Minacce al ministro Orlando per il giro di vite nelle carceri? di Valeria Di Corrado Il Tempo, 19 dicembre 2015 Potrebbero essere le politiche carcerarie adottate dal ministro della Giustizia Andrea Orlando all’origine della lettera minatoria inviata nei giorni scorsi a via Arenula. Questa una delle ipotesi investigative su cui sta lavorando la Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo contro ignoti, in cui viene ipotizzato il reato di minaccia aggravata dall’uso di armi. Dentro la missiva, infatti, non erano contenuti due semplici bossoli, ma veri e propri proiettili di kalashnikov, adatti a un mitragliatore Ak47. "Entreremo a Roma e taglieremo la tua testa", recita il messaggio in lingua araba indirizzato al Guardasigilli, firmato dall’Isis, che si conclude con la frase: "Allah è grande". I pm del pool antiterrorismo, coordinati da procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, si sono orientati su questa pista, considerando il fatto che Orlando ha avviato un’intensa azione di monitoraggio e prevenzione di fenomeni di radicalizzazione e proselitismo del terrorismo islamico nelle carceri italiane. Il ministro, inoltre, non apre a ipotesi straordinarie di clemenza come indulto e amnistia, sollecitate anche dalla Chiesa. Questo potrebbe aver attirato l’odio di tanti nemici. Gli inquirenti non escludono che a inviare la lettera possano essere stati anche degli italiani. Sulla busta, che riportava l’indirizzo scritto in inglese, c’era il timbro di Fiumicino. Questo perché tutta la posta indirizzata a Roma viene ormai convogliata nell’ufficio centrale di questo comune e poi smistata. Non è quindi possibile risalire al luogo in cui è stata spedita. Processo su trattativa Stato-mafia. Violante: "le bombe del 1993 erano prova dialogo" di Lara Sirignano Ansa, 19 dicembre 2015 Teste al processo, Ciancimino mi chiese incontro privato. Usa un’espressione che suona come un ossimoro: bombe di dialogo. Così Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex presidente della Commissione Antimafia a ridosso delle stragi degli anni 90, definisce gli attentati mafiosi del 1993, a Roma e Milano. Per cinque ore Violante ha deposto al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia che vede imputati boss del calibro di Riina, Bagarella e Cinà, ex ufficiali dell’Arma, politici della Prima e Seconda Repubblica come Dell’Utri e Mancino, il pentito Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino. Dietro al tritolo che, la notte tra il 27 e il 28 luglio, esplose in via Palestro, a Milano, e a San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma, c’era Cosa nostra: Violante lo ipotizzò subito. Mentre altri esponenti del suo partito, l’ allora Pds, pensarono alla matrice terroristica. "Capii che si trattava di mafia - ha spiegato ai giudici della corte d’assise - e pensai che fossero prove di dialogo". "Se si vuole fare una strage, se si vogliono seminare morti - ha detto - si agisce di giorno, non di notte, quando per strada non c’è nessuno". La tesi dell’allora presidente della Camera fu dunque che qualcuno all’interno di Cosa nostra volesse lanciare un segnale alle istituzioni. Un po’ come dire, questo è il nostro potenziale. Non facciamo danni maggiori in cambio di una contropartita. E per Violante la "contropartita" non poteva che essere un alleggerimento del 41 bis che riguardasse, però, singole posizioni, in quanto eventuali modifiche legislative del carcere duro, oltre che essere poco realizzabili in quel momento storico - siamo dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, sarebbero dovute passare per il Parlamento. Il teste ha poi raccontato di avere scritto, saputo dell’alleggerimento del 41 bis per alcuni mafiosi, all’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso chiedendogli un quadro dell’applicazione dell’istituto del carcere duro. Conso rispose, ma non fece cenno alla revoca e alle mancate proroghe di 334 provvedimenti di 41 bis disposti a fine ‘93. Sempre in tema di carceri, Violante ha riferito di essere rimasto sorpreso della decisione di sostituire Nicolò Amato con Adalberto Capriotti alla guida del Dap. "Aveva fatto bene - ha spiegato - e gli fu preferita una persona con poca esperienza. Non capii perché, ma non credo ci fosse un collegamento con le revoche ai 334 boss". Al centro della deposizione anche la richiesta di incontro che, tramite l’allora capitano del Ros Mario Mori, oggi imputato al processo, Vito Ciancimino gli fece. Violante declinò l’offerta. "Voleva parlarmi degli scenari politici dell’omicidio Lima, io risposi che doveva chiedere una audizione all’ Antimafia, non a me". Per l’accusa proprio Ciancimino, contattato dal Ros, sarebbe stato il primo tramite della trattativa tra le istituzioni e la mafia. Di Mori, ha detto il teste, "ho sempre avuto stima, anche se non mi piacevano i metodi suoi e del gruppo antiterrorismo di dalla Chiesa che avevo conosciuto quando facevo il magistrato a Torino". L’ex presidente della Camera li riteneva "troppo autonomi dall’autorità giudiziaria". Mafia Capitale, l’ex Sindaco Alemanno a giudizio per tangenti da 125mila euro di Giulio De Santis Corriere della Sera, 19 dicembre 2015 I soldi sarebbero stato versati da Buzzi tra contanti e cene elettorali. Corruzione e finanziamento illecito ai partiti le accuse. Il processo a marzo: "Ho la coscienza pulita". Centoventicinque mila euro. Un fiume di denaro riversato da Salvatore Buzzi all’ex sindaco Gianni Alemanno tra contanti e cene elettorali. È l’elenco delle contestazioni per cui l’ex primo cittadino sarà processato con le accuse di corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Le indagini. A disporre il rinvio a giudizio il gup Nicola Di Grazia, che ha accolto l’impostazione della procura secondo cui Alemanno avrebbe ricevuto 75 mila euro per banchetti elettorali, mentre altri 40mila euro sarebbero confluiti nelle casse della fondazione Nuova Italia presieduta dall’ex sindaco. Infine diecimila euro in contanti gli sarebbero stati recapitati attraverso l’ex ad di Ama, Franco Panzironi. Soldi girati dal ras delle cooperative - in accordo con Massimo Carminati - all’allora primo cittadino con lo scopo di asservirlo agli interessi di Mafia Capitale. La ricostruzione. Secondo la ricostruzione dei pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, Alemanno si sarebbe piegato alle richieste avanzate da Buzzi prima favorendo la nomina di Giovanni Fiscon a dg dell’Ama e poi facendo sbloccare i debiti di Eur spa nei confronti delle coop di Buzzi. A inguaiare l’ex sindaco è stato il suo delfino, Panzironi, che nell’interrogatorio del 19 maggio scorso ha raccontato ai pm di aver ricevuto diecimila euro da Buzzi su richiesta di Alemanno, aggiungendo di aver messo "il denaro in una busta nella cassaforte della sua stanza". Sul fronte finanziario invece, a complicare il quadro probatorio contro l’imputato, è stata una segnalazione di operazioni sospette della Guardia di finanza in cui sono documentati otto bonifici partiti dalla fondazione Nuova Italia, per 62 mila euro, in favore di Alemanno a saldo di altrettante fatture da lui presentate. Nel procedimento si sono costituiti come parti civili il Comune di Roma, l’Ama e l’associazione Cittadinanzattiva, rappresentata dall’avvocato Stefano Maccioni. La prima udienza del processo si terrà il 23 marzo 2016. "Ho la coscienza pulita". "Non ho chiesto riti alternativi proprio per dimostrare pubblicamente la mia innocenza. Ho la coscienza pulita e per questo non ho nulla da patteggiare", si difende Alemanno. "Affronto quindi il rinvio a giudizio con animo sereno - aggiunge - perché sono fiducioso nell’operato della magistratura e convinto che al dibattimento sarà accertata e provata l’assoluta correttezza del mio operato". I pm: "Soldi da Buzzi e Carminati". Alemanno rinviato a giudizio di Marina della Croce Il Manifesto, 19 dicembre 2015 Mafia Capitale. Con l’accusa di corruzione e illecito finanziamento - non di associazione mafiosa, come ipotizzato dagli inquirenti durante l’inchiesta - l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno salirà sul banco degli imputati in un processo derivante da uno dei filoni del fascicolo su Mafia Capitale. Il 23 marzo prossimo, davanti alla II sezione penale del tribunale di Roma - così ha deciso ieri il gup Nicola Di Grazia accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura il 5 novembre scorso - dovrà rispondere alla contestazione formulata dai pm Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli e firmata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino di aver ricevuto 125 mila euro, tra il 2012 e il 2014, per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio. Molto probabilmente la procura guidata da Giuseppe Pignatone non chiederà la riunificazione con il maxiprocesso che si è già aperto davanti ai giudici della X sezione penale, perché l’impianto accusatorio si discosta da quello riguardante gli imputati principali. Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, però, sarebbero protagonisti anche dell’affaire Alemanno, il cui nome era comparso nel registro degli indagati già nel dicembre 2014, ai tempi della prima tornata di arresti di Mafia capitale. Secondo l’impianto accusatorio della procura di Roma, infatti, gran parte dei 125 mila euro sarebbero stati versati alla fondazione Nuova Italia, presieduta dall’ex sindaco, e sarebbero arrivati proprio dal ras delle cooperative rosse in accordo con il sodale nero, l’ex Nar Carminati. Sarebbe stato tramite l’ex ad di Ama (la municipalizzata dei rifiuti) Franco Panzironi, già imputato nel maxiprocesso di Mafia Capitale, che Alemanno avrebbe ricevuto i soldi attraverso la fondazione Nuova Italia: una tranche di questi - 75 mila euro - sotto forma di finanziamento per cene elettorali e altri 40 mila per finanziare la stessa fondazione. Poi, nell’ottobre 2014, appena due mesi prima della prima tornata di arresti nel "mondo di mezzo", Alemanno, che nel frattempo era diventato consigliere comunale con Ignazio Marino sindaco, avrebbe ricevuto da Buzzi altri diecimila euro circa cash "senza la deliberazione dell’organo sociale competente e senza l’iscrizione della erogazione a bilancio". Per questo episodio è accusato di finanziamento illecito. Ma l’ex sindaco continua a rivendicare la propria estraneità a tutti i fatti contestatigli: "Non ho chiesto riti alternativi proprio per dimostrare pubblicamente la mia innocenza. Ho la coscienza pulita e per questo non ho nulla da patteggiare. Affronto il processo con animo sereno perché - ha aggiunto - sono fiducioso nell’operato della magistratura e convinto che al dibattimento sarà accertata e provata l’assoluta correttezza del mio operato". "I cittadini romani già sapevano che Gianni Alemanno come sindaco aveva fallito - ha commentato il portavoce dei Verdi, Gianfranco Mascia - ora sanno pure che, probabilmente, il fallimento era anche illegale". Uccise un ladro, Antonio Monella esce dal carcere dopo la grazia di Claudio Del Frate Corriere della Sera, 19 dicembre 2015 Monella su Bossetti: "L’ho incontrato, sembra un brav’uomo". Il muratore di Arzago d’Adda condannato a 6 anni ora è stato affidato ai servizi sociali. "Non ho governato la paura: lo Stato dovrebbe impedire ai ladri di entrare nelle case". Signor Monella, cosa ha fatto appena ritornato in libertà? "Non ho resistito, sono andato a controllare se nel capannone della mia ditta era tutto in ordine. Prima ero passato da casa: anche lì ho avuto l’esigenza di riappropriarmi dei miei spazi. Ma ho una famiglia meravigliosa e ho trovato tutto in ordine". Quindici mesi passati nel carcere di Bergamo non hanno cambiato l’indole "casa e lavoro" di Antonio Monella, il muratore di Arzago d’Adda condannato a 6 anni per avere ucciso un ladro che era entrato in casa sua ma che da ieri è di nuovo libero per effetto della grazia parziale concessa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un caso, quello del piccolo imprenditore bergamasco, che ha abbattuto i confini dell’appartenenza politica: ha mobilitato, tanto per far capire come è andata, il sindaco del suo paese Gabriele Riva, che è anche segretario provinciale del Pd e il deputato bergamasco della Lega Giacomo Stucchi. A Monella restano da scontare due anni ai servizi sociali nel municipio di Arzago. "Ho trovato tanta solidarietà". Ad attenderlo fuori del carcere c’erano la moglie, i figli e l’avvocato difensore Enrico Mastropietro, in paese l’hanno accolto con uno striscione di bentornato e una manifestazione sotto le sue finestre. Non capita tutti i giorni, a chi si lascia alle spalle una condanna... "Quando sei là dentro apprezzi la libertà più di ogni altra cosa e quello che mi viene chiesto per espiare la mia condanna mi sembra poca cosa. Adesso voglio solo superare quello che è stato e smettere di far soffrire la mia famiglia. Voglio tornare al mio lavoro e alle mie cose, alla routine quotidiana a cui ero abituato". Cosa le resterà di questo periodo in cella? "La grande solidarietà che tutti mi hanno dimostrato: il personale del carcere, i detenuti, il cappellano. Tutti hanno capito cosa mi era successo, anche i connazionali della persona che ho ucciso. Spesso incrociavo Bossetti, quello del caso Yara. Cosa ne penso? In carcere ho imparato a non giudicare le persone in base alle accuse ma da come si comportano: mi è parso un brav’uomo ma toccherà a lui fare i conti con la sua coscienza". Avrà avuto modo di ripensare alla notte del 6 settembre 2006, quando sparò al ladro Ervis Hoxha... "Certamente. L’unica cosa che mi sento di dire è che la paura è un sentimento difficile da governare e io in quegli attimi ho agito solo per paura di quel che poteva capitare alla mia famiglia. Ma la paura non può essere un reato". Nell’ultimo anno altre persone sono state protagoniste di casi simili al suo: si sono trovate a tu per tu con un ladro, hanno sparato e c’è chi ne ha fatto degli eroi. La spaventa tutto ciò? "Penso innanzitutto che lo Stato dovrebbe fare in modo che i ladri non entrino in casa delle persone. Lo so che è difficile e se mi chiedete come fare io non so dare una risposta. Ma io sono solo un muratore, non un poliziotto". "Non volevo ammazzare quel ragazzo, ma chiedo perdono ai suoi genitori" di Paolo Berizzi La Repubblica, 19 dicembre 2015 "Ho mangiato un piatto di pasta a casa e poi sono venuto subito qui". Alle quattro del pomeriggio Antonio Monella è già in azienda a lavorare. Non male per un detenuto graziato uscito dal carcere alle 12.15 dopo un anno e tre mesi. "Impossibile resistere a non venire subito in ufficio. Non può immaginare come sto: le sensazioni, la luce, l’aria che respiri. Pazzesco quello che può succedere, nel bene e nel male, a un essere umano. La vita sospesa riparte, è bellissimo". La prima cosa a cui ha pensato? "Che avevo mille cose da fare". Riassunto. È la notte del 6 settembre 2006: Monella, imprenditore edile, è in casa con moglie e figli (all’epoca: 18 e 5 anni). Sente dei rumori; uno dei quattro ladri entrati nella villa di Arzago d’Adda gli si materializza davanti; è riuscito a prendere le chiavi della Mercedes. Scena successiva: Monella si affaccia dal balcone e imbraccia il fucile; prima spara in aria, poi in direzione dell’auto. La banda, che è quasi salita a bordo, è costretta a fuggire con l’auto con cui è arrivata. Due ore dopo i carabinieri entrano in un pub di Trucazzano, hinterland milanese: trovano il corpo semi-agonizzante di Ervis Hoxha, 19 anni, albanese, il ladro ferito da uno dei colpi esplosi da Monella. L’8 settembre 2014 per l’imprenditore si aprono le porte del carcere di Bergamo: condannato per omicidio volontario (con l’esclusione del dolo). Un anno e cinque mesi dopo - il 13 novembre 2015 - il presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli concede la grazia parziale: la pena, fissata a 6 anni, scende a poco meno di 3. Monella è uscito per essere affidato ai servizi sociali. Il secondo pensiero dopo la scarcerazione? "Che il Capo dello Stato è una persona di grande buon senso. La dote più importante per un uomo nella vita. Credo abbia capito che non volevo uccidere quel ragazzo". Ma l’ha ucciso. "Non ho mai negato le mie responsabilità, è chiaro che ho sbagliato e se sbagli paghi. Ma non c’era volontarietà in quello che ho fatto. Non volevo sparare verso la macchina, quel colpo è stato accidentale". Ha sparato e ucciso. "L’unica intenzione era difendere la mia famiglia, la mia casa. Mica togliere la vita al ragazzo. Uno della stessa età di mio figlio... (Alberto, oggi 24enne, ndr). L’ho già detto e lo ripeto: chi sta rubando un’auto, o in una casa, non merita la pena di morte". Però è andata così. "Indietro purtroppo non si può tornare. Mi creda: è la parola "volontario" che mi dava fastidio. La grazia del capo dello Stato è stata un miracolo. Ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicino e si sono adoperati per sostenere la mia causa fino alla grazia arrivata dal Quirinale (tra i più attivi il presidente leghista del Copasir, Giacomo Stucchi, e il deputato ed ex tesoriere Pd, Antonio Misiani, ndr)". Quanto ha contato in quest’anno in carcere il peso di avere ucciso? "Molto. Pensavo che io ero in carcere ma vivo, mentre un’altra persona non c’era più e i suoi genitori hanno la vita distrutta. Vorrei chiedere loro perdono. E pensavo che è un segno che mi porterò addosso tutta la vita. Pensavo anche ai suoi complici che l’hanno abbandonato lasciandolo morire... Ma dico anche: se uno si mette nella mia situazione, lì, di notte, in casa, quattro ladri, i tuoi figli, tua moglie, le cose che hai costruito col sudore del lavoro...". Che cosa scatta? "Un naturale istinto di protezione, di difesa. È umano. Credo che restare freddi in queste situazioni sia impossibile: la paura, l’agitazione, il non sapere che cosa ti possa capitare un secondo dopo". Altri casi come il suo si sono verificati quest’anno: Vicenza, Vaprio d’Adda. Legittima difesa o eccesso di difesa? "Ogni vicenda è una storia a sé, anche se il finale, drammatico, è lo stesso. Il punto è che bisogna evitare che i ladri vadano a rubare. Avere paura non può essere un reato. Se uno ti entra in casa scatta il panico. E la situazione può sfuggire di mano. Assurdo che nel 2015 uno non possa dormire tranquillo". Mai perso la speranza durante la detenzione? "No. Sono un ottimista, e tutta la solidarietà che ho ricevuto mi ha dato forza. La speranza cercavo di trasmetterla alla mia famiglia. Quando ai colloqui vedevo mia moglie e i miei figli tristi, quando leggevo la preoccupazione nei loro occhi, dicevo: vedrete che ce la faremo...". Che cos’è stato il carcere? "La cosa più dura è il distacco dalla famiglia. Ma sono stato trattato bene da tutti". Il 13 novembre Mattarella l’ha graziata. "Non smetterò mai di essergli grato". Che cosa farà adesso? "Torno a lavorare nella mia azienda, mentre ero in carcere se ne sono occupati mio figlio e mio fratello. Dopo pranzo (ieri, ndr) mio figlio mi fa: devo andare in ditta, ho un appuntamento. Gli ho subito detto: "Aspetta, vengo anch’io". E poi inizierò i servizi sociali alla Caritas. La settimana prossima incontro gli assistenti sociali per pianificare il percorso riabilitativo". In carcere a Bergamo ha conosciuto Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara. "Si, mi ha chiesto: "Secondo te io posso avere ucciso una ragazzina di 13 anni?"". E lei? "Visto così sembra una bravissima persona. Poi chissà. Chi sono io per giudicare. Quello è un compito che spetta ai giudici". Carceri, il mondo dei dimenticati di Michele Cucuzza Corriere della Sera, 19 dicembre 2015 Il mondo delle carceri è il mondo dei dimenticati: nessuno ne vuole parlare, ci si dimentica persino della loro esistenza, come se non facessero parte della società. Invece non solo ne fanno parte ma sono un prodotto della società: recuperare questo mondo è un dovere civico. Michele De Lucia, giornalista, scrittore, ex tesoriere di Radicali italiani presenta così la seconda edizione di "Parole liberate", premio per i detenuti poeti. Un concorso "costola" del Premio Lunezia di Stefano De Martino che, con la collaborazione del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, ha coinvolto in decine di carceri oltre 100 detenuti (l’anno scorso erano stati 60): la lirica prima classificata - se ne conosceranno autore e testo lunedì prossimo nella sala stampa della Camera dove interverrà il vicepresidente Roberto Giachetti - sarà affidata a un big della musica italiana che la trasformerà in una canzone. L’anno scorso Ron ha musicato "Clown fail" di Cristian Benko, in arte "Lupetto", all’epoca detenuto a San Vittore. Con evidenti toni autobiografici, citando nel titolo Samuel Beckett, le parole dicevano tra l’altro: "guarda nella tasca, hai già il biglietto, vieni avanti bambino, ci sono i tuoi amichetti, ti stanno chiamando". ‘"I temi dominanti delle liriche dei detenuti sono soprattutto la solitudine e l’amore", spiega De Lucia. "La solitudine è la più evidente conseguenza della costrizione, della perdita della libertà, della difficoltà di comunicare con la famiglia e il mondo esterno: fa il paio con i racconti degli affetti perduti, delle relazioni finite a causa della separazione, della distanza, cui si affiancano la perdita della fiducia in sé e l’angoscia per la vita sciupata". Non è facile aprirsi e raccontare tutto questo: secondo De Lucia c’è sempre minore resistenza, più disponibilità da parte di chi sta dietro le sbarre, anzitutto perché i media cominciano a non considerare più il carcere un tabù (vedi la serie "Orange is the new black" ormai alla terza edizione su Netflix) e poi perché cresce la sensibilità in questo senso anche tra chi si occupa dei detenuti: "dove c’è un educatore che ha già messo in piedi un laboratorio dedicato alle tecniche di scrittura, non solo la partecipazione è maggiore ma è più elevata anche la qualità del materiale che ci arriva (tra i giurati l’attore Toni Garrani e il critico musicale Ernesto Assante). Basta seguirli un po’ e i partecipanti al premio si fanno più numerosi e validi". E dall’altro lato del muro? Il dilagare della corruzione e - adesso - anche la paura del terrorismo avranno reso ancora più diffidente, rancorosa l’opinione pubblica nei confronti di chi è dentro. "Questo è inevitabile" allarga le braccia De Lucia. "Se non c’è mai un dibattito, mai un ragionamento sulle carceri, il riflesso è inevitabilmente condizionato. Si pensa a buttare via la chiave, invece che a migliorare la situazione nei penitenziari, che restano sovraffollati, degradati, con il tempo che trascorre come sospeso, senza alcun senso per nessuno. E non si bada nemmeno alle leggi sbagliate per le quali le carceri si riempiono, quelle emanate anni fa sulla droga e sull’immigrazione, che non hanno influito minimamente sui fenomeni che si dovrebbero colpire, lo spaccio gestito dalla grande criminalità organizzata e le reti di trafficanti di esseri umani. Non vogliamo che la gente commiseri i detenuti, ma che si renda conto che dietro le sbarre c’è un mondo che ha comunque diritto al rispetto, alla dignità, all’ascolto. Parole liberate sta creando quel canale di comunicazione che manca tra la società civile, chi sconta la pena e il personale che in carcere si occupa dei detenuti. Un rapporto che, in un paese civile, non può essere del tutto assente". Lunedì prossimo, nel corso della premiazione alla Camera, interverrà il poeta cinese Yu Xinquiao, che avrà un riconoscimento per la sua intensa promozione dell’attività nonviolenta. Interrogazioni sconfortanti in Parlamento di Rita Bernardini (Partito Radicale) L’Unità, 19 dicembre 2015 In Italia l’attività di controllo del Parlamento sull’operato del Governo è sempre stata considerata funzione di secondo piano, mai tenuta in considerazione dal mondo dei media. Se consideriamo la legislatura incorso, i dati sono sconfortanti, non solo per le insufficienti risposte del Governo, ma anche per il mancato utilizzo da parte delle opposizioni degli strumenti regolamentari per "pretendere" le risposte dei Ministri che preferiscono tacere. Nel periodo che va dal 15 marzo 2013 al 1° dicembre 2015, su 29.377 atti di sindacato ispettivo presentati da deputati e senatori (interrogazioni e interpellanze, a risposta scritta o orale, in assemblea o in commissione) il Governo ha risposto solo in 9.7% casi, pari al 33,3%. Il Ministero più reticente è stato quello della Giustizia che ha risposto solo al 17,9% degli atti presentati (288 su 1.609), quello più "loquace" è stato il Ministero delle Riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ma ha avuto a che fare con pochissime interrogazioni e interpellanze: solo 36 (le risposte sono state 25, pari al 69,4%). Il Ministro più oberato di lavoro è stato quello dell’Interno al quale sono stati rivolti ben 3.716 atti di sindacato ispettivo ai quali ha risposto in 1.195 casi (32,6%). Buona la performance del Ministero degli Esteri, che ha risposto a 490 atti sui 764 presentati (64,1%) e del Ministro della Difesa, che ha dato530 risposte su 875 atti presentati (60,5%). Nella passata legislatura (quando facevo parte della delegazione radicale all’interno del gruppo parlamentare del Pd) chiesi al Ministro Alfano, allora guardasigilli, perché non rispondesse mai alle tante interrogazioni a risposta scritta che presentavo soprattutto a seguito di visite dì sindacato ispettivo in carcere: con un sorriso paraculo mi disse "meglio non mettere nulla per iscritto". Poi però lo sfinii con migliaia di solleciti e con richiami al regolamento (tuttora in vigore) che stabilisce che, passati 20 giorni dalla presentazione, il deputato interrogante può richiamare l’atto in commissione e, a quel punto, il Ministro o risponde o è costretto a motivare il suo silenzio; superfluo dire che Alfano preferì rispondere a centinaia di interrogazioni che, con molto anticipo sulla sentenza Torreggiani, provarono i trattamenti inumani e degradanti subiti dai detenuti nelle carceri italiane. C’è da chiedersi come mai le bellicose opposizioni di oggi il regolamento lo tengano a marcire nel cassetto. Non spero che Stasi sia colpevole, spero siano innocenti gli uomini che l’hanno condannato di Guido Vitiello Il Foglio, 19 dicembre 2015 Bis, ter, quater in idem: come processi perennemente ricelebrati, ci sono dilemmi tenaci che tornano di secolo in secolo. Commentando la vicenda Stasi, sul Foglio del 15 dicembre, l’ex magistrato Piero Tony ha scritto che dobbiamo mettere sotto accusa "il sistema processuale - che va urgentemente riformato - e non i magistrati suoi celebranti". Con regole migliori, se ne deduce, casi raccapriccianti come quello che ha portato alla condanna di un pluri-assolto sarebbero impensabili. E sia; ma in un lampo di déjà-vu ho ripensato alle battute finali dell’ultimo intervento pubblico di Enzo Tortora, in collegamento telefonico dal suo letto d’ospedale con la trasmissione "Il testimone" di Giuliano Ferrara. Alessandro Criscuolo, presidente allora dell’Anni (e oggi della Corte Costituzionale), sosteneva che il caso Tortora era nato dalle scorie di un sistema processuale figlio di tempi bui e autoritari, che la radice delle storture era nel vecchio rito inquisitorio tutto sbilanciato sull’accusa, che l’imminente introduzione del nuovo codice avrebbe reso impossibile il ripetersi di una tragedia come quella (non si azzardava a chiamarlo errore). Cercava poi, in tono di curiale sollecitudine, di ottenere l’assenso di Tortora, che però trovò un filo di voce per rispondergli, o meglio per mettere la domanda a testa in giù: "Io credo che voi siate impegnati in una difesa corporativa", disse. "Volevate difendere la vostra cattiva fede". Dalle colpe del sistema eccoci riportati alle colpe degli uomini. Poche settimane dopo Tortora morì, e volle con sé nella bara la "Storia della Colonna infame", il libro dove il dilemma era posto nel più limpido dei modi. "Una cattiva istituzione non s’applica da sé", scriveva Manzoni nelle prime pagine, discostandosi dalle tesi di Pietro Verri - ed è storia nota. Ma Tortora non scelse una copia qualunque del classico di Manzoni. Scelse l’edizione Sellerio del 1981 perché c’era una prefazione di Leonardo Sciascia, dove si leggeva: "Più vicini che all’illuminista ci sentiamo oggi al cattolico. Pietro Verri guarda all’oscurità dei tempi e alle tremende istituzioni, Manzoni alle responsabilità individuali". L’illustre prefatore di un’altra edizione, Franco Cordero, accusava Manzoni di aver allestito un teatrino consolante in cui gli attori optano tra Bene e Male fluttuando in un vuoto metafisico, senza tener conto delle abitudini, della cultura del tempo, in una parola del sistema. Ma un dilemma tenace, attraversando i secoli, non trova solo nuovi attori e nuovi pretesti attorno a cui svolgersi, trova anche nuove scenografie. E a Piero Tony - che non ha certo scrupoli corporativi, lo dimostra il suo pamphlet "Io non posso tacere" - si potrebbe chiedere: ha senso riproporre la distinzione tra liturgia e celebranti, quando è proprio il sistema processuale a lasciare ai magistrati - dall’avvio delle indagini alla conclusione del giudizio - margini così spaventosi di discrezionalità e di arbitrio irresponsabile da magnificare, anziché comprimere, l’elemento soggettivo? Io non spero che Stasi sia colpevole, spero che siano innocenti gli uomini che l’hanno condannato. Ma anche questo, ora che ci penso, l’aveva già detto qualcuno. Bis in idem. Biella: cantieri di lavoro, detenuti impegnati in dieci progetti newsbiella.it, 19 dicembre 2015 Gli interventi coinvolgeranno 15 persone individuate dall’Amministrazione Penitenziaria, nove Comuni e il Parco Burcina, in collaborazione con il Comune capoluogo. Buone notizie sul fronte dei cantieri di lavoro per disoccupati. La Provincia di Biella, nei giorni scorsi, ha autorizzato i progetti di cantieri di lavoro per persone sottoposte a misura restrittive della libertà personale previsti dalla Legge regionale 34/2008 art. 42. Sono pervenuti 10 progetti presentati da nove Comuni (Cossato, Casapinta, Cavaglià, Strona, Tollegno, Mezzana, Occhieppo Superiore, Magnano, Mongrando) oltre al Parco Burcina in collaborazione con il Comune di Biella. Saranno coinvolte 15 persone individuate dall’Amministrazione Penitenziaria. La richiesta finanziaria presentata è stata superiore al previsto, ma la Regione provvederà a finanziare l’intero fabbisogno pari € 90.491,92, mentre i Comuni e il Parco interverranno per finanziare sicurezza e coperture Inail con una somma complessiva di circa € 17.665,00. I lavori saranno avviati entro la metà di marzo e prevedranno, per questa edizione e su richiesta della Commissione di valutazione, anche un breve percorso di politica attiva volto a favorire l’occupabilità delle persone coinvolte; l’intervento sarà realizzato dagli Uffici del Lavoro della Provincia di Biella. "È un’ottima possibilità sia per la collettività - ha dichiarato il Presidente Ramella Pralungo - che si avvantaggia del lavoro svolto da un detenuto, che per il detenuto stesso che sconta la propria pena rendendosi utile, avviando e facendosi parte attiva del proprio percorso di reintegro nella società. È fondamentale che queste persone che hanno commesso un errore, possano essere viste come risorse utili e non come un peso per la collettività. Finalmente in provincia di Biella diamo corso al principio costituzionale secondo il quale la pena deve tendere alla rieducazione del reo". Intanto, buone notizie anche in merito ai Cantieri di lavoro per disoccupati: è di lunedì ultimo scorso la notizia dell’approvazione (Dgr 19-2599 del 14/12/2015) dello stanziamento della Regione di € 115.000,00 per la Provincia di Biella; i progetti saranno rivolti alle persone inoccupate o disoccupate in cerca di prima occupazione. L’avvio prima dell’estate. Padova: i detenuti preparano regali ambientali per i bimbi di Pediatria padovaoggi.it, 19 dicembre 2015 Il progetto "Affetto oltre le sbarre" è promosso da Legambiente. Nel suo laboratorio di riciclo, si realizzano giocattoli con materiali di recupero destinati ai figli dei carcerati o ad associazioni del territorio. Il mantenimento degli affetti, e in particolare del rapporto tra detenuti e figli, è un elemento fondamentale per stimolare la responsabilizzazione e il reinserimento in società dei detenuti. In quest’ottica è nato il progetto "Affetto oltre le sbarre", promosso da Legambiente Padova con il contributo del Fondo 8xmille della Tavola Valdese e la collaborazione del gruppo Scout Neruda, della casa di reclusione e dell’assessorato all’Ambiente del comune di Padova. "Il coinvolgimento attivo dei detenuti avviene anche nel laboratorio di riciclo di Legambiente, in cui si realizzano giocattoli con materiali di recupero destinati ai figli dei detenuti o ad associazioni del territorio - spiega Sandro Ginestri, vice presidente di Legambiente Padova - in questi giorni, ad esempio, i detenuti in permesso, assieme ad alcuni volontari, stanno preparando alcuni giochi che verranno regalati all’associazione Gioco e benessere in Pediatria, per i bambini ricoverati all’ospedale di Padova durante le feste natalizie". Tra le attività del progetto, inoltre, la redazione del Tg 2 Palazzi, a cura di detenuti e volontari e trasmesso da Telechiara, che realizza servizi televisivi sui temi del carcere e della giustizia per promuovere la sensibilizzazione e offrire occasioni di riflessione su questi argomenti. Chi volesse partecipare alle attività del laboratorio di riciclo può contattare Legambiente Padova scrivendo a s.ginestri@legambientepadova.it. È possibile, inoltre, contribuire al progetto attraverso un’offerta per l’acquisto di alcuni dei prodotti del laboratorio: un esempio sono le borse fatte con camere d’aria, che Legambiente suggerisce come "regalo eco-solidale" per le feste. Como: arrestato a Ponte Chiasso il detenuto evaso dal carcere di Milano Bollate Adnkronos, 19 dicembre 2015 È stato arrestato dalla polizia al valico di Ponte Chiasso l’uomo di 52 anni evaso nei giorni scorsi, con modalità ancora da accertare, dal carcere di Bollate. Si tratta di un cittadino serbo di 52 anni residente a Como. Era a piedi al valico di Ponte Chiasso quando è stato controllato e la comparazione della foto segnaletica trasmessa a tutti gli uffici di Polizia ed il riscontro Afis hanno consentito di verificarne l’identità. Il 52enne è stato condannato a 2 anni e 4 mesi per molestie sessuali commesse a Como nel gennaio 2014. Conclusi gli accertamenti, la polizia lo ha tradotto al Bassone di Como. Venezia: il Patriarca Francesco Moraglia apre in carcere la Porta della Misericordia La Nuova Venezia, 19 dicembre 2015 Dopo quella Santa in Basilica, Moraglia oggi in visita a Santa Maria Maggiore. Ad attenderlo i detenuti che hanno preparato canti, presepe e doni. Tra loro anche l’ex assessore regionale Renato Chisso, che deve scontare in cella gli ultimi 9 mesi di pena. Il patriarca Francesco Moraglia in visita al carcere. Dopo l’apertura, la scorsa domenica, della Porta Santa di San Clemente in Basilica di San Marco, questa mattina alle 10 il Patriarca Francesco Moraglia è andato nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore e nella cappella ha aperto la Porta della Misericordia. Il presule ha incontrato le persone rinchiuse in carcere e portato le sue parole di conforto e di speranza. Ad attenderlo uomini che sanno di aver sbagliato. I detenuti hanno preparato i canti e animato la messa, il presepe allestito a mano, i doni per il Patriarca. Ad assistere anche l’ex assessore regionale Renato Chisso, coinvolto nell’inchiesta sulle tangenti per il Mose e rinchiuso giovedì 17 dicembre in carcere dopo la revoca degli arresti domiciliari in quanto ritenuto ancora "socialmente pericoloso". Chisso dovrà scontare in carcere gli ultimi 9 mesi di pena. Domani, sabato 19 dicembre, invece, appuntamento con il "Giubileo dei bambini e delle loro famiglie", ossia il tradizionale Incontro della Carità, che quest’anno cade all’interno dell’Anno santo straordinario della Misericordia. Ad organizzare l’iniziativa don Valter Perini, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, assieme alla Caritas veneziana e alla San Vincenzo Mestrina. Verranno proposti ai bambini due gesti significativi: in piazza San Marco potranno portare dei piccoli tamburi per esprimere i desideri che abitano nel loro cuore e nel cuore degli adulti. E poi ci sarà il momento fondamentale: il passaggio attraverso la Porta Santa della basilica. Il motto scelto è "Apri la porta del cuore" mentre l’episodio evangelico di riferimento sarà la visita di Maria alla cugina Elisabetta. Dalle 14.45, al molo di San Marco, sarà ormeggiata la barca che accoglierà i doni portati dai bambini della Diocesi. Si aprirà quindi, intorno alle 15.45, la seconda parte dell’incontro con un momento di canto e di preghiera e, in particolare, la riflessione di Moraglia ai bambini e alle loro famiglie. Martedì 5 gennaio il Patriarca Moraglia spalancherà un’altra Porta della Misericordia, quella del carcere femminile della Giudecca. Sabato 16 gennaio, invece, toccherà alla porta del santuario Santa Maria Assunta di Borbiago di Mira e il giorno successivo quella di Santa Maria Concetta di Eraclea. Firenze: "Scrittura d’evasione", a Sollicciano il progetto Arci Società di Gabriele Parenti stamptoscana.it, 19 dicembre 2015 Presentato il corso di scrittura creativa, rivolto alla popolazione carceraria e agli esterni, promosso da Arci Firenze. C’è tempo per iscriversi fino al 31 dicembre 2015. Le lezioni inizieranno il 26 gennaio, ogni martedì dalle 16 alle 18. Inizierà il 26 gennaio 2016 il laboratorio di scrittura creativa “Scrittura d’evasione", promosso e organizzato da Arci Firenze e coordinato dalla scrittrice fiorentina Monica Sarsini nella sezione maschile del carcere di Sollicciano. Dopo diverse edizioni di successo realizzate nella sezione femminile del penitenziario fiorentino, che hanno portato alla pubblicazione di due volumi di racconti, vincitori anche di numerosi riconoscimenti, il laboratorio si apre anche alla sezione maschile, con una significativa novità. “Non sarà rivolto solo ai detenuti ma accoglierà anche iscritti dall’esterno, diventando così, oltre ad essere occasione di formazione, anche un’opportunità straordinaria per entrare in relazione con il mondo esterno in maniera positiva e propositiva, senza barriere." Queste le parole di Monica Sarsini, animatrice del laboratorio che sarà da lei condotto insieme a scrittori, giornalisti e docenti universitari e che permetterà agli iscritti di passare in rassegna modi e temi della scrittura creativa, cimentandosi nella produzione letteraria. “Il progetto - spiega Valentina Giovannetti, responsabile di Arci Firenze per le politiche sociali - è costituito da cinque moduli inter-dipendenti: dopo il corso di scrittura creativa, i detenuti parteciperanno con le loro opere a un concorso letterario dedicato, cui farà seguito la pubblicazione di un volume e letture pubbliche, oltre a una serie di trasmissioni radiofoniche realizzate in collaborazione con Novaradio", emittente di Arci Firenze. “Il progetto di scrittura creativa in carcere si pone perfettamente in linea con l’obiettivo di aprire il carcere alla città e di trasformare l’istituto in un luogo ove si possano realizzare progetti ed eventi proiettati anche all’esterno". È il commento della direttrice del carcere, Mariagrazia Giampiccolo, che insiste su quanto sia importante “offrire ai detenuti una prospettiva futura, mettendo a loro disposizione dei percorsi rieducativi e formativi qualificati, grazie ai quali possano iniziare a costruire ciascuno il proprio nuovo percorso di vita." Il laboratorio, presentato giovedì 17 dicembre al Comitato di Firenze di Arci, ha già circa quindici detenuti iscritti e fino al 31 dicembre sono aperte le iscrizioni per gli aspiranti scrittori esterni alla struttura, per i quali sarà organizzato anche un incontro preparatorio per l’ingresso nel carcere che si terrà in data 21 gennaio 2016 alle ore 18:00 presso la sede dell’Arci, in piazza dei Ciompi 11 a Firenze. “L’apertura a corsisti esterni - chiosa il presidente di Arci Firenze, Jacopo Forconi - rappresenta, per noi, uno dei punti più importanti del progetto: dà ai detenuti la possibilità di affacciarsi verso l’esterno ma allo stesso tempo permette, a chi decide di partecipare, di intessere un rapporto con i detenuti che supera i pregiudizi e i confini. Per questo Arci Firenze lo ha sostenuto fin da subito". I corsi si svolgeranno nella scuola della sezione maschile della casa circondariale di Sollicciano, ogni martedì a partire dal 26 gennaio, dalle 16 alle 18, per un totale di 20 incontri e sarà possibile partecipare a tutto il corso oppure solo ad alcuni incontri, in base alla disponibilità e agli interessi. Il numero massimo di partecipanti è di 15 detenuti e 15 esterni. Per iscriversi è necessario inviare la scheda di partecipazione scaricabile sul sito di Arci Firenze e inviare copia del proprio documento d’identità all’indirizzo sociale@arcifirenze.it entro il 31 dicembre alle ore 9, così da garantire il rispetto dei tempi tecnici necessari per il rilascio dei lasciapassare. Calendario 26 gennaio 2016 Introduzione al Corso a cura di Monica Sarsini 2 febbraio 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 9 febbraio 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 16 febbraio 2016 “Scrivere un articolo per un giornale" a cura di Mara Amorevoli 23 febbraio 2016 “Scrivere all’epoca della cultura digitale" a cura di Giuliano Santoro 1 marzo 2016 “Riflessioni sulla poesia e la letteratura" a cura di Augusta Brettoni 8 marzo 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 15 marzo 2016 “Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito" (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa) a cura di Anna Scattigno 22 marzo 2016 “La Storia, le storie, lo stile: da dove cominciare?" a cura di Valerio Aiolli 29 marzo 2016 “Non c’è dubbio: la narrativa fa un lavoro migliore della verità. Invenzione, finzione, verità nella scrittura letteraria" a cura di Roberta Mazzanti 5 aprile 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 12 aprile 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 19 aprile 2016 La poesia a cura di Paolo Maccari 26 aprile 2016 La poesia a cura di Paolo Maccari 3 maggio 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 10 maggio 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 17 maggio 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 24 maggio 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini 31 maggio 2016 “Scrivi tu che scrivo io. Per una scrittura collettiva" a cura di Ernestina Pellegrini 7 giugno 2016 Laboratorio a cura di Monica Sarsini Durante gli incontri di Laboratorio, condotti da Monica Sarsini che in alcuni sarà affiancata da Francesco Recami, verranno letti e commentati brani di autori di varie nazionalità che trattano l’arte dello scrivere e rendono note le loro abitudini e pratiche di scrittura. Saranno letti ad alta voce i testi prodotti dai partecipanti al corso, commentati e approfonditi: un allenamento alla lettura critica e alla conoscenza degli stili letterari. Per i corsisti esterni sarà possibile iscriversi a tutto il corso per un costo (comprensivo di tessera Arci) di 200 euro oppure solo ad alcuni incontri, scegliendo 10 incontri per un costo di 100 euro. Terni: "Il sole non muore", cd di canzoni dei detenuti dedicate a loro compagno suicida Ansa, 19 dicembre 2015 I detenuti del carcere di Terni diventano cantautori: grazie ad un progetto nato nell’ambito di un’attività di laboratorio e alla donazione di una finanziatrice, un gruppo di essi ha infatti dato vita ad un cd di canzoni che raccolgono il proprio vissuto, gli stati d’animo e le aspirazioni. "Il sole non muore" è il titolo dell’album, composto da dieci brani inediti, scritti e interpretati dai detenuti. Il cd è frutto di un lavoro cominciato qualche mese fa all’interno di un’attività di sperimentazione della scrittura creativa collettiva, promossa nel periodo estivo da alcuni insegnanti dell’istituto Ipsia e del Cpia. "La qualità del prodotto - spiega la direzione della casa circondariale - non risiede soltanto nella valenza culturale dell’operazione (dar voce ad una periferia esistenziale troppo banalmente marginalizzata come scarto e poco considerata come orizzonte di recupero) ma anche nell’elevata cura degli arrangiamenti elaborati dal Groove recording studio di Terni che valorizza la portata delle parole". Al progetto ha contribuito anche l’Arci, cui è stata affidata la distribuzione del cd. I proventi raccolti saranno utilizzati in attività interne al carcere. Il cd sarà presentato dagli stessi detenuti domenica prossimo alle 10,30 nel teatro del carcere. Insieme ad istituzioni e autorità parteciperà anche la famiglia di un giovane detenuto morto suicida all’interno dell’istituto quest’estate, alla cui memoria i compagni hanno voluto dedicare uno dei brani. Palermo: Poste Italiane; tappa siciliana del progetto "Filatelia nelle carceri" La Presse, 19 dicembre 2015 La presidente di Poste Italiane Luisa Todini è intervenuta oggi presso la Casa di Reclusione di Paliano (Fr) alla cerimonia di presentazione delle cartoline filateliche realizzate con gli elaborati grafici dei detenuti. Nel corso della cerimonia, gli autori dei lavori hanno illustrato brevemente le realizzazioni, proponendo inoltre alcune loro poesie e qualche riflessione sul significato dell’iniziativa. Sulle cartoline è stato poi apposto lo speciale annullo filatelico predisposto dalla divisione Filatelia di Poste Italiane. L’esibizione del coro dei detenuti nella cappella della Casa di Reclusione ha concluso la cerimonia. All’evento erano presenti, tra gli altri, il Prefetto di Frosinone, Emilia Zarrilli, il Direttore della Casa di Reclusione di Paliano, Nadia Cersosimo. L’iniziativa si inserisce nel quadro del progetto formativo-culturale "Filatelia nelle carceri", che ha l’obiettivo di favorire la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti ed è promosso da Poste Italiane con il patrocinio dei Ministeri della Giustizia e dello Sviluppo Economico, in collaborazione con la Federazione fra le Società filateliche italiane e l’Unione stampa filatelica italiana. Lo scorso giugno gli ospiti della Casa Circondariale di Opera (Mi) avevano organizzato la mostra filatelica "Oltre le dure sbarre". "I francobolli - ha osservato a tal proposito la Presidente di Poste Italiane Luisa Todini - sono il simbolo di una forma di comunicazione antica ed ancora molto importante, soprattutto per chi, come i detenuti, è in grado di apprezzare fino in fondo il valore aggiunto emotivo della lettera scritta a mano rispetto alle alternative tecnologicamente evolute come SMS o email. Ma la filatelia, con le sue emissioni dedicate ai protagonisti della nostra storia o ai capolavori del nostro patrimonio artistico, è soprattutto l’occasione per iniziare percorsi di arricchimento culturale che risultano fondamentali per una piena ed efficace applicazione di quel principio di rieducazione che la nostra Costituzione indica come obiettivo della pena detentiva". "Questo progetto - ha concluso la Presidente Todini - che si aggiunge alla prima Casa Famiglia protetta per le madri detenute e i loro bambini, iniziativa promossa e sostenuta dalla Fondazione Poste Insieme Onlus in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e con il Comune di Roma e che vedrà la luce nei primi mesi del prossimo anno". Cinema: "La Tela", docufilm di Salvatore Garau girato nel carcere di Oristano-Massama Ansa, 19 dicembre 2015 Pensato per circuiti tv e festival dal regista Salvatore Garau. Un film documentario pensato per i circuiti televisivi e anche per i grandi festival nazionali e internazionali di cinema, compresi Cannes e Venezia. Il film si chiama La Tela ed il regista oristanese Salvatore Garau (che prima di arrivare al successo internazionale come pittore è stato negli anni 70 e 80 batterista degli Stormy Six) lo sta finendo di girare proprio in questi giorni all’interno della Casa Circondariale di Massama (Oristano). Protagonisti lo stesso Garau nella sua veste di pittore e tre detenuti che interagiscono liberamente con lui nella pittura di una tela di due metri per cinque. La fotografia porta la firma di Fabio Olmi, figlio del regista Ermanno Olmi, e premio Donatello nel 2002 per Il Mestiere delle Armi. "Non è stato facile accettare che qualcun altro mettesse le mani su un mio quadro, ma La Tela ora è quasi terminata e sono davvero contento del risultato" ha spiegato Garau presentando il progetto del film in uno dei pochi spazi accessibili ai normali cittadini all’interno del carcere di Massama, dove sono detenuti in regime di alta sicurezza decine e decine di boss e manovali della mafia e della camorra. "Il mio intento non è raccontare la situazione delle carceri o sostituirmi agli educatori, ma semplicemente fare un bel film assieme ai tre detenuti che hanno accettato di dipingere con me questa Tela" ha spiegato Garau. Entusiasta del progetto Fabio Olmi: "Girare un documentario - ha detto - è una cosa che dà grande libertà e quando Garau mi ha proposto di girarne uno in un posto dove la libertà non c’è ho accettato subito". Il progetto del film prevede anche la realizzazione, affidata a cinque diversi registi, di altrettanti corti di cinque minuti ciascuno che raccontano ognuno un ricordo d’infanzia di cinque diversi detenuti del carcere di Massama. Il docufilm sarà prodotto in due diverse versioni dalla Blue Film di Roma, una di 50-60 minuti senza i corti e una di 80 minuti con i corti. Ue, dopo il vertice c’è il nulla di Anna Maria Merlo Il Manifesto, 19 dicembre 2015 Consiglio europeo. I vertici si susseguono e si moltiplicano, ma le decisioni non arrivano: sui rifugiati e sul Brexit tutto è rimandato al prossimo anno. Per i guardia-frontiere si deciderà a febbraio, il fallimento delle ricollocazioni (184 persone sulle 160mila promesse). La Svezia si defila. Chi paga per i 3 miliardi promessi alla Turchia? Anche sulle risposte a Cameron si aspetta febbraio. Tensioni anche sull’automaticità del proseguimento delle sanzioni alla Russia e sul blocco di Southstream. Un’impotenza complessiva che si sta traducendo in un’insofferenza reciproca generalizzata tra i 28: l’ennesimo Consiglio europeo, il tredicesimo dell’anno, si è concluso senza decisioni. Eppure, sul tavolo c’erano questioni di primo piano, dalla crisi dei rifugiati alla minaccia di Brexit, fino all’Unione bancaria, all’Europa dell’energia, oltre alle questioni geopolitiche, Siria e Libia in testa, ma anche le relazioni con la Russia e il problema del prolungamento delle sanzioni. Ogni paese ha seri problemi a casa, con la crescita dappertutto di forze populiste e di estrema destra, come hanno messo in luce le ultime elezioni regionali francesi. Le varie patate bollenti sono state passate alla presidenza olandese, che per sei mesi prenderà le redini del Consiglio dopo il Lussemburgo. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, è estremamente pessimista e non si fa "nessuna illusione" sulla soluzione nel 2016 dei dossier aperti. La Commissione nel 2015 ha fatto varie proposte sui rifugiati, ma tutte sono rimaste lettera morta e ormai è lo spazio Schengen ad essere a rischio, con l’ipotesi sotterranea di creare un "mini-Schengen", senza Italia e Grecia, paesi considerati "colabrodo". Quasi un milione di persone sono entrate nella Ue nel 2015. Ad ottobre, Bruxelles aveva previsto la ricollocazione di 160mila rifugiati, presenti in Italia e in Grecia. Sei mesi dopo, ne sono stati redistribuiti solo 184. Numeri inaccettabili" per Matteo Renzi, che ha rimandato al mittente tutte le critiche all’Italia. "L’Italia sta facendo la sua parte, l’Europa no". Secondo Renzi, "il 50% degli hotspot" sono stati aperti, contro uno "0,2% di relocation". Non è lo stesso calcolo che fanno i partner, che vedono solo aperto, per l’Italia, quello di Lampedusa (e uno per la Grecia). I 28 si barricano dietro le richieste alla Commissione, che dovrà "presentare rapidamente" una revisione del diritto d’asilo nella Ue, per chiarire anche i termini del "programma volontario di ammissione a titolo umanitario" (altro fallimento: la Ue nel luglio scorso si era impegnata con l’Onu ad accogliere 22mila rifugiati per una reinstallazione, ma al momento il progetto riguarda solo 600 persone). Ungheria e Slovacchia si sono già tirate fuori dal programma di ricollocazione. A Bruxelles, è stata la volta della Svezia, uno dei paesi più richiesti, ad ottenere un anno bianco, fuori dal programma di accoglienza di rifugiati schedati negli ancora fantomatici hotspot italiani e greci. Angela Merkel ha ancora ripetuto che "non possiamo lasciare Italia e Grecia da sole", ma nei fatti i paesi "di buona volontà" (Germania, Belgio, Austria) sono in difficoltà e scaricano la responsabilità di trovare una soluzione sulla presidenza olandese. Ma il primo ministro olandese, Mark Rutte, avverte: per i resettlement umanitari, tutto è congelato fino a quando i flussi migratori illegali dalla Turchia "non saranno ridotti quasi a zero". La Ue prevede reinsediamenti per 50-80mila persone al massimo, la Turchia pensa a varie centinaia di migliaia. La Ue ha promesso 3 miliardi alla Turchia. Ma chi paga? I 28 chiedono che la Commissione trovi più dei 500 milioni promessi nel proprio bilancio. E Hollande avverte: "i soldi alla Turchia saranno versati solo se Ankara rispetterà i criteri richiesti" nell’accordo firmato il 29 novembre scorso. Gli europei ritengono che Ankara non blocchi i flussi illegali, che continuano al ritmo di 4mila persone al giorno sulle coste delle isole greche. "Il piano di azione Ue-Turchia è un fallimento", ha riassunto il primo ministro ceco, Bohusha Sobotka. Anche il corpo di guardia-frontiere e guardia-coste Ue, proposto dalla Commissione il 15 dicembre scorso, è rimandato a più tardi, sotto presidenza olandese. "Non rinunciamo a proteggere le frontiere esterne", afferma il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, ma molti paesi membri sono perplessi sulla decisione di imporre i guardia-frontiera Ue anche senza l’accordo dei paesi interessati. Per la Polonia equivale a "un’occupazione" e la Grecia contesta. Sulle risposte alla minaccia di Brexit, tutto è rimandato a un vertice a febbraio. Nessuno vuole mettere in difficoltà David Cameron, in vista del referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna alla Ue, forse già la prossima primavera. Hollande accetta "aggiustamenti", parla di "compromessi" possibili, sulla competitività, sull’energia, sulla governance, ma resta il blocco sulla libera circolazione e la non-discriminazione dei cittadini Ue (sul welfare), che deve essere rispettata perché è un principio fondatore. Londra potrebbe ottenere degli opt out sull’immigrazione, come la Danimarca nel ‘92, senza modifica dei Trattati (Germania e Francia non ne vogliono sentir parlare prima delle elezioni, in entrambi i paesi nel 2017). Per completare il quadro delle difficoltà, ci sono state tensioni sull’ipotesi di prolungamento automatico, a gennaio, delle sanzioni alla Russia, contestate da alcuni paesi, tra cui Italia. Renzi, con la Bulgaria, ha protestato anche per Southstream, il gasdotto dalla Russia bloccato, mentre Northstream, che porta il gas russo in Germania, prosegue. L’anno terribile di profughi e migranti L’Osservatore Romano, 19 dicembre 2015 Ban Ki-moon ricorda che cinquemila persone sono morte nel tentativo di trovare protezione o una vita migliore. La Giornata internazionale del migrante, che si celebra oggi, è stata funestata dall’ennesima tragedia in Mediterraneo, dove quattro iracheni, compresi due bambini, sono morti nel naufragio di un’imbarcazione al largo di Boclrum, città turca sull’Egeo, mentre cercavano di arrivare in Grecia. Altre quattro persone sono state tratte in salvo, compreso un uomo arrestato con l’accusa di essere lo scafista. Del resto, nel suo messaggio per la Giornata, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, sottolinea che "il 2015 verrà ricordato come un anno di sofferenza umana e di tragedie dei migranti. Negli ultimi dodici mesi, più di cinquemila donne, uomini e bambini hanno perso la vita alla ricerca di protezione e di una vita migliore. Altre decine di migliaia sono state sfruttate e violate dai trafficanti di esseri umani. E milioni di persone sono state considerate capri espiatori e sono divenute l’obiettivo eli politiche xenofobe e di una retorica allarmista". Nel 2016 sarà necessario rafforzare le poche luci emerse nel settore delle migrazioni e dell’asilo nell’anno che si conclude. Tra queste poche luci, come ha ricordato Ban Ki-moon, c’è l’adozione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con la quale "i leader del mondo hanno promesso di tutelare i diritti del lavoro dei migranti, combattere i gruppi criminali della tratta degli esseri umani e promuovere una migliore disciplina di migrazioni e mobilità". Di conseguenza, il segretario dell’Onu esorta i Governi a "costruire su questa base un programma mondiale sulla mobilità umana basato su una migliore cooperazione tra Paesi di origine, di transito e di destinazione, con un meccanismo di condivisione di responsabilità, nel pieno rispetto dei diritti umani dei migranti, indipendentemente dal loro status". Nel suo messaggio, infatti, pur sollecitando un maggiore impegno a favorire l’emigrazione regolare, Ban Ki-moon non fa differenza tra profughi e migranti. Né del resto, in un’epoca di flussi di mobilità umana sempre più interconnessi tra quanti fuggono da guerra e persecuzione e quanti lo fanno dalla fame, è difficile applicare le tradizionali regole che disciplinano rispettivamente l’asilo e l’immigrazione. La questione sembra interpellare soprattutto l’Unione europea che a fine anno avrà visto oltre un milione di arrivi, secondo i dati diffusi oggi dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Di fronte a questa vicenda epocale, l’Ue non sembra aver trovato risposte coese e solidali. Il ritardo dell’Unione sotto questo aspetto ha avuto un’ulteriore conferma dal Consiglio europeo, che si sta concludendo al momento in cui andiamo in stampa. A quanto sta emergendo, infatti, nessuna decisione vincolante si prospetta sul ricollocamento dei profughi, cruciale per una corretta politica di accoglienza. Vengono poi rinviati anche la questione dei cosiddetti hotspot, i centri per la registrazione e l’identificazione di quanti arrivano sulle coste europee, oltre all’attuazione di una diversa disciplina per il controllo delle frontiere esterne. L’Europa ha già smesso di commuoversi di Filippo Miraglia (vicepresidente nazionale Arci) Il Manifesto, 19 dicembre 2015 Rifugiati. I migranti che hanno manifestato giovedì a Lampedusa ci fanno capire, con i fatti, gli enormi limiti dell’approccio hotspot. Un sistema che alimenta la divisione tra buoni e cattivi, tra chi ha diritto alla protezione e chi no. Di fronte alle vittime che continuano ad aumentare, ai più di 700 cadaveri di bambini che solo quest’anno sono morti per avere quel futuro al quale hanno diritto. Di fronte all’intervento della Turchia di Erdogan che, su incarico dell’Ue (al prezzo di 3 miliardi all’anno) ferma, anche ricorrendo al carcere e alle violenze, i profughi e respinge i siriani in Siria, di nuovo sotto le bombe. Di fronte all’inverno che incombe, i rappresentanti europei, riunitisi in Consiglio giovedì e venerdì, continuano a parlare lo stesso linguaggio di morte che hanno usato nelle scelte concrete di questi mesi. Il salvataggio è scomparso dal loro vocabolario, le parole chiave ora sono respingimenti, controllo, esternalizzazione ed ulteriore chiusura delle frontiere. Una recente proposta, presentata meno di una settimana fa, prevede altre guardie di frontiera e strumenti per controllare i confini europei e impedire ai profughi di arrivare sul territorio dell’Ue a chiedere protezione. A differenza del passato, le nuove guardie di frontiera potranno intervenire anche senza che lo stato membro ne faccia richiesta. Un modo per cercare di isolare chi non vuole fare del proprio paese un territorio cinto da filo spinato. Più guardie di frontiera, dunque, per alimentare l’economia di guerra e rafforzare l’immagine dell’invasione, sperando così di fermare il consenso popolare verso la destra xenofoba, che in questo modo diventa forza di governo nei fatti. Siamo di fronte a guerra contro chi è costretto a lasciare la sua casa e viene a bussare alle nostre porte. Un numero che secondo l’Unhcr nel 2015 è in continua crescita e che richiederebbe con urgenza il ricorso alla direttiva europea 55/2001 per la straordinaria emergenza di fronte alla quale ci troviamo e che assume sempre più il carattere di una vera tragedia umanitaria. Invece l’Ue parla ancora una volta il linguaggio di Orban, al di là dei distinguo e delle belle parole. I migranti che hanno manifestato giovedì a Lampedusa, chiedendo che non gli vengano prese le impronte e che siano lasciati liberi di continuare il loro viaggio, ci fanno capire, con i fatti, gli enormi limiti dell’approccio hotspot. Questo sistema continua ad alimentare la divisione tra buoni e cattivi, tra chi ha diritto alla protezione e chi no. Mentre si respingono profughi di guerra. Questo sistema obbliga all’irregolarità e destina all’esclusione sociale centinaia di migranti, respinti arbitrariamente dal sistema d’asilo sulla sola base della nazionalità, in violazione della legge vigente che prevede l’analisi di ogni singolo caso. Questa logica si sposa con quella di firmare accordi con i paesi di origine per facilitare l’espulsione - oggi l’Italia espelle solo verso paesi con cui ha firmato accordi di riamissione, Nigeria, Egitto, Tunisia - ma anche con i paesi di transito. Quella dell’esternalizzazione resta una delle priorità nei discorsi europei, nonostante il Vertice della Valletta abbia dimostrato le giuste resistenze dei paesi africani. Le trattative con il Niger, per trasformare il centro d’Agadez in un hotspot prima delle frontiere europee, restano una priorità per l’Italia. L’Europa lavora su più aree geografiche contemporaneamente, dal Marocco alla Turchia, dal Niger alla Libia, cercando la stabilizzazione politica perché ritornino ad essere i gendarmi dell’Europa. Lampedusa, dietro la protesta dei migranti eritrei di Francesca Buonfiglioli lettera43.it, 19 dicembre 2015 Rifiutano l’identificazione. Per poter continuare il loro viaggio. Ma così sono costretti in clandestinità. Il caso di 200 eritrei, simbolo del fallimento dell’Ue. Non vogliono essere identificati. Non vogliono essere foto-segnalati né lasciare che le loro impronte siano registrate. Perché questo significherebbe essere costretti a trasferirsi - nella migliore delle ipotesi - in un Paese che non hanno scelto. O, peggio, restare "imprigionati" in Italia per via del Trattato di Dublino. E con buona probabilità da clandestini. Per questo 200 migranti, per lo più eritrei, hanno marciato giovedì per le strade di Lampedusa - dove sono di fatto detenuti perché non identificati - al grido di "No finger print". E sono pronti a uno sciopero della fame. "I migranti", spiega Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana e componente dell’ufficio di presidenza della commissione parlamentare sul sistema di accoglienza, "sanno bene che la procedura dell’identificazione impedirebbe di proseguire il proprio viaggio verso i Paesi europei dove risiedono grandi comunità", amici e conoscenti. Questo mentre l’Ue chiede all’Italia un’accelerazione nel dare "cornice legale alle attività di hotspot, in particolare per permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza". Dopo aver avviato nei nostri confronti una procedura d’infrazione per la mancata applicazione del regolamento sulla registrazione dei migranti attraverso le impronte digitali (Eurodac). Il problema, però, è che al di là delle richieste e dei diktat l’Europa non sta facendo quanto promesso. Anzi, ha già ammesso il fallimento delle politiche di ricollocazione. I numeri parlano chiaro: dei 40 mila migranti da ricollocare giunti in Italia, solo poche centinaia hanno trovato una destinazione. Il meccanismo dei ricollocamenti quindi è un nulla di fatto. "È stato solo uno spot", è il ragionamento. "Alfano si è fatto un paio di foto davanti agli aerei e nient’altro". I Paesi dell’Europa del Nord, è noto, richiedono soprattutto siriani. Non certo somali, eritrei e gambiani. E non si tratta di un dettaglio se si considera che nel nostro Paese da inizio anno sono entrati 38.550 eritrei e 7.200 siriani. Ci sono ancora, quindi, migranti di serie A e di serie B. Migranti accoglibili e non accoglibili. Non solo. "Un migrante che oggi è considerato economico", spiega a Lettera43.it Fausto Melluso di Arci Palermo, "fino a un anno fa era considerato rifugiato. E questo senza che nel suo Paese d’origine sia cambiato assolutamente nulla". Ricordando, però, che anche i rifugiati non hanno libera circolazione nell’area Schengen. Farsi identificare, in altre parole, significa "restare a tempo indefinito in Italia o, peggio", denuncia Palazzotto, "rientrare tra i destinatari del provvedimento di respingimento differito che stanno avendo un impennata, in molti casi senza che ai migranti siano fornite le informazioni previste dalla legge. Per questo il premier Matteo Renzi deve fare di più, portando in Europa il tema del superamento di Dublino. Senza sostanziali modifiche del trattato l’Italia non potrà affrontare l’emergenza". Il respingimento differito non è una novità. È stato introdotto nel Testo Unico del 1998, per essere poi rispolverato nel 2007 e nel 2008. Ora è stato riesumato, nonostante si siano riscontrati aspetti incostituzionali. Lo dimostra il caso di alcuni ragazzi gambiani seguiti da Arci Palermo. "Hanno dai 18 ai 20 anni", racconta Melluso. "Sono sbarcati a Lampedusa il 20 novembre. Dopo quattro giorni hanno ricevuto la notifica di respingimento differito, mentre stavano viaggiando verso Agrigento dopo un colloquio di una manciata di minuti", durante il quale sono stati interrogati sul motivo del viaggio. Senza ricevere, così hanno raccontato, informazioni o poter avviare la procedura di asilo. "Sono stati foto-segnalati", sottolinea il responsabile Arci, "e questo li lega per sempre all’Italia. Anche nel caso riuscissero a passare il confine, in qualsiasi momento un poliziotto in ogni Paese europeo può identificarli e rispedirli in Italia". La verità è che così com’è Dublino è inapplicabile. Lo dimostra il caso dell’Ungheria, il Paese di Viktor Orban e dei muri, al quarto posto per domande d’asilo. "Quelle 45 mila persone che hanno fatto richiesta non sognano certo di restare in Ungheria", fa notare Melluso. "Sono imprigionate in quel Paese". Ma cosa prevede esattamente la legge sui respingimenti differiti? Una volta raggiunti dal foglio di respingimento, i migranti devono recarsi alla frontiera di Roma Fiumicino per essere rispediti a casa. "Ma questi ragazzi con sé hanno solo le scarpe, non hanno un euro. È impossibile che riescano raggiungere la Capitale", spiega Melluso. A questo punto, però, non possono nemmeno richiedere asilo. Per farlo infatti dovrebbero recarsi in Procura, dove però sarebbero fermati. A meno che, ma con i tempi della burocrazia italiana, non venga chiesta una sospensione del provvedimento. Il risultato? Finiscono in clandestinità. "Così non si crea ordine", commenta Melluso. "Tra l’altro recentemente questa misura ha colpito persino un minore. Naturalmente la situazione è stata risolta". Ma questo dà la misura della situazione. Non a caso Staffan De Mistura, da presidente della commissione per le verifiche e le strategie dei centri per migranti, nel 2007 aveva avanzato più di un dubbio sui respingimenti differiti proprio perché non venivano garantiti i diritti. Un appello rimasto però lettera morta. I ragazzi gambiani che si trovano a Palermo ora sono in questo limbo. Anche loro fino a un anno fa erano rifugiati, ora non più. Ma la dittatura dalla quale sono fuggiti è rimasta in piedi. Già, dittatura. Perché non riescono a definire diversamente il governo del presidente Yahya Jammeh al potere da 21 anni. Che alle ultime elezioni ha vinto con 2 milioni e 300 mila voti su nemmeno 2 milioni di cittadini. E che nell’ultimo anno ha arrestato, torturato e fatto scomparire nel nulla decine di persone con l’accusa di aver ordito un colpo di Stato nel 2014. Tanto che Onu e Unione Africana hanno aperto un’indagine. Ma non è tutto. Chi viene respinto e rientra in Gambia rischia di essere accusato del reato, introdotto da poco nel codice penale, di essersi reso irreperibile alle autorità. Dal Gambia in altre parole è vietato andarsene. Per questi motivi alcuni parlamentari italiani hanno presentato un’interrogazione per conoscere il contenuto di un accordo che il nostro governo ha recentemente stretto proprio con il Gambia. Il sospetto è che possa riguardare i respingimenti. Cannabis di Stato, istruzioni per l’uso "così ci aiuterà a curare il dolore" di Michele Bocci La Repubblica, 19 dicembre 2015 Indicazioni: dolore cronico resistente agli antinfiammatori, anoressia, nausea. Effetti collaterali: alterazione dell’umore, ansia. Posologia e istruzioni per l’uso: 200 milligrammi per volta per via orale o inalatoria. Proprio come se fosse un farmaco per la febbre o per l’ipertensione, da pochi giorni anche la cannabis ha il suo "bugiardino". Il fatto che la marijuana venga trattata esattamente come le pillole e gli sciroppi in un decreto ministeriale appena entrato in vigore segna una quasi rivoluzione. L’Italia apre all’uso terapeutico della cannabis e passa dalle esperienze di un gruppo di Regioni sempre più nutrito a un atto del Governo. "Il decreto, oltre a individuare nel ministero della Salute le funzioni di organismo statale per la coltivazione della cannabis, contiene un allegato tecnico rivolto a medici e farmacisti per consentire l’uso medico della cannabis in maniera omogenea in Italia", scrivono dal ministero. All’inizio di quest’anno si è scelto di coltivare la canapa all’Istituto farmaceutico militare di Firenze, anche per risparmiare. Ma fino a che l’Esercito non sarà pronto, cioè fino all’aprile prossimo, si potrà anche continuare ad acquistare all’estero la pianta sempre più richiesta dai malati. Il decreto avvia un progetto pilota: per due anni si studieranno i risultati, tramite le schede dei pazienti compilate dai medici. Si stima che le Regioni chiederanno almeno 100 chili di sostanza per rispondere alla domanda. Il tutto avviene poco prima che il Parlamento discuta la legge sulla legalizzazione della cannabis promossa da Benedetto Della Vedova. Qui siamo in un campo diverso, quello della cura. Ormai sono una decina le amministrazioni locali dove i fiori della canapa sono uno dei tantissimi strumenti a disposizione dei dottori. Il "bugiardino", e cioè l’allegato dell’atto legislativo, dà tutte le informazioni necessarie. Intanto sulle indicazioni. La premessa è che, in base agli studi scientifici, "l’uso medico di cannabis non può essere considerato una terapia propriamente detta, bensì un trattamento sintomatico di supporto a quelli standard, quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno provocato effetti secondari non tollerabili". Non un medicinale di prima scelta dunque, ma da usare dopo una valutazione del medico. Per affrontare cosa? Intanto il dolore. La cannabis serve come analgesico in quello cronico di natura neurologica o legato a patologie come la sclerosi multipla. Poi ha effetti sulla nausea causata da chemio o altre terapie, stimola l’appetito in chi ha anoressia nervosa, aiuta nel glaucoma e nella sindrome di Tourette. Ai pazienti viene consegnata una scatoletta di plastica con dentro i fiori di canapa. "È possibile preparare un decotto di infiorescenze in acqua bollente - si spiega - e assumere tale preparazione dopo circa 15 minuti di bollitura con coperchio. Il rapporto è di 500 milligrammi di cannabis per 500 millilitri d’acqua". Indicazioni piuttosto chiare. Se gli effetti non sono quelli desiderati, si può inalare utilizzando un vaporizzatore. Di solito si usano 200 milligrammi a dose, la frequenza la decide il medico. Riguardo agli effetti collaterali, il "bugiardino" fa notare come esistano molti studi su quelli provocati dall’uso "ricreazionale" della cannabis ma pochi sull’uso medico, dove dosaggi e quantità di principio attivo sono standard. Per questo ci si basa sui primi. "Alterazione dell’umore, insonnia e tachicardia, crisi paranoiche e di ansia, reazioni psicotiche e infine sindrome amotivazionale". Sono state valutate anche le associazioni con altre sostanze, come l’alcol, e con certe patologie. Tra le avvertenze, si sottolinea che la cannabis "può indurre dipendenza complessa", un rischio però ridotto proprio dall’uso medico. Certo, il tono di certi passaggi inquieta un po’, ma è lo stesso che si trova sui fogli di avvertenze di qualunque farmaco, anche il più comune. Lotta al terrorismo: l’Italia esporterà il 41bis in Francia? blogsicilia.it, 19 dicembre 2015 Le idee di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino "cammineranno" anche sugli Champs Elysees? È una possibilità concreta, perché la Francia - ormai prima linea nella lotta contro l’eversione islamista dopo gli attentati di gennaio e novembre di quest’anno a Parigi - è pronta ad utilizzare gli strumenti già attivi nel contrasto alla mafia siciliana. È possibile, perché sin dopo la strage di Charlie Hebdo e il sanguinoso replay del 13 novembre, tra gli scranni del parlamento francese si è iniziato a discutere della possibile introduzione del regime carcerario duro: il 41 bis contro il jihad. Per combattere la crescita esponenziale dell’eversione islamista, in Francia si pensa già a una stretta nelle carceri. Il riferimento punta direttamente alle stesse misure introdotte in Italia contro Totò Riina e i boss mafiosi dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992. Per isolare i capi jihadisti arrestati e "tagliare i legami tra detenuti e la loro organizzazione", inizia a farsi strada l’idea di introdurre quel regime carcerario mutuato proprio dalla norma italiana, applicata prima soltanto ai boss mafiosi e poi estesa anche ai capi delle organizzazioni terroristiche. Non si tratta ancora di una proposta legislativa vera e propria, ma il percorso per il carcere duro modello 41 bis da utilizzare contro il jihad è già contenuto negli atti parlamentari della Commissione d’inchiesta sul terrorismo islamista dell’Assemblea nazionale. Nelle oltre cinquecento pagine del documento presentato a giugno di quest’anno - frutto di oltre sei mesi di lavoro, avviato dopo gli attacchi di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo - il riferimento alla norma antimafia italiana è scritto a chiare lettere in più d’un passaggio. Nella relazione conclusiva si legge infatti che si "sostiene l’impegno di una riflessione su una regime di isolamento più adatto a detenuti che radicalizzano il profilo del leader o reclutatori, soprattutto per quanto riguarda le condizioni di isolamento e la sua durata". Proprio a questo proposito viene direttamente citata la normativa italiana che "consente in base all’articolo 41 bis del Testo Unico Carceri, un regime di isolamento specifico per i detenuti appartenenti alla criminalità organizzata o di gruppi terroristici". Per i parlamentari francesi, questo schema è "in grado di coprire un periodo di detenzione più lungo rispetto al dispositivo di isolamento previsto dalla francese e prevede inoltre condizioni di monitoraggio rigorose per tagliare i legami tra detenuti e la loro organizzazione". Tra i maggiori sostenitori dell’introduzione del 41 bis anti jihad c’è il deputato sarkoziano Claude Goasguen. Noto per i suoi interventi pubblici contro palestinesi e musulmani, il parlamentare di centro destra propone questa analogia chiedendosi se "Chi si autoproclama capo di una cellula jidahista non è niente di più di un capo mafioso siciliano?". Ancora, per il deputato dell’Assembleè Nationale, le frange terroristiche di stampo islamista sono "organizzazioni sul modello della mafia". L’unica variabile in più sarebbe - sempre secondo l’analisi del politico francese - "l’occupazione del territorio", quel che distinguerebbe il contrasto alle mafie e la lotta a Daesh. L’analisi della Commissione d’inchiesta non si limita al suggestivo paragone tra l’Islamic State e la mafia siciliana e pone tutta una serie di quesiti di strettissima attualità, primo fra tutti il rischio che le carceri francesi diventino un volano per la radicalizzazione dell’Islam. Pur non esistendo dati ufficiali che discriminino la popolazione carceraria per religione, le stime parlano di 18.000 detenuti musulmani nei penitenziari francesi a fronte di un totale che sfiora i 70.000 soggetti. Le "prison" rischiano di diventare così delle formidabili scuole del crimine per il reclutamento di detenuti comuni ad opera dei veterani del jihad. Il rapporto della Commissione di inchiesta contiene anche dati relativi al rischio terrorismo sul suolo francese. L’analisi dell’organo parlamentare - con le stime ferme a maggio di quest’anno - parla di una presenza di almeno 3000 persone soggette a "una particolare attenzione da parte del sistema di Homeland security francese. La metà di loro sarebbe già stata coinvolta con " i canali iracheno-siriani". E per combattere tutto questo, si punta a replicare le misure "siciliane" contro la mafia. Siria: accordo all’Onu su negoziati di pace, ma nessun riferimento ad Assad di Marco Valsania Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2015 Barack Obama ha promesso nuovi passi avanti contro il terrorismo. E Stati Uniti, Russia e le altre grandi potenze hanno accantonato le polemiche e raggiunto in serata all’unanimità l’accordo su una bozza di risoluzione dell’Onu per la crisi siriana che avvii negoziati sulla transizione politica a Damasco e aiuti così anche la lotta contro l’estremismo islamico di Isis. Nel testo però non viene menzionato il punto chiave:?il destino del presidente Bashar al Assad. "Rimangono nette differenze sul suo futuro", ha ammesso il segretario di Stato americano John Kerry. Il testo di quattro pagine - che si propone di porre fine a cinque armi di guerra civile in Siria e con trattative da gennaio - è stato finalizzato durante un’intera giornata di lavori dalle 17 nazioni parte dell’International Syria Support Group al Palace Hotel di New York. Una tregua scatterà "non appena rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione abbiano avviato passi iniziali verso una transizione politica sotto gli auspici dell’Onu". E "richiede a tutte le parti un’immediata cessazione di ogni attacco contro civili", affermando che "il popolo siriano deciderà il futuro della Siria". Il ministro italiano degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, a New York per gli incontri, ha lodato lo "straordinario sforzo diplomatico da parte di Usa e Russia". Progressi contro Isis, assieme a miglioramenti dell’economia americana e della cooperazione globale, sono stati al centro della conferenza stampa di fine anno di Barack Obama. Il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti ha sfidato un altro tabù: non intende diventare una "lame duck", l’anatra zoppa e impacciata nella quale è costume si trasformino gli inquilini della Casa Bianca nell’ultimo anno al potere. La sua influenza sarà ridotta ma, ha affermato, le sue prerogative presidenziali gli permetteranno di agire, dove necessario con provvedimenti esecutivi se il Congresso non coopererà: dal controllo sulla diffusione delle armi al cambiamento climatico, dall’applicazione dell’intesa nucleare con l’Iran ai progressi nei rapporti ristabiliti con Cuba. In un segno incoraggiante Obama ha ringraziato il Congresso per l’approvazione nelle ultime ore di un budget annuale da 1.150 miliardi di dollari con sgravi e incentivi per imprese e redditi più bassi e che ha evitato un’imminente chiusura del governo per esaurimento dei fondi. Il budget ha anche dato via libera, con anni di ritardo, alle riforme della governance e delle quote del Fondo Monetario Internazionale, salutata dal managing director del Fondo Christine Lagarde come "un cruciale passo per rafforzare l’Fmi nel sostegno della stabilità finanziaria globale". Ma il presidente ha rilanciato. "Abbiamo molti obiettivi ancora da raggiungere - ha detto - Dobbiamo fare di più per il lavoro e la crescita. E sulla sicurezza, dove gli Stati Uniti guidano una colazione che sta colpendo ISIS più duramente che mai. La strage di San Bernardino ci insegna inoltre che dobbiamo tutti essere vigili per proteggere il Paese". Il presidente, in Parlamento, si batterà per almeno alcune vittorie di politica estera e interna: la ratifica dell’accordo commerciale del Pacifico. Poi una riforma del sistema giudiziario e delle eccessive incarcerazioni. Infine il rispetto di un impegno a lungo rinviato: la chiusura del centro di detenzione militare di Guantánamo, che, ha accusato, rimane "uno strumento di reclutamento per i jihadisti". La conferenza stampa ha anticipato il suo ultimo Discorso sullo Stato dell’Unione, che avrà luogo il 12 gennaio per evitare che coincida con le primarie per le presidenziali di febbraio (alle elezioni ha previsto la vittoria di un democratico). Il tramonto della presidenza di Obama, al di là dei suoi progetti, non ha il lusso della passività. È sotto assedio: l’economia cresce, ma le difficoltà dei ceti medi continuano, e la Federal Reserve ha avviato una stretta di politica monetaria che aumenta le responsabilità della politica fiscale per la ripresa. La strage di Parigi oltre che di San Bernardino, dove ieri notte Obama ha fatto tappa per visitare i parenti delle vittime prima delle sue vacanze alle Hawaii, hanno messo in tragica evidenza l’inedita lotta il terrorismo dove Obama è accusato di inadeguata aggressività. L’espressione "lame duck", leggenda vuole, ha origine nella finanza della Londra settecentesca: il comportamento goffo di chi non poteva saldare debiti e andava al fallimento. Obama vorrebbe consegnarla alla storia, tenendo fede a promesse che giudica difficili ma necessarie. Non sarà facile. Se sul fronte diplomatico qualcosa comincia a muoversi, anche su quello militare ci sono sviluppi. La Nato infatti ha dato il via libera oggi all’invio di aerei radar, caccia e navi nel Mediterraneo orientale per incrementare la difesa della Turchia "in considerazione della situazione instabile della regione". In realtà la presenza di mezzi Nato dovrebbe servire a evitare nuovi incidenti come l’abbattimento del jet russo da parte degli aerei di Ankara. India: la solidarietà di Mattarella a Girone di Michele De Feudis Il Tempo, 19 dicembre 2015 Il marò trattenuto in India attende i familiari e riceve gli auguri del Presidente Latorre oscura le foto su Facebook: pressing su Renzi per sbloccare il caso. "Auguri Salvatore". A pochi giorni dalle feste il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha raggiunto telefonicamente il fuciliere di Marina Salvatore Girone a Nuova Delhi, per fargli giungere un pensiero natalizio e un messaggio di attenzione e solidarietà da parte dei vertici dello Stato. Il contatto è avvenuto al termine del tradizionale collegamento video con i comandanti delle diciotto missioni militari italiane nel mondo, nella sede del Comando Operativo di vertice Interforze. Girone è da quattro anni, insieme al commilitone Massimiliano Latorre, coinvolto nella querelle internazionale tra Italia e India: entrambi sono costretti - senza che gli sia mai stato formulato un capo d’accusa - a subire gravi limitazioni della libertà personale. Nei prossimi giorni la moglie di Salvo, la signora Vania, raggiungerà l’India per riunire la famiglia: ci saranno anche i due figli del marò che approfitteranno delle vacanze scolastiche per riabbracciare il padre, con il quale mitigano la lontananza attraverso quotidiane conversazioni via Skype. Massimiliano Latorre, assorbito a Taranto da costanti cure mediche specialistiche per limitare i danni di un ictus che lo ha colpito in India nell’agosto 2014, pur mantenendo "un contegno da Leone del San Marco" ha mostrato di sentire tutto il peso di una situazione di incertezza struggente, con l’arbitrato internazionale de l’Aja appena avviato. Per questo il fuciliere ionico ha oscurato le sue foto del profilo Facebook: al posto della sua immagine ha postato un quadrato nero. La scelta è stata interpretata da parte del popolo tricolore che sostiene i marò come un segnale all’esecutivo, al fine di spingere il premier Renzi a utilizzare ogni strumento di sensibilizzazione e persuasione internazionale per sbloccare la contesa con l’India. Il governo italiano, infine, ha presentato istanza perché ai propri militari siano riconosciute dal collegio arbitrale le misure cautelari e così vengano rimessi in libertà per la durata del procedimento davanti ai magistrati in Olanda. La stessa richiesta era stata avanzata al Tribunale per il diritto del mare di Amburgo, ma i giudici dell’organismo avevano espresso a maggioranza il proprio diniego, puntualizzando che non consideravano "appropriato prescrivere misure provvisorie riguardo la situazione dei due marine italiani poiché questo toccherebbe questioni legate appunto al merito del caso", e avevano indicato nel tribunale de l’Aja la sede competente a pronunciarsi preliminarmente sulla diatriba. Per la sentenza che farà chiarezza sulla giurisdizione, allo stato, i tempi previsti sono più lunghi: il provvedimento dirimente non arriverà prima di due anni. Città del Vaticano: il Papa e la riforma del processo canonico di nullità del matrimonio di Luigi Bisignani Il Tempo, 19 dicembre 2015 Battuta l’opposizione delle lobby di giudici ecclesiastici e avvocati rotali. Che in Vaticano ha deciso per anni sulla nullità dei matrimoni cattolici e che negli archivi conserva migliaia di testimonianze su disfunzioni e perversioni sessuali di tutti i tipi, umilianti soprattutto per le donne. Per vincere questa imbarazzante partita, Papa Francesco ha dovuto affrontare non solo le agguerrite lobby dei giudici ecclesiastici e degli avvocati matrimonialisti ma addirittura la conferenza episcopale italiana e la curia, che hanno cercato inutilmente di mettersi di traverso rispetto alle sue decisioni. Questa la storia fino ad oggi mai scritta. Il 15 agosto Francesco ha firmato il motu proprio "Mitis Iudex Dominus Iesus" sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità dei matrimoni. Ed è subito iniziata la guerra. Lo stesso Papa, infatti, è stato costretto a tenere il documento nel cassetto fino a settembre inoltrato, a causa delle reazioni dei canonisti della segreteria di Stato e del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Il fatto che ora in ogni diocesi il vescovo possa decidere personalmente, con una procedura semplificata e, soprattutto, gratuita, è stato giustamente visto come la fine del sistema ultra consolidato (e remunerativo) che girava intorno ai Ter, i tribunali ecclesiastici regionali istituiti nel 1938 da Papa Pio XI. All’epoca, dopo il Concordato, l’unica uscita da un matrimonio fallito era la causa di nullità (il divorzio in Italia è stato istituito 40 anni dopo). La prima reazione è stata addirittura del cardinale Francesco Coccopalmerio, il capo del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, il quale, sua sponte, ha inviato una circolare ai Tribunali ecclesiastici italiani dicendo loro che la nuova procedura non riguardava l’Italia poiché in esso non veniva espressamente abolito il motu proprio di Pio XI. In realtà, Francesco aveva decretato che le sue norme avessero vigore "nonostante ogni altra norma contraria". A questa errata interpretazione del Codice ha subito risposto il Papa facendo sapere agli interessati, tramite il sostituto Becciu durante l’apertura dell’anno accademico dello Studium Rotale (la scuola degli avvocati ecclesiastici), che l’interpretazione autentica gli attribuiva, come legislatore, "ogni facoltà" in virtù del canone 16 del Codice di Diritto canonico e che pertanto il suo motu proprio valeva ovunque, Italia compresa. Nonostante questo, la Conferenza Episcopale Italiana ha inviato ai vescovi italiani una lettera a firma del segretario Nunzio Galantino, quello che si è scagliato contro la moralità dei politici quest’estate, nella quale si sosteneva che il Papa con le sue disposizioni "limitava" i compiti della Rota Romana e lasciava integri quelli dei Tribunali Regionali Italiani. Il 10 dicembre, al rientro dal suo viaggio in Iraq, monsignor Galantino è stato pregato di presentarsi urgentemente presso la sede della Rota Romana dove, per ordine del Papa, il decano gli ha servito uno shampoo di richiamo all’ordine, preannunciando che il Pontefice avrebbe prodotto un altro "motu proprio" con una risposta adeguata anche ai giochi Cei. E infatti il pomeriggio del giorno dopo sull’Osservatore Romano è apparso un rescritto pontificio che, dopo aver servito agli interessati una lezioncina di diritto canonico, ha stabilito la definitiva gratuità dei processi ecclesiastici. L’ultima decisione papale sta facendo ridere il mondo cattolico perché tutti gli altri Paesi che avevano istituito i Tribunali Ecclesiastici Regionali (Usa, Brasile, India…) avevano subito compreso e accolto entusiasticamente la lezione, mentre gli italiani hanno avuto bisogno che il Papa gliela spiegasse due volte, come agli studenti del primo anno di diritto canonico. E ora non solo monsignor Galantino cerca di incontrare il Papa davanti alla macchinetta del caffè a Santa Marta per chiarirsi, ma pare che provi a farlo anche il capo della comunicazione vaticana Dario Viganò, potente direttore, e non solo, del Centro televisivo vaticano, finito un po’ nell’ombra dopo aver trasformato, nel giorno dell’apertura del Giubileo della Misericordia, la facciata di San Pietro in Disneyland. Non è stato un caso se in Piazza non si è vista neppure una porpora. Chissà chi ha suggerito quelle assenze. A Santa Marta credono di saperlo. Somalia: militari italiani completano corsi per polizia penitenziaria e detenuti Adnkronos, 19 dicembre 2015 I militari italiani impegnati nella missione dell’European Union Training Mission Somalia (Eutm Somalia) hanno concluso due corsi destinati al personale della Polizia Penitenziaria ed ai detenuti della struttura carceraria della città. Il primo dei due corsi era destinato a 30 agenti, di cui 6 donne, ed ha riguardato i diritti umani e la riabilitazione dei detenuti. Il secondo ha consentito invece, a 20 detenuti per reati minori e prossimi alla scarcerazione per fine pena, di acquisire le conoscenze per potersi avviare alla professione di elettricista. Il corso formativo, suddiviso in lezioni teoriche e pratiche, permetterà ai frequentatori di potersi reinserire meglio nella società, grazie alla professionalità acquisita. Le attività didattiche sono state finanziate dalla cooperazione civile-militare italiana in Somalia. La cerimonia di consegna degli attestati si è svolta alla presenza del Comandante di Eutm Somalia, Generale di Brigata Antonio Maggi, del Comandante del Supporto Nazionale Italiano, Colonnello Bernardo Mencaraglia, del Commissario Generale del Corpo degli Agenti di Custodia, Generale Bashir Mohamed Jama e del Rappresentante del Sindaco di Mogadiscio, Capitano Mohamud H Moghe. In particolare, il Generale Bashir Mohamed Jama ha ringraziato il Contingente italiano di Eutm-S per l’importante contributo fornito, auspicandosi altre future collaborazioni. Stati Uniti: Obama nel discorso di fine anno "dobbiamo rifiutarci di avere paura" La Presse, 19 dicembre 2015 Lo storico accordo sul clima non sarebbe stato possibile senza la leadership americana. Lo ha detto il presidente Usa, Barack Obama, nella conferenza di fine anno. Nel quale si è parlato, ovviamente, anche di terrorismo. "Il nostro lavoro più importante è mantenere la sicurezza dell’America", ha spiegato Obama, sottolineando che è necessario restare "vigili". "Dobbiamo rifiutarci di avere paura", ha aggiunto. "Sconfiggeremo l’Isis, e lo faremo strappando loro il territorio e tagliando le loro risorse - ha sottolineato Obama - Non avranno nessun posto sicuro". "È difficile per noi individuare i lupi solitari", nonostante la massima vigilanza, spiega. "Così come è difficile individuare il prossimo omicida di massa", ha proseguito il presidente il quale ha ribadito che gli Usa continuano a lavorare ad ogni livello per evitare che ci siano errori nella condivisione di informazioni. E per quanto riguarda la Libia "chi dice che avremmo dovuto lasciare Gheddafi dimentica che aveva perso legittimità, se lo avessimo lasciato avremmo un’altra Siria in Libia: c’è stata una mancanza da parte della comunità internazionale, e gli Stati Uniti sono in parte responsabili. Assad deve lasciare per far sì che nel paese si metta fine al bagno di sangue". La grazia. Il presidente americano Barack Obama ha inoltre deciso oggi un provvedimento di clemenza per 95 persone detenute per reati non violenti legati alla droga. Il capo della Casa Bianca, che in luglio è stato il primo presidente in carica a vistare una prigione, ha avviato una iniziativa politica per ridurre l’affollamento carcerario e le pene per reati non violenti. Quello di oggi, ricorda il Washington post, è il terzo provvedimento di clemenza di quest’anno, dopo i 22 detenuti graziati in marzo e i 46 di luglio. Ormai Obama ha largamente superato la soglia delle 88 grazie che sono state comminate dall’insieme dei suoi quattro predecessori. I detenuti graziati oggi verranno liberati dopo un processo di transizione che durerà circa quattro mesi. Fra loro vi è Sharanda Jones, un’afroamericana 48enne che nel 1999 fu condannata all’ergastolo, senza possibilità di scarcerazione anticipata, per spaccio di crack e cocaina. La Jones, residente in Texas, era allora madre di una bambina di otto anni e non aveva precedenti penali. Il Washington Post aveva denunciato in luglio il suo caso come esempio di condanna spropositata. Le dure leggi federali sui reati anche non violenti connessi alla droga hanno contribuito all’affollamento delle carceri americane. Negli Stati Uniti vive meno del 5% della popolazione mondiale, ma nelle sue prigioni vi è il 25% dei detenuti di tutto il mondo. Un adulto americano su 100 si trova in prigione e molti di loro sono afroamericani. Giappone: dopo ultime 2 esecuzioni l’Ue ribadisce appelli a moratoria sulla pena di morte La Presse, 19 dicembre 2015 L’Unione europea ha ricordato al Giappone i suoi ripetuti appelli ad adottare una moratoria sulla pena di morte, condannando l’esecuzione per impiccagione di due detenuti e ribadendo la propria richiesta a Tokyo di rivedere le proprie politiche sull’argomento. "L’Ue ha esortato in modo costante e ripetitivo le autorità giapponesi ad adottare una moratoria sulle esecuzioni, ricordando il periodo di 20 mesi precedenti al marzo 2012, in cui non ne venne compiuta nemmeno una", hanno detto i portavoce dell’Alta rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Federica Mogherini. Dal marzo di tre anni fa sono state 21 le pene capitali eseguite in Giappone, comprese quelle della scorsa notte. L’Ue mantiene una posizione ferma contro la pena capitale e gli Stati membri rifiutano il ricorso alle condanne a morte "in qualunque circostanza", hanno ricordato i portavoce. "La pena di morte è crudele e disumana e non ha dimostrato in alcun modo di avere un effetto deterrente rispetto ai crimini", hanno aggiunto, affermando che per questo motivo l’Ue si adopererà per ottenere l’abolizione della pena capitale in tutto il mondo. Siria-Usa: negoziati "segreti" per rilascio americani detenuti dal regime di Assad Reuters, 19 dicembre 2015 Il Dipartimento di Stato americano sta segretamente negoziando con la Siria per il rilascio di 4 o 5 connazionali, il numero non è ancora chiaro, detenuti dal regime di Assad. Lo riferisce l’agenzia Bloomberg. A quanto si apprende, i negoziati tra i due governi vanno avanti da diverse settimane e coinvolgono Anne Patterson, vice segretario di Stato per gli affari del Vicino Oriente e Faisal Mekdad, vice ministro degli Esteri siriano. Damasco ha ammesso con il Dipartimento di Stato di detenere un americano, ma sugli altri ci sono poche informazioni. Il cittadino Usa che la Siria ammette essere suo prigioniero ha ricevuto assistenza di tipo consolare, tra cui una visita da parte di funzionari dell’ambasciata ceca a Damasco che funge da punto di riferimento per gli interessi americani in Siria dopo la chiusura dell’ambasciata nel 2012. Secondo alcuni funzionari, almeno uno o due degli altri detenuti hanno la doppia cittadinanza, ma non è chiaro se la Siria adotti lo stesso approccio dell’Iran in questi casi e cioè il diniego dell’accesso consolare a prigionieri americani che hanno il doppio passaporto. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Edgar Vasquez, non ha voluto confermare il numero di connazionali detenuti in Siria sostenendo che i dettagli su quei prigionieri non possono essere rivelati per motivi di sicurezza. Lo stesso ha però confermato che il Dipartimento di Stato è "in diretto contatto periodico" con il governo siriano su questioni consolari, tra cui il caso di Austin Tice, il giornalista freelance rapito in Siria nel 2012. Vasquez ha inoltre aggiunto di essere in contatto con le famiglie dei detenuti.