokhavar, sociologo presso la Scuola di Parigi di Studi Avanzati in Scienze Sociali ed esperto dei fenomeni di radicalizzazione, sostiene che i detenuti più pericolosi siano quelli che sanno camuffarsi. "La maggior parte delle persone che si radicalizza in prigione non si fa crescere la barba e non partecipa alle alla preghiera collettiva del Venerdì . Quelli che lo fanno di solito sono i più innocui". Anche in Italia il tema della radicalizzazione nelle carceri non è sottovalutato. "Occorre contenere i rischi di radicalizzazione nelle carceri, tenendo presente che oltre un terzo dei detenuti proviene da paesi islamici" ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando intervenendo al convegno "Stato islamico e minaccia jihadista: quale risposta?", organizzato a Roma mercoledì 18 febbraio presso il Centro Alti studi per la difesa da Fondazione Icsa e Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Le carceri, ha spiegato, "sono dei luoghi in cui si può strutturare una visione estremista dell'Islam, con capacità di proselitismo, ma bisogna assicurare il diritto di culto negli istituti per evitare l'effetto boomerang come Guantánamo". Secondo il Guardasigilli "serve una riflessione sui percorsi di radicalizzazione che possono avvenire in carcere, ma bisogna stare attenti a legiferare sotto la spinta del populismo penale. Se si riduce l'area dei diritti c'è il rischio di favorire il proselitismo, agevolando la visione di un Occidente nemico dell'Islam". Il ministro ritiene che siano indispensabili strumenti di sostegno ai detenuti, spesso fragili sul piano culturale, familiare, economico e a rischio di finire vittime della propaganda jihadista. Dati Circa il 35% dei detenuti nelle carceri italiane proviene da Paesi di religione islamica, principalmente dal Maghreb, soprattutto da Marocco e Tunisia. Un carcere su quattro ha un locale adibito stabilmente alla preghiera. È quanto emerge dallo studio "Le Moschee negli istituti di pena" del ministero della Giustizia, pubblicato nel febbraio del 2014. Spaccio di droga e furto i reati più diffusi, oltre a reati minori, come falsificazione di documenti o resistenza a pubblico ufficiale. Su un totale di 64.760 detenuti al 30 settembre 2013 (a fine anno si era scesi a circa 62.500 mila, ndr), circa 23 mila erano gli stranieri e 13.500 gli originari di Paesi islamici. Fra i musulmani osservanti dietro le sbarre 102 hanno la cittadinanza italiana e nel 2013 sono stati segnalati 19 convertiti. Dallo studio emerge che i musulmani osservanti sono poco meno di 9.000, e in 52 istituti sui 202 censiti possono riunirsi in preghiera in salette adibite a moschee. Nelle carceri dove le carenze strutturali non lo consentono, la preghiera avviene nelle celle o nei momenti di socialità e nei cortili interni. Le carceri - si premette nello studio, con riferimento al rischio di una diffusione del radicalismo religioso - sono un luogo dove "gli estremisti possono creare una rete, reclutando e radicalizzando nuovi membri attraverso una campagna di proselitismo, facilitata anche dalle difficili condizioni di sovraffollamento e dalla mancanza di risorse, vanificando così i tentativi di rieducazione e di reinserimento". Per questo per chi è accusato di terrorismo è prevista "la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta", al fine di ridurre i rischi di proselitismo. "È comunque doveroso ipotizzare che, anche nei circuiti comuni - prosegue l'analisi - vi possano essere detenuti integralisti di spessore", che possono trovarsi a contatto con "soggetti fragili, facilmente influenzabili". Fra i musulmani osservanti vi sono attualmente 181 imam, figure guida per la preghiera e di riferimento spirituale. A loro si aggiungono nove imam esterni che offrono con regolarità assistenza religiosa ai detenuti, una quindicina di mediatori culturali e circa 60 volontari. Giustizia: Rosci (scontri Roma 2011); celle carceri come tombe, freddo e sangue sui muri Ansa, 20 febbraio 2015 "Vivevamo in una tomba. Questo è il sistema carcerario italiano. Bisogna raccontare tutto perché il silenzio è il loro miglior alleato". Lo racconta Davide Rosci, giovane di sinistra condannato per devastazione a 6 anni per gli scontri di Roma dell'ottobre 2011. A Rosci, ai domiciliari a Teramo dal febbraio 2014, è stato tolto il divieto di comunicare con l'esterno e su Facebook scrive le sue esperienze carcerarie. "Io sono stato messo in isolamento al famigerato Mammagialla di Viterbo dove la cella era di 6 mq scarsi sotto uno scantinato buio stile film Saw (per intenderci la finestra era all'altezza della strada) - ha postato Rosci - l'ambiente era sudicio al massimo, lo sporco ovunque, il materasso in spugna puzzava di piscio ed era tutto rotto, il cuscino sempre in spugna mi è stato dato a metà perché bruciato, la porta del bagno non c'era, l'acqua non era potabile e in 5 giorni non me l'hanno detto, i termosifoni non funzionavano e dalle finestre entravano gli spifferi d'aria gelata. Si stava ad una temperatura di 2 gradi. La notte ho dormito all'addiaccio con indosso tutti i vestiti che mi avevano lasciato, compreso il giubbotto, perché le mie cose erano in un altro stanzino. Ho sofferto il freddo come non mai". Rosci è in attesa della sentenza di Cassazione, e nelle carceri italiane è stato 355 giorni, come puntualizza lui stesso. "Il cibo - prosegue nel racconto - che mi veniva passato era scondito e la carne puzzava di morto. Per un mese ci hanno fornito due rotoli di carta igienica della peggiore qualità. L'acqua c'era solo in determinate ore della giornata e come detto non era potabile perché contenente l'arsenico. Il passeggio ci veniva negato e comunque era da soli in un tugurio/corridoio di 10 mq. Le docce non avevano la luce e ci era consentito farla per poco tempo, tutto era allagato e pieno di muffa. Ricordo sui muri il sangue ovunque e le frasi di misericordia, rabbia e preghiere dei poveri cristi che come me avevano avuto la sventura di entrare lì sotto. Nella cella vicino alla mia c'erano due ragazzi che stavano scontando il 14 bis e per loro il mio cuore ancora piange. Praticamente - conclude la sua testimonianza su Fb - dovevano passare 6 mesi li sotto nelle condizioni che vi ho descritto e per di più senza tv e possibilità di uscire e avere colloqui regolari con i propri cari". Giustizia: con l'imputato in video chat Gratteri snatura il vero processo di Domenico Ciruzzi (Vicepresidente Unione Camere Penali) Il Garantista, 20 febbraio 2015 Ora finalmente sappiamo a chi si ispira il dottor Gratteri per la sua proposta di riforma in tema di videoconferenze: a Ridley Scott, il regista di Biade Runner. L'incondivisibile progetto di riforma cd. "Gratteri" prevedrebbe, tra le altre cose, che la partecipazione in videoconferenza - da strumento eccezionale ed assolutamente residuale - divenga strumento principe (rectius, unico) nell'ipotesi di imputati o dichiaranti detenuti. La partecipazione a distanza in videoconferenza è innegabilmente un surrogato della partecipazione tipica. La presenza soltanto virtuale sacrifica il sacrosanto diritto dell'imputato ad essere fisicamente presente al suo processo. La più sofisticata ripresa televisiva non potrà mai sostituire compiutamente la presenza fisica del dichiarante. Viene infatti frantumato il contesto spaziale e temporale del processo attraverso una mediazione telematica che comporta inevitabilmente una scomposizione del processo di apprendimento dei saperi, che vengono percepiti da soggetti tra loro distanti. Quella virtuale è una forma di comunicazione diversa, le cui differenze, rispetto alla percezione e all'interazione reale, sono molteplici e divergenti. Tutti concordiamo nel comprendere la differenza tra il recarci a teatro per assistere ad uno spettacolo dal vivo o visionare un filmato; comprendiamo che a teatro non vi è la quarta parete e che l'emozione nasce da quel contatto fisico tra attore e saettatore che si materializza attraverso la percezione di una oralità e gestualità, di silenzi repentini o interminabili, o assordanti, di mimica facciale o corporea. Durante questo rito, lo spettatore partecipa con silenzi composti oppure sorridendo con circospezione o in modo liberatorio oppure anche assecondando e facilitando il monologo, il dialogo, la singola battuta: lo spettatore percepisce che vi è un processo d'interazione con l'attore-dichiarante e sa che la pièce - nonostante il copione già scritto - non è uguale tutte le sere. Sa che l'evento di quella sera è unico e tale resterà per sempre, perché la rappresentazione viene condizionata dal tipo di pubblico che vi è in sala ogni sera. Il singolo spettatore sa che la sua presenza fisica contribuisce alla nascita di uno spettacolo diverso, anche senza alcuna comunicazione verbale con l'interprete-narratore. E, paradossalmente, se ciò è vero addirittura per il teatro - ove vi è un testo scritto ed attori professionisti - come si può sostenere che sia identico un contro esame sostenuto in un'aula rispetto a quello affrontato con presenze virtuali in un filmato? Forse si auspica che sempre più i dichiaranti siano attori che si attengano ad un copione già scritto? È evidente che la partecipazione a distanza pone interrogativi circa la compatibilità con i principi naturali del giudizio, quali il contraddittorio, l'oralità, l'immediatezza dibattimentale. L'imputato, come un pesce dietro un oblò, dalla postazione remota percepirà sempre - peraltro con probabili interruzioni o sfasamenti audio-visivi - una visione incompleta e frammentaria dell'udienza dibattimentale, alla cui partecipazione non può attribuirsi il requisito della effettività. La comunicazione a distanza è stata giustamente definita una "caricatura dell'oralità" (Giuseppe Frigo) ed in contrasto con precise disposizioni regolamentatrici del sistema accusatorio italiano: l'articolo 146 disp. att. ad esempio, sancisce che "il seggio delle persone da sottoporre ad esame è collocato in modo da consentire che le persone stesse siano agevolmente visibili sia dal giudice che dalle parti". Ma se davvero si ritiene "neutro" il sistema di comunicazione a distanza sì da non comprimere il diritto di difesa, si provi allora a ribaltare il problema e a chiedere ai pm: sarebbero disposti ad interrogare a distanza gli indagati che potrebbero collaborare o le persone informate sui fatti che si mostrano reticenti? Giustizia: reati dei "colletti bianchi"; solo 230 condannati in carcere, lo 0,6% dei detenuti di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 20 febbraio 2015 In Italia sono solo lo 0,6% del totale: un decimo della media europea. La Germania, invece punisce i colletti bianchi più dei pusher. Trentacinque carcerati a uno: ecco lo "spread" che la Germania ci infligge sul rispetto delle regole della sana economia. I "colletti bianchi" che violano le leggi fiscali o finanziarie, a Berlino e dintorni, sono sbattuti in galera con una durezza da noi impensabile: 7.986 detenuti loro, solo 230 noi. Fermi a un decimo della percentuale europea. E torna la domanda: è un caso se gli stranieri preferiscono investire altrove? I dati che ci inchiodano come un paese eccessivamente permissivo nei confronti dei corsari dell'aggiotaggio, della truffa fiscale, delle insider trading, della bancarotta fraudolenta e di tutti gli altri reati legati alla criminalità finanziaria ed economica sono contenuti nel rapporto 2014 del Consiglio d'Europa, appena pubblicato, sulla popolazione carceraria nel nostro continente e in alcuni paesi dell'area come l'Azerbaijan o l'Armenia. Rapporto curato da Marcelo F. Aebi e Natalia Delgrande, dell'Università di Losanna. C'è di tutto, nel dossier. Sappiamo che i detenuti di tutte le prigioni europee messi insieme sono 1.679.217 pari a una media di 140 ogni centomila abitanti, che le celle sono per quasi la metà sovraffollate, che gli stranieri sono mediamente uno su quattro e arrivano in Svizzera al 74% della popolazione carceraria, che la loro età media è di 35 anni, che tutto compreso (dal cibo alla manutenzione dei penitenziari allo stipendio degli agenti di custodia) costano 97 euro al giorno pro capite, che ogni anno si uccidono in 5 ogni 10.000. I dati più interessanti, però, sono quelli sul tipo di detenuti. Perché è lì che emerge nettamente la scelta delle priorità che ogni paese assegna alle diverse emergenze. Puoi scoprire così che in Italia (ultimi dati disponibili: 2013) su 39.571 condannati con sentenza definitiva il 16,3% era dentro per omicidio o tentato omicidio, il 5,1% per stupro, il 14,7% per rapina, il 5,2% per furti più o meno aggravati e addirittura il 37,9%, cioè la maggioranza relativa, per reati legati alla droga. Una percentuale immensa rispetto ai "colletti bianchi". Basti dire che, in numeri assoluti, gli spacciatori in cella sono 14.994 contro 230 condannati per reati economici e finanziari. Ora, è ovvio che l'eroina, la cocaina e le altre droghe sono un problema. Ma è un'emergenza che vale per tutta l'Europa. Ed è impressionante, invece, lo squilibrio tra i diversi paesi. Se da noi è in carcere un "colletto bianco" ogni 65 spacciatori, in Irlanda ce n'è uno ogni 23, in Spagna uno ogni 9, in Inghilterra uno ogni 7, in Danimarca uno ogni 6, in Olanda e in Svezia uno ogni 4, in Finlandia e in Croazia uno ogni due. Per non dire di paesi come la Germania dove i delinquenti in giacca e cravatta condannati per avere maneggiato il denaro sporco della mala-economia sono perfino più dei pusher: 7.986 contro 7.555. Il che significa una cosa sola. Che un paese serio, se vuole tenere in ordine la propria economia, la propria libertà di concorrenza, le proprie regole commerciali in modo che chi investe si senta davvero tutelato non ha alternative: deve colpire gli spacciatori di mala-economia con la stessa fermezza con cui colpisce gli spacciatori di coca. Ma è così, da noi? Dicono le cronache che la settimana scorsa un giovane straniero è stato condannato a 5 anni per un grammo di droga. Sarà stato recidivo, ma è impossibile non notare la sproporzione con sentenze di condanna in Cassazione emesse per grandi finanzieri e banchieri dei quali non ricordiamo un solo giorno di carcere. Per non dire delle fine di altre vertenze. Prendiamo un'Ansa di pochi giorni fa: "L'azione di responsabilità contro gli ex amministratori di Seat Pagine Gialle non ci sarà più. L'assemblea degli azionisti, riunita a Torino, ha accettato a maggioranza la proposta degli ex manager: 30 milioni di euro per chiudere con il passato e voltare pagina. Una cifra molto distante dai 2,4 miliardi ipotizzati dall'azione di responsabilità nei confronti di alcuni amministratori della società, tra i quali l'ex ad Luca Majocchi e l'ex presidente Enrico Giliberti, deliberata dall'assemblea a marzo 2014, ma il segnale della volontà di chiudere definitivamente una pagina buia. Venti milioni saranno pagati da due compagnie di assicurazione, gli altri 10 dai fondi che erano azionisti di riferimento della società dal 2003 al 2012. L'accordo chiude ogni possibilità di rivalsa da parte della società nei confronti degli ex amministratori". Per carità: tutto certamente in ordine. Ma una transazione da 2,4 miliardi a 30 milioni di euro di cui 20 coperti dall'assicurazione… Fatto sta che con la sua miserabile quota dello 0,6% di detenuti per reati economici e finanziari anche nell'anno di Mario Monti ed Enrico Letta, a dispetto di tutti i proclami loro e dei governi precedenti, l'Italia sta in coda. Con un decimo della media europea, salita al 5,9%. Un decimo! La verità, dimostra una mappatura delle riforme dal 2000 a oggi condotta da Grazia Mannozzi dell'ateneo dell'Insubria, è che gli inasprimenti dichiarati sono stati tanti ma "curiosamente a queste dinamiche di inasprimenti sanzionatori su singole fattispecie o su gruppi di illeciti si sottraggono solo i reati economici". Mettetevi ora nei panni di un investitore straniero: vi incoraggerebbero a venire qui numeri e fatti come quelli ricordati e la prospettiva che se un socio vi tirasse un bidone non avreste manco la soddisfazione, magari dopo anni e anni, di vederlo finire in galera? Il World investment report 2014 ricorda che l'Italia, per capacità di attrazione di investimenti diretti esteri, è oggi dietro l'Olanda, il Cile, l'Indonesia o la Colombia dopo aver perso negli anni della crisi, dice il Censis, il 58% del precedente bottino… E l'ultima tabella elaborata dalla Cgia di Mestre su dati Ocse vede il nostro paese contare sui flussi di investimento stranieri per lo 0,8% del Pil. Un dato che corrisponde a poco più della metà (1,4%) della media Ocse ed è lontano da quelli di Ungheria, Repubblica Ceca, Messico, Austria, Spagna, Paesi Bassi… Arriveremo un giorno o l'altro a prendere atto, finalmente, che la guerra alla cattiva economia, alla finanza di rapina, all'evasione, alla corruzione, non è solo un dovere morale ma anche un'opportunità di sviluppo economico e civile? Se poi si cominciano a vedere i segnali della ripresa. Giustizia: Camere Penali; l'Anm contro il ddl sulla responsabilità civile dei magistrati ww.camerepenali.it, 20 febbraio 2015 Avevamo ragione a ritenere che la Giornata della Giustizia organizzata dall'Anm serviva sostanzialmente per opporsi al disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati. La Giornata della Giustizia organizzata dall'Anm serviva sostanzialmente per opporsi al disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati. L'idea fuorviante che si voleva accreditare è che la magistratura opera nel migliore dei modi e che una legge che intenda consentire ai cittadini di coltivare azioni risarcitorie, per i danni subiti a causa di decisioni sbagliate, costituisca una minaccia per l'indipendenza e l'autonomia della magistratura. In poche parole, si sosteneva che la proposta del Governo di rendere più agevole per i cittadini le azioni nei confronti dello Stato, in caso di errori determinati da dolo o colpa grave, non fosse equilibrata e frutto della volontà di colpire chi, ogni giorno, contrasta il crimine. Un messaggio tanto suggestivo quanto errato. Non c'è invero una ragione plausibile per ritenere immuni da responsabilità chi giustamente si occupa di verificare le responsabilità altrui, tanto più che, anche in questo caso, l'accertamento sarebbe sempre effettuato dalla stessa magistratura. L'Anm pare si prepari ad un'altra mobilitazione con la possibilità di proclamare un'astensione ed in più valuta di chiedere un incontro con il Presidente della Repubblica "per esporgli le valutazioni" sul disegno di legge, anche rispetto "ai suoi profili di incostituzionalità". Nulla da dire, evidentemente, sulle decisioni che il sindacato delle toghe riterrà di assumere in merito all'astensione, invece qualcosa sulla ipotizzata audizione con il Presidente della Repubblica desideriamo dirlo. L'Anm è stata sentita, come l'Unione delle Camere Penali e altri, sul disegno di legge. Anche il Csm si è espresso a riguardo. Alla politica spetta la sintesi e al Parlamento la decisione finale. Il Capo dello Stato, nel promulgare le leggi, ne verifica la costituzionalità, ma non è previsto un parere preventivo o interdittivo. Questo per quanto alla forma, che non è mai priva di significato. In merito alla sostanza, siamo certi che se il Presidente della Repubblica riterrà di accogliere la ipotizzata audizione, non sulla riforma della giustizia in generale, ma sulla responsabilità civile dei magistrati, vorrà ascoltare anche gli altri soggetti che hanno espresso pareri, e dunque anche l'Unione delle Camere Penali, perché le norme sulla responsabilità della magistratura, come quelle sull'ordinamento giudiziario, non interessano esclusivamente i magistrati, ma riguardano tutti i cittadini. Giustizia: "legittima difesa"… ecco quando la legge consente di usare le armi di Nadia Francalacci Panorama, 20 febbraio 2015 Proseguono le polemiche dopo il caso del benzinaio di Vicenza che ha colpito il rapinatore. Ma quando la legge consente di usare le armi? "È ora di finirla con questa Italia da Far West dove i veri criminali spesso e volentieri la fanno franca, mentre a rischiare di andare in galera è la gente onesta che tenta di difendersi come può. Graziano Stacchio ha agito per legittima difesa, lo Stato non dovrebbe indagarlo ma fargli un encomio". Sono le parole l'europarlamentare vicentina Mara Bizzotto, sulla rapina che poche settimane fa, è finita nel sangue a Ponte di Nanto, Vicenza, dopo che un benzinaio ha sparato per difendere se stesso e un commerciante dall'ennesima rapina. Il benzinaio, dopo la morte di uno dei rapinatori, è stato indagato per eccesso di legittima difesa. Ma le polemiche e il malumore tra la popolazione non accenna a placarsi. Ma che cosa prevede la legge sulla legittima difesa, modificata nel 2006? Il cittadino può davvero difendersi o è preferibile che subisca in silenzio per evitare guai processuali che potrebbero aprirgli persino le porte del carcere? Lo abbiamo chiesto a Stefano Toniolo, avvocato penalista ed associato dello Studio Martinez & Novebaci di Milano. Quando è possibile usare un'arma legittimamente detenuta senza incorrere in conseguenze giudiziarie? "L'articolo 52 del codice penale prevede una cosiddetta causa di giustificazione che rende non punibile chi abbia commesso un fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa. I requisiti delle legittima difesa sono quindi sostanzialmente tre: 1- la difesa deve essere necessaria (per cui non è configurabile l'esimente quando l'agente abbia avuto la possibilità di allontanarsi); 2- il pericolo dell'offesa deve essere attuale (intendendosi come attuale un pericolo presente o incombente e non futuro o già esaurito); 3- la difesa deve essere proporzionata alla offesa (non vi sarà proporzione nel caso di conflitto fra beni eterogenei, allorché la consistenza dell'interesse leso - ad esempio vita o incolumità fisica - sia più rilevante sul piano dei valori costituzionali rispetto a quello difeso - ad esempio il proprio patrimonio). Nel 2006 è stata introdotta una modifica normativa che ha stabilito che nei casi di violazione di domicilio (o dei luoghi ove si esercita l'attività professionale) sussiste per legge il rapporto di proporzione se taluno, già legittimamente presente all'interno del domicilio, usi un'arma legittimamente detenuta, o altro mezzo idoneo, al fine di difendere la propria o la altrui incolumità oppure i beni propri o altrui, purché in questo secondo caso non vi sia desistenza e vi sia pericolo d'aggressione". "L'eccesso di difesa" per il quale fino ad ora si poteva venire condannati, non esiste più. Che cosa prevede concretamente la legge? "La nuova normativa non ha escluso per legge l'eccesso di difesa che tuttora è presente nel nostro ordinamento, ma ha solo stabilito che uno dei tre requisiti sopra esposti sia presuntivamente ritenuto sussistente in determinati casi, che, per semplicità di definizione, possono essere per l'appunto contestualizzati nell'alveo delle ipotesi di violazione di domicilio (ad es. un ladro in casa, una rapina in un negozio, eccetera). In altre parole le modifiche apportate hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, mentre l'imputato, per poter vedere riconosciuta la legittima difesa, dovrà comunque provare gli ulteriori presupposti, ossia l'attualità dell'offesa e l'inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità. Inoltre, come si è visto, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza (ad esempio il ladro o il rapinatore stanno scappando) e sussista un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri". Molti cittadini hanno paura a reagire. Secondo lei, la legge sulla legittima difesa presenta delle lacune? Chi subisce una rapina, ad esempio, e reagisce sparando è davvero tutelato? "La questione è particolarmente complessa. Se da un lato la legge certamente non può consentire un utilizzo indiscriminato della forza e delle armi, dall'altro però è chiaro che non si possa vivere nel terrore di difendere l'incolumità propria e quella delle persone a noi care. È difficile generalizzare ed ogni situazione deve essere analizzata in concreto. Ciò detto, a mio avviso la normativa, pur essendo un po' macchinosa, contempla un adeguato bilanciamento delle due esigenze. Resta poi come sempre ineludibile, per una corretta applicazione delle disposizioni di legge, l'utilizzo di una giusta dose di buon senso". Lettere: l'esultanza degli agenti per il detenuto suicida fa rabbrividire, ma non stupisce di Giuditta Boscagli Tempi, 20 febbraio 2015 Gentile ministro Orlando, le scrivo perché oggi rimbalza ovunque la notizia degli agenti di Polizia penitenziaria che sui social network esultano per la morte di un detenuto, definendo feccia coloro che dietro le sbarre vi sono ancora. Indignano le affermazioni riportate dai media, ma quando il clamore mediatico tace, quando nella quotidianità il lavoro degli agenti procede, e con esso la vita dei detenuti, la situazione è forse migliore di questo momento? Lei ha appena permesso che un'eccellenza in questo settore, un'opportunità che per anni ha reso pienamente uomini i detenuti, gli operatori esterni e gli agenti incaricati alla sorveglianza, potesse essere schiacciata e distrutta con un colpo di decreto. Lei ha appena fatto morire una decina di esperienze in cui i detenuti non erano per niente considerati una feccia ed anzi avevano l'occasione di poter guardare a se stessi in modo nuovo e vedersi lavoratori, portatori di utilità e di bene, oltre che di un salario. Le carceri italiane non sono degne di un Paese sviluppato e gli agenti di polizia penitenziaria lavorano ogni giorno in condizioni di una precarietà imbarazzante per uno Stato che vuol definirsi civile e all'avanguardia: si continua a parlare di recidiva eccessiva, di incapacità dei detenuti a migliorare la loro posizione e come soluzione non si ha loro da offrire che una cella sovraffollata, condizioni igienico-sanitarie per niente dignitose, rapporti con i familiari difficilissimi da gestire e ridottissimi per numero e ore a disposizione? Se a questo aggiungiamo anche che in tutta la pubblica amministrazione (anche nelle scuole statali in cui io insegno) la formazione del personale, in ingresso e in itinere, si rivela molto spesso insufficiente o inadeguata al contesto in cui poi si va a lavorare, ecco allora spiegato perché oggi io mi sento assolutamente indignata per quel che gli agenti hanno scritto, ma per nulla stupita. Da dove iniziare a mettere ordine? Come aiutare l'opinione pubblica a condannare e a non condividere quanto apparso sui social network in queste ore? A Lei è affidato il compito di trovare una strada, ma un consiglio io mi sento di darglielo: sostenga e non uccida quelle esperienze virtuose in cui il detenuto si sente accompagnato, accolto, risollevato dal baratro in cui si è buttato. Metta mano al sistema carcerario e trovi una soluzione al sovraffollamento e alle condizioni non dignitose in cui gli agenti lavorano e i carcerati vivono. Guardi e insegni a guardare ad ogni detenuto come ad un uomo, che si è perduto lungo una strada di errori spesso dolorosi e portatori di un grande male, ma che può sempre riprendere il cammino e fare della propria esistenza un'avventura meravigliosa per sé e per gli altri, dentro o fuori dalle sbarre. Calabria: Sappe; nel 2014 un detenuto suicida, 10 tentati suicidi e due morti per malattia Agi, 20 febbraio 2015 Un intervento urgente per porre rimedio alle criticità penitenziarie: lo chiede il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) al ministro della Giustizia, Andrea Orlando. "Un detenuto suicida, 2 morti per cause naturali, 65 episodi di autolesionismo, 10 tentati suicidi sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria, 22 ferimenti, 14 colluttazioni e, complessivamente, 784 detenuti coinvolti in più manifestazioni di protesta per amnistia, indulto e migliori condizioni di detenzione: questo - dice Capece - quel che è accaduto nella Calabria penitenziaria lo scorso anno". I problemi e le disfunzioni gestionali e operative riguardanti gli istituti penitenziari della Calabria, secondo il Sappe, sono significativi: "Per questo - dice - è ancor più scandaloso che la regione sia da cinque anni priva della figura di vertice e di coordinamento del provveditore regionale. Ma al ministro Orlando chiediamo interventi urgenti per la Casa circondariale di Catanzaro, dove occorre una rivisitazione urgente dei sistemi tecnologici di sicurezza e dell'area destinata ai controlli per l'accesso ai familiari ai colloqui. Sotto il profilo strutturale e funzionale, poi, - aggiunge - necessitano interventi nel nuovo padiglione detentivo e nei locali della mensa, non sottovalutando un adeguato incremento di personale. Si tenga conto che a Catanzaro si sono contati 20 episodi di autolesionismo, il tentato suicidio di un detenuto e 2 colluttazioni". Il Sappe segnala al Guardasigilli le criticità delle altre sedi penitenziarie della Calabria, dove al 31 gennaio scorso erano detenute 2.450 persone, chiedendo ad esempio la riapertura del carcere di Lamezia Terme. "Locri e Palmi - aggiunge - sono attualmente prive della figura del funzionario direttivo. A Rossano, occorre intervenire circa l'organizzazione dell'attività lavorativa del personale. La soppressione del Tribunale determina scompensi quotidiani, dal momento che è stato accorpato a quello di Castrovillari. Sede, quest'ultima, nella quale - fa rilevare - l'autoparco è in condizioni disastrose sia per veicoli non sicuri a causa dei chilometri percorsi, sia per guasti che non sono riparabili a causa di carenza di fondi La popolazione detenuta, poi, particolarmente promiscua determina rischi in occasione dei colloqui. I sistemi tecnologici di sicurezza sono inadeguati e insufficienti, strutturalmente, occorrono interventi in parecchi settori dell'istituito". Per il leader del Sappe, infine, a Paola (Cs) sono da incrementare le unità femminili di Polizia Penitenziaria: "la situazione è precaria in occasione dei colloqui. Ma in realtà - continua Capece - è da potenziare l'organico complessivo, anche in relazione all' apertura recente di un reparto detentivo. E a Palmi i reparti detentivi sono da ristrutturare, come prevede il regolamento penitenziario e la legge sulla salubrità e sicurezza". Ascoli: detenuto morto; il pm affida autopsia per accertare quantità e natura delle lesioni Ansa, 20 febbraio 2015 Il pm di Ascoli Piceno Umberto Monti ha affidato al prof. Adriano Tagliabracci l'incarico di effettuare l'autopsia sul corpo di Achille Mestichelli, il 53enne ascolano morto ieri nell'ospedale regionale Torrette di Ancona dov'era stato ricoverato il 13 febbraio a seguito di lesioni alla testa riportate nel carcere di Ascoli dov'era detenuto. Per la sua morte è indagato per omicidio preterintenzionale il compagno di cella, Mohamed Ben Alì, un tunisino di 24 anni in carcere perché coinvolto nell'inchiesta "Medusa" su un vasto giro di stupefacenti. Sia l'indagato che i familiari di Mestichelli hanno a loro volta nominato periti di parte. L'autopsia è stata fissata per domani alle 16 nell'obitorio dell'ospedale Torrette. La famiglia di Mestichelli ha dato l'assenso alla donazione degli organi. Tagliabracci dovrà accertare se il trauma cranico per cui l'ascolano è stato ricoverato prima ad Ascoli e poi ad Ancona, sia compatibile con la ricostruzione emersa dalle prime indagini dei carabinieri, che hanno sentito gli altri quattro detenuti presenti nella cella dove Mestichelli e Ben Alì, la sera del 13, avrebbero avuto una lite. Il tunisino avrebbe spinto l'ascolano che è caduto battendo violentemente la testa su uno sgabello di ferro. Tagliabracci dovrà anche accertare se, oltre alle ferite alla testa, la vittima ha riportato ulteriori traumi. Lucca: il Garante regionale Corleone; a breve inizieranno lavori nell'Istituto penitenziario Adnkronos, 20 febbraio 2015 "Eliminare il bancone divisorio tra detenuto e visitatore nella sala colloqui, annettere un locale all'infermeria e ristrutturare la seconda sezione da dedicare alle attività ricreative e culturali dei carcerati. Con queste modifiche al San Giorgio ci sarebbe una situazione più accettabile". Lo ha detto il garante regionale dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, al termine del sopralluogo di questa mattina al carcere di Lucca. La visita al penitenziario di Lucca rientra nel percorso che il garante sta portando avanti attraverso gli istituti penitenziari della Toscana con l'obbiettivo di verificare sul campo se la diminuzione delle presenze di detenuti rispecchi anche il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. "La Casa circondariale di Lucca - ha detto Corleone - ha una capienza di 91 carcerati e ne ospita 121, dei quali 72 tossicodipendenti". Il carcere è piccolo ed è ubicato in una struttura antichissima all'interno delle mura di cinta della città, in pieno centro storico. "Abbiamo superato - aggiunge il garante - le criticità di sovraffollamento del passato con punte di 200 detenuti ma ad oggi ancora le presenze non corrispondono alla capienza". In origine, l'edificio ha ospitato un convento di monache di clausura e in epoca napoleonica è stato trasformato in sede di penitenziario. "Le celle - ha commentato il garante - erano adatte alla meditazione ma non alla reclusione, sono troppo piccole". L'edificio è strutturato intorno ad un chiostro centrale, sul quale si aprono gli ingressi alle sezioni detentive, ad alcuni uffici e al padiglione dove si svolgono le attività trattamentali. Unico spazio verde dell'istituto è un giardino all'interno del chiostro. "La sala colloqui non è a norma - ha aggiunto il garante - ci sono ponteggi che sorreggono le volte ed è ancora presente il bancone divisorio per i colloqui tra detenuto e visitatore". Inoltre, Corleone ha notato l'inadeguatezza del locale infermeria che "ospita in un'unica stanza il malato visitato, il degente e i faldoni dei documenti dei medici. Per migliorare la situazione - ha detto Corleone - basterebbe annettere all'infermeria un locale adiacente, al momento ad uso magazzino". A conclusione del suo tour, il garante ha visitato la seconda sezione dell'istituto, per la quale è stato approvato e finanziato un progetto di ristrutturazione che dovrebbe partire a breve. "Quest'area che era abbandonata al dominio dei piccioni, adesso è stata parzialmente bonificata e presto dovrebbe garantire nuovi spazi per le attività ricreative e culturali dei detenuti". Corleone ha ricordato che molti carcerati del San Giorgio hanno fatto ricorso per avere uno sconto di pena per chi ha vissuto in condizioni di ristrettezza, in celle sotto i tre metri quadrati (sentenza Torreggiani). Infine, il garante ha parlato di un'altra questione che riguarda i tossicodipendenti che dovrebbero andare in comunità. "Per pagare le spese, ci sono problemi per stabilire se il Sert competente sia quello di provenienza del detenuto o quello del carcere di residenza". Domani Corleone visiterà l'istituto penitenziario di Pisa. Parma: lavori contro rischio blackout, nel carcere sono detenuti anche Carminati e Riina Ansa, 20 febbraio 2015 Nel supercarcere di Parma, dove sono detenuti, tra gli altri, il boss di mafia Roma Massimo Carminati e il "boss dei boss" Totò Riina, i lavori per l'istallazione di gruppi elettrogeni di continuità in grado di evitare il blackout al sistema di videosorveglianza e videoregistrazione, saranno effettuati entro fine febbraio. Lo ha detto il capo del Dap, Santi Consolo, in audizione davanti alla Commissione Antimafia. Consolo ha spiegato che l'impianto di videosorveglianza, nel super carcere, era stato installato nel dicembre 2012 e che successivamente era emersa la necessità di installare gruppi di continuità per evitare casi di blackout che si sono verificati, così come aveva reso noto tempo fa il deputato Pd dell'Antimafia Davide Mattiello, andato in visita il 30 dicembre scorso al carcere di Parma dove aveva incontrato Carminati. Il preventivo per l'istallazione dei gruppi elettrogeni era stato consegnato il 22 marzo 2014 ma erano stati chiesti chiarimenti che erano arrivati solo il 26 gennaio 2015, ha spiegato oggi il capo del Dap. Modena: domani Garante regionale visita Pizzolato "in Brasile sarebbe esposto a pericoli" Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2015 Sabato 21 febbraio, alle ore 18, l'avvocato Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, si recherà nella casa circondariale di Modena per un colloquio con Henrique Pizzolato, la cui richiesta di estradizione in Brasile è stata accolta dalla Corte di Cassazione, che ha ribaltato la sentenza di diniego della Corte d'Appello di Bologna. "Il mio ruolo di vigilanza e di promozione dei diritti delle persone detenute in ambito regionale mi impegna a rappresentare di nuovo al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, la situazione del signor Pizzolato", afferma la Garante. "Dopo il pronunciamento della Cassazione- prosegue- ho ritenuto doveroso scrivere tempestivamente al ministro manifestando preoccupazione per la vita di Pizzolato in caso di concessione dell'estradizione". Henrique Pizzolato, ex direttore del Banco del Brasile, ha anche la cittadinanza italiana e non intende sottrarsi alla carcerazione conseguente la condanna (12 anni e 7 mesi nell'ambito di una vicenda di tangenti), pur fortemente contestata dalla sua difesa, tanto che si è costituito ed è attualmente detenuto nell'Istituto di via Sant'Anna. La preoccupazione principale, sua e dei suoi familiari anche per il tramite dei legali, è il rientro in Brasile: il carcere di destinazione, sottolinea l'Ufficio della Garante dei detenuti, è stato, anche di recente, scenario di episodi di violenza e morte inflitta da detenuti ad altri detenuti. "Il sistema penitenziario brasiliano- conclude Desi Bruno- è internazionalmente riconosciuto e censurato per essere caratterizzato da inaccettabili violazioni dei diritti umani ed essere privo delle condizioni minime di sicurezza e assistenza". La concessione dell'estradizione e la detenzione in un carcere di quel Paese "esporrebbe il signor Pizzolato a un concreto pericolo di trattamenti disumani e degradanti fino al rischio di morte". L'incontro di sabato "vuole essere l'occasione per testimoniare di persona l'attenzione con cui il mio Ufficio segue il caso". Milano: tutte le iniziative di partecipazione dei detenuti per Expo 2015 www.contattonews.it, 20 febbraio 2015 Inclusione sociale, diminuzione della recidiva, scambio di conoscenze, impegno partecipativo: sono queste le parole chiave della partecipazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap) a Expo 2015. Curato dal provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Lombardia e finanziato da Expo 2015, il progetto "Inclusione socio lavorativa", approvato e co-finanziato da Cassa delle Ammende, punta sul lavoro penitenziario come strumento più efficace per ridurre la recidività offrendo ai detenuti un'esperienza lavorativa eccezionale che possa essere utile ad un nuovo progetto di vita sui binari della legalità. Saranno circa un centinaio le persone in esecuzione penale che saranno dunque attivamente coinvolte nell'organizzazione logistica di Expo in servizi di facchinaggio, assistenza al personale ma anche accoglienza e supporto informativo. I cento detenuti saranno così suddivisi: 35 persone provenienti dalla Casa di Reclusione di Opera; 35 persone provenienti dalla Casa di Reclusione di Milano Bollate; 10 persone dalla Casa Circondariale di Monza; 20 persone provenienti dagli Uffici di Esecuzione Penale Esterna di Milano tra persone sottoposte all'Affidamento in Prova ai Servizi Sociali. Al tema del lavoro sarà dedicato anche il grande convegno che si terrà entro l'estate presso la Casa di Reclusione di Milano Bollate, attigua a Expo 2015 e quindi immediatamente raggiungibile, al quale saranno invitati i Commissari dei 146 Paesi partecipanti. L'obiettivo dell'iniziativa sarà quello di illustrare la strategia del ministero della Giustizia in tema di lavoro nelle carceri come elemento fondamentale per il reinserimento sociale nell'ambito del community sanctions (misure sanzionatorie - sanzioni, pene - che vengono scontate dall'autore del reato fuori dal carcere e che consentono di mantenere e ricostruire il legame con la società, nei confronti della quale viene offerta una prestazione lavorativa, anche in un'ottica riparativa). Sono in programma anche percorsi di scambio di conoscenze e tecniche con i Paesi partecipanti sulle modalità di trattamento in tema di lavoro penitenziario e inclusione sociale. In linea con il tema portante di Expo l'occasione consentirà inoltre anche un confronto sul tema dell'alimentazione in ambito penitenziario, regolamentata nel nostro paese da specifiche tabelle predisposte e approvate dal Ministero della Salute, sulle abitudini alimentari dei detenuti, sulla cultura alimentare in un contesto che vede la presenza di numerose e diverse etnie. Numerose sono le iniziative messe in campo dai due istituti penitenziari del territorio milanese. La Casa circondariale di Milano "San Vittore" propone "libera scuola di cucina" nella sezione progetti per le donne di Expo 2015 che considera il valore del cibo anche come elemento privilegiato per il dialogo e la conciliazione; eventi didattici, comprese visite in istituto, per comprendere meglio l'azione di inclusione sociale a partire dal penitenziario; eventi nell'ambito di "Expo in città" per la conoscenza e degustazione di cibi con forte impronta etnica da parte dei cuochi coinvolti nel progetto Libera scuola di Cucina. Ancora a Bollate ci sono invece in programma Visite guidate multilingue all'interno del carcere, sfruttando la particolare vicinanza a Expo; "Mercatini con aperitivo" per mostrare le potenzialità delle produzioni penitenziarie; un calendario "Eventi e concerti" per sensibilizzare la collettività e l'utenza di Expo ai temi dell'inclusione sociale attraverso discussioni; infine "percorsi artisti e mostre" per mostrare le capacità artistiche generate durante progetti trattamentali. L'Auditorium del Padiglione Italia ospiterà a maggio una grande iniziativa di presentazione delle innovazioni in materia di giustizia, sia sul fronte organizzativo che su quello normativo, al fine di rendere il processo più celere e abbattere l'arretrato, e di raggiungere a breve la piena informatizzazione. Sarà l'occasione anche di presentare sul palcoscenico dell'Esposizione Universale i risultati dell'informatizzazione del processo civile, una delle esperienze più avanzate a livello internazionale che sta dando risultati importanti sia per il servizio offerto sia per il risparmio di tempi e costi. Lucca: nuovi spazi culturali nel carcere della città, oggi musica e poesia dentro l'istituto Redattore Sociale, 20 febbraio 2015 Lo ha assicurato il garante dei detenuti della Toscana Franco Corleone al termine della sua visita all'istituto penitenziario lucchese. Carcere di Lucca, il garante dei detenuti della Toscana ha assicurato , al termine della sua visita, che "entro pochi mesi saranno ristrutturati spazi per attività ricreative e culturali". La visita al penitenziario di Lucca rientra nel percorso che il garante sta portando avanti attraverso gli istituti penitenziari della Toscana con l'obbiettivo di verificare sul campo se la diminuzione delle presenze di detenuti rispecchi anche il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. "La casa circondariale di Lucca - ha detto Corleone - ha una capienza di 91 carcerati e ne ospita 121, dei quali 72 tossicodipendenti". Il carcere è piccolo ed è ubicato in una struttura antichissima all'interno delle mura di cinta della città, in pieno centro storico. "Abbiamo superato - aggiunge il garante - le criticità di sovraffollamento del passato con punte di 200 detenuti ma ad oggi ancora le presenze non corrispondono alla capienza". In origine, l'edificio ha ospitato un convento di monache di clausura e in epoca napoleonica è stato trasformato in sede di penitenziario. "Le celle - ha commentato il garante - erano adatte alla meditazione ma non alla reclusione, sono troppo piccole". L'edificio è strutturato intorno ad un chiostro centrale, sul quale si aprono gli ingressi alle sezioni detentive, ad alcuni uffici e al padiglione dove si svolgono le attività trattamentali. Unico spazio verde dell'istituto è un giardino all'interno del chiostro. "La sala colloqui non è a norma - ha aggiunto il garante - ci sono ponteggi che sorreggono le volte ed è ancora presente il bancone divisorio per i colloqui tra detenuto e visitatore". Inoltre, Corleone ha notato l'inadeguatezza del locale infermeria che "ospita in un'unica stanza il malato visitato, il degente e i faldoni dei documenti dei medici. Per migliorare la situazione - ha detto Corleone - basterebbe annettere all'infermeria un locale adiacente, al momento ad uso magazzino". A conclusione del suo tour, il garante ha visitato la seconda sezione dell'istituto, per la quale è stato approvato e finanziato un progetto di ristrutturazione che dovrebbe partire a breve. "Quest'area che era abbandonata al dominio dei piccioni, adesso è stata parzialmente bonificata e presto dovrebbe garantire nuovi spazi per le attività ricreative e culturali dei detenuti". Musica e poesia dentro l'istituto penitenziario Oggi concerto per pianoforte accompagnato dalle poesie di Leopardi, Saba, Dante e Montale, tutte interpretate dai detenuti che tengono il corso di teatro in carcere. Al carcere di Massa arrivano musica e poesia grazie all'iniziativa in programma oggi, venerdì 20 febbraio, alle 9.30, quando nell'istituto penitenziario si terrà un concerto per pianoforte. Un' occasione di incontro tra giovani musicisti e detenuti allo scopo di aprire un dialogo tra due realtà. Sul palco saliranno pianisti italiani ed europei che eseguiranno brani di Beethoven, Chopin, Hindemith, Liszt e Schubert. Il viaggio musicale interagirà con la poesia di Leopardi, Saba, Manzoni, Montale, Dante, D'Annunzio, Foscolo e De Filippo, le cui voci saranno interpretate da Giuseppe, Emanuele, Talatu, Claudio, Graziano, Gerlando e Mario, tutti detenuti iscritti al corso di teatro del carcere, diretto dal professor Gennaro Di Leo. Ultimo brano del concerto mattutino è la nota canzone Moon River, colonna sonora del film Colazione da Tiffany. Libri: recensione di un ergastolano al libro "Dignità e Carcere" di Marco Ruotolo di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2015 "In carcere si è tagliati fuori dal mondo. Oggi per tutto il giorno ho cercato di guardare dentro di me, ma non sono riuscito a vedere nulla. Ci sono dei giorni, come questi, che non so cosa fare. E soprattutto non so neppure se voglio ancora fare qualcosa". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com) Ho incontrato Marco Ruotolo, Professore di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi "Roma Tre", in carcere a Padova, come relatore del seminario di formazione per i giornalisti del Veneto. Ci siamo sorrisi. Presentati. Stretti la mano. E abbiamo scambiato due chiacchiere. Poi lui mi ha donato il suo libro "Dignità e carcere" II edizione ("Editoriale Scientifica" dalla Collana "Diritto penitenziario e Costituzione"). Ed io ho ricambiato donandogli il libro "L'Assassino dei Sogni. Lettere fra un filosofo e un ergastolano" con la corrispondenza fra me e il Professore di Filosofia Morale alla Federico II di Napoli, Giuseppe Ferraro, curato dalla brava giornalista Francesca De Carolis (prima edizione 06/2014 e prima ristampa 09/2014, "Stampa Alternativa"). Leggere sul libro del Professore Marco Ruotolo "La Costituzione sancisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" e "La legge prevede che il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità umana" mi ha fatto pensare a come può una pena che non finisce mai come l'ergastolo essere compatibile con la dignità umana. E poi ho amaramente sorriso perché non c'è al mondo una persona che sappia bene come il prigioniero italiano la grande differenza che c'è in carcere fra i diritti dichiarati e quelli realmente applicati. E ho iniziato a ricordare di quella volta che mi hanno trasferito in uno dei carceri più duri d'Italia. Erano gli anni ‘90. Ero appena stato condannato alla "Pena di Morte Viva" o, come la chiama Papa Francesco, alla "Pena di Morte Nascosta". Ecco cosa scrissi nel mio diario di allora: Appena vidi la struttura provai una grande inquietudine. L'edificio era brutto. E sinistro. Pieno di alte e massicce mura. E cancelli e sbarre da tutte le parti. Ero arrivato in quel carcere con una riservata nel fascicolo, come detenuto che creava problemi. E sapevo già cosa mi sarebbe aspettato. Dopo la visita in matricola e in magazzino, invece di portarmi in sezione, mi accompagnarono alle celle di punizione. Avevo tre guardie davanti e due dietro. Loro mi guardavano con aria aggressiva. Ed io li osservavo di traverso. Per un attimo desiderai di essere invisibile. Ed ebbi uno strano presentimento, mi si stringeva la gola. Più andavo avanti e più le guardie continuavano a guardarmi con aria sprezzante. E minacciosa. I loro sguardi mi rivelavano quello che io sapevo già. Scendemmo una scala stretta e rigida, con i gradini di pietra. Poi sbucammo in un corto corridoio che sembrava un sotterraneo. La guardia davanti si fermò alla prima cella. Era chiusa con un pesante blindato di ferro, con macchie di ruggine dappertutto. La guardia infilò nella serratura una grossa chiave di ottone. E la girò con fatica. La porta di ferro si aprì cigolando. Poi la stessa guardia con un'altra chiave aprì il pesante e spesso cancello. E si mise di lato per farmi passare. Aggrottai le ciglia. Mi colpì subito un forte odore di umidità. E di urina. La cella era quasi buia. Diedi immediatamente un'occhiata veloce per trovare subito l'angolo più adatto per tentare di proteggermi. Subito dopo sentii un colpo di tosse alle mie spalle. E capii che quello era il segnale. Le guardie entrarono uno dietro l'altro nella cella. Ci stavamo appena. E si schierarono davanti a me. Nessuno si muoveva. Osservai il loro sorriso sarcastico. Trassi un respiro profondo. E gli restituii il sorriso. Non potevo fare altro. Poi serrai le labbra. Una guardia si strofinava platealmente le mani una con l'altra. Un'altra abbozzò un movimento. Un'altra ancora rispose con un cenno d'intesa appena percepibile. Erano in cinque. I deboli sono sempre in tanti quando picchiano un uomo solo. Li fissai per qualche secondo uno per uno. Avevano brutte facce. Visi da aguzzini. Per un attimo li guardai con lo sguardo spaesato. E mossi la testa da un lato all'altro. C'era un silenzio che si poteva tagliare solo con il coltello. Poi per farmi coraggio mi misi le mani sui fianchi. Alzai la testa all'insù. Li guardai dritto negli occhi. E per farmi forza parlai per primo io. E con aria di sfida mormorai più a me stesso che a loro: Figli di puttana. Il primo pugno mi arrivò alla tempia. Fatevi sotto. E siccome non avevo visto arrivare il colpo, andai a sbattere nell'altro lato del muro. Non mi fate paura. Un'altra guardia mi guardò con occhi di ghiaccio. Bastardi. Mi prese per una spalla. Se siete degli uomini… Mi fece girare dall'altro lato. E avete coraggio… Mi sbatté contro il muro. Fatevi sotto uno per volta. E nel rinculo mi diede un pugno nello stomaco che mi tolse il respiro. Barcollai. E cercai di aggrapparmi alla parete. Ansimai, cercando di riprendere fiato. Poi le ginocchia mi si piegarono. E scivolai per terra con le spalle contro il muro. Strinsi i denti. E tentai di fermare il mondo che stava girando intorno a me. Nel frattempo però mi arrivò un calcio nella mascella da un'altra guardia. Uno nel ventre. Poi ancora un altro in faccia. E mi scese un rigolo di sangue dal naso. Me lo asciugai con la manica del maglione. E continuai a inveire contro di loro. Era come se le botte che ricevevo mi davano l'energia per urlare contro i miei aguzzini. Ad un tratto cercai di rialzarmi. Non ce la feci. Una guardia mi prese per i capelli da dietro. E mi sferrò un pugno. Un altro mi diede un calcio. Poi un altro. E un altro ancora. I colpi mi arrivavano da tutte le parti. E mi pestarono come l'uva. Pensai che finalmente fosse arrivata la mia ora. E decisi di mettermi le braccia attorno alle gambe. La testa rannicchiata nel petto. E desiderai di morire senza soffrire. Per fortuna persi quasi subito i sensi. Caddi in uno stato d'incoscienza. E in questo modo me la cavai perché solo il mio corpo sentì le botte più dolorose. Persi ogni legame con il tempo. E sprofondai nel pozzo nero dell'incoscienza. Le guardie dopo avermi massacrato, con la coscienza tranquilla di avere fatto il loro dovere, uscirono dalla cella sbattendo il cancello. E chiusero il blindato con la mandata. Qualcuno potrebbe dire che questi episodi in carcere accadono di rado, altri che accadono anche nel mondo libero e altri ancora che ce la siamo cercata. Ed io posso rispondere che purtroppo il carcere è luogo più illegale di qualsiasi altro posto e la Carta Costituzionale e la Legge scritta qui dentro non sono altro che carta straccia. E non perché lo dico io, ma perché lo ha detto spesso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, con le numerose condanne che ha subito il nostro Paese. Lo ha detto spesso il anche il nostro (adesso ex) Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e per ultimo leggo nel libro di Marco Ruotolo: l'11 marzo la Administrative Court di Londra nega l'estradizione di Hayle Abdi Badre, cittadino somalo accusato dalla Procura di Firenze di violazione della direttiva europea sui servizi finanziari, non avendo ricevuto adeguate garanzie sul trattamento che il detenuto avrebbe ricevuto nelle nostre carceri. Analoga decisione viene assunta il successivo 17 marzo per un latitante italiano, accusato di associazione mafiosa, sempre in ragione dei rischi di sottoposizione dell'estradato a trattamento inumano e degradante. Che altro aggiungere? Nulla! Posso solo sorridere perché il sorriso è l'arma migliore per il prigioniero. Uruguay: ex detenuti Guantánamo "è un altro carcere", rifiutano lavoro e corsi spagnolo Ansa, 20 febbraio 2015 Si complica la vicenda dei sei ex detenuti di Guantanámo accolti dal governo uruguaiano: dopo le polemiche scatenate dall'appello lanciato da uno di loro in Argentina e l'intervento personale del presidente José Mujica, ora è la centrale sindacale Pit-Cnt che ha deciso di non occuparsi più del caso, trasferendo la sua gestione a una associazione locale. In un'intervista televisiva Jihad Ahmad Diyab, il più noto degli ex prigionieri, si è lamentato di essere "uscito da una prigione per entrare in un'altra" e, pur ringraziando l'Uruguay per il modo in cui è stato accolto con i suoi compagni, ha sottolineato che "questo non basta", perché hanno bisogno "delle famiglie, di una casa nella quale vivere e di un lavoro che serva per cominciare a costruirci un futuro". Dal loro arrivo gli ex detenuti di Guantánamo vivono in una casa messa a loro disposizione dal Pit-Cnt, ma responsabili del sindacato hanno indicato che finora hanno rifiutato ogni offerta di lavoro e non seguono nemmeno i corsi di spagnolo organizzati per rendere più facile il loro inserimento. E così Mujica è andato a trovare gli ex di Guantánamo, per chiedere loro di cambiare atteggiamento, e dopo l'incontro ha osservato che non sono "gente umile del deserto" ma "piuttosto gente di classe media". Poco dopo il Pit-Cnt ha annunciato che non si occuperà più di loro, e sarà il Servizio Ecumenico per la Dignità Umana, una Ong che collabora con l'Acnur, il responsabile del loro inserimento sociale, economico e culturale.