Tutti contro l’ergastolo e il populismo di Dimitri Buffa Il Tempo, 20 dicembre 2015 Può sembrare un po’ fuori dalla realtà parlare di abolizione di ergastolo in un Paese in cui quasi tutti i partiti puntano sull’emergenza perpetua, la sicurezza percepita e il "più carcere per tutti". Il tutto senza porsi problemi di rieducazione o di articolo 27 della Costituzione. Eppure al congresso, il sesto, di Nessuno tocchi caino di questo si discute. E già nel primo giorno era arrivata la notizia che l’attuale uomo del ministro Orlando al Dap, Santi Consolo, si dichiarava tout court contrario alla permanenza dell’ergastolo nel nostro sistema penale. Il fulcro della giornata di ieri è stata la tavola rotonda della mattina presieduta da Alessio Falconio, Direttore di Radio Radicale, su "Garantismo e populismo penale: il ruolo dell’informazione". Con interventi contro corrente di persone che in tv non si vedono quasi mai: Arturo Diaconale, Piero Sansonetti, Andrea Mascherin, Luigi Crespi, Marco Beltrandi, Sergio Segio e Valter Vecellio. Il succo del dibattito è che baricentro della mentalità forcaiola è passato dai magistrati protagonisti ai giornalisti militanti. Il populismo penale è sentito come un vero e proprio "progetto politico", trasversale agli schieramenti, iniziato all’epoca del terrorismo, proseguito con la lotta alla mafia e poi via via fino a pedofilia, femminicidio, stadi violenti e omicidio stradale. Il concetto è tenere il cittadino in angoscia e poi offrire la soluzione autoritaria. Le carceri sono una forma di vendetta sociale di un paese frustrato dall’impoverimento e assediato da una popolazione che tende a dare ai politici, non a torto, la colpa un po’ di tutto. Così il sacrificio di chi incappa nelle maglie pesanti della giustizia, le manette, serve ad esorcizzare il malcontento e a dare alla popolazione nel frattempo trasformata in plebe il contentino consolatorio. Così in Italia sembra che solo il Papa abbia il coraggio di parlare di amnistia. Lui almeno non ha il problema di essere rieletto. Mattarella ai Radicali: "giusto abolire l'ergastolo" L'Unità, 20 dicembre 2015 Gli auguri del Capo dello Stato e di Grasso al congresso di Nessuno tocchi Caino. Con un messaggio inviato a Marco Pannella come presidente dell'associazione "Nessuno tocchi Caino" il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pone attenzione anche al dibattito sulla abolizione dell'ergastolo ostativo, tema del sesto congresso dell'associazione radicale in corso nel carcere milanese di Opera con il titolo "Spes contra spem". Il Capo dello Stato fa gli auguri per l'assise anche come "utile occasione per riflettere su temi cruciali come l'abolizione universale della pena di morte e l'ergastolo ostativo" (quando è negato l'accesso a taluni benefici e alle misure alternative al carcere). Il presidente ricorda che "l'Italia ha fatto dell'abolizione della pena di morte uno dei punti cardine della sua politica internazionale a difesa dei diritti umani", e in particolare nell'ambito delle Nazioni Unite, una "irrinunciabile battaglia di diritto e umanità" mossa da un "imperativo morale". Il tema "dell'abolizione del cosiddetto "ergastolo ostativo" è al centro di un animato dibattito politico e giuridico", scrive Mattarella, ricordando che "è all'esame del Parlamento una norma di delega che mira a ridurre gli automatismi e le preclusioni che escludono i benefici penitenziari per i condannati all'ergastolo". Un argomento questo "di indubbia delicatezza", convinto che il congresso di Nessuno tocchi Caino affronterà "con il necessario approfondimento, tenendo conto di tutti gli aspetti problematici che esso coinvolge", contribuendo a "consolidare i concreti risultati già ottenuti e conseguire nuovi traguardi". Ad essere d'accordo con l'abolizione dell'ergastolo ostativo è Santi Consolo, il capo del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria): "Ho dato parere favorevole all'abolizione dell'ergastolo ostativo", ha detto nel suo intervento al congresso, spiegando che "l'ergastolo ostativo prima non c'era, prima l'articolo 176 del codice penale era compatibile con l'articolo 27 della Costituzione, che parla di umanità, cioè di speranza", senza la quale non si può migliorare. Santi Consolo si chiede "come è successo tutto questo? Perché abbiamo avuto gli anni di piombo. Da un lato ci siamo calati un regime differenziato, il 41 bis, e dall'altro c'è stata l'incentivazione della legislazione premiale fino a prevedere, e lì c'è la violazione della Costituzione", continua, "uno sbarramento alla liberazione condizionale laddove non c'è collaborazione". Concludendo il capo del Dap si augura che anche "in regime di ergastolo ci possa essere la liberazione anticipata". Una lettera a Pannella l'ha inviata anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, per altro ex magistrato ricordando l'impegno dell'associazione e quello dell'Italia contro la pena di morte, che "non rende più sicura la nostra società, non rende migliore il mondo. La violenza genera violenza". "Nessuno tocchi Caino": la pena di morte si pratica ancora in 37 Paesi di Luca Bortoli difesapopolo.it, 20 dicembre 2015 Si è chiuso ieri il sesto congresso nazionale di "Nessuno tocchi Caino", l'organizzazione che da anni lotta contro la pena di morte e per il superamento dell'ergastolo ostativo e del 41bis. Il 10 dicembre, Giornata mondiale per i diritti umani, nella sede del consiglio regionale del Veneto, la presentazione del Rapporto 2015, che conferma il triste primato asiatico per numero di esecuzioni. In America la pena capitale resiste solo negli Stati Uniti. I paesi che mantengono la pena di morte nel mondo sono oggi 37. Due in meno rispetto al 2013, a confermare un trend in costante diminuzione (nel 2005 i paesi erano 54). Per contro nel 2014 sono state 22 le nazioni che hanno eseguito sentenze capitali, due in più rispetto all’anno precedente. Sono dati del Rapporto 2015 di Nessuno tocchi Caino, l’organizzazione che lotta per l’abolizione della pena di morte e che oggi nel carcere milanese di Opera chiude il sesto congresso nazionale intitolato "Spes contra spem" dopo aver conferito il premio L’Abolizionista dell’anno 2015 a papa Francesco. A ispirare il titolo è il celebre versetto di san Paolo (lettera ai Romani): sperare contro ogni speranza, esattamente come Abramo nell’antico testamento, è infatti l’atteggiamento di chi intende farsi parte attiva nel processo che porti all’abolizione della pena capitale, senza limitarsi a una semplice speranza. L’appuntamento di Milano, che ha l’obiettivo di rilanciare la campagna per la moratoria delle esecuzioni capitali e allo stesso tempo per il superamento dell’ergastolo ostativo e del 41bis, è stato anticipato proprio dalla presentazione del rapporto 2015 sulla pena di morte nel mondo che si è tenuta nella sede del consiglio regionale del Veneto lo scorso 10 dicembre, Giornata mondiale per i diritti umani. Questione sicurezza. Nel suo intervento, il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, titolare dell’inchiesta sul Mose, ha sottolineato come sul piano pratico siano il senso di vendetta e la paura a giustificare la pena di morte. Ma se sulla prima si può intervenire dimostrando l’inutilità del "male per il male", spesso contrabbandato con il senso di giustizia, il sentimento della paura è irrazionale e "se prevale il desiderio di autotutela" nemmeno un paese abolizionista come il nostro può considerarsi al sicuro dal ritorno di una pratica barbara come l’esecuzione capitale. Secondo Nordio, c’è oggi un grande lavoro da fare da parte delle istituzioni per rafforzare la sicurezza dello stato e da parte degli educatori per generare una nuova cultura. La garante regionale dei diritti della persona Mirella Gallinaro ha sottolineato come il carcere sia considerato dagli addetti ai lavori l’extrema ratio, sia per la difficoltà di rendere la pena rieducativa della persona sia per gli enormi costi che le case di reclusione comportano, per l’84 per cento dovuti alla presenza degli agenti. "Si tratta di una problematica da approfondire attraverso strumenti come l’affido in prova e la mediazione penale, ma il clima oggi è cambiato ed è difficile sostenere proposte come queste". A confermarlo, la clausola di invarianza finanziaria imposta alle carceri che non permette investimenti e quindi nessuna attività lavorativa e di volontariato se non finanziata da privati, com’è avvenuto a Verona dove, grazie a un importante stanziamento della fondazione Cariverona, il progetto Esodo offre un’opportunità lavorativa al 60 per cento dei detenuti. Il primato asiatico. A Elisabetta Zamparutti, tesoriera dell’organizzazione presieduta da Marco Pannella, l’onere di illustrare i dati contenuti nel rapporto. Emerge come sia l’Asia il continente nel quale si pratica nella sua quasi totalità la pena di morte: 3.741 esecuzioni nel 2014 e 2.182 nei primi sei mesi del 2015 (quattro anche nei confronti di minori), il 98 per cento del totale. Nella sola Cina le esecuzioni sono state almeno 2.400. Le Americhe sarebbero praticamente libere dalla pena di morte se non fosse per gli Usa (33 esecuzioni). Le 67 esecuzioni capitali africane si sono verificate in quattro paesi: Sudan (23), Somalia (20), Egitto (15) e Guinea equatoriale (9). Deficit democratico Interessante osservare come la pena di morte proliferi soprattutto dove latita la democrazia. Dei 37 paesi che la mantengono, 31 sono retti da regimi dittatoriali o simili (oltre alla Cina, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Corea del Nord nei primi posti). Tre i paesi democratici che hanno praticato esecuzioni capitali nel 2014 e nei primi sei mesi di quest’anno: Usa, Taiwan e Giappone. La galera? È come la guerra. Contro l’abuso pratico e ideologico della detenzione di Benedetto Della Vedova stradeonline.it, 20 dicembre 2015 Intervento scritto per il VI Congresso di Nessuno tocchi Caino dal tema: "Spes contra spem. Basta pena di morte e pena fino alla morte". Titolare un congresso politico "Spes contra spem" è più impegnativo che evocativo. Parteciparvi, provando a raccogliere questo impegno, non è evidentemente facile. Peraltro, quando si discute della funzione e della realtà della pena, i discorsi facili non sono solo banali, ma intrinsecamente conformistici: sia che se ne ragioni come di una sorta di "variabile indipendente", per cui il principio della certezza della pena diventa quello della indiscutibilità della detenzione, a prescindere da ogni considerazione di equità e efficacia; sia che si discuta della pena detentiva, cioè del carcere in sé, come di un residuo arcaico del diritto penale, superabile nella teoria e nella pratica con poco più che un tratto di penna. Nessuno Tocchi Caino, e in generale l'esperienza radicale, ci ha insegnato anche sulla questione della pena e della detenzione a ragionare tenendo insieme la radicalità e la concretezza dell'approccio riformatore, sulla base di un'intelligenza onesta della realtà delle carceri, ma anche dei processi giudiziari che la precedono o l'accompagnano. Da membro dell'attuale esecutivo potrei rallegrarmi dell'obiettivo miglioramento delle condizione di detenzione e dell'efficienza di alcune misure deflattive del fenomeno del sovraffollamento, senza dimenticare che questo governo ha proseguito il lavoro avviato a partire dal governo Monti. Il Ministro Orlando, a cui gli stessi radicali riconoscono una sensibilità e un impegno non comuni, si è dimostrato consapevole che quella dell'esecuzione penale è una questione sensibile, che va sottratta alla demagogia giustizialista. Ma questo miglioramento, nell'atteggiamento come nei risultati, so che non è sufficiente. Mi permetterete allora di ragionare qui con voi non su cosa altro potrebbe o dovrebbe essere fatto per garantire la piena "costituzionalizzazione" delle carceri italiane, ma su quali dovrebbero essere, a mio avviso, i presupposti politico-culturali di questo impegno e le forme di presenza in una discussione pubblica, in cui della pena detentiva si tende a parlare come di un "dispositivo di sicurezza" universale, che può essere ordinariamente preventivo e non solo successivo alla condanna, proprio perché non adempie a una funzione strettamente penale, ma politica, morale e simbolica. Le carceri italiane - lo dico sinceramente - non potranno migliorare se non migliora il discorso politico sulla pena o se continua ad essere egemonizzato da quanti, più che a Cesare Beccaria, sembrano ispirarsi a Giorgio Bracardi e al suo famoso tormentone: "In galera!". E il discorso pubblico non potrà migliorare se non sapremo uscire dalla logica che sembra contrapporre i colpevoli alle vittime - come a dire: "Con chi stai, con chi ha compiuto un delitto o con chi l'ha subito?" - e quindi fa automaticamente prevalere qualunque sciocchezza o violenza imposta nel nome delle persone per bene su qualunque ragione che riguardi i diritti dei detenuti. Occorre uscire da questa trappola, e occorre uscirne ogni volta che si ritorna nel discorso, non potendolo fare una volta per tutte. Dobbiamo chiederci a cosa serva e quanto serva la galera. Per quelli che ci stanno, in galera, e per chi sta fuori e dalla galera dei primi dovrebbe essere protetto o risarcito. Questo è il punto di partenza realistico, non idealistico, di una riflessione seria sul carcere. Prendiamo anche il caso delle più gravi emergenze, come quella del terrorismo islamista. Possiamo davvero pensare che il carcere sia una soluzione, se scopriamo sempre più casi in tutta Europa in cui proprio la detenzione ha trasformato dei ragazzi di strada in degli islamisti radicali e suggellato il passaggio dalla piccola delinquenza alla grande criminalità? Il carcere come discarica sociale non funziona, perché ad essere stoccati nelle celle non sono materiali inerti, ma persone vive che reagiscono all'afflizione e all'alienazione cercando comunque vie di fuga, e inseguendone di peggiori se non gliene vengono offerte di migliori. In questo, il carcere è davvero come la guerra. Una risposta quasi sempre obbligata e imposta dalle circostanze, ma che non può rappresentare una via ordinaria di risoluzione delle problematiche cui il diritto penale deve porre rimedio. Proprio come la guerra, inoltre, il carcere non può emanciparsi dal diritto, avendone uno proprio, che deve essere razionale, per essere rispettato, non può fotografare i semplici rapporti di forza tra le parti e deve tenere in conto i diritti dei prigionieri. Il parallelo con la guerra è oggi particolarmente calzante, proprio perché c'è un ampio schieramento politico che chiede insieme più guerra - in Siria - e più galera - in Italia - senza porsi neppure il problema del fine a cui questi mezzi dovrebbero servire, ma volendo dare demagogicamente il segno di fronteggiare un'emergenza incombente. Il governo così è oggi costretto a rispondere a accuse surreali: da una parte di volere liberare i delinquenti, per avere aperto in maniera molto cauta a misure alternative alla detenzione, e di non volere combattere i terroristi, per il solo fatto di non essere partito lancia in resta, dopo gli attentati di Parigi, a bombardare da qualche parte, anche a caso, nello scenario siriano. Come se, peraltro, le migliaia di soldati italiani impegnati sul campo, dall'Afghanistan, al Libano, all'Iraq non esistessero. Per tornare al titolo e al tema di questo congresso - Spes contra spem - penso che la speranza che noi dobbiamo coltivare è quella di una politica che si fa forte e fiera dei propri principi di diritto. Perché, come Pannella non si stanca di ricordare, una politica e una galera senza diritto o contro il diritto sono destinate a diventare un'uguale e indistinguibile barbarie. Il Presidente del Senato Grasso scrive a Pannella: "stop alla pena di morte" La Fatto Quotidiano, 20 dicembre 2015 La battaglia la porta avanti da anni l’associazione Nessuno Tocchi Caino, promotrice di una campagna per l’abolizione universale della pena di morte. Ieri il presidente del Senato Pietro Grasso ha scritto un messaggio per esprimere il suo apprezzamento per "l’attività che l’associazione Nessuno tocchi Caino svolge da anni e per l’impegno profuso nella difesa dei diritti umani e della tutela della persona, con ricerche sistematiche e mobilitazioni dell’opinione pubblica". Il testo è contenuto in una lettera che la seconda carica dello Stato ha inviato al leader radicale Marco Pannella, presidente dell’associazione. "Il nostro Paese - scrive Grasso - è da sempre in prima linea nella lotta contro la pena capitale e nella salvaguardia del valore della vita, in linea con lo spirito e il significato più profondo del concetto di democrazia e nel rispetto del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. La pena di morte non rende più sicura la nostra società, non rende migliore i mondo. La violenza genera violenza". Mattiello (Pd): ergastolo ostativo? senza collaborazione nessuna premialità Ansa, 20 dicembre 2015 "A chi è condannato per mafia lo Stato deve garantire la speranza, ma ancorandola sempre alla collaborazione. Senza collaborazione, nessuna premialità". A dirlo è il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia, replicando alle parole del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Santi Consolo. "Condivido lo spirito delle parole del capo del Dap riportate dalle agenzie: conosco il quotidiano sforzo suo, dei suoi collaboratori e del Corpo degli agenti penitenziari nel far diventare sempre di più il carcere una esperienza che coniughi il rigore della pena con la dignità della persona e il dettato costituzionale". "Ma quando il detenuto è condannato per 416 bis (ovvero per associazione di tipo mafioso) - osserva Mattiello - le premialità devono restare legate alla scelta di collaborare. Perché soltanto la scelta di collaborare con lo Stato rappresenta oggettivamente la decisione irrevocabile e simmetrica di rompere con l'organizzazione mafiosa: perché chi collabora diventa un infame agli occhi dell'organizzazione e quindi sarà la medesima organizzazione a non volerne più sapere. Ammesso che la collaborazione sia autentica e non pilotata dagli stessi ambienti mafiosi. Provocare attraverso la collaborazione questa rottura di fatto, è l'unica garanzia per lo Stato che il mafioso tornando sul territorio non ricominci a fare il mafioso. È doveroso su questo punto tenere in conto le più recenti evidenze investigative della Dda di Palermo che a più riprese ha messo in evidenza come mafiosi tornati sul territorio a fine pena, abbiano ricominciato da dove avevano lasciato. E non si può non considerare che la forza delle mafie sta proprio nella "resilienza", cioè nella capacità di durare nel tempo, sapendo sopportare il carcere, in silenzio, senza tradire gli interessi di quelli che restano fuori e che tutelano gli interessi di chi sta dentro e aspettano. Abbiamo avuto recenti conferme di quanto paghi tacere in carcere e sopportare condanne prese per essere stati mafiosi o per aver favorito la mafia. Abbiamo altrettanto recenti conferme di quanto ai mafiosi pesi il regime del 41 bis. Nessun tentennamento dunque su questo punto: il mafioso "buono" in carcere - conclude Mattiello - è soltanto quello che collabora". Il Sottosegretario Ferri: un paese solidale abbia attenzione per chi paga errori Dire, 20 dicembre 2015 "Incontrare le detenute ed il personale è sempre un momento di grande partecipazione e riflessione e consente di di rafforzare l'attenzione delle Istituzioni sui luoghi di detenzione". Lo dice il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, che si è recato in visita presso l'Istituto penitenziario minorile femminile di Pontremoli per gli auguri di buone feste alle detenute, a tutto il personale e ai volontari che operano all'interno della struttura. Nel corso della sua visita, il sottosegretario Ferri si è intrattenuto a lungo con le detenute, confrontandosi su varie tematiche e stimolando le stesse "a procedere con determinazione nel loro percorso rieducativo". Ferri sottolinea che "è importante che le detenute comprendano l'importanza del percorso rieducativo e del buon esito del loro percorso di reinserimento sociale. Una società sana e solidale deve avere attenzione anche per chi ha sbagliato e sta pagando i suoi errori. Il ministero della Giustizia ha avviato un progetto rivoluzionario sull'idea di detenzione, basato sul rafforzamento delle finalità rieducative e riabilitative e sull'umanizzazione della pena. Il nostro impegno è costante e la nostra determinazione sta iniziando a dare buoni risultati. Ho portato il mio personale ringraziamento a tutto il personale per la professionalità e l'impegno profuso nell'attività finalizzata non solo a garantire la sicurezza ma anche una seria e concreta rieducazione". Ferri conclude: "Grazie al lavoro di queste persone che operano sul campo, la nostra società potrà riacquistare persone nuove e inserite in modo positivo nel contesto sociale? L'Ipm di Pontremoli può essere considerato un'eccellenza sia per lo stato della struttura, recentemente ristrutturata, sia per le attività ed i corsi svolti all'interno, che aiutano a far comprendere alle giovani ragazze gli errori commessi e per far capire loro come si possa ripartire". Braccialetti elettronici, un investimento costoso e invisibile di Giuliana De Vivo Pagina99, 20 dicembre 2015 Avrebbe dovuto favorire la concessione degli arresti domiciliari agli imputati in attesa di giudizio o ai condannati con pena da scontare tra le mura di casa, facilitandone il controllo. Ridurre la popolazione carceraria e contenere i costi. Invece a oltre quindici anni di distanza il braccialetto elettronico, introdotto con il decreto legge n. 341 del 2000 (che ha modificato l'articolo 275 bis del codice di procedura penale) ha prodotto pochi effetti e molte polemiche: da ultima, tra il 30 novembre e il 4 dicembre scorsi, è stata l'Unione delle Camere Penali a promuovere l'astensione dalle udienze. "Più braccialetti elettronici, meno carcere", lo slogan per denunciare che la norma trova spesso applicazione solo virtuale, "perché nella maggior parte dei casi il giudice vincola il beneficio dei domiciliari alla verifica dell'effettiva disponibilità del braccialetto", spiega l'avvocato Valentina Alberta, referente per il carcere della Camera Penale di Milano: "Quando il dispositivo manca, l'imputato viene inserito in una lista d'attesa, e di fatto resta in cella finché non se ne libera uno". Di recente la Cassazione (sentenza n. 35571 dell'agosto scorso), cambiando il suo precedente orientamento, ha stabilito che la concessione della misura non può essere subordinata alla concreta possibilità di impiego dei braccialetti. Come mai questi strumenti -c he in Italia in realtà sono delle cavigliere - scarseggiano? "Oggi ce ne sono in circolazione circa duemila, ne servirebbero almeno seimila", argomenta l'avvocato Riccardo Polidoro, presidente dell'Osservatorio Carcere. E già questi sono costati un occhio della testa: 11 milioni di euro ogni anno. Il contratto di fornitura stipulato nel 2001 dal ministero dell'Interno con Telecom Italia per il noleggio, l'installazione e il collegamento alle centraline di polizia, carabinieri e guardia di finanza, aveva durata decennale. Fino alla sua prima scadenza se ne sono visti in media appena 15 all'anno, secondo la Corte dei conti, che in una delibera del 2012 stigmatizzò "la sproporzione tra gli elevati costi e il numero veramente esiguo delle avvenute utilizzazioni". Il vice capo della polizia Francesco Cirillo, ascoltato in Parlamento, ammise: "Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno". Eppure il Viminale nello stesso anno decise di rinnovare la convenzione fino al 2018, portando il numero di dispositivi dai 500 del primo appalto ai duemila attuali. "Essendo economie di scala, costerebbe meno produrne ancora di più", fa notare l'avvocato Alberta. A investimento fatto, almeno non vanificare del tutto la spesa. "L’altra cucina", da Prison Fellowship pranzi stellati per detenuti e detenute di 5 carceri zenit.org, 20 dicembre 2015 Il 21 dicembre la presentazione dell'iniziativa promossa per il Giubileo da Prison Fellowship Italia Onlus, in collaborazione con il Rinnovamento nello Spirito Santo. "L’Altra cucina… per un pranzo d’amore" è un’iniziativa promossa da Prison Fellowship Italia Onlus in collaborazione con il Rinnovamento nello Spirito Santo all’inizio del Giubileo della Misericordia, per offrire a centinaia di detenuti e detenute un pranzo natalizio preparato da chef "stellati" e servito da testimonial d’eccezione del mondo ecclesiale, dello spettacolo, della musica, del cinema, della televisione e del teatro. Dopo il felice esito della prima esperienza realizzata il 24 dicembre 2014 nel carcere di Rebibbia, quest’anno, l’iniziativa in programma il 23 dicembre 2015, verrà realizzata ancora a Rebibbia (Roma) e per la prima volta a Casal del Marmo (Roma), Opera (Milano), Sant’Anna (Modena), Pagliarelli (Palermo). Sarà Heinz Beck a cucinare per 340 detenute della Casa Circondariale femminile di Rebibbia; Filippo La Mantia per 60 detenuti del carcere Opera di Milano insieme ai loro familiari (spose, mamme, figli, fratelli per un totale di 250 persone); nella Casa circondariale Sant’Anna di Modena Carmine Giovinazzo, campione di Master Chef, per 40 detenute e 300 detenuti. Ancora nell’Istituto Penale Maschile e Femminile per minorenni di Casal del Marmo, Marco Moroni si occuperà del pranzo per i 70 detenuti divisi in tre sezioni, due maschili e una femminile; a Palermo, nella Casa Circondariale Pagliarelli, 49 detenute potranno festeggiare insieme ai familiari (160 persone) grazie a Giampiero Colli. Il senso "giubilare" e i dettagli dell’iniziativa, insieme ai nomi degli artisti presenti e dei tanti partner e sponsor che contribuiranno alla realizzazione dei pranzi, verranno resi noti nella conferenza stampa di presentazione che si terrà il prossimo il 21 dicembre, alle 12, presso la Sala Salviati dell’Hotel Columbus di Roma (via della Conciliazione 33). Interverranno Heinz Beck, chef di fama mondiale, e Salvatore Martinez, presidente nazionale RnS. Napoli: chiuso il primo manicomio criminale di Lara Sirignano Il Messaggero, 20 dicembre 2015 "Da domani la struttura di Secondigliano non avrà più detenuti, tutti i malati vengono trasferiti nei centri sanitari della Regione. Il ministero: "Persone da trattare come pazienti". Ma gli altri cinque ospedali psichiatrici giudiziari restano ancora attivi. Gli ultimi "ospiti" se ne andranno domani. E l'ospedale psichiatrico giudiziario di Secondigliano a Napoli, tra meno di 24 ore vuoto, sarà il primo dei sei italiani a chiudere definitivamente i battenti. Parlare di primato, però, è paradossale, tanto più se la legge che prevede la chiusura degli Opg e la loro sostituzione con centri sanitari regionali realizzati ad hoc risale al 2012. Nei quattro anni trascorsi da quella che viene considerata una sorta di rivoluzione culturale nel trattamento dei detenuti con problemi mentali gli enti locali avrebbero dovuto dotarsi delle Rems, appunto, le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria in cui trasferire chi era internato nei vecchi manicomi giudiziari. Ma tra lungaggini burocratiche e ostacoli politici i tempi si sono dilatati. E ad oggi sono solo 22 le strutture realizzate. Troppo poche per assorbire i 689 internati negli Opg, che quindi sono rimasti in funzione, pur non potendo accogliere nuove persone. Il passaggio tra vecchio e nuovo va avanti a rilento, dunque, con problemi enormi. Le Regioni fanalino di coda nell'attuazione della normativa, come il Veneto e la Calabria, già diffidate dal governo, rischiano il commissariamento. A! momento, visto che le Rems esistenti sono sature, sono 167 i detenuti da ricollocare, numero a cui vanno aggiunti gli eventuali nuovi destinatari di misure di sicurezza. Un problema non da poco di cui fa le spese anche la magistratura, che si trova a gestire casi di persone pericolose destinatarie di misure cautelari o per le quali sono state decise misure di sicurezza e non sa dove metterle. "Abbiamo esempi di soggetti accusati di reati gravi come l'omicidio e la violenza sessuale - spiegano alcuni pm - che non riusciamo a mandare nei centri appositi, tutti al completo". Gli Opg, infatti, non possono prendere nuovi internati, le Rems non bastano e il carcere sarebbe illegale. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, comunque, quello di lunedì è un primo risultato: chiude Secondigliano -il padiglione che ospitava il manicomio giudiziario verrà poi utilizzato dall'istituto di pena - e i vecchi ospiti andranno nel centro di San Nicola Baronia. Quando la stessa sorte toccherà a Barcellona Pozzo di Gotto, Aver sa, Monte-lupo, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere, ancora non è dato saperlo. Se Calabria e Veneto sono in coda alla classifica, tra le Regioni virtuose, ammesso che di virtù possa parlarsi visti i ritardi, ci sono l'Emilia Romagna, con due centri realizzati, il Lazio e la Sicilia, pure a quota due, e la Campania, che ne ha quattro. Ciascuno ha una capienza massima di 20 persone, numero fissato per assicurare ai detenuti un trattamento sanitario adeguato, che è poi l'obiettivo della riforma. "L'elemento importante di questa riforma- spiega Roberto Piscitello, magistrato e direttore del Dipartimento dei detenuti e del trattamento del Dap - è proprio il nuovo approccio culturale: gli internati dichiarati incapaci di intendere e di volere saranno d'ora in poi trattati solo da un punto di vista sanitario e non penitenziario". Una svolta che sì traduce anche nell'assenza di sbarre alle finestre e di agenti penitenziari. Dato questo che suscita in realtà anche qualche preoccupazione tra gli addetti ai lavori, costretti a fare i conti con la sicurezza del personale - le Rems fanno capo al servizio sanitario - e con l'incolumità dei cittadini. Alba (Cn): il Sindaco ha nominato il Garante comunale dei diritti dei detenuti targatocn.it, 20 dicembre 2015 Il Sindaco di Alba Maurizio Marello ha nominato il signor Alessandro Prandi "Garante comunale dei diritti dei detenuti" ospitati nella Casa di Reclusione "Giuseppe Montalto", come previsto dopo l’approvazione dell’Ordine del giorno presentato dal Consigliere comunale William Revello durante il Consiglio comunale del 28 aprile 2015. Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale a livello regionale, provinciale e comunale è una novità degli ultimi anni nel contesto carcerario. I Garanti interagiscono con i detenuti, ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei reclusi, violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Alessandro Prandi è stato Direttore di Univol - Csv di Torino dal 2000 al 2014. Attualmente è responsabile area promozione, formazione e comunicazione del Centro Servizi per il Volontariato Torino, collaboratore/redattore della Rivista Solidea - Società di Mutuo Soccorso ed Istruzione del Sociale, volontario all’interno dell’associazione "Genitori Girotondo" di Corneliano d’Alba e gestore del blog su tematiche sociali "Robe da Circo". Sassari: lo stagno di Platamona rinasce grazie ai detenuti di Salvatore Santoni La Nuova Sardegna, 20 dicembre 2015 Tanti piccoli interventi: dal percorso di agility-dog, alle altalene, al bike sharing. Una iniziativa sociale portata avanti dalla Coop Andalas e dal carcere di Bancali. Far rinascere un ramo rinsecchito costruendo una targhetta ecosostenibile, costruire un’altalena riciclando le travi bruciacchiate di un vecchio chiosco, mettere in piedi una ciclofficina per il servizio di bike sharing, realizzare incannucciate per opere di ingegneria naturalistica. Sono soltanto alcuni dei lavori svolti nello stagno di Platamona dai detenuti beneficiari del progetto "Turismo Responsabilmente", finanziato dalla Fondazione con il Sud e portato avanti dalla partnership tra la coop Andalas de Amistade e la casa circondariale di Sassari. Ieri mattina, le funzionarie Rosanna Roggio e Francesca Mastino hanno effettuato un sopralluogo dell’area per tirare le somme delle attività svolte. All’incontro hanno partecipato anche l’assessore all’Ambiente, Gianni Tilocca, e la consigliera comunale Raffaela Barsi. L’esercito dei venti. Arrivano di primo mattino armati di pettorina fosforescente, guanti e attrezzi da lavoro: sono i venti detenuti che dal lunedì al venerdì si recano nel Sic per lavorare a restituire dignità a se stessi e ai luoghi. Nell’ultimo anno di progetto hanno tirato su lo stagno di Platamona per come lo si conosce oggi. L’Agility dog - lo spazio dedicato agli amici a 4 zampe - è rinato anche grazie agli scarti bruciacchiati della Pinetina, la struttura ricettiva della settima discesa a mare andata incenerita qualche anno fa. Le ragazze e i ragazzi si son messi di buona lena e in pochi mesi hanno aperto al pubblico una delle poche aree attrezzati per cani della zona. E poi c’è la ciclofficina, che è un piccolo angolo super attrezzato per rimettere in sesto le biciclette del bike sharing. Fra le loro mani, vecchi oggetti riacquistano nuova vita, pronti a un nuovo utilizzo. L’unica regola è la sostenibilità. Allo stagno perfino le targhette sono sostenibili, ricavate dagli scarti delle potature degli alberi. Restituire fruibilità. A Platamona si è innescato un circuito virtuoso. Persone fragili, i cosiddetti outsiders, hanno ridato dignità a un luogo che per decenni era rimasto abbandonato. "A questo punto non sappiamo più chi è il vero beneficiario di questo progetto", ha detto durante l’incontro Agostino Loriga, vice presidente della Andalas. Sì perché, il lavoro svolto dai detenuti non è soltanto utile alla loro personale situazione, ma anche alla comunità. "Non mi dimenticherò mai le condizioni di questo posto quando abbiamo messo piede con Andalas - ha continuato Loriga. La cosa più importante è che abbiamo restituito una ricchezza del territorio alla fruibilità collettiva". Il progetto. L’incontro di ieri è la conclusione della prima annualità di "Turismo Responsabilmente", il progetto finanziato dalla "Fondazione con il Sud" e realizzato grazie alla partnership tra la casa circondariale "Bacchiddu" di Sassari, l’Ufficio esecuzioni penali esterne, il Comune di Sorso, l’associazione Albatross e il consorzio Andalas de Amistade. Il progetto è stato avviato nell’agosto del 2014, e oggi si è tradotto nel recupero di un’area dissestata dove sono state realizzate una zona fitness, un parco giochi per bambini e l’Agility dog per i cani. E ancora, l’organizzazione di momenti quotidiani di animazione territoriale e il potenziamento del servizio di noleggio biciclette con la realizzazione di una ciclofficina. Il futuro. Gli ottimi risultati raggiungi in questa esperienza hanno convinto la partnership di enti a intavolare una discussione su progetti futuri. E considerata la particolarità del territorio di Sorso, a vocazione prettamente agricola, la partnership ha individuato questo settore come l’anello di congiunzione delle prossime attività. La Spezia: Uil-Pa; mancano le telecamere, agenti di Polizia penitenziaria a rischio cittadellaspezia.com, 20 dicembre 2015 La denuncia arriva da Fabio Pagani, coordinatore regionale della Uil-Pa, a margine del sopralluogo effettuato in mattinata presso la casa circondariale della Spezia. Sicurezza degli operatori di polizia penitenziaria al centro dell'attenzione stamattina al carcere della Spezia, che ospita circa 180 detenuti. La Uil Pa penitenziari ligure, infatti, con il coordinatore regionale Fabio Pagani ha effettuato un sopralluogo presso la casa circondariale diretta dalla dott.ssa Bigi per denunciare il pesante gap costituito dalla mancanza di telecamere - la cui presenza non è un optional, ma un obbligo di legge - al primo dei tre piani della struttura, nonché i diffusi malfunzionamenti di alcune di quelle presenti. "Questa grave carenza - ha spiegato Pagani fuori dai cancelli di Villa Andreino - non è accettabile, tanto più visto che parliamo di una struttura di recente ristrutturazione. Senza telecamere (ne mancano una ventina) è impossibile attuare quel controllo da remoto che è invece imprescindibile in un carcere moderno, e che consente la gestione automatizzata dei cancelli. Invece alla Spezia un agente deve essere presente con le chiavi, rischiando aggressioni e altri eventi critici, e sappiamo che la casa circondariale spezzina, assieme a Marassi, è una di quelle più calde, da questo punto di vista". Dalla Uil Pa penitenziaria arriva quindi la forte richiesta, rivolta al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al Provveditore regionale, dott. Carmelo Cantone, perché si intervenga puntualmente. Come sempre, è questione di soldi. "Per sistemare la situazione - spiega Pagani - servirebbero non oltre 100mila euro. Già un anno fa c'era stata una mezza promessa, ma la situazione al momento non è cambiata". Dal sindacato, che rappresenta circa il 20% degli agenti operanti a Villa Andreino (una novantina) arriva infine la richiesta di trasferire almeno una parte dei detenuti psichiatrici presenti nella struttura. Una decina di reclusi da tenere sotto stretta sorveglianza in quanto spesso protagonisti di atti di violenza verso agenti, verso altri detenuti e verso sé stessi. In occasione del sopralluogo, il sindacato Uil Pa ha anche realizzato un reportage fotografico che testimonia alcune situazione di degrado all'interno della struttura carceraria. Campobasso: gli studenti progettano e i detenuti realizzano le nuove fioriere in città di Stefania Potente primopianomolise.it, 20 dicembre 2015 Il progetto è degli studenti del "Pilla", la manodopera è dei detenuti della casa circondariale di Campobasso. Una sinergia che ha consentito di regalare alla città fioriere di legno che da ieri rendono più gradevole via Palombo. L’iniziativa di arredo urbano rientra nell’ambito del progetto "Il gioco delle tre piazze" che riguarderà piazzetta Palombo, piazza Pepe e via Ferrari: saranno riqualificate in un’ottica di sviluppo di un circuito turistico e ricettivo. "È stato un bel lavoro di squadra e contiamo nella presenza massiccia dei cittadini, anche per mostrare l’impegno e la dedizione messa in essere dai detenuti, per i quali si sta cercando in questa città di far emergere i principi del loro recupero sociale", le parole dell’assessore Bibiana Chierchia durante la conferenza stampa per la presentazione del progetto. Fossano (Cn): "Natale di Barabba", lo shopping delle feste si fa in galera di Jacopo Ricca La Repubblica, 20 dicembre 2015 Oggi il carcere apre le porte al pubblico con mercatini, libri e incontri. A Fossano le porte del carcere si aprono per Natale, non per far uscire i detenuti, ma per far entrare i cittadini. Oggi nella Casa di reclusione ci sarà il terzo e ultimo appuntamento del "Natale di Barabba". Una giornata in cui una parte della struttura si trasforma in una delle piazze della città: nei due weekend passati centinaia di persone hanno partecipato agli incontri, visitato le mostre e acquistato le produzioni gastronomiche, ma non solo, in arrivo da tante carceri italiane. Il "mercatino" propone molte idee regalo per sostenere chi cerca di cambiare vita dopo la reclusione. I tre appuntamenti, compreso quello di domani, sono diventati realtà grazie all'impegno di 14 detenuti. Anche domani sarà possibile visitare le mostre fotografiche e partecipare alle presentazioni di libri. Alle 16.30 poi il direttore del carcere Domenico Arena presenterà il progetto sperimentale che renderà Fossano una delle strutture più innovative d'Italia sull'inserimento nella vita sociale dei detenuti. All'incontro parteciperanno anche il viceministro alla Giustizia Enrico Costa, il provveditore regionale, Luigi Pagano e il garante dei detenuti, Bruno Mellano. L'iniziativa che prenderà vita da gennaio sarà sostenuta anche dall'amministrazione cittadina, presente domani con il sindaco Davide Sordella. La piazza che ospita il "Natale di Barabba" dovrebbe trasformarsi sempre più spesso in uno spazio della città dove i detenuti e il tessuto produttivo della provincia Granda si incontrano in nuovo modello di gestione del periodo di reclusione. Teramo: l’Unitalsi di Atri organizza il "Natale in famiglia" per i detenuti di Castrogno cityrumors.it, 20 dicembre 2015 Torna per il quarto anno il "Natale in famiglia", l’iniziativa organizzata dalla sottosezione Unitalsi di Atri in favore delle famiglie e dei figli dei detenuti della casa circondariale di Castrogno. Una 4 giorni di festa, musica e trucca-bimbi che si svolgerà nell’istituto detentivo in occasione degli orari di visita, ma anche all’interno della sezione femminile della Casa Circondariale dove vivono i bambini fino a 3 anni con le loro mamme. Dal 21 al 24 dicembre, dunque, i volontari unitalsiani si alterneranno per offrire, soprattutto ai più piccoli, momenti di spensieratezza e di gioia con la semplicità del gioco e dei laboratori d’arte con colori, maschere e tanta musica. Prevista anche la distribuzione di tanti regali in collaborazione e con il sostegno della Direzione della Casa Circondariale. "È il quarto anno", spiega Marino Pagamonte, presidente della sottosezione Unitalsi di Atri, "che con grande gioia ci mettiamo in gioco per essere portatori di misericordia e di speranza soprattutto per i più piccoli che vivono un Natale particolare con uno dei propri genitori detenuto in carcere. La nostra iniziativa vuole essere anche un segno concreto del Giubileo voluto da Papa Francesco per essere vicino soprattutto a chi si trova in difficoltà e vive ai margini". Frosinone: "Filatelia nelle carceri", è il turno di Paliano vaccarinews.it, 20 dicembre 2015 La cittadina laziale ospita anche un penitenziario, dove è stato introdotto il progetto "Filatelia nelle carceri". Ieri la visita della presidente di Poste italiane, Luisa Todini. Anche la prefetto di Frosinone, Emilia Zarrilli, non si è sottratta alla cerimonia marcofila. È accaduto ieri presso il penitenziario di Paliano, dove ha accolto la presidente di Poste italiane, Luisa Todini, in visita per il progetto "Filatelia nelle carceri". Motivo formale della visita, la presentazione delle cartoline con gli elaborati grafici realizzati dai reclusi. Nel corso della cerimonia, gli autori hanno illustrato quanto fatto, proponendo inoltre alcune loro poesie e qualche riflessione sul significato dell’attività. Cui si è aggiunta l’esibizione del coro nella locale cappella. All’incontro c’erano pure il direttore della direzione generale detenuti e trattamento del ministero della Giustizia, Roberto Calogero Piscitello, e la "padrona di casa", ossia la responsabile della struttura, Nadia Cersosimo. I francobolli - ha osservato Luisa Todini - "sono il simbolo di una forma di comunicazione antica ed ancora molto importante, soprattutto per chi - come i detenuti - è in grado di apprezzare fino in fondo il "valore aggiunto emotivo" della lettera scritta a mano rispetto alle alternative tecnologicamente evolute come sms o e-mail. Ma la filatelia, con le sue emissioni dedicate ai protagonisti della nostra storia o ai capolavori del nostro patrimonio artistico, è soprattutto l’occasione per iniziare percorsi di arricchimento culturale che risultano fondamentali per una piena ed efficace applicazione di quel principio di "rieducazione" che la nostra Costituzione indica come obiettivo della pena detentiva". "Un’esperienza toccante", ha commentato il responsabile per la filatelia della società, Pietro La Bruna. "Ha permesso, ancora una volta, di scoprire un mondo che dall’esterno non conosciamo, e che magari riteniamo differente". Intanto, si guarda avanti, e ad annunciarlo è la stessa presidente di Poste, nel caso specifico come rappresentante apicale di Poste Insieme Onlus: la prima casa famiglia protetta per le madri detenute ed i loro bambini, iniziativa promossa e sostenuta dalla fondazione in accordo con il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero alla Giustizia e con il Comune di Roma, vedrà la luce nei primi mesi del prossimo anno. Trapani: iniziato anche in carcere il Giubileo della Misericordia tp24.it, 20 dicembre 2015 Dopo l’apertura delle "Porte Sante" nelle chiese giubilari, questa mattina il vescovo Pietro Maria Fragnelli ha aperto l’Anno Santo della Misericordia con i detenuti e il personale in servizio presso la Casa Circondariale "San Giuliano" di Trapani. "Questo è il tempo di lasciarci toccare il cuore - ha detto nella riflessione inziale - Qualunque sia il dramma che avete vissuto o che avete provocato non dovete dubitare dell’Amore di Dio che ci raggiunge in qualsiasi realtà e situazione ci troviamo per offrirci il suo perdono". Il vescovo si è soffermato anche sull’importanza di imboccare la via del cambiamento: "Il perdono ci fa uscire dal deserto della nostra vita. Per iniziare un vero cambiamento dobbiamo abbandonare i sentimenti di rancore, di vendetta, di violenza. La corruzione impedisce di guardare al futuro perché con la sua prepotenza schiaccia i più poveri. È una forma di potenza, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo che si nutre già nei gesti quotidiani - ha continuato - se non la si combatte apertamente, a partire da ciascuno di noi, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza". Il vescovo ha invitato poi a "non smettere di ascoltare il pianto di tutte le persone innocenti" citando come esempio l’agente di polizia penitenziaria Giuseppe Montalto, ucciso vent’anni fa, il 23 dicembre del 1995 dalla mafia nella frazione di Palma. "Vi auguro che alla scadenza giudiziaria della vostra pena possiate dire a voi stessi: esco non solo perché ho scontato la mia pena, esco perché sono una persona cresciuta nella mia dignità di persona, cha ha incontrato Dio, che è stato perdonato e vuole perdonare". La Santa Messa presieduta dal vescovo e concelebrata dal cappellano don Cacciatore, è stata animata da una corale di volontari che si alternano settimanalmente per la celebrazione eucaristica del sabato e della domenica. Accanto al vescovo come ministranti, due detenuti. Uno di loro, Giosuè Di Gregorio è l’autore del bellissimo presepe realizzato un sapone e posto davanti all’altare. Semplice e intenso il saluto che ha portato uno dei detenuti, Vito Cunzolo. Un augurio al vescovo esteso al direttore Persico, al comandante della polizia penitenziaria Romano, al personale, agli insegnanti e ai volontari e alle loro famiglie: "chiediamo pace, armonia, serenità e non …guasterebbe un po’ di libertà e che questo Natale ci porti il dono del cambiamento interiore". Al termine della Santa Messa il direttore della Casa Circondariale Renato Persico, a nome del personale, ha detto di accogliere l’invito al perdono fatto dal vescovo. "Portiamolo oltre: facciamolo diventare impegno attivo per migliorare le condizioni di detenzione. La chiusura di due reparti che sono in ristrutturazione che quindi garantiranno quindi locali più dignitosi e idonei alla detenzione e il calo del numero dei detenuti - ha affermato - sono elementi che vanno in questa direzione. Come il momento di festa vissuto con i figli dei detenuti perché spesso mogli e figli dei detenuti -ha continuato - sono anch’essi vittime incolpevoli". "Spero che quest’incontro possa scaldare il vostro cuore e che faccia germogliare nel cuore di tutti la certezza che cambiare è sempre possibile" - ha continuato i vescovo annunciando che durante l’Anno Santo sarà celebrato anche un appuntamento per il Giubileo dei carcerati. Quindi il canto di "Tu scendi dalle stelle" e lo scambio degli auguri di Buon Natale. Pontremoli (Ms): il sottosegretario Ferri in carcere per fare gli auguri alle detenute La Nazione, 20 dicembre 2015 L’esponente del governo è entrato nel "minorile" di Pontremoli e ha incontrato anche i volontari. Il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, ha visitato stamane l’Istituto Penitenziario Minorile Femminile di Pontremoli. L’esponente del governo ha fatto gli auguri di buone feste alle detenute, a tutto il personale e ai volontari che operano all’interno della struttura. Nel corso della sua visita si è intrattenuto a lungo con le detenute, confrontandosi con loro e stimolandole a procedere nel percorso rieducativo. "Incontrare le detenute ed il personale consente di rafforzare l’attenzione delle Istituzioni sui luoghi di detenzione - ha detto Ferri. È importante che le detenute comprendano l’importanza del percorso rieducativo e del buon esito del loro percorso di reinserimento sociale. Una società sana e solidale deve avere attenzione anche per chi ha sbagliato e sta pagando i suoi errori. Il Ministero della Giustizia ha avviato un progetto rivoluzionario sull’idea di detenzione, basato sul rafforzamento delle finalità riabilitative e sull’umanizzazione della pena". Catanzaro: concerto di Antonio Grosso e le Muse nella Casa circondariale ntacalabria.it, 20 dicembre 2015 Si è svolto nei giorni scorsi in occasione del periodo natalizio, il concerto di Antonio Grosso e le Muse del Mediterraneo all’interno della casa circondariale di Catanzaro. Un evento importante e di forte significato basti pensare che in precedenza sullo stesso palco si erano esibiti Mimmo Cavallaro, Cosimo Papandrea ed Eugenio Bennato. L’evento, fortemente voluto dall’Associazione Promocultura presieduta dal Maestro Tommaso Rotella e dal direttore del carcere Dott.ssa Angela Paravati, è stato organizzato per portare gli auguri di Natale alla popolazione detenuta in modo da creare un’atmosfera allegra e ludica in un periodo dell’anno che da sempre suscita forti emozioni. Un regalo per oltre 400 detenuti provenienti non solo dalla Calabria ma più in generale da ogni Regione del Sud. Antonio Grosso e le Muse del Mediterraneo con una formazione insolita con a capo il grande maestro d’organetto, che l’Italia tutta ci invidia, e 5 ragazze musiciste, ballerine e cantanti. Dopo aver calcato i palcoscenici di tutto il mondo con la loro musica e con il loro spettacolo fatto di tradizione e innovazione musicale, hanno potuto esibirsi in una situazione insolita per loro ma sicuramente stimolante e ricca di emozioni. La musica come mezzo di conciliazione e aggregazione, rinascita e speranza. Un gesto sicuramente ammirevole e di vicinanza a favore della popolazione detenuta visto anche il periodo giubilare dedicato alla "Misericordia". "È stato un grande piacere - ha dichiarato Emy Vaccari del gruppo di Antonio Grosso e le Muse del Mediterraneo - poter regalare una nostra esibizione e suonare per i detenuti del carcere di Catanzaro, un’esperienza particolare che abbiamo vissuto come un arricchimento interiore. Vogliamo ringraziare tutto il personale e i detenuti stessi per l’accoglienza. Questo invito ci ha dato l’opportunità di offrire una giornata diversa a queste persone che sicuramente hanno bisogno di un sostegno e un segnale di presenza e vicinanza da parte della società cosiddetta "esterna"; Ci siamo commossi con loro, e abbiamo sentito il loro calore vedendoli ballare e acclamarci con tanto entusiasmo, è stato come ritrovarsi tra amici". Il gruppo si è esibito anche in alcune session con l’ensemble "Suoni, Colori e Ritmi del Mediterraneo - Ugo Caridi" formato da detenuti dello stesso carcere di Catanzaro che hanno trovato appunto, nella musica, un buon metodo catartico per ripartire e ritrovarsi. Il concerto ha previsto una serie di canzoni "popolari" talune composte anche da loro stessi e l’esibizione di detenuti che si sono appassionati agli strumenti popolari. Una grande collaborazione e quindi un grazie alla polizia penitenziaria e al suo comandante e a tutto il personale amministrativo ed educativo. Sansonetti torna con "Il dubbio" Il Fatto Quotidiano, 20 dicembre 2015 Piero Sansonetti ci riprova. Dal prossimo anno sarà alla guida de "Il dubbio", quotidiano cartaceo e online, e web tv sponsorizzato, questa volta, dal Consiglio Nazionale Forense (il sito sarà online in febbraio. Il giornale cartaceo andrà in edicola ai primi di marzo, apprendiamo dal sito del Cnf). L’obiettivo degli avvocati è quello di portare il "garantismo fuori dalla clandestinità", quella dell’ex condirettore de l’Unità e poi direttore di Liberazione, Gli Altri, e il Garantista, lo spiega così al congresso di Nessuno Tocchi Caino, organizzato nel carcere di Opera a Milano: "Le notizie che vengono date tutti i giorni, vengono date secondo uno schema che risponde a determinate esigenze. Una delle quali, ma importante, è del populismo e del populismo nel campo penale. Tutto il sistema dell’informazione in Italia da vent’anni si è spostato a corpo morto su una posizione forcaiola". Ecco perché farlo: "C’è chi è sicuro: c’è chi c’ha il Fatto. E c’è chi ci ha il Dubbio. Noi abbiamo il Dubbio", dice Sansonetti. Instillandoci il dubbio, che per quella faccenda della clandestinità si dovrà aspettare. Il fronte turco della Nato di Chiara Cruciati Il Manifesto, 20 dicembre 2015 Dopo la risoluzione Onu sulla processo di pace, il Patto Atlantico manda aerei e navi in Turchia La Russia risponde a tono: "Invieremo altri mezzi militari". In Iraq un raid Usa uccide 9 soldati governativi: mea culpa a metà del Pentagono. Che strana la pace siriana. Mentre l’Onu dava il via libera alla risoluzione sul processo per uscire dalla quinquennale crisi, la Nato decideva di inviare alla Turchia navi, caccia e aerei di sorveglianza Awacs per rafforzarne il sistema di difesa. Una pace da mettere sotto assedio, fittizio ramoscello ulivo intrecciato ad una pistola carica. A gennaio, dopotutto, manca poco. Manca poco all’apertura del negoziato a cui trascinare parti scettiche, il governo Assad e il fronte fumoso delle opposizioni. Il tempo va usato per definire rapporti di potere. Con Mosca che gestisce buona parte delle operazioni anti-Isis, il Patto Atlantico si schiera alla frontiera, riconoscendo così legittimità all’aggressività turca contro l’alleato-avversario russo. La versione atlantica è opposta. Il segretario generale Stoltenberg precisa che il pacchetto di aiuti è una misura meramente difensiva e fonti interne aggiungono che è volto ad evitare incidenti simili all’abbattimento del jet russo. Insomma, serve a monitorare i turchi e raffreddare le tensioni con la Russia. Risponde a tono Putin: "Vediamo come sono efficienti i nostri piloti, la marina, l’esercito. Non sono il massimo delle nostre capacità. Abbiamo altri mezzi militari. Li useremo, se necessario", ha detto ieri il presidente russo riferendosi alla lotta all’Isis, a poche ore dall’adozione della risoluzione 2254. Quella risoluzione, salutata come un risultato storico (cessate il fuoco entro maggio, lancio del negoziato a gennaio) resta però invischiata nel non-detto: del futuro del presidente Assad non si parla, come non si parla di quali opposizioni potranno partecipare al negoziato. Nodi da sciogliere che spingono i vari protagonisti a ribadire le proprie posizioni. Se il ministro degli Esteri francese Fabius e il collega britannico Hammond insistino sulla necessità di assicurare l’uscita di scena di Assad, il segretario di Stato Usa Kerry non risparmia staffilate a Mosca: "Dobbiamo lavorare sulla percentuale di raid russi che effettivamente colpiscono l’Isis: se l’80% centrano le opposizioni, è una sfida da affrontare". Più soft è la posizione dell’Iran. Ieri Teheran ha abbassato le armi e dichiarato di adeguarsi alla posizione russa: Assad non è più una precondizione insuperabile. Secondo fonti interne alla Repubblica Islamica, l’ammorbidimento sarebbe frutto dell’incontro tra Putin e l’Ayatollah Khamenei, il mese scorso, ma anche del protagonismo russo che potrebbe limitare il tradizionale ruolo iraniano a Damasco. Screzi fiorivano anche intorno alla lista giordana di 157 gruppi esclusi dal negoziato: furiosa Teheran per l’inserimento (poi ritirato) delle Guardie Rivoluzionarie, infastidita la Turchia per l’esclusione del Pkk. L’impasse va superata: si tratta di un elemento centrale, base per i futuri raid. Che troppo spesso colpiscono obiettivi sbagliati. Venerdì è toccato alle truppe irachene, centrate a Fallujah da bombe Usa: "La coalizione stava coprendo l’avanzata delle truppe di terra vicino Fallujah perché i nostri elicotteri non potevano alzarsi in volo per il cattivo tempo - ha detto il ministro della Difesa al-Obeidi - Il bilancio finale è di 9 soldati uccisi, tra loro un ufficiale". Il Pentagono fa mea culpa a metà: ammette il raid, ammette l’uccisione di alleati, ma scarica la responsabilità su Baghdad che avrebbe fornito informazioni sbagliate. "Il premier iracheno al-Abadi e io abbiamo concordato sull’apertura di un’inchiesta, ma sono cose che succedono, un incidente che coinvolge entrambe le parti", lo scarno commento del segretario alla Difesa Carter. Intanto all’ospedale Yarmouk di Baghdad i familiari dei soldati affollavano disperati i corridoi: "Pensavamo fosse fuoco di Daesh - racconta un militare sopravvissuto al The Washington Post - Ho visto tanti cadaveri". Cadaveri che non aiutano la debole credibilità Usa: ieri erano in tanti, tra familiari e miliziani sciiti accorsi in ospedale, a puntare il dito contro il paese che considerano responsabile della tragedia irachena. Migranti, il 73% dei minori che sbarcano in Italia sono soli di Andrea Scutellà Il Mattino di Padova, 20 dicembre 2015 Oltre le tragedie dei morti nel Mediterraneo ci sono i fantasmi tra i 9 e i 17 anni, che vagano solo per il nostro paese. Save the Children: "Preoccupati per le posizioni Ue sull’inasprimento dei controlli ai confini". I 700 bambini morti in mare dall’inizio del 2015 riempiono gli occhi e le cronache. I numeri della fondazione Migrantes sono di qualche giorno fa, ma di fatto sono già vecchi. Le tragedie del Mar Egeo non erano ancora accadute. Per quelli che ce la fanno, però, la vita non è facile: spesso diventano fantasmi in transito o si perdono nel vortice dello sfruttamento sessuale e lavorativo. Nella maggior parte dei casi non hanno un adulto al loro fianco: Il 73% di loro è senza una guida. Il Ministero dell’Interno li identifica con l’acronimo Msna: Minori stranieri non accompagnati, appunto. Una percentuale cresciuta immensamente rispetto allo scorso anno, quando circa la metà dei 26mila bambini e adolescenti approdavano sulle nostre coste in solitudine. Oltre 11mila minori non accompagnati nel 2015. Secondo le stime di Save the children fino al 16 dicembre 2015 sono arrivati in Italia 15.670 bambini, di cui circa 11.560 non accompagnati, "costretti alla fuga spesso attraverso viaggi terribili da conflitti, violenze, fame o dittature feroci", spiega Raffaela Milano, direttrice delle campagne Italia-Europa dell’organizzazione indipendente che tutela i diritti dei bambini. "I gruppi più numerosi tra i minori soli arrivati - prosegue - che nella maggioranza hanno dai 14 ai 17 anni ma anche 9, 10, 11 o 12 anni, rappresentano un assoluto bisogno di protezione adeguata per evitare il rischio reale di violenze, tratta o sfruttamento nel nostro paese o lungo il percorso in Europa". I gruppi più numerosi in Italia. I minori eritrei sbarcati soli in Italia nel 2015 sono circa 2.955 e rappresentano il gruppo più numeroso, seguito dai 1.709 egiziani, i 1.083 somali e i 924 nigeriani (raddoppiati rispetto allo scorso anno). Ogni gruppo presenta delle criticità specifiche, che Save the Children aveva già evidenziato nel rapporto "Piccoli schiavi invisibili". Il debito degli eritrei. Gli eritrei hanno come meta finale il Nord Europa: Svezia, Novergia, Svizzera e Germania sono le destinazioni più ambite. Durante il viaggio hanno subito violenze e abusi di ogni genere, per lo più nell’attraversamento del deserto e nelle carceri libiche. In Italia, poi, per proseguire il viaggio contraggono debiti con i loro connazionali trafficanti: chi ha parenti nel paese che vuole raggiungere è ritenuto un "debitore affidabile", mentre per chi non ha soldi c’è il sistema del "mikerkar", l’incastro: "un piccolo gruppo si rivolge ad un trafficante e si accorda per far partire anche colui che non può pagare, facendosi carico dell’intera somma", si legge nel rapporto di Save the children. Schiavi del sesso e del lavoro: nigeriane ed egiziani. Saldare il debito di viaggio è un problema grave anche per le minori nigeriani, vittime di sfruttamento sessuale, e per quelli egiziani, vittime di sfruttamento lavorativo. Per entrambi i gruppi la metà finale è l’Italia. Secondo Save the children il debito iniziale che le nigeriane devono pagare, in un periodo compreso tra i 3 e i 7 anni, varia dai 30mila ai 60mila euro. "Per questo motivo le ragazze - è scritto in "Piccoli schiavi invisibili" - si vedono dunque costrette a concedere prestazioni sessuali anche a bassissimo costo (a partire da 10 euro), anche senza protezioni, esponendosi a rischi e conseguenze per la loro salute particolarmente gravi". Per gli egiziani, invece, il destino è quello dei mercati generali, dove caricare un camion da 12 pancali frutta circa 10 euro, o di lavorare in un autolavaggio, per una paga di 2-3 euro l’ora. Il tutto per estinguere un debito di viaggio che, altrimenti, graverebbe sulle spalle delle loro famiglie già oppresse dalla povertà. Save the children: "Preoccupati per posizioni Ue". Per questo Save the children, alla vigilia del Consiglio Europeo del 17 e del 18 dicembre si è detta "gravemente preoccupata rispetto alle recenti posizioni sull’inasprimento dei controlli ai confini, con l’invito ad utilizzare la forza per ottenere le impronte digitali e l’intenzione di prolungare la detenzione fino a 18 mesi per le verifiche di sicurezza". Di contro ha chiesto agli stati europei di dare priorità al "diritto di richiesta della protezione internazionale" dei bambini e delle famiglie e "la disponibilità di un’assistenza adeguata per il riparo, il cibo e l’aiuto sanitario". È da evitare, inoltre, "la criminalizzazione o la detenzione dei bambini a causa dello status di migranti dei loro genitori, con la garanzia che il loro superiore interesse venga sempre tutelato rispetto al rimpatrio o alla deportazione". Ma i nodi cruciali restano quelli dell’offerta di "più canali di arrivo sicuro e legale in Europa" e del contrasto delle "cause all’origine nelle aree di crisi". Nodi rimasti inesplorati anche in questo Consiglio Ue. "I vostri gioielli per il welfare", il ricatto danese ai migranti di Andrea Tarquini La Repubblica, 20 dicembre 2015 La proposta shock del governo di destra sarà discussa in Parlamento. Ma è già polemica internazionale. Il premier: "Esagerano a paragonarci ai nazisti". La polizia dovrebbe perquisire ogni nuovo arrivato. Vuoi avere asilo ed essere accettato da profugo e migrante a casa nostra? Bene, allora ci darai tutti i tuoi gioielli preziosi e averi, così almeno pagherai per parte del nostro generoso welfare. La proposta-shock ha scosso il mondo, i massimi media mondiali, dal Washington Post alla Bbc,gridano allo scandalo, denunciano "l’estrema crudeltà". E il premier stesso dal cui governo è scaturita la proposta si difende ammettendo che evoca i ricordi peggiori: "Esagerano a paragonarci coi nazisti". Ma la Memoria del mondo ormai è svegliata: fu il Terzo Reich, prima in Germania poi nell’Europa occupata, a confiscare oro, gioielli di famiglia, ogni oggetto di valore, agli ebrei poi destinati alla "Soluzione finale". Attenti, non siamo nell’Ungheria di Orbàn o nella Polonia di Kaczynski: la legge andrà al voto al Folketing, il Parlamento di quella Danimarca classificata dall’Onu primo paese al mondo per qualità della vita. L’Europa più civile mostra il suo volto più orrendo. "È terribile, sono scosso, la ministro per l’integrazione signora Inger Stoejberg è semplicemente una stupida, spera di vincere voti di destra e umori xenofobi, ma presentando questa proposta oscena ha commesso persino un errore imperdonabile", spiega durissimo il grande giallista Jussi Adler Olsen, massimo scrittore danese contemporaneo. E aggiunge: "Chiedendo agli sventurati migranti di cedere i gioielli e gli averi, si è persino permessa di mentire. Ha detto che le leggi danesi impongono già lo stesso ai cittadini del regno. Eh no: i danesi che chiedono aiuti del welfare devono disfarsi di grandi patrimoni, come investimenti in banca o immobili, non certo di gioielli e argenteria di casa. Confido che il paese e il mondo diranno di no alla sua orrida stupidità. Ma certo il danno all’immagine del paese è fatto, la memoria corre inarrestabile ai ricordi più bui". La paura dell’ondata di migranti domina la politica danese già da prima delle elezioni dell’estate scorsa, in cui la destra guidata da Lars Loekke Rasmussen e i populisti xenofobi del Dansk Folkeparti spodestarono la premier laburista Helle Thorning-Schmidt. Ella stessa aveva tentato di restare al potere promettendo la linea dura. Dopo la svolta, Copenaghen ha lanciato a livello mondiale una campagna per spaventare gli aspiranti profughi: "Non venite da noi, si vive male, è durissimo". La proposta di legge è implacabile. La polizia del regno dovrà essere autorizzata a perquisire ogni aspirante profugo o esule per fare l’inventario di tutto ciò che egli possiede, dice il testo. E sulla base di quell’inventario, sarà possibile esigere da loro di cedere ai pubblici poteri ogni avere del valore a partire da 3.000 corone (402 euro), per contribuire a finanziare i costi che i migranti causeranno al welfare danese. "Soltanto fedi nuziali, orologi od oggetti di alto valore sentimentale-emotivo in quanto ricordi familiari o personali potranno essere esentati dalla confisca", ha precisato la ministro. La legge, dicono gli esponenti del Venstre (il partito del premier Rasmussen, appunto) e gli xenofobi del Dansk Folkeparti, dovrebbe appunto passare a febbraio: tempo di festeggiare natale e capodanno, poi man bassa su oro e gioielli dei migranti. "È pazzesco, talmente pazzesco che non si capisce nemmeno se sia una minaccia a vuoto per spaventare gli stranieri, come quelle della propaganda all’estero che dipinge la Danimarca a tinte fosche, o se favvero facciano sul serio", ha dichiarato al Washington Post Zachary Whyte, ricercatore dell’Università di Copenaghen specializzato sui problemi dell’asilo politico e dell’integrazione dei migranti. E fa notare un dettaglio: "In generale gli aspiranti esuli o migranti non arrivano da noi con grandi quantità di contanti, né con gioielli di valore, quindi oltre che crudele questa misura sarebbe inutile rispetto all’obiettivo di batter cassa". Ma il vento xenofobo investe ormai anche i paradisi scandinavi. La Danimarca in parte più di altri: tagli ai sussidi e restrizioni al diritto di residenza sono già operative, sebbene gran parte di chi arriva vuol poi proseguire per la Svezia. "Dalla Danimarca alla Svezia: l’itinerario sognato da tanti migranti dovrebbe ricordarci quel nostro momento di gloria, quando noi occupati dalla Wehrmacht portammo in salvo in barca gli ebrei nella Svezia neutrale, che oggi stiamo calpestando e dimenticando", dice un’alta fonte dell’intelligentsija danese. Se in Danimarca tramonta l'Europa di Adriano Prosperi La Repubblica, 20 dicembre 2015 In Danimarca si pensa di vendere a caro prezzo il biglietto di ingresso ai migranti . La ministra per l’integrazione Stoejberg ha presentato una proposta di legge per "espropriare" all’ingresso tutti i migranti di ogni bene al di sopra di una piccola cifra. Un pagamento anticipato delle spese di asilo e di assistenza. È una notizia che merita di essere attentamente considerata da tutti i cittadini europei. È un passo ulteriore nell’inedito esperimento di rapporti tra popoli migranti e popoli stanziali in atto ai nostri giorni. Non del tutto inedito, tuttavia. Esso ci richiama alla mente quella tripartizione di ruoli che secondo lo storico Raul Hilberg si disegnò ai tempi del genocidio nazista e divise i contemporanei dei fatti tra carnefici, vittime, spettatori. Ci si chiede se sia possibile applicare questa tripartizione ai nostri tempi. Quali siano le vittime è evidente: in Europa attendiamo fra poco l’arrivo del milionesimo migrante per chiudere il bilancio del raccolto di questo anno. L’estate scorsa se ne attendevano ottocentomila e sembravano già troppi. Nel conto ci sarebbe da considerare anche quelli morti per via. All’Università di Amsterdam si censiscono i casi di "Death at the borders of Southern Europe". È l’elenco dei caduti di una guerra senza fine. A differenza di quelli delle guerre mondiali europee del ‘900 questi morti sono rappresentanti con una info-grafica fatta di tanti puntini dai colori diversi: in blu chiaro quelli identificati, in blu scuro quelli senza nome. Soldati ignoti della grande guerra in atto. Ma le vittime non sono solo quelle morte in viaggio. La strada dell’Europa è dura e piena di imprevisti anche per via di terra. I piedi dei bambini e delle donne migranti fanno pensare a quelli della sirenetta di Andersen. La nostra Europa così poco unita sembra divisa solo dalla diversa asprezza delle prove a cui sottopone i dannati della terra. E gli europei, cioè noi, sembrano impegnati in mutevoli giochi di ruolo: oggi carnefici ieri spettatori. Pronti comunque anche a livello politico ufficiale a rigettare responsabilità sul vicino e sempre protetti da chi caccia le cattive notizie nelle pagine interne dei giornali: come quella dei cinque bambini annegati due giorni fa nelle acque turche. Bambini sì, ma migranti. Fossero stati figli di gitanti ne avremmo conosciuto nomi e nazionalità e visto le foto in prima pagina. Chi non ricorda il corpo del piccolo Aylan, quella sua t-shirt rossa e quei pantaloncini blu scuro? La donna che scattò la fotografia disse di essersi sentita pietrificata: e sembra che il premier inglese Cameron dopo averla vista abbia modificato la durezza delle sue posizioni sull’immigrazione. Ma oggi tira un vento diverso. Impallidiscono i colori delle buone intenzioni dell’estate passata . Quelle della Merkel, che permisero a tutti i tedeschi per una volta almeno di sentirsi buoni, per ora hanno incontrato più ostacoli che consensi. Alla prova dei fatti contano le mura, quelle materiali e quelle legali e burocratiche che sono state alzate davanti a ogni frontiera, specialmente ma non solo a quella orientale dell’Europa, dove intanto la Turchia svolge il lavoro sporco ma ben retribuito di cane da guardia. È bastata l’ombra del terrorismo, l’idea che sui barconi arrivino da noi dei fanatici votati al martirio stragistico e la paura ha fatto il resto, gonfiando le vele dei partiti xenofobi, cambiando di colpo il paesaggio politico francese. Il rapporto tra parole e fatti può essere misurato da quello che è accaduto il 18 dicembre. Era il giorno della Giornata internazionale di solidarietà con i migranti, fissato a ricordo della data in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò nel 1990 la Convenzione internazionale per la tutela dei diritti dei migranti. Ma proprio in quel giorno, sulla festa delle buone intenzioni è calata dalla Danimarca l’ombra cupa del progetto di legge che abbiamo ricordato. In quel paese di una democrazia e di un welfare idoleggiati non solo dai migranti si avanza la legge che promette di essere la soluzione finale del problema. Il governo, espresso dal partito xenofobo Venstre, ha già fatto parecchio in questo senso. Ora sta progettando un vero salto di qualità. Chi si presenterà alle frontiere sarà perquisito e si vedrà sequestrare danaro e ogni oggetto di valore. Si lasceranno le fedi nuziali, si dice: e non si arriverà certo a strappare ai migranti i denti d’oro, come i nazisti facevano alle loro vittime. È il danaro che conta: è questa la misura unica del valore nell’età del neoliberismo. Anche se la violenza sui corpi non è una frontiera insuperabile. Proprio in questi giorni le cosiddette autorità europee hanno rimproverato quelle italiane per le mancate registrazioni delle impronte digitali dei migranti: e hanno imposto di permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e di "trattenere più a lungo" i migranti che oppongono resistenza. Dunque, guardiamo alla sostanza, ai duri fatti di un conflitto tra le ragioni della più elementare umanità e l’avanzare strisciante di un ritorno preventivo a misure che sono iscritte nelle pagine peggiori del nostro recente passato. Tocca a tutti noi come spettatori decidere se voltare altrove lo sguardo o resistere attivamente al degrado della realtà - questa sinistra realtà europea dei nostri giorni. I valori che sono in gioco non sono solo i soldi e gli oggetti preziosi dei migranti: sono quelli immateriali che dovrebbero costituire il fondamento di una costruzione europea oggi tutta da ripensare. Stati Uniti: Obama "Guantanámo è una calamita per arruolare jihadisti, va chiusa" di Luca Celada Il Manifesto, 20 dicembre 2015 Il presidente: "Sconfiggeremo l’Is, Assad se ne deve andare". Dopo gli attacchi terroristici Obama ha continuato a ribadire la necessità di vigilare ma anche ad esortare alla calma chiedendo agli americani di continuare una vita normale e non cadere nella trappola della psicosi tesa dai terroristi. Diametralmente opposto è stato il tono dell’ultimo dibattito repubblicano trasformato in un festival della paura in ci sono stati invocati bombardamenti a tappeto di zone civili, spedizioni militari, chiusura dei confini e rappresaglie sulle famiglie dei terroristi. Una escalation della retorica bellica in cui pacatezza e raziocinio sono stati derisi come incarnazioni del disfattismo di Obama - e per estensione di Hillary Clinton. Forse anche con un pensiero alla campagna elettorale sempre più monotematica, Obama ha ribadito nella conferenza stampa di fine a anno tenuta venerdì, la linea dura contro Isis affermando che la campagna di bombardamenti avrebbe tolto al califfato il "40% del territorio in Iraq" e lo avrebbe messo sulla difensiva anche in Siria. Mentre a New York il consiglio di sicurezza approvava unanimemente una risoluzione a favore di un piano di pace in Siria, Obama ribadiva a Washington la necessità della fine del regime Assad, ammettendo allo stesso tempo che questo "potrebbe richiedere del tempo". Interrogato più generalmente sulla politica interventista in medio oriente il presidente si è difeso affermando che "non abbiamo iniziato noi la primavera araba. Non sono stati gli Usa a deporre Mubarak ma milioni di egiziani". Obama ha anche difeso l’intervento in Libia dicendo che se gli alleati occidentali non avessero agito contro Gheddafi "oggi il paese avrebbe potuto essere un’altra Siria" anche se, ha ammesso, la Libia rappresenta "un fallimento dell’intera comunità internazionale - e anche gli Usa sono responsabili di non aver agito con sufficiente decisione, sottovalutando la necessità di ricostruire rapidamente un governo. La conseguenza è l’attuale pessima situazione". Nel suo sunto di fine anno il presidente si è poi concentrato sui successi della sua amministrazione. "La migliore leadership americana", ha sostenuto Obama, "è quella che non utilizza le bombe ma quella diplomazia che quest’anno ha ottenuto l’accordo nucleare con l’Iran e il trattato trans-pacifico di commercio" e l’accordo sul clima firmato a Parigi. All’indomani del fatidico rialzo dei tassi operato dalla Fed Obama ha ripetuto i numeri della "sua" ripresa rivendicando i 13 milioni di posti di lavoro creati dal 2008 e il tasso di disoccupazione sceso al 5% dagli oltre 10% della crisi. Obama ha parlato della riforma sanitaria che nel terzo anno ha fatto scendere sotto i 10 milioni (dai 30 che erano) i non assicurati. Obama ha ricordato che nel penultimo anno della sua amministrazione negli Usa anche gli omosessuali hanno ottenuto il diritto di sposarsi. E il presidente ha ribadito l’intenzione di porre rimedio all’eccessiva severità delle pene - e alle disparità razziali - alla base nell’ipertrofico sistema carcerario americano. Quest’anno Obama ha firmato la commutazione della pena di 88 detenuti federali - più dei precedenti quattro presidenti assieme. "Rimane molto ancora da fare" ha infine detto il presidente che nel suo ultimo anno in carica tenterà ancora una volta di limitare l’accesso alle armi della cittadinanza più armata al mondo e di promulgare una improbabile riforma dell’immigrazione bloccata dall’ostruzionismo repubblicano. Un altro scontro assicurato è quello su Guantanámo. Obama ha ribadito di voler chiudere la prigione - in quanto calamita dell’arruolamento jihadista - e tener fede alla promessa elettorale fatta già nel 2008. Finora ogni tentativo si è però infranto sull’opposizione compatta del congresso. Obama ha preannunciato un ultimo tentativo in parlamento ma non ha escluso in extremis di agire per decreto. "Vi ricordo", ha concluso Obama, "che all’inizio di quest’anno vi avevo detto che nell’ultimo biennio possono accadere un sacco di cose interessanti. E siamo solo a metà strada". Regno Unito: la proposta del ministero "iPad ai detenuti per comunicare con le famiglie" di Mauro Notarianni macitynet.it, 20 dicembre 2015 L’iPad permetterebbe ai detenuti di passare il loro tempo in cella in modo più costruttivo. È la proposta di un consigliere del ministero della Giustizia britannico. Ai detenuti bisognerebbe fornire l’iPad per farli comunicare con i familiari direttamente dalle strutture dove sono reclusi per scontare la pena preventiva. È l’idea di Sir Martin Narey, consigliere del ministero della Giustizia britannico. L’idea è che la tecnologia può migliorare il livello di alfabetizzazione, scrittura e calcolo, oltre che essere utile per mantenere i legami familiari. La tecnologia, ha spiegato Narey - in passato a capo della polizia penitenziaria - permetterebbe ai detenuti di passare il loro tempo in cella in modo più costruttivo. "Dovrebbero incontrare un tutor una volta la settimana eseguendo da soli compiti che hanno a che fare con l’alfabetizzazione e la matematica". Le proposte sono al vaglio di Michael Gove, segretario di Stato della Giustizia del Regno Unito ma nessuna decisione è stata ancora intrapresa. "Quando sono entrato nell’amministrazione penitenziaria nel 1982, le persone erano terrorizzate dal pensiero di fornire una radio FM ai detenuti" ha spiegato Narey; "hanno paura che possano telefonare liberamente ma i detenuti dovrebbero poter usare Skype o Facetime per comunicare con i loro figli. Dobbiamo usare la tecnologia per l’istruzione e mantenere i legami familiari". L’idea è presa in considerazione da Dame Sally Coates, un’ex direttrice che si sta occupando della revisione delle politiche educative nelle carceri per conto del Ministro della Giustizia. "Se non hai le competenze per ottenere un lavoro, molto probabilmente diventerai recidivo" ha aggiunto. Secondo Jerry Petherick, a capo di alcune attività che riguardano servizi esternalizzati dalle carceri britanniche, i tablet nelle celle "potrebbero diventare la norma" ma avvisa anche della necessità di stretti controlli per prevenire ulteriori atti criminali. "È necessario prevedere forme di salvaguardia integrata", come ad esempio meccanismi che "impediscono di contattare le vittime".