La vita all’O.A.S.I. continua, anche nel ricordo di Antonio Ristretti Orizzonti, 10 dicembre 2015 "La vita continua… bisogna farsi forza e coraggio e andare avanti". Sono le frasi che sono alla base della vita degli ospiti dell’O.A.S.I. che dal 6 novembre sta vivendo il periodo più brutto della sua storia cinquantennale. Antonio Floris, ospite dell’O.A.S.I. con la misura dell’Art 21, è stato barbaramente ucciso mentre come tutte le sere si accingeva a prendere la sua bicicletta per tornare alla casa di reclusione Due Palazzi. È stato un episodio che ha sconvolto la piccola comunità che conosceva Antonio come persona riservata sì, ma un grande lavoratore, generoso e altruista, sempre pronto a mettersi a disposizione dell’altro per qualsiasi motivo. Una persona, benvoluta da tutti dai Padri e dagli altri ospiti, che considerava l’O.A.S.I. il luogo ideale per ricostruirsi e ricominciare una nuova vita, incarnando in sé, l’obiettivo del laboratorio "Doppio Senso" della Cooperativa Mercede, che in questi giorni, comprensibilmente, ha avuto un calo di richieste. Questo brutto episodio non può e non deve cancellare o offuscare il bene profuso dall’O.A.S.I. in cinquant’anni di vita. La vita all’O.A.S.I. continua, il laboratorio "Doppio Senso: laboratorio di trasformazioni" continua ad andare avanti anche nel nome di Antonio e di tanti che come lui cercano di ricostruirsi quella vita che ad Antonio è stata barbaramente spezzata in una fredda e gelida serata di novembre. Vi aspettiamo con le vostre richieste e per chi crede anche per ricordare Antonio con una preghiera… Questo Natale è possibile fare un regalo davvero diverso, a partire da oggetti che sono nelle nostre case e che per anni hanno fatto parte della nostra quotidianità, ora possono essere trasformati e ricreati pronti per diventare altri oggetti unici che abbelliranno ogni giorno le case di chi ci sta a cuore. Visitate il nostro sito laboratoriodoppio.com. O chiamate allo 0498714877. Grazie. I Padri, i Collaboratori, gli Ospiti dell’O.A.S.I. Padova: domenica 13 dicembre un concerto per Papa Francesco nella Casa di reclusione Ristretti Orizzonti, 10 dicembre 2015 Il programma prevede alle 12, unitamente al mondo del volontariato e delle cooperative sociali e alle istituzioni cittadine, il collegamento con piazza San Pietro per l’Angelus del Papa, un’occasione anche per i detenuti del carcere padovano per sentirsi uniti alla Chiesa universale che dà inizio al Giubileo. Subito dopo, alle 12.15, i detenuti offriranno al Santo Padre un concerto realizzato dai Polli(ci)ni, l’orchestra di 80 ragazzi dai 9 ai 18 anni del Conservatorio Cesare Pollini di Padova. È un gesto al quale i carcerati tengono moltissimo, come ringraziamento a un Papa che (oramai s’è perso il conto dei suoi interventi) è diventato la loro voce in questi due anni di Magistero. E, non da ultimo, per quel gesto di rendere le porte delle celle altrettante "porte sante" in quest’anno giubilare. Al termine del concerto ogni detenuto farà un dono a un ragazzo dell’orchestra, come segno di vicinanza umana e di ringraziamento. La giornata, promossa dalla parrocchia del carcere e dal Consorzio Sociale Giotto, inizierà con la Santa Messa, che sarà celebrata nella cappella della casa di reclusione con inizio alle 10. L’evento si concluderà intorno alle 13.10. Ufficio stampa: Eugenio Andreatta 3299540695, eugenio.andreatta@gmail.com Anche il giudice è precario di Antonio Sciotto Il Manifesto, 10 dicembre 2015 La protesta. I magistrati onorari sono pagati a cottimo: Rossella, catanese, racconta di prendere 98 euro lordi a udienza, per una media di 600 euro al mese. "Ma svolgo funzioni essenziali per la giustizia". Ora si è aperto un tavolo con il ministro Orlando, che non vuole stabilizzarli: e loro hanno proclamato agitazione e sciopero. Ho passato tutta la giornata a scrivere sentenze e provvedimenti, ma tutto quello che ho fatto non mi verrà retribuito". A parlare è Rossella, giudice del tribunale di Catania: lei però non è una magistrata ordinaria - come quelli che ci possono venire in mente quando pensiamo a un pm o a un giudice - ma fa parte della "magistratura onoraria". I cosiddetti Got (giudici onorari di tribunale) e Vpo (vice procuratori onorari) svolgono tante funzioni tipiche della magistratura (presenziano alle udienze, scrivono sentenze e ordinano provvedimenti, anche in piena autonomia) ma sono assolutamente precari, e sottopagati: guadagnano in media 680 euro al mese. Possono svolgere anche la professione di avvocati per clienti privati, è vero, non avendo l’obbligo di esclusiva per lo Stato che vincola i magistrati ordinari (i quali hanno anche, però, uno stipendio elevato, la previdenza e tutte le tutele del lavoro strutturato), ma per evitare un conflitto di interessi devono svolgere l’attività di legale in un altro distretto: insomma, è complicato fare due lavori insieme, tanto più se si pensa che il 70% dei 4 mila magistrati onorari italiani sono donne. E quindi spesso hanno anche una famiglia. Rossella ad esempio ha un figlio adolescente, è separata e quindi il suo mantenimento è ancora più oneroso. Per costruirsi la pensione, paga i contributi alla Cassa forense (quella degli avvocati) che le richiede circa 3 mila euro all’anno, cifra quasi impossibile per chi ha un reddito basso. "Io scrivo sentenze e provvedimenti, presenzio alle udienze, ordino sequestri e dissequestri, autorizzo i detenuti ad andare al lavoro - ci spiega - ma vengo retribuita a cottimo, solo per le udienze: ce le pagano 98 euro lordi l’una, e poiché io ne faccio una media di 5-6 al mese, il totale alla fine è sui 7 mila euro lordi annui. Ma senza il diritto a ferie, malattia, o tutele come la maternità o l’infortunio". I magistrati onorari non passano per un concorso, come quelli ordinari: la loro figura è prevista dalla Costituzione, anche se nella formula attuale sono stati istituiti nel 1998. Ma esistono in realtà da molto più tempo, i più anziani oggi hanno circa 25 anni di servizio. Sono assimilabili a quelli che prima della riforma del 1998 erano i vice pretori: a completare la categoria sono circa 1500 giudici di pace (Gdp), le cui retribuzioni però - almeno fino a oggi - sono state ben più alte, visto che a loro vengono pagati anche i provvedimenti, le sentenze e gli altri atti. I Gdp attualmente possono arrivare a guadagnare anche cinque-seimila euro al mese. Tutto il settore si sta però trasformando, e proprio in questi giorni i magistrati onorari sono in agitazione proclamata dall’Unimo, mentre la Federmot ha deciso lo sciopero dal 7 all’11 dicembre. È infatti in corso una complessa trattativa con il governo, su due fronti: nell’immediato, si cerca di stoppare i tagli previsti al fondo che alimenta i loro emolumenti (destinati quindi ad assottigliarsi ancora di più); più sul lungo termine, si vorrebbe correggere il ddl governativo che ridisegna la categoria. L’1 dicembre scorso, unitariamente, le associazioni hanno incontrato il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che però non ha ancora dato risposte soddisfacenti su entrambi i fronti. Quanto ai tagli in legge di stabilità, il ministero ha cercato di sopire i timori, spiegando che sono solo apparenti: si attende infatti un pensionamento di ben 1000 giudici di pace nel prossimo anno, con notevoli risparmi. Ma le controparti non sono disposte ad accettare la risposta e chiedono a Orlando di insistere con il Tesoro per evitare i tagli e usare i fondi per i loro emolumenti. Il ddl non prevede la stabilizzazione di queste figure, ma sostituirebbe l’attuale proroga annuale (erano state istituite come figure temporanee) con un nuovo mandato di 12 anni (tre quadrienni, ciascuno da confermare su valutazione). E dopo? "Orlando ci ha parlato di un "cuscinetto" verso la pensione - dice Stefania Cacciola, vicepresidente Unimo. Noi abbiamo chiesto di poter transitare come giudici ausiliari nelle Corti di Appello per poter continuare a lavorare fino al pensionamento". Quanto alla remunerazione, i magistrati onorari hanno chiesto la fine del cottimo, ma il ministero non intende istituire stipendi veri e propri. La richiesta si è dunque attestata su paghe composte da una parte fissa - pari a 36 mila euro lordi annui per chi opti per un tempo pieno: includerebbero anche la previdenza, a loro carico - più una variabile: fino a un tetto che complessivamente non dovrebbe superare i 72 mila euro annuali, soglia oggi prevista per i giudici di pace. Va detto che il ddl del governo per ora parla di una parte fissa più bassa: 25 mila euro lordi l’anno. La parte variabile dovrebbe essere ancorata a criteri oggettivi, e non alla decisione dei capi della procura o dei responsabili amministrativi del tribunale: perché altrimenti si mina l’autonomia e indipendenza di queste figure. Infine, si chiede un ridisegno organico delle competenze, omogenee in tutto il territorio nazionale, riconoscendo l’autonomia giurisdizionale del magistrato onorario ed evitando che diventi "ancillare" rispetto a quello ordinario. Magistratura onoraria, più diritti ma più competenza di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2015 I magistrati onorari sono in sciopero. Vogliono più soldi, contratto a tempo indeterminato e trattamento previdenziale. Non vogliono essere inseriti nel costituendo "ufficio del giudice". Sui soldi c’è da discutere. Un magistrato ordinario di prima nomina percepisce 2.400 euro netti al mese che arrivano a 3.600 dopo 4 anni. Si è laureato in Legge e ha superato un concorso difficilissimo; ci ha messo almeno 3 anni per prepararlo e dunque non comincia a lavorare prima dei 28/30 anni. Un giudice di pace percepisce uno stipendio annuo lordo che può arrivare a 72.000 euro, più o meno 4.000 euro netti al mese. Un giudice onorario di tribunale e un vice procuratore onorario prendono 98 euro al giorno lordi che vengono raddoppiati se superano le 5 ore di lavoro (cioè sempre); calcolando 20 giorni lavorativi, ricevono 4.000 euro lordi al mese, circa 3.000 netti. Ma, per diventare magistrati onorari, gli è sufficiente la laurea, non devono fare alcun concorso e - se sono stati studenti diligenti - a 23/24 anni possono cominciare a lavorare. Il lavoro che svolgono è di difficoltà e rilevanza inferiore a quello proprio dei magistrati ordinari. La loro competenza, in civile, è limitata a cause di valore non superiore a 5.000 euro (20.000 se si tratta di incidenti stradali) e liti condominiali. In penale trattano i processi per cui non c’è udienza preliminare, i più semplici. Insomma sono magistrati di serie B che guadagnano più dei giovani magistrati di serie A. Quanto ai magistrati ordinari anziani, diciamo la serie AA, raggiungono uno stipendio massimo di 7.500 euro netti al mese, più o meno il doppio di quello di un magistrato onorario: è questo sì che non è giusto. Sul contratto a tempo indeterminato e il trattamento previdenziale, nulla da dire: il precariato non è mai una buona cosa. Dove le rivendicazioni dei magistrati onorari sono davvero inaccettabili è nella loro pretesa di non essere inseriti nel l’"ufficio del giudice". È questa una struttura progettata da molto tempo, mai realizzata per difetto di risorse: dove trovare il personale, con quali soldi pagarlo? Straordinariamente il ministro Orlando pare aver imboccato la strada giusta: utilizziamo i magistrati onorari, costruiamo una struttura complessa in cui cancellieri, segretari e magistrati onorari lavorino sotto la direzione del giudice: dalle notifiche e fascicolazione atti alle ricerche giurisprudenziali, redazione di singoli provvedimenti, trattazione diretta dei processi più semplici. L’aumento di produttività conseguente a un ufficio come questo, diretto da una figura professionale di alto livello che deleghi le varie fasi in cui si articola un processo e che adotti le decisioni finali, compenserebbe la minor quantità di processi oggi definiti dai magistrati onorari. Ma soprattutto "l’ufficio del giudice" consentirebbe un grande recupero qualitativo nella gestione dei processi. Non è un caso che gli avvocati siano molto insoddisfatti delle prestazioni della magistratura onoraria, giudicata poco competente e soprattutto priva della cultura della giurisdizione, qualità essenziale nei professionisti della giustizia, che non si acquisisce con una semplice laurea. Insomma, sarà anche vero che la magistratura onoraria ha il merito di spazzar via un gran numero di processi, permettendo statistiche meno disastrose. Ma la giustizia richiede preparazione, esperienza e sensibilità. Non è automatico che tutto ciò si acquisisca con la semplice laurea in Legge. Per il Csm meno cordate, più correnti di idee e di proposta di Renato Balduzzi Avvenire, 10 dicembre 2015 Ferve la discussione sulla magistratura, in particolare sulla sua divisione in correnti, e rispuntano proposte di modifica delle regole sull’elezione dei componenti togati del Csm. Tema ricorrente nel dibattito politico-istituzionale, che conviene ricapitolare. La nostra Costituzione, al fine di salvaguardare il bene dell’indipendenza della magistratura, ha scelto la strada della composizione equilibrata dell’organo che dell’autonomia è presidio, cioè il Csm: né autogoverno della magistratura, né governo da parte della politica, ma, appunto, governo autonomo, attraverso il bilanciamento della componente togata con quella non togata, spesso chiamata "laica" (termine improprio e inopportuno, che finisce per sottolineare una connotazione castale della magistratura, non accolta dalla Costituzione). Negli ultimi 25 anni, le due riforme in tema di elezione del Csm hanno avuto come obiettivo la riduzione del peso delle correnti organizzate. Obiettivo non raggiunto, non tanto perché gli strumenti escogitati fossero imperfetti, quanto piuttosto perché inadeguato era l’obiettivo stesso: nessun sistema elettorale può determinare effetti sicuri sull’assetto delle correnti. Eppure qualche indicazione la realtà della magistratura l’ha offerta. Nel 2014, i magistrati organizzarono elezioni primarie che videro un’elevata partecipazione al voto, a conferma della duplice preoccupazione di quel selezionato corpo elettorale: da un lato, la salvaguardia dell’esperienza del governo autonomo (ivi inclusa quella delle articolazioni culturali e organizzative che ne arricchiscono il dibattito) e, dall’altro, la più ampia possibile libertà di scelta. Ecco allora emergere un obiettivo ragionevole di una buona legge elettorale: quello di bilanciare tra il rilievo dato alle componenti associative e la libertà di scelta dell’elettore, limitando la tendenza a "cordate" territoriali o personali. Le modifiche della vigente legge elettorale potrebbero muovere da qui. Di esse si sta occupando una commissione ministeriale, autorevolmente composta, con la quale una delegazione del Csm ha già avviato utili contatti. Il perimetro delle proposte è stato saggiamente circoscritto alle modifiche legislative, e-scludendo dunque cambiamenti dell’assetto costituzionale, rivelatosi (ho potuto verificarlo di persona) un punto di riferimento a livello europeo. Vi è dunque una base di partenza comune per una legge elettorale condivisa. Sui dettagli, torneremo. Per l’omicidio stradale concorso più leggero di Maurizio Caprino Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2015 Attenuanti più ampie quando la responsabilità dell’incidente non è tutta dell’imputato, arresto obbligatorio in flagranza per i conducenti professionali anche in caso di ebbrezza "media" e revoca della patente "lunga" anche per chi ha una licenza di guida non italiana. Con queste inattese novità l’omicidio stradale si avvia a diventare legge, dopo una giornata difficile che ha visto il Governo costretto a preparare in fretta un maxiemendamento e a porvi la questione di fiducia, sulla quale il voto è atteso per oggi. Così, per l’approvazione definitiva, il testo dovrà fare ancora un passaggio alla Camera, che dovrebbe essere rapido e possibile comunque entro la fine dell’anno, in modo da rispettare le promesse fatte dalla politica alle associazioni delle vittime della strada. La novità più importante contenuta nel maxiemendamento riguarda i casi in cui c’è concorso di colpa, che comporta la diminuzione della pena fino alla metà. Questi casi in cui spetta il beneficio sono stati ampliati: si avrà diritto ogni volta in cui la responsabilità non sia solo del colpevole, mentre nel testo che era stato licenziato a fine ottobre dalla Camera ciò era previsto esclusivamente quando emerge "una condotta colposa della vittima". Quindi, a parte il paradosso per il quale non si poteva ottenere il beneficio in caso di dolo da parte della vittima, il guidatore imputato non poteva fruire del dimezzamento della pena nemmeno in caso di colpa di terzi (per esempio, dell’ente proprietario della strada, che non di rado mette chi guida in condizione di sbagliare oppure omette interventi necessari per ridurre le conseguenze degli incidenti). In sostanza, si torna allo stesso trattamento che era stato previsto dalla versione licenziata a giugno dal Senato. Il maxiemendamento torna nella sostanza alla prima versione del Senato anche per quanto riguarda l’arresto obbligatorio in flagranza. Esso è sempre previsto per chi causa un incidente mortale mentre si trova in stato di ebbrezza grave (tasso alcolemico oltre 1,5 grammi/litro) o di alterazione da droghe; il Senato, per i conducenti professionali, lo aveva esteso anche al caso di ebbrezza "media" (da 0,81 a 1,5 g/l), che era stato poi escluso dalla Camera creando una sperequazione molto criticata che ora il maxiemendamento elimina. Altra disparità eliminata riguarda il periodo di revoca della patente. In caso di omicidio stradale, per arrivare alla revoca a vita (il cosiddetto ergastolo della patente, che sarebbe incostituzionale), si è stabilito che non se ne potesse comunque ottenere una prima di 15 anni (30, in caso di fuga). Ma ciò non sarebbe stato applicabile alle patenti rilasciate da Stati esteri. Il maxiemendamento "trasporta" dal Codice penale al Codice della strada le sanzioni per omicidio e lesioni personali stradali relative alla patente, col risultato che così si può applicare l’istituto dell’inibizione alla guida in territorio italiano, previsto dall’articolo 135 del Codice della strada per le patenti straniere proprio in sostituzione della revoca (che non può essere disposta da un’autorità italiana). Il maxiemendamento contiene pure alcune modifiche di dettaglio nel coordinamento di altre disposizioni di carattere penale. Fino a ieri mattina, nessuno sembrava mettere in discussione l’accordo raggiunto alla Camera, che rispetto al testo licenziato a giugno dal Senato aveva soprattutto ampliato (in modo controverso, si veda Il Sole 24 Ore del 29 ottobre) i casi in cui scattano i nuovi reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali: oltre a ebbrezza grave, droga e velocità, erano stati inclusi il passaggio col rosso, la circolazione contromano, l’inversione di marcia in corrispondenza di dossi, curve e incroci e il sorpasso con linea continua o vicino alle strisce pedonali. Questo ampliamento e il difettoso coordinamento con il Codice di procedura penale e con il Codice della strada avevano alimentato le perplessità di non pochi senatori, emerse anche durante i lavori in commissione. Non sembrava però che ciò fosse sufficiente per rimettere mano al testo della Camera. Ieri mattina, invece, è emerso che i "mal di pancia" tra i senatori avrebbero potuto mettere a rischio l’approvazione definitiva del disegno di legge. Di qui l’intervento del Governo, con la presentazione del maxiemendamento e la questione di fiducia. 148 milioni gli investimenti nella giustizia digitale nel 2015 di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2015 Per il 2015 toccano quota 148 milioni di euro gli investimenti della Giustizia in materia di tecnologia e sicurezza, grazie anche all’utilizzo, per la prima volta, di fondi europei. A rendere noto il dato è stato il Guardasigilli Andrea Orlando, presentando la control room , con la quale vengono monitorate 7 sale server, i server distrettuali e i servizi informatici, con verifiche costanti dei sistemi di sicurezza e il coordinamento dei servizi di assistenza. Sono 1.090 gli uffici giudiziari supportati, 960mila gli utenti esterni, quasi 77mila quelli interni, con la gestione di 6.841 caselle Pec e 83mila caselle e-mail ordinarie. Oltre 34 milioni i messaggi Pec inviati e ricevuti nell’ultimo anno, con 21 milioni e mezzo di atti giudiziari gestiti e archiviati dai sistemi civili e oltre 6 milioni di accessi giornalieri dall’esterno. L’investimento sulla digitalizzazione prevede il potenziamento delle sale server, l’acquisto di 30.000 pc e 5.200 portatili, una nuova sala intercettazioni a Milano e infrastrutture tecnologiche per i maxiprocessi, come attuato da ultimo per quello su Mafia Capitale, in corso nell’aula bunker di Rebibbia. Orlando ha ricordato il successo del processo civile telematico: nel 2015 sono stati 50mila in media al mese i depositi di atti da parte di soggetti esterni e 300mila da parte dei magistrati: le comunicazioni telematiche nel 2015 sono state circa un milione e 200.000 al mese, le notificazioni sono state più rapide e più certe (dal 1° novembre 2014 al 31 ottobre 2015 in totale sono 17,6 milioni quelle consegnate sia in ambito civile che penale), ed è partito anche il processo su tablet e smartphone. Con le notifiche telematiche il risparmio complessivo è stato pari a 130 milioni di euro (dal 2013 all’ottobre 2015) e ridotti i tempi di emissione dei decreti ingiuntivi (5% su scala nazionale con picchi tra il 25 e il 45% in distretti quali Roma, Milano, Salerno, Trieste e Napoli). "Si tratta - ha sottolineato Orlando - di un quadro imponente con cui il servizio giustizia si pone all’avanguardia per l’innovazione tecnologica nella Pubblica amministrazione e non mi risulta che nel resto d’Europa si sia realizzato un investimento così massiccio. Questo ci permetterà presto di procedere anche con il processo telematico nel settore penale". Toghe, la pensione diventa un caso. Orlando: farò ricorso di Dino Martirano Corriere della Sera, 10 dicembre 2015 Il Guardasigilli contro il Consiglio di Stato che ha sospeso cinque "collocamenti a riposo". Un insidioso granello di sabbia rischia di inceppare il poderoso meccanismo messo in moto dal ministro della Giustizia e dal Consiglio superiore della magistratura per "collocare a riposo", a partire dal 1° gennaio 2016, un’ottantina di magistrati ultra settantenni. Ma la vicenda dei magistrati che resistono alla legge del 2014 (quando il governo Renzi decise di abbassare l’età pensionabile delle toghe, da 75 a 70 anni, per poi concedere una proroga che, appunto, scade a fine anno) s’interseca con la nomina affidata al Csm del nuovo primo presidente della Cassazione e con la designazione del presidente del Consiglio di Stato sul quale, con una procedura senza precedenti, stavolta Palazzo Chigi ha chiesto una rosa di 5 nomi tra quali scegliere. Temendo dunque l’effetto domino sulle alte magistrature, e proprio per evitare "un impatto molto negativo sul sistema giustizia", il ministro Andrea Orlando ha annunciato che il governo "promuoverà ricorsi in ogni sede consentita" contro il Consiglio di Stato che ha sospeso in via cautelare il provvedimento di messa a riposo per cinque magistrati che potrebbero essere gli apripista di un gruppone di 84 colleghi. E nelle stesse ore, il Csm ha approvato all’unanimità (astenuto solo il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce) una delibera con cui si dà mandato all’avvocatura dello Stato di porre in essere tutte le procedure necessarie per spostare l’insidioso ricorso pilota dal Consiglio di Stato al Tar del Lazio. I cinque ricorrenti - Mario Cicala, Antonio Merone e Antonio Di Blasi: consiglieri della sezione tributaria della Cassazione; Giuseppe Vignola, procuratore generale a Lecce; Carmine Antonio Esposito, presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli - hanno scelto la via della vecchia "supplica al re" per far valere le proprie ragioni. I magistrati, infatti, hanno utilizzato lo strumento del "ricorso straordinario al capo dello Stato" sul quale la seconda sezione del Consiglio di Stato presieduta da Sergio Santoro ha espresso parere favorevole almeno per quello che riguarda i presupposti per la sospensiva. Se non interverranno fatti nuovi entro la fine dell’anno, i cinque apripista non andranno in pensione. Ma una situazione di grande incertezza si estende anche ai circa 80 magistrati a un passo dalla pensione (tra i 72 e i 75 anni) che, vista la partita riaperta, potrebbero proporre ricorso al Tar in questo scorcio del 2015. Tra gli altri, nella lista degli 84, ci sono molti nomi noti: a Torino, il procuratore generale Marcello Maddalena e il pm Raffaele Gauriniello; a Milano, il pm Ferdinando Pomarici; a Roma l’avvocato generale dello Stato Antonio Marini; a Catania il pm Giuseppe Gennaro; a Palermo, il giudice Agostino Gristina; al ministero della Giustizia Mario Barbuto. Ecco, se gli ultrasettantenni dovessero rimanere ancora in servizio il Csm dovrebbe tirare il freno a mano sui concorsi per i posti rimasti liberi. Proprio oggi la V commissione del Csm avvia l’istruttoria per scegliere il primo presidente della Cassazione: in pole position ci sarebbero il segretario generale della Corte Franco Ippolito e il presidente della Corte d’appello di Milano Giovanni Canzio. Il concorso va definito entro l’anno ma ora la "grana dell’età pensionabile" impone al vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, di procedere con cautela: anche se, osserva Legnini, "il consiglio ha già espresso un consenso unanime per quello che riguarda l’applicazione della normativa". Ai detenuti i loro bimbi, più permessi per condividere momenti clou di Marzia Paolucci Italia Oggi, 10 dicembre 2015 Da un minimo di quattro ore al mese per l’alta sicurezza a un massimo di otto. Tanto un bambino, libero e incolpevole, può vedere il padre o la madre in carcere: più nervosi e inquieti in una casa circondariale perché ancora appesi all’incertezza del futuro familiare. Più tranquilli, invece, in una casa di reclusione perché rassegnati all’accettazione di una condanna definitiva che però non può essere anche la loro. Un concetto di colpa allargata che investe 100 mila bambini figli di genitori detenuti in Italia che aspettano una vita migliore, a cominciare dalla "revisione generale delle regole dei permessi: famiglie che vorrebbero riunirsi per il compleanno, il primo giorno di scuola, la recita, il saggio o la laurea dei figli". È la richiesta per il ministro Orlando di Bambinisenzasbarre, Onlus presente in Italia da 13 anni nella cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori. Italia Oggi ha intervistato la presidente Lia Sacerdote poco dopo la chiusura del tavolo sugli affetti a cui ha partecipato in occasione degli stati generali dell’esecuzione penale. Ma soprattutto allo scadere della campagna dell’Associazione di sensibilizzazione e raccolta fondi (2 euro al 45503 da cellulari e fissi di più compagnie telefoniche) "Non un mio crimine ma una mia condanna" iniziata lunedì 9 novembre e finita sabato 28 novembre. La mission dell’Onlus è quella dell’accoglienza, dell’ascolto e dell’attenzione alle famiglie dei detenuti. Tre direttrici che hanno così inaugurato un percorso di formazione e sensibilizzazione dall’Associazione allo stesso personale penitenziario coinvolto nella nascita e cura degli Spazi gialli nel 2007 fino alla firma nel 2014 di un protocollo di intesa a tre tra ministero della giustizia, Associazione e autorità nazionale garante dell’infanzia e adolescenza. Gli Spazi Gialli. "Al di là di uno spazio vero e proprio, lo spazio giallo è un modello di intervento che richiede competenza sia in termini di persone adibite alla cura dei bambini ma anche di sensibilizzazione degli agenti penitenziari che si trovano spesso a fare gli educatori loro malgrado. Un punto di attenzione anche laddove di spazio non ce n’è". È la descrizione che dà la presidente Sacerdote del modello d’accoglienza Spazio Giallo di Bambinisenzasbarre, oggi sviluppato dall’Associazione a Milano che rappresenta il primo circuito di accoglienza cittadino con le tre carceri di San Vittore, Bollate e Opera. "Il primo nato è stato quello della casa circondariale di San Vittore, il prossimo sarà a Secondigliano e stiamo provvedendo a mappare la regione Piemonte", racconta la presidente. Ed ecco come funziona: "Il bambino entra accompagnato e mentre il genitore fa le sue pratiche di ingresso, il bambino è preso in carico dai nostri operatori professionali e dagli agenti. Lì, in un’attesa che può durare anche ore, disegna, gioca e parla con il personale preparandosi all’incontro con il genitore che avverrà di lì a poco nella sala colloqui. Il Protocollo. L’invito ai magistrati a scegliere misure alternative al carcere, se possibile, a consentire la presenza del genitore per i compleanni, il primo giorno di scuola, la recita, il saggio, i giorni di festa, la laurea. Ma anche il diritto a una sala colloqui meno "nuda", più dedicata agli affetti e alla privacy per le famiglie: "Sebbene i colloqui con gli spazi divisori siano stati aboliti nel 2000, ancora oggi, il bambino non può neppure mangiare con il genitore né portarsi e portargli alcunché, neppure un disegno fatto durante l’attesa negli spazi gialli", riferisce Sacerdote. L’intesa firmata a marzo 2014 dal ministro della giustizia, Andrea Orlando, l’Autorità garante dell’infanzia e dell’adolescenza, Vincenzo Spadafora, e Bambinisenzasbarre, parte da questi punti e rappresenta un documento unico in Italia e in Europa. L’Italia è il primo paese ad averlo firmato, all’articolo 1 vi si riconosce "il diritto alla continuità del rapporto affettivo tra il figlio e il genitore detenuto e il dovere/diritto del genitore di assumersi la responsabilità e continuità del proprio ruolo". "Una carta, questa", conclude la presidente dell’Associazione, "grazie alla quale i figli invisibili, come vengono chiamati per la fragilità della loro condizione che resta nascosta per convenienza sociale, sono diventati finalmente visibili". "Io, scrittore in carcere senza futuro: mi negano l’uso del computer" di Francesco Lo Dico Il Garantista, 10 dicembre 2015 Pubblichiamo qui di seguito la lettera che Salvatore Torre, detenuto nel carcere di Saluzzo, ha scritto alle istituzioni, nella speranza che queste possano porre rimedio a un caso che merita ogni evidenza. "Lo scrivente, è un detenuto che da 24 anni sconta la pena all’ergastolo, pena alla quale è stato condannato, anche giustamente, per i delitti dallo stesso compiuti. È quindi un detenuto - considerato che nessun’altra diversa possibilità gli è offerta di farlo - consapevole di dover continuare a ripagare la società attraverso il progressivo e sistematico inaridimento della propria vita. Un decadimento ineluttabile, data la privazione sine die della libertà e di quanto da questa consegue; decadimento tuttavia il quale, lo scrivente, tenta disperatamente di rallentare e rendere il meno possibile evidente attraverso la lettura, lo studio e soprattutto la scrittura. Questo detenuto infatti, ha letto negli anni centinaia di libri, conseguito due diplomi di scuola media superiore; la promozione al quarto anno di un altro corso di scuola superiore ( studio interrotto causa trasferimento in un altro istituto), superato 19 esami universitari ( studio interrotto causa trasferimento presso altro carcere) e frequenta ora, presso questa C.R. di Saluzzo il primo anno del liceo artistico; inoltre e soprattutto, questo detenuto ha scritto e continua a scrivere romanzi, racconti, poesie e qualche opera teatrale; in buona sostanza, più di tutte, è quest’ultima attività (cioè la scrittura), a riempire gran parte di quello " spazio vuoto" determinato dalla detenzione. Attività che, sin dall’anno 2000 aveva avuto possibilità di svolgere in modo continuativo e adeguato grazie all’utilizzo nella propria camera di detenzione (oltre che presso aula scolastica) del proprio personal computer. Questo gli era permesso fare presso C.C. di Messina, quindi nella C.R. di Augusta e in ultimo nella C.C. di Tolmezzo, ma non ora presso questa C.R. di Saluzzo (risultandone peraltro una discriminazione trattamentale, atteso che ai detenuti ristretti presso le sezioni di media sicurezza, la possibilità di utilizzare il notebook nella camera di detenzione è concessa). Questo detenuto, infatti, giunto presso questo carcere di Saluzzo nel mese di ottobre del 2014, chiedeva alla direzione dell’istituto - motivando suddetta richiesta con la necessità di poter utilizzare tale strumento in modo continuo, essendo il proprio primario interesse quello di continuare a produrre romanzi, racconti, poesie ed altre opere letterarie e documentando al riguardo la pubblicazione di un romanzo (edito dalla casa editrice Aped), di quattro racconti (editi dalla casa editrice Eri Rai), nonché la partecipazione a diversi premi letterari, tra cui il Goliarda Sapienza ( del quale vincitore del 2° premio nell’ edizione 2011 e del premio menzione speciale nell’edizione 2015) - di aver autorizzato l’utilizzo del proprio computer nella camera di detenzione. Nonostante ciò, questa richiesta non è accolta e per due ordini di ragione 1. per dei non meglio specificati divieti dipartimentali di autorizzare l’utilizzo del computer nella camera di detenzione per i ristretti nelle sezioni di alta sicurezza; 2. per il mancato riconoscimento dell’attività di scrittore come lavoro. Tale attività, spiegavano, avrebbero potuto riconoscere come lavoro nel caso in cui vi sarebbe stato in atto un contratto con qualche editore, per la produzione di una qualunque opera letteraria. Inutile è stata l’ovvia obiezione che i contratti editoriali (sopratutto nei casi di scrittori alle prime armi, come il sottoscritto) avvengono solo in seguito la presentazione di un’opera letteraria alla casa editrice prescelta, alla valutazione e all’accoglimento della stessa parte dell’editore. Ad ogni modo, l’utilizzo del computer era comunque concesso all’interno di una saletta adibita allo scopo e solo per motivi di studio (studio inteso esclusivamente nel senso di frequentazione-previa iscrizione - di un corso scolastico ufficiale, quale scuola media inferiore e superiore ed università: vana, al riguardo l’obiezione che studio è da considerarsi anche quello esplicato da autodidatta, pure mediante un supporto digitale (dvd), come ad esempio un corso di inglese o di autocad o di filosofia). Ebbene, questo detenuto - dal momento che era possibile accedere alla saletta computer dalle ore 8:30 alle 10:30, dalle ore 12:55 alle ore 14: 55 e dalle ore 16:00 alle ore 18:30, per un totale di 6 ore e 30 - le quali, posto che al corso scolastico ci si recava dalle ore 8:30 alle ore 11:45 e dalle ore 13:00 alle ore 16:00 si riducevano a due ore e 30 soltanto - per aver maggior tempo da dedicare al proprio lavoro di scrittura, rinunciava un paio di volte la settimana di recarsi a lezione. Tanto gli era possibile fare sino a quando la direzione della C.R di Saluzzo non disponeva che si poteva avere accesso alla saletta computer solo negli orari in cui non vi è scuola, anche nelle occasioni in cui si rinuncia a recarsi a lezioni: in sostanza, solo dalle ore 16:00 alle ore 18:30. Questa nuova limitazione, ovviamente, danneggia tutti i detenuti possessori di pc ma in particolare questo detenuto, che tale strumento utilizza anzitutto per la scrittura, pertanto presenta nuova istanza alla direzione, con la quale, proponendo di ritirarsi dal corso scolastico, per frequentarlo come uditore solo nelle giornate di mercoledì e giovedì (nelle quali vi è lezione di inglese e di storia dell’arte, alle quali è particolarmente interessato), chiede di poter accedere liberamente alla saletta computer- restando fermi gli orari prefissati- durante gli altri giorni della settimana. Tuttavia, anche questa richiesta è rigettata: si risponde alla stessa che anche ritirandosi dal corso scolastico per frequentarlo come uditore, la limitazione alla saletta computer sarebbe rimasta invariata. Si concedeva comunque allo stesso, in via del tutto eccezionale, di recarsi alla saletta computer il mercoledì (dovendosi intendere dalle ore 8:30 alle ore 10:30 , se è vero che dalle ore 12:55 alle ore 14:55 e dalle ore 16:00 alle ore 18:30 era già possibile recarvisi, essendovi scuola il mercoledì solo dalle 8:30 alle ore 11:45. Ebbene, sorvolando sul fatto che questo detenuto aveva esplicitamente richiesto, nel caso di frequentazione del corso scolastico come uditore, di voler partecipare giusto alle lezioni del mercoledì (e giovedì), lo stesso si diceva che, per quanto poche, due ore di lavoro in più alla settimana le aveva comunque ottenute. Tuttavia, il primo mercoledì mattino disponibile, questo detenuto scopriva che la direzione quest’istituto aveva si fatto una disposizione particolare, ma tanto particolare che autorizzava lo stesso, ad accedere alla sala computer si il mercoledì, ma dalle ore 12:55 alle ore 14:55… ovvero nell’orario in cui lo stesso, come del resto tutti gli altri possessori di P.C, aveva già la relativa autorizzazione. Questo detenuto, volendo immaginare che tale tragicomica situazione fosse originata da un equivoco, chiedeva a chi di competenza di averlo chiarito, ma inutilmente, perlomeno sino a questo momento in cui che si scrive. Altra richiesta presentata alla direzione di questo istituto, questa volta da tutti i detenuti studenti e possessori di computer, era quella di avere quantomeno autorizzato di recare e utilizzare i computer all’interno dell’aula scolastica: richiesta la quale a sua volta non ha ottenuto alcuna risposta. Per questi motivi lamenta: a) il mancato riconoscimento della propria attività di scrittore come lavoro; b) la disparità di trattamento tra lo stesso e i detenuti ristretti nelle sezioni di media sicurezza, ai quali l’uso del PC nella camera di detenzione è permesso (disparità che le attuali leggi penitenziarie non prevedono, ma anzi vietano); c) la lesione al diritto allo studio e nella parte in cui questa direzione non consente di utilizzare il PC pure per quelle forme di studio prima ricordate, esplicate da autodidatta e nella parte in cui non consente l’utilizzo del PC all’interno dell’aula scolastica; Chiede: Alla S.V., nei limiti delle Sue competenze, di volere intervenire presso la Direzione della C.R. di Saluzzo affinché questo detenuto: 1.abbia riconosciuta la propria attività di scrittore come lavoro; 2.abbia sanata la disparità di trattamento anzidetta autorizzando l’utilizzo del pc nella camera di detenzione anche nel suo caso; 3.abbia garantito pienamente diritto allo studio autorizzando l’utilizzo del pc all’interno dell’aula scolastica e per motivi di studio diversi da quelli ufficiali". Salvatore Torre Toscana: Garante detenuti, da oggi 3 giorni di convegno sulla riforma penitenziaria met.provincia.fi.it, 10 dicembre 2015 La riforma del 1975 e le conseguenze della condanna della Corte europea dei diritti umani. Nella sede del Consiglio regionale della Toscana, tre giorni di lavori: domani (alle 15), venerdì 11 e sabato 12 dicembre. Sarà presentata una antologia di scritti di Alessandro Margara. La riforma carceraria del 75 e le conseguenze della condanna della Corte europea dei diritti umani. Se ne parla a Firenze, nelle giornate di domani, giovedì 10 dicembre, venerdì 11 e sabato 12, nel convegno "La riforma penitenziaria del 1975. Un bilancio disincantato dopo la condanna della Corte europea dei Diritti Umani", che si svolgerà nella sede del Consiglio regionale della Toscana. Il seminario intende aprire uno spazio di discussione molto ampio a partire dalla Riforma del 1975. Le grandi idee di riforma della penalità, di ieri e di oggi, saranno trattate con un occhio all’attuale esigenza di cambiamento. Nel solco di questa discussione troverà spazio anche la vicenda degli ospedali psichiatrici giudiziari, ancora drammaticamente aperti e in attesa che le Regioni diano forma, nella maggior parte dei casi, alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Sarà presentata inoltre una antologia di scritti di uno dei principali attori di questa Riforma: Alessandro Margara, che negli anni scorsi ha anche ricoperto l’incarico di garante regionale dei detenuti. Si comincia domani pomeriggio, a partire dalle 15, nella sala delle Feste di palazzo Bastogi. In apertura, i saluti del presidente del Consiglio regionale della Toscana, Eugenio Giani, e del presidente della Regione, Enrico Rossi. Di particolare rilievo, la presentazione (alle 16,30) della raccolta di scritti di Alessandro Margara, "La giustizia e il senso di umanità", antologia su carcere, Opg, droghe e Magistratura di Sorveglianza, con una tavola rotonda presieduta dal garante regionale dei detenuti della Toscana, Franco Corleone. Il convengo è a cura del Garante diritti detenuti Regione Toscana, Franco Corleone; del Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza (Conams); della Fondazione Giovanni Michelucci; del dipartimento di scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze e delle associazioni "L’Altro diritto" e "La Società della Ragione". La partecipazione al convegno consentirà agli avvocati di acquisire nove crediti formativi, in base a quanto stabilito dal regolamento del Consiglio nazionale forense. Il programma del convegno: http://www.consiglio.regione.toscana.it/oi/default.aspx?t=2604&idc=42&nome=gdetenuti&id=2604 Novara: detenuti al lavoro all’ex Colonia Agogna, sotto il coordinamento di Assa novaratoday.it, 10 dicembre 2015 Dopo l’intervento dello scorso 25 novembre, i lavori hanno interessato gli interni degli stabili di viale Marmo. Sono proseguiti i lavori all’ex Colonia dell’Agogna del Comune di Novara. L’intervento in viale Marmo rientra nell’ambito delle Giornate di recupero del patrimonio ambientale, che vedono l’impiego di detenuti della Casa circondariale di Novara in servizi di pubblica utilità. Lo scorso 25 novembre gli interventi avevano interessato le aree esterne. Oggi, sempre sotto il coordinamento di Assa, i detenuti in permesso premio su base volontaria, coadiuvati dai detenuti impiegati da Assa nell’ambito dei cantieri di lavoro del Comune, hanno svolto lavori di manutenzione interni agli stabili come il rifacimento degli zoccolini e di panchine e arredi spogliatoi e l’imbiancatura dei locali. La giornata si è svolta come sempre nell’ambito del protocollo che vede coinvolti Comune di Novara, Magistratura di Sorveglianza, Casa circondariale, Uepe Ufficio esecuzioni penali esterne, e Assa. La Spezia: incontri tra padri detenuti e figli, domani inaugurazione della sala "protetta" primocanale.it, 10 dicembre 2015 Una sala protetta per favorire gli incontri tra i padri detenuti e i figli, con l’obiettivo di garantire la genitorialità in un contesto difficile come quello carcerario. È quanto realizzato nel carcere di Villa Andreino, frutto del lavoro in sinergia tra Acli, istituto penitenziario, e i giovani studenti della quinta E del Liceo artistico Cardarelli, che hanno materialmente progettato e realizzato la nuova struttura, dipingendo gli spazi dell’accoglienza con scenari marini. La ludoteca sarà inaugurata venerdì alle 11.30 alla presenza delle autorità cittadine. La nuova sala è stata ricavata da due locali inutilizzati del penitenziario, sfruttando i denari recuperati con il 5 per mille nazionale dell’Acli e un contributo dello stesso istituto penitenziario. "Una struttura sulla abbiamo creduto molto, la ludoteca garantirà il rapporto tra genitori e figli in un ambiente più accogliente" spiega il presidente provinciale Acli, Francesco Passalacqua. Parma: denunciò abusi in carcere, processato con accusa di lesioni e resistenza ad agenti Gazzetta di Parma, 10 dicembre 2015 Rinviato a giudizio detenuto che denunciò abusi. Il giudice per l’udienza preliminare Claudio Siclari ha rinviato a giudizio Rachid Assarag, il detenuto marocchino di 40 anni che la scorsa settimana aveva denunciato, con registrazioni audio, di essere stato picchiato nel carcere di Parma da agenti: l’uomo, a Genova, è accusato di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale perché avrebbe aggredito alcune guardie mentre era nel carcere di Pontedecimo. Assarag sta scontando una pena a nove anni e quattro mesi per violenza sessuale. Dopo la denuncia di percosse a Parma, il ministro della Giustizi Andrea Orlando ha inviato gli ispettori per fare chiarezza sull’accaduto. Roma: visite sospette in carcere, quarantuno indagati tra gli amici di Totò Cuffaro di Riccardo Arena La Stampa, 10 dicembre 2015 L’ex governatore siciliano sta per uscire dopo la condanna a 7 anni. Da Totò andavano tutti: la solidarietà tutta siciliana (ma non solo siciliana) verso gli amici in cattive acque portava nel carcere romano di Rebibbia, in visita al detenuto modello Salvatore Totò Cuffaro, sottosegretari, ex ministri, parlamentari nazionali, europei e regionali siciliani. Ognuno, come consente la legge, si portava appresso un collaboratore. Solo che non si trattava di segretari o assistenti, ma di amici, in gran parte anche loro politici, dell’ex presidente della Regione Sicilia. Dalla solidarietà al reato il passo è breve, perché adesso in 41 rischiano un processo, nella Capitale, per avere attestato il falso: l’indagine è chiusa, la richiesta di rinvio a giudizio scontata. Il paradosso di questa storia è che l’avviso di conclusione delle indagini viene notificato a una settimana scarsa dalla data prevista di scarcerazione di Cuffaro (che dovrebbe uscire mercoledì prossimo). L’ex governatore siciliano sta finendo di scontare sette anni (in realtà, con gli sconti previsti dalla legge, sono stati poco meno di cinque) per favoreggiamento aggravato dall’agevolazione di Cosa nostra. E l’altro dato curioso è che a far finire nei guai tutti i suoi amici, fra i quali ci sono il sottosegretario allo Sviluppo economico Simona Vicari, gli ex ministri Saverio Romano e Calogero Mannino, l’ex senatore anti-renziano del Pd Mirello Crisafulli, è la Procura oggi coordinata da Giuseppe Pignatone. Che fu pm nel processo Talpe in Procura, concluso con la condanna di Totò. La vicenda è un mix di sfacciataggine e di convinzione di essere al di sopra della legge. Perché, se è vero che i deputati nazionali ed europei hanno diritto di entrare liberamente, "per ragioni del loro ufficio", nelle carceri, gli accompagnatori devono essere effettivamente segretari e assistenti degli uomini politici. Ma come si fa a dire, ad esempio, che l’allora senatore del Pd Mirello Crisafulli, noto per le sue polemiche contro Matteo Renzi, il 4 maggio del 2011 era a Rebibbia in compagnia del suo "assistente" Cataldo Salerno? Salerno è in realtà il presidente dell’università Kore di Enna, in tempi recenti finita su tutti i giornali perché, su iniziativa proprio di Crisafulli, stava per aprire una facoltà di Medicina in rumeno. E sì che si potrebbe ironizzare, sulla qualità di Salerno di assistente dell’allora senatore. Cuffaro finì in cella il giorno della sentenza di Cassazione, il 22 gennaio 2011. Subito iniziarono le visite di amici solidali: come Simona Vicari, oggi sottosegretario in quota Ncd, che dichiarò - con un’analoga attestazione dell’interessato - che Giampaolo Ciani aveva "un rapporto di collaborazione stabile e continuativo, consistente nel ruolo di assistente", quando in realtà si tratta di un avvocato. E che dire di Calogero Mannino, l’ex ministro del Mezzogiorno, padrino in senso politico di Cuffaro, fresco di assoluzione al processo sulla trattativa Stato-mafia? Si è portato appresso, nel tempo, un ex deputato regionale (che in quanto tale non aveva titolo per entrare da solo nel penitenziario), Nunzio Cappadona, e poi Antonina Saitta, Attilio Tripodi, Antonio Marino e Bruno Mariani, persone che in realtà, secondo il pm Barbara Zuin, non hanno alcun rapporto di collaborazione con Mannino. Il verdiniano Saverio Romano, ex ministro dell’Agricoltura, dichiarò che Nino Dina, fedelissimo di Totò ed ex presidente della commissione Bilancio siciliana, era un suo collaboratore politico. E pur di entrare anche un’altra volta, Dina disse di essere collaboratore pure di un altro deputato ex Udc come lui, Pippo Gianni. Sotto inchiesta pure l’ex eurodeputato Antonello Antinoro e Renato Farina, già condannato per avere fatto visita con un falso collaboratore a Lele Mora. Nella lista dei 41 anche un cugino omonimo di Salvatore Cuffaro e tre esponenti di Forza Italia: l’ex senatore Pino Firrarello, l’ex deputato regionale Salvo Fleres, l’ex europarlamentare Salvatore Iacolino, ma anche dirigenti della Regione e di ministeri, amici o comunque legati a Cuffaro. Piacenza: detenuto ricoverato in ospedale dà in escandescenze, infermiera strattonata Libertà, 10 dicembre 2015 Momenti di concitazione l’altra notte all’ospedale di Piacenza, quando un detenuto della Casa circondariale di Piacenza, ricoverato al "Guglielmo da Saliceto" per alcune terapie nel reparto di Ematologia e Trapianti, ha dato in escandescenza. L’uomo sarebbe riuscito a ribaltare alcuni mobili mandando in frantumi alcuni macchinari destinati al monitoraggio dei pazienti. Avrebbe anche afferrato ad un braccio un’infermiera del reparto, strattonandola con una certa violenza prima di essere bloccato dal personale di sorveglianza. La donna è stata portata dai colleghi al Pronto soccorso, dove è stata medicata. Per fortuna l’aggressione non ha avuto conseguenze ancora più gravi. Il caos provocato dal detenuto è stato visto e sentito da molte persone presenti: medici, infermieri, ma soprattutto i numerosi pazienti del reparto, che dai loro letti hanno sentito urla e schianti, destando anche spavento e preoccupazione. I due posti letto ospedalieri destinati dall’Ausl ai pazienti detenuti delle Novate sono collocati proprio nella sede di Ematologia e Trapianti, presso la quale sono ospitati anche pazienti in condizioni delicate e che necessitano di ambienti sterili. "Sarebbe più opportuno - segnalano alcuni familiari dei degenti - spostare questi due letti in un’altra area dell’ospedale". Firenze: educazione in carcere, pratiche a confronto e nuovi profili professionali gonews.it, 10 dicembre 2015 L’educazione nei contesti penitenziari, le forme di didattica collegate alle nuove tecnologie e le opportunità di apprendimento in carcere sono i temi al centro del convegno internazionale "Building up Professionals in Education and Care: the Penitentiary context and Higher Education" che si aprirà giovedì 10 dicembre, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia (via Laura 48, Aula Magna - ore 9.30) dell’Università di Firenze, in occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani, e proseguirà venerdì 11 dicembre. "Nell’ambito di questa celebrazione abbiamo scelto di dedicare particolare attenzione alla ricerca e all’azione educativa in carcere - spiega Paolo Federighi direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia - la formazione rappresenta non solo un’importante opportunità di sviluppo di competenze, in una prospettiva di reinserimento, ma costituisce la sfida cruciale per la riduzione della criminalità". Durante la prima giornata del convegno saranno presentati tra gli altri i risultati di una sperimentazione a cui hanno collaborato docenti e ricercatori dell’Ateneo fiorentino nell’ambito del progetto europeo Pebble (Prison Education Basic Skills Blended Learning). "Abbiamo svolto un percorso di due anni rivolto tredici detenuti della casa circondariale di Pescara - spiega Francesca Torlone del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia - il progetto didattico ha previsto una combinazione di moduli in presenza e a distanza, attraverso il ricorso a piattaforme ICT come Trio della Regione Toscana". La seconda giornata del convegno si soffermerà sulla costruzione di professionalità educative all’interno dei contesti carcerari in ambito italiano ed europeo. Viterbo: "Rehab", progetto dell’Università della Tuscia per migliorare la vita dei detenuti viterbonews24.it, 10 dicembre 2015 È possibile ridurre lo stress ambientale in carcere abbattendo le barriere comunicative tra operatori e detenuti? A questa domanda risponde il progetto europeo Rehab, promosso dall’Università della Tuscia (Dipartimento Disucom). L’11 dicembre ci sarà la conferenza finale a Roma. Il progetto Rehab, Removing prison HeAlth Barriers, di durata biennale, è stato finanziato dal programma europeo Llp - Grundtvig. Finalità del progetto sono migliorare la qualità della vita nelle carceri, attraverso un approccio multidisciplinare volto a promuovere una più efficace comunicazione tra staff della prigione (staff sanitario, area trattamentale e polizia penitenziaria) e detenuti; supportare il personale sanitario e di custodia nello stress correlato al lavoro attraverso i sensitivity groups; definire Linee guida di buona pratica clinica e stipulare Protocolli di intesa tra istituto penitenziario e Servizio Sanitario Territoriale, a garanzia di misure volte alla continuità terapeutica. Coordinato dall’Università della Tuscia, ha coinvolto un partenariato internazionale composto da società scientifiche di salute penitenziaria (Società di medicina e sanità penitenziaria - Simpse, Italia; Sociedad espanola de sanitad penitenciaria - Sesp, Spagna), Università (Birmingham city Univercity - Bcu, Regno Unito) e un gruppo di studio e ricerca sul tema (Groupe d’etude, de recherches, et de traitement en milieu penitentiaire - Gertox, Francia). L’evento finale si svolgerà l’11 dicembre dalle ore 9 alle ore 17, presso l’Issp, Istituto Superiore di Studi Penitenziari, a Roma; è prevista la partecipazione del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, del rettore dell’Università della Tuscia, Alessandro Ruggieri e del vice capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Massimo De Pascali. Taranto: "Fuorigioco", progetto per la rieducazione dei detenuti attraverso lo sport lavocedimanduria.it, 10 dicembre 2015 Dopo Rivera e Legrottaglie, sarà il campione del Mondo di Spagna 1982 a presidiare la terza edizione di "Fuorigioco", progetto funzionale alla rieducazione dei detenuti attraverso lo sport. La conferenza stampa si terrà lunedì 14 dicembre, presso la casa circondariale di Taranto. Programma diviso in due fasi: a quella teorica, che coinvolgerà direttamente i detenuti durante le lezioni, seguirà poi quella atletica, con allenamenti di gioco. Il direttore dell’istituto, la dottoressa Stefania Baldassarri, ha accolto positivamente la riproposizione del progetto da parte del suo ideatore, l’avvocato Giulio Destratis. presidente dell’Aps Fuorigioco ed esperto in diritto dello sport. Durante le lezioni si parlerà di tecniche e tattiche di gioco ma anche di medicina, di giustizia sportiva, di ordinamento federale nonché di tutte le problematiche con risvolti civili e penali che, purtroppo, oggi più che mai attanagliano il calcio. Ancora una volta tra i relatori figurano personalità di spicco della Magistratura, come i Giudici Maurizio Carbone e Martino Rosati. Si alterneranno negli incontri che si terranno all’interno del carcere, tra gli altri, gli avvocati Paolo Vinci, Mimmo Lardiello, Carlo Raffo e Gianluca Mongelli per la Fondazione Taras, il giornalista Giuliano Foschini. Il Presidente degli Arbitri Tarantini Di Leo con l’assistente di gara Cristian Greco, il Presidente degli allenatori di calcio pugliesi Mimmo Ranieri e l’istruttore tecnico Manolo Gennari. A trattare gli aspetti medico-sportivi saranno il dottore Francesco Settembrini, la psicologa Loredana Mastrorilli ed il fisioterapista Marco Cordella. La seconda fase, prettamente atletica, vedrà i detenuti impegnati in una serie di allenamenti di gioco. A seguire, l’incontro di calcio quadrangolare tra le rappresentative di magistrati, avvocati, agenti penitenziari e detenuti, che si terrà venerdì 18 dicembre allo Stadio Iacovone di Taranto. Importanti nomi del calcio italiano stanno aderendo a vario titolo a questa iniziativa: dopo Gianni Rivera e Nicola Legrottaglie, alla conferenza stampa di presentazione della partita, lunedì 14 Dicembre, è già certa la presenza dell’indimenticato Campione del Mondo, ora Allenatore della Nazionale Italiana di Calcio Femminile, Antonio Cabrini. Teramo: la band "Tributo Nomade" canta per i detenuti di Castrogno Il Centro, 10 dicembre 2015 Applausi e cori a non finire: successo per il concerto tenuto in carcere dalla cover band teramana "Tributo Nomade". I musicisti della band riconosciuta ufficialmente dai Nomadi, coerenti con l’impegno sociale dello storico gruppo emiliano di cui interpretano il repertorio, si sono esibiti in un concerto nel teatro all’interno della casa circondariale. Per problemi di spazio alla performance hanno partecipato soltanto i detenuti di uno dei quattro reparti. "I detenuti si sono dichiarati felici dell’esperienza", si legge in una nota. Tante le manifestazioni di riconoscimento degli operatori penitenziari presenti, che invocano da sempre la partecipazione della comunità esterna alle attività trattamentali per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali di rieducazione e reinserimento sociale. La band è composta dai musicisti Saverio Basville, Gabriele Di Basilico, Antonio Di Francesco, Antonio Manente, Guido Napolitani, Mauro Natali e Roberto D’Ortenzi. La band ha annunciato la disponibilità ad esibirsi nuovamente in carcere. Libri: "Fine pena: ora", la corrispondenza tra un giudice e un ergastolano Adnkronos, 10 dicembre 2015 Una corrispondenza durata ventisei anni tra un ergastolano e il suo giudice. Non è un romanzo di invenzione, né un saggio sulle carceri, non enuncia teorie, ma "Fine pena: ora" (Sellerio editore Palermo, 210 pag., 14 euro), si chiede come conciliare la domanda di sicurezza sociale e la detenzione a vita con il dettato costituzionale del valore riabilitativo della pena, senza dimenticare l’attenzione al percorso umano di qualsiasi condannato. Una storia vera, un’opera che scuote e commuove. Nemmeno tra due amanti, ammette l’autore, è pensabile uno scambio di lettere così lungo. Questo non è un romanzo di invenzione, ma una storia vera. Nel 1985 a Torino si celebra un maxi processo alla mafia catanese; il processo dura quasi due anni, tra i condannati all’ergastolo Salvatore, uno dei capi a dispetto della sua giovane età, con il quale il presidente della Corte d’Assise ha stabilito un rapporto di reciproco rispetto e quasi - la parola non sembri inappropriata - di fiducia. Il giorno dopo la sentenza il giudice gli scrive d’impulso e gli manda un libro. Ripensa a quei due anni, risente la voce di Salvatore che gli ricorda: "se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia". Non è pentimento per la condanna inflitta, né solidarietà, ma un gesto di umanità per non abbandonare un uomo che dovrà passare in carcere il resto della sua vita. La legge è stata applicata, ma questo non impedisce al giudice di interrogarsi sul senso della pena. E non astrattamente, ma nel colloquio continuo con un condannato. Ventisei anni trascorsi da Salvatore tra la voglia di emanciparsi attraverso lo studio, i corsi, il lavoro in carcere e momenti di sconforto, soprattutto quando le nuove norme rendono il carcere durissimo con il regime del 41 bis. Centri di detenzione per sospetti jihadisti, adesso anche Parigi vuole una Guantanámo di Anais Ginori La Repubblica, 10 dicembre 2015 Il governo socialista ha chiesto al Consiglio di Stato un parere giuridico sull’ipotesi di aprire dei centri di internamento per sospetti jihadisti. Progetto shock del premier Valls per rafforzare lo stato di emergenza dopo le stragi: arrestare in via preventiva, in base a semplici indizi e senza passare dalla normale giurisdizione, i potenziali terroristi schedati con la "fiche S". Nella lista dell’intelligence 10.500 persone segnalate per i loro rapporti con organizzazioni islamiste È una progetto di legge passato quasi in sordina ma che rischia di aprire una nuova polemica nella Francia colpita due volte dal terrorismo islamico in meno di un anno. Il governo socialista ha chiesto al Consiglio di Stato un parere giuridico sull’ipotesi di aprire dei centri di internamento per sospetti jihadisti. La nota preparata dall’ufficio di Manuel Valls è stata mandata qualche giorno fa e rivelata dal quotidiano Le Monde. È solo una delle tante proposte di riforme allo studio dall’esecutivo nell’ambito dello stato d’emergenza varato la notte del 13 novembre ma è forse la più scioccante per la patria dei diritti dell’uomo. Secondo il testo preparato dai collaboratori di Valls, le persone schedate dall’intelligence con la "fiche S", come potenziali minacce, potrebbero essere arrestate e condotte in un centro di detenzione senza passare dalla normale giurisdizione. Il governo francese propone infatti la detenzione di individui basata solo su indizi di colpevolezza, senza che ci sia un contraddittorio e una difesa come avviene per gli arresti preventivi. I centri di detenzione per presunti jihadisti sarebbero una prima in Europa, l’unico precedente in Occidente è quello di Guantánamo. Rispetto al campo americano per i "combattenti nemici" in questo caso non ci sarebbero tribunali militari, ma sarebbero i magistrati amministrativi a dover convalidare a o meno la detenzione preventiva, fuori però da un procedimento ordinario che prevede l’apertura di un’inchiesta e la difesa dell’indagato. Rispetto a Guantánamo, però, la proposta del governo di Parigi non vale solo per cittadini stranieri: la bozza non esclude infatti di internare anche cittadini francesi. Il quesito posto da Matignon, sede dell’esecutivo, al Consiglio di Stato è chiara. "La legge può autorizzare la privazione della libertà a titolo preventivo e prevedere la detenzione in centri previsti a questo scopo - chiede il governo - in modo da prevenire atti violenti da parte di persone radicalizzate, che presentano indizi di pericolosità e conosciuti dai servizi di polizia, senza che siano già stata condannati per fatti legati al terrorismo?". La proposta-shock, che sarebbe stata approvata personalmente da Valls, vuole poter così decidere il fermo per tutte gli individui che l’intelligence ha segnalato, con vari gradi di pericolosità. Sono 20mila le persone schedate sotto la lettera "S" dai servizi segreti francesi. Tra queste, 10.500 sono segnalate per la loro "appartenenza o per rapporti con il movimento islamico" ha rivelato il premier qualche giorno fa. Secondo quanto spiegato da Valls, le altre schede riguardano i membri di altri movimenti considerati terroristi: il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), gruppi legati al movimento Tamil, l’ala militare di Hezbollah, i militanti violenti legati a ultra- destra o ultra-sinistra, gli hoolingans. La proposta di legge è una risposta estrema alle polemiche sulla mancata sorveglianza dell’intelligence di alcuni presunti jihadisti francesi coinvolti poi negli attentati. I fratelli Kouachi, che hanno organizzato gli attacchi a Charlie Hebdo nel gennaio scorso, erano oggetto di una "fiche S". E così pure alcuni dei terroristi - Ismael Mostefai e Samy Amimour - che hanno condotto gli attentati del 13 novembre. Per alcuni di questi, come Amimour, uno dei kamikaze al teatro Bataclan, era stato deciso l’arresto ai domiciliari. Ma l’uomo è riuscito a eludere i controlli e scappare in Siria per tornare poi da "martire". L’ipotesi del governo è che i presunti jihadisti francesi o stranieri possano essere internati per un periodo di sei mesi, rinnovabile. Da quando è stato varato lo stato di emergenza, la polizia giudiziaria ha deciso gli arresti domiciliari per oltre trecento persone. Ma l’attuale legislazione non permette pieni poteri all’antiterrorismo che deve poi sottostare alle regole della normale giurisdizione. François Hollande ha proposto una revisione della Costituzione per permette- re di cambiare i limiti temporali sullo stato d’emergenza. Finora il Consiglio Costituzionale non ha fatto eccezioni alla legge che fissa il periodo a tre mesi, una prima nella storia della Quinta Repubblica. Ma sull’ipotesi di campi di internamento per presunti jihadisti ci saranno probabilmente più obbiezioni da parte di chi vigila sulla tutela delle libertà. La proposta di Valls rischia di far ancora molto discutere, tanto più che proviene da un governo di sinistra e non, come fu per Guantánamo dopo l’11 Settembre, da George W. Bush e da un’amministrazione repubblicana. Il Pentagono: "Siamo in guerra contro lo Stato Islamico". E Putin evoca i missili nucleari di Federico Rampini La Repubblica, 10 dicembre 2015 Il presidente russo: spero non debbano essere usate armi non convenzionali Mistero su Al Baghdadi. Fonti iraniane: "È stato curato in Turchia e ora è a Sirte". "Siamo in guerra contro lo Stato Islamico", dice il Pentagono. E Vladimir Putin evoca l’uso di armi atomiche, sia pure per escluderlo adesso. Il fronte si allarga, in tutte le direzioni: l’America preme per coinvolgere più alleati, ma il capo dell’Is trova rifugio in Libia a conferma che anche lì può contare su roccaforti e protezioni. Il segretario alla Difesa americano, Ashton Carter, parla di guerra ai jihadisti in un’audizione al Congresso e aggiunge: "Gli attacchi di Parigi e San Bernardino sono un’offensiva contro la civiltà che difendiamo". Rivela di avere chiamato ben 40 paesi alleati per chiedere loro un maggiore contributo alla lotta contro l’Is in "forze speciali, aerei, armi e munizioni". A conferma che l’America sta aumentando la propria pressione militare in quell’area, il capo del Pentagono parla di inviare elicotteri da combattimento Apache, e consiglieri militari, a sostegno delle truppe regolari irachene che tentano di riconquistare la città di Ramadi. La Casa Bianca, così come il Pentagono, notano che per ora l’esercito iracheno fa "modesti progressi", esprimono "frustrazione per la lentezza di quest’avanzata". Si attende una richiesta formale del premier iracheno al-Abadi, per l’invio degli Apache. Che segnerebbe un’ulteriore passaggio verso la graduale escalation. Sempre però con l’esclusione di un vero intervento terrestre. Su quel fronte devono muoversi i sunniti, torna a ribadire il Pentagono. È quel che Barack Obama sostiene da tempo: una riconquista durevole dei territori controllati dallo Stato Islamico può farla solo chi appartiene allo stesso gruppo etnico e alla stessa religione. "Gli arabi sunniti hanno un vantaggio decisivo su quel territorio", ribadisce il segretario alla Difesa. Non certo quindi un’invasione americana, ma neppure forze curde o sciite verrebbero percepite come legittime. Carter ne trae la conseguenza: preme sull’Arabia saudita e tutti gli Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, perché mandino truppe terrestri. Si tratta per l’appunto di nazioni islamiche sunnite, le cui forze militari potrebbero appoggiare i gruppi ribelli che contrastano lo Stato Islamico in Siria. Un messaggio è rivolto anche alla Turchia il cui confine con la Siria rimane "troppo poroso", denuncia Carter. Anche la Russia alza il tono bellicoso e soprattutto il tenore delle sue azioni militari. Putin commenta il primo lancio di missili da crociera, dal sottomarino Rostov sul Don nel Mediterraneo. Il presidente russo spiega che quel tipo di missili "possono essere armati sia con testate convenzionali, sia con testate nucleari", anche se auspica che non sia necessario l’uso dell’atomica in quell’area. Ma la Turchia denuncia i raid russi: continuano a colpire gli obiettivi sbagliati. Secondo il governo di Ankara Putin non fa quello che dice, cioè non attacca l’Is, bensì forze "turcomanne" contro le quali sarebbe in atto una "pulizia etnica". Anche fonti di Washington confermano che i bombardamenti russi continuano a seguire priorità diverse da quelle annunciate: non colpiscono i jihadisti dello Stato islamico bensì altre milizie nemiche di Assad, il dittatore protetto da Putin. Si è ancora ben lontani, secondo l’Amministrazione Obama, da quella convergenza di tutti contro l’Is, che è necessaria per sconfiggerlo. Anche la riluttanza della Turchia a sigillare le frontiere contro i jihadisti, o dell’Arabia Saudita a inviare forze sul terreno, sono la prova delle ambiguità e dei doppi giochi in atto. L’ultimo colpo di scena riguarda il cosiddetto Califfo del terrore, Abu Bakr Al Baghdadi. Più volte è stato dato per morto, o paralizzato. L’11 ottobre si disse che era rimasto ucciso o ferito nel raid aereo iracheno che aveva colpito il convoglio con cui viaggiava in una zona di confine con la Siria. Ora secondo l’agenzia iraniana vicina alle Guardie della rivoluzione, si sarebbe rifugiato a Sirte, in Libia, dopo un soggiorno in Turchia per curare le gravi ferite riportate nel raid di ottobre. Putin sventola il nucleare sotto il naso della Nato di Chiara Cruciati Il Manifesto, 10 dicembre 2015 Il presidente paventa l’utilizzo di testate nucleare sui missili anti-Isis. Una guerra a parole tra Mosca e il Patto Atlantico che sfruttano per i propri interessi la lotta contro lo Stato Islamico e le pedine turca, irachena e siriana. Minacce da guerra fredda, neppure troppo sottili anche se "addolcite" da un "non dovrebbe essere necessario". Il presidente Putin varca a parole la linea rossa disegnata nel post-Unione Sovietica: testate nucleari sui missili diretti contro l’Isis. Ovvero nucleare a poca distanza dalla Turchia, membro della Nato, chiara sfida ad Ankara e al Patto Atlantico. "I missili Kalibrs e i Kh-101 hanno dimostrato di essere moderni e altamente efficaci - ha detto Putin a Russia Today - Ora lo sappiamo con certezza: armi di precisione che potrebbero essere equipaggiate con testate sia convenzionali che speciali, ovvero nucleari". "Naturalmente non è necessario quando si combattono terroristi e, spero, non ce ne sarà mai bisogno", ha aggiunto. Parole pesantissime che non aiutano a sgonfiare le tensioni con la Nato: prima l’abbattimento del jet russo per mano di Ankara, poi le sanzioni di Mosca contro la Turchia, infine la provocazione di una nave militare russa che attraversa il Bosforo con lanciamissili in bella mostra. La Russia gioca tutte le carte che ha in un Medio Oriente che il nucleare lo conosce bene e di cui non ne è privo. La minaccia di "testate speciali" non è diretta allo Stato Islamico, ma agli avversari occidentali. Non si arriverà a tanto, ma simili scambi di battute danno la misura delle distanze tra Russia e Stati uniti. Le super potenze discutono di negoziati a partire dal primo gennaio, il segretario di Stato Usa Kerry annuncia una visita a Mosca, la prossima settimana, per affrontare la questione siriana, ma sul campo gli screzi servono a definire le rispettive posizioni in vista del dialogo futuro. Mosca mette in campo ogni possibile strumento militare. Martedì il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha fatto sapere che per la prima volta lo Stato Islamico è stato colpito da missili lanciati da un sottomarino lungo le coste siriane, nei pressi di Cipro: "I target erano due grandi postazioni terroristiche nel territorio di Raqqa, causando seri danni a magazzini di armi e una fabbrica di mine". Dell’attacco dal mare, ha aggiunto il ministro, sono stati avvertiti sia Stati uniti che Israele, paese che testate nucleari ne possiede da tempo seppure le occulti da anni. Washington da parte sua tenta di serrare le fila, consapevole che la strategia finora messa in campo non è efficace. Ieri lo ha ammesso il segretario alla Difesa Carter: di fronte al Congresso ha detto che l’Isis non è stato contenuto, per poi annunciare l’invio di Apache e consiglieri militari nella città irachena di Ramadi (dove a bombardare sono anche i russi). E pone la questione come uno scontro diretto, con il "califfato" minaccia all’Occidente prima che al Medio Oriente: "La realtà è che siamo in guerra. Questo è quello che sentono le nostre truppe perché combattono l’Isis ogni giorno". Sulla Russia Carter smorza le tensioni limitandosi ad uno scarno commento: "La Russia deve concentrarsi sul lato giusto di questa guerra". Per ora si concentra sulla distruzione della Turchia: ieri lo scambio di accuse tra Ankara e Mosca è proseguito. Il premier turco Davutoglu ha tacciato la Russia di una "pulizia etnica" a Latakia (roccaforte del presidente siriano Assad), mentre l’ambasciatore russo all’Onu sfruttava Baghdad: Vitaly Churkin ha accusato la Turchia di aver agito "incautamente e inspiegabilmente" mandando truppe in territorio iracheno. Il governo di Baghdad cerca sostegno nella Russia, che da qualche mese gestisce le operazioni con iraniani e siriani dal centro di coordinamento della capitale irachena: il premier al-Abadi ha chiesto alla Nato di intervenire per costringere l’alleato turco a ritirarsi, dopo la scadenza delle 48 ore di ultimatum date da Baghdad ad Ankara, mentre le milizie sciite legate all’Iran prospettano un intervento armato contro i turchi nel caso di permanenza alle porte di Mosul. L’Iraq, come la Siria, è ormai solo una pedina di un gioco giocato ad altri livelli. L’Italia e il rompicapo libico: se la mediazione dovesse fallire serviranno scelte nette di Franco Venturini Corriere della Sera, 10 dicembre 2015 In Siria la risposta al califfato di al Baghdadi ha seguito fin dall’inizio un binario militare e uno politico. Il secondo, più volte invocato, è ogni giorno più paralizzato dal primo. È la minaccia delle jihad a tenere uniti, come un ponte insanguinato, i due appuntamenti di alta diplomazia internazionale che Roma ospiterà da oggi a domenica. Prima i "Dialoghi mediterranei" organizzati dalla Farnesina e dall’Ispi avranno il compito di ricordare a tutti che per far fronte alle crisi non esistono soltanto risposte militari. Poi, domenica, sarà la volta di un vertice sulla Libia. E così l’orrore appena fatto uscire dalla porta rientrerà dalla finestra con tutto il suo potere deflagrante, che dalla Siria e dal quartier generale dell’Isis disegna un arco di fuoco fino al piccolo califfato di Sirte. Al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni va dato atto di questa centralità italiana che non è stato facile ottenere e che sarà difficile conservare. Per l’Italia come per altri, perché le due crisi in questione e i loro complessi collegamenti terroristici e migratori si trovano in uno stato di disgregazione politica e geopolitica che lascia poco spazio alle soluzioni auspicate da Roma e più in generale dall’Occidente. In Siria la risposta al Califfato di al Baghdadi ha seguito sin dall’inizio due binari, uno militare e l’altro politico. Il secondo, più volte invocato ma in realtà già esistente, è ogni giorno di più paralizzato dal primo. Nel processo di Vienna è indispensabile coinvolgere le formazioni che combattono contro Assad, e si tenta di crearne un elenco? L’Arabia Saudita ricompatta il fronte sunnita ma esclude i curdi invisi alla Turchia, la Russia definisce "terroristi" (e dunque non interlocutori) quasi tutti i nemici di Assad e l’Iran fa altrettanto, l’America prova a salvare il salvabile (lo farà Kerry a Mosca la settimana prossima) ma Obama esita ad alzare la voce. Il binario militare, così, prende fatalmente il sopravvento, ognuno spara e bombarda secondo i suoi interessi, i turchi pensano all’impero ottomano e puntano su Aleppo-Homs-Mosul, Putin vuole garantirsi un ruolo politico durevole in Medio Oriente e assicura di non aver mollato Assad per il dopo-transizione, l’Iran lo tiene d’occhio, gli americani si apprestano a mandare gli Apache in Iraq, promettono distruzione all’Isis e pianificano le battaglie di Ramadi (già in corso), di Mosul e soprattutto di Raqqa, "capitale" dell’Isis. Tutti in Occidente capiscono che la ricerca di una intesa politica sul futuro della Siria è entrata in una fase decisiva e di grande fragilità, non pochi sanno però anche che la lotta all’Isis va comunque fatta, e con mezzi adeguati, perché lì si trova la minaccia più grave e più geograficamente estesa. Accanto alle bombe servono truppe di terra, è il ritornello generale. Toccherà ai curdi (Turchia contraria), a formazioni miste di sunniti siriani e di curdi (patrocinate dagli Usa), a piccoli reparti di truppe speciali occidentali e forse russi? Più zoppica il binario di Vienna, più si rafforza quello militare. E più emerge il conflitto inter-islamico dei sunniti contro gli sciiti, con al suo interno gli interessi dei singoli Stati. È meritevole, come accadrà da oggi a Roma, ricordare che esiste un terzo binario fatto di conoscenza, di cultura, di propensione al dialogo e alla collaborazione. Se sia anche realistico, saranno i fatti a stabilirlo. Ma è comunque positivo che l’Italia abbia proposto di ospitare, forse in gennaio, un ennesimo tentativo di trovare autentici denominatori comuni nelle presunte coalizioni anti- Isis. Non sarà molto più lieto, il rompicapo libico che attende il vertice di domenica. La mediazione León è fallita nel peggiore dei modi, alimentando cioè una ostilità verso l’Onu e "gli stranieri" che si è tradotta, paradossalmente, in una mini-intesa tra i parlamenti di Tripoli e di Tobruk. Evento poco significativo nel caos generale, che potrebbe risultare utile unicamente se accettasse di essere complementare agli sforzi del nuovo mediatore Martin Kobler. Ma davanti ai troppi buchi nell’acqua diplomatici si vanno facendo strada due urgenze che verosimilmente avranno il loro peso nell’incontro di Roma. Primo, non si può mediare all’infinito rimanendo ostaggi della frammentazione libica. Secondo, il rafforzamento della testa di ponte dell’Isis a Sirte (destinata a crescere ancora se prenderà corpo un attacco a Raqqa, e già in espansione verso i campi petroliferi) pone problemi di sicurezza immediati, e particolarmente acuti per l’Italia e l’Europa se viene preso in conto anche il flusso dei migranti. Il vertice, presieduto da Italia, Usa e Onu, cercherà di dare un "impulso decisivo" alla mediazione di Kobler. Sapendo però che se nulla cambierà a Tripoli e a Tobruk si dovrà fare un accordo con chi ci sta, per varare poi una risoluzione dell’Onu sulla stabilizzazione del Paese. In che modo? Lo strumento militare non è il preferito ma non è nemmeno escluso, i nostri alleati si stanno discretamente preparando, e l’Italia, se così andranno le cose, dovrà fare le sue scelte. Quei bambini uccisi dal sogno di una vita lontano dalla guerra di Khaled Hosseini* La Repubblica, 10 dicembre 2015 Altri 7 piccoli tra gli 11 annegati nelle ultime ore davanti alle coste greche. La fondazione Migrantes: "Settecento i bimbi morti nel Mediterraneo nel 2015". Una conseguenza degli atroci attentati terroristici che hanno dilaniato Parigi è stata una spaventosa retorica negativa nei confronti dei rifugiati. Parte dei media, della politica e della gente, hanno scelto di demonizzare proprio coloro che fuggono per salvarsi dagli stessi terroristi che hanno perpetrato quelle azioni ingiustificabili. Ieri, nel tentativo di raggiungere la Grecia via mare, sono morti altri 7 bambini: figli di persone che per trovare pace in Europa, non hanno potuto far altro che mettere le proprie vite nelle mani dei trafficanti. Come possiamo demonizzare proprio questa gente? Oggi, più che mai, dobbiamo essere solidali con loro e proseguire nella meravigliosa iniziativa cui si è data prova nei mesi scorsi. Nelle vesti di ambasciatore di buona volontà dell’Unhcr, l’Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite, sono stato travolto dal sostegno dato all’organizzazione in Europa, dove l’Unhcr ha messo a disposizione tende, coperte, cibo e altri generi di prima necessità alle famiglie dei rifugiati in questo periodo di emergenza. Ma in futuro, quando le drammatiche immagini spariranno dai nostri televisori, che accadrà? Non devono sparire dalla nostra coscienza. Perché è adesso che inizia il vero lavoro. In media un rifugiato vive infatti in esilio almeno 15 anni, che si trovi in un campo in Giordania, in un insediamento improvvisato in Libano o Tailandia, o che sia dislocato negli Usa o in Europa. Periodi lunghi: per questo dobbiamo impegnarci affinché i rifugiati diventino membri produttivi e collaborativi della nostra società. Il lavoro consisterà nel garantire che abbiano accesso all’istruzione e alla formazione professionale. È nell’interesse di tutti. Troppo spesso i rifugiati sono considerati un peso, ma nella realtà sono membri dinamici della società. Einstein era un rifugiato, come Marlene Dietrich, Madeleine Albright, George Soros, Sigmund Freud, Isabelle Allende, per citarne soltanto alcuni. Vi sono però milioni di sconosciuti non meno eroici, che lavorano tranquilli, pur in circostanze difficili e pericolose. Come Aqeela Asifi, alla quale l’Unhcr quest’anno assegna il Nansen Refugee Award a riconoscimento del suo impegno eccezionale. Nel 1992, a 26 anni, Asifi scappo’ da Kabul, in Afghanistan, insieme al marito e ai figli piccoli, approdando nel campo profughi di Kot Chandana in Pakistan. Pensava di fermarsi solo pochi mesi. Perché nel fuggire dal proprio paese ci si concentra sull’immediato, si vogliono proteggere i figli e trovare un riparo sicuro. Si pensa a sopravvivere. Ci vuole tempo per elaborare il fatto che tornare a casa è un sogno remoto; che la vita deve ripartire da zero. Quando questo si accetta subentra un cambiamento: si passa alla resilienza che si accompagna alla determinazione a crearsi una nuova vita. Essendo un’insegnante, Asifi non voleva lasciare i suoi figli e altri bambini senza istruzione. Dopo aver ottenuto il sostegno degli anziani del villaggio convinse i genitori riluttanti a permetterle di diventare la maestra delle loro figlie. Così, con 20 alunne, una tenda, testi scritti a mano su comuni fogli di carta e una fiera determinazione, avviò una scuola. Quella piccola scuola ha prosperato e ricevuto finanziamenti dal governo pachistano: si è allargata a sei tende iniziando ad accogliere anche le bambine pachistane. Oggi è un edificio vero: dove Asifi ha trasformato la vita di oltre mille bambine e incoraggiato l’apertura di altre 6 scuole, che accolgono altri 1500 bambini e bambine. Sono uno scrittore e credo più nella forza delle parole che in quella dei numeri. Ma qui, ai margini della favola di Asifi, sono vergate cifre che non possiamo ignorare. L’Unhcr sa che gli afgani colti hanno tre volte di più la possibilità un domani di tornare a casa. L’istruzione, invece di incatenare i rifugiati al Pakistan, è stato il fattore che ha spinto la gente a tornare in Afghanistan. L’istruzione tutela i figli dei rifugiati dall’analfabetismo, dai maltrattamenti, dallo sfruttamento e dal lavoro minorile, dai matrimoni precoci forzati, dal reclutamento dei gruppi armati. L’istruzione offre un percorso per uscire dalla povertà, competenze per costruire per sé e per la loro patria un futuro stabile e prospero. Nel mondo oltre il 50% dei rifugiati è formato da bambini. Eppure, solo uno su due frequenta le elementari. E solo un adolescente su quattro ha un’istruzione scolastica superiore. Per questo mi auguro che quando i riflettori sulla crisi si spegneranno la buona volontà nei confronti dei rifugiati resti forte. Spero che ci ricorderemo che non hanno bisogno di aiuto solo in emergenza ma della speranza di un futuro, come tutti noi. Spero che ricorderemo che i rifugiati lasciano contributi importanti e duraturi nei paesi che li ospitano. E che investire nel loro futuro significa investire anche nel nostro. *Khaled Hosseini è Ambasciatore di buona volontà dell’Unhcr, l’Agenzia per i rifugiati dell’Onu. Traduzione di Anna Bissanti Il sogno infranto di Sajida e dei 6 afgani bimbi morti in mare ai confini dell’Europa di Giampaolo Cadalanu La Repubblica, 10 dicembre 2015 Due naufragi al largo della Turchia. A settembre la foto di Alan suscitò lacrime e sdegno, ma da allora sono almeno altri cento i piccoli annegati. La Ue sanziona l’Italia: "Non registra le impronte digitali". È il futuro dell’umanità quello che annega davanti alla porta dell’Europa: piccoli esseri umani che si erano affacciati alla vita da poco, e che la vita devono abbandonare senza sapere perché. Sette bambini sono morti fra la notte di lunedì e ieri: sei di loro erano arrivati dall’Afghanistan, in fuga dalla guerra. Il settimo corpo restituito dal mare appartiene a una bambina siriana di cinque anni, identificata come. I sacrifici necessari a una famiglia afgana per raggiungere il Mediterraneo possono solo essere immaginati, e simile è la sofferenza di una famiglia siriana. Ma non sempre bastano per realizzare il sogno di una vita accettabile, lontano dalle bombe e dagli sgozzatori. I sette bambini sono stati ritrovati fra le onde al largo di Cesme, nella provincia turca di Smirne. Dopo il naufragio del barcone degli afgani, racconta l’agenzia Anadolu, la guardia costiera è riuscita a soccorrere solo cinque migranti, almeno altri due sono ancora dispersi. Fra i salvati c’è anche un ragazzino di dodici anni: di lui il mare ha avuto pietà. Un’altra barca, partita dal Sahara occidentale, si è rovesciata al largo delle Canarie: almeno undici africani sono morti. La tragedia va avanti. A settembre le immagini del piccolo Alan Kurdi finito sulla spiaggia di Bodrum hanno suscitato sdegno e lacrime, ma lo sdegno si è consumato e le lacrime sono già asciutte. Da allora sono almeno un centinaio i bambini annegati al largo della Grecia o dell’Italia. Le soluzioni politiche non si trovano: non c’è accordo in Europa, e la brutta stagione è in arrivo. Ieri Laura Boldrini, presidente della Camera, ha ribadito agli europarlamentari italiani che "serve un corridoio umanitario, o questo inverno conteremo i morti". Intanto la Commissione europea accusa l’Italia e i paesi mediterranei di non adempiere all’obbligo di schedatura: su 140 mila migranti raccolti dalle autorità italiane, almeno 40 mila hanno rifiutato di farsi identificare con le impronte digitali. La stessa infrazione è rimproverata anche a Grecia, Croazia e Malta, la procedura d’infrazione potrebbe essere aperta giovedì. La strage degli innocenti avviene davanti alle porte chiuse dell’Europa: sono almeno 700, secondo i conti della "Fondazione Migrantes", i bambini annegati nel Mediterraneo durante il 2015 mentre cercavano di raggiungere la Terra promessa, quella dove la guerra e i suoi orrori non avrebbero potuto toccarli. Monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione, parla di "strage silenziosa" e sottolinea che quest’anno sono già oltre 3.200 i morti, più del doppio dell’anno passato. Anche ieri un barcone partito dalla Turchia si è rovesciato nell’Egeo, al largo della piccola isola greca di Farmakonisi. Undici persone (fra cui cinque bambini) sono morte al largo delle coste greche. "L’Europa trova risorse per bombardare, ma non per salvare vittime innocenti", accusa il monsignore: "L’operazione Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’italiana Mare Nostrum: una vergogna che pesa sulla coscienza europea". Mentre Berlino introduce una carta di identità per i profughi, Angelino Alfano, ministro dell’Interno, respinge le critiche all’Italia: "Altro che procedura di infrazione, l’Europa deve solo dirci grazie". Arabia Saudita: tra le donne che sfidano i divieti "il voto non ci basta, vogliamo libertà" di Francesca Caferri La Repubblica, 10 dicembre 2015 Nelle strade di Riad le immagini del triumvirato che da poco meno di un anno governa il paese sono onnipresenti. Il profilo di re Salman, dell’erede al trono Mohammed Bin Nayef e del giovane ministro della Difesa e vice-erede, Mohammed Bin Salman, 30nne figlio del re, è sui muri degli edifici e dei centri commerciali e persino su quelli dei grattacieli in costruzione. Nulla invece, né cartelloni né spot televisivi, annuncia l’appuntamento che l’Arabia Saudita si appresta a vivere: sabato si vota per le elezioni municipali - le uniche nel regno - e per la prima volta le donne saranno ammesse a partecipare, come elettrici e come candidate. "Siamo un paese giovane da questo punto di vista - spiega Sheika al Sudairy - l’idea delle elezioni è ancora nuova. La sfida per chi, come noi, ha cercato di sensibilizzare sull’appuntamento, è stata ardua". Al Sudairy fa parte di Al Nahda, un’organizzazione che da anni segue le donne degli strati più poveri. Nei suoi uffici sono concentrati i cartelloni che altrove non si vedono: spiegano come registrarsi, votare e a cosa servono i consigli municipali. Difficile per ora dire quanto il lavoro dell’associazione abbia dato frutti. Il dato più scoraggiante è quello sulla partecipazione: dei 10 milioni di sauditi, solo 600mila si sono registrati per votare. Quello più incoraggiante quello sui candidati: le donne sono 900 su un totale di 6.000, un dato che supera ogni più rosea previsione. "Vedere tante donne in prima linea è un grande successo", commenta Nora al Sowayan. Nora è una delle pioniere dell’attivismo locale: nel 1990, quando per la prima volta 47 donne si misero al volante per protestare contro il divieto di guida (l’Arabia Saudita è l’unico paese al mondo che non consente alle donne di condurre l’auto) era fra loro. E come le sue compagne ne pagò le conseguenze: i loro nomi, numeri e indirizzi vennero resi pubblici, nelle moschee più conservatrici furono additate come prostitute, per anni a molte di loro fu proibito lasciare il paese. Da allora ha visto accadere troppe cose per farsi illusioni: "Sappiamo molto bene che le questioni aperte sono tante e che il voto delle elezioni municipali può sembrare una cosa minore: ma è un passo avanti e vogliamo approfittarne", dice. Sulla carta il ragionamento appare inattaccabile, eppure il movimento delle donne a questo appuntamento si presenta spaccato: se alcuni dei nomi più noti, come Nora, si stanno spendendo dietro le quinte e le blogger più note sono il cuore della prepotente campagna sui social che molte candidate hanno lanciato (e che potrebbe rivelarsi importantissima in un paese dove la propaganda è ostacolata dalla rigide norme sulla segregazione e dove Twitter ha la più alta penetrazione al mondo pro-capite), molte altre hanno scelto la strada del boicottaggio. "Non mi interessa prendere parte alla campagna pubblicitaria a favore dei media occidentali organizzata dal governo", dice una nota imprenditrice di Riad. "Non puoi dare alla gente marron glacés se non ha il pane. Vogliamo diritti veri per le donne, l’eliminazione del sistema del guardiano che per tutta la vita ci mette sotto la tutela di un uomo, la possibilità di viaggiare e di accedere da sole a servizi come scuola e sanità. E vogliamo il rispetto dei diritti per tutti: la libertà di parlare e di esercitare il diritto di critica. Solo allora ci importerà di votare per chi decide sugli appalti delle strade o della spazzatura". La prudenza della donna è giustificata: lo scorso anno la licenza della sua attività è stata revocata con una scusa. E anche in questa occasione le voci più critiche, come la sua, non sono le benvenute: negli ultimi giorni dalle liste sono stati eliminati senza spiegazioni i nomi delle attiviste con una storia di critiche delle politiche governative. Fra loro, quella di Loujain Alhathoul, incarcerata per 72 giorni per aver osato guidare la macchina. "Il governo vive un momento molto delicato: è naturale che cerchi in ogni maniera di preservarsi", spiega Paul Aarts, autore del recentissimo "Saudi Arabia: a kingdom in peril". In effetti in questi mesi le minacce alle porte del regno sembrano essersi moltiplicate: la guerra in Yemen, affidata alle mani del giovane Mohammed Bin Salman sembra essersi impantanata in una sanguinosa (e costosa) campagna che qualcuno inizia a definire "il nostro Vietnam", la discesa dei prezzi del petrolio sta mettendo in crisi le casse dello Stato, l’arci-nemico Iran ha guadagnato un posto di tutto rispetto al tavolo delle potenze mondiali e la minaccia dell’Is si fa sempre più pressante. Tredici, con 67 morti, sono stati gli attentati da inizio anno, secondo il ministero dell’Interno. E quello delle donne è un terreno fertile di propaganda per lo Stato Islamico: qualche mese fa, emerse un documento dell’Is indirizzato specificamente alle saudite in cui le si invitava a unirsi al Califfato contro un governo definito "empio". A tutto questo si aggiunge l’avvento di una nuova leadership e la tensione crescente con il resto del mondo sui temi dei diritti umani e del sostegno all’estremismo. Sarà per questo che i dilemmi elettorali non sembrano aver scosso gli animi dei sauditi, intenti come sempre a fare shopping nei grandi mall o a interrogarsi su questioni proibite in cene a porte chiuse: ai tavoli nei ristoranti la sera si parla di guerra, economia e tensioni al vertice della Casa Reale. Su questo sfondo il voto alle donne sembra una piccola cosa: solo il tempo saprà dire se invece è un passo avanti importante per uno dei paesi chiave dello scacchiere internazionale. Mauritania: Ong per i diritti umani denuncia stato delle carceri del paese Nova, 10 dicembre 2015 Il Consiglio mauritano per i diritti umani, un’organizzazione non governativa, ha denunciato lo stato di carenza di igiene in cui versano le carceri della Mauritania. Secondo quanto si legge in un rapporto pubblicato dall’agenzia di stampa mauritana "Ani", in particolare si denuncia la carenza di igiene e la mancanza di strutture sanitarie all’interno dei centri di detenzione del paese africano. Nel rapporto annuale l’Ong parla delle visite condotte nelle carceri descrivendo lo stato di sofferenza in cui versano i detenuti, in particolare nelle sezioni femminili. L’Ong chiede per questo motivo al governo di finanziare un programma di ristrutturazione delle carceri del paese.