Giustizia: Mattarella, persona perbene. Ma il suo ruolo va modificato di Angela Azzaro Il Garantista, 1 febbraio 2015 Anche i più scettici, con l'elezione di Sergio Mattarella alla presidenza Repubblica, sono costretti a riconoscere l'abilità del premier Renzi. Checché si pensi di lui, questa volta bisogna riconoscere che è stato molto abile. In un solo colpo ha zittito la minoranza interna, che ha dovuto sostenere la scelta da lui proposta, ha congelato il patto del Nazareno per resuscitarlo appena gli tornerà utile ma con un Cavaliere molto indebolito e ha messo in difficoltà le opposizioni, dalla sinistra di Sel al Movimento cinque stelle. Ma la mossa migliore di Renzi, al di là della strategia messa in campo, è la scelta fatta sul nome. Sergio Mattarella è persona di indubbio valore che rappresenta una storia importante del Paese e della Politica. Certo, è un democristiano: prova che la Seconda Repubblica - come è stata chiamata una fase della politica italiana che voleva chiudere con il passato - non ha prodotto grandi risultati. Per trovare una personalità autorevole, bisogna tornare indietro di vent'anni. Però, davanti ai possibili topolini, che la montagna delle "quirinarie" poteva partorire, non si può non essere soddisfatti del nome di Mattarella: la lotta alla mafia, la grande cultura e anche il suo silenzio sono qualità oggi abbastanza rare. Il suo nome appare decisamente più limpido di quello di Romano Prodi, su cui invece sembrano ostinarsi - chissà perché - alcuni della sinistra Pd e una parte dei grillini che pensano così di seminare zizzania. Prodi ha maggiori responsabilità su alcuni passaggi non proprio positivi della vita del Paese, è stato al centro del potere politico ed economico per più di mezzo secolo e poi si è logorato nel tira e molla tra franchi tiratori e improbabili sostenitori. Mattarella no. L'entusiasmo per Mattarella però finisce qui. Come finirebbe per qualsiasi presidente della Repubblica, per ragioni legate alla crisi della democrazia e delle istituzioni repubblicane. Napolitano, re Giorgio come lo abbiamo spesso chiamato, in questi anni ha assunto un ruolo che è andato al di là da quello stabilito dalla Costituzione. Non lo ha mai fatto in maniera illegale. Ma, a poco a poco, ha preso decisioni che più che di controllo sono stati di vero e proprio governo della vita politica del paese. Un esempio? Quando ha deciso di far cadere il governo Berlusconi e ha chiamato Monti, saltando a piè pari il passaggio delle elezioni. Colpa sua? Il problema riguarda quel sistema istituzionale pensato subito dopo la guerra e che nel tempo si è sfrangiato, restituendoci una situazione che fa acqua da tutte le parti. La riforma del Senato e quella della legge elettorale non lo risolvono, anzi lo esasperano: per il merito dei provvedimenti e per l'equilibrio generale dei rapporti tra esecutivo, parlamento e appunto presidente della Repubblica. Il clima che accompagna l'elezione di Mattarella al Colle ci racconta questa crisi, ma anche il sentimento opposto: in tanti vorrebbero partecipare, dire il proprio nome, designare la persona che li convince di più. È un sentimento positivo, che esprime un avvicinamento tra i cittadini e il capo dello Stato, e che è merito anche del presidente Napolitano. Ma non basta fare le quirinarie o fare le consultazioni. Men che mai servono i televoti proposti da siti e programmi televisivi. Ieri, su questo giornale, abbiamo proposto di passare all'elezione diretta del presidente della Repubblica. In Italia, su questo punto, pesa la storia del Novecento e una serie di pregiudizi sconfessati dalla realtà. Non ha senso pensare che si corra il rischio di un solo uomo al comando (del resto già c'è) e di una dittatura. L'elezione diretta - come in America, come in Francia, cioè nelle grandi democrazie - consentirebbe invece di costruire una vera partecipazione e permetterebbe ai cittadini di scegliere il presidente che preferiscono. Va ripensato tutto. Non con piccoli provvedimenti parziali ma con un ragionamento complessivo sulla democrazia e sulle istituzioni che coinvolga tutte le forze politiche a sociali del Paese. La presidenza di Mattarella potrebbe assumere questo ruolo di stimolo avendo tutta l'autorevolezza per farlo. Questa è l'urgenza di cui sarebbe bene farsi carico al Colle, non il braccio di ferro con Bruxelles o la troika, come chiedono alcuni, che spetta casomai al premier in carica. Giustizia: Mattarella, coro unanime del Terzo Settore "uomo attento al sociale" di Daniele Iacopini Redattore Sociale, 1 febbraio 2015 Dalla Comunità di San'Egidio al Forum Terzo settore, dalla Uisp all'Azione Cattolica, da Cittadinanzattiva a Csvnet, tutte le associazioni ricordano l'impegno del neo Capo dello stato per il sociale. "Rappresenta una garanzia". È un coro unanime: Sergio Mattarella è l'uomo giusto al posto giusto. Lo dicono all'unisono tutte le realtà dell'associazionismo e del Terzo settore italiano. Eccone alcuni stralci. Quirinale, Sant'Egidio: "Mattarella attento ai temi sociali e alla solidarietà". La Comunità di Sant'Egidio si felicita per l'elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. "Siamo certi che il nuovo Capo dello Stato saprà essere attento ai temi sociali emergenti" Forum terzo settore: "Certi che porrà attenzione alle tematiche sociali". Per il portavoce, Pietro Barbieri, "il Terzo Settore italiano saluta nel Presidente Mattarella un nuovo altissimo punto di riferimento e un interlocutore istituzionale di provata serietà e sensibilità. Siamo certi che vorrà porre al centro del suo mandato la giusta attenzione per le tematiche sociali ed i valori in esse racchiusi, la solidarietà, la lotta alla mafia e la legalità" CsvNet: "Ci auguriamo un settennato garante della giustizia". Il presidente Stefano Tabò: "La persona di Sergio Mattarella ci racconta di un senso autentico della politica. Verrebbe naturale, ora, immaginarlo primo garante della legalità: noi ci auguriamo un settennato garante della giustizia, di cui la legalità è il presupposto. È un augurio per lui e, ad un tempo, per tutti noi e per il volontariato che saprà continuare ad essere protagonista in questa direzione". La Uisp: "Lo sport sociale e per tutti è al suo fianco". Il presidente nazionale, Vincenzo Manco, sul nuovo Capo dello Stato: "La persona giusta per rilanciare i valori della Costituzione e della giustizia sociale dei quali c'è bisogno, per guardare con fiducia al futuro". Legautonomie: "Personalità forte, sarà garante della legalità". Il presidente nazionale, Marco Filippeschi: "Confido in una forte attenzione alla vita dei comuni e delle regioni, quanto mai necessaria, perché la vicenda delle autonomie locali è centrale per ridare all'Italia dinamismo, crescita e coesione sociale". Assistenti sociali: "Saprà esercitare la sua influenza contro le diseguaglianze sociali". La presidente Silvana Mordeglia: "Anche alla luce della sua storia personale, saprà ascoltare la voce dei più deboli, degli anziani, delle famiglie che vivono con sofferenza e tra mille difficoltà la loro quotidianità". Le Acli si congratulano: "Rappresenta una garanzia". Il presidente nazionale, Gianni Bottalico: "Condividiamo con il nuovo Capo dello Stato la medesima cultura politica del cattolicesimo democratico e politico, del popolarismo in particolare, che nella persona di Mattarella continua ad offrire preziose energie per la vita della nostra democrazia". Alleanza Cooperative: "Con lui al Quirinale un riferimento prezioso". I vertici dell'Alleanza affermano: "La trasparenza della vita politica e professionale del neo Presidente, la sobrietà mostrata in tanti anni di attività, la capacità di percorrere la strada della condivisione rispetto a quella della divisione, la sua ferma lealtà alla Costituzione della Repubblica rappresentano per tutti gli Italiani la garanzia di avere al Quirinale un riferimento prezioso e sicuro al pari del Suo predecessore. Unitalsi: "Ora massima attenzione alle fasce deboli". Il presidente Salvatore Pagliuca: "Un sincero augurio di buon lavoro al neo Presidente della Repubblica. In questi momenti di grave crisi economica c'è il bisogno di un rinnovato impegno a favore delle fasce deboli del nostro Paese con particolare attenzione ai malati e alle persone disabili". Anpas: "Auspichiamo una nuova fase politica". Il presidente Pregliasco: "Si ponga al centro dell'attenzione la sussidiarietà e il rispetto della Costituzione riconoscendo l'associazionismo e la cittadinanza attiva come strumento fondamentale e imprescindibile della vita sociale e politica dello Stato". Federanziani: "Su di lui le speranze di tanti italiani". L'associazione: "Anche i cittadini senior, coloro che hanno conosciuto le alterne vicende della nostra Repubblica, desiderano rivolgere al nuovo Capo dello Stato il loro augurio di buon lavoro, certi di poter trovare in lui un alto punto di riferimento". L'Azione Cattolica: "Scelta felice, a noi particolarmente cara". Gli auguri dell'Azione Cattolica al nuovo Presidente della Repubblica. "Uomo del dialogo ma non del compromesso al ribasso, sempre protagonista di un'azione politica intesa come servizio alla costruzione del bene comune". Misericordie: "Dai volontari un abbraccio ideale al presidente". Roberto Trucchi: "La Sicilia, terra d'origine del nostro nuovo presidente, è la seconda regione per numero di Misericordie: lì, come in tutta Italia, le nostre associate sono impegnate a rafforzare la cultura della legalità e della solidarietà". Cittadinanzattiva ricorda il suo impegno per i diritti del malato. L'associazione esprime le proprie felicitazioni per l'elezione di Sergio Mattarella, negli anni promotore del ruolo costituzionale dei cittadini attivi nella sfera pubblica. "Mattarella ha offerto un importante contributo alla riflessione di Cittadinanzattiva". Camusso (Cgil): "Uomo giusto, profondo conoscitore del diritto e della Costituzione". Il segretario generale della Cgil: "Sale al Quirinale un politico che ha saputo opporsi alla degenerazione dei partiti; un convinto sostenitore della partecipazione dei cittadini alla vita delle formazioni politiche e delle istituzioni; un amministratore che ha saputo distinguere il tornaconto di pochi, se non di uno, dall'interesse della collettività; un servitore dello Stato che ha combattuto con fermezza la criminalità organizzata e il malaffare". Cisl: "Sarà l'uomo del dialogo attento ai più deboli e alle parti sociali". Il segretario Furlan: "Siamo sicuri che Sergio Mattarella sarà il presidente di tutti gli italiani che lascerà la sua impronta perché è una personalità di altissimo profilo capace di garantire il rispetto delle garanzie costituzionali, l'equilibrio dei poteri dei poteri dello stato e delle istituzioni democratiche del nostro paese. È sempre stato un uomo del dialogo, con una profonda sensibilità sociale, un cattolico dai grandi valori etici. Per questo siamo certi che Sergio Mattarella sarà un Presidente molto attento alle istanze dei lavoratori, dei più deboli e dei corpi sociali". Giustizia: Sergio Mattarella, la coscienza e la "regola" di Roberto Napoletano Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2015 "Sergio Mattarella è una persona seria. Non è vero che è un uomo cupo, quante volte abbiamo riso e scherzato, quante volte ci siamo presi in giro". Ciriaco De Mita lo conosce bene e viene subito al punto: "Viviamo tempi in cui la politica è fatta di parole e di speranze non motivate, si sono perse le radici, ebbene Mattarella è un uomo concreto e lo vedrete all'opera, con i suoi criteri oggettivi saprà mettere in difficoltà chi fa le cose sbagliate, chi cerca le scorciatoie". Il primo banco di prova sarà la norma del 3% sull'evasione fiscale pro-Berlusconi, Renzi farà bene a ritirarla per davvero non per finta perché altrimenti il "moroteo siciliano" (esserlo a Palermo diventava una testimonianza) che ha abbandonato la politica senza mai pensare di dovere rientrare, non frequenta i salotti e non ha favori da restituire, farà sentire il peso della sua cultura giuridica e di una vita nelle istituzioni. Forse, il merito politico più rilevante di questa scelta di Renzi premiata dal generoso voto del Parlamento, è proprio quello di avere chiesto al suo partito e agli altri di eleggere come Presidente della Repubblica un uomo al quale non si può chiedere di fare diversamente da ciò che la coscienza e la "regola" gli dicono di fare. Sabino Cassese ha lavorato al suo fianco alla Corte Costituzionale e ha un giudizio netto: "È una persona che ha una grande capacità di guardare alle cose con distacco, in modo analitico, determinato, tenace nelle convinzioni, è uomo di pochissime parole, ma quelle parole pesano perché sono il frutto di un'elaborazione approfondita". Diciamocelo con franchezza, questo giornale ("Il presidente che serve al Paese" giovedì 15 gennaio) aveva detto senza mezzi termini che l'Italia ha bisogno di un Capo dello Stato della statura internazionale di un Helmut Kohl che non dice una parola in inglese ma butta giù il muro di Berlino e riunisce un popolo, pone le basi di una Nuova Europa politica fuori dagli egoismi nazionali e da vecchi e ricorrenti feticismi. Auspicavamo un Capo dello Stato che conoscesse la macchina pubblica italiana e si muovesse a suo agio sullo scacchiere estero economico e geopolitico, ma sapesse, allo stesso tempo, guidare la conciliazione tra partiti e Paese reale e avesse il rispetto di chi lo vota e di chi non lo vota. Ne siamo ancora fermamente convinti perché il cammino per conquistare la normalità, nonostante la spinta indubbia del bazooka di Draghi e il vantaggio di un petrolio e di un euro ai minimi, resta pieno di ostacoli: ci sono un problema greco, aperto in casa, per fortuna incapace ad ora di alimentare contagi pericolosi e un'Europa che non riesce a rianimare la sua domanda interna, a partire da quella tedesca, la Cina rallenta e la Russia è in piena crisi, sopravvive una sola locomotiva che è quella americana, alle prese con il super dollaro. La padronanza dello scacchiere internazionale non è oggettivamente il punto di forza del nuovo Capo dello Stato, ma per quanto potrà sembrare a prima vista complicato a capirsi, nella situazione italiana di assoluta debolezza di oggi e con un rischio mai allontanato di una persistente instabilità, Mattarella risulta la scelta giusta perché è l'arbitro di esperienza e competenza di cui questo Paese ha vitale bisogno, anche con il nuovo Italicum e l'accentuazione del maggioritario. Appartiene all'Italia perbene che è il migliore biglietto da visita internazionale per un Paese malato di corruzione, conosce l'Italia che soffre di più e a questa Italia si è voluto rivolgere con le sue prime parole. Ha l'esperienza politica, parlamentare, costituzionale e amministrativa per evitare pasticci e, soprattutto, per assecondare e fare atterrare sulla terra, dal pianeta Marte delle parole, quel riformismo concludente che taglia le leggi inutili e attua quelle giuste, smonta senza criminalizzare il moloch italiano di una burocrazia ossessiva e, in alcuni casi, addirittura odiosa, provando a liberare imprese e cittadini dal fardello più pesante. L'interrogativo principale dei mercati di questi giorni non ha riguardato le "scatole cinesi" della politica italiana, ma piuttosto la capacità dell'attuale premier di affrontare e concludere in tempi certi il ricambio della presidenza della Repubblica tenendo unito il suo partito e dimostrando di avere la forza e la compattezza per procedere sulla strada delle riforme cambiando in profondità non in superficie, come troppo spesso è avvenuto, entrando nei problemi e sviscerandoli, con metodo analitico e pragmatico, misurato alla prova del fatti. Su questi terreni, dalla semplificazione burocratico-normativa alla delega fiscale fino al lavoro e alla giustizia, Mattarella può dare molto, ha un capitale personale di affidabilità da spendere per contribuire a mettere a posto la nostra scassatissima macchina pubblica, mette insieme il rigore sturziano, la mediazione morotea e l'attenzione ai poveri di La Pira. Sui terreni dell'economia e delle relazioni internazionali la bandiera sventolerà tra Palazzo Chigi e il ministero dell'Economia, ma l'esperienza politica di lungo corso e la prova positiva come ministro della Difesa nella vicenda del Kosovo ci spingono ad azzardare che, all'occorrenza, le sorprese potrebbero non mancare. Napolitano è arrivato dove è arrivato ma non partiva da molto più avanti di Mattarella. Giustizia: gli auguri dell'Unione delle Camere a Mattarella "dia attenzione alle carceri" Adnkronos, 1 febbraio 2015 "Il più fervido augurio di buon lavoro al neo eletto Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella" arriva dall'Unione delle Camere penali italiane. I penalisti auspicano "che i temi della riforma della giustizia penale, dell'equilibrio dei poteri dello Stato, del carcere e delle condizioni dei detenuti, restino al centro dell'attenzione della più alta carica dello Stato". Giustizia: Rapporto Eurispes 2015; due italiani su tre non si fidano della magistratura di Errico Novi Il Garantista, 1 febbraio 2015 È un crollo. Il tasso di fiducia nei magistrati passa dal 41,4% di un anno fa ad appena il 28,8%. Lo dice il Rapporto 2015 dell'Eurispes, presentato ieri a Roma dal presidente dell'istituto Gian Maria Fara. Che definisce il dato su giudici e pm "preoccupante e inatteso". Di fatto quello della magistratura è il potere che perde maggiori consensi: più del 30% di quelli che già aveva. Il governo è messo male, il dato della fiducia è al 18,9%, eppure è in lieve crescita rispetto a un anno fa. Il che autorizza a credere che nella lite tra le toghe e l'esecutivo sul taglio delle ferie, i cittadini parteggino decisamente per quest'ultimo. I dati rischiano di galvanizzare Renzi. Soprattutto nella sua guerra a distanza con i magistrati. Secondo il Rapporto Italia 2015 dell'Eurispes la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni tende al ribasso. Ma se si va nel dettaglio, le cose si mettono davvero malissimo per la magistratura, che ha un tasso di consenso ridotto ormai al 28,8% e diminuito nel giro di un anno di ben 12,6 punti percentuali (nel 2014 era dunque al 41,4%, tutta un'altra cosa). Il governo come istituzione nel suo complesso ha un punteggio da incubo, sta al 18,9%. Ma seppur di qualche decimale, e in un clima di generale scoramento, è in salita. Non che ci sia da festeggiare visti i numeri, ma insomma il presidente del Consiglio potrebbe dedurne che gli italiani parteggiano più per lui che per le toghe, nella contesa sul taglio delle ferie. Interpretazioni a parte, le statistiche presentate ieri alla Biblioteca Nazionale di Roma da Gian Maria Fara, che dell'Eurispes è presidente, fanno impressione. Il giudizio degli italiani nei confronti delle istituzioni resta complessivamente negativo, il 69,4% dice di riporvi minore fiducia che in passato. E questo in un quadro complessivo di certezze sempre più scarse, di valutazioni molto critiche nei confronti dell'Unione europea e della moneta unica e in un generale clima di oppressione percepita nei confronti di fisco e burocrazia. Nulla di sorprendente, però. Tranne il dato sui magistrati. Che tracollano in modo davvero verticale - di fatto perdono oltre il 30% dei consensi che avevano - nonostante il grande impatto mediatico di inchieste come quella su Mafia Capitale. È la pietra tombale sul ricordo stesso della stagione di Mani pulite. Un cambio di paradigma che tra l'altro è stato ampiamente rappresentato pochi giorni fa all'inaugurazione dell'anno giudiziario dal primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, proprio con il riferimento alla golden age di Tangentopoli. Nella sua esposizione pubblica Fara non si dilunga granché sul dato. Si limita a definirlo "preoccupante e inatteso". E a proporlo anche in versione capovolta: "La quota di cittadini che non ripongono fiducia nella magistratura è passata dal54,8% del Rapporto 2014 al 68,6% dell'ultimo rilevamento". Il clima del Paese non è certo colorato di rosa, dice lo studio presentato ieri. Gli aspetti patologici da rimuovere in fretta sarebbero la pervasività della burocrazia e le tasse asfissianti. Soprattutto il primo elemento potrebbe indurre il sospetto che il crollo della magistratura nell'indice di gradimento degli italiani sia parte di una più generale ripulsa nei confronti di tutto ciò che è apparato e potere pubblico. E invece non è così. Niente da fare, le toghe non possono aggrapparsi neppure a questo. Perché nonostante l'analisi del presidente Fara parta da quello che lui chiama il "Grande Fardello" degli adempimenti infiniti e del fisco, la fiducia nei confronti della pubblica amministrazione non è in calo, anzi: è in clamorosa ascesa, fa registrare un +18,1% e si risolleva così da un dato precedente molto basso, fino a raggiungere il 39,1%. Meglio i travet e gli impiegati, meglio i ministeriali di giudici e pm. Chi l'avrebbe mai detto. Persino i partiti si riprendono un po' (arrivano al 15.1% con un significativo +8,6% rispetto a un an anno fa), addirittura i vituperatissimi sindacati hanno consensi più che doppi rispetto alle forze politiche (tasso di fiducia al 33,9%, con un +14,7). La magistratura niente, è così penalizzata dalla ricerca dell'Eurispes da far pensare a un rancore profondo, diffuso, quasi a una voglia di fargliela pagare. Figurarsi se davvero insisteranno con il piagnisteo per quei 15 giorni su 45 di vacanza in meno. Giustizia: il magistrato agli studenti "è sbagliato parlare di mafia qui a Roma" di Lorenzo D'Albergo La Repubblica, 1 febbraio 2015 Il Pg della Corte dei conti: "Sicilia e Calabria sono un'altra cosa quella della capitale è solo una combriccola di delinquenti". "Secondo me, quando si parla di mafia a Roma, si fa un errore. C'è un'improprietà di linguaggio. La mafia è tutt'altro". Si è chiusa così, con una frase a effetto, la giornata dedicata alla cultura della legalità e alla lotta alla corruzione organizzata dagli studenti dell'istituto tecnico Giovanni XXIII di Roma. A pronunciare le parole che giovedì mattina hanno spiazzato buona parte della giovanissima platea della scuola del quartiere di Tor Sapienza è stato il procuratore generale della Corte dei conti Salvatore Nottola. Non bastasse lo stupore dei presenti, a sole 24 ore di distanza è arrivata anche la storica maxi-condanna ai Fasciani: i membri del clan di Ostia dovranno complessivamente scontare oltre 200 anni di carcere. La sentenza di venerdì sa in qualche modo di smentita. Per la prima volta, infatti, è stata riconosciuta l'esistenza di un'associazione a delinquere di stampo mafioso nella capitale. Il "chiarimento tecnico" del Pg è proseguito per alcuni minuti: "Sarebbe pericoloso definire qualunque cosa mafia - ha spiegato davanti a circa cento studenti - si toglie il significato, la potenzialità pericolosa al fenomeno mafioso vero e proprio, che poggia su altre basi. Quella siciliana sul collegamento fra le persone, sulla gerarchia, sulla consuetudine antica. La ‘ndrangheta, invece, si costruisce sull'alleanza delle famiglie e così via. La mafia romana è un'altra cosa. È una combriccola di delinquenti di matrice a volte politica, a volte semplicemente delinquenziale". E ancora, entrando nel merito di Mafia capitale e delle scorribande di Buzzi e Carmignatone subito dopo gli arresti dell'operazione "Mondo di mezzo": "Nella capitale - spiegava in conferenza stampa lo scorso 2 dicembre - non c'è un'unica organizzazione mafiosa, ma ce ne sono diverse. Oggi abbiamo individuato "Mafia capitale", romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo mafioso". Pochi istanti prima di Nottola, a soffermarsi sulle "note vicende capitoline" e a parlare senza mezzi termini di "mafia" era stata l'altra ospite di giornata, la sorella di Giovanni Falcone, Maria: "Ragazzi, ringraziate che la mafia romana si basa su un giro di tangenti non ancora insanguinate. Già questo è un bene". Dopo la proiezione di un filmato sul magistrato ucciso da Cosa Nostra nella strage di Capaci, una nota a microfoni spenti di Nottola. Salutati gli alunni, il procuratore generale della Corte dei conti è tornato sulla corruzione in Campidoglio: "Il sindaco Ignazio Marino sta facendo bene, rivedendo i bandi uno a uno. Noi dovremo recuperare il danno patrimoniale e quello d'immagine agli enti rimasti coinvolti". Un lavoro che ora spetta ai magistrati della Corte dei conti del Lazio. Il procuratore regionale Raffaele De Dominicis ha quantificato in almeno 1,3 miliardi di euro il possibile danno erariale da contestare ai politici e ai pubblici funzionari finiti sotto inchiesta. Giustizia: caso Chiatti; se sottoposto a misura sicurezza potrà durare anche tutta la vita Ansa, 1 febbraio 2015 Luigi Chiatti, il mostro di Foligno condannato a 30 anni di reclusione per gli omicidi di Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci, 4 e 13 anni, terminerà entro l'estate di scontare la sua condanna ma non tornerà automaticamente libero perché sottoposto alla misura di sicurezza per la valutazione della sua pericolosità "che può durare anche tutta la vita". A ribadirlo è oggi uno dei suoi difensori, l'avvocato Guido Bacino. E sembra - secondo indiscrezioni - che non siano positivi gli elementi raccolti finora su di lui nel carcere di Prato dove è detenuto e che dovranno essere esaminati dal magistrato di sorveglianza. L'avvocato Bacino torna sulla questione dopo un servizio pubblicato oggi dal quotidiano la Repubblica, che parla della possibilità di un ritorno in liberà di Chiatti. "È già previsto in sentenza - spiega il legale all'Ansa - che la pericolosità di Chiatti venga rivalutata una volta espiata la pena. Non è cambiato nulla". La decisione sarà presa sulle relazioni del personale del carcere. Se come appare probabile il mostro di Foligno dovesse essere ancora ritenuto socialmente pericoloso sarà rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario. "E se anche questi venissero aboliti - dice l'avvocato Bacino - ci saranno apposite residenze". Preoccupato per gli scenari futuri è invece l'avvocato Giovanni Picuti, legale delle famiglie Allegretti e Paolucci. "Nessuno sa cosa accadrà di preciso - dice -, ma possiamo fin d'ora ipotizzare che la prognosi di pericolosità sociale, se confermata, è ben poca cosa quando il carcere psichiatrico avrà chiuso i battenti. Le famiglie delle vittime così come l'opinione pubblica hanno il diritto di essere messe al corrente del percorso riabilitativo compiuto dal Chiatti in carcere, perché la sua pena si è ulteriormente assottigliata". Chiatti fu arrestato nell'agosto del 1993 venendo condannato all'ergastolo in primo grado essendo stato ritenuto pienamente capace di intendere e di volere. In appello la pena venne però ridotta a 30 anni di reclusione dopo il riconoscimento della seminfermità di mente. Sentenza confermata in maniera definitiva dalla Cassazione. Il fine pena previsto inizialmente per Chiatti era nel 2023 ma a questa data vanno sottratti tre anni indulto e i periodi di liberazione anticipata. Una volta scontata la condanna Chiatti sarà comunque sottoposto ad una misura di sicurezza legata alla seminfermità mentale. Palermo: detenuto suicida nel carcere di Pagliarelli, due indagati per minacce di Alberto Samonà www.loraquotidiano.it, 1 febbraio 2015 Due persone sarebbero sotto la lente d'ingrandimento degli investigatori per alcuni bigliettini recapitati a Ciro Carrello, il giovane che si è tolto la vita due giorni fa a Pagliarelli. Due persone sarebbero indagate per minacce nei confronti di Ciro Carrello, 26 anni, il detenuto di origine napoletana, ma residente a Bagheria, che si è tolto la vita due giorni fa nel carcere palermitano di Pagliarelli. Qualche tempo dopo essere finito in manette, qualcuno aveva recapitato nella sua cella un paio di bigliettini, nei quali il giovane veniva invitato a "stare sereno" e pensare soltanto ai propri familiari. Un episodio, su cui sta indagando la procura di Palermo, che ha iscritto due persone nel registro degli indagati. Uno di loro sarebbe molto vicino al capomafia latitante Matteo Messina Denaro. Non è escluso che le ipotesi di reato per i due possano estendersi all'istigazione al suicidio. Carrello si è impiccato con un lenzuolo, nell'infermeria del penitenziario in cui era detenuto in isolamento. L'autopsia, eseguita ieri da Paolo Procaccianti, avrebbe escluso che il detenuto si possa essere ucciso. Sul suo corpo non sono stati trovati segni di violenza. Gli inquirenti stanno anche analizzando alcuni biglietti trovati nella cella del suicida. Rimini: detenuto tenta il suicidio in carcere: trentenne trasportato d'urgenza all'ospedale www.altarimini.it, 1 febbraio 2015 Disperato si stringe una corda al collo e tenta di suicidarsi: è accaduto sabato pomeriggio al carcere dei Casetti di Rimini, dove l'uomo, 30enne, nordafricano, è detenuto per il coinvolgimento nell'operazione "Kebab" su un traffico di stupefacenti. Ad accorgersi di quanto stava accadendo il personale dell'istituto penitenziario che ha allertato subito i soccorsi del 118. La corsa all'Ospedale "Infermi" e le cure immediate hanno impedito che accadesse il peggio. Il 30enne ha raccontato di aver tentato l'estremo gesto in un momento di angoscia, dopo aver chiesto di poter contattare un suo parente al telefono per sincerarsi della sua salute. La chiamata era in attesa di autorizzazione. Roma: non sono un criminale, sono maschio… e sto in cella a Rebibbia Femminile di Susanna Schimperna Il Garantista, 1 febbraio 2015 Quando nasce non è chiaro il suo sesso, o meglio, come dice lui, è "senza sesso". Così d'autorità suo padre lo iscrive all' anagrafe quale femmina, con un nome che lui rifiuterà sempre e che mi ha chiesto di non scrivere (unica limitazione che ha voluto mettermi, e su cui è stato fermissimo). I genitori lo lasciano già a sei mesi dalla zia Ann, in Scozia, mentre vanno a cercare lavoro in Germania. A 4 anni lui dichiara alla zia che gli piace una bambina, piange quando viene chiamato col nome impostogli all'anagrafe, grida quando gli si ricorda che è una femmina. La zia capisce, o forse, semplicemente, rispetta: e lo chiama Anthony. Il giorno in cui i genitori tornano a prenderlo lui scalpita, si ribella, si nasconde. Lo portano via lo stesso e con gli altri fratellini nati nel frattempo si trasferiscono a Luino (Varese), dove Anthony viene trattato come uno schiavo: pulizie della casa dalla mattina alla sera, spaccare la legna, proibito giocare, distrarsi, fare qualunque cosa che non sia lavorare e badare ai più piccoli. Le poche volte che il padre, che per Anthony è il Mostro, lo trova a giocare, lo picchia a sangue, lo frusta o lo bastona, lo mette a pane e acqua chiuso in bagno per tre giorni. Divieto ovviamente di uscire con gli amichetti, un divieto che si estende anche al fratello sedicenne tanto amato e a cui costa la vita, perché quello una sera scappa da una finestrella della cantina e su un motorino ci rimette la pelle. Anthony vuole vederlo ancora una volta, il padre glielo nega. Mai Anthony viene chiamato per nome, solo con un fischio o indirettamente. Ma lui deve chiamare il padre "Signoria". Anthony trova lavoro, lo perde, scappa di casa. È qui che comincia la sua vita randagia, con tanti lavori che non possono durare perché sui documenti c'è un nome da donna e una foto da uomo, con espedienti di sopravvivenza come fare il giro la sera dei macellai chiedendo pezzi di scarto per il cane, con ripari di fortuna come una buca vicina a un bosco in cui infilarsi per dormire. Poi arriva la malattia, la chemio. I farmaci sono cari, non è più questione solo di mangiare qualcosa. Impara a rubacchiare nei bed and breakfast, riesce tra furtarelli e lavoretti a comprarsi persino una macchinaccia in cui dormire, e gli sembra felicità. Un giorno un uomo a cui chiede una sigaretta gli fa trovare al mattino, fuori dalla macchina, una vera colazione. Diventano amici, lui frequenta la sua casa, viene accolto e sfamato: "Quel calore mi faceva paura perché non ho mai provato una cosa così". Si era preso anche un cane, lo lascia a questa famiglia quando decide di partire per la Puglia. Quando ne parla piange ancora. Mentre va in Puglia gli sequestrano l'auto, non ha l'assicurazione. Dorme un po' nei campi, un po' da un parroco. Trova un nuovo amico, Domenico, che anche lui gli dà da mangiare e per un po' lo porta nella sua casa a cena, gli fa conoscere la famiglia. A Roma lo arrestano. Non stragi, non omicidi, non traffico internazionale di droga, ma piccoli furti, guida senza assicurazione, irregolarità. Non può permettersi un avvocato, la sentenza è implacabile: 17 anni di galera sommando tutto. Ha parole splendide per i poliziotti che lo portano in carcere, per la poliziotta che gli regala 10 euro per le sigarette, per la gentilezza di tutti. In carcere, dove devono dargli una cella singola nella sezione femminile per la sua situazione non prevista dalla legge, continua a ringraziare. Trova tutti umani, più delle persone incontrate fuori. "Il bello è che quando aprono le celle e le chiudono ti danno la buonanotte e il buongiorno" dice delle guardie. Qui a Rebibbia, nel 2013, la storia di Anthony si intreccia con quella della scrittrice Nina Maroccolo. Lei da qualche anno tiene laboratori di prosa e poesia insieme a Plinio Perilli, ma nella sezione maschile. Ora per la prima volta si trova ad operare in quella femminile. Ha una concezione particolare del suo lavoro: "Gran parte della popolazione carceraria proviene da luoghi geografici ad alta percentuale di analfabetismo, e offrire cultura a chi intimamente la rifiuta significa eliminare ogni possibilità di dialogo, e declinare così verso il fallimento. Solo l'ascolto poteva consentire il primo accesso di me "persona" ad altre "persone", che non vanno pensate solo come detenute, perché questa è già la formulazione di un pesante giudizio". Attraverso i racconti, Nina è riuscita a creare dei "ponti". Aiutare i detenuti del suo laboratorio a ripercorrere le proprie esistenze ha significato per loro avere l'occasione di affrontare lutti vecchi e nuovi, e di trasformarli: rendendo così più sopportabile il dolore. Con Anthony c'è stato anche di più. Nina ha cercato ogni strada possibile per aiutarlo anche legalmente, ma finora non c'è riuscita. Ha però scritto un libro insieme a lui, un libro bellissimo e straziante, che si chiama "Ero nato errore" (ed. Pagine). È stata Nina a parlarmi per mesi interi di Anthony, è stata lei a portargli le mie domande e raccogliere le sue risposte. La ringrazio per questo. Ecco dunque Anthony Wallace, 47 anni, uomo con nome anagrafico da donna, detenuto nel carcere femminile di Rebibbia, Roma. Ancora 15 anni e mezzo da scontare. Cominciamo dall'inizio, Anthony. Dai suoi primi ricordi. Giocavo con i bimbetti, andavamo a fare gli scherzi al pastore. Lui portava il gregge a pascolare e noi facevamo scappare le sue pecore. Poi ci siamo accorti dei collie, poveretti, dovevano riportare le pecore insieme. Il pastore si arrabbiava molto con loro, finché capì che eravamo noi, così andava a lamentarsi dai nostri genitori. Mi ricordo molto bene della Pasqua. Vivevo in Scozia allora. In Scozia la Pasqua è molto importante… Era bello perché ogni genitore nascondeva nel giardino ogni tipo di uova e noi bambini dovevamo trovarne il più possibile per diventare vincitori. Era come una caccia al tesoro. E la scuola? Il primo anno di scuola elementare l'ho fatto a Inverness. Mi ricordo che la maestra era del Galles, era bellissima, sembrava Lady Diana. Le classi non erano mischiate e la maestra mi aveva messo in quella maschile. Andavo d'accordo con i compagni, non avevo paura di niente. Un giorno un mio compagno, Steven, mi ha messo alla prova. Con delle pinzette cominciò a tirarmi i peli delle braccia. Era una sfida. Faceva male, ma io tenevo duro. Dopo queste prove di resistenza fisica sono diventato il capo di un gruppo di amichetti della stessa stirpe, quella legata ai celti, ai miti, a Re Artù, alle Crociate. Prendevamo dei pezzi di legno, li inchiodavamo e quelle erano le nostre spade. Ci facevamo anche male e la colpa, anche quando non ce l'avevo, doveva essere mia. I genitori litigavano fra loro per proteggere i figli, ma la cosa bella era che per noi quando finiva tutto non c'era rancore. La mia materia preferita era la Storia. Lei chiama i suoi genitori l'Estranea e il Mostro. Ma poi per l'Estranea, sua madre, ha parole di pietà: dice che fino a un certo punto ha provato a difendervi, ma poi si è arresa perché era una vittima anche lei del Mostro. L'Estranea si è mai dimostrata tenera nei suoi confronti, lei ha mai pensato che le volesse bene? Mia madre ha avuto qualche dolcezza, sì. Era dispiaciuta di non potere fare di più o dimostrare che mi voleva bene. Credo che capisse la mia sofferenza. Zia Ann è stata una madre vera, e mia madre mi aveva abbandonato dopo il parto e poi mi strappato via da zia Ann, da Inverness. Forse si sentiva in colpa per tutto questo. Comunque prima lei mi abbracciava, mi voleva davvero bene, ma non ha potuto darmi di più, perché era succube del Mostro. È da quel momento che mamma è diventata l'Estranea, da quando si è distaccata. Non parla mai di amore e di rapporti sessuali. Non sono mai esistiti nella sua vita? C'è stata qualche donna, o qualche uomo, che ha fatto degli approcci con lei? Nella mia vita ho avuto donne che ho amato. Amare una donna è una cosa bellissima e importante, perché la donna è molto superiore all'uomo, sa dare molto di più. Nella donna amo la dolcezza, la sensibilità, la sua forza e la voglia di capire. Dall'altro lato anche l'uomo deve avere queste qualità anche se spesso non è così… La donna cerca nell'uomo la complicità assoluta che comprende il rispetto. Non ammetto fare sesso con un'altra donna quando amo la mia… Sono un romantico… Qui a Rebibbia aspetto la libertà per andare dall'amore che amo, ci apparteniamo e lei sarà sempre la mia donna. Io resisto soprattutto per lei che mi ha accettato subito, senza domande, mettendosi a rischio anche con la sua famiglia visto che è sposata. Ho vissuto questo amore anche per la delicatezza ed è stato coinvolgente come un terremoto. I rapporti sessuali li ho conosciuti molto prima, da ragazzo. La prima volta ero spaventato, era stato talmente bello e le cose belle a volte ti spaventano. Ho scoperto cosa voleva dire due corpi in uno, l'amore totale. Io mi sono sempre sentito e sono eterosessuale. Ad esempio una volta un gay mi ha fatto delle avances, mi sono molto alterato e l'ho mandato a quel paese con tutto il rispetto per il suo essere omosessuale. Non mi pare che lei abbia trovato aiuto nelle istituzioni. Può raccontare a chi ha provato a rivolgersi e cosa le hanno risposto? Sono stato dagli assistenti sociali, in comunità che però erano per i tossici e gli alcolizzati, e io non c'entravo niente con queste realtà. Ho visitato molte strutture spiegando la mia situazione, non capivano mai la mia situazione identitaria, mi scambiavano per un trans ma io non ero un trans e loro non sapevano cosa fare. A Firenze ho chiesto aiuto all'Arci-Gay, spesso ai preti… La mia condizione è rara e stato rifiutato in tutto e da tutti, sono stato rifiutato dalla grande ignoranza, dalla facilità di giudicare, sbattuto a destra e a sinistra senza che nessuno mi aiutasse davvero. Però ringrazio la comunità S. Egidio perché un piccolo aiuto loro me l'hanno dato. Quali lavori ha fatto per mantenersi? Ho fatto lo stalliere, il saldatore, il giardiniere, lo spaccalegna, aggiustavo frigoriferi. Per sopravvivenza sono stato poi obbligato a cominciare a rubare, e quando lo facevo stavo male, malissimo. Anche adesso sto male perché non è bello farlo, ma le istituzioni non mi hanno dato scelta. Il fratello che amava è morto quando eravate ragazzi. Ha qualche rapporto con le sue cinque sorelle? Nessuna mi ha mai aiutato e non ho più rapporti con loro dal 1982. Mi dispiace sapere che ho dei nipoti e non li conosco. Non so neanche se i miei nipoti sanno che esisto. Ho paura a pensare che potrebbero avere la stessa indole del Mostro. Ma sia chiaro: a questo punto non li voglio proprio conoscere. Nel libro, lei parlando del carcere dice a Nina: "Qui dentro ho e sto ricevendo cose che fuori non ho mai avuto". Che cosa, precisamente? Qui a Rebibbia mi hanno dato un po' di dignità, un lavoro che cercavo da anni e qualche intesa con le assistenti. Per esempio, io non potrei avere la giacca classica, ho chiesto il permesso e me la fanno tenere, e così il rasoio che tengo nella mia cella. La doccia la faccio da solo come solo sono nella cella. Ha mai tentato di uccidersi? È successo una volta sola, quando mi hanno scoperto il tumore. In quel periodo ero a Torino, mi buttai nel Po. Era la disperazione totale e non ero in me stesso, come quando non mangi da 2/3 settimane, non ti rendi più conto di quello che fai. Lei è nella sezione femminile e in una cella singola. Preferirebbe stare nella sezione maschile? Avrei preferito stare nella sezione maschile, ma se devo rimanere al femminile allora preferisco la cella singola. Qui al femminile le donne quando litigano sono peggio degli uomini, fanno rumore in qualunque orario… si mettono a cantare e a danzare, soprattutto le rom, e se provi a dire qualcosa ti saltano addosso. Io mi trovo al primo piano che è più tranquillo del secondo e terzo. Ho fatto qualche conoscenza, perché qui l'amicizia non esiste, anzi qualche volta le ragazze mi bussano alla porta e mi portano dolci e carne. Non voglio essere toccato, e mi rispettano. A loro voglio bene. Si è sempre sentito diverso da tutti per le sue particolarità fisiche, per il suo essere nato di sesso indefinibile e poi diventato uomo, o sono stati gli altri a farla sentire diverso? E oggi come si sente? "Strano", come dice, solo per un fatto fisico o anche per altri motivi? Gli altri mi hanno fatto sentire diverso, io invece mi sentivo "superiore" agli altri perché sono particolare. La particolarità sta nella fortuna di possedere come un fiuto e quindi di capire subito le situazioni. Ho forte l'istinto del pericolo, lo so riconoscere… come un animale che ha l'istinto di proteggersi. So riconoscere il bene e così il male. Amo il Tao perché i due opposti si attraggono. Faccio un esempio: è brutto rubare, ma una volta quando avevo rubato ho aiutato una donna con il suo bambino… Questa donna era povera e le avevo dato metà dei soldi rubati. Quel male che ho fatto si è trasformato in bene. Il male ha aiutato il bene… Dirò di più: mi sento un po' come un Tao, perché tutto il male che ho fatto, dato, è diventato bene, un bene che dentro ho sempre avuto. Mi sento strano non per un fatto fisico, perché so cosa sono, ma è strano che sto lavorando, strano perché ho scritto un libro, strano che qualcuno crede in me, strano sentirsi amato, strano perché queste cose accadono in una vita normale che ho sempre cercato. Amo il mio fisico, il mio corpo, come sono e quello che sono. Se uscisse dal carcere cosa vorrebbe fare, che vita vorrebbe avere? Vorrei avere una vita normale, un posto di lavoro. Vorrei finalmente il documento nuovo, perché la mia natura sessuale è maschile, voglio essere Anthony nelle carte. E vorrei un tetto, non una galera. Foggia: la Consigliere regionale Anna Nuzziello chiede "più dignità per i detenuti" www.teleradioerre.it, 1 febbraio 2015 Il consigliere regionale Anna Nuzziello interviene sulla situazione delle carceri pugliesi e, in particolar modo, su quella che riguarda la Casa circondariale del capoluogo dauno, che resta, proporzionalmente, la più affollata del distretto. Il kaos delle carceri, però, riguarda tutti gli 11 istituti penitenziari del territorio pugliese, dove, ugualmente, si verifica un esubero della capienza regolamentare. A Foggia "nonostante il grande impegno profuso dalla direttrice della casa circondariale di Foggia, Mariella Affatato, grazie alla quale, di concerto con i tavoli tecnici e istituzionali, sono state attivate numerose iniziative trattamentali - sottolinea - che vanno nella direzione giusta, e cioè il fine rieducativo della pena, le criticità, però, restano. In particolare quelle più impellenti, a tutt'oggi, consistono nella carenza di personale delle varie aree rispetto alla pianta organica prevista; nell'obsolescenza degli impianti idrici e termici; nella scarsa efficienza dell'erogazione del servizio socio-assistenziale, comprensivo del servizio psicologico e dell'assistenza psichiatrica ai pazienti, che dovrebbe garantire un monitoraggio costante non solo sotto l'aspetto sanitario specialistico ma anche generico. Relativamente a quest'ultimo punto esistono modalità, procedure e criteri stabiliti dalla legge e vanno perseguiti con maggior vigore". Il riferimento della consigliera Nuzziello va al lungo e complesso iter che ha impiegato quasi un decennio per realizzare un cambiamento fondamentale in tema di carceri, e cioè la Riforma della Medicina penitenziaria prevista dal decreto legislativo n. 230/1999 e finalmente approvata nel 2008 dalla Conferenza Stato-Regioni con il "sì" allo schema del provvedimento emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La riforma è finalizzata ad una più efficace assistenza sanitaria e alla qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione negli istituti penitenziari, negli istituti di pena per minori, nei centri di prima accoglienza, nelle comunità e negli ospedali psichiatrici giudiziari. Ben vengano, allora, le fiaccolate della legalità, le iniziative in tal senso delle associazioni e della comunità operosa, ma i tavoli tecnici della politica e delle istituzioni devono operare più concretamente - conclude Anna Nuzziello - per risolvere davvero i problemi di Foggia, per portare cambiamento e innovazione, per far riemergere un futuro luminoso in fondo al tunnel del degrado, attraverso sinergie ed energie, umane e professionali, senza colore politico. La gente continua a morire di fame. Foggia e i suoi cittadini sono stanchi, offesi, umiliati e chiedono aiuto, rispetto e dignità da parte della politica e delle istituzioni Augusta (Sr): Corso per aspiranti pizzaioli al carcere, saranno dodici i detenuti prescelti www.augustaonline.it, 1 febbraio 2015 Saranno dodici i detenuti prescelti a partecipare al corso professionale per pizzaioli che si terrà alla casa di reclusione di Augusta. L'iniziativa è del club service Rotary Augusta di cui è presidente Giuseppe Corbino. Il progetto è stato accolto con molto entusiasmo dal direttore Antonio Gelardi e dai detenuti, pensate che sono state circa 100 le domande presentate. In questa prima fase saranno dodici i detenuti, tutti con pene che stanno per finire, che avranno la possibilità di imparare il mestiere con la qualifica di "apprendista pizzaziolo", con tanto di attestato finale e tessera rilasciati dall'associazione Italia-Malta Pizza Association. Il corso è stato illustrato ieri mattina , erano presenti, oltre al direttore Gelardi, per il Rotary Giuseppe Corbino e Federico Romano. Gli istruttori Giuseppe Paolini, Vincenzo Perez, Daniele Ucciardo e Giorgio Sortino. Questi ultimi due hanno vinto recentemente il "campionato mondiale pizza bianca" , rispettivamente nelle specialità "Pizza a metro" e "Pizza classica". L'evento si è disputato a Malta, presso la pizzeria "Giardino Mediterraneo" a Marsala Wilga Street. Il corso, della durata di 40 ore, avrà inizio Lunedì 2 febbraio, si articolerà in lezioni teorico/pratiche nei giorni di lunedì e martedì, dalle ore 9 alle 13. La collaborazione vedrà impegnati il Rotary Club Augusta che provvederà a fornire il materiale didattico (forno, impastatrice, blocchi notes. penne) e di consumo (farina, mozzarella, pomodoro, olio - sale - ecc.): la casa di reclusione che provvederà ad allestire un'area attrezzata per la preparazione dei prodotti, piani di lavoro ecc.; l'Associazione Italia-Malta-Pizza-Association che fornirà abiti da lavoro, Piccola attrezzatura, gli istruttori. Durante l'incontro con la stampa un clima di entusiasmo tra tutti i protagonisti interni ed esterni. Giuseppe Paolini ha anticipato che "probabilmente, visto il così alto numero di detenuti rimasti fuori dal corso, cercheremo di accontentare più aspiranti pizzaioli, compatibilmente alle regole della casa di reclusione. È importante - ha commentato - che sia offerta una possibilità a queste persone . Con l'attestato che rilasceremo potranno trovare un lavoro dignitoso all'esterno, con la speranza che possa essere un'opportunità per ricominciare da capo". Grande soddisfazione da parte del presidente Giuseppe Corbino che ha voluto fortemente questo corso :nella speranza che possa essere utile ai detenuti una volta ritornati all'esterno, dopo l'espiazione della pena. Il nostro vuole essere un aiuto concreto per tutti coloro che hanno sbagliato e che hanno voglia di cambiare e trovare un lavoro che gli consenta di vivere normalmente". Il direttore Antonio Gelardi, noto per la sua pragmatica conduzione della casa di reclusione ha sottolineato "l'importanza delle iniziative come questa del Rotary, che offrono una vera opportunità lavorativa agli ex detenuti. Per scegliere i candidati abbiamo cercato di favorire quelli che usciranno entro quest'anno a pena scontata, con un attestato professionale utile per ricominciare". Al termine dell'incontro con la stampa locale, Giuseppe Paolini con il solito entusiasmo tipico della sua personalità vulcanica ha lanciato la proposta, a fine corso, la giornata finale, istruttori e allievi prepareranno pizze per tutti i circa 500 detenuti e personale della polizia penitenziaria. Perugia: carcere di Capanne, cuccioli amici dei detenuti e future guide per i ciechi di Giorgio Galvani Il Giornale, 1 febbraio 2015 Solidarietà a quattro zampe. Cuccioli di Labrador affidati ai detenuti che li addestreranno per diventare presto guide sicure di persone non vedenti. Mirto e Margot, hanno varcato ieri mattina l'ingresso del complesso penitenziario di Capanne alla periferia di Perugia, accompagnati dai responsabili del Lions Club Concordia, promotori di un innovativo progetto, Prison Puppy Raiser (far crescere un cucciolo in prigione) che si pone a supporto del programma Lions Cani Guida per non-vedenti: quattro detenuti si occuperanno, nel rispetto del protocollo della scuola per cani Guida Lions di Limbiate, della loro socializzazione. Un progetto interamente finanziato dal service perugino fino alla donazione dei cuccioli alla scuola cani guida Lions. Il carcere fornirà lo spazio ed affiderà ai detenuti la cura e l'accompagnamento interno dei cuccioli, che potranno muoversi in ogni spazio dell'istituto penitenziario, con esclusione delle zone di sicurezza. Gli istruttori cinofili della Scuola per Cani Guida Lions di Limbiate formeranno i detenuti affinché siano in grado di insegnare ai cuccioli i comandi utili all'interazione con i futuri compagni di viaggio, nonché nozioni sulla gestione e cura dei loro piccoli nuovi amici. Accudendo Mirto e Margot, nella prima fase della loro vita, i detenuti si sentiranno dunque utili per i non-vedenti di cui gli animali diventeranno successivamente guida. Negli Stati Uniti, dove il programma Leader Dogs for the Blind, lanciato nel lontano 2002, interessa oggi 6 case circondariali, ha importantissimi risvolti umani e sociali in quanto i reclusi selezionati per il programma, una volta liberi, sono meno inclini ad essere coinvolti in situazioni illegali e sono motivati nel loro nuovo compito di educatori-formatori, sapendo che il ruolo da loro svolto in qualità di puppy raiser sarà determinante per la crescita equilibrata del cane. Partecipano al programma la società svedese Husse, tramite il rappresentante di zona, Gianguido Colato, che fornirà gratuitamente l'alimentazione, ed il veterinario, Stefano Arcelli. I cuccioli, attentamente selezionati nell'allevamento Enci, Rosacroce Wanals di Massimiliano Perugini, vivranno il carcere come una famiglia molto numerosa. "Quello cui abbiamo assistito oggi è un esempio di positiva partecipazione delle persone detenute ad attività di volontariato sociale, un impegno attivo che ha risvolti umani e sociali di altissimo valore", è quanto dichiarato dalla vicepresidente della Regione Umbria con delega alle politiche sociali, Carla Casciari, intervenuta alla originale consegna dei due cuccioli di labrador a quattro detenuti del complesso penitenziario di Capanne. "Partecipare a questo progetto - ha aggiunto - da un lato consentirà ai detenuti l'apprendimento di nozioni che potranno tornare utili una volta conclusa la pena per avviare percorsi di autonomia e reinserimento della società, dall'altro avranno sensibilmente contribuito alla socializzazione dei cuccioli anche in vista dell'importante ruolo che andranno a ricoprire come cani guida". "Una iniziativa resa possibile grazie alla disponibilità della direttrice del complesso penitenziario di Capanne, Bernardina Di Mario ? hanno precisato con orgoglio ed un pizzico di commozione, i responsabili del Lions Concordia di Perugia ? che unisce l'amore e la tutela degli animali con la solidarietà verso coloro che senza una guida sicura non riuscirebbero ad orientarsi e talvolta a vivere una esistenza dignitosa". Trapani: a Favignana teatro-carcere, nato da un'idea dell'attrice Stefania Orsola Garello di Jana Cardinale www.trapaniok.it, 1 febbraio 2015 Un progetto voluto e portato avanti con i detenuti del carcere di Favignana, dopo un anno di volontariato effettuato tra laboratori e incontri, per educare i partecipanti all'iniziativa: un lavoro teatrale portato in scena il 28 gennaio proprio all'interno del carcere dell'isola, alla presenza del direttore, degli educatori e del Comandante della struttura. Si tratta di "Papillon", nato da un'idea dell'attrice Stefania Orsola Garello, residente a Favignana, che proprio dopo l'esperienza di volontariato con circa 12 detenuti protagonisti, ha ottenuto un finanziamento dal Ministero della Giustizia, utile alla realizzazione del lavoro dal titolo "Nuddro", termine che in dialetto significa "Nessuno". "Sulle orme dell'eroe omerico - dice la Garello - focalizzo il mio intervento sul viaggio. L'Odissea, che i ragazzi compiono, sia nella loro vita che nel mio percorso. Il concetto di base è che siamo in viaggio, insieme, costretti dai limiti imposti dalla detenzione, dove in qualche modo mi ritrovo a guidare i compagni di fato, con la mia esperienza e la mia curiosità umana ed artistica". Un parallelismo che si adatta anche alla differenza tra i "nobili" compagni di Ulisse, costretti a lasciare casa e famiglie, per andare ad ammazzare, rubare, violentare e razziare in nome della lega greca, dell'onore di Menelao, dietro il quale si nascondono le mire espansionistiche ed egemoniste di Agamennone, e i "galeotti", picciotti utilizzati dal sistema mafioso, o facilitati nel delinquere dall'ignoranza o dalle condizioni di una società alla deriva, oltre che dalla fuga dalla povertà. "Quello che cerco di fare - aggiunge Stefania Garello - non è giustificare, ma capire e raccontare. Chiedendomi: perché li identifichiamo come eroi nell'epica tramandata e poi stampata, e, invece, reietti nella casa di reclusione? Per me resta importante focalizzare l'attenzione sulla loro trasformazione in viaggio, ossia la vita fatta di incontri belli e brutti, con la discriminante del libero arbitrio, la scelta: punto su cui mi permetto di favorire ed indirizzare la crescita delle persone con cui sono in contatto". In quest'ottica il documentario verte sul divenire degli individui nel bozzolo della casa di reclusione, sulla scoperta del gesto artistico, sull'utilizzo del proprio retaggio nell'improvvisazione, sull'analisi dei testi poetici proposti e quindi rappresentati. Per dare spazio al viaggio interiore e rappresentativo dei partecipanti. Con la persona che guida il laboratorio nelle vesti di Ulisse, o meglio Nessuno. Evidente, in questo lavoro, il ruolo dell'isola di Favignana, che da sempre risulta terra di coatti, di confino, che ospita e trattiene persone che pagano il loro debito con la società e spesso poi spiccano le ali su questa stessa isola. Ma non volano via: diventano liberi. "Quando vedo questi uomini, il cui passato non ho chiesto né indagato - conclude la Garello - vedo delle persone che si sfidano (e si fidano) nel gioco che propongo loro: recitare in molte lingue si dice "giocare", quindi nel "gioco" dare spazio a cose mai concesse, ossia un buon modo per passare la galera". Il progetto si avvale del patrocinio del Comune di Favignana - Isole Egadi. Biografia dell'artista Stefania Orsola Garello, nata in Lombardia da famiglia piemontese, nel 1989 è al Festival di Venezia con "Storie di ragazzi e di ragazze" di Pupi Avati, lavora con Davide Ferrario e, tra le altre esperienze, in grosse produzioni televisive cinematografiche e teatrali (a teatro con Giampiero Solari e Lidia Ravera, in tv conduce la linea gialla di Distretto di Polizia III). Passa un anno come assistente al fianco di Sergio Citti, collabora con lo scrittore Marcello Fois, con musicisti quali Paolo Fresu, Antonello Salis, Gavino Murgia e Daniele di Bonaventura, voci di spicco della scena jazz italiana, gira in Tunisia l'ultimo film di Tavarelli "Una storia sbagliata" coprotagonista con Isabella Ragonese. Con Alessandro Librio sta lavorando a un documentario sonoro dal titolo Star-Goethe. Arrivata a Favignana 20 anni fa, da sette è residente sull'isola, sua adorata musa. Taranto: tra sport e sociale, un corso e un torneo di ping-pong per i detenuti www.tarantobuonasera.it, 1 febbraio 2015 Dopo il corso, il torneo a cui prenderanno parte anche magistrati, avvocati ed agenti di Polizia penitenziaria. Obiettivo: favorire la socializzazione. Sarà presentato il prossimo 3 febbraio, presso la Casa Circondariale, il torneo finale del primo corso promozionale di tennistavolo. Il progetto, ampiamente condiviso dalla Direzione del carcere di Taranto, ha avuto lo scopo di promuovere abilità e competenze, oltre che a trasmettere i valori dello sport, quali il rispetto delle regole e dell'avversario, favorendo al contempo momenti di socializzazione e solidarietà. Il corso, attivato a partire dallo scorso mese di novembre, è stato realizzato dalla Delegazione Provinciale Fitet (Federazione Italiana Tennis tavolo) in collaborazione con la sede provinciale del Coni di Taranto. L'attività è stata articolata in sette incontri con lezioni teorico-pratiche che hanno visto la partecipazione di circa 15 detenuti, affidati alle cure tecniche degli istruttori Fitet nonché di valenti campioni di questa disciplina sportiva: Lino Catapano, Francesco Marangio ed Antonio Marossi. Il 7 febbraio, a partire dalle ore 9.30 presso il Circolo Tennis Taranto si disputerà il torneo finale previsto a conclusione del corso. L'evento vedrà la partecipazione oltre che di squadre composte da pongisti detenuti anche di atleti magistrati, avvocati e della Polizia Penitenziaria. Immigrazione: violenta connazionale nel Cara di Mineo, fermato nigeriano di 21 anni Ansa, 1 febbraio 2015 Un nigeriano di 21 anni, Mamud Yunus, è stato fermato da agenti della polizia di Stato con l'accusa di avere violentato e segregato una sua connazionale dal novembre dello scorso anno, nel Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo dove i due sono ospiti. Il provvedimento è stato emesso dalla Procura di Caltagirone ed eseguito da agenti del locale commissariato. La donna era arrivata nel Cara il 5 ottobre 2014, con uno sbarco di migranti. Le era stata assegnata una camera singola, occupata però dal suo connazionale. Secondo l'accusa, per le prime due settimane l'uomo avrebbe avuto un atteggiamento protettivo e fraterno con la nigeriana, ma successivamente l'avrebbe minacciata, picchiata e costretta a subire rapporti sessuali. Inoltre l'avrebbe segregata, impedendole di uscire, e minacciata di morte. Approfittando di una distrazione del 21enne, è riuscita a scappare dalla stanza e ad arrivare nel posto della polizia di Stato presente nel Cara, che ha avviato le indagini. Il sostituto procuratore di Caltagirone, Fabio Salvatore Platania, ha disposto il fermo del giovane che è stato condotto in carcere. La donna, dopo le cure del caso, è stata trasferita in una struttura protetta del Cara di Mineo e affidata alle assistenti sociali della struttura. India: Tomaso ed Elisabetta, scarcerati dopo 5 anni, sono arrivati a Milano Malpensa Ansa, 1 febbraio 2015 Sono arrivati all'aeroporto di Milano Malpensa, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, i due italiani detenuti per quasi cinque anni nel carcere indiano di Varanasi. Con l'accusa di omicidio e scagionati dalla Suprema Corte di Nuova Delhi dieci giorni fa. Ad accoglierli al terminal degli arrivi i genitori di Tomaso, Marina Maurizio e il padre Luigi Euro Bruno con la sorella Camilla. Arrivati da Albenga e la zia di Elisabetta giunta da Torino. A dare il benvenuto ai due giovani anche un gruppo di amici che hanno cantato in coro "Tommy libero". Appena i ragazzi sono comparsi dal ritiro bagagli, lui con felpa rossa e lei con maglia blu, sono scattati gli applausi e gli abbracci di genitori e amici. "Ero pronto al peggio dentro quelle baracche con 130 persone - ha detto Tomaso ai giornalisti - ma la verità viene sempre a galla anche in un paese come l'India. Io ho avuto la forza di affrontare tutto perché ero a posto con me stesso". "Ce l'abbiamo fatto, siamo felicissimi", ha aggiunto Elisabetta Boncompagni". "Per ora vogliamo solo tornare a casa", hanno concluso poi i ragazzi parlando dei futuro, anche se Tomaso ha detto che gli piacerebbe trovare lavoro ad Albenga e rimanere lì. Tomaso e Ely: torneremo a Varanasi È Finita. È proprio finita. Tomaso Bruno ed Elisabetta hanno lasciato oggi l'India e sono rientrati in Italia dopo aver trascorso cinque anni nel carcere della città santa di Varanasi per una condanna all'ergastolo annullata dalla Corte Suprema. Ma non hanno dubbi: "Torneremo. E torneremo proprio a Varanasi!". Quando il Boeing 787 Dreamliner di Air India si è inerpicato nel cielo della capitale indiana, i due hanno scritto la parola fine ad una storia incredibile, trasformatasi da viaggio iniziatico in un Paese sconosciuto, all'incubo di una dura condanna di carcere a vita. Impostagli da giudici di primo e secondo grado che li hanno considerati colpevoli della morte del loro compagno di viaggio Francesco Montis. Evento, ancora oggi non del tutto chiarito, avvenuto il 4 febbraio 2010 nella stanza del Buddha Hotel in cui i tre alloggiavano per visitare Varanasi, la Benares degli amanti dell'India mistica e la più santa delle città indiane. A colloquio con l'Ansa nella residenza dell'ambasciatore Daniele Mancini, che ne ha seguito passo passo le sorti fino alla favorevole sentenza della Corte Suprema, Tomaso ed Ely paiono sereni e non particolarmente traumatizzati dalla loro esperienza carceraria. "Gli avvocati ci dicevano di non preoccuparci - esordisce Tomaso - che l'impianto accusatorio non era solido. E dopo la condanna in primo grado ci continuavano ad assicurare che l'Alta Corte avrebbe fatto giustizia e saremmo stati assolti. E ci siamo invece trovati a scontare tutti questi anni, con la macchia di un terribile reato che noi non avevamo commesso". "È stata certamente una esperienza dura - dicono quasi simultaneamente - ma fortunatamente non così tremenda come si legge spesso nei resoconti di chi ha sperimentato le prigioni di questo Paese". "Il fatto di essere bianchi - aggiunge lui - alla fine ci ha aiutato. Siamo stati trattati con rispetto e non abbiamo mai subito violenze". Tomaso e Ely ammettono di essere stati "troppo semplici nel progettare il viaggio. Un amico ci aveva invitato nel suo ristorante di Goa e siamo partiti. Non sapevamo nulla dell'India, nè di Varanasi. E non immaginavamo che la scelta di due uomini e una donna di affittare insieme una stanza potesse essere una pericolosa arma contro di noi. Di questo ci pentiamo". Elisabetta, di temperamento più riservato, racconta che "comunque nel reparto femminile non è stata facile. Non c'era quasi comunicazione con le altre donne. Non si sapeva di cosa parlare. E poi, mi sento di dirlo, c'era ipocrisia nel modo di rivolgersi a me. Amavano tanto sparlare dietro le mie spalle". "Per quanto potevamo - prosegue Bruno - ci tenevamo informati. Leggevamo libri ed i giornali, un po' datati, che ci spediva mia madre (Marina Maurizio). Ed abbiamo finite per imparare anche l'hindi". "E lui è molto bravo a parlarlo", interrompe Ely. Ma Tomaso replica subito: "Forse sì, ma a leggerlo e scriverlo lei è sicuramente migliore!". "Cancellerete l'India dalla vostra vita?", chiediamo. "Per ora - rispondono - siamo più concentrati a guardarci davanti. A quello che troveremo in Italia. Alle nostre famiglie e agli amici che si sono battuti come leoni per sostenerci. Ma in India torneremo, se ci lasciano tornare. E la prima tappa sarà certo Varanasi, dove abbiamo lasciato molti amici. È da là - concludono - che vorremmo ricominciare per sanare definitivamente questa nostra ferita". Brasile: rivolta in carcere contro il divieto di ricevere cibo dalle famiglie, 1 morto e 4 feriti Ansa, 1 febbraio 2015 La polizia brasiliana è intervenuta oggi in un carcere di Recife dove i detenuti si erano ribellati prendendo in ostaggio alcune guardie per protestare contro il divieto di portare cibo ai prigionieri imposto dalla direzione ai loro congiunti in visita. Il bilancio dell'operazione è di un detenuto morto e altri quattro feriti. La vittima si chiamava David Bezerra dos Santos ed aveva 20 anni. Il governatore dello stato di Pernambuco, Paulo Camara, ha dichiarato nei giorni scorsi lo stato di emergenza nelle carceri dello Stato a causa del sovraffollamento e delle pessime condizioni delle strutture. La scorsa settimana, nel penitenziario di Curado, il più grande del Pernambuco, è scoppiata una rivolta domata dalla polizia solo dopo tre giorni. In quella occasione, si registrarono tre morti e decine di feriti. Il carcere di Curado ha una capienza di 1.800 detenuti ma ne ospita attualmente 7.000. Norvegia: in arrivo legge per carcere ai mendicanti, organizzazioni umanitarie insorgono di Damiano Aliprandi Il Garantista, 1 febbraio 2015 Vietato fare i mendicanti, pena la carcerazione. La Norvegia ha perso la sua innocenza riguardante i diritti umani. Dopo la strage di Utoya il paese nord europeo scopre la sua anima nera e ha cambiato radicalmente volto da quando alle elezioni del 2013 ha stravinto un partito conservatore. La piccola ma ricchissima monarchia costituzionale ha consegnato il Paese a un governo che vede l'attiva partecipazione di quello che in passato fu proprio il partito dell'estremista stragista di destra Anders Breivik, il Partito del Progresso, populista e anti immigrazione. Tra le iniziative che fanno discutere, una è la legge che sarà varata tra pochi mesi: la mendicità sarà punita con la galera. La riforma legale, proposta dai conservatori e dalla destra xenofoba, sta per essere, quindi, ultimata. La proibizione - abolita nel 2005 dai progressisti che hanno governato per ben otto anni - ha ricevuto consensi anche dai partiti del centro. Multe e carcere sono le misure restrittive con cui il governo intende punire gli indigenti. È un paese ricco grazie soprattutto al suo petrolio, ma c'è comunque la povertà e il governo conservatore già a partire dal 2013 aveva già fatto una riforma locale conferendo ai municipi l'autonomia rispetto alle soluzioni da adottare per fronteggiare la povertà per le strade. La riforma locale, che prevede la possibilità di multare i mendicanti e di incarcerarli, ha trovato consenso soprattutto nel sud del paese, ma non nella capitale. Nei municipi aderenti, la polizia utilizza registri appositi in cui segnalare le generalità degli indigenti, La crisi economica ha dato maggiore impulso ai flussi migratori. La Norvegia, infatti, è fra le destinazioni più gettonate dall'Europa più povera. Con una sovrabbondanza di materie prime, come il petrolio, il gas e l'energia idroelettrica, e una scarsità di manodopera, il paese si caratterizza per ima densità di popolazione fra le più basse del continente e per un tasso di disoccupazione non di certo preoccupante, Secondo una statistica della polizia locale, dei duecento indigenti che, ogni giorno, chiedono l'elemosina ad Oslo, solo sette sono norvegesi, il resto proviene dall'est. I promotori della riforma legale sostengono che, negli ultimi anni, gli indigenti siano più aggressivi, Questo, a giudizio dei richiedenti, comporta un aumento della criminalità. Oslo, con una popolazione sette volte minore rispetto a quella di Berlino, sarebbe vittima dello stesso numero di scippi. Inoltre, i sostenitori adducono come ragione fondante la correlazione fra l'elemosinare e il traffico di esseri umani. "È importante tenere conto del contesto. Non è che non sopportiamo di vedere le persone bisognose, questa soluzione si adotta a causa del vincolo fra gli indigenti e la criminalità organizzata", ha dichiarato, qualche mese fa in occasione della riforma locale, la prima ministra Erna Solberg. Il paradosso vuole che la stessa Norvegia che vuole "risolvere" la povertà con la repressione, nello stesso tempo stanzia più fondi da destinare al sociale e ai rom, ma direttamente in Romania. Nel frattempo questa proposta di riforma legale ha generato ampie critiche dalle organizzazioni internazionali che si occupano dei diritti umanitari. Fra queste, quella di Sunniva Orstavik, rappresentante della Equality and Anti-Discrimination Ombud che teme la discriminazione del popolo rom. Anche la Commissione nazionale per i diritti umani denuncia i possibili effetti discriminatori e la violazione della libertà di espressione. "La proposta è molto delicata. Ho detto apertamente alle autorità, che spero non continuino con questa iniziativa. Sembra allettante usare metodi penali per trattare un problema sociale. La mendicità è una questione di povertà", fa sapere alla stampa norvegese il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks. Eppure parliamo della stessa Norvegia che non contempla l'ergastolo, che dopo la strage di Utoya, non ha scelto la vendetta, nemmeno quella "delia sicurezza". Non ha aumentato i controlli, la sorveglianza. Non ha assecondato la paura delle persone. Il ministro degli Interni di allora, un laburista, aveva dichiarato che avrebbero riposto con più umanità. Ma, con la forte virata a destra, anche questo Paese ha perso la sua componente umana e non securitaria. Sudafrica: la lezione di Mandela… liberato l'aguzzino dell'Apartheid Eugene de Kock di Damiano Aliprandi Il Garantista, 1 febbraio 2015 In Sudafrica continua il processo di riconciliazione nazionale. Il ministro sudafricano della giustizia, Masutha, ha concesso la libertà condizionata dopo 20 anni di carcere a Eugene de Kock, ex capo di un corpo di polizia segreto durante gli anni dell'Apartheid. Era stato condannato ad una pena di reclusione di oltre 200 anni per i crimini commessi in qualità di capo di una speciale unità della polizia incaricata di reprimere il dissenso contro il regime segregazionista. De Kock, 66 anni compiuti da qualche giorno, tra gli anni 1980-90 è stato a capo dell'unità C1, un'unità segreta della polizia sudafricana responsabile di rapimenti, torture e omicidi di attivisti anti-apartheid. Un vero e proprio squadrone della morte. Il compito principale di de Kock, quando era colonnello della polizia, era di mettere a tacere i leader del movimento anti-apartheid, in particolare quelli del Congresso nazionale africano (Anc). Ed ora, gli stessi dell'Anc lo hanno scarcerato. Nel 1996 è stato riconosciuto colpevole di 89 capi d'accusa e condannato a due ergastoli e ulteriori 212 anni di carcere. Successivamente il killer dell'apartheid mostrò segni di pentimento incontrando da dietro le sbarre alcuni dei parenti delle sue vittime e collaborando alle indagini. Arrivò anche ad accusare alcuni membri del regime dell'apartheid, tra cui Frederik W. De Klerk, ultimo presidente bianco, insignito insieme a Nelson Mandela del Premio Nobel per la pace nel 1993, di aver autorizzato le attività dell'unità C1. Nonostante tutto questo de Kock ha ottenuto la libertà vigilata, "nell'interesse della riconciliazione nazionale", ha spiegato il ministro della Giustizia Michael Masutha, che ha tenuto a precisare che sarebbero stati resi noti il luogo e i tempi del rilascio dell'ex ufficiale di polizia. La riconciliazione in Sudafrica è stato un processo storico, e soprattutto una lezione sui diritti umani per l'intera umanità. In un processo il colpevole tende a proteggersi, a negare. Il Sudafrica non ha voluto questo, il Sudafrica ha deciso di perdonare, di concedere un'amnistia a chi dice il vero, si assume le proprie colpe e racconta a tutti ciò che ha fatto. A stabilire se ciò che è stato raccontato corrisponde a verità, sono state le stesse vittime se sopravvissute o le loro famiglie. L'amnistia è concessa solo se il reato è compiuto tra marzo 1960, quando l'Anc inizia la lotta annata come risposta alla strage di Sharpeville, e il 10 maggio del 1994, quando Mandela è eletto presidente. L'amnistia è concessa solo se il reato ha motivazioni politiche, non per motivazione personale o per crimini comuni. Il colpevole può avere l'amnistia solo con una confessione piena e totale e con la massima accuratezza deve raccontare di ogni persona uccisa e di ogni crudeltà effettuata: ovvero il pentimento. Le vittime hanno così potuto recuperare la loro dignità, hanno potuto finalmente parlare pubblicamente delle loro sofferenze, gli uomini di colore non hanno così più avuto paura di essere perseguitati e uccisi. Possono parlare padri e madri, fratelli e sorelle. Sono racconti drammatici, storie di vero orrore e tanta sofferenza; storie di persone uccise durante i conflitti politici, persone sottoposte a torture e a gravi maltrattamenti. La vera rivoluzione di Mandela è stata quella di aver fatto giustizia attraverso la riconciliazione e non la galera. Andare di fronte alla Commissione post apartheid per confessare azioni commesse e sofferenze subite è stato il modo per riaccendere le relazioni con la comunità di cui si è parte. Quel ristabilire relazioni si fa giustizia concreta, non ha bisogno di pene e indica la determinazione nel tornare a camminare insieme. Oggi il cammino si è concluso con la liberazione di uno dei più efferati mulinali dell'apartheid. Da noi inconcepibile visto che preferiamo sbattere dentro le persone e, magari, buttare per sempre la chiave.