Giustizia: in carcere si continua a morire, a Milano-Opera il sesto suicidio del 2015 di Damiano Aliprandi Il Garantista, 17 febbraio 2015 Si è tolto la vita impiccandosi all'interno della sua cella del carcere di Opera, alla periferia di Milano. Parliamo dell'ennesimo suicidio all'interno delle nostre patrie galere e questa volta è toccato ad un detenuto romeno di 39 anni, condannato dalla Corte di assise d'appello di Venezia all'ergastolo per omicidio. La sua è stata una controversa vicenda giudiziaria. Il detenuto suicidato era accusato dell'omicidio dell'agricoltore sessantenne di Due Carrare, trovato senza vita, semicarbonizzato, nella sua abitazione il 6 giugno del 2007. Barbuta - l'ergastolano suicidato - era stato sempre assolto nei primi due gradi di giudizio, prima dall'Assise di Padova, quindi dall'Assise d'Appello di Venezia. I giudici avevano sempre condiviso l'impostazione della difesa. Secondo l'avvocato Chiarion non vi sarebbe stata alcuna prova decisiva a carico di Barbuta. I due verdetti erano stati però impugnati in Cassazione dalla Procura generale e dall'ex moglie della vittima. La Suprema Corte aveva annullato la sentenza assolutoria rinviando il processo ad un'altra sezione della Corte d'Assise d'Appello. Il 26 giugno 2013 i giudici veneziani gli avevano inflitto l'ergastolo, con isolamento diurno per sei mesi. Barbuta era stato arrestato un paio di mesi dopo dalla polizia romena nella città di Miroslava, nel distretto di Ieiu, ed estradato in Italia. Inizialmente la morte di Guerrino Bissacco era stata attribuita a un incendio accidentale o addirittura ad un suicidio. Le lesioni rilevate sul corpo dell'agricoltore durante l'autopsia avevano rapidamente portato i carabinieri della compagnia di Abano ad orientarsi verso l'omicidio. Secondo l'accusa, Barbuta, che abitava a pochi chilometri dall'abitazione della vittima in via Bassan, si sarebbe introdotto in casa di Bissacco per rubare la targa della sua auto, da montare successivamente sulla propria vettura. Avrebbe avuto infatti bisogno di una targa "pulita" per rapire la fidanzata e riportarla in Romania. Scoperto dall'agricoltore, lo avrebbe ucciso provocando poi un incendio per far sparire ogni traccia del delitto. A rendere noto il suicidio del detenuto è stato il sindacato della Polizia penitenziaria (Sappe) secondo il quale, nonostante l'intervento degli agenti, non c'è stato nulla da fare. "Purtroppo, nonostante il prezioso e costante lavoro svolto dalla polizia penitenziaria, pur con le criticità che l'affliggono, non si è riusciti ad evitare tempestivamente ciò che il detenuto ha posto in essere nella propria cella", osserva il segretario generale del Sappe, Donato Capece. "Quel che mi preme mettere in luce - aggiunge Capece - è la professionalità, la competenza e l'umanità che ogni giorno contraddistinguono l'operato delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria di Milano Opera con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come le gravi carenze di organico di poliziotti e le strutture spesso inadeguate. Siamo attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso". Poi Capece sottolinea i problemi del carcere di Milano stesso: "Nei dodici mesi del 2014 nel carcere di Milano Opera si sono contati purtroppo il suicidio di un detenuto e la morte, per cause naturali, di un altro. Quattro sono stati i tentati suicidi evitati in tempo dai poliziotti penitenziari; 35 gli episodi di autolesionismo, 24 le colluttazioni e 7 i ferimenti". Sempre Capece conclude: "Numeri su numeri che raccontano un'emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall'Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all'invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili". Resta il fatto che il sistema penitenziario continua a produrre morte. Dall'inizio dell'anno siamo arrivati a sei suicidi, con un totale di 12 morti. Giustizia: falso in bilancio; accordo sulla riforma, ora l'impunità è più difficile di Liana Milella La Repubblica, 17 febbraio 2015 In via Arenula hanno chiuso l'accordo su falso in bilancio e prescrizione. Con una novità sostanziale per il falso e una conferma per la prescrizione. Partiamo dal primo, il più sofferto politicamente. Innanzitutto reato perseguibile d'ufficio, abolita definitivamente la querela di parte. Poi tre diversi step di punibilità. Da 2 a 6 anni per le imprese non quotate. Da 3 a 8 per le imprese quotate. Da 1 a 3 anni per le piccole imprese. Quest'ultima è la novità di ieri perché scompare definitivamente la soglia di non punibilità del 5%, una scomoda eredità del falso in bilancio voluto da Berlusconi nel 2001 per far morire di prescrizione i suoi processi. Le piccole imprese vengono individuate economicamente sulla base della legge fallimentare del 1942 che fissa in 200mila euro la cifra per dichiarare un fallimento. L'impresa che raggiunge i 600mila euro, cioè tre volte quella minima del fallimento, potrà rientrare nella categoria in cui il reato di falso viene punito in modo più lieve. Sulla prescrizione invece non ci sono novità. Il testo, come più volte ha ribadito il Guardasigilli Andrea Orlando, è quello approvato dal governo il 29 agosto. Prescrizione "sospesa" dopo la sentenza di primo grado, 2 anni per fare l'appello e uno per la Cassazione. Espressa norma transitoria, la nuova regola "non" si applica ai processi in corso. Quindi non si applica a Berlusconi e al processo di Napoli sulla compravendita dei senatori che scade in autunno. Sul falso in bilancio invece c'è un netto colpo d'ala. Ne hanno discusso a lungo al ministero il responsabile Giustizia del Pd, il renziano David Ermini, il relatore del ddl Grasso al Senato Nico D'Ascola di Ncd, il responsabile dell'ufficio legislativo di via Arenula Mimmo Carcano. Il risultato è visibilmente uno: dal testo del reato scompare del tutto la parola "non punibilità". Rispetto alla versione che il governo aveva già presentato al Senato salta il terzo comma, quello più discutibile, laddove era scritto che "il fatto non è punibile se le falsità non hanno determinato un'alterazione sensibile" per lo stato economico della società. Via anche la non punibilità "se le falsità determinano una variazione del risultato economico non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento". Proprio lo stesso reato voluto da Berlusconi. Mentre l'emendamento sulla prescrizione è stato già depositato alla Camera, dov'è in attesa in commissione il ddl Ferranti, quello sul falso in bilancio verrà reso noto oggi, con un impegno politico da parte del governo, ma senza essere deposito al Senato dov'è in discussione in ddl Grasso. In via Arenula, la mossa viene spiegata come la via migliore per evitare nuovi subemendamenti che farebbero perdere altro tempo al ddl. Senza contare che il Guardasigilli vorrebbe anche evitare ulteriori polemiche. Il fatto certo è che l'attuale versione dovrebbe soddisfare pienamente chi, nel Pd (Beppe Lumia, Felice Casson e altri), aveva già manifestato pesanti dubbi sulle soglie di non punibilità, tanto da presentare emendamenti che le abolivano. D'accordo Ncd. Ovviamente il testo è destinato a "dispiacere" chi, come Confindustria, ritiene che un margine di non punibilità debba restare, fissando un tetto, e senza lasciare la piena discrezionalità nelle mani dei pm. Ma proprio una punibilità minima da 1 a 3 anni, che non consente di fare intercettazioni, possibili sopra i 5 anni, rappresenterà uno strumento per graduare la pena. Una sorpresa negativa arriva invece dalla prescrizione. Cade la promessa di prevedere esplicitamente un tempo più lungo per la corruzione. Certo, ci sarà l'aumento di pena del reato di "corruzione propria" da 8 a 10 anni, che automaticamente porta la prescrizione a 15 anni, ma non c'è traccia dell'anno in più che si sarebbe dovuto concedere per il primo grado, 3 anni per i processi di corruzione anziché due. Avranno prevalso le proteste di Ncd e del sottosegretario alla Giustizia Enrico Costa che calcola per la corruzione già un aumento del 155%. Ma, come dimostrano le inchieste, questi reati emergono spesso a molta distanza dai fatti. Per questo serve una prescrizione più lunga. Sempre che il governo abbia effettivamente voglia di far scoprire i reati. Giustizia: la denuncia dei Radicali; lo Stato non risarcisce le vittime dei processi "eterni" Il Tempo, 17 febbraio 2015 L'irragionevole durata dei processi provoca un danno erariale altrettanto irragionevole. È questa la denuncia presentata dal partito dei Radicali alla Corte dei conti. Uno dei tanti esposti a carattere politico che ultimamente hanno sommerso gli uffici della Procura contabile per il Lazio. La legge 89 del 24 marzo 2001, cosiddetta "legge Pinto", disciplina il diritto di richiedere un'equa riparazione per il danno subito quando il processo, civile o penale, supera i termini di durata ragionevole stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Negli ultimi anni i ricorsi per risarcimento da ingiusto processo sono lievitati. L'alto numero di condanne e i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio hanno comportato un forte accumulo di arretrato ancora da pagare, che a ottobre 2013 ammontava a oltre 387 milioni di euro. "Il fenomeno - denunciano i Radicali - ha assunto le sembianze di una vera e propria ipoteca accesa a carico di ogni cittadino italiano". Proprio per porre un freno alle richieste di risarcimento, il governo Monti ha introdotto con il "decreto sviluppo" del 2012 delle modifiche alla legge Pinto: è stato un fissato in 6 anni complessivi il limite oltre il quale il processo (nei suoi tre gradi di giudizio) diventa "irragionevole" e fa scaturire il diritto all'equa riparazione. Poi è stato stabilito l'importo dell'indennizzo in 1.500 euro per ogni anno eccedente il termine di "ragionevole" durata. L'eccessivo debito causato dai risarcimenti regolati dalla legge Pinto ha portato Marco Pannella e Rita Bernardini a presentare l'8 ottobre scorso un esposto alla Corte dei Conti, "per chiedere di avviare un'istruttoria volta a stabilire: se sussista e a quanto ammonti il danno erariale patito dall'intera nazione per la mancata attuazione di concrete e urgenti riforme per impedire il reiterarsi delle violazioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle conseguenti condanne economiche; e quali soggetti siano eventualmente responsabili di tale danno". La magistratura contabile, però, ha difficoltà a muoversi in una materia scivolosa, al limite con le scelte discrezionali della politica di dare la precedenza, in un momento di spending review, ad altri capitoli di bilancio ritenuti più importanti. Giustizia: il Sindacato Osapp "il Dap non funziona, siamo pronti a iniziative di protesta" Ansa, 17 febbraio 2015 Il Sindacato di Polizia penitenziaria Osapp segnala "un grave stato di disagio" del personale del corpo dovuto alle "attuali pessime modalità di gestione-organizzazione presso l'amministrazione centrale". Lo afferma in una nota il segretario Leo Beneduci, che segnala problemi per "quanto attiene la mobilità e i distacchi senza oneri per gravi motivi personali, il mancato riconoscimento degli straordinari nonché la gravissima situazione per quel che riguarda il pagamento delle caserme". Una situazione, che secondo Beneduci, "permane" anche dopo l'arrivo del nuovo capo del Dap, Santi Consolo, mentre "mancano iniziative gestionali da parte dell'attuale vice capo, Luigi Pagano. Per cui l'Osapp - conclude Beneduci - conferma il ritiro delle proprie delegazioni e prossimamente assumerà nuove iniziative di protesta su tutto il territorio nazionale. Chiediamo al ministro che eserciti una debita e urgente azione politica per il ripristino del corretto funzionamento del Dap". Giustizia: caso Yara; per i Ris su leggings tredicenne prova che salì su furgone Bossetti Adnkronos, 17 febbraio 2015 Gli ultimi esami dei carabinieri di Parma proverebbero che i fili ritrovati sui pantaloncini della ragazzina sarebbero gli stessi dei sedili dell'automezzo. Potrebbero essere a una svolta le indagini sull'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina di Brembate trovata morta il 26 febbraio 2010. I risultati delle ultime analisi dei Ris di Parma proverebbero che la giovane sarebbe effettivamente salita sul furgone di Massimo Bossetti per andare incontro alla morte. Sui leggings che indossava sono stati ritrovati fili che apparterrebbero al sedile del camioncino del muratore di Mapello, in carcere dal 16 giugno scorso, con l'accusa di essere l'assassino della tredicenne. Dopo il Dna nucleare rinvenuto sugli slip, quest'altro elemento potrebbe inchiodare il 44enne alle sue responsabilità. Giustizia: caso Yara; rimborso per Mohamed Fikri, ingiustamente detenuto per 3 giorni Ansa, 17 febbraio 2015 Lo ha confermato la Corte di Cassazione, l'operaio marocchino Mohamed Fikri ha il diritto di ricevere un indennizzo di circa diecimila euro, per ingiusta detenzione e i danni morali subiti a causa dell'arresto con l'accusa di aver ucciso la tredicenne Yara Gambirasio, un'accusa rivelatasi del tutto falsa per via di una intercettazione tradotta male. Danno che si è andato a rafforzare a causa dell'esposizione mediatica e della lentezza dell'inchiesta che gli ha fatto perdere anche il posto di lavoro. Un'indagine durata ben tre anni che, però, dovrà discutere ancora una volta nei tribunali, infatti la Suprema Corte ha tenuto in considerazione il fatto di un'ulteriore richiesta d'indennizzo proprio per il tempo "monstre" della sua indagine. Ad avviso della Procura della Cassazione, rappresentata dal sostituto Pg Fulvio Baldi, invece, Fikri avrebbe già adesso il diritto a un risarcimento maggiore per essere stato vittima della giustizia. La Giustizia italiana si rivela, poi, paradossale, infatti nonostante Fikri abbia ragione è stato condannato al pagamento delle spese ed al risarcimento di mille euro al Ministero dell'Economia. Fikri, che lavorava in un cantiere a Mapello, rimase in carcere in isolamento per tre giorni - dal cinque al sette dicembre 2010 - dopo essere stato arrestato con molto clamore sul traghetto da Genova a Tangeri, dove faceva rientro per un periodo di vacanza e non per darsi alla fuga. Respingendo la richiesta di Fikri di ricevere un indennizzo più elevato dal momento che - ha fatto presente la sua difesa - il suo coinvolgimento nella vicenda di Yara gli è costato la perdita del lavoro e gli ha causato depressione e spese per i farmaci, i supremi giudici hanno replicato che questi ulteriori danni sono "riconducibili alla lunga durata delle indagini preliminari (oltre un anno dall'arresto)". Per valutare il loro ammontare, la Cassazione spiega - come ha già osservato la Corte di Appello di Brescia, primo giudice a dare il via libero al risarcimento - che Fikri deve fare ricorso al Tribunale di merito e non alla Corte di Appello perché sono danni che non hanno a che vedere con la carcerazione ma con il prolungarsi dell'inchiesta che ha archiviato la posizione di Fikri solo il 14 febbraio 2013. Per quanto riguarda l'indennizzo definitivamente liquidato a Fikri, si tratta di 1.200 euro per i tre giorni di custodia cautelare, di 8mila euro per i danni morali, e di 580 euro per spese sostenute in diretta dipendenza della carcerazione. Giustizia: caso Ilaria Alpi; il testimone chiave scagiona l'unico condannato di Niccolò Zancan La Stampa, 17 febbraio 2015 Ahmed Ali Rage: mi hanno pagato per accusare un innocente. Il somalo Hashi Omar Hassan sta scontando 28 anni di carcere in Italia. Non si può definire esattamente una sorpresa. Almeno, non per Luciana Alpi, che proprio a questo giornale aveva dichiarato: "Hashi Omar Hassan, l'unico condannato per l'assassinio di mia figlia Ilaria, è innocente. Non ci sono dubbi. È tornato in Italia dopo l'assoluzione in primo grado, dimostrando la sua buona fede. Non c'entra niente in questa storia. Vorrei la verità anche per lui, definito nella sentenza di primo grado esattamente per quello che è: un capro espiatorio". E però, adesso, le sue parole sono suffragate addirittura dalla testimonianza del principale accusatore di Hassan: "Io non ho visto chi ha sparato a Ilaria Alpi, non ero là. In Italia mi sono stati offerti dei soldi per accusare un somalo. L'uomo in carcere è innocente". Lui si chiama Ahmed Ali Rage, da tutti conosciuto con il nome di Jelle. Era scomparso, "irreperibile". Ma una troupe della trasmissione "Chi l'ha visto?" è riuscito a rintracciarlo in Nord Europa. Il servizio andrà in onda domani sera. Per la prima volta, ci sarebbe un'intervista in cui Jelle in persona, mettendoci la faccia, conferma quello che la madre di Ilaria Alpi aveva riassunto così: "Cinque magistrati, vent'anni di indagini, un solo colpevole, sicuramente innocente. Non è stato fatto nulla, a parte depistaggi a tutto spiano". Sì, qualcuno avrebbe pagato perché venisse confezionata una verità di comodo. Anche se saperlo non basta per risolvere questo mistero italiano. Il tempo si è fermato. È ancora la stessa storia sbagliata, di cui sono vittime e prigionieri la giornalista della Rai Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin. Erano andati a Mogadiscio per lavorare. Avevano scoperto un traffico di armi e rifiuti tossici fra l'Italia e la Somalia, coperto da progetti di cooperazione internazionale. Sono stati uccisi in un agguato il 20 marzo del 1994. L'unica verità processuale è la condanna a 28 anni inflitta a Hashi Omar Hassan, che si è sempre dichiarato innocente. Il capro espiatorio. "Un somalo". "Potrebbe essere la svolta", dice Luciana Alpi. Ma si è illusa troppe volte: "Aspettiamo di vedere il servizio di Chi l'ha visto?". Anche la recente desecretazione degli atti di indagine ha portato più amarezza che verità. È servita solo a ribadire come tutto fosse chiaro fin dall'inizio. Già l'8 giugno del 1994, nelle prime annotazioni, i servizi segreti scrivevano: "Secondo informazioni acquisite in via fiduciaria, nel corso di un servizio giornalistico svolto a Bosaso qualche giorno prima della morte, i due cittadini italiani in oggetto avrebbero raccolto elementi informativi in merito a un trasporto di armi di contrabbando effettuato dalla motonave Somal-fish, per conto della fazione somala Salvation Democratic Front. Il duplice omicidio potrebbe quindi essere stato ordinato dai trafficanti d'armi per evitare la divulgazione di notizie inerenti l'attività criminosa svolta nel Corno d'Africa". Era tutto chiaro. Ma le vere responsabilità sono state coperte, fino al punto di fabbricare un colpevole. Da chi? Veneto: Governatore Zaia "certezza della pena e carceri chiuse a doppia mandata" Ansa, 17 febbraio 2015 "Certezza della pena e carceri chiuse a doppia mandata sono due dei cardini attraverso i quali è possibile recuperare legalità e sicurezza per i nostri cittadini. I delinquenti dentro, la brava gente fuori, e basta depenalizzazioni e decreti svuota carceri. Se gli istituti di pena sono pieni il problema non si risolve mettendo fuori chi c'è dentro, ma costruendone altri. Tocca al legislatore? Giusto, ma allora il legislatore si dia una mossa e agisca interpretando le necessità della gente; e lo faccia subito, perché la situazione è grave e non può essere ridotta ad una sola questione statistica, quando il comune sentire dei cittadini è un misto di sconcerto, paura, e rabbia". Con queste parole, prendendo spunto da un'intervista rilasciata dal Questore di Vicenza Gaetano Giampietro a un quotidiano veneto, il Presidente della Regione Luca Zaia torna a chiedere "interventi urgenti sul piano legislativo e su quello organizzativo" per rispondere a quella che è ormai divenuta "emergenza criminalità". "Fino a che chi è dentro esce con troppa facilità, e chi delinque non ha paura di andare dentro perché un cavillo giuridico per lasciarlo fuori si trova sempre - aggiunge Zaia - il problema di certo non si risolve. Non essere già intervenuta, e, a quanto appare, non aver alcuna intenzione di farlo, è una grave colpa della politica romana e di tre Governi, Monti, Letta, Renzi, che hanno tagliato il tagliabile anche in settori, come la sicurezza e la sanità, che non andavano nemmeno sfiorati se non per colpire gli sprechi. Con i 40 milioni dell'inutilizzato mega centro cardiologico di Reggio Calabria, ad esempio, si potevano costruire carceri, assumere poliziotti e carabinieri, dotarli di nuovi mezzi, o sostenere la sanità che sa curare". "Credo di interpretare un sentimento molto diffuso - conclude Zaia - se chiedo con forza a Governo e Parlamento di trovare, tra una riforma e l'altra, tra una lite e l'altra, tra un Nazareno e un elezionellum, il tempo di legiferare seriamente per rispondere a un problema serio, che è di tutti i cittadini". Veneto: "no" a sospensione condizionale pena per furti e rapine? Pg Cappelleri perplesso di Diego Neri Giornale di Vicenza, 17 febbraio 2015 "Una risposta efficace al problema criminalità si compone di mille tasselli collegati. La legge sui recidivi subito corretta dall'indulto". Abolizione della sospensione condizionale della pena per i reati predatori? La proposta lanciata dal direttore del Giornale di Vicenza Ario Gervasutti vede il procuratore capo Antonino Cappelleri perplesso. "Sì, perché per avere efficacia una misura serve che sia collegata all'intero sistema Serve una revisione globale, altrimenti i rimedi mirati non producono gli effetti sperati". Per Cappelleri è importante tener conto della tipologia di reato, non solamente dell'emergenza. "Per il nostro ordinamento rivestono particolare gravità i reati contro la persona - analizza il numero uno della procura vicentina -. Perché non prevedere misure analoghe per i reati contro l'incolumità personale? Serve un'estrema coerenza nei provvedimenti, non si può intervenire in un singolo punto". "Non bisogna dimenticare - sottolinea il procuratore - quanto avvenne nel 2005. All'epoca fu salutata con favore la legge ex Cirielli, che prevedeva di imporre la detenzione in carcere per i recidivi, o meglio di non consentire più misure alternative. Sembrava un rimedio efficace contro i mali della criminalità. Ma cosa accadde? Figlio di quella legge fu l'indulto del 2006, perché la norma portò ad un sovraffollamento tale delle carceri da rendere necessario un provvedimento in senso contrario. E la norma fu modificata Quando le riforme sono scoordinate rispetto al resto dell'ordinamento, non si ottiene il risultato voluto, ma in quel caso di ebbe l'esito opposto". Che la soluzione dell'emergenza criminalità sia un problema politico è di tutta evidenza. Il procuratore lo sottolinea da un punto di vista particolare: "Prevedere misure più dure delle attuali come la carcerazione obbligatoria per determinati reati significa prima di tutto che sono necessarie nuove carceri. Ma fino a quando non ne vengono costruite, i rimedi restano sulla carta". Da qualche anno, nel Vicentino, l'emergenza legata ai furti si è fatta particolarmente pesante. Dai dati dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, sono emersi circa 20 mila fascicoli in procura legati proprio ai furti, oltre un decimo dei quali in abitazione. Sono risultate in aumento sensibile anche le rapine, come peraltro è avvenuto in tutto il Veneto. La percezione di insicurezza è palpabile, e il fatto che i pochi ladri catturati vengano rapidamente rimessi in libertà con pene miti è una circostanza che fa arrabbiare il cittadino. "Da parte nostra l'unica risposta possibile è la maggiore applicazione possibile alla legge che c'è", sintetizza Cappelleri, che riconosce come le armi in mano agli investigatori non siano sempre efficaci. Pertanto, una risposta che dia maggiore sicurezza alla cittadinanza è necessariamente quella che passa per una revisione complessiva, "per la quale serve tempo ma soprattutto volontà". Ad esempio, una revisione che tocchi anche la custodia cautelare, uno strumento attenuato dall'attuale governo. "E nel momento in cui una pena passa in giudicato se l'imputato è in carcere vi resta, ma se è libero può godere delle misure alternative. È per questo che intervenire cambiando un singolo punto sbilancia tutto il sistema con esiti non sempre prevedibili. L'abolizione della sospensione condizionale della pena per i soli reati predatori non può essere una soluzione praticabile, e questo pregiudica qualsiasi altro ragionamento", si limita a concludere il procuratore, che peraltro con i suoi sostituti ha attivato tantissimi procedimenti penali contro bande criminali responsabili di raid o anche di singoli colpi. "Noi svolgiamo il nostro compito al meglio, con le risorse a disposizione. E con le leggi che ci sono". Toscana: sulla chiusura dell'Opg di Montelupo i Radicali polemizzano con la Regione www.gonews.it, 17 febbraio 2015 Dichiarazione di Massimo Lensi, già consigliere provinciale e componente del Comitato nazionale di Radicali Italiani, e di Maurizio Buzzegoli, segretario dell'Associazione "Andrea Tamburi" e membro della Direzione di Radicali Italiani. "La seconda relazione trimestrale al Parlamento sul Programma di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ai sensi della legge 81, da parte dei Ministeri della Giustizia e della Salute è un documento importante. Si apprende che la Regione Toscana ha preannunciato un nuovo programma al Ministero che individua in una struttura di Massa Marittima la nuova Rems (i nuovi mini-Opg, le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza). Si apprende, inoltre, che tale struttura è un immobile della Casa circondariale di Massa Marittima e che tuttavia il percorso è condizionato dall'assenso del Mef a procedere nelle more dell'adozione di un nuovo Decreto Ministeriale, previa autorizzazione scritta del Ministero della Salute: il tutto entro il 31 marzo, pena il commissariamento ad acta. Insomma, siamo ancora in alto mare. E se qualche giudizio di opportunità potrebbe emergere dal fatto che si intende trasferire malati di mente autore di reato in una struttura penitenziaria, seppure esterna alla cinta muraria, invece di privilegiare un ambiente integralmente sanitario e di recupero terapeutico, appare altrettanto evidente che non si dà risposta a cosa accadrà agli edifici dell'Opg di Montelupo. Perché se da una parte la villa medicea dell'Ambrogiana (la parte amministrativa) e il corridoio Vasariano potrebbero tornare, con grossi investimenti finanziari, facilmente a vita civile, dall'altra non si capisce quale potrebbe essere la futura destinazione di uso delle Scuderie (il vero Opg), ristrutturate di recente dall'amministrazione penitenziaria. L'edificio delle Scuderie, infatti, è a tutti gli effetti un piccolo carcere modello e tale potrebbe diventare, penalizzando così la potenziale attrattiva della villa dell'Ambrogiana, distante solo poche decine di metri. Emerge sempre più chiaramente che la nostra legislazione tende a concentrarsi, a volte paradossalmente, sui luoghi anziché sui problemi, come quello della relazione tra pericolosità sociale e crimine, tra prevenzione e cura. Si preferisce, quindi, ipotizzare il superamento degli Opg attraverso la creazione di nuove strutture definite, non a caso: Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), lasciandosi superficialmente alle spalle le tragedie che gli Opg hanno consumato nella loro lunga vita. I radicali fiorentini cercheranno di dare delle risposte a questi e ad altri quesiti nel loro congresso annuale che quest'anno si terrà proprio a Montelupo Fiorentino il prossimo 28 febbraio, presso il circolo Arci "Il Progresso". Arezzo: Garante regionale Corleone; situazione drammatica del carcere, valuterò esposto www.parlamento.toscana.it, 17 febbraio 2015 "Inammissibile lo stop improvviso ai lavori di ristrutturazione". Lo ha dichiarato il garante regionale dei detenuti dopo la visita alla struttura penitenziaria: Oggi, martedì 17 febbraio alle 10, incontro di lavoro con i garanti per i detenuti delle realtà locali regionali. "La situazione del carcere di Arezzo non è affatto migliorata. Anzi, è peggiorata. E circa l'abbandono dei lavori di ristrutturazione da parte dell'impresa incaricata, se non otterrò risposte adeguate dovrò prendere in considerazione l'ipotesi di un esposto alla procura perché si valuti se ci sono responsabilità nell'utilizzo del denaro pubblico". Lo ha dichiarato il garante dei detenuti della Regione Toscana, Franco Corleone, dopo il sopralluogo di questa mattina al carcere di Arezzo, prima tappa di una serie di visite che nei prossimi giorni interesseranno i penitenziari di Prato, Lucca e Pisa. "Nonostante l'impegno dei consiglieri regionali, che hanno presentato e approvato più di una mozione, e nonostante gli interventi dei parlamentari, la situazione del carcere di Arezzo risulta offensiva", ha sottolineato Corleone. "Il deterioramento avanza. Adesso per spostarsi da una sezione all'altra servono gli stivali. Il guano è alto almeno dieci centimetri e non è infrequente imbattersi in cadaveri rinsecchiti di piccione". Il garante ha definito "impressionante" la stato di molte sezioni che "sono completamente abbandonate, come dopo un terremoto, con letti e materassi lasciati a sé stessi, così come i libri della biblioteca, le chitarre della sala e i computer della sala informatica". Tutto ciò è il risultato dei lavori di ristrutturazione, iniziati ma "interrotti improvvisamente". "Da quel momento", ha aggiunto Corleone, "è iniziato lo scarica barile tra l'Amministrazione penitenziaria e il commissario straordinario per l'edilizia carceraria. Domani i garanti dei detenuti della Toscana incontreranno il provveditore regionale e, se non ci saranno risposte sulla situazione di Arezzo, scriverò al dipartimento nazionale. Se anche in questo caso non avrò risposte valuterò l'ipotesi di presentare un esposto alla procura di Arezzo". Riguardo alla situazione dei detenuti, Corleone ha detto che ad oggi le persone incarcerate ad Arezzo sono 22, "ma con la ristrutturazione la struttura potrebbe ospitarne circa 100". Le sezioni utili, ha spiegato il garante, sono due: quella degli arrestati e quella dei collaboratori di giustizia (attualmente sono sei). Quest'ultima sezione è stata definita "abbastanza decente, anche se priva di laboratori dove svolgere una qualche attività", mentre la sezione degli arrestati e la micro sezione dei semiliberi "hanno celle piccole, passeggi angusti di sei metri per uno, reti sopra la testa, come ci si trovasse in un carcere di massima sicurezza". Il garante regionale ha riferito che il direttore del carcere "ha proposto all'amministrazione penitenziaria un finanziamento per migliorare le condizioni di vita ed igienico sanitarie delle celle, "dove in molti casi i due detenuti devono condividere il wc senza alcun tipo di riservatezza, una situazione che è inaccettabile per la dignità della persona" e che è segno di inciviltà". "Spero", ha concluso, "che questi lavori di emergenza siano fatti al più presto, ma la questione della finta ristrutturazione, ci si è limitati solo a ritinteggiare le pareti esterne, va assolutamente risolta, anche perché ha provocato danni aggiuntivi, come aver ostruito l'accesso alla palestra. È una struttura che va riconcepita e serve un'assunzione di responsabilità da chi la può esercitare, perché ci sono gli atti del Consiglio regionale e quelli dei parlamentari che non possono essere ignorati". Domani, martedì 17 febbraio alle ore 10, presso il Consiglio regionale, Corleone avrà un incontro di lavoro con i garanti per i detenuti delle realtà locali regionali. Infine, dopodomani, mercoledì 18 febbraio, Corleone visiterà il carcere della Dogaia a Prato. Brogi (Pd): i lavori di ristrutturazione devono andare avanti Enzo Brogi consigliere regionale del Partito Democratico, in merito alla situazione dell'istituto penitenziario aretino. "È inaccettabile che sia tutto fermo. È inaccettabile che i lavori di ristrutturazione del carcere aretino non siano ancora ripartiti. A fronte di tutto questo, la situazione di partenza non può che essere peggiorata: così oggi ci troviamo di fronte a una realtà fatiscente, malsana e inadeguata. Pertanto, capisco e condivido l'allarme che lancia il garante dei detenuti regionale, Franco Corleone, che in questi giorni sta facendo dei sopralluoghi in alcuni penitenziari della Toscana. Nella nostra regione, così come nel resto del Paese, quasi tutti gli istituti hanno il problema del sovraffollamento. Ad Arezzo abbiamo un carcere semivuoto e inagibile, il quale, se ristrutturato, potrebbe dare respiro a diversi penitenziari, e soprattutto offrire condizioni di vita migliori a tanti detenuti". Piacenza: tentativi di suicidio nelle carceri, l'Istituto cittadino ai primi posti in Italia www.piacenzasera.it, 17 febbraio 2015 A livello nazionale nel 2013 diminuiscono i suicidi e gli atti di autolesionismo in cella. Lo sostiene la Uil-Pa Penitenziati, in una nota diffusa dal segretario nazionale Eugenio Sarno. Dall'esame dei dati, tuttavia, emergono situazioni preoccupanti per quanto riguarda la casa circondariale di Piacenza, al primo posto in Emilia Romagna per atti di autolesionismo e i tentativi di suicidio dei detenuti. Dati purtroppo confermati anche a livello nazionale, dove la nostra città raggiunge il triste primato del terzo posto, per entrambe le casistiche. Nel 2013 in tutta Italia all'interno di 33 strutture penitenziarie (16,2 %) si è registrato almeno un suicidio in cella. In 153 strutture (75,3%) si è verificato almeno un tentativo di suicidio ed in 186 strutture (91,6%) almeno un atto di autolesionismo. La regione con più suicidi la Campania (8); quella con un numero più alti di tentati suicidi la Toscana (161) che guida anche la classifica delle Regioni in cui si sono registrati più atti di autolesionismo (1.189). Roma Rebibbia è il carcere che ha fatto registrare il maggior numero di suicidi (3). Firenze Sollicciano l'istituto in cui si è verificato il maggior numero di tentati suicidi (45), seguita da Prato (43) e Piacenza (36). Sempre Firenze Sollicciano guida la classifica degli istituti con il più alto numero di atti di autolesionismo (358), seguita da Pisa (248) e Piacenza 235. Vicenza: protesta in carcere, detenuti distruggono i mobili e poi danno fuoco alla cella www.vicenzatoday.it, 17 febbraio 2015 Il carcere di San Pio X ha rischiato di essere evacuato dopo lo scoppio di un incendio all'interno di una cella. In segno di protesta, i detenuti hanno distrutto tutti i mobili e bruciato i materassi, due agenti all'ospedale. Venerdì sera una protesta è scoppiata all'interno del carcere di San Pio X: alcuni detenuti hanno prima distrutto tutti i mobili all'interno della loro cella e poi, divelti i termosifoni, hanno appiccato un incendio, bruciando i materassi e utilizzando dell'alcol come accelerante delle fiamme. Il fumo ha subito invaso i nove metri quadri della cella situata al secondo piano, facendo scattare l'allarme. Momenti di panico nell'interno dell'edifico, con il rischio di una difficile evacuazione, poi gli uomini della polizia carceraria, armati di estintori, hanno avuto la meglio sulle fiamme. Illesi i detenuti, due agenti sono finiti in ospedale a causa del fumo tossico ispirato, per loro sette giorni di prognosi. Come riportato da Il Giornale di Vicenza, non è la prima volta che all'interno del carcere di San Pio X scoppiato delle proteste. Il penitenziario sulla carta dovrebbe ospitare al massimo 150 detenuti, ma i reclusi sono il doppio. Per questo motivo ai prigionieri è stata lasciata la libertà di girare liberamente per i corridoi, con le celle aperte, ma la situazione è ogni girono più difficile. "È solo l´ultimo episodio - ha dichiarato Luigi Bono, segretario provinciale del Sappe. Gli operatori di polizia penitenziaria lavorano in costante stato di emergenza dibattendosi tra tagli al personale e ai mezzi di servizio. A questo si aggiunge un nuovo problema, quello della tanto decantata sorveglianza dinamica. Ci sono tensioni continue, ma si è preferito lasciare aperte le porte delle celle e far girare nei corridoi, a non far nulla, i detenuti. Si è creato così un regime aperto che ha acuito l´ozio e favorito le tensioni" Oristano: Caligaris (Sdr); detenuto finisce in carrozzina, ma per ora niente ricovero La Nuova Sardegna, 17 febbraio 2015 La denuncia di Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme". "È finito in carrozzina Gigino Milia, 68 anni, di Fluminimaggiore, ristretto nel carcere di Oristano-Massama. L'uomo, che oltre ai dolori lamenta formicolii alle mani e alle braccia, è incapace di reggersi da solo sulle gambe. Gli effetti di una patologia del midollo spinale stanno facendo registrare gravi conseguenze sulla sua autonomia". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", che nel ribadire la progressione della patologia segnalata dai familiari esprime "viva preoccupazione per le condizioni di vita del cittadino privato della libertà". "Le indicazioni mediche della Cartella Clinica - ricorda Caligaris - attestano che fin dallo scorso mese di ottobre era stato suggerito dalla neurologa del Poliambulatorio di Oristano un "ricovero presso un reparto neurologico per accertamenti". Sono però trascorsi inutilmente quattro mesi e a fronte di un evidente peggioramento del quadro clinico il ricovero ospedaliero non è stato ancora eseguito". "Appare inspiegabile - sottolinea la presidente di Sdr - il mancato accertamento diagnostico anche considerando che per il paziente detenuto, si legge nella cartella clinica, non è escluso il rischio di infarto, avendo subito in precedenza due arresti cardiaci. Un ricovero in un reparto neurologico consentirebbe di verificare le cause del grave disturbo limitando gli effetti invalidanti". "Allo stato attuale, è impensabile che possa permanere nella struttura penitenziaria di Massama senza i necessari accertamenti. Non si tratta di metterlo in libertà ma di consentirgli di effettuare dei seri controlli che non possono avvenire dentro un carcere. È evidente che il diritto alla salute prescinde dallo stato di detenzione e deve essere garantito. L'auspicio è che si provveda al più presto - conclude Caligaris - per fermare la degenerazione in atto". Avellino: Dap; avviata indagine sull'esplosione di bombolette gas campeggio in una cella Adnkronos, 17 febbraio 2015 "In relazione ai fatti avvenuti sabato 14 febbraio nella casa circondariale di Avellino, dove, all'interno di una camera detentiva posta al piano terra della struttura, occupata da tre detenuti, sono esplose alcune bombolette tipo camping gas utilizzate per scaldare le vivande, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria rende noto che, nell'immediatezza dell'evento, ha affidato al Provveditore regionale della Campania l'incarico di svolgere attività di verifica per accertare eventuali responsabilità per l'accumulo delle bombolette oltre il fabbisogno consentito dal regolamento". Lo scrive il Dap in una nota. Se i risultati dell'indagine interna confermeranno negligenze nei controlli, il Dap "avvierà un'azione disciplinare verso i responsabili non potendo tollerare comportamenti che possano mettere a rischio la sicurezza e l'incolumità fisica del personale e dei detenuti. Il dipartimento, nel precisare che l'esplosione non ha causato danni alla struttura, informa che la Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e servizi e il Provveditorato regionale hanno già avviato un confronto al fine di verificare la fattibilità di istallare, nella sezione del carcere di Avellino, fornelli elettrici a induzione che eliminano l'esigenza di utilizzare le bombolette. Soluzione già attuata con ottimi risultati in alcuni istituti della Calabria e della Sardegna". Vibo Valentia: nella Casa circondariale servizio di mensa agenti sospeso per insalubrità www.lametino.it, 17 febbraio 2015 "Ho appreso pochi minuti fa che il servizio di confezionamento pasti presso la mensa per il personale della Casa Circondariale di Vibo Valentia è stato sospeso, nella giornata di oggi, sembrerebbe a seguito di un controllo dell'ASP dal quale sarebbero emerse gravi criticità riguardanti l'igiene della cucina e il funzionamento degli impianti refrigeranti per le derrate alimentari". Lo comunica Gennarino De Fazio, Segretario Nazionale della Uil-Pa Penitenziari, che precisa: "quello della scarsa igiene dei locali del carcere ove si preparano i pasti per il personale è argomento di cui si vocifera da diverso tempo. Proprio a seguito di ciò pare che il Direttore dell'istituto abbia chiesto una verifica al medico dell'ASP che stamattina avrebbe relazionato provocando, come conseguenza inevitabile, la sospensione del servizio. Il servizio di ristorazione per gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e per le altre figure professionali che operano in carcere viene affidato a ditte private con procedura d'appalto all'offerta economicamente più vantaggiosa, partendo da una base economica ordinaria pari a 3,63 euro a pasto. Il logico rischio derivante da una base di aggiudicazione così bassa è che molto spesso, pur di rientrare nei costi, si possa finire per trascurare proprio qualità e igiene". "In ogni caso - conclude De Fazio - le notizie di cui allo stato disponiamo sono ancora molto frammentarie e confuse. Invierò pertanto oggi stesso una lettera all'Amministrazione penitenziaria al fine di avere informazioni dettagliate, all'esito delle quali mi riservo di intraprendere eventuali iniziative atteso che la sospensione dell'importante ed insostituibile servizio a favore della Polizia penitenziaria, che nella maggioranza dei casi espleta turni di lavoro giornalieri di 8 e più ore continuative (peraltro non concordati con le Organizzazioni Sindacali), potrebbe assurgere anche a rilievo penale e che vi sarà da accertare pure da quanto tempo i pasti venivano confezionati in siffatte condizioni". Torino: riunione dei Capigruppo del Consiglio comunale nel carcere Lorusso-Cotugno di Moreno D'Angelo www.nuovasocieta.it, 17 febbraio 2015 Sicuramente un bel segnale. Oggi i capigruppo del Consiglio comunale di Torino si riuniranno nel carcere Lorusso Cotugno, dopo un sopralluogo e incontri nella struttura che ospita circa 1500 detenuti (la capienza che dovrebbe non superare i 1.100). Al centro del confronto vi saranno problematiche e emergenze della popolazione detenuta e di chi lavora in questa realtà. Diverse e variegate le positive iniziative (l'ultima intende impiegare alcuni detenuti nelle pulizie delle strade durante l'ostensione della Sindone) che hanno caratterizzato un sempre maggiore impiego di persone recluse in lavori di ristrutturazione e nel confezionamento di prodotti del forno (pane e pasticceria). A questo fanno da contraltare le consuete note dolenti che partono dal sovraffollamento, dalle carenze igienico sanitarie, dai temi del reinserimento, dell'assistenza e della vivibilità per chi vive in un carcere. Certamente il fatto che da tempo circa un terzo della popolazione detenuta alle Vallette possa vivere in regime di "celle aperte" per otto ore è un dato molto positivo. L'associazione Antigone, molto impegnata e documentata sui temi carcerari, rilevava con la consueta precisione come nella struttura torinese convivessero nei vari bracci realtà molto diverse per quanto concerne la loro vivibilità. Tornando alla notizia dell'incontro dei capigruppo consiliari in carcere è da evidenziare come queste visite, oltre ai riscontri ufficiali, abbiamo un grande impatto per chi chi è detenuto. Poter scambiare una battuta, un saluto, un sorriso e soprattutto il sentirsi seguiti come persone dagli uomini delle istituzioni (e non guardati come scimmie allo zoo), è un fatto che ha una grande importanza e infonde speranza per chi deve passare molti mesi e molti anni in cella. La cura principale che impedisce deliri e un over ricorso agli psicofarmaci si chiama lavoro e possibilità di esprimersi. L'umanità è la chiave principale che apre la strada al reinserimento. Torino: ruba bibita da 1 €, la Corte d'appello delibera il "non luogo a procedere" Ansa, 17 febbraio 2015 Ha bevuto di soppiatto al supermercato una bibita che costava 1,29 euro e ha provocato un caso giudiziario che oggi, a sei anni di distanza dal fatto, è stato risolto dalla Corte d'appello di Torino. Per il marocchino Youssef M., 38 anni, condannato in primo grado a Mondovì (Cuneo) nel 2009 a due mesi di carcere, è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere così come aveva chiesto la difesa sulla base di alcune considerazioni in punta di diritto. Per poter bere, l'imputato aveva strappato la linguetta della lattina, e la linguetta, a differenza di quanto sancito dal tribunale, non è un "sigillo": quindi si tratta solo di un tentato furto e non si può celebrare il processo per mancanza di querela. Youssef era stato smascherato dalle telecamere di sorveglianza e segnalato alle forze dell'ordine. L'avvocato che ha firmato il ricorso in appello, Fabrizio Bruno di Clarafono, ha dichiarato: "Ma non bastava fargliela pagare?". Lucca: tenta di portare droga al fratello detenuto, denunciato dalla Polizia penitenziaria www.gonews.it, 17 febbraio 2015 Si era presentato al carcere di Lucca per sostenere il colloquio con il fratello detenuto, ma il suo comportamento ha insospettito il Personale di Polizia Penitenziaria di servizio. Tanto che, a seguito degli attenti controlli, è stata accertato il possesso di hashish. Protagonista un uomo tunisino. Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, commenta: "Questi episodi, oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del Personale di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Lucca, ci ricordano che il primo compito della Polizia Penitenziaria è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena e impongono oggi più che mai una seria riflessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento dei detenuti. E al Reparto di Polizia Penitenziaria del carcere di Lucca va dunque l'attestazione di stima più sincera da parte del primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri, che mi onoro di rappresentare. Tutti possono immaginare quali e quante conseguenze avrebbe potuto causare l'introduzione di droga in Istituto, considerato che la presenza dei tossicodipendenti detenuti è sempre significativamente alta. Questi episodi confermano una volta di più come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente a Lucca il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato". Libri: "Per la libertà. Il rugby oltre le sbarre", la palla ovale in carcere di Annalisa Celeghin Il Mattino di Padova, 17 febbraio 2015 Il rugby non è solo il Sei Nazioni. Può essere anche un viaggio, lungo poco più di 210 giorni, nelle carceri italiane: è quello che ha fatto lo scrittore Antonio Falda, ben raccontato nel libro che ha per titolo "Per la libertà. Il rugby oltre le sbarre" (Absolutely Free Editore, 14 euro, pubblicato con il patrocinio del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, della Federazione Italia Rugby e del Club Amatori Rugby). "Il rugby non guarda come sei fatto. Ti prende con sé, comunque": così fa all'Istituto Penale Minorenni di Nisida (Napoli), nella Case circondariali di Terni, Torino, Monza, Frosinone e Firenze, nelle Case di reclusione di Porto Azzurro e Bollate (Milano). Perché lo sport libera, qualunque pena uno stia scontando, e allora per qualche ora le sbarre non esistono più e si può guardare all'insù, verso il cielo, dimenticando il resto. In molti casi si tratta di un "rugby rivisitato e adeguato alle circostanze": la meta magari si realizza schiacciando la palla ovale contro una parete e non a terra, e i placcaggi sono off limits, si gioca al tocco, per evitare contatti troppo violenti non realizzabili su terreni particolari. Non importa: è pur sempre rugby, pur sempre sport, pur sempre un momento in cui si devono rispettare gli avversari e le regole di gioco. Una scuola di vita, per molti magari migliore di quella avuta in passato e che non è bastata a tenerli lontani dalla delinquenza. "Vengo dall'Albania e qui in carcere stiamo tutti un po' divisi: albanesi, africani, nordafricani, napoletani, romani. Ciascuno chiuso nel suo gruppo di appartenenza. Giocare insieme ci consente, invece, di dialogare con gli altri. Prima, tra noi, non ci si poteva guardare appena appena storto che nascevano subito discussioni", racconta un detenuto della Casa circondariale di Terni. La domanda che tiene insieme le storie di questo volume è in fondo una sola: lo sport quanto può cambiare una persona incarcerata? La risposta sta nelle parole dei detenuti, che nel rugby trovano una forma di redenzione personale; sta nell'impegno che di chi dona il proprio tempo per insegnare l'arte della palla ovale nelle prigioni. E il terzo tempo? Basta anche un solo urlo forte all'unisono di tutti i giocatori dopo una partita: libertà! Immigrazione: emergenza profughi, Roma pende tempo e chiede aiuto all'Ue di Carlo Lania Il Manifesto, 17 febbraio 2015 Anche ieri più di mille tratti in salvo. Vertice la Viminale. Di fronte all'aggravarsi della crisi libica e alle conseguenze che questa ha sui migranti in fuga dal Paese nordafricano, anziché ripristinae Mare nostrum l'Italia preferisce prendere tempo. Archiviata per ora ogni velleità interventista, ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha scritto all'Unione europea chiedendo maggiori finanziamenti e più mezzi aeronavali per controllare il Mediterraneo e in particolare per rafforzare Triton. "È più che mai necessario che l'Ue risponda in maniera adeguata, incrementando solidarietà e condivisione di responsabilità a livello europeo", ha scritto il titolare della Farnesina in una lettera indirizzata all'alto rappresentante per la politica estera dell'Ue Federica Mogherini, al vicepresidente della commissione europea Frans Timmermans e agli altri sei commissari europei che il prossimo 4 marzo si riuniranno per discutere di immigrazione. Riunione voluta dalla Mogherini all'indomani dell'ultima strage di Lampedusa, e che sulla carta dovrebbe decidere se e come cambiare Triton, la missione europea che ha sostituito Mare nostrum e rivelatasi un fallimento. Il problema è che l'aggravarsi della crisi nel Paese nordafricano e l'avanzata dei fondamentalisti dell'Isis richiederebbero interventi più tempestivi. I migranti vengono accatastati in capannoni alla periferia di Tripoli dai trafficanti di uomini, che decidono quando farli partire verso l'Europa. Un flusso continuo che rischia di provocare nuove stragi, come dimostrano i barconi carichi di uomini, donne e bambini che continuano ad affollare il Canale di Sicilia anche quando le condizioni del tempo non lo permetterebbero. Dopo i 2.225 salvati domenica scorsa dalle motovedette dalla Guardia costiera coordinate dal Centro nazionale di soccorso di Roma, ieri in diverse operazioni ne sono stati tratti in salvo altri 1.088 divisi tra Pozzallo, Trapani e Lampedusa. Altri 265 sono stati invece recuperati dalla nave Fiorillo della Guardia costiera e arriveranno in Italia stamattina. Un susseguirsi di sbarchi che ha fatto scattare l'allarme al Viminale e convinto il ministro Alfano a convocare un vertice per discutere della nuova emergenza legata all'alto numero di arrivi e per un esame della situazione libica. La situazione, almeno per quanto riguarda la possibilità d accoglienza, al momento sembra essere sotto controllo. "Per ora il sistema regge", spiegano al Viminale. "Il problema è vedere cosa accadrà nei prossimi giorni e se gli arrivi continueranno ad aumentare". Per questo dal ministero sono state allertate tutte le prefetture, specie quelle del Nord, perché con i comuni reperiscano altri posti letto. Si calcola che sull'altra sponda del Mediterraneo ci siano almeno 600 mila profughi che cercano di fuggire dalla guerra. Se anche una piccola parte questi dovesse essere imbarcati dai trafficanti, l'impatto, sia dal punto di vista logistico che per quanto riguarda l'opinione pubblica, potrebbe essere difficile da gestire. Ma l'incognita non riguarda solo i profughi. Ad allarmare il Viminale c'è anche quanto accaduto domenica pomeriggio nel canale di Sicilia, quando un gommone con cinque uomini armati di kalashnikov hanno fronteggiato l'equipaggio di una motovedetta della Guardia costiera al termine di un'operazione di soccorso riprendendosi il gommone sul quale avevano viaggiato i migranti, Un fatto inedito, perché finora gli scafisti erano sempre scappati davanti alle nostre navi, reso ancora più grave dal fatto che i criminali hanno sparato contro l'equipaggio, che non ha risposto al fuoco. "I nostri mezzi, a seconda della missione, hanno a bordo delle armi. Ma cosa sarebbe accaduto se avessimo usato quelle in dotazione? Quanti rischi avremmo corso?", ha spiegato ieri l'ammiraglio Felice Angrisano, comandante delle capitanerie di porto. "Avevamo l'esigenza che non solo il nostro equipaggio, ma le 200 persone appena soccorse non corressero alcun rischio. Ecco perché le armi sono rimaste all'interno della motovedetta". In ogni caso, ha concluso l'ammiraglio, il nostro compito è di continuare a tentare di salvare vite in mare e questo continueremo a fare". Immigrazione: dal Cie di Bari chiamano il 118, ma il ragazzo egiziano è morto da un'ora di Damiano Aliprandi Il Garantista, 17 febbraio 2015 il soccorritore prepara il defibrillatore ma il ragazzo è già in rigor mortis, "perché dire che respirava ancora?". Era morto a causa di un malore all'interno del Centro di Identificazione ed espulsione di Bari, ma è giallo sul decesso. Tante sono le domande e finora nessuna risposta. Domande poste anche da un operatore del Cie di Bari, il quale ha deciso di riferire i suoi dubbi sul decesso del 25enne egiziano, stroncato il 7 febbraio - secondo le fonti ufficiali - da un arresto cardiorespiratorio irreversibile, al giornale on line "quotidiano italiano" di Bari. I fatti sono questi. Dopo la segnalazione dall'interno del Cie, al quartiere San Paolo, la centrale operativa del 118 manda per primi sul posto un'ambulanza Victor (con i soli autista e soccorritore a bordo). È un codice rosso. Giunti nella struttura, qualcuno del personale in servizio al Cie avrebbe affermato che l'ospite respirava ancora fino a un minuto prima dell'arrivo dei soccorritori. L'operatore del 118 prepara il defibrillatore e inizia il massaggio cardiaco constatando, però, che l'egiziano è ormai in rigor mortis. È rigido e presenta già alcuni lividi sulla pelle. In altre parole significa che sarebbe morto almeno da un'ora. "Perché dire che respirava ancora fino a poco prima?", si domanda l'operatore che ha scelto l'anonimato. Un paio di minuti dopo, da un'altra postazione sopraggiunge l'ambulanza con a bordo il medico, che dà subito l'ordine di interrompere il massaggio cardiaco. A quel punto si procede col tracciato per venti minuti prima di constatare il decesso. In molti sono convinti dell'arrivo del medico legale per accertare le reali cause del decesso. Ma non arriverà. "E se non si fosse trattato di un arresto cardiaco? Se la morte fosse stata procurata? Se fosse stato un abuso di medicinali o altre sostanze?", domande poste sempre dall'operatore. Il paziente sarebbe stato trovato in infermeria con il nasello dell'ossigeno inserito. Una procedura giudicata da molti inutile in quelle circostanze. Se realmente il paziente era in rigor mortis quando sono arrivati i soccorsi, perché si è aspettato tutto quel tempo prima di allertare il 118? Non poteva essere rianimato prima che ci provasse il personale del 118? La struttura è dotata di un defibrillatore? Le domande ancora senza risposta sono troppe. Una vicenda che presenta oggettivamente dei lati oscuri. Quindi è necessario fare chiarezza per rispetto di quel ragazzo di 25 anni che, forse, si sarebbe potuto salvare. Speriamo che la procura apra delle indagini: forse un aiuto potrebbe arrivare proprio dal defibrillatore che registra anche le conversazioni quando è acceso. Il Cie di Bari d'altronde è conosciuto per il suo degrado. A novembre scorso una delegazione di "LasciateCIEntrare" si era recata nel centro barese in compagnia dei deputati Erasmo Palazzotto (Sel) e Annalisa Pannarale (Sel) e dell'avvocato Luigi Paccione, della Class action procedimentale di Bari che si è battuta per la chiusura del Cie, e hanno riscontrato la situazione disumana dei 71 migranti che occupano tre moduli su sette. Tutti assieme avevano riscontrato la violazione dell'ordinanza del giudice del 9 aprile del 2014 che ordinava "al ministero dell'Interno e alla prefettura di Bari di eseguire, entro il termine perentorio di 90 giorni, i lavori necessari e indifferibili per garantire condizioni minime di rispetto dei diritti umani nel Centro di identificazione ed espulsione di Bari". I lavori, in particolare, secondo quanto disposto dovevano essere eseguiti soprattutto nei dormitori. I migranti avevano raccontato alla delegazione di non poter scegliere gli avvocati per essere difesi, del cibo scadente, del divieto a usare smart phone "per impedirci - hanno denunciato - di inviare all'esterno le immagini del luogo in cui viviamo". Hanno detto di vivere "come cani" e di sostare nel Cie ben oltre i giorni di permanenza prescritti per legge, propedeutici per l'avvio del rimpatrio. Le sbarre - aveva denunciato la delegazione - sono dappertutto. Nei corridoi i vetri delle finestre sono rotti. Piove dal tetto nelle sale benessere e in camera da letto. I bagni riuniscono docce e vasi alla turca in un unico box senza privacy alcuna. I lavandini vengono usati anche come lavatoi per gli indumenti che lì rimangono a sgocciolare per un bel po'. "Ciò che era stato prescritto dal giudice non è stato portato a compimento", aveva commentato Paccione della class action e procedimentale. "Per noi il sistema Cie non è riformabile, ma da chiudere - aveva aggiunto Gabriella Guido di LasciateCIEntrare - i Cie sono militarizzati in maniera talmente eccessiva che presuppongono una criminalizzazione sociale inammissibile. È stata una visita blindata che non ha ragione d'essere, perché abbiamo incontrato migranti che in molti casi vorrebbero tornare nei paesi d'origine e aspettano un vettore". Immigrazione: scabbia al Cie di Roma, i migranti si tagliano le vene e ingoiano lamette di Raffaella Cosentino La Repubblica, 17 febbraio 2015 Sono centri semivuoti ma costano milioni di euro. A Roma 73 migranti su 364 posti. A Torino sono 20 i reclusi. Gabriella Guido (LasciateCIEntrare): "ormai ci sono più agenti e operatori che migranti". Restano l'autolesionismo e le condizioni sanitarie drammatiche. Ibrahim si è tagliato le vene all'altezza dell'incavo interno del gomito del braccio destro. Mostra la ferita sanguinante con grossi punti che la ricuciono. Ricorda le bocche cucite, la protesta che circa un anno fa portò alla ribalta nazionale le drammatiche condizioni del Centro di identificazione ed espulsione più grande d'Italia, quello di Ponte Galeria, a Roma. Un ammasso di ferro e cemento che si trova accanto alla Nuova Fiera di Roma, vicino all'aeroporto di Fiumicino. Ibrahim ha solo 19 anni e viene dal carcere, dove ha interamente scontato la sua pena, come tutti gli ex detenuti passati allo status di "trattenuti", cioè "ospiti" non più reclusi, formalmente. Devono essere identificati e rimpatriati. Nella metà dei casi questo non avviene. Giovani vite bruciate. Rachid ha vent'anni, è marocchino. Anche lui si è tagliato le vene nello stesso punto. Poi ha ingoiato due pezzi di lametta. Lo dice con noncuranza. Mostra lo stomaco: "ce li ho ancora qui", dice. Arrivato in Italia all'età di tredici, scappò da una comunità di accoglienza per minori di Agrigento. Aveva creduto ai suoi connazionali che, per telefono, gli raccontavano di una vita ricca e bella nel Nord Italia e lo spinsero a fuggire. Ma arrivato a Modena, è finito come migliaia e migliaia di altri minori soli, nella tratta di minori a fini di spaccio di droga. Ha fatto il carcere. Ora è nel Cie. A soli vent'anni il futuro appare bruciato, più di quella frontiera che bruciò da piccolo (da harraga come si dice in arabo). Autolesionismo, scabbia e disagi psichici. Mohammed invece ha mangiato un pezzo di ferro grande quanto l'indice e il pollice insieme. Ce l'ha dentro da una settimana. "Mi hanno detto che devo andare in bagno e buttarlo fuori, ma niente". Arrivato meno di due anni fa, non ha avuto guai con la giustizia. Lavorava in nero per un egiziano che ha un autolavaggio sulla Magliana. L'hanno preso e buttato in gabbia. Il suo sfruttatore è libero e impunito. Un altro ragazzo mostra una cartella clinica di pronto soccorso dell'ospedale Vannini del 3 febbraio, in cui c'è scritto che il 118 l'ha soccorso per trauma cranico mentre era in stato di fermo all'ufficio immigrazione. Un altro ancora mostra una diagnosi di psicosi che lo affligge. Un giovane che sostiene di avere 17 anni parla solo francese. È rinchiuso con altri sette uomini in una cella. Sono in isolamento per sospetta scabbia, perché condividevano la gabbia con altri due trattenuti che l'hanno effettivamente avuta. Materassi per terra. Lenzuola di carta lacere. Riscaldamenti rotti. Bagni allagati. Mura ammuffite. Gabbie ancora annerite dalla rivolta del febbraio 2013. Scene di vita quotidiana nei Cie. Una vita da 29 euro al giorno a persona, pagati dallo Stato alla cooperativa che lo gestisce. A un anno dalle bocche cucite, dalle lettere al Papa e al presidente della Repubblica, niente sembra essere cambiato a Ponte Galeria. Anche se il trattenimento massimo è diminuito da un anno e mezzo a tre mesi. Appello al sindaco Marino per chiuderlo. "Chiediamo a Ignazio Marino, come sindaco e come medico, di visitare al più presto questa struttura e di mobilitarsi per chiederne la chiusura immediata, anche nella veste di autorità sanitaria locale - hanno dichiarato i Radicali di Roma dopo una visita. Oltre ai tentativi di suicidio e agli atti di autolesionismo, che sono ormai all'ordine del giorno, a Ponte Galeria persistono infatti casi di scabbia e di altre patologie dovute alla promiscuità e alle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere gli ospiti del centro". La delegazione era composta, tra gli altri, dal consigliere di Roma Capitale Riccardo Magi e dal segretario di Roma, Alessandro Capriccioli. La visita è stata organizzata dalla campagna LasciateCIEntrare, che chiede la chiusura dei Cie perché "inutili" e l'applicazione di misure alternative alla detenzione amministrativa. Appalti milionari. L'appalto triennale fino al 2017 costerà oltre 8 milioni di euro solo per la gestione data agli ex gestori del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, la cordata Gepsa - Acuarinto, formata da un'associazione culturale di Agrigento e dalla francese Gepsa (Gestion etablissements penitenciers services auxiliares), che fa capo a Cofely Italia, società del gruppo Gdf-Suez, multinazionale dell'energia. Attualmente i migranti rinchiusi sono 73, di cui 18 donne su una capienza di 364. Gli stessi soggetti gestiscono da gennaio anche il Cie di Torino, dove l'appalto è per 37 euro a persona trattenuta al giorno. Hanno vinto al ribasso su base d'asta di 40 euro ed erano gli unici concorrenti. "A Torino abbiamo trovato 20 migranti - dice Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare che li ha visitati entrambi - lì il contratto prevede che per il primo mese venga pagata la quota per le presenze effettive di trattenuti, ma dal trentunesimo giorno di gestione si passa al corrispettivo della metà della capienza del centro anche se i trattenuti effettivi sono di meno". La capienza ufficiale a Torino è di 180 posti. "Visti questi numeri esigui, ci chiediamo a che servono strutture che hanno più personale dell'ente gestore e forze dell'ordine che trattenuti - continua Guido - il Cie ormai ha solo la funzione di dipingere il migrante come una persona pericolosa per la società davanti all'opinione pubblica". A Bari un morto. Oltre al tempo di trattenimento, è stato ridotto anche il numero dei Cie attivi, passati da 13 a 5, con Milano, Bologna e Gradisca che vengono usati al momento per l'accoglienza dei profughi in arrivo e non più per la detenzione e i rimpatri. Sono state chiuse anche le sezioni femminili, ultima quella di Torino, per cui l'unica sezione per le donne resta quella di Roma. Ciò nonostante, nei Cie si continua a morire giovani. L'ultimo in ordine di tempo è Reda Mohammed, 26 anni, che nel Cie di Bari è deceduto per "arresto cardiorespiratorio irreversibile" lo scorso 7 febbraio. Mondo: approvato un accordo tra Italia e Brasile in materia di trasferimento di detenuti www.italiannetwork.it, 17 febbraio 2015 Positiva l'approvazione dell'accordo tra Italia e Brasile in materia di trasferimento di detenuti; presto la decisione sull'estradizione in Brasile di Henrique Pizzolato: è stato uno degli argomenti al centro dell'incontro che i due deputati eletti nella ripartizione America Meridionale e residenti in Brasile, Fabio Porta (Partito Democratico) e Renata Bueno (Gruppo Misto), hanno avuto con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Nel corso dell'incontro si è parlato della intensa collaborazione tra Italia e Brasile in materia giudiziaria e della recente approvazione da parte del Parlamento italiano dell'accordo bilaterale sul trasferimento di detenuti tra i due Paesi. Con riferimento alla domanda di estradizione avanzata dalle autorità brasiliane e confermata pochi giorni fa dalla Corte italiana di Cassazione, il Ministro ha detto di attendere la formalizzazione della richiesta, che esaminerà con attenzione e con la consueta disponibilità manifestata dalle autorità italiane in relazioni a simili sollecitazioni avanzate da un Paese amico come il Brasile. "Abbiamo convenuto - ha dichiarato l'On. Fabio Porta - sull'opportunità di attenersi sempre al rispetto delle decisioni della magistratura ed al rispetto delle relative richieste avanzate nei due Paesi; questa è storicamente la posizione dell'Italia - ha aggiunto Porta - anche se non sempre nel passato c'è stata piena reciprocità nell'applicazione di tale principio". Cina: Ong Civil Rights; situazione dei diritti umani peggiore da 25 anni Ansa, 17 febbraio 2015 La situazione dei diritti umani e civili in Cina è la peggiore da 25 anni: è questa la conclusione di un rapporto sui diritti umani in Cina nel 2014, realizzato dalla Ong cinese Civil Rights and Livelihood Watch. Come già descritto a gennaio in un analogo rapporto dell'americana Human Right Watch, il nuovo dossier spiega che il governo centrale ha aumentato il controllo sul paese con la scusa del "mantenimento della stabilità". Oltre 2.200 casi di arresti sia domiciliari che in carcere, detenzioni da parte della polizia, "vacanze" forzate ed altri mezzi coercitivi sono stati registrati dall'organizzazione, il numero più alto dal 1989. Con la scusa del mantenimento della stabilità, sono stati rinforzati anche i controlli rispetto alle opinioni sull'operato del governo. A marzo scorso, il premier cinese Li Keqiang ha annunciato un aumento del budget della sicurezza interna, portandolo a 33 miliardi di dollari. Tra gli obiettivi delle autorità, scrittori, avvocati, giornalisti, accademici, attivisti, dissidenti politici. Aumentato anche il controllo sui media e su internet (da dove sono stati rimossi migliaia di siti e di commenti), con maggiore limitazione della libertà di espressione. Sono aumentati anche i controlli in occasione delle ricorrenze, come quella di Tiananmen, prolungando il periodo di controllo per alcuni mesi. Migliorano invece, secondo il rapporto, le condizioni per coloro che manifestano per strada, con un sensibile abbassamento del numero di arresti.