Giustizia: Consiglio d'Europa; crisi economica impedisce di migliorare le condizioni delle carceri www.agensir.it, 12 febbraio 2015 Dall'inizio della crisi economica, in Europa la spesa per ogni detenuto nelle carceri è diminuita, con un impatto negativo sulla qualità di vita dei detenuti. La crisi non ha avuto effetti significativi sul numero delle persone in carcere, anche se c‘è stata una lieve riduzione del sovraffollamento. Sono alcune delle conclusioni emerse dal Council of Europe Annual Penal Statistics (Space I and Space II) pubblicate ieri. Nel 2012, le amministrazioni penitenziarie europee hanno speso una media di 97 euro per detenuto al giorno, 2 in più rispetto al 2011, anche se gli importi variano considerevolmente da un'amministrazione all'altra. Tuttavia, dal 2007 (inizio della crisi) al 2012 c'è stata una diminuzione delle spese per detenuto da una media di 99,1 euro a 96,7. Nel 2012, le 45 amministrazioni carcerarie che hanno fornito i dati per l‘indagine hanno speso più di 26 miliardi. Il tasso medio della popolazione carceraria - numero di soggetti in custodia per 100.000 abitanti - è aumentato del 2,7% tra il 2007 e il 2012, pur con significative differenze tra paese a paese. Grave il sovraffollamento in 21 su 50 amministrazioni penitenziarie europee: maglia nera all'Italia (che ha tuttavia conosciuto una riduzione nel 2014), seguita da Ungheria, Cipro, Belgio, "ex Repubblica Jugoslava di Macedonia", Portogallo, Francia, Romania. Giustizia: Consolo (Dap); senza interventi sulle strutture a rischio il regime di 41bis di Valentina Roncati Ansa, 12 febbraio 2015 Il patrimonio edilizio carcerario in forte deterioramento, la mancanza di spazi, che finora ha costretto l'amministrazione penitenziaria a tenere alcuni detenuti in 3 metri quadri, l'eccessiva vicinanza di alcuni carcerati in regime di 41 bis (carcere duro) che potrebbero avere la possibilità di comunicare e il rischio back out nel supercarcere di Parma, dove sono reclusi detenuti del calibro di Massimo Carminati e Totò Riina. Su tutti questi e su altri aspetti si è soffermato oggi il nuovo capo del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nominato il 19 dicembre ed ascoltato oggi dalla Commissione parlamentare Antimafia, dove presto sarà riascoltato, presieduta da Rosy Bindi. La questione più scottante riguarda i detenuti in regime di 41 bis che a causa di alcune situazioni architettoniche in qualche caso alloggiano di fatto in celle troppo vicine. "Nelle strutture carcerarie attuali abbiamo situazioni di sofferenza: si potrebbe scoprire che due celle si fronteggiano o c'è la possibilità di comunicare da un piano all'altro o da pareti contigue, cosa che non giova nè alla sicurezza nè alla giustizia", ha detto Consolo, riferendosi ai detenuti in regime di carcere duro. La conseguenza, è il rischio, nell'attuale sistema, che si scopra che c'è "la possibilità di comunicare". Ma se una persona al 41bis può comunicare, "può acquisire notizie che poi, trasfuse in un processo, costituiscono prove di innocenza difficilmente smontabili dall'accusa". Consolo ha ricordato l'attuale inagibilità dei due istituti di Cagliari e Sassari, dove "ci sono strutture a isola", ognuna delle quali destinata ad ospitare 4 detenuti al 41bis, "con l'impossibilità di comunicare con gli altri detenuti in regime normale", ed ha auspicato di riuscire in tempi rapidi a trasferire lì nel prossimo futuro "quasi 200 detenuti" sottoposti al regime di carcere duro. Altro tema al centro dell'audizione, la situazione del carcere di Parma il cui sistema di video sorveglianza e videoregistrazione è a rischio blackout, come hanno denunciato i deputati dell'Antimafia Davide Mattiello (Pd) e Giulia Sarti (M5S). "Effettivamente al carcere di Parma ci sono state delle difficoltà di tipo tecnico - ha ammesso Consolo - che hanno creato interruzioni di corrente in passato. Ieri ho incontrato il provveditore competente, dottor Buffo, abbiamo affrontato il problema e le attività sono in corso per risolvere del tutto la questione". Mattiello, che il 30 dicembre scorso a Parma incontrò il capo di Mafia Capitale Massimo Carminati, ha chiesto se vi sia una procedura d'urgenza per intervenire, ed ha proposto di acquisire agli atti della Commissione il censimento dei blackout capitati nel carcere, "per capire quanti ce ne siano stati, quando, quanto lunghi e chi fossero i comandanti in servizio in quei momenti". Consolo ha poi denunciato che il patrimonio edilizio carcerario si sta "completamente deteriorando per assenza di una manutenzione ordinaria". "Negli istituti di pena si tralascia di riparare, per esempio, una infiltrazione d'acqua che potrebbe essere riparata con il lavoro dei detenuti e per effetto di questo bisogna intervenire poi con gare per milioni", ha detto. Quanto infine al sovraffollamento carcerario, ha invitato i direttori delle carceri a presentare progetti per la manutenzione e il recupero di tutti gli spazi detentivi in tutti gli istituti ed ha ottenuto lo spostamento di 69 detenuti ristretti in spazi inferiori ai 3 mq. In Italia i detenuti sono 54 mila, più 34 mila in esecuzione penale esterna, 202 sono le carceri per oltre 400 mila mq, 40 mila i poliziotti penitenziari. Giustizia: per le carceri il primo sciopero della fame di Pannella nell'era Mattarella di Dimitri Buffa L'Opinione, 12 febbraio 2015 Da martedì sera Marco Pannella ha iniziato il primo digiuno di dialogo - sciopero della fame (per ora) - dell'era di Sergio Mattarella. Per aiutarlo a prendere in considerazione molto seriamente il problema giustizia e carceri così come fece il suo predecessore Giorgio Napolitano arrivando anche a spedire un messaggio presidenziale alle Camere che lo hanno bellamente ignorato e in una di esse neanche discusso. Nell'altra lo hanno fatto senza parlare di amnistia come rimedio suggerito dallo stesso Napolitano e alla presenza di non più di 50 parlamentari. Una farsa. Insomma, il Super Marco nazionale ricomincia con Mattarella dove aveva terminato con Napolitano e si sa che la prima volta non si scorda mai. Scarno il comunicato di Pannella: "Stasera alle 21.00, da Radio Carcere/Radio Radicale, motiverò l'inizio di una iniziativa nonviolenta di sciopero per ora della sola fame a sostegno e per riconoscenza - in particolare - dell'opera del Presidente Emerito Giorgio Napolitano e del suo successore, il Presidente Sergio Mattarella, perché lo stato Italiano rispetti gli Obblighi enunciati dal Presidente Napolitano nel suo messaggio costituzionale, solennemente nell'esercizio formale delle funzione di Presidente della Repubblica, in quanto tale; e perché anche il Presidente Sergio Mattarella possa operare nello stesso animo sturziano, che è il suo, assicurando così alla storia italiana, quella vivente, continuità ed efficacia, e che egli ama e rappresenta, certo non solo da oggi". Un buon auspicio era stato già colto dagli osservatori politici alla luce di quell'incontro di pochi giorni fa terminato con il ciao che ormai è virale in un video che gira su Facebook e Twitter. Ora si vedrà se e come Mattarella reagirà a questa iniziativa non violenta. Messa in atto proprio per aiutare la presidenza della repubblica a pronunziarsi in maniera istituzionale (un altro messaggio alle Camere? Perché no?)sui problemi della giustizia e della sua appendice carceraria che in Italia è "conseguenza cancerogena e criminogena". L'annuncio è stato dato martedì scorso da "Radio carcere", la trasmissione serale di Radio Radicale condotta da Riccardo Arena ogni martedì alle 21 e giovedì alle 19. Presente ovviamente anche Rita Bernardini che ormai è una specie di Florence Nightingale dei detenuti italiani. Quello che molti ignorano, invece, oltre alla stessa iniziativa di digiuno nonviolento di Pannella che ieri era puntualmente snobbata sui media con poche eccezioni, è che, soprattutto sulla questione carceri e giustizia, questo governo (nella persona del suo ministro Guardasigilli Andrea Orlando e del suo staff) da tempo ha usato le scorciatoie burocratiche e furbette di raccontare attraverso i media compiacenti che "il problema è risolto". Una realtà virtuale. Nascosta dietro il fatto che ci sta qualche migliaio di carcerati di meno, costruita cancellando l'inferno in cui gli altri continuano a vivere per la cronica mancanza di strutture e personale adeguati alla rieducazione e alla conservazione sanitaria in vita degli stessi detenuti. Per non parlare dei risarcimenti da elemosina approntati con una legge ad hoc destinata a fare la fine della legge Pinto per i risarcimenti da lentezza dei processi penali e civili fatta apposta per nascondere all'Europa le nostre magagne. Ebbene lo sa la gente che i risarcimenti standard liquidati ex lege Pinto dalle varie corti d'appello cui si rivolge il cittadino si pagano con anche quattro anni di ritardo? Costringendo i ricorrenti a ritornare davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo solo per questi ritardi? No queste cose in molti, quasi tutti, non le sanno. Come non sanno che nella maggioranza delle patrie galere il bagno, senza bidè e doccia, coincide con l'angolo cucina. Come non sanno dei suicidi che continuano anche tra le guardie carcerarie. Segno che l'ambiente di lavoro non è affatto rassicurante. Ecco, adesso l'iniziativa di Pannella giunge al momento giusto, non solo perché Mattarella si pronunzi in materia e nel merito, ma anche perché i media smettano di fare finta di niente. E di voler credere al ministro Orlando che va davanti alla Cedu (Corte europea dei diritti dell'uomo) e in altre sedi istituzionali europee come il Consiglio d'Europa a millantare la fine dell'emergenza carceraria. E magari anche di quella della giustizia. Forse, anche il premier Matteo Renzi potrà avere utili spunti di riflessione dal digiuno di dialogo di Pannella: prima di fare approvare con decreto legge il nuovo verbo del pm Nicola Gratteri in materia di codice penale, prima delle stesse presunte e pompate leggi di emergenza sul falso in bilancio, sulla corruzione e sull'evasione fiscale, con slogan giustizialisti di contorno ormai ridotti a mantra e a postulati indimostrabili da talk show, forse ci sta la vita di qualche milione di esseri umani che chiede giustizia giusta in tempi certi. E quella di qualche altro migliaio di persone che avrebbe la speranza di scontare la detenzione come usa in alcuni paesi civili del Nord Europa piuttosto che nelle carceri del califfato gestite dall'Isis. Giustizia: carceri, manicomi e potere del controllo… tra panoptismo e biopolitica di Camilla Cupelli www.linkiesta.it, 12 febbraio 2015 Da quando ero bambina ad oggi la storia degli esclusi, dai carcerati ai folli, ha sempre ossessionato la mia riflessione personale. Prima di approdare ad una Facoltà dove avrei studiato a fondo questi temi, un sottile fil rouge sul tema aveva già attraversato parte della mia vita. Senza pretese accademiche provo a tracciare un abbozzo di cosa rappresentino oggi panoptismo e biopolitica, ovvero il controllo dei corpi da parte del potere. Fin da quando ero piccola ho sentito parlare di prigioni e di carceri associate alla parola Panopticon. Senza capire bene cosa fosse, come si pronunciasse o come si scrivesse, già da bambina ero in grado di comprendere che si trattava di qualcosa di strettamente connesso con i principi della prigione stessa. Ma mettiamo da parte quest'intuizione. In realtà, infatti, non ebbi curiosità sufficiente per cercare di cosa si trattasse esattamente, almeno fino al mio approdo all'università. Nonostante questo, iniziai a sentirmi empatica verso la situazione delle carceri, cercando di mettere da parte ogni pregiudizio. Osservavo spettacoli di detenuti che si dedicavano al teatro, assaggiavo cibi derivanti dal lavoro dei carcerati e scoprivo quante persone fossero coinvolte nel processo di recupero dei detenuti - formatori, volontari, insegnanti, artisti, psicologi. Poi, un altro elemento si intrecciò nella mia riflessione: le poesie di Alda Merini. Cos'ha a che fare una poetessa morta da qualche anno con questa storia? Beh, Alda Merini è stata per anni in un manicomio dove ha subito l'elettroshock, e non si è mai ripresa. La ascoltai parlare al Festival della Letteratura di Mantova nei primi anni di Liceo, e rimasi sconvolta dalla sua storia: una poetessa straordinaria con una storia così incredibile. Iniziai a documentarmi sulla follia, sulla psichiatria, sui manicomi, come una ragazzina curiosa senza grandi strumenti in mano. E scoprii cose confuse che mi turbarono. Infine, ascoltai Gherardo Colombo al Salone Internazionale del Libro di Torino parlare di perdono responsabile e mi resi conto di come il nostro sistema correzionario in realtà controllasse tutto, ma non correggesse un bel niente. Di come l'idea di correzione fosse in sé sbagliata, e per giunta portasse a un peggioramento della condizione psichica dell'individuo, invece che a un miglioramento. E oggi? Oggi collaboro con una Fondazione il cui presidente si batte per la chiusura degli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) e con un'associazione che - almeno dal punto di vista giornalistico - monitora e denuncia da anni la situazione delle carceri italiane. Inoltre, studio filosofia: il Panopticon non è più un segreto, e Foucault me ne ha reso un'idea straordinariamente feconda In tutti questi elementi ricorre, senza sosta, un elemento: dove si posiziona la società rispetto a questi emarginati? Quale esperienza fa, essa, della follia e della reclusione? La risposta a questa domanda è racchiusa, in embrione, nel Panopticon di Jeremy Bentham. Monumentale opera classica, composta da ventun lettere e successivi perfezionamenti, il Panopticon indaga la struttura per eccellenza della reclusione: una prigione circolare, dove i reclusi sono costantemente guardati da un ispettore che non può mai essere visto. In qualche modo avviene un rovesciamento del principio di visibilità del potere: in tale struttura il potere si nasconde e guarda, continuamente, chi vuole escludere. "Regola, disciplina", direbbe Foucault. L'elemento più interessante è qui quello dell'ispezione. Senza pretese accademiche, credo che analizzare tale principio ci permetta di comprendere la costante osservazione cui siamo sottoposti nella società contemporanea (ma dalla società moderna in avanti, anche se con grandi cambiamenti): la novità di Bentham sta infatti tutta qui. Non solo percepire di essere visti, ma effettivamente esserlo. Un controllo costante, un assoggettamento dei corpi degli esclusi (esclusi scelti dalla società stessa: in ogni epoca diversi, ma in fondo sempre umanità indifferenziata posta ai margini) e al tempo stesso una soggettivazione: l'esclusione del singolo lo identifica come soggetto ai margini. Oggi le cose sono molto diverse da allora: diversi secoli sono passati, e le tecniche disciplinari nate ai tempi di Bentham si sono profondamente modificate, non solo nella loro prassi ma anche, apparentemente, nei loro scopi. Ma in realtà l'obiettivo ultimo del potere è rimasto il medesimo: il controllo disciplinare dei corpi. Oggi negli Opg e nelle carceri si vivono situazioni di degrado ed esclusione simili a quelle di secoli fa: il constatare lo stato di mancata igiene e mancata sicurezza in questi luoghi è da molti considerato l'unico passo da fare. Considerare tutto ciò come un problema non sembra necessario. Come ai tempi dei supplizi postmedievali, infatti, si crede ancora che se a patire è qualcuno considerato pericoloso per la società allora va tutto bene, non ci sono grandi problemi. Esiste però un paradosso: anche chi si batte per i diritti degli esclusi spesso trascura di ricordare che egli si muove nello stesso spazio del potere; comunque vogliamo indagare i corpi degli esseri umani, il potere che li controlla inquadra anche le nostre politiche e le proposte di libertà e cambiamento. Ma qui il passaggio si fa filosofico: il dibattito contemporaneo sulla biopolitica, infatti, si innesta proprio in questo punto. Non è importante qui, per me, proseguire su questa linea. Mi preme solo mostrare come un principio panoptico di secoli fa sia oggi tutt'ora in vigore e non manchi di mostrarsi in tutta la sua forza. Il nostro sistema carcerario era già stato identificato da Foucault un secolo fa, il quale spingeva a sostenere che esso si reggesse su una concezione di classe dell'internamento e dell'illegalismo: si fomenta la paura verso il popolino, usato come obiettivo delle punizioni e soggetto dell'esclusione. Stupisce che i passi avanti siano stati pochi. Ma ancora di più stupisce che pochissime persone siano a conoscenza della situazione delle carceri italiane (per fare un esempio su tutti). Forse, come ho detto sopra, la nostra mentalità è la stessa dell'epoca: sopportiamo più volentieri una pena crudele per soggetti che vogliamo emarginare. L'arretratezza di tale pensiero si commenta da sé. Giustizia: ok del Senato a ddl sul reato di negazionismo, pene fino a tre anni di carcere Corriere della Sera, 12 febbraio 2015 Vietate anche l'apologia e la minimizzazione della Shoah, dei genocidi, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Gattegna (Ucei): "Pagina importante". La cerimonia delle candele, a Birkenau, in occasione dei settant'anni della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau. Il Senato dice sì al ddl contro il negazionismo che ora deve passare all'esame della Camera. I sì sono stati 234, 8 gli astenuti e 3 i no. Il disegno di legge punisce il negazionismo, l'apologia e la minimizzazione della Shoah, dei genocidi, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra con la reclusione fino a tre anni. I primi firmatari del disegno di legge sono stati Silvana Amati, senatrice del Partito democratico, e Lucio Malan, senatore di Forza Italia, cui si sono aggiunti molti altri parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici. "Si scrive una pagina importante nella storia del nostro Paese. Un provvedimento che costituisce un baluardo per la difesa della libertà di tutti, mirato a colpire i falsari che tentano di negare la Shoah, di offenderne le vittime e di colpire chi difende il valore universale della Memoria. La norma è il frutto di una lunga collaborazione tra le istituzioni e le Comunità ebraiche e porterà all'attuazione anche in Italia della Decisione quadro europea 2008/913/Gai, che obbliga gli Stati membri a combattere e a sanzionare penalmente certe forme ed espressioni di razzismo, xenofobia e dell'istigazione all'odio" interviene in una nota, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, che ringrazia i parlamentari che si sono impegnati per il ddl e il presidente del Senato Pietro Grasso. Gattegna precisa anche che "l'impegno dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma, è stato quello di predisporre assieme al Parlamento un disegno di legge che non configuri un reato d'opinione, ma vada a colpire atti lesivi della dignità umana - prosegue la nota. Su questo principio si fonda il testo di legge approvato al Senato, che costituisce un argine contro chi vuole distorcere la Storia al fine di seminare odio e antisemitismo. Uno strumento normativo che non si sostituisce, bensì integra il ruolo fondamentale dell'educazione - aggiunge - l'unica azione in grado di prevenire che le nuove generazioni vengano avvelenate da versioni strumentalmente alterate dei fatti storici". "Ci sono voluti mesi di duro lavoro e un ampio dibattito sia in Commissione Giustizia sia in Aula, ma alla fine il primo grande passo è compiuto. È un atto che ci commuove, perché la mente va soprattutto a tutti quei sopravvissuti che hanno dato e ancora danno la loro vita per raccontare alle future generazioni l'orrore della macchina della morte nazista e l'inferno dei campi di sterminio. Negare ciò che loro hanno vissuto, negare la Shoah, deve essere punito perché altro non è che la massima espressione moderna dell'odio nei confronti degli ebrei" afferma, in una nota, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. "L'approvazione del disegno di legge sul reato di negazionismo ad amplissima maggioranza, quasi all'unanimità, conferma l'intenzione, da parte delle istituzioni repubblicane, di compiere un ulteriore e decisivo passo nel contrasto a tutte le forme di offesa alle vittime e di negazione di quella terribile pagina della nostra storia che è stata la Shoah" scrive inoltre il presidente del Senato Grasso in una lettera inviata a Renzo Gattegna. Grasso, che era presente, insieme con il presidente dell'Ucei, il 27 gennaio scorso ad Auschwitz, per la commemorazione dei settant'anni dalla liberazione, si definisce "sinceramente orgoglioso" per la votazione avvenuta nell'Aula di Palazzo Madama, e aggiunge: "Come presidente del Senato ho più volte espresso la necessità di dotarci di una legge che introducesse il reato di negazionismo: l'Italia finalmente esprime in maniera chiara l'adesione agli orientamenti normativi presenti in altri Paesi e già in vigore a livello europeo". Giustizia: negazionisti in carcere? è pura follia e non ridurrà il tasso di antisemitismo di Piero Sansonetti Il Garantista, 12 febbraio 2015 La nuova norma, approvata ieri dal Senato, quasi all'unanimità, che punisce con la prigione fino a tre anni il "negazionismo", sicuramente non ridurrà il tasso di antisemitismo (che è piuttosto alto in Italia) ma invece porterà un altro sassolino alla costruzione del castello di una legislazione sempre più "proibizionista" ed invadente. Cioè, in sostanza - a prescindere dalle conseguenze pratiche che avrà, probabilmente nessuna - rafforzerà l'idea che le opinioni possono essere perseguite a norma di legge e punite anche con il carcere. In contrasto con l'articolo 21 della Costituzione che, nel suo primo comma, dice così: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". La legge sul negazionismo invece sostiene che la libertà di parola è limitata da determinati confini. E cioè esclude alcune ideologie, o alcune ipotesi storiche ritenute aberranti. Anch'io ritengo aberranti, e anche ripugnanti, le ipotesi storiche e le teorie "negazioniste" alle quali si riferisce la legge (e principalmente quella che nega la Shoah, cioè lo sterminio degli ebrei compiuto dai tedeschi e dagli italiani tra il 1940 e il 1945). E tuttavia considero anche aberrante punire col carcere chi dice cose aberranti. In qualunque modo si voglia interpretare questa ennesima legge "punitiva", è indubbio che si tratta di una legge che introduce un nuovo reato di opinione. Io penso che i reati di opinione siano una caratteristica tipica delle dittature e delle democrazia autoritarie ( e paurose) e che in un regime democratico, davvero moderno e liberale, un reato di opinione non ha possibilità di esistere. La legge che è stata approvata ieri dal Senato si presenta come una correzione della precedente legge del 1975, chiamata legge Reale e dalla successiva legge Mancino che è del 1993. Entrambe nate nel solco della legge Scelba, del 1953, che proibiva l'apologia del fascismo, per realizzare una disposizione della Costituzione (che però era una disposizione transitoria, scritta all'indomani della caduta del fascismo e concepita come misura di emergenza destinata a cadere nel giro di pochi anni, e che invece non è mai caduta). Non solo penso che la legge sul negazionismo sia sbagliata. Penso che sia pericolosa. Perché nel momento nel quale si decide che è proibito pensare con idee naziste e razziste - e si rinuncia al principio che queste idee si combattono con la battaglia culturale, con la battaglia politica, con l'educazione, con l'organizzazione di massa - si stabilisce un principio la cui estensione non sarà più controllabile. Chi decide qual è il limite oltre il quale la libertà delle idee (e della ricerca storica) non può spingersi? Può deciderlo solo un'entità: il potere. Il potere di chi ha vinto, di chi è più forte, di chi comanda. Tanto è vero che questo potere non ha mai previsto, tra i grandi crimini contro l'umanità che è vietato negare, l'annientamento dei nativi d'America ( i pellirosse per intenderci) sterminati dagli europei e dall'esercito degli Stati Uniti. Perché? Perché gli autori di quel genocidio sono ancora i vincitori. Sono il potere. E il potere non può negare se stesso. E se il potere domani dovesse decidere che sono proibite le ideologie che mettono in discussione il liberismo? O quelle che contestano la "sacralità" dei magistrati e della legalità? O che sono proibite alcune religioni considerate anti-moderne? Voi capite che si rischia una spirale pericolosissima. La verità è che queste leggi nate per combattere l'ideologia fascista, sono loro stesse leggi di tipo fascista. Non solo io credo che sarebbe giusto se la Camera respingesse il provvedimento sul negazionismo. Ma mi piacerebbe che ci si decidesse ad abrogare anche la legge Mancino. P.S. Mi ha fatto piacere sapere che l'unica voce critica che si è levata in Senato contro questa norma sia stata quella della senatrice a vita Elena Cattaneo. Dimostra che le persone in grado di pensare con la propria testa, anche in Parlamento, sono drammaticamente in via di riduzione ma non sono estinte. Giustizia: Mattiello (Pd); efficacia per lotta al terrorismo e garanzie stiano insieme Ansa, 12 febbraio 2015 "Nuovi poteri di intrusione carceraria dei Servizi e Istituzione della Procura nazionale anti terrorismo sono passi importanti, a patto di tenere insieme efficacia e garanzia democratica. Nel pacchetto anti terrorismo annunciato oggi dal Governo c'è un maggior potere dei Servizi Segreti di operare all'interno delle carceri: sappiamo che è una delle attività più delicate in assoluto. Bene che venga ancorata a monte, con l'obbligo di informare la magistratura e a valle con l'obbligo di informare il Copasir e che sia una sperimentazione a termine". A chiederlo è il deputato dem Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia. Mattiello annuncia che chiederà al capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, che alle ore 14 di oggi verrà ascoltato in audizione in Commissione Antimafia, cosa ne pensa. "Nel pacchetto - sottolinea il deputato Pd - c'è anche l'istituzione della Procura nazionale anti terrorismo che sarà incardinata all'interno della Procura nazionale Antimafia. In Commissione Giustizia Camera avevamo già cominciato a lavorare su questo strumento a partire dalla proposta dell'on. Dambruoso. L'Italia già ha una struttura di coordinamento nazionale anti terrorismo, che però riguarda le forze di polizia, quindi il Viminale e il Governo; l'istituzione della Procura nazionale metterà anche la Magistratura nelle condizioni di lavorare con le proprie prerogative alla stregua di quanto fanno già le forze di polizia e questo non può che aumentare complessivamente la capacità di risposta democratica ad un fenomeno di gravità pari a quella delle mafie". "In fondo oggi - ragiona Mattiello - si chiude un cerchio cominciato negli anni 70 quando la magistratura, impegnata sul fronte del contrasto al terrorismo interno, comprese l'importanza di strutture di coordinamento che permettessero centralizzazione e specializzazione. Questa svolta divenne poi patrimonio dei magistrati impegnati contro la mafia: la nascita del "pool antimafia di Palermo" fu la premessa alla riforma fortemente voluta da Falcone, che porterà alla creazione della Dna e della Dia. Oggi, con l'istituzione della Procura nazionale anti terrorismo proprio all'interno della Dna, dimostriamo che dalla nostra storia sappiamo anche imparare il meglio". Giustizia: Costa Concordia, ecco perché non tornano i conti di questo processo di Vincenzo Vitale Il Garantista, 12 febbraio 2015 E finito dunque il primo atto - soltanto il primo atto - della vicenda della Costa Concordia, con la prevedibile condanna del comandante Francesco Schettino alla pena di sedici anni di reclusione. Diciamo subito che la pena, tenendo presenti i criteri del codice penale, appare eccessiva. Qui hanno ragione i difensori, perché mai, a memoria di giurista, si è vista una pena di questa misura per un reato colposo, sia pure con un numero elevato di vittime. Va bene che a Schettino venivano anche contestati altri e diversi reati, quali l'abbandono della nave, lesioni colpose plurime e naufragio colposo, ma anche in questo modo la pena appare alquanto sovradimensionata. Tutto lascia credere che i giudici abbiano inflitto la pena massima prevista dal codice per l'omicidio colposo plurimo - che è di dodici anni - e poi l'abbiano aumentata, attraverso il meccanismo della continuazione nel reato, giungendo a questa misura. Che ci sia qualcosa che non torna lo si può comprendere, facendo un raffronto con altri casi di omicidi colposi plurimi che la cronaca di questi anni ci ha purtroppo costretto a prendere in esame. Ricordate quel guidatore che a velocità pazza sul lungotevere in piena città di Roma, prendendo in pieno due coppie di fidanzati che attraversavano, li falciò, ammazzandoli sul colpo? Se la cavò con circa quattro anni di reclusione in primo grado (non so in appello). E allora? Certo, si capisce che per il naufragio della Costa l'emozione è stata tanta, la pena enorme, i morti oltre 35: ma ciò basta ad infliggere una pena per quattro volte maggiore di quella inflitta al guidatore assassino? Tuttavia, queste considerazioni non bastano, perché la pena, in concreto, va inflitta non contando il numero di morti soltanto, ma a partire dai meccanismi che hanno attivato la condotta colposa punibile e da quelli - esterni - che hanno contribuito ad aggravarne gli esiti mortali. In proposito, il processo non pare aver fugato ogni dubbio, soprattutto con riferimento al mancato funzionamento di un generatore di riserva, della cui mancata operatività la difesa si è sempre lamentata. Non solo. Che dire del manovratore che stava al timone? Costui è letteralmente scomparso, volatilizzato nel nulla. Di fatto, è stato perciò impossibile verificare se le difese di Schettino, che hanno denunciato un grave errore di manovra dello stesso, il quale avrebbe equivocato un ordine del comandante, del quale non comprendeva bene la lingua, avessero ragione o no. Insomma, non mancano i punti oscuri che ancora non sembrano sufficientemente lumeggiati. Infatti, bisognerebbe rispondere alla domanda che non può essere elusa in relazione al posizionamento della nave. La nave, di fatto, si arenò, piegandosi su di un fianco, lentamente e comunque non colò a picco. Ora, per condannare Schettino per omicidio plurimo, occorre provare senza ombra di dubbio che fra la errata manovra che causò l'arenarsi della nave e la morte dei 32 passeggeri sia rinvenibile un sicuro ed esclusivo nesso di causalità. Se invece, l'errata manovra causò sì l'impatto, ma alla morte dei passeggeri concorsero altre cause, quali appunto il mancato funzionamento di un generatore e l'errore del timoniere, allora la responsabilità va, per dir così, spalmata anche su altri soggetti. In particolare, appare impossibile non vedere l'enorme responsabilità della Costa Crociere nella dinamica del terribile naufragio: personale assente o del tutto impreparato, generatori non funzionanti, soccorsi inadeguati, scialuppe inutilizzabili, tutte circostanze queste che se pesano sul piatto della responsabilità della compagnia, avrebbero dovuto ridurre in modo proporzionato quella di Schettino. In conclusione, la domanda ancora senza risposta suona: ammesso che Schettino abbia gravemente errato, siamo sicuri che, se i meccanismi di soccorso avessero ben funzionato, si sarebbero egualmente contate 32 vittime? O forse no? Giustizia: Costa Concordia, quelli che... dagli, dagli all'assassino! di Angela Azzaro Il Garantista, 12 febbraio 2015 Prima di sapere come andava a finire, finalmente Schettino ha pianto. Finalmente non perché pensiamo che dovesse piangere, che si dovesse battere il petto per chiedere perdono, come molti volevano. Finalmente perché ha detto tutto quello che ha passato. Non solo il dolore per le persone che sono morte, ma anche il fatto che in questi anni è stato "sotto il tritacarne mediatico". Sì, questi tre anni, dal naufragio della Concordia, gli italiani hanno vissuto sonni tranquilli, perché tanto il Colpevole, l'Assassino era lui. Sul processo e sulla sentenza, pesa questo sentimento che fin da subito ha colpito il comandante. Non erano passate neanche poche ore che già agli occhi dell'opinione pubblica mondiale era diventato lui l'unico responsabile del naufragio, il comandante vile che ha lasciato morire trentadue persone. È bastato davvero poco perché la sentenza fosse emessa, perché non ci fosse nessuna attenuante. La telefonata del comandante De Falco che gli grida di tornare a bordo - a quanto pare fatta uscire appositamente per delegittimare ancora di più Schettino - ha fatto il resto. Ma la gogna pubblica, messa in piedi da tv e giornali, è andata oltre. Ha fatto qualcosa di ancora più grave. Non solo ha condizionato pesantemente l'esito del processo, la condanna che ieri è stata trasmessa come se fosse una fiction, ma ha anche creato il Mostro. Schettino il vile, il comandante poco coraggioso, è diventato il personaggio perfetto per costruire il capro espiatorio, il responsabile di tutti i mali, l'esempio da stigmatizzare di quell'Italia che si merita di andare a fondo. In questi anni, senza nessuna pietà, Schettino è stato additato, offeso, perseguitato. Questo non significa che lui non abbia responsabilità, ma che queste responsabilità si sono mescolate con un sentimento di odio e di gogna che poco c'entra con la giustizia e con la verifica puntuale di tutte le responsabilità. Dall'opinione pubblica, o meglio dal pubblico di questo osceno spettacolo, si è passati all'aula di giustizia, dove il pm - che aveva chiesto per Schettino 26 anni, reputandolo l'unico colpevole - sono arrivate parole inaccettabili in un tribunale. Lo ha chiamato "abile idiota". Non una prova, ma un giudizio morale. Non la frase di un pubblico ministero, ma l'urlo della folla inferocita. Schettino, allora, ci racconta anche di noi. Di come siamo diventati e di come è diventata la giustizia in questo Paese. Noi, questa società, è diventata più barbara. Siamo sempre pronti a mandare qualcuno al patibolo, pensando che siamo migliori. Non esercitiamo il dubbio, non proviamo pietà, siamo solo capaci di affermare verità, la nostra verità. Una verità che ci scagiona e accusa l'altro. Da questo punto di vista il comandante Schettino è stato perfetto, il migliore obiettivo che ci si potesse dare in pasto. E noi lo abbiamo accolto, mangiato e sputato come qualcosa di spurio, come colui che corrompe il tessuto sociale e va fatto fuori. La giustizia, quella andata in scena non in un tribunale, ma in un teatro di Livorno, ne esce altrettanto male. La scelta anche del luogo dove celebrare il processo ci racconta di un rapporto morboso tra media e giudici. L'obiettività è stata sostituita dalla spettacolarizzazione, lo stato di diritto dalla condanna in diretta. Molti godranno della pena inflitta a Schettino, anzi si lamenteranno che gli anni non sono stati abbastanza, noi no. E non solo per il suo bene. Giustizia: Cassazione; rivedere detenzione domiciliare concessa a Annamaria Franzoni Il Tempo, 12 febbraio 2015 Annullamento con rinvio dell'ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva disposto, nel giugno scorso, gli arresti domiciliari ad Annamaria Franzoni, condannata in via definitiva a 16 anni di reclusione per l'omicidio del figlioletto Samuele, avvenuto a Cogne il 30 gennaio 2002. Questo il verdetto emesso ieri sera dalla Prima sezione penale della Cassazione che ha accolto il ricorso presentato dalla procura di Bologna contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La Suprema Corte ha disposto dunque un nuovo esame della questione da parte dei giudici bolognesi. Per Anna Maria Franzoni, la "mamma di Cogne" condannata nel 2008 a 16 anni di reclusione per l'omicidio del figlio Samuele, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Francesco Salzano, aveva, invece, chiesto la conferma dei domiciliari e, in un parere scritto, aveva sollecitato il rigetto del ricorso della Procura di Bologna che chiede invece che la Franzoni torni in carcere. In particolare, la Procura del capoluogo emiliano ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale di sorveglianza di Bologna che, il 24 giugno 2014, ha concesso i domiciliari alla Franzoni. L'unico divieto è che non può tornare a Cogne. La Franzoni dal 2008 è stata detenuta nel carcere della Dozza; si trova ai domiciliari nella casa di Ripoli Santa Cristina dallo scorso 26 giugno. Secondo la Procura di Bologna può proseguire la psicoterapia anche in carcere. Da qui il ricorso in Cassazione. Giustizia: caso Corona; due mesi per perizia psichiatrica, l'incarico a Costanzo Gala Ansa, 12 febbraio 2015 Tra due mesi uno psichiatra, Costanzo Gala, primario dell'ospedale San Paolo di Milano, dovrà depositare una relazione sulle condizioni di salute di Fabrizio Corona. Lo hanno stabilito i giudici del Tribunale di Sorveglianza del capoluogo lombardo ai quali la difesa dell'ex "re dei paparazzi", nelle scorse settimane, ha presentato un'istanza di detenzione domiciliare. Oggi i giudici della Sorveglianza (presidente Marina Corti, relatrice Beatrice Crosti) hanno affidato l'incarico per la perizia psichiatrica a Gala, fissando un termine di due mesi (fino al 10 aprile) per il deposito della sua relazione. In questo periodo lo psichiatra andrà nel carcere di Opera per visitare Corona, detenuto da circa due anni, e valutare le sue condizioni psicologiche e psichiatriche. Nelle scorse settimane, infatti, i legali dell'ex agente fotografico, gli avvocati Ivano Chiesa e Antonella Calcaterra, hanno chiesto alla Sorveglianza di far uscire Corona dal carcere, perché soffre di depressione, psicosi, ansia e attacchi di panico, e di mandarlo, sempre in regime detentivo, in una comunità (la Fondazione Exodus di Don Mazzi ha già dato la propria disponibilità). Un'istanza, quella dei legali, che si basa su una relazione psichiatrica redatta da Riccardo Pettorossi, consulente dei difensori. E lo scorso 26 gennaio la Sorveglianza ha deciso di disporre una perizia psichiatrica d'ufficio. Dopo il deposito, la relazione di Gala verrà discussa nell'udienza fissata per il 23 aprile. E poi i giudici dovranno decidere se fare uscire o meno dal carcere Corona, che ha un cumulo di pene definitive di 13 anni. Pende ancora, infine, la richiesta di grazia parziale presentata dai difensori lo scorso dicembre all'allora presidente Giorgio Napolitano. Sardegna: a Cagliari e Sassari 200 capi mafia, i nuovi istituti sono i più sicuri d'Italia L'Unione Sarda, 12 febbraio 2015 Appena saranno completati, gli istituti di pena di Cagliari-Uta (nella parte riservata ai detenuti in regime di 41 bis) e Sassari potranno ospitare 200 capi mafia: sono i più sicuri perché garantiscono il totale isolamento rispetto agli altri penitenziari. Sono le parole del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, davanti alla Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi. Consolo ha ricordato di aver sollecitato l'apertura di due istituti di pena in Sardegna, a Sassari e a Cagliari-Uta, "costati moltissimi soldi pubblici e che possono ospitare in totale quasi 200 detenuti in regime di 41 bis con strutture che garantiscono il totale isolamento. Quello di Sassari non può essere aperto perché non è stato attivato il sistema di multi conferenze - ha detto Consolo - ed ho fatto solleciti per l'attivazione. Quello di Cagliari è di pronta ultimazione, vanno accelerati i lavori". I detenuti sottoposti al regime di carcere duro sono 720 in Italia e le carceri che li ospitano sono 12. "Se si decongestionano questi siti portando quasi 200 detenuti in Sardegna, riusciamo a risolvere molti problemi e recuperare spazi per la detenzione comune". Il patrimonio edilizio carcerario in forte deterioramento, la mancanza di spazi, che finora ha costretto l'amministrazione penitenziaria a tenere alcuni detenuti in 3 metri quadri, l'eccessiva vicinanza di alcuni carcerati in regime di 41 bis (carcere duro) che potrebbero avere la possibilità di comunicare e il rischio back out nel supercarcere di Parma, dove sono reclusi detenuti del calibro di Massimo Carminati e Totò Riina. Su tutti questi e su altri aspetti si è soffermato ancora il nuovo capo del Dap. Sull'ipotesi che Carminati possa essere spostato in un penitenziario in Sardegna, in un prossimo futuro, il capo del Dap ha risposto che "questo dipenderà da quel che decideranno le autorità giudiziarie competenti". Pili (Unidos): no a trasferimento 200 detenuti del 41bis in Sardegna "La volontà del ministero della giustizia annunciata stamane in commissione antimafia di trasferire in Sardegna 200 capimafia è una follia inaudita e gravissima". Immediata presa di posizione del deputato di Unidos Mauro Pili dopo le dichiarazioni del capo del dap in commissione Antimafia. Il parlamentare chiede con un'interrogazione al ministro della Giustizia di "imporre un stop immediato al piano" del Dap che "rischia di diventare devastante" per il pericolo di infiltrazioni mafiose o camorristiche "in un territorio ancora sano ma oggi piuttosto debole". Sicilia: da Catania ad Enna, così il carcere diventa luogo di formazione di Roberto Galullo Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2015 Fine 2014 e inizio d'anno scoppiettante in Sicilia, regione nella quale la cultura della legalità passa anche attraverso il ricordo dell'informazione con la schiena dritta e il recupero, costituzionalmente previsto, di chi espia o ha espiato una pena. Il 26 gennaio a Siracusa è stato inaugurato un giardino botanico di circa 3.000 metri quadrati intitolato al giornalista siracusano del Giornale di Sicilia Mario Francese, ucciso 36 anni fa da Cosa nostra. L'iniziativa è dell'amministrazione comunale, su decisione del sindaco Giancarlo Garozzo. Per il delitto sono stati condannati in via definitiva alcuni componenti della cupola di Cosa nostra dell'epoca (Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Raffaele Ganci e Francesco Madonia) e l'esecutore materiale, Leoluca Bagarella. Il giardino botanico "Mario Francese", approvato dalla soprintendenza ai beni culturali e ambientali, riqualifica una vasta area attorno alla biglietteria del parco archeologico, un passaggio obbligato per i turisti italiani e stranieri. Sono state impiantate, oltre al prato, più di 40 specie fra arbusti, piante erbacee perenni, stagionali, rampicanti, officinali e aromatiche. Inoltre, è in fase di completamento una vasca per le piante acquatiche. In altre parole, quel che non è stato ancora del tutto possibile a Palermo, con un ampio parco della memoria a ricordo delle stragi che colpirono l'isola negli anni Novanta, a Siracusa è stato realizzato per chi, attraverso una penna e non per mezzo di una toga o di una divisa, combatteva la cultura e i disvalori mafiosi. Molte anche le iniziative all'interno dei beni confiscati a Cosa nostra e nelle carceri tra ottobre e novembre 2014. Ad Altavilla Milicia (Palermo) il 24 novembre, nel centro culturale polivalente "Cambio rotta", bene confiscato alla mafia, sono partiti i corsi della Scuola di cucina del Mediterraneo ma a tenere banco sono stato gli istituti penitenziari. Diciassette detenuti di età compresa tra i 18 ed i 21 anni del carcere minorile di Bicocca (Catania), hanno cominciato nell'Ente scuole edile un corso di formazione tecnico-pratico per effettuare interventi di riqualificazione nel quartiere di San Berillo Vecchio. L'iniziativa, resa possibile da un protocollo d'intesa firmato poche settimane prima da Comune, Ente scuola edile ed Accademia di Belle arti, rientra nell'ambito di un piano, approvato dal ministero della Giustizia, di reinserimento sociale di giovani che hanno subìto una condanna penale e sono detenuti o in regime di semilibertà. "Un momento di straordinaria importanza per Catania - ha commentato il sindaco Enzo Bianco - perché con questo intervento coniughiamo il recupero di energie giovanili, che vanno canalizzate nelle legalità e nel vivere civile, con i concreti interventi di ripristino di un quartiere storico di particolare rilevanza che da decenni attende di essere valorizzato". La formazione dei giovani detenuti nella prima fase è avvenuta negli uffici dell'Ente scuola edile con un cantiere simulato nel boschetto della Plaia, per poi passare dal 16 dicembre all'istituzione di un cantiere di lavoro nel quartiere principalmente per il rifacimento di intonaci esterni. Ad ottobre, invece, 30 detenuti del carcere di Enna hanno partecipato ad un corso di "addetto alimentarista" organizzato per il secondo anno consecutivo nella struttura dalla Confartigianato. Il corso è stato organizzato in collaborazione con l'associazione Spiragli, che da anni collabora con il carcere di Enna. "Il lavoro non è un'ulteriore pena da espiare - ha detto il segretario provinciale delle Imprese di Confartigianato Enna Rosa Zarba - ma un trattamento rieducativo e di reinserimento sociale. Ecco perché bisogna favorire la partecipazione dei detenuti ai corsi professionali, che risultano indispensabili per l'acquisizione di qualifiche spendibili anche dopo la scarcerazione". Il corso è stato rivolto agli addetti alla manipolazione degli alimenti, cioè a tutti coloro che hanno a che fare con cibi e bevande e nello specifico ai detenuti impegnati nella casa circondariale come cuoco, aiuto cuoco e inserviente di cucina, che subiscono spesso una rotazione. Tra gli esperti impegnati nel progetto il dirigente sanitario del Siam dell'Asp di Enna Giuseppe Stella, il biologo Rosario Velardita, la responsabile settore ambiente e sicurezza della Confartigianato Eloisa Tamburella e la responsabile del settore ambiente e sicurezza della Confartigianato Rosa Zarba, coadiuvati dai volontari dell'associazione Spiragli. Tempo anche di consuntivi. Il centro operativo della Dia di Palermo, con le sezioni di Agrigento e Trapani, nel corso del 2014, nell'ambito dell'attività finalizzata all'aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati dalla mafia, ha proceduto al sequestro di beni mobili, immobili, aziendali, quote e capitali societari, autoveicoli e imbarcazioni, per un valore di oltre 2 miliardi e 46 milioni. Sono stati confiscati beni per oltre 18 milioni. Piemonte: carceri, intesa tra Orlando e Chiamparino, undicesimo protocollo di tale tipo Askanews, 12 febbraio 2015 Oggi alle ore 14, nella Sala Livatino del ministero della Giustizia, si firma un protocollo operativo tra Ministero, Regione Piemonte, Anci Piemonte, Tribunale di Sorveglianza di Torino e Garante Regionale dei detenuti in tema di reinserimento delle persone in esecuzione penale. È l'undicesimo protocollo di tale tipo sottoscritto dal ministro Andrea Orlando e segue alle intese con le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Umbria, Puglia, Sicilia, Lombardia, Abruzzo e Molise. In precedenza, erano stati firmati analoghi protocolli con Emilia Romagna e Toscana. Alla firma del protocollo d'intesa intervengono il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, il presidente del tribunale di sorveglianza di Torino Marco Viglino e il presidente di Anci Piemonte Andrea Ballarè, il Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà Bruno Mellano, il capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo e il provveditore regionale del Piemonte Enrico Sbriglia. Umbria: non c'è più sovraffollamento ma mancano 135 agenti, eventi critici ogni 28 ore di Chiara Fabrizi www.umbria24.it, 12 febbraio 2015 Il Sappe fotografa i 4 istituti nel 2014, presenti 1.360 reclusi e capienza a 1.324. Tensione alta nelle sezioni, carenza personale 14%. Reclusi stranieri in Umbria 28%, solo 22% lavora. Il sovraffollamento, almeno per ora, è un'emergenza che le quattro carceri umbre non soffrono più. Ma a pesare è ancora il deficit di organico della polizia penitenziari che si aggira intorno a quota 14%. In numeri assoluti tra le case di reclusione di Perugia, Terni, Spoleto e Orvieto mancano circa 135 uomini a fronte di una previsione segnata in pianta organica di 1.022 unità. E in questo senso allarma il livello di eventi critici (autolesionismo, tentati suicidi, colluttazioni e ferimenti) registrati nel 2014, anno durante il quale si è fronteggiato un episodio ogni 28 ore. E per ora margini per assistere all'assegnazione di nuovi agenti in Umbria non sembrano essercene. I dati sono stati fornito dal Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che ha fotografato al 31 dicembre 2014 la situazioni nelle carceri umbre, partendo dai dati forniti dal Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria). Sul sovraffollamento, però, dati più aggiornati sono disponibili sul sito del ministero della Giustizia che al 31 gennaio scorso rileva la presenza di 1.360 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.324, con un leggero sovraffollamento che come confermano dal sindaco si registra soltanto nel carcere di Capanne (Perugia). Tuttavia la tensione all'interno delle sezioni degli istituti umbri resta elevata. Secondo i dati del Dap elaborati dal Sappe, nel corso del 2014 si sono registrati 309 eventi critici, praticamente uno ogni 28 ore. In particolare, all'ordine di giorno ci sono stati episodi di autolesionismo (193) equamente ripartiti tra Terni (46), Perugia (41) e Spoleto (44), più calma la situazione a Orvieto (8). Elevato anche il numero dei ferimenti (70) con una concentrazione più elevata a Terni (27) e Spoleto (23), mentre sono 29 le colluttazioni gestite dagli agenti concentrate soprattutto tra a Perugia (15) e Terni (12). Infine, nel corso del 2014 gli uomini della penitenziaria in servizio in Umbria hanno sventato 18 tentati suicidi. Tra i detenuti presenti nei quattro istituti della regione il 18.9% risulta affetto da tossicodipendenza, a fronte di un dato nazionale che si attesta a 22.3%. Inferiore alla media nazionale anche la presenza di reclusi stranieri che in Umbria si ferma in media a quota 28.5%, anche se a Perugia e Orvieto si è oltre il 50%, rispetto al dato nazionale che si aggira intorno al 32%. Sempre al di sotto della media italiana, la percentuale regionale dei detenuti che lavorano, pari al 21.8% contro il 24.3%. Oltre ai 1.360 detenuti, va detto, si contano anche 440 soggetti sottoposti a misure alternative, di sicurezza e sanzioni sostitutive. Napoli: Beneduce (Regione); sanità penitenziaria, più diritti per detenuti e personale www.corsoitalianews.it, 12 febbraio 2015 Flora Beneduce, dopo un colloquio con il direttore generale dell'Asl Napoli 1, ha ottenuto risultati importanti sul fronte della sanità penitenziaria. A breve, ci saranno avvisi pubblici per l'impiego di medici specialisti. Intanto arriveranno ecografo e apparecchio per la Tac a Poggiorale. "Più salute equivale a più diritti, soprattutto in carcere. Ieri ho ottenuto un importante risultato nel confronto con il direttore generale dell'Asl Napoli 1, Ernesto Esposito, che mi ha assicurato misure immediate per risolvere i problemi della sanità penitenziaria". È soddisfatta Flora Beneduce, consigliere regionale della Campania e vice presidente della commissione permanete che si occupa di Affari istituzionali. "Ho richiesto risorse umane e nuove strumentazioni per le case circondariali che ho visitato nel mio tour istituzionale - spiega l'onorevole Beneduce. Entrambe le istanze sono state accolte. Al fine di garantire stabilità al personale medico, a breve partiranno avvisi pubblici per l'assegnazione di medici specialisti per patologie importanti, che possano prestare cure adeguate ai malati e seguirli, in modo competente. Inoltre, saranno avviati dei contratti annuali per la Guardia medica in modo tale da garantire la continuità assistenziale. Un risultato importante è stato conseguito anche sul fronte della diagnostica per immagine. Il carcere di Poggioreale avrà un ecografo e un apparecchio per la Tac. Le gare sono già state attivate". A fronte di uno stanziamento di 165,424 milioni da parte del governo centrale per il comparto della sanità penitenziaria in varie regioni italiane, Flora Beneduce, componente della commissione Sanità e Sicurezza sociale, ha portato all'attenzione della direzione generale dell'Asl Na 1 criticità, carenze e urgenze, da sanare al più presto. "Le misure che saranno adottate a breve rappresentano un segnale decisivo per l'affermazione del diritto alla salute in luoghi spesso ritenuti ostili, sia dai detenuti che dal personale impiegato - conclude l'onorevole Flora Beneduce. Il prossimo impegno è quello di stabilizzare anche il personale infermieristico, che, in un contesto già gravoso sul piano psicologico, ad oggi, lavora ancora con contratti con partita Iva. Ciò testimonia che c'è ancora tanto da ottenere. E io sono abituata a combattere fino in fondo le buone battaglie". Udine: troppi detenuti, il carcere scoppia… 173 presenze contro le 100 regolamentari di Lodovica Bulian Messaggero Veneto, 12 febbraio 2015 Ritorna critico il livello di sovraffollamento nel carcere di Udine. Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Giustizia aggiornati al 31 gennaio 2015, ci sono 173 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 100 posti. Dopo una lieve flessione registrata a dicembre - su scala nazionale si fotografa una riduzione del sovraffollamento del 14 per cento - ora siamo a una nuova inversione di tendenza. A riempire le celle di via Spalato ci sono per lo più stranieri, 73 secondo il monitoraggio effettuato nell'ultimo mese. Spiccano marocchini, rumeni, albanesi, tunisini, nigeriani. Una peculiarità della regione, porta di ingresso nel Paese dalla rotta balcanica: su 619 detenuti totali nei cinque istituti in regione, 244 sono stranieri. Un dato spesso all'origine di disordini, risse e fenomeni di autolesionismo. L'integrazione, infatti, diventa difficile, soprattutto quando a dividere la cella sono persone di nazionalità differenti, spiega il segretario regionale della Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Giovanni Altomare: "Gli italiani tendono a mantenere un comportamento corretto nella struttura, nella speranza di una possibile riduzione della pena; gli stranieri, invece, hanno una cultura profondamente diversa, e per protestare utilizzano l'autolesionismo: a una semplice richiesta negata accade che reagiscano tagliandosi con le lamette da barba". Tenere sotto controllo questa bomba a orologeria è difficile, soprattutto con organici sottodimensionati e strumenti di sorveglianza inadeguati a gestire le emergenze. Secondo il report dell'Osservatorio Antigone, la polizia penitenziaria di via Spalato, composta da circa 120-125 unità, è "carente" rispetto a una pianta organica che ne richiederebbe almeno 136. Il cosiddetto regime "a celle aperte", che permette la libera circolazione durante il giorno all'interno dei piani, unito all'alta percentuale di stranieri, può innescare ulteriori spirali negative, secondo Altomare. "Le sezioni a volte diventano ghetti, dove si creano sodalizi rivoltosi. Qui a Udine, fortunatamente, non si verificano eventi critici di particolare importanza, ma l'allerta resta alta". I provvedimenti legislativi svuota carceri finora sono stati dei "palliativi a porte scorrevoli" rincara il segretario: "Entrano ed escono sempre gli stessi". Al 31 gennaio 2015, sono 236 le persone uscite grazie alla legge 199/2010, di cui 72 stranieri. Se le emergenze individuali restano contenute - l'ultimo suicidio è del 2012 - a via Spalato resta la maglia nera del sovraffollamento in Fvg. A Trieste, per una capienza regolamentare di 155 posti, sono rinchiusi di media tra i 180 e i 190 detenuti; a Tolmezzo di stranieri non ce ne sono, ma su una capienza di 149 persone se ne contano fino a 181. Segue Pordenone, con 71 detenuti su 41 posti regolamentari, e Gorizia, dove di detenuti ce ne sono solo 13, a fronte di 55 posti. Udine: Franco Corleone "in carcere manca uno spazio verde, la struttura è da ripensare" di Lodovica Bulian Messaggero Veneto, 12 febbraio 2015 La denuncia dell'ex sottosegretario: non c'è opportunità di reintegro. Su molti pende l'incognita della revisione della pena per le legge Fini-Giovanardi. Nonostante a livello nazionale si registri un allentamento del sovraffollamento nelle carceri, la situazione a Udine, ma anche in tutto il Friuli Venezia Giulia, "resta molto pesante". L'avvertimento è di Franco Corleone, sottosegretario alla Giustizia tra il 1996 e il 2001, ed ex consigliere provinciale a Udine. Oggi ricopre l'incarico di Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana. Se il carcere di Pordenone è "indecente", quello di Gorizia è "in stato comatoso" e quello di Tolmezzo è "avulso dal territorio", il giudizio di Corleone su via Spalato non è migliore: così come Trieste, la struttura "ha dei limiti molto forti e va assolutamente ripensata". Urgente, per l'esperto, introdurre nuovi criteri di vivibilità: "Non esiste uno spazio verde, dove i detenuti possano trascorrere delle ore ricreative, non c'è un campo per giocare a pallone. Sì, è vero, ci sono le biblioteche: ma non sono altro che depositi di libri, non esistono aree di lettura o di studio. Se vogliamo che il carcere sia un'occasione, bisogna rivedere l'intero sistema". Non basta aprire le celle, dunque, se i detenuti "vengono lasciati a bighellonare tutto il giorno". Meglio sarebbe che frequentassero corsi di musica, di studio, attività intellettuali, "solo così si potrebbe pensare a un possibile reintegro in società". Il carcere di San Vito al Tagliamento, a oggi, accusa Corleone, è "un'occasione persa". Persa per costruire "una sperimentazione originale e nuova della vita all'interno dell'istituto penitenziario, e per realizzare un carcere dei diritti". Le ragioni del perdurare del sovraffollamento in regione, secondo l'esperto, sono molteplici: il fattore immigrazione, in primis, ma anche la "dolorosa contraddizione della Fini-Giovanardi, per cui migliaia di detenuti stanno scontando una pena illegittima, e su cui il 26 febbraio si riuniranno le sezioni unite della Cassazione per trovare una sintesi condivisa su una revisione della pena". Ma il vero nodo, avverte l'ex sottosegretario, non sono i 73 immigrati detenuti in via Spalato. È "l'assenza dello Stato, la mancanza di una vera politica dell'immigrazione, che si riflette anche nella vita all'interno delle Case circondariali. Perché il carcere non può essere solo un luogo di reclusione e di contraddizione sociale, dove le persone scontano la pena e poi vengono riconsegnate alla clandestinità". I soldi ci sono, chiarisce Corleone, ma andrebbero spesi diversamente. Per esempio, attraverso una progettualità che favorisca, perché no, "un rimpatrio assistito nei loro paesi di provenienza". Poco può fare, altrimenti, la legge svuota carceri 199/2010 per quegli immigrati che non hanno un domicilio, né una residenza dove finire di scontare la pena. "Non si può mica scaricare tutto su don Di Piazza" dice Corleone riferendosi al centro di accoglienza Balducci di Zugliano, rifugio di profughi e di senza tetto. Quel che è certo, infine, è che "non si può pensare di soffocare i disordini chiudendo i detenuti in gabbia. Così facendo, li si sottopone a un incattivimento che si riversa sulla società quando poi escono. E avremo sempre il problema delle recidive - fa notare Corleone. O il carcere diventa un'occasione di vita, anche con l'accompagnamento al rimpatrio, o sarà sempre un treno perso". Se ne parlerà, auspica l'esperto, con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando agli Stati generali del carcere, in via di convocazione tra aprile e maggio. Reggio Calabria: comunicato dei "Giovani Democratici" sulla situazione delle carceri di Francesco Alimena e Michele Rizzuti www.zmedia.it, 12 febbraio 2015 Proprio l'altro ieri l'On. Enza Bruno Bossio ha presentato una interrogazione ai Ministri della Giustizia e della Salute riguardante il decesso, in circostanze poco chiare, del sig. Roberto Jerinò, 60 anni, detenuto in custodia cautelare presso la Casa Circondariale "Arghillà" di Reggio Calabria. Questione sulla quale sta indagando anche la competente Procura della Repubblica. Parteno nel sottolineare i tempestivi interventi della Bruno Bossio a difesa dei diritti dei detenuti, specialmente nel nostro territorio, ci preme evidenziare quanto la sistematica violazione del rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone recluse sia ben lungi dall'essere in via di risoluzione. Operatori penitenziari e volontari denunciano continuamente i decessi, i suicidi, il sovraffollamento oramai strutturale (in Italia più del 40% dei reclusi sono detenuti in attesa di giudizio) delle nostre case di reclusione. La mancanza di opportunità di lavoro e formazione che per legge dovrebbero essere obbligatorie per tutti i detenuti condannati come elemento fondamentale per costruire il reinserimento sociale alla fine della pena, è un ulteriore elemento da condannare. Se dallo stato delle carceri si misura la civiltà di un Paese, saldo sarà il nostro impegno nell'intraprendere iniziative concrete di vicinanza alla popolazione carceraria. In quest'ottica sappiamo quanto sia necessaria una modifica alla legislazione sugli stupefacenti - che tanta carcerazione inutile produce sul nostro territorio e tra i nostri concittadini - pertanto chiediamo il sostegno di tutti i cittadini alla campagna #10proposteGD, dove appunto una delle quali chiede la depenalizzazione del consumo di droghe leggere e la riduzione, quindi, dell'impatto penale. È il prossimo passo da compiere specialmente ora che la vergognosa legge Fini-Giovanardi è stata archiviata. Come giovani democratici della federazione provinciale di Cosenza saremo nelle piazze delle nostre cittadine con questa battaglia, con le nostre proposte insieme a tante altre tematiche come Lavoro, Diritti e Green-Economy che fanno del nostro modo di vivere la politica una bella narrazione di sinistra. Roma: la "Casa di Leda", prima struttura per l'accoglienza delle detenute con i loro figli La Repubblica, 12 febbraio 2015 L'assessore Danese favorevole al progetto in ricordo di Leda Colombini, fondatrice e anima dell'associazione "A Roma, Insieme": "Stiamo valutando due spazi". Presto a Roma verrà inaugurata la prima casa famiglia protetta per ospitare le detenute madri e i loro figli. Parola dell'assessore ai servizi sociali, Francesca Danese, che ha partecipato alla conferenza stampa indetta dal presidente della Consulta Penitenziaria, Lillo Di Mauro, insieme all'associazione "A Roma Insieme" per presentare il progetto "La casa di Leda", modello pilota che poi potrebbe essere replicato nelle altre regioni italiane. Il progetto è stato elaborato dallo stesso Di Mauro con un raggruppamento di realtà associative impegnate nella promozione della genitorialità in carcere e dei diritti dei bambini figli dei detenuti per dare attuazione alle legge 62 del 2011 che le case famiglia le ha previste, senza purtroppo fino ad oggi nessun risultato concreto. "Stiamo già valutando due strutture - ha annunciato la Danese - che potrebbero essere idonee. Con gioia inviterò a breve a visitarle la presidente di "A Roma Insieme", Gioia Passarelli l'associazione che da anni si batte per raggiungere questo obbiettivo". Roma si vuole distinguere per essere una città che "tutela i diritti e che anticipa i bisogni - ha continuato la Danese - tanto che questo progetto per la casa famiglia protetta verrà inserito all'interno del nuovo piano strategico del mio assessorato per il rispetto dei diritti umani". La Danese ha sottolineato di essere pienamente in sintonia con la sua collega alla Regione Lazio Rita Visini che ha inviato un messaggio di sostegno all'iniziativa, letto da Lillo Di Mauro. "Il motto che contraddistingue la nostra associazione - ha detto poi Gioia Passarelli - è che "nessun bambino varchi più la soglia del carcere". Leda Colombini, la fondatrice dell'associazione a cui è stato intitolato il progetto fin dall'inizio della sua battaglia si è dedicata al raggiungimento di questo obiettivo: l'istituzione di case famiglia protette dove i bambini possano vivere insieme alle loro madri, ma senza subire le privazioni, e la mortificazione di crescere tra mura circondate da sbarre alle finestre. Nel Lazio è stato il Provveditore regionale per il ministero della Giustizia Maria Claudia Di Paolo a illustrare i dati - c'è la percentuale più alta di presenze femminili in carcere: 408 su una popolazione complessiva di 5.600 detenuti considerando che le donne rappresentano il 4 per cento della popolazione carceraria nazionale. Solo a Rebibbia, però, c'è un nido. Non nel carcere di Civitavecchia né in quello di Latina. Attualmente le donne detenute a Rebibbia con i loro figli sono 18 (la capienza massima prevista è di 20) quasi tutte rom, con 18 bambini. La maggior parte ha pochissimi mesi, il più grande sta per compiere tre anni. Scadenza in cui è prevista l'uscita dal carcere, dopo tre anni vissuti "protetti" dietro alle sbarre, quasi sempre per andare in un campo rom affidato ai parenti. "Un fallimento totale nella gestione di una tematica molto delicata - ha sottolineato, esprimendo pieno appoggio alla progettualità manifestata dal comune di Roma il rappresentante del garante dei detenuti laziali, Gabriele D'Agostino - dove il pubblico ha svolto un'azione ausiliaria e gli impegni sono stati portati avanti solo dal privato sociale". Il problema è che il Comune i soldi per realizzare una casa famiglia - soprattutto rispondendo ai requisiti previsti dal decreto attuativo della legge del 2011, quello dell'8 marzo 2013, non ce li ha. Dove trovarli? È il presidente della Consulta penitenziaria di Roma Di Mauro che ha indicato il percorso: "Individuare la struttura idonea data in concessione dal Comune, avviare i lavori di ristrutturazione finanziati da sponsorizzazioni e fund raising, e poi, avviare una gestione "convenzionata" con le realtà del terzo settore". Le case famiglia protette. Per la prima volta la legge 62 del 2011, ha previsto dispositivi di esecuzioni penali diverse: carcere per i reati più gravi, Istituti a Custodia Attenuata per quelli meno gravi e Case Famiglia Protette gestite dal terzo settore e istituite dagli enti locali, per affrontare al meglio il problema assai critico rappresentato dalla detenzione delle madri con i figli piccoli, che non può essere risolto solo a livello legislativo e penale. Nelle case famiglia protette le madri con i bambini, in assenza di un luogo e abitazione presso i quali eleggere il proprio domicilio, dovrebbero poter trascorrere la detenzione domiciliare speciale o altro beneficio già previsto dalla Legge Gozzini e dalla Legge Simeone, e dalla stessa legge del aprile 2011 n. 62. L'istituzione di queste strutture residenziali rappresenta, dunque, uno snodo fondamentale per la piena applicazione della Legge al punto che il legislatore ha voluto, attraverso un decreto ministeriale approvato il 26 luglio, normare le caratteristiche di queste strutture sia per quanto riguarda gli spazi, che le modalità di accesso e di gestione. La Casa di Leda. Nella casa famiglia sono previste attività e servizi affinché le ospiti italiane, straniere e rom e i loro bambini abbiano garantite assistenza, educazione ed istruzione, nonché opportunità di socializzazione e inserimento lavorativo. La struttura non si configura come spazio di contenimento e domicilio stabile, ma come luogo di passaggio dove ciascuno, sia le madri o i padri sia i bambini e le bambine abbiano l'occasione di sviluppare le proprie potenzialità in maniera armonica. La casa offre servizi di natura residenziale ordinaria. Accoglie fino a un massimo di sei madri o padri con relativi figli. Le donne e gli uomini accolti verranno inseriti nella struttura grazie alla collaborazione con gli assistenti sociali dell'Uepe, le aree pedagogiche degli istituti penitenziari femminili e la cooperativa Pid nel rispetto di un progetto personalizzato. La casa famiglia è una struttura abitativa indipendente situata dove sia possibile l'accesso ai servizi territoriali, socio-sanitari ed ospedalieri, e che possa fruire di una rete integrata a sostegno sia del minore sia dei genitori. Torino: 90 detenuti faranno netturbini, si valuterà se dare voucher di 10 euro al giorno di Gabriele Guccione La Repubblica, 12 febbraio 2015 Progetto in collaborazione tra Comune e carcere delle Vallette: ai reclusi, tutti con pene lievi, si valuterà se dare un voucher di 10 euro al giorno. Il lavoro volontario potrà essere esteso anche a pensionati e cassintegrati. Daranno una mano a tenere pulite le strade nei giorni dell'invasione dei pellegrini che verranno a Torino per la Sindone e il bicentenario della nascita di Don Bosco. Spazzeranno, faranno le pulizie straordinarie che serviranno per tirare a lucido la città, gomito a gomito con gli operatori dell'Amiat. Novanta detenuti, con pene lievi e giudicati dal magistrato di sorveglianza non pericolosi, avranno l'opportunità di uscire ogni mattina dalle Vallette e di lavorare al servizio dei torinesi. Un po' per non stare chiusi in cella con le mani in mano, un po' per far tesoro di un'esperienza di lavoro che potrebbe essere preziosa per il futuro, quando fuori dal carcere ci sarà una vita da ricostruire. "Lavoro gratuito e volontario", dice una legge recente. Che prevede - anche se finora è stata poco usata, e quello di Torino sarà un esperimento da capofila - che i detenuti possano essere impiegati nei lavori di pubblica utilità. A Palazzo civico, dove l'idea è balenata in mente al capogruppo di Sel, Michele Curto, ci stanno provando, nonostante le difficoltà e gli scogli burocratici. Il direttore del carcere, Domenico Minervino, sarebbe pronto a partire anche domani. Ed è entusiasta. Anche il sindaco Piero Fassino si è detto d'accordo. E ieri, durante una riunione tra Curto, che ci lavora da mesi, e il vicesindaco Elide Tisi, l'assessore Enzo Lavolta ("sarebbe un'opportunità per la città"), il collega Domenico Mangone e i vertici di Amiat, si è lavorato per mettere le gambe al piano. L'idea è usare i detenuti come netturbini-volontari da marzo a settembre, suddivisi in tre scaglioni bimestrali da 30 persone l'uno. Vanno superati ancora alcuni problemi amministrativi, come la possibilità di riconoscere a ciascuno un voucher di 10 euro al giorno. Ma la volontà politica c'è e sarà manifestata con una mozione di Sel. I "volontari" non sostituirebbero i netturbini di professione, ma li affiancherebbero. E al termine del progetto sperimentale si potrebbe aprire per i più meritevoli di loro un periodo di lavoro in regime di semilibertà (questa volta retribuito) nella pulitura dei graffiti o nell'esposizione dei cassonetti della raccolta porta a porta. Ma non ci sono solo i detenuti: il lavoro volontario potrebbe essere aperto anche a cassintegrati e pensionati, come prevede la nuova legge Poletti. Un'opportunità che ieri il sindaco ha annunciato alla giunta di voler cogliere. E che, come auspicato dal consigliere democratico Giusi La Ganga, potrebbe essere una delle "forze lavoro" da affidare alle nuove circoscrizioni che nasceranno dalla riforma in discussione in Sala Rossa. Novara: detenuti all'opera con Assa Spa vicino al Cim, rimossi 3.300 kg di rifiuti www.oknovara.it, 12 febbraio 2015 Continuano le Giornate di recupero del patrimonio ambientale mediante l'impiego di detenuti della Casa Circondariale di Novara. I soggetti coinvolti in questo importante progetto sono il Comune di Novara, con i suoi Servizi socio-assistenziali ed educativi, il Ministero della Giustizia con Casa Circondariale di Novara, Magistratura di Sorveglianza di Novara, Uepe Ufficio esecuzioni penali esterne di Novara e Assa S.p.A. L'ultima Giornata si è svolta martedì 10 febbraio: con il coordinamento di Assa, che come sempre ha fornito anche il supporto operativo e logistico, l'intervento ha interessato via Gargano e via Panseri, strade della viabilità di servizio del Cim, Centro intermodale merci. Sono stati rimossi 3.300 kg tra rifiuti urbani e ingombranti oltre a pneumatici auto, rifiuti elettronici ed oli esausti. Oristano: carcere di Massama, detenuto in "Alta Sicurezza" picchia due agenti Ansa, 12 febbraio 2015 Nella giornata dedicata ai colloqui familiari, un detenuto campano di alta sicurezza ha insultato e preso a schiaffi e spinte due agenti di Polizia Penitenziaria nel carcere oristanese. Doveva essere un momento di relax, un momento positivo in una situazione certo non semplice. Ma invece, la giornata dedicata ai colloqui con i familiari nel carcere di Massama ha registrato un brutto scontro tra un detenuto ed alcuni agenti di Polizia Penitenziaria. Infatti, stando ad una prima ricostruzione, a causa di un oggetto portato dai familiari e "stoppato" dalla sicurezza, in quanto non idoneo, un detenuto campano di "Alta Sicurezza", si è scagliato contro un agente, insultandolo e colpendolo con schiaffi e spinte. Stesso destino per un secondo agente accorso, mentre un successivo intervento ha permesso di fermare l'uomo. La situazione è quindi stata riportata alla calma originaria. Uno degli agenti coinvolti si è dovuto recare all'ospedale San Martino di Oristano per accertamenti. Roma: Fns-Cisl; giovane sorpreso a lanciare droga dentro Rebibbia, arrestato Adnkronos, 12 febbraio 2015 È stato sorpreso a lanciare droga all'interno del carcere di Rebibbia ed è stato arrestato grazie a un'operazione congiunta di Polizia Penitenziaria e Carabinieri. A farlo sapere è la Fns-Cisl di Roma Capitale e Rieti, che osserva come nella terza Casa Circondariale Rebibbia "il muro di cinta risulti, rispetto agli atri istituti, normale rispetto a diversi più alti". A quanto riferisce il segretario territoriale Luigi Alfieri, ieri pomeriggio "un ragazzo dall'esterno del carcere della terza Casa Circondariale Rebibbia Roma ha lanciato all'interno del carcere un involucro, contenente stanze stupefacenti, Subotex e Hashish, che è stato recuperato da un detenuto lavorante", poi "segnalato all'Autorità giudiziaria". Il giovane è stato poi arrestato dai Carabinieri, che lo aspettavano fuori e lo hanno sorpreso con altre 2 pasticche di Subotex. "Il fatto comunque non deve esser sottovalutato ma solo grazie alla professionalità del personale i livelli all'interno degli Istituti penitenziaria sono sempre alti tali di assicurare la massima sicurezza - sottolinea Alfieri. La Fns Cisl di Roma Capitale e Rieti plaude a tale intervento poiché solo con sinergie tra i vari Corpi dello Stato simili episodi possono essere evitati utili ad evitare che si perpetrano reati". Torino: delegazione palestinese in visita a strutture giudiziarie e penitenziarie minorili Ristretti Orizzonti, 12 febbraio 2015 Nei giorni 12, 13 E 14 febbraio p.v. si svolgerà la visita-studio alle strutture giudiziarie e penitenziarie minorili di Torino di una delegazione palestinese, nell'ambito del progetto finanziato dall'Unione Europea denominato "Support to the creation of a Specialized Juvenile System in Palestine" . Scopo del progetto, che è attuato dalla compagnia Hull & Human Dynamics K.G. di Vienna ed è diretto dalla Prof.ssa Lyda Favali dell'Università di Perugia, è quello di affiancare le Autorità Governative Palestinesi nell'edificazione di un sistema giudiziario minorile ad hoc, attraverso attività di formazione e sostegno istituzionale. La visita-studio a Torino è finalizzata ad apprendere il funzionamento giudiziario e penitenziario della Giustizia minorile italiana, giudicata tra le più avanzate nella scena europea. La delegazione è composta da diciotto tecnici palestinesi, tra giudici, avvocati, procuratori, ufficiali di polizia e rappresentanti del Ministero degli Affari Sociali, di quello della Giustizia e di quello dell'Educazione palestinesi. Il curatore e responsabile scientifico della visita a Torino è l'Architetto Cesare Burdese che, in collaborazione con il Centro per la Giustizia Minorile diretto da Antonio Pappalardo, con il Tribunale dei Minorenni (presidente Stefano Scovazzo) e con la Procura della Repubblica presso il Tribunali dei Minorenni (Annamaria Baldelli), ha organizzato le tre giornate scandite da momenti didattici e visite degli Uffici Giudiziari e dei Servizi penali minorili di Torino, nonché della struttura residenziale "Casa Nomis" per minori stranieri sita a Rivoli (Progetto Nomis promosso e finanziato dalla Compagnia San Paolo di Torino). Palermo: all'Ucciardone né burlesque né lasagne, ma solo rieducazione e rispetto di Rita Barbera www.loraquotidiano.it, 12 febbraio 2015 La direttrice del carcere risponde alle affermazioni di Alessandro Di Pasquale, segretario generale del Sippe, sindacato di polizia penitenziaria, che in un'intervista al nostro giornale aveva denunciato nei giorni scorsi un "trattamento di favore" per i detenuti della struttura palermitana. Ho letto l'intervista ad Alessandro Di Pasquale, riportata in data 3.02.2015 nell'articolo dal titolo "Burlesque e lasagne in carcere. Il grand hotel Ucciardone è tornato?". Mi preme preliminarmente precisare che il dibattito che si è aperto sulle attività di rieducazione in svolgimento presso l'Ucciardone merita, a questo punto, una riflessione congiunta e chiarificatrice che all'interno di un quadro di verità sui fatti realmente accaduti renda giustizia a quegli operatori penitenziari che alla luce della loro esperienza, maturata in anni di frequentazione del penitenziario, sono quotidianamente impegnati nella ricerca e nell'attuazione di strategie orientate verso il perseguimento del mandato istituzionale. Al fine di non tediare a lungo chi legge con l'esposizione di un passato professionale della scrivente sempre improntato al rispetto della dignità di tutte le persone orbitanti all'interno del pianeta carcere siano essi detenuti, operatori interni ed esterni, mi limiterò in questa sede a tracciare semplicemente il quadro di di alcune delle attività svolte nel corso dell'anno solare 2014 con particolare riferimento a quelle maldestramente descritte da chi ha acceso questo dibattito. Giova rappresentare altresì che tutte le attività trattamentali in svolgimento presso l'istituto penitenziario, ivi compreso lo spettacolo in argomento, trovano ragion d'essere nella generosità di enti pubblici e/o privati nonché da privati cittadini che sopperiscono con la loro buona volontà ad una pressoché totale assenza di fondi disponibili a tale scopo da parte dell'Amministrazione Penitenziaria. Quanto detto ovviamente, nel tempo, ha imposto agli operatori penitenziaria la ricerca di una rete di contatti che ad oggi fanno si che le attività trattamentali abbiano svolgimento anche in un'ottica di umanizzazione della pena e di serenità di un ambiente di per sé ostico e carico di tensioni. È per tale motivo che all'interno di questa Casa di Reclusione nell'anno 2014 hanno fatto accesso oltre 500 cittadini che rispondendo all'appello di questa Direzione hanno messo a disposizione il loro impegno, il loro lavoro e quasi sempre il loro tempo libero per lo svolgimento di attività altrimenti solo teoriche ed irrealizzabili. Attività sportive, scolastiche, professionali, di sostegno ai detenuti ed alle loro famiglie. Attività di lavoro, culturali ricreative trovano infatti svolgimento presso questo istituto attraverso l'opera di queste persone che agiscono in perfetta sinergia con gli operatori interni. È chiaro che la suddetta intensa attività di rieducazione deve poter contare, in relazione alla pochezza delle risorse di uomini ed economiche, su una professionalità non comune degli operatori penitenziari e sulla disponibilità al sacrificio degli stessi ai quali la scrivente non ha mai lesinato apprezzamento e compiacimento. Mi preme altresì sottolineare in questa sede l'alto senso di responsabilità manifestato da parte di tutti gli operatori penitenziari qui in attività di servizio che hanno consentito l'attuazione di progetti pedagogici anche arditi ma le cui ricadute positive sono facilmente riscontrabili in un numero assolutamente irrisorio di eventi critici. Certo il lavoro all'interno del carcere è pregno di pericoli e difficoltà ma è ampiamente provato che il rispetto della dignità umana ed una particolare attenzione all' esigenze personali del detenuto quali il contatto con i familiari, l'ascolto, l'igiene, l'alimentazione la propria religiosità e quant'altro, hanno la capacità facilitare un impegno di lavoro quotidiano altrimenti più difficile e rischioso. Ed è proprio nel rispetto della professionalità delle persone che operano all'interno di questo istituto che mi torna particolarmente difficile accettare per vera la frase che alcuni detenuti avrebbero detto rivolgendosi al personale durante lo spettacolo in questione alludendo a degli atti "particolari" che i detenuti avrebbero successivamente svolto all'interno delle loro celle. Malgrado la responsabilità delle linea pedagogica dell'istituto cada interamente sulla direzione che coadiuvata dallo staff di direzione (comandante, educatore, psicologo ecc.) valuta l'opportunità nonché la fattibilità di alcune attività rispetto alle quali non è pensabile di perseguire la condivisione di tutti, giova precisare che là dove le perplessità espresse dal Sig. Di Pasquale avessero trovato forme più congrue e pertinenti sarebbe stato sicuramente possibile esternare, in relazione alle rispettive competenze, in sede di consuntivo eventuali perplessità e/o suggerimenti. Nel corso dell'anno le attività rieducative e/o ricreative sono state molteplici ed hanno visto come già detto la partecipazione massiccia della comunità esterna: Il Centro Padre Nostro; l'associazione Asvope; l'Associazione 90100; la Uisp sono alcune degli enti di volontariato che hanno contributo alla realizzazione di molti dei progetti qui realizzati. Nel corso dell'anno peraltro si sono avute piccole donazioni da parte di enti pubblici e privati che hanno contribuito ad alcune carenze difficilmente sanabili con le risorse dell'amministrazione. Nello specifico si sono ricevute a favore dei detenuti donazione di generi di pulizia personale; tavoli da ping pong, calcio balilla, l'albero di Natale con gli addobbi, giocattoli per i figli minori; libri per la biblioteca; giochi ed attrezzature per l'area verde; generi di abbigliamento, scarpe ecc. Nel periodo natalizio, così come fatto anche lo scorso anno sono stati altresì donati dei panettoncini di 250 grammi ai detenuti da una ditta che peraltro li ha offerti anche all'istituto di Pagliarelli. In merito alle lasagne che avrebbero trasformato l'Ucciardone nel grand hotel Ucciardone occorre precisare che la ditta in questione (altra rispetto alla prima), contattata in quanto si era già dimostrata generosa per altre piccole donazioni in precedenza, ha risposto ad una richiesta di questa direzione al fine di rendere più nutriente il pasto di Natale che, così come è facile riscontrare dalla visione del menù di quel giorno, risultava essere veramente povero. Per completezza di informazione ed al fine di una corretta informazione si precisa che ogni detenuto ha ricevuto un timballetto di pasta al forno di circa 200 grammi e non lasagne, con il quale ha festeggiato il Santo Natale. Assolutamente priva di fondamento è la notizia in merito alla distribuzione di dolcetti e cannoli ai detenuti. Voglio sperare che il rappresentate sindacale in merito ai suddetti dolciumi non faccia riferimento alla manifestazione "Natale con i tuoi " che, finanziata dal Comune di Palermo, si è realizzata in data 27 dicembre presso l'area verde di questo istituto e che ha visto oltre 140 bambini incontrare unitamente alle mamme, il proprio papà detenuto, all'interno del villaggio di Babbo Natale tra giochi di animazione, piccole giostre e leccornie. Dico, voglio sperare perché la manifestazione appena accennata è stata condivisa ed apprezzata da tutto il personale di questa struttura che nell'ambito del proprio servizio ha vissuto detta esperienza con viva emozione. Peraltro al villaggio di Babbo Natale è stato presente tra gli altri anche il presidente della Caritas che ha voluto donare personalmente ad ogni nucleo familiare una casetta in legno raffigurante la natività di Nostro Signore. Nello scusarmi per la prolissità di questa nota mi preme sottolineare, lo avevo già fatto ma evidentemente non è stato sufficiente, che la manifestazione cinematografica "Nuovissimo cinemissimo paradisissimo" svolta in estate è stata offerta dal centro Padre Nostro ed attraverso diverse proiezioni ha portato alla proiezione del film sull'eccidio di Padre Puglisi, in occasione dell'anniversario dell'assassinio del sacerdote. Nell'occasione delle proiezioni il Centro Padre Nostro, peraltro esattamente come aveva già fatto negli anni precedenti presso l'istituto di Pagliarelli, ha ritenuto di offrire a tutti i convenuti un ascaretto/ghiacciolo in un contesto estivo nel quale la donazione di un gelato non appariva così dissonante. Si coglie l'occasione per ringraziare quanti della società civile attraverso piccoli gesti di generosità consentono ai cittadini detenuti momenti di riflessione e/o di svago in special modo nei periodi di maggiore sofferenza per la privazione della libertà e coincidenti con i mesi estivi e i giorni il cui "l'esterno" è in festa. Quanto appena accennato trova immediata è tragica conferma proprio nelle statistiche che registrano in questi periodi di tempo "particolari" il maggior numero di atti autolesivi ed auto soppressivi. Spiace che le questioni sollevate attengano proprio a due attività che hanno trovato attuazione proprio per quanto detto nei predetti periodi. Volutamente non ho fatto cenno particolare allo spettacolo incriminato per una serie di motivi che qui elenco succintamente: al contrario del sindacalista la scrivente era presente allo spettacolo; la mia impressione è stata di uno spettacolo divertente e null'altro; nessuna notizia a riguardo mi è stata fornita dagli operatori sia dell'area della sicurezza che da quella pedagogica; tutte le manifestazioni svolte all'interno di questo istituto hanno visto la partecipazione educata e composta dei detenuti i cui atteggiamenti sono improntati al rispetto degli ospiti con particolare attenzione alle signore. Ascoli: il carcere aderisce a "M'illumino di Meno" iniziativa del programma "Cartepillar" di Teresa Valiani (Direttore "Io e Caino") Ristretti Orizzonti, 12 febbraio 2015 I detenuti del carcere di Marino del Tronto spegneranno la tv in occasione dell'iniziativa del programma Caterpillar dedicata al risparmio energetico. Anche la casa circondariale di Marino del Tronto s'illumina di meno. Per il secondo anno consecutivo, infatti, il carcere parteciperà alla grande campagna di sensibilizzazione sulla razionalizzazione dei consumi energetici, ideata da Caterpillar, storico programma in onda su Radio 2 dalle 18 alle 19.30. L'obiettivo della campagna comunicativa è raccontare best practice in ambito di risparmio energetico promuovendo la riflessione sul tema dello spreco di energia che si può evitare con interventi strutturali ma anche con semplici accorgimenti che ogni singolo individuo può mettere in pratica. M'illumino di meno culmina nella Giornata del Risparmio Energetico, quest'anno il 13 febbraio, dedicata all'ormai consueto simbolico "silenzio energetico": in questa data si chiede infatti lo spegnimento dell'illuminazione di monumenti, piazze, vetrine, uffici, aule e private abitazioni, alle ore 18.38. Non potendo, per motivi di sicurezza, spegnere le luci delle celle, i detenuti spegneranno la tv e, su suggerimento della direttrice Lucia Di Feliciantonio, che ha lanciato l'iniziativa nell'istituto, chi vorrà, impiegherà il tempo nella lettura di un libro. Con questo piccolo, ma significativo gesto (la tv in carcere è spesso l'unico mezzo di contatto con l'esterno), i detenuti del carcere di Ascoli intendono offrire il proprio appoggio alla campagna di sensibilizzazione. Bologna: presentazione ricerca su presa in carico di detenuti e persone misure alternative Ristretti Orizzonti, 12 febbraio 2015 Oggi, giovedì 12 febbraio, dalle 16 alle 18 a Bologna, in Viale Aldo Moro 32, alla Biblioteca dell'Assemblea legislativa regionale, viene presentata una ricerca sulla presa in carico di detenuti, internati, persone sottoposte a misure alternative, da parte di soggetti del Terzo settore. Si tratta di un vero e proprio censimento delle associazioni e delle organizzazioni che lavorano nelle e con le carceri in Emilia-Romagna. Promossa dall'Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale, l'iniziativa vede gli interventi della Garante regionale, Desi Bruno, di Roberta Mori, presidente della commissione Parità e diritti, e di Giulia Cella, dell'Università di Bologna. È prevista la presenza di Pietro Buffa, provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria, Valter Giovannini, procuratore aggiunto di Bologna, Luigi Fadiga, Garante regionale dei minori, di assistenti sociali, rappresentanti di cooperative sociali e del volontariato. Torino: "Per un barattolo di storie", il teatro nella Casa circondariale Lorusso e Cotugno La Stampa, 12 febbraio 2015 Nell'ambito del progetto europeo "Parol-scrittura e arti nelle carceri", Cascina Macondo, la Casa Circondariale Lorusso-Cotugno, i ragazzi della compagnia integrata Viaggi Fuori Dai Paraggi e un gruppo di detenuti presentano la serata "Per un barattolo di storie", che comprende "Attese", spettacolo-performance dei detenuti che hanno concluso il percorso di danza-teatro del progetto europeo "Parol", e "Una sedia per capello", spettacolo-performance della compagnia integrata (normalità & disabilità) Viaggi Fuori Dai Paraggi. Prenotazione indispensabile entro martedì 10 febbraio: info@cascinamacondo.com. Info: 011.4557585, www.cascinamacondo.com. Torino: a Palazzo Lascaris presentato il libro "Giù le mani dalle donne. Voci dal carcere" Ansa, 12 febbraio 2015 Pensieri, riflessioni, poesie, esperienze personali di cento detenuti in sette carceri del Piemonte su tema della violenza alle donne sono stati raccolti in un libro, "Giù le mani dalle donne - Voci dal carcere", presentato oggi a Palazzo Lascaris. Molti degli uomini che hanno voluto lasciare la loro testimonianza sono in carcere proprio per reati legati alla violenza sulle donne. Chiude il volume,tradotto in inglese, la testimonianza di diverse donne detenute. Il libro fa parte della campagna "Zonta says no" che, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne 2014, ha promosso un minuto di silenzio sui campi di rugby di tutti gli istituti penitenziari d'Italia. Stampato nel carcere di Ivrea, tra le prefazioni contiene quella di Gian Carlo Caselli. Dopo i saluti dei vicepresidenti del Consiglio regionale, Nino Boeti e Daniela Ruffino, quest'ultima anche nel ruolo di delegata alla Consulta Elette, e di Cinzia Pecchio, presidente della Consulta femminile, sono intervenuti, moderati da Bruno Mellano, Garante regionale, persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Augusta (Sr): detenuti-attori impegnati nella messa in scena di "Effatà" di Simona Lo Iacono www.siracusanews.it, 12 febbraio 2015 "Portare l'arte nei luoghi di detenzione significa fornire al detenuto due immense opportunità: fare un percorso liberatorio, e assaporare la bellezza. Portare in carcere un magistrato vuol dire offrire al detenuto una vicinanza dell'organo giudicante che, pur costretto per legge a valutare il fatto, non può mai essere giudice dell'Uomo". Queste le motivazioni che hanno spinto la scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono ad avviare un progetto con i detenuti della Casa di Reclusione di Augusta, con il pieno sostegno e il coordinamento del direttore della struttura Antonio Gelardi, da tempo fautore dell'importanza di fare arte in carcere. I detenuti saranno dunque coinvolti nella rappresentazione teatrale dell'ultima fatica letteraria della Lo Iacono, il romanzo "Effatà" che tratta i difficili temi della disabilità ai tempi dell'Olocausto, e dell'importanza della comunicazione intesa come apertura all'altro. Oggi, giovedì 12 febbraio, alle 15 si svolgerà il primo incontro dell'autrice con i partecipanti al progetto, che sono già inseriti all'interno del corso di lettura Read and Fly, una delle numerose attività svolte a favore dei detenuti della casa di reclusione. Il carcere, sorto nel 1987 nella periferia di Augusta, ospita circa 500 detenuti, tutti condannati in via definitiva, e appartenenti alle tipologie media sicurezza, alta sicurezza, e protetti (ossia ad esempio i sex offender che non vengono "accettati" dagli altri detenuti ). "In questo specifico caso - spiega ancora la scrittrice - la presenza della magistratura in carcere serve ad offrire un ribaltamento di ruoli: infatti il detenuto, in Effatà, vestirà i panni del giudice, mentre il giudice vivrà i luoghi della detenzione. E questo scambio dei ruoli e di visioni della vita è sempre fonte di crescita spirituale, perché ci porta fuori da noi stessi, nell'altro". Immigrazione: Radicali; Cie di Ponte Galeria, emergenza sanitaria e condizioni disumane www.radicali.it, 12 febbraio 2015 Dichiarazione della delegazione Radicali Roma in visita questa mattina al Cie di Ponte Galeria: "Nel giorno della seduta straordinaria dell'Assemblea capitolina sul tema della sicurezza, aperta dal Prefetto Giuseppe Pecoraro, una delegazione di Radicali Roma ha visitato il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria". "Chiediamo a Ignazio Marino, come Sindaco e come medico, di visitare al più presto questa struttura e di mobilitarsi per chiederne la chiusura immediata, anche nella veste di autorità sanitaria locale. Oltre ai tentativi di suicidio e agli atti di autolesionismo, che sono ormai all'ordine del giorno, a Ponte Galeria persistono infatti casi di scabbia e di altre patologie dovute alla promiscuità e alle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere gli ospiti del centro: condizioni che abbiamo deciso di documentare pubblicando alcune fotografie scattate all'interno della struttura e che confermano quanto riportato nel recente Rapporto della Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani". "Al sistema di detenzione amministrativa, che già di per sé viola la nostra Costituzione infliggendo una pena detentiva a persone che non hanno commesso alcun reato se non quello di non avere il permesso di soggiorno, difficilissimo da conseguire vista l'attuale legge proibizionista sull'immigrazione, strutture come quella di Ponte Galeria sommano dunque una condizione oggettiva di profonda drammaticità nella quale vengono violate le leggi italiane e le convenzioni europee dei Diritti dell'Uomo". "La delegazione era composta da Riccardo Magi, Presidente di Radicali Italiani e consigliere comunale a Roma, Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma, Andrea Billau della direzione di Radicali Roma e giornalista di Radio Radicale. Hanno partecipato alla visita anche Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare che i Radicali ringraziano per il lavoro che da anni svolge all'interno del centro, e la giornalista Raffaella Cosentino". "Come Radicali ricordiamo che senza stato di diritto non può esistere alcuna sicurezza, ma solo effimere illusioni securitarie, e ribadiamo l'esigenza di modificare la legge sull'immigrazione con un meccanismo di regolarizzazione permanente dei lavoratori migranti: perciò chiediamo ancora una volta la chiusura dei Cie, strumento intollerabile di ultima punizione di una condizione di vita a dir poco afflittiva, che configura un diritto diseguale per autoctoni e migranti. Ecco perché chiediamo al Sindaco Marino di impegnarsi in prima persona affinché il Ministero dell'Interno trovi nuove soluzioni più adeguate e soprattutto rispettose di leggi e convenzioni ratificate dal nostro Paese", concludono i Radicali. Droghe: Messico, ora c'è la prova l'erba legale può spezzare il potere dei narcos di Roberto Saviano La Repubblica, 12 febbraio 2015 Per la prima volta nella storia dei cartelli messicani cala il traffico della marijuana: grazie alla legalizzazione. L'effetto: meno reati, maggiori entrate nelle casse dello Stato, meno flussi di denaro criminale. È la sconfitta dei proibizionisti. Per la prima volta nella loro storia i cartelli messicani hanno visto precipitare la richiesta di marijuana. Entra in crisi un business miliardario che sino ad ora non aveva mai subito flessioni. I dati diffusi dalla polizia frontaliera americana (l'Us Border Patrol) non lasciano spazi a dubbi: la riduzione del traffico di erba nel 2014 è stata del 24% rispetto al 2011. Che è successo? Nessuno fuma più spinelli? Una stagione di arresti particolarmente efficace? La risposta è più semplice: ed è la legalizzazione delle droghe leggere in Colorado e nello Stato di Washington. La vendita legale di marijuana non ha solo creato una rivoluzione economica che ha portato oltre 800 milioni di dollari di nuovi introiti fiscali, ma ha anche iniziato a trasformare il tessuto criminale. La crisi delle organizzazioni a sud del Rio Grande che hanno sempre inondato gli Usa di erba è paragonabile alla crisi dei titoli del Nasdaq. I cartelli messicani non hanno mai abbandonato il business dell'erba, tutte le organizzazioni storiche che oggi sono egemoni nel traffico di coca e di metanfetamina hanno sempre coltivato la "mota" (come chiamano la marijuana), che è al contempo fonte di una liquidità economica gigantesca ed ha una crescita di mercato esponenziale grazie alla tolleranza culturale diffusa in tutti gli Stati Uniti. Un esempio tra i molti che dimostra lo storico legame tra l'erba messicana e gli Usa: Kiki Camarena era un poliziotto della Dea che riuscì a infiltrarsi ai vertici dei narcos negli anni 80: fu così che scoprì El Bufalo, un ranch che nascondeva la più grande piantagione di marijuana del mondo. Oltre milletrecento acri di terra e diecimila contadini a lavorarci. Per averla fatta sequestrare Kiki fu barbaramente torturato e ucciso. L'erba messicana ha riempito gli Stati Uniti e metà pianeta per più di cinquant'anni. Ora, finalmente, la tendenza di crescita si sta invertendo. Dopo tanti dibattiti ideologici c'è la prova che la legalizzazione è uno strumento reale di contrasto al narcocapitalismo. In Colorado e a Washington ci sono diversi vincoli per il consumo: la marijuana può essere acquistata solo se si è maggiori di 21 anni, si può possedere sino a poco più di 28 grammi, in pubblico è vietato consumarla (come l'alcol del resto) e guidare sotto effetto di erba è vietato (sospensione di patente per un anno e arresto se recidivi). Le grandi obiezioni mosse dai proibizionisti contro l'esperimento di legalizzazione in Usa sono le medesime da sempre sostenute dal proibizionismo europeo: aumento del mercato dei consumatori, aumento degli incidenti stradali, aumento della criminalità. Allarmi tutti smontati dall'esperienza reale. Non c'è stata nessuna catastrofe. La polizia di Denver in Colorado ha registrato una diminuzione del 4% dei reati, nessun aumento di incidenti stradali (la maggior parte continuano ad essere provocati dall'alcol). Non solo: sottrarre una massa di capitali enormi alle organizzazioni criminali ha portato il Colorado a prevedere la possibilità di incrementare le proprie casse con circa 175 milioni di dollari nei prossimi due anni, mentre lo Stato di Washington prevede un'entrata di oltre 600 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. Come se non bastasse, sembra che lo Stato potrà addirittura restituire ai cittadini parte delle tasse. Tutto è dovuto da una legge del Colorado che impone allo Stato una quota limite sui soldi che può ricevere dalle tasse: superata la quale deve ridistribuire il denaro ai contribuenti. Grazie alle entrate per l'acquisto di marijuana, il Colorado rimborserà i 30 milioni di dollari in eccedenza ricevuti. Mai successo a memoria d'uomo che la quota fosse superata, la legalizzazione l'ha permesso. Soldi che prima finivano nelle tasche dei narcos messicani e delle banche complici ora sono a disposizione dello Stato. Le entrate fiscali hanno convinto altri Stati a intraprendere il percorso di legalizzazione: Alaska, Oregon, Florida e Washington D. C. stanno per decidere. Ma c'è un altro argomento che ha spinto questa scelta: i reati connessi alla marijuana gravavano enormemente sulle casse degli Stati americani (il Colorado - ad esempio - metteva in bilancio 40 milioni l'anno per contrasto e detenzione di persone legate allo spaccio di erba). E d'altronde la metà della popolazione carceraria americana è condannata per reati di droga, l'Anti-Drugs Abuse Act con la sua severità estrema non ha portato che a un rafforzamento del vincolo criminale tra spacciatore e organizzazione. Vincolo che è necessario slegare se si vuole contrastare il narcotraffico piuttosto che puntare la responsabilità sul singolo pusher. Il 75% dei detenuti condannati per narcotraffico è afroamericano, miseria e disagio continuano ad essere le miniere in cui raccolgono eserciti i cartelli. Ma in Europa e in parte anche negli Usa (con qualche eccezione tra gli agenti Dea), i vertici delle polizie continuano a sostenere posizioni proibizioniste: eppure nessuna repressione ha fermato la diffusione dell'erba e il suo consumo. Ora la domanda è: dove sarà dirottata tutta la "mota" messicana? Unica destinazione: Europa. Ci saranno quindi abbassamenti di prezzo e si tratterà di capire come le organizzazioni criminali gestiranno il flusso. I prezzi li farà il mercato, come sempre, ma sarà mediato da ‘ndrangheta e camorra sul fronte italiano, dalla mafia corsa sul fronte francese, da albanesi e serbi sul fronte est. In Italia l'81% dei sequestri delle piantagioni di canapa indiana avviene nel sud Italia (l'Aspromonte è territorio privilegiato di coltivazione), quindi l'erba messicana arriverà ad essere il grande antagonista dell'erba italiana. La legalizzazione non solo sta costringendo i cartelli ad abbassare i prezzi tagliando i profitti ma i messicani devono anche competere con la qualità: la qualità della marijuana legale è certificata catalogata e controllata, leggendo la didascalia delle bustine si possono conoscere effetti e composizione. La droga illegale spacciata dai messicani invece spesso ha qualità minore a fronte di un prezzo alto perché contiene additivi, come l'ammoniaca, e sempre più spesso viene cosparsa di fibra di vetro o lana di roccia, per simulare l'effetto dei cristallini che hanno alcune qualità di marijuana (ricche in resina di canapa). Legalizzazione quindi porta anche a una riduzione degli effetti negativi e il mercato perde i segmenti più dannosi. Il Messico vede positivamente la legalizzazione in Usa perché ferma il flusso di capitale criminale che quotidianamente entra nel Paese. Il circolo vizioso è semplice: dalla frontiera parte droga per gli l'America, i soldi tornano in Messico che poi ritornano nelle banche degli Stati Uniti. La legalizzazione rompe questo schema. L'ex presidente Fox aveva dichiarato: "Il consumatore di droga negli Stati Uniti produce miliardi di dollari, denaro che torna in Messico per corrompere la polizia, la politica e comprare armi". Fox, che non ha certo migliorato lo stato della democrazia in Messico né ha portato a un cambiamento nel contrasto ai narcos, ha avuto il merito di riconoscere il punto nevralgico: il proibizionismo americano è il principale responsabile della crescita economica della mafia messicana. La legalizzazione quindi sta producendo effetti immediati e benefici. Le modalità per sottrarre la marijuana ai narcos sono molteplici: Colorado e Washington hanno legalizzato liberalizzando la produzione e la distribuzione, Alaska e Oregon si stanno avviando ad una legalizzazione come quella del Colorado, la Florida deciderà sull'uso medico della cannabis. Washington D. C. va verso la produzione e il consumo ma non vuole liberalizzare negando l'autorizzazione ai negozi per la distribuzione. Il che manterrebbe una contraddizione in termini: legale comprarla e fumarla a casa, ma illegale venderla. Ma l'attesa più importante è per il 2016, quando in California si deciderà se intraprendere la legalizzazione o continuare il percorso proibizionista. Se la California - Stato con una massiccia presenza di cartelli messicani e centroamericani - darà il via libera allo spinello il passo per la legalizzazione in tutti gli Stati Uniti sarà definitivo. E in Italia? L'Italia dovrebbe essere in Europa in prima fila su questi temi per la conoscenza acquisita e per l'influenza delle organizzazioni criminali italiane in questo mercato. Il primo passo fatto dal ministro Roberta Pinotti con la produzione da parte dell'esercito di marijuana per uso terapeutico aveva fatto sperare in un'accelerazione del percorso di legalizzazione, ma tutto si è fermato e il dibattito sembra essersi spento nella miope ed eterna considerazione che "i problemi sono altri". Nel frattempo narcos e boss estendono il loro impero. Mai come ora il proibizionismo è il loro maggior alleato. È il momento di porre il tema della legalizzazione come battaglia di legalità e contrasto all'economia criminale e sottrarlo al seppur necessario e controverso dibattito morale. Proprio chi è contro ogni tipo di droga deve sostenere la legalizzazione. Stati Uniti: il boia che l'America non vuole fermare di Elena Molinari Avvenire, 12 febbraio 2015 Gli Stati americani riflettono sulla pena di morte, cercando modi "creativi" di infliggerla quando l'iniezione letale non è possibile. Una manciata di amministrazioni locali ha approvato o sta discutendo leggi che recuperino la camera a gas, la sedia elettrica o il plotone d'esecuzione come "piani di riserva" in modo da non dover più rimandare alcuna esecuzione. L'ultimo è l'Oklahoma, che sta valutando la possibilità di far ricorso alle camere a gas in attesa che la Corte suprema degli Stati Uniti si esprima sulla legalità dell'uso dei medicinali impiegati per le iniezioni letali. Proprio in seguito al ricorso di tre condannati a morte in Oklahoma, la Corte ha deciso infatti di riesaminare la costituzionalità delle nuove combinazioni di farmaci mortali che alcuni Stati utilizzano. L'alta corte dovrà decidere se l'uso del cocktail viola il divieto della Costituzione americana di infliggere punizioni crudeli. In particolare, i giudici dovranno verificare se il sedativo midazolam possa essere utilizzato, a seguito dei timori che non produca un profondo stato d'incoscienza. Dovranno inoltre assicurarsi che il detenuto non sperimenti un dolore intenso quando gli vengono iniettati altri farmaci per ucciderlo. Quattro Stati attualmente consentono l'uso della camera a gas: Arizona, California, Missouri e Wyoming, ma tutti prevedono che l'iniezione letale sia il metodo principale. L'ultimo detenuto statunitense ucciso in una camera a gas fu Walter LaGrand in Arizona nel 1999. Lo scorso anno in Tennessee è stata approvata una legge che consente l'impiego della sedia elettrica nel caso in cui non si possano ottenere i farmaci per l'iniezione letale, ma i detenuti hanno presentato una sfida legale. Intanto, nello Utah e ancora in Wyoming si sta valutando di ripristinare il plotone di esecuzione. Lo Utah aveva abbandonato il plotone nel 2004, ma come altri Stati negli ultimi dodici mesi ha dovuto fare i conti con la resistenza delle società farmaceutiche di fornire medicinali allo scopo di togliere la vita. Gli Stati americani avevano abbandonato i plotoni di esecuzione e le sedie elettriche alla fine del XX secolo per motivi "d'immagine". Più di una volta i detenuti erano andati in fiamme mentre venivano folgorati, o il pubblico aveva reagito con orrore alla vista di un condannato crivellato di colpi. Una dozzina d'anni non ha reso quei metodi meno barbari, e gli oppositori della pena di morte invitano a riflettere sul fatto che un Paese civile dibatta sul modo più "accettabile" di uccidere i propri cittadini. "Che si spenda tempo cercando metodi efficaci per uccidere la gente è offensivo - ha detto Adam Leathers, della Coalizione per l'abolizione della pena di morte dell'Oklahoma - non c'è un modo giusto per fare la cosa sbagliata". Taiwan: sei detenuti prendono ostaggi e tentano la fuga, poi si suicidano per protesta Agi, 12 febbraio 2015 È finito in tragedia il tentativo di fuga e la clamorosa protesta di sei detenuti del carcere di Kaohsiung, nel sud dell'isola di Taiwan, che mercoledì pomeriggio avevano preso d'assalto l'armeria della prigione e preso in ostaggio alcuni funzionari del carcere. I sei detenuti si sono suicidati all'alba dopo avere rilasciato sani e salvi i due ostaggi che avevano con loro: il direttore del carcere, Chen Shih-Chih, e il capo delle guardie, Wang Shih-tsang. Lo ha confermato in un intervento televisivo il vice ministro della Giustizia dell'isola, Chen Ming-tang, che non ha spiegato cosa abbia spinto i sei a suicidarsi. I sei reclusi, in carcere per reati di varo genere (dall'omicidio alla rapina) protestavano per le lunghe pene detentive e denunciavano la parzialità del sistema di giustizia nei confronti dei politici corrotti. Secondo le prime ricostruzioni dell'evento, i primi quattro si sarebbero uccisi con i fucili e le pistole sequestrati dall'armeria della prigione mentre gli ultimi due si sarebbero suicidati dopo avere sparato altri colpi ai compagni di carcere per assicurarsi che fossero morti. I sei prigionieri lamentavano anche le dure condizioni di vita nel carcere; e durante la notte, mentre la prigione era circondata da centinaia di agenti, i sei avevano fatto recapitare una lettera ai negoziatori in cui citavano come "ingiusto" il caso dell'ex presidente di Taiwan, Chen Shui-bian, a cui era stata garantita la libertà condizionale il mese scorso per problemi di salute, dopo essere stato condannato per corruzione nel 2009. Tutti e sei i detenuti dovevano scontare pene tra i 25 e i 46 anni di carcere per reati che vanno dal traffico di droga, la rapina a mano armata e l'omicidio. Tra i primi commenti, quello del presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, che ha condannato il tentativo di evasione dei sei detenuti definendolo "inaccettabile". Stati Uniti: nel Massachusetts il bastardino evita il canile e… salva il galeotto di Paola Battista www.west-info.eu, 12 febbraio 2015 Portare in prigione cani maltrattati e affidarli alle cure dei detenuti. Non una sporadica iniziativa benefica, quanto un efficace percorso socio-educativo raccontato dal documentario made in Usa Dogs on the inside. Che descrive il sorprendente effetto dell'ingresso degli amici a quattro zampe sui reclusi di un istituto penitenziario del Massachusetts. Entusiasti dei nuovi fedeli compagni di cella da nutrire, portare a spasso e, soprattutto, educare con pazienza grazie alle tecniche apprese da istruttori esperti. Vere ancore di salvezza cui aggrapparsi per ricominciare, raccontano le guardie carcerarie. "Tutti meritano una seconda opportunità" afferma da parte sua il realizzatore "entrambi avevano bisogno di un amico". Uno strumento di risocializzazione dei condannati, che nel corso delle settimane ha messo in luce "ricadute tremendamente benefiche e drastici cambiamenti" nella condotta di ormai ex criminali.