Giustizia: Migliucci (Ucpi); pm e giornalisti distruggono il processo per compiacere l'Anm di Enrico Novi Il Garantista, 5 aprile 2015 "È tornato il metodo inquisitorio, ma senza garanzie". Beniamino Migliucci, Presidente dell'Unione Camere Penali, spiega come ormai tutto avvenga al di fuori dal Codice di procedura. Ma a che processo andiamo incontro? Ma siamo sicuri che vige ancora la riforma del processo accusatorio, quella introdotta nel 1988? O non siamo già tornati all'inquisitorio, a quel tipo di sistema processuale che potremmo chiamare inquisitorio inconscio?". Il presidente dei penalisti Beniamino Migliucci mette insieme tutta la raffica di forzature, legislative e non, che hanno bombardato la giustizia in questi ultimi giorni: l'allungamento smisurato dei tempi di prescrizione, la divulgazione delle intercettazioni anche quando non sono rilevanti ai fini di prova e col chiaro scopo di influenzare sia l'opinione pubblica sia il magistrato che giudica, l'assoluta mancanza di controllo sui modi in cui le Procure gestiscono i tempi delle indagini. Miscelare tutto. E servire freddo, su un piatto d'argento. Ai pm, naturalmente. Che diventano sempre più arbitri della giustizia, di quella che viene inflitta ai comuni mortali, ai cittadini, non solo delle inchieste che colpiscono i politici. Insomma, il vertice dell'Unione Camere penali non ha esitazioni nel denunciare la svolta negativa, e incomprensibile, che il governo ha assunto su reati, pene e potere delle toghe. Dopo aver assecondato le pretese giustizialiste, avanzate direttamente dall'Associazione magistrati, su allungamento della prescrizione, falso in bilancio e aumenti di pena, forse resta un ultimo baluardo da difendere: i tempi delle indagini preliminari. Oggi quello è il campo in cui si registra l'arbitrio incontrastato dei pubblici ministeri. Se la politica non ne vuole fare dei tiranni, dovrebbe almeno avere uno scatto d'orgoglio e imporre per legge il rispetto dei termini delle indagini. Che ne pensa, presidente Migliucci? "Questo tra l'altro non sarebbe neanche uno scatto orgoglio clamoroso: la proposta del professor Fiorella, avanzata dalla commissione ministeriale da lui presieduta, prevedeva appunto che vi fossero dei termini anche per le indagini. Noi siamo abituati a indagini troppo lunghe, i cui termini sono ordinatori, o canzonatori, come dico spesso. Dovrebbero diventare termini veri". Anche in altri Paesi il titolare dell'accusa ha questa libertà? "In certi Paesi se tu non riesci a fare nei tempi concessi delle indagini che ti consentano di esercitare l'azione penale, l'azione stessa si estingue, non si procede oltre". E adesso il governo che legge dovrebbe proporre? "Segua proprio le indicazioni della commissione governativa. Il professor Fiorella le ha ribadite al convegno che l'Unione Camere penali ha organizzato martedì scorso: se si ritiene di intervenire sulla prescrizione con delle sospensioni che la allungano, si deve però rendere certi i tempi delle indagini. E, anche per replicare alla classica obiezione dell'Anm secondo cui alcune indagini sono particolarmente complicate e richiedono più tempo, io aggiungerei: proprio per questo già abbiamo proroghe di 6,12 o 18 mesi, per fare in modo che il tempo sia adeguato. Vogliamo raddoppiare? Raddoppiamo. Però poi basta". Altra obiezione della magistratura associata: la prescrizione per i reati di corruzione deve essere estesa perché spesso la notizia arriva in ritardo. "Questo è anche il modo in cui si difendono dal rilievo, che noi spesso facciamo, sul fatto che il 70 per cento delle prescrizioni interviene nel corso delle indagini. Ma la tesi per cui le notizie di certi reati arrivano dopo un tempo eccessivamente lungo, in modo da avvicinare subito la prescrizione, che decorre a partire dal giorno in cui il reato viene commesso, bè, questa teoria è senza dimostrazione. Dovrebbero essere realizzate delle statistiche. Facciamole". Anche perché i pm chiedono pure di far decorrere la prescrizione dalla data in cui loro stessi iscrivono la notizia di reato. "Appunto, a maggior ragione andrebbe dimostrato con i dati se esiste davvero questa necessità. Piuttosto, quello che andrebbe fatto subito è assicurare proprio la correttezza dell'iscrizione della notizia di reato: un giudice dovrebbe controllarla e, se scopre che l'iscrizione in realtà è stata retrodatata, dovrebbe annullare tutti gli atti successivi assunti dal pm, fino alla data a cui si può realmente associare l'iscrizione della notizia". È il meraviglioso regno del pubblico ministero, bellezza... "Che con questa riforma della prescrizione diventa un regno sconfinato: tutto questo tempo in più andrà in parte ad allungare ancor di più il tempo in cui l'indagato resta schiacciato dall'inchiesta. Ma anche le sospensioni dopo le eventuali condanne in primo e secondo grado costituiscono un colpo durissimo ai diritti di chi è sotto processo, che spesso è sottoposto a sequestri preventivi. I danni possono diventare irreparabili, se il sequestro si protrae. E diventa anche più difficile per il giudice eliminare un precedente errore di valutazione. È come per la custodia cautelare, che inconsciamente può portare chi deve pronunciare la sentenza al seguente percorso mentale: se stabilisco che l'imputato è innocente, affermo anche che la custodia cautelare ha rappresentato un pregiudizio gravissimo in quanto ingiusto, a questo punto meglio non far emergere questo abominio. Ecco, le mirabilie di questa nuova prescrizione produrranno anche paradossi del genere". Il governo attenuerà la legge uscita dalla Camera. "Vedremo, certo non è rassicurante il discorso che ho sentito fare in questi ultimi tempi: visto che non è possibile rendere brevi i tempi del processo, allora allunghiamoli, se no finiscono senza condanna". Che senso ha questa linea? "Risponde alla logica del consenso. La prescrizione ha una sua dignità che è incontestabile, anche perché a cosa serve una condanna che arriva a 20 anni da un fatto? Certo non produce un effetto di deterrenza. Beccaria sosteneva: la soluzione deve essere vicina al fatto, altrimenti non dispiega i suoi effetti. Oltre che dall'articolo 111 della Costituzione, che imporrebbe la ragionevole durata del processo, ci allontaniamo anche dall'articolo 27: dopo vent'anni non sono forse una persona totalmente diversa? Ma forse tutto questo tempo infinito crea un problema ancora più grave". Quale? "Ci stiamo allontanando dal processo accusatorio. Quando nasce il nuovo Codice, si prevede che le indagini siano brevi, perché la prova deve formarsi in dibattimento, in contraddittorio tra le parti. Ma se passano 4, 5 o 6 anni dall'inizio delle indagini si ritorna di fatto all'inquisitorio. Dopo tanto tempo il testimone che ricorda? È chiaro che in quelle condizioni il pm gli può contestare anche la virgola, e il testimone nel dubbio di una memoria rarefatta non corre rischi e si adegua alla verità che l'accusa pretende di fargli sostenere. Si sta affermando quel processo che spesso si definisce "inconscio inquisitorio". Ma non è che tutta questa sterzata giustizialista è la compensazione per aver leso la maestà dei giudici con la responsabilità civile? "Mettiamola così: la politica in generale fa fatica a smarcarsi da quello che la magistratura associata propone, pare doversi giustificare in ogni occasione. Quando si discuteva della responsabilità civile l'Anm diceva: ci sono ben altri problemi, a cominciare dalla prescrizione. E allora la politica insegue i tempi che vengono dettati dalla magistratura, e rincorre anche 1'opinione pubblica. La politica non si è ancora affrancata totalmente dalla necessità di giustificarsi nei confronti della magistratura. Deve poter dire: questa norma piace anche al dottor Cantone o all'Associazione magistrati". Politica sotto tutela. "È come se l'agenda politica debba essere nella mani della magistratura, che rappresentando il bene sarebbe ontologicamente più vicina ai cittadini". Un mito paralizzante... "Che viene rafforzato dalle inchieste sulla politica, ovviamente, anzi dalle notizie che non costituiscono reato ma colpiscono l'immagine dei politici: da Lupi a D'Alema. In questo modo si è sempre più costretti a chiedere il permesso ai magistrati, prima di fare le leggi. La politica ha dato troppe deleghe alla magistratura, sulla corruzione, sulla mafia. Questa delega si è irrobustita, anzi è stata blindata dal rapporto diretto tra Procure e stampa". Il potere dei pm aumenta grazie al gioco di sponda con i giornalisti. "Certo. E dovremmo essere molto chiari, anche a proposito delle intercettazioni, su chi deve essere tutelato: non solo le persone non indagate, ma gli stessi indagati. E, in ultima analisi bisogna tutelare il processo". E come si fa? "Vogliamo parlare di come viene colpito l'indagato con la diffusione di intercettazioni che non hanno valore ai fini di prova, ma servono a effondere attorno a lui un alone negativo? Ci vogliamo rendere conto che il condizionamento non solo pregiudica il giudizio che l'opinione pubblica può maturare su un certo esponente politico, ma la stessa idea che il giudice finisce per farsi dell'imputato prima ancora che inizi il processo". Cosa intende dire, presidente Migliucci? "Torno sempre alla distruzione del processo accusatorio introdotto con la riforma del Codice. Quel modello prevedrebbe anche la verginità cognitiva del giudice. Il quale deve valutare le prove solo nel processo, in una condizione di parità tra accusa e difesa, secondo il principio dell'oralità della formazione della prova che richiede appunto la verginità cognitiva del giudice. Se quest'ultimo si è già fatto un'idea attraverso le intercettazioni, che si fa a fare il processo?". Il nodo è tutto nella diffusione delle intercettazioni. "Gratteri propone il reato di pubblicazione: il problema è chi dà le intrercettazioni ai giornalisti. E poi le norme del codice che imporrebbero il segreto esistono già. Invece di dire mettiamo in carcere i giornalisti, rendiamo effettive quelle norme. Gratteri dichiara implicitamente che oggi effettive non lo sono affatto". Un esempio? "L'articolo 269 del Codice di procedura penale, che esprime un concetto molto forte: quando la documentazione non è necessaria per il procedimento andrebbe distrutta. Ora, se quella documentazione, quei brogliacci, sono usciti dall'ufficio, qual è la sanzione? Mi verrebbe da suggerire una provocazione". Siamo qui apposta. "Nel disegno di legge anticorruzione è stata introdotta la diminuzione della pena per chi dà un contributo alle indagini. Perché non introduciamo un premio al giornalista che dice chi gli ha dato le intercettazioni? Ne vedremmo delle belle". Giustizia: lo sdegno internazionale su come usiamo le intercettazioni di Giuseppe Gargani Il Garantista, 5 aprile 2015 In occasione di vari convegni giuridici tenuti a Bruxelles o in altre località le domande ricorrenti degli esperti non italiani sono sempre state: come è possibile che il Parlamento italiano sia senza iniziative di fronte alla pubblicazione di parti importanti del processo penale riservate o non, e di parti non rilevanti che hanno il solo scopo di mettere in cattiva luce le personalità interessate; e poi, come è possibile che una volta stabilità l'obbligatorietà dell'azione penale si lasci alla discrezionalità del magistrato decidere quale indagini portare avanti. Alla seconda domanda risponderò in altra occasione; per adesso mi limito a dire come rispondevo in quei convegni ai professori che mi interrogavano. Il codice di procedura penale dell'89 ha modificato profondamente la vecchia normativa e ha disciplinato un processo "orale" (si diceva così in quegli anni) con un confronto snello per la rapidità della decisione. Tutti gli addetti ai lavori sanno come è stata "oltraggiata" quella normativa e come ci si è trovati in una situazione peggiore rispetto alla vecchia procedura. Anche per interventi della Corte Costituzionale il processo si è profondamente modificato e ha perduto la "trasparenza" e la rapidità che erano le caratteristiche principali volute dal legislatore. In quegli anni la classe dirigente politica, e in particolare quella di sinistra (in quel periodo la definizione era appropriata!) ha alimentato e incentivato un comportamento della magistratura e della stampa che in sostanziale accordo hanno voluto celebrare i processi ai partiti della maggioranza di Governo per ottenere sul piano giudiziario quello che non si riusciva ad ottenere sul piano elettorale. In quel periodo la magistratura non ha perseguito i singoli reati ma ha contestato il "sistema" nel suo insieme responsabile della devianza e della corruzione. Tutto quello che è avvenuto negli anni di Tangentopoli è noto ma forse non è stata ancora scritta una storia meticolosa e precisa. Se bisogna condannare moralmente le modalità con le quali l'amministrazione pubblica organizza il lavoro al suo interno e prende le sue decisioni, è inevitabile che qualunque documento, qualunque parte del processo e quindi qualunque colloquio intercettato deve essere reso pubblico. Solo attraverso l'indagine penale si può venire a conoscenza di tutto quello che avviene all'interno dell'amministrazione e della governance e tutto debba essere noto ai cittadini. E dunque la funzione del magistrato non è solo quella rigorosamente giuridica di applicare il diritto ma quella di far giustizia: una sorta di funzione etica per "garantire la legalità". È per questa ragione che in quegli anni si è avuta una mutazione della funzione del magistrato, di cui non si avvedono certamente gli interessati, ma, debbo dire, neppure una parte della cultura giuridica del nostro Paese. Il giudice non è più la "bocca della legge" ma è un protagonista della lotta sociale perché egli "lotta" contro la mafia, "lotta" contro la corruzione, "lotta" contro tutte le devianze. La Costituzione non voleva un giudice di "lotta" ma un giudice indipendente, terzo che rendesse certa la sanzione e sicura la "repressione della illegalità". Negli anni 90, come presidente della Commissione giustizia alla Camera dei deputati ho proposto soluzioni precise per regolare la fase iniziale delle indagini, l'avviso di garanzia, la riservatezza degli atti e la possibile pubblicazione degli stessi, regole precise per la stampa, ma fui travolto dalla grande emotività dell'opinione pubblica assetata di notizie e di pettegolezzi che voleva la morte dei partiti considerati il male assoluto. Il Pei ha grande responsabilità nell'aver contribuito a determinare questa situazione e, aggiungo, non ha modificato neppure ora il suo comportamento perché non si è mai chiesto come mai nel 1994 dopo la tremenda esperienza di Tangentopoli vinse Silvio Berlusconi e non Achille Occhetto. Aggiungo ancora che gli eredi di quel gruppo dirigente comunista (alludo ai renziani) non sanno far di meglio che aumentare le pene per i reati di corruzione senza mettere mano ad una riforma che risponda ad una strategia culturale e giuridica. Ora si accenna timidamente ad una legge che possa regolare l'uso delle intercettazioni che certamente non si farà, ma che non serve di fronte a comportamenti diffusi che ahimè! non determinano sanzioni. Infatti oggi la legge c'è e le sanzioni sono previste ma non utilizzate. Orbene, dopo questa premessa, come non dare solidarietà a Massimo D'Alema (come l'ho data inutilmente a Maurizio Lupi il quale non ha ascoltato il mio pressante consiglio di non dimettersi) il quale si dichiara indignato ma senza riuscire a rendersi conto dell'andazzo ineluttabile che si è determinato. D'Alema sa che per una sua dichiarazione fu oggetto di indagine per la quale la magistratura di Milano con insistenza chiedeva di continuare nelle indagini. Ero allora Presidente della Commissione giuridica del Parlamento Europeo e da relatore chiesi di "proteggere" l'immunità del deputato europeo D'Alema e la Commissione all'unanimità votò a favore per evitare che, su cose irrilevanti, la magistratura italiana si accanisse. Ora D'Alema chiede una legge per proteggere dalle intercettazioni indiscriminate chi non ha un avviso di garanzia. Intanto le garanzie debbono essere date anche a chi ha un avviso di garanzia che, come sappiamo, serve appunto a "garantire" quindi è a favore del probabile futuro imputato. Certo chi non ha neppure l'avviso per la sua garanzia deve essere tutelato di più: non c'è dubbio. La civiltà giuridica, se è maturata nella coscienza di tutti, dovrebbe garantire tutti e Giuseppe Orsi della Finmeccanica per fare un solo esempio, ancora agli onori della cronaca, non è stato garantito quando era indagato, né ora essendo stato assolto! Le notizie della stampa sono state minime e ricordo che nel ‘92 proposi che in caso di assoluzione di un imputato lo spazio della stampa dovesse essere uguale a quello dedicato quando era stato ritenuto colpevole! In genere solo un accanito lettore di giornali riesce a trovare la notizia "favorevole" all'imputato perché relegata in pagine interne! Orbene le intercettazioni telefoniche o di altro tipo a "strascico", indiscriminate portano ad un "populismo penale" come è stato detto, rispetto al quale tutta la classe dirigente dovrebbe reagire se fosse desiderosa del bene di tutti e del bene della giustizia. Ma la miopia dei politici porta ad essere rigorosi quando la questione riguarda altri, dimenticando che c'è una regola ferrea e antica: chi semina vento raccoglie tempesta. Le risposte più adeguate a questa questione le ha date un magistrato (un magistrato non un politico) illuminato e "sereno" Carlo Nordio, che ha scritto che le intercettazioni non sono "prova" ma "un mezzo di ricerca della prova" come prevede il codice, che "la libertà di stampa non c'entra nulla, perché il giornalista non scrive quello che sceglie lui ma quello che gli altri gli fanno scrivere"; che le intercettazioni sono pericolose per "i terzi ignari e sprovvisti di difesa"; e, cosa più importante, che le indagini serie non si fanno con le intercettazioni. Carlo Nordio in sostanza dice che anche con le leggi attuali, sia pure contraddittorie, si può trovare un punto di equilibrio tra la riservatezza delle indagini e la pubblicità necessaria, tra le intercettazioni telefoniche e il significato da dare alle stesse. La conclusione è dunque che non si tratta di leggi da emanare, ma è opportuno ricercare equilibrio e buon senso, professionalità e serenità di chi ha il compito tremendo di ricerca delle verità e di chi ha il compito di dare notizie al pubblico. Il legislatore dovrebbe prendere atto, per avviare davvero una grande riforma, che il giudice in questa società profondamente modificata ha un ruolo diverso da quello che fu immaginato dai Costituenti nel 1948 e che la giurisdizione ha un valore diverso e più importante: è dunque urgente individuare regole, binari precisi per l'azione dei magistrati, per renderli più responsabili e al tempo stesso più credibili, e più "popolari", perché bisogna tener conto della sete di giustizia del cittadino dando risposte non emotive ma corroborate dalla norma giuridica, dal diritto. Giustizia: sul terrorismo un decreto legge da ripensare di Giovanna De Minico Il Sole 24 Ore, 5 aprile 2015 In molti punti le nuove disposizioni entrano in conflitto con regole comunitarie e costituzionali. E al Senato il disegno di legge di conversione del decreto legge sul terrorismo. Esso fa riflettere le persone comuni, non solo i giuristi, sulla misura di equilibrata coesistenza tra la prevenzione efficace dal terrorismo e la difesa effettiva delle libertà fondamentali. Tre i suoi terreni di intervento. Il decreto introduce nuove figure delittuose, tra le quali, l'auto-addestramento del terrorista o i viaggi con finalità terroristiche, e aggrava quelle esistenti se commesse in rete. Nel disegnare il diritto penale di internet, il legislatore trascura i principi costituzionali della tassatività e materialità della condotta. Il decreto, infatti, non tipizza in maniera sufficientemente puntuale il comportamento vietato al futuro reo, né accerta la pericolosità concreta della condotta nel punire il tentativo del reato di pericolo. Con l'aberrazione giuridica del reato di pericolo al quadrato viola la Costituzione che vieta di punire l'intenzione criminosa priva di una sua concreta materialità. Secondo terreno di intervento: il decreto ripropone parzialmente le black-list, già previste nella legge sulla pedopornografia. Questi elenchi di siti in odore di terrorismo, compilati dalla polizia, sono poi verificati dal giudice e infine trasmessi agli operatori di rete per rimuovere i contenuti illeciti o bloccare i siti sospetti. Il decreto qui aggredisce le libertà fondamentali con misure pesanti, quali la pulizia o l'inaccessibilità del sito, senza chiarire i poteri del giudice sulla lista. Si dovrà limitare a girarla agli internet service provider o la potrà modificare? Le misure si mostrano al tempo stesso deboli perché non distruggono il contenuto illecito ovunque disseminato nel web, ma solo quello del sito, né colpiscono i terroristi solitari, difficilmente presenti nelle liste. Terzo terreno di intervento: il decreto deroga vistosamente al codice della privacy in modo da favorire la raccolta dei dati da parte delle forze dell'ordine al fine di accertare i reati. Qui si scavalcano disinvoltamente tutte le garanzie a tutela dei dati personali per consentire alla polizia di trattare con leggerezza la vita privata a prescindere dal tipo di reato, dal fondato sospetto e da ogni delimitazione temporale. Ancora rimanendo in tema di privacy il decreto obbliga le Telco e gli operatori di internet a detenere i dati estrinseci delle conversazioni e navigazioni per 24 mesi al fine di indagare su qualsivoglia reato, nei confronti di chiunque e indipendentemente dal sospetto di un crimine. Vediamone le conseguenze sugli ordinamenti nazionale ed europeo. Quanto all'ordinamento italiano, il decreto viola, oltre ai già ricordati principi di tassatività e materialità del diritto penale, anche quello di precauzionalità. Quest'ultimo, che si impone a ogni law of fear, terminologia cara a Cari Sunstein, richiede una cosa molto precisa: quando il legislatore bilancia grandezze costituzionali ineguali - il danno sicuro e attuale alle libertà fondamentali con il vantaggio futuro e ipotetico al bene sicurezza - deve procurare un maggiore vantaggio al secondo. Ne consegue che il rischio alla sicurezza deve essere un pericolo comprovabile, non presunto, condizione quest'ultima, preferita invece dal decreto. Inoltre, il legislatore dovrebbe ricorrere alla regolazione a termine, che comprime i diritti entro uno spazio di tempo definito. Ma neanche questo accorgimento è stato seguito. Quanto all'ordinamento comunitario, attento al principio della proporzionalità tra diritti compressi e diritti espansi, esso è stato disatteso, non solo nelle norme, ma anche nei giudicati della sua Corte. E come in un contrappasso dantesco il decreto infatti riscrive una norma del codice privacy (articolo 132) estendendo il tempo di detenzione dei dati da parte delle Telco, li dove i giudici europei per una detenzione entro tempi ben più limitati non avevano esitato ad annullare la direttiva "data detention" in vista di quella proporzionalità tra costi e benefici da rispettare. Auguriamoci che il Senato osservi il suo compito di camera di ripensamento e mediti sul da farsi in difesa di entrambi gli ordinamenti, la cui violazione sarebbe più che un rischio una concreta certezza. Giustizia: web, diritto all'oblio rafforzato, sì rimozione snippet frutto della ricerca online di Antonio Ciccia Italia Oggi, 5 aprile 2015 Giudici Ue e autorità per la protezione dei dati disegnano i confini di tutela delle persone Web reputation tutelata anche sui motori di ricerca di internet. L'interessato ha il diritto di chiedere a Google, e in generale a tutti i gestori di motori di ricerca, la rimozione dei risultati, che vengono elencati, a volte innumerevoli, al solo digitare i dati identificativi, anche parziali, di un interessato. O almeno di eliminare lo snippet, quelle brevi righe a corredo del risultato della ricerca, a volte esplicative, a volte fuorvianti, molto spesso incomprensibili. Può calare, dunque, il sipario sulla visibilità virtuale sulla rete. La diffusione di dati è, molto spesso, inconsapevole e non controllabile dall'interessato che si vede esposto alle ricerche altrui. Anzi il meccanismo delle ricerche, per cui, ad esempio le voci più cliccate emergono in bella evidenza, rischia di travolgere il diritto riconosciuto a ciascuno di avere il controllo delle informazioni sul proprio conto. E se le informazioni sono negative o percepite come tali, il passaparola in rete ha velocità tanto incommensurabile, quanto incalcolabile può essere il pregiudizio derivante dalla colposa cattiva interpretazione o dalla manipolazione e mistificazione dolosa di chi rilancia l'informazione aggiungendo o togliendo qualcosa, elaborando nuove informazioni non conformi al dato di realtà iniziale (effettiva, non virtuale). Il meccanismo, ad esempio, dell'istantaneo click su "mi piace" o del retweet, decontestualizzato da un sistema di responsabilità o anche solo di possibile individuazione del commentatore, è un amplificatore, senza fine e senza fini, della notizia lesiva della reputazione, o perché in sé offensiva o perché semplicemente non pertinente o coerente con l'identità dell'interessato. Questo in un quadro, quello della rete internet, potenzialmente senza confini e senza limiti di spazio: una ricerca può essere effettuata in qualunque luogo, in cui vi sia una connessione, e in qualunque tempo. Tanto che si ha l'impressione che i dati siano conservati in eterno e in ogni luogo. E senza un ordine, ma affastellati come tanti fogli impilati uno sopra l'altro sugli scaffali elettronici. Questa espansione inarrestabile dell'informazione, capace di circolare in rete senza limiti di tempo o di spazio, deve misurarsi con le regole della netiquette e con le regole delle leggi e delle sentenze. I due sistemi, quello del bon ton, che punta all'etica del cybernauta, e quello dell'ordinamento giuridico, che ha nella vigilanza e nelle sanzioni le armi da puntare, tentano di integrarsi e di sostenersi a vicenda. È quello che sta capitando in Europa, sia sul fronte della giurisprudenza, sia sul fronte della legislazione. Sul primo fronte, l'affondo è stato avanzato da una sentenza della Corte di giustizia europea: ha fatto da apripista a una grossa messe di pronunce delle autorità garanti, tra cui anche quella italiana, le quali stanno disegnando i contorni del diritto all'oblio, ormai diritto vivente e non solo chimera raccontata nei convegni specialistici. Sul secondo fronte si deve registrare il lavoro in corso del regolamento europeo sulla privacy, che codifica e irrobustisce il diritto all'oblio, accompagnandolo a quello alla portabilità dei dati personali. La sentenza Ue. L'interessato può chiedere a Google di cancellare i collegamenti risultanti dalle risposte del motore di ricerca, anche quando il documento collegato non viola la privacy. Il principio è stato stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia europea, del 13 maggio 2014, resa nella causa C 131/12, che ha dichiarato Google responsabile della cancellazione dei link, frutto della indicizzazione e memorizzazione delle pagine Internet. Il trattamento di dati, effettuato dal gestore di un motore di ricerca, infatti, può incidere pesantemente sulla privacy: si consideri che qualsiasi utente di internet, può ricostruire la vita di un altro al solo collegare le notizie indicizzate, che senza il motore di ricerca non sarebbe stato possibile avere tutte insieme. Appurato ciò, la Corte ha ritenuto che, in base al diritto europeo, i garanti della privacy possono ordinare al gestore del motore di ricerca di sopprimere, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona. La Corte ha, infatti, osservato al riguardo che anche un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva europea nel caso in cui tali dati risultino inadeguati, non pertinenti o non più pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità per le quali sono stati trattati e al tempo trascorso. Questo anche se le informazioni vengono legittimamente mantenute sul sito web di riferimento. Ovviamente gli interessati possono agire in parallelo per ottenere dagli editori di siti web la cancellazione delle informazioni che le riguardano, ma questa non è una condizione per ottenere la cancellazione dei link da parte di Google. L'unica eccezione al diritto all'oblio si basa sull'interesse pubblico a trovare l'informazione, per ragioni particolari, come, ad esempio, il ruolo ricoperto da una persona nella vita pubblica. Il regolamento Ue. Nel futuro regolamento europeo sulla privacy, attualmente in discussione al parlamento dell'Ue, si dedica un articolo apposito al diritto all'oblio, e cioè al "right to erasure": diritto di cancellazione e di astensione da qualsiasi ulteriore trattamento e di ottenere la cancellazione di link o copie o duplicazione delle informazioni. Il diritto scatterà per i dati eccedenti le finalità del trattamento, alla scadenza del periodo predeterminato di conservazione, in caso di revoca del consenso e per i trattamenti illegittimi. Richiesta di cancellazione da comparare all'interesse pubblico Il diritto all'oblio in Italia ha mosso i primi passi in una pronuncia del Garante del 10 novembre 2004. In quella sede il Garante ha precisato che le notizie negative sul conto delle persone non devono essere indiscriminatamente e sempre essere disponibili su internet tramite i motori di ricerca. L'autorità si è pronunciata su un ricorso di un operatore pubblicitario, accogliendo parzialmente il ricorso di quest'ultimo finalizzato alla eliminazione di notizie relative a sanzioni amministrate ricevute nel 1996. L'interessato si è lamentato del fatto che formulando una ricerca sul suo conto apparisse l'evidenza di quella sanzione. Da qui la richiesta di riconoscimento del diritto di uscire dallo spazio internet, considerato che i documenti ufficiali non hanno più attinenza con l'attualità. Ma è dopo la sentenza Ue che si registra l'impennata dei ricorsi. La newsletter del Garante n. 397 del 22 dicembre 2014 dà notizia di nove provvedimenti. Peraltro, l'autorità della privacy ha esaminato le richieste alla luce dei principi formulati dalla sentenza: i risultati di Google sono un autonomo trattamento di dati; c'è il diritto dell'interessato alla cancellazione; va, però, considerato il diritto di informazione, in base all'interesse pubblico alla conoscenza, in particolare, a seconda del ruolo che riveste l'interessato nella vita pubblica. Quindi in alcuni casi è stata accolta la richiesta di cancellazione e in altri, invece, il link è stato salvato. Bisogna, infatti, valutare di volta in volta vari elementi quali, oltre l'interesse pubblico a conoscere la notizia, il tempo trascorso dall'avvenimento, l'accuratezza della notizia e la rilevanza della stessa nell'ambito professionale di appartenenza. Il Garante italiano ha affrontato nove casi e, in sette vicende, non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo prevalente l'interesse pubblico ad accedere alle informazioni. Si è trattato di vicende processuali troppo recenti e riferiti a processi in corso. In due casi, invece, la richiesta è stata accolta: perché le informazioni erano eccedenti e riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata; perché il contesto era lesivo della dignità. Il Garante ha quindi prescritto a Google di deindicizzare le url illegittime. Una avanzata sul fronte della tutela dell'interessato è emersa con il provvedimento n. 618 del 18 dicembre 2014 (newsletter n. 400 del 31 marzo 2015), con il quale il garante ha stabilito che se un collegamento di Google non può essere rimosso, perché riguarda un fatto recente e di interesse pubblico, si può, però, intervenire sul riassunto automatico a corredo del risultato della ricerca (snippet) e chiederne l'eliminazione: se il sunto risulta fuorviante, in quanto non in linea con la narrazione dei fatti riportati nella fonte evidenziata, allora se ne può chiedere l'eliminazione. Giustizia: Ucpi; chiusura degli Opg, il Governo trovi soluzioni in regioni inadempienti Adnkronos, 5 aprile 2015 Il caso, inoltre, per i penalisti "rappresenta un ulteriore campanello di allarme se si considera che già la Lombardia aveva deciso di trasformare in Rems a vigilanza rafforzata l'Opg di Castiglione delle Stiviere, con un'operazione che assomiglia molto ad un cambio di etichetta, e che il Piemonte e la Liguria avevano deciso di destinare i propri malati a quella struttura. Non vorremmo - ma abbiamo motivo di temerlo - che una riforma di portata storica, grazie a scelte di questo tipo, si trasformasse in un'operazione gattopardesca". Sono molte le Regioni che non ancora sono pronte a rispettare il dettato normativo, nonostante il lunghissimo tempo avuto a disposizione. "Gravissime inadempienze - prosegue la nota -sulla pelle di persone che, invece, avrebbero bisogno di maggiori attenzioni, perché alle loro problematiche spesso si aggiunge l'abbandono da parte delle famiglie". "Chiediamo dunque al Governo - concludono i penalisti - di non ratificare la decisione della Regione Toscana, d'intervenire immediatamente in tutte le Regioni inadempienti e di nominare un commissario ad acta, come previsto dalla legge, per procedere rapidamente all'individuazione di soluzioni alternative per i malati di quelle regioni in cui non sono state ancora approntate soluzioni idonee, auspicabilmente rivalutando anche quelle che non sono in linea con l'ispirazione del percorso riformatore culminato nella Legge 81/2014". "Apprendiamo che la Giunta Regionale toscana, dopo tanti tentennamenti, ha infine deciso di destinare gli internati toscani dell'Opg di Montelupo Fiorentino alla Casa Circondariale Mario Gozzini di Firenze che, per l'occasione, attraverso apposita operazione di maquillage, dovrebbe parzialmente trasformarsi in Rems a vigilanza rafforzata". Lo spiega in una nota l'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali. "Avevamo denunciato nei giorni scorsi il fatto che l'Opg toscano, sebbene cancellato per legge, fosse ancora in piena attività e fosse evidentemente destinato a sopravvivere chissà per quanto tempo, vista l'incapacità della Regione di individuare soluzioni adeguate per la realizzazione delle strutture alternative previste dalla legge, miseramente documentata dalle plurime e variegate ipotesi formulate nell'arco di oltre tre anni e sempre rapidamente accantonate. Tuttavia - sottolineano i penalisti - la scelta operata rappresenta il peggiore epilogo che potesse immaginarsi". "Ci si chiede come possa una Rems, che dovrebbe essere una struttura sanitaria e non penitenziaria, un luogo di cura e di assistenza e non di detenzione, come vuole la legge, essere ospitata dalla sezione di un carcere; come si possa immaginare di dare attuazione ad una legge che, con enorme progresso di civiltà, sancisce la chiusura degli OPG, trasferendo in malati in un carcere". Giustizia: così i magistrati si riprendono le ferie perdute di Giovanni Maria Giacobazzi Il Garantista, 5 aprile 2015 Fatta la legge trovato l'inganno... ma questa volta a "barare" è il consiglio superiore della. magistratura che attribuisce un potere incredibile al capi degli uffici. Oltre a questo quotidiano, ria sempre alquanto perplesso, sono stati in pochi quelli che hanno dato risalto in maniera critica alla delibera sulle ferie del Consiglio superiore della magistratura dello scorso 26 marzo. L'argomento era molto tecnico e nessuno ha sentito l'esigenza di approfondirò il tema. Anche perché tutti si erano convinti che Matteo Renzi fosse riuscito nell'impresa. Cioè tagliare da 45 a 30 i giorni di ferie per i magistrati. Una grande vittoria per il premier che con un colpo di slide aveva spazzato via i privilegi della casta togata. Come si ricorderà, il taglio dei giorni di ferie era stato motivato da Renzi con l'esigenza di avere una giustizia più veloce. Una boutade degna del miglior teatro d'avanspettacolo. Infatti, a stretto giro, era arrivata la riforma della prescrizione che renderà i processi eterni. La delibera del 26 marzo, per la cronaca, ora stata preceduta da un parere dell'Ufficio Studi e Documentazione del Csm, interessato sia dalla Quarta Commissione, quella che si occupa delle valutazioni di professionalità, circa le possibili ricadute sull'organizzazione del lavoro, e sia dalla Settima, quella per l'organizzazione degli uffici giudiziari, per la definizione dei giorni lavorativi e per ì riflessi sui termini dì deposito dei provvedimenti, sia con riferimento al lavoro del giudice che del pubblico ministero. Pur premettendo, scrivevano nella delibera i togati all'unanimità, che "l'unica interpretazione possibile è, supportata da argomenti tecnico-giuridici, l'attuale permanenza dei 45 gg di ferie", la componente laica "ha manifestato la radicale opposizione, col conseguente rischio dì una insanabile frattura istituzionale nell'operato funzionale dell'autogoverno e di una sospensione sine die della trattazione e discussione all'o.d.g. del tema delle ferie dei magistrati con conseguenti gravi ricadute negativo disfunzionali sulla organizzazione tabellare e feriale dogli uffici giudiziari". Oltre a ciò, continuavano i togati, "si deve prendere atto della vigenza del decreto del ministro della Giustizia che presuppone l'individuazione del monte ferie dei magistrati in 30 gg, Un provvedimento, sulla cui legittimità dovranno esprimersi eventualmente i giudici competenti a seguito dei ricorsi presentati, con il quale abbiamo dovuto responsabilmente fare i conti". Ma dietro queste frasi che facevano propendere per l'effettività del taglio delle ferie, la realtà che emergeva dalla lettura della delibera ora ben diversa. Giungendo ad una conclusione alquanto sorprendente. E cioè che invece di tagliarle le ferie il governo le aveva allungate. Dando anche un potere incredibile ai capi dogli uffici nella concessione dei giorni dì ferie. Premesso che il lavoro svolto dal magistrato non è in alcun modo assimilabile al pubblico impiego, non ha orari di lavoro, obblighi di presenza in ufficio (salvo per udienze e turni) avendo obblighi puramente prestazionali e che le ferie devono essere un perìodo di effettivo recupero dello energie psicofisiche da parte del magistrato, il Csm, esaminati i provvedimenti del governo, attestava che il perìodo feriale (la sospensione dei termini) e le ferie dei magistrati non saranno più necessariamente coincidenti. Il magistrato potrà dunque prendere giorni di ferie in qualsiasi periodo dell'anno e non solamente d'estate. Il criterio a cui improntarsi sarà la flessibilità, che deve contemperare le esigenze del magistrato con quelle dell'ufficio, e la programmazione, dovendo coordinare le assenze con il servizio. Con una forte responsabilizzazione dei dirigenti degli uffici che saranno tenuti ad assicurare la tutela del magistrato con la piena funzionalità dell'ufficio. Aspetto questo, l'eccessiva discrezionalità dei capi, criticato ex post dal gruppo di Magistratura indipendente. E "l'allungamento"? In primis nella giornata del sabato. I sabati non saranno più considerati giorni lavorativi: "La giornata del sabato impone la presenza in ufficio esclusivamente per assicurare udienze e turni calendarizzati, o attività urgenti, sopravvenute ed indifferibili". Quindi non sarà necessario più chiedere il sabato come ferie. Poi si potranno chiedere ferie anche per giorni singoli, pur se coincidenti con udienze, senza doverli accorpare, purché il magistrato lavori in ufficio o a casa nei giorni precedenti e/o successivi. Quindi si dovrà assicurare al magistrato di turno nei giorni festivi o in turni di notte "misure atte a garantire il recupero delle energie lavorative", con assenze programmato godibili nell'immediatezza o successivamente, Ed infine il periodo immediatamente precedente e quello successivo alle ferie prese dal magistrato dovranno essere periodi di "avvicinamento" e di "rientro" che consentano il deposito dei provvedimenti ed il riordino dell'ufficio e la preparazione delle udienze e della piena attività. Alla faccia del taglio. Giustizia: studenti liberi e studenti detenuti, una sfida comune alla fragilità del vivere di Giuseppe Emmolo www.ilsussidiario.net, 5 aprile 2015 Una volta si diceva che per ogni scuola che apre un carcere chiude; ciò per evocare una grande verità: il futuro di un popolo è garantito dall'avere una buona scuola e un sistema formativo efficace. Alla luce dell'esperienza che ora narriamo, si potrebbe modificare quell'antico adagio dicendo: affinché un carcere chiuda o quanto meno vi siano meno detenuti in un paese, sarebbe sufficiente, più che aprire nuove scuole, che in quelle già esistenti lo studio si trasformasse in un'esperienza significativa, capace di incidere nel ragazzo, di farlo crescere umanamente, di fargli metter su giudizio. Sono amabili ingenuità? La notizia che lunedì 23 marzo scorso un gruppo di studenti - per lo più maggiorenni - di una scuola superiore (Istituto De Nicola di Sesto San Giovanni, Milano) abbia fatto visita ai detenuti del carcere di Bollate non avrebbe in sé nulla di speciale: sono tanti i politici o i giornalisti che visitano gli istituti di pena, anche gli studenti - con i dovuti permessi e nel rispetto dei protocolli - possono entrare in un carcere e constatare le condizioni in cui in Italia si espia la pena. Invece la notizia è di quelle vere, che ci parlano cioè di un cambiamento e di una novità. Prima di tutto quella visita non è stata effettuata a beneficio di semplici detenuti ma di detenuti-studenti, che nel carcere di Bollate si stanno diplomando in ragioneria, ed infatti, "dentro", vi è la sezione staccata dell'Istituto Primo Levi. E poi la notizia è che gli studenti di Sesto non si sono limitati alla classica visita di cortesia: dopo adeguata preparazione, hanno allestito uno spettacolo teatrale dove i ruoli sono state distribuiti in parti uguali tra gli studenti liberi e gli studenti detenuti. Quindi, con le prove e l'allestimento, è avvenuto un incontro, una conoscenza reciproca, un'esperienza che continuerà. Ed è già qui il famoso reinserimento. Che stupore constatare che in fondo persone che hanno rubato, spacciato o che hanno commesso altri reati sono persone come noi! Che immediatezza di sguardo nei detenuti, che notano subito se li giudichi o li guardi per quello che sono o per quello che hanno fatto. L'iniziativa ha preso spunto dalla recente (6 marzo) Giornata europea dei Giusti. Come si sa i Giusti sono tutti coloro che di qualsivoglia nazionalità, purché non ebrea, hanno salvato - mettendo a repentaglio la propria vita - quella di donne, uomini e bambini ebrei durante la Shoah. È la Knesset di Israele a deliberare, dopo approfondite indagini, se uno è stato un giusto o meno ed ad aver diritto, nello Yad Vashem, la Foresta dei Giusti di Gerusalemme, ad un albero in suo ricordo. Il messaggio è stato quello di far capire a tutti che, anche in un carcere, come nella scuola pubblica, si può e si deve avere il coraggio dei Giusti. E non è scontato che si debba esser giusti in un carcere: non basta scontar la pena, bisogna espiare "bene" il male fatto, ovvero cambiare. Si dice che il carcere - date le recidive - non renda migliori: questo esperimento però sembra portare in una direzione diversa. Non è scontato nemmeno che a scuola ci si debba comportare da giusti: non basta frequentare, occorre imparare, giorno dopo giorno, con la costanza e la relazione virtuosa e lo studio, il senso di responsabilità. Gli attori-studenti hanno messo in scena un testo scritto dal grande Eugène Jonesco sulla base di un fatto storico realmente accaduto nel lager di Auschwitz: la storia di Massimiliano Kolbe, frate polacco morto nell'agosto del ‘41 dopo aver offerto la propria vita in cambio di quella di un deportato. L'iniziativa è stata possibile grazie a due associazioni di volontariato, "Croce padre Kolbe" e "Incontro e Presenza", benemerite perché sono accreditate presso il ministero di Grazia e Giustizia per il reinserimento dei detenuti a fine pena. Merito dell'iniziativa in parte va a Gariwo, gruppo di persone attente alla memoria del Bene nella storia e che hanno promosso il fenomeno storico dei Giusti in Italia e in Europa. E tuttavia la scintilla che ha permesso tutto è l'unità didattica sull'Illuminismo: tutto è partito dallo studio del grande Cesare Beccaria e dal suo Dei delitti e delle pene. E così, dai banchi di scuola, si è potuta agganciare la realtà umana del carcere. Come attraversare la contraddizione e la complessità di un contesto educativo problematico come quello della scuola? Con una proposta, rendendo bello l'apprendimento e l'insegnamento, tutti presenti e pazienti come all'appello della prima ora in classe, senza cedere al lamento, al j'accuse, insomma senza dover aspettare sempre tutto dall'alto. È l'esperienza di una positività in atto che consente di non demordere e non fluttuare nell'azione educativa, tenendo fisso lo sguardo sulla proposta e l'eventuale corrispondenza negli studenti che si muovono e seguono, in una parola si responsabilizzano. Occorre coinvolgere gli studenti in un percorso che va dalla relazione personale alla messa in atto di momenti espressivi: da una mostra a un'uscita didattica, a un diverso viaggio di istruzione, a un teatro in cui al centro sia la didattica e l'apprendimento quotidiano, in un gioco paziente, nel tempo, correggendo le strategie se è il caso, comunque puntando sulla positività di una proposta che richiede la libertà dei ragazzi. È recente un articolo sul Corriere di Pierluigi Battista che lamenta la "messinscena" del rogo di libri sui gay da parte dei giovani di Forza Nuova. Con tutta la stima per l'editorialista del Corriere, che paventava un improbabile ritorno del nazismo (non ci sono più le stesse condizioni storiche), come non capire che il dramma è nelle scuole e nelle agenzie educative, che non intercettano la voragine - oramai - del bisogno di modelli, di incontri, di proposte? In un dibattito pubblico perfino don Gino Rigoldi, che di emarginazione se ne intende, ebbe a dire: "siete voi a scuola che potete offrire l'effettiva possibilità che i giovani si educhino e crescano responsabili, perché quando vengono da noi (al Beccaria) i guai son già stati fatti!". Nel corso dei primi tre mesi del 2015 si sono tolti la vita, all'interno delle carceri italiane, già dieci detenuti su un totale di 21 decessi (rivista Ristretti Orizzonti). Non è solo questione di condizioni disumane in cui l'unica liberazione sembra essere la morte, ma - come per i giovani o gli studenti delle nostre scuole - si tratta di guardare bene la persona di oggi, la sua paura di esistere, la fragilità del vivere, l'inconsistenza di se stessi, l'orrore dell'inadeguatezza di sé, una solitudine incolmabile e incancellabile. Se gli insegnanti non intercettano la "realtà", se la loro preoccupazione non passa da una posizione intellettualisticamente critica alla passione per ciò che caratterizza l'uomo oggi la loro sarà azione vana. Lazio: il Garante; in 10 anni 120 detenuti s università, con pene alternative recidiva al 20% Dire, 5 aprile 2015 In 10 anni di attività oltre 110mila colloqui effettuati nelle carceri del Lazio, mille al mese, 120 studenti/detenuti immatricolati alle università del Lazio (rispetto ai 12 censiti nel 2005) che sostengono regolarmente gli esami: un aumento degli iscritti del 575% grazie al Sistema Universitario Penitenziario implementato nel Lazio. Più di 950 detenuti ed ex detenuti avviati al lavoro con le cooperative sociali e con i progetti realizzati in partnership con importanti aziende italiane. Sono questi alcuni dei risultati del Modello Lazio per la gestione del disagio penitenziario del Garante dei detenuti del Lazio. Una esperienza che ha anche consentito all'Università di Tor Vergata l'istituzione del Master di II° livello in "Intermediatore del disagio penitenziario". I risultati sono riepilogati all'interno della Relazione sull'attività del Garante nel 2014 inviata in queste ore, come previsto dalla normativa, al Presidente del Consiglio Regionale Daniele Leodori e a tutti i Consiglieri, al Presidente della Regione Nicola Zingaretti e ai componenti della Giunta Regionale. "Nel 2003- ha detto il Garante Angiolo Marroni- il Lazio è stata la prima regione a dotarsi di una Authority per la tutela dei diritti dei reclusi. In questi anni abbiamo sviluppato un modello istituzionale che ha coinvolto Enti pubblici e privati, istituzioni di ogni ordine e grado, il mondo della cooperazione e grandi imprese. Abbiamo dato, con il nostro lavoro, una speranza a chi è in carcere senza dimenticare il diritto alla sicurezza dei cittadini; abbiamo cercato di trasmettere la cultura della legalità e di cancellare il pregiudizio che accompagna i detenuti". La bontà della nostra attività è confermata dai dati, spiega. "La recidiva per chi sconta la pena in carcere è del 70 per cento, per chi beneficia di misure alternative è del 20 per cento. Su 950 persone che, attraverso il nostro ufficio, hanno trovato un impiego, solo 8 hanno nuovamente commesso reati, meno dell'1 per cento. Il nostro modello consente più dignità in carcere e più sicurezza per i cittadini". Dal Report emerge che due progetti del Garante sono stati segnalati quali best practice dal Ministero di Giustizia da replicare sul territorio nazionale: il primo è la Teledidattica - Università in carcere, realizzato con l'Università di Tor Vergata, che consente ai detenuti dell'Alta Sicurezza di Rebibbia Nuovo Complesso, di seguire a distanza le lezioni universitarie. Il secondo è relativo alle Carte dei Servizi Sanitari, realizzato per consentire il pieno rispetto del Diritto alla Salute anche ai reclusi. Nel settore dell'Immigrazione, il Garante è punto di riferimento per i detenuti stranieri, per gli ospiti del Cie di Ponte Galeria e per quelli del Cara. Il Garante è attivo anche in ambito internazionale. Lo scorso anno l'Unione Europea ha finanziato un progetto di prevenzione dei reati sessuali e, sempre nel 2014, sono stati instaurati rapporti con la Commissione Europea per i diritti umani, il Garante del carcere di Wormwood Scrubs (Londra) e con il Ministero della Giustizia norvegese. "Abbiamo realizzato un lavoro - ha concluso Marroni - che resterà nella memoria di una Regione che, in questo campo, può dire con orgoglio che è stata ed è diversa dalle altre. Per questo sono convinto che, alla fine di una esperienza decennale, non sarebbe giusto disperdere questo patrimonio che è di tutti. Credo sia doveroso continuare a dare una speranza a chi soffre in carcere; a tutti coloro cui dedichiamo tanto del nostro impegno". Ascoli: detenuto morto dopo lite, Gip firma ordinanza custodia per presunto aggressore Ansa, 5 aprile 2015 Il Gip del Tribunale di Ascoli Piceno Giuliana Filippello ha firmato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Mohamed Ben Alì, il tunisino di 24 anni indagato per omicidio preterintenzionale in relazione alla morte di Achille Mestichelli, il detenuto ascolano di 53 anni morto il 18 febbraio nell'ospedale di Torrette ad Ancona, dove era stato ricoverato 5 giorni prima per le lesioni riportate durante una lite in cella con il nordafricano. Finora Ben Alì era indagato a piede libero; l'ordinanza gli è stata notificata nella casa circondariale, dove è rinchiuso poiché per un traffico di droga fra Napoli e il Piceno. Secondo la procura ascolana, per futili motivi, il tono di voce troppo alto, Ben Alì avrebbe aggredito Mestichelli colpendolo ripetutamente al capo, al tronco e in altre parti del corpo, provocandogli lesioni personali gravissime: un trauma cranico encefalico fratturativo con ematoma epidurale, focolai contusivi multipli, fratture costali multiple. Paola (Cs): Bruno Bossio (Pd), Molinari (Misto) e Quintieri (Radicali) ispezionano carcere Il Velino, 5 aprile 2015 Giudizio positivo sugli sforzi per risolvere il problema del sovraffollamento. Questa mattina il deputato del Partito Democratico Enza Bruno Bossio e il Senatore del gruppo Misto Francesco Molinari si sono recati alla casa circondariale di Paola per una visita ispettiva senza preavviso, accompagnati dal radicale Emilio Quintieri, dal dirigente del Pd Gabriele Petrone e dall'avvocato Sabrina Mannarino, tesoriere della camera penale di Paola. La visita, che ha avuto una durata di circa 2 ore, si è svolta senza alcun problema e la delegazione, stante l'assenza del direttore Caterina Arrotta e del comandante di reparto della Polizia Penitenziaria commissario Maria Molinaro, è stata accompagnata dal comandante facente funzioni Ercole Vanzillotta, dal coordinatore della sorveglianza generale Attilio Lo Bianco e da altri Agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria. I parlamentari hanno potuto verificare le buone condizioni della struttura e le molteplici iniziative positive poste in essere nei confronti dei detenuti volte alla loro rieducazione. Al termine della visita, la delegazione ha riconosciuto e valutato positivamente gli sforzi compiuti dal governo e dall'amministrazione penitenziaria per risolvere il problema del sovraffollamento e per migliorare le condizioni generali di detenzione all'interno dell'istituto, sforzi posti in essere per ottemperare, tra l'altro, alla sentenza pilota "Torreggiani" della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ed alle prescrizioni del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. Il comunicato di Emilio Quintieri Continua senza sosta l'attività di Sindacato Ispettivo negli stabilimenti penitenziari calabresi svolta dall'Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico, sostenuta energicamente dai rappresentanti territoriali dei Radicali Italiani. Questa mattina, la Parlamentare, si è recata alla Casa Circondariale di Paola (Cosenza) unitamente al collega Francesco Molinari, Senatore del Movimento Alternativa Libera, accompagnata dal radicale Emilio Quintieri, da Gabriele Petrone, Dirigente Pd e dall'Avvocato Sabrina Mannarino, Tesoriere della Camera Penale di Paola, aderente all'Unione delle Camere Penali Italiane per una visita ispettiva senza preavviso. La visita, che ha avuto una durata di circa 2 ore, si è svolta senza alcun problema e la delegazione, stante l'assenza del Direttore Caterina Arrotta e del Comandante di Reparto della Polizia Penitenziaria Commissario Maria Molinaro, è stata accompagnata dal Comandante facente funzioni Ispettore Ercole Vanzillotta, dal Coordinatore della Sorveglianza Generale Ispettore Attilio Lo Bianco ed altri Agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria. Nell'ambito dell'ispezione è stata riscontrata la seguente situazione : la Casa Circondariale di Paola a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti, ospita 194 detenuti (12 in esubero), tutti appartenenti al Circuito Penitenziario della Media Sicurezza. Tra questi, 147 sono condannati definitivi e 47 i giudicabili (15 in attesa di primo giudizio, 14 appellanti e 18 ricorrenti) e 34 gli stranieri. Rispetto agli anni precedenti, quindi, le presenze sono notevolmente ridotte atteso che i detenuti che vi erano ristretti erano oltre 300. In questi giorni di Pasqua, a circa 15 detenuti, è stato concesso un permesso premio dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Paola Lucente di trascorrere le feste fuori dal carcere con i propri familiari. E questa è un'altra positiva esperienza trattamentale che in altri posti, purtroppo, non avviene. Durante l'ispezione sono stati visitati attentamente i Reparti detentivi a regime ordinario (il 2° ed il 5°), il Reparto a Custodia Attenuata ed il Reparto Isolamento, tutti i locali dell'Area Trattamentale (Palestra, Teatro, Cappella, Scuole, Laboratori Multimediali, etc.). Sono state visitate anche le Sale adibite ai Colloqui con i Familiari, le Sale Colloquio Avvocati e la Ludoteca, recentemente ristrutturate dal Governo e rese a norma del nuovo Regolamento di Esecuzione Penitenziaria. Tutte le celle del carcere tirrenico sono dotate di doccia al loro interno, già da alcuni anni, contrariamente a quanto avviene in tanti altri Istituti Penitenziari della Calabria e dell'Italia. Vi sono numerose opportunità di formazione e di socializzazione anche se, quanto al lavoro, sono pochissimi i detenuti che riescono a lavorare alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria. Al riguardo, da anni, è stata stipulata una convenzione con il Comune di Paola per l'impiego di detenuti in lavori di pubblica utilità ma, al momento, nessun recluso è stato ammesso a svolgere tale attività esterna in favore della collettività ed a titolo del tutto gratuito. Dal punto di vista strutturale, l'unica criticità riscontrata, è la chiusura della lavanderia poiché sottoposta a sequestro giudiziario da parte della locale Autorità Giudiziaria ma, a quanto pare, tale problematica è in via di risoluzione poiché sono stati effettuati i lavori prescritti ed a breve, quindi, dovrebbe essere riaperta. Nel frattempo, per il lavaggio del materiale di casermaggio (lenzuola, coperte, etc.), l'Istituto è costretto ad avvalersi dell'aiuto della vicina consorella Casa Circondariale di Cosenza. In definitiva, la delegazione, in modo unanime, ha riconosciuto e valutato positivamente gli sforzi compiuti dal Governo e dall'Amministrazione Penitenziaria per risolvere il problema del sovraffollamento e per migliorare le condizioni generali di detenzione all'interno dell'Istituto, sforzi posti in essere per ottemperare, tra l'altro, alla Sentenza pilota "Torreggiani" della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ed alle prescrizioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Foggia: Osapp; sei detenuti tentano una rivolta, distruggono arredi e minacciano agenti www.lecceprima.it, 5 aprile 2015 La polizia penitenziaria ha sedato i facinorosi, tutti tarantini, senza usare la forza, anche perché la sedizione non ha trovato sponda in altri detenuti e questo ha permesso di evitare che la situazione finisse del tutto fuori controllo. Diciotto ore di fila di lavoro per arrivare poi a trasferirli. Sei detenuti, tutti di Taranto, hanno inscenato una rivolta nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce. Una situazione molto spinosa, che non solo ha esposto il personale a ovvi rischi, ma che l'ha anche obbligato a tour de force di diciotto ore di fila, prima per bloccare i facinorosi e poi per trasferirli altrove. Anche perché i sei avrebbero continuato a dar sfogo della loro rabbia, per motivi futili (pù che altro, sembra che sia stato tentativo di mettere in atto una dominio territoriale) persino una volta posti in isolamento, sfasciando tutto e minacciando gli agenti. Insomma, una situazione fuori controllo con il rischio di future rappresaglie, anche pesanti. Il fatto è avvenuto nella quarta sezione del primo reparto di reclusione. È andato però a vuoto il tentativo dei tarantini di coinvolgere altre persone recluse nella stessa sezione e questo ha consentito di evitare che la situazione degenerasse. Gli agenti di polizia penitenziaria, però, hanno vissuto momenti di forte tensione, specie all'inizio della sedizione, quando la situazione era fluida e non si sapeva quale piega avrebbe potuto assumere. Tutto s'è risolto separandoli, dunque, e, in seguito dislocandoli in altre carceri di Puglia. La vicenda è rimasta in sordina giorni fino a ora, per ragioni di sicurezza. E anche perché solo nelle ultime ore s'è realmente risolto tutto. Il tumulto risale, infatti, alla giornata di martedì, e a rilanciare la vicenda all'attenzione dell'opinione pubblica è oggi Ruggiero Damato, segretario provinciale dell'Osapp, una delle sigle sindacali di rappresentanza della polizia penitenziaria. La storia riporta in auge il problema della vigilanza dinamica. Con le celle aperte, sale il rischio di aggressioni o, come in questo caso, di tentativi di rivolta. A Lecce nelle scorse settimane non sono mancati episodi gravi, in qualche caso con agenti feriti. I sei tarantini, fortunatamente, non hanno trovato sponda negli altri detenuti e, senza usare la forza, il personale in servizio in quel momento è riuscito a sciogliere il gruppo. I detenuti sono poi stati trasferiti nelle celle d'isolamento per essere sottoposti al consiglio di disciplina. Per tutta risposta, nelle rispettive stanze hanno distrutto coperte, lenzuola e arredi, minacciando i loro controllori. Da qui la decisione finale di trasferirli in vari istituti della regione nel primo pomeriggio di ieri, fra Trani, Turi e Foggia, in modo da dividerli e soffocare nuove ribellioni. "Senza usare la forza, una decina di agenti sono stati costretti a lavorare per diciotto ore di fila, con tre mezzi per le traduzioni dei detenuti, per il trasferimento presso altri istituti regionali, in modo da isolarli e garantire l'ordine e la sicurezza dell'intero istituto, turbato da tale evento", spiega Damato, congratulandosi peraltro con la direzione del carcere "per la celerità dell'intervento", oltre che con "tutti gli uomini e donne della polizia penitenziaria per l'attaccamento al servizio e alla dedizione dimostrata". Ai primi di marzo due poliziotti hanno subito aggressioni nel carcere di Lecce e solo pochi giorni addietro lo stesso Damato aveva convocato una conferenza per annunciare la presentazione di un dossier sulla sicurezza da consegnare nelle mani del premier Matteo Renzi. La situazione in Puglia non è incoraggiante e l'Osapp l'ha già detto in più occasioni: gli agenti si sentono scarsamente tutelati dallo Stato. "Non è la prima la volta che il carcere di Lecce diventa palcoscenico di consimili situazioni di grave disagio e rischio - dichiara intanto il segretario generale dell'Osapp, Leo Beneduci - ma, a parte le indubbie responsabilità di carattere organizzativo della locale direzione e del provveditore regionale Giuseppe Martone per quanto riguarda una puntuale valutazione del livello di pericolosità di particolari soggetti detenuti, occorre non dimenticare che l'Italia penitenziaria ritorna a fare acqua da tutte le parti in particolar modo rispetto ai rischi a cui il personale di polizia penitenziaria è sottoposto quotidianamente". "Non può quindi sottacersi - conclude Beneduci - che sussiste l'esigenza sempre più urgente che il dormiente ministro Andrea Orlando, almeno per ciò che riguarda le condizioni del sistema penitenziario, disponga finalmente per i necessari provvedimenti intesi a una completa riorganizzazione del carcere e della polizia penitenziaria che vi opera anche in relazione a progetti che vedano il Corpo staccarsi finalmente dall'inetta amministrazione penitenziaria per assumere in toto le incombenze di carattere organizzativo e gestionale". Rieti: Sappe; detenuto tenta il suicidio, salvato da un agente di Polizia penitenziaria Il Messaggero, 5 aprile 2015 Ha tentato di uccidersi nella sua cella del carcere di Rieti: salvato dall'Agente di Polizia Penitenziaria in servizio, il detenuto si trova attualmente ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Protagonista, ieri sera, un detenuto tunisino, ristretto per il reato di rapina. "L'insano gesto – posto in essere mediante impiccamento - non è stato consumato per il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari, ma il detenuto si trova attualmente in gravi condizioni in ospedale. Ha tentato di impiccarsi nel bagno della cella ma soltanto grazie all'intervento provvidenziale dell'Agente di sezione si è evitato che l'estremo gesto avesse conseguenze fatali. Immediatamente soccorso dal personale medico ed infermieristico presente in carcere, il detenuto è stato successivamente trasportato d'urgenza al pronto soccorso dell'ospedale cittadino, dove tutt'ora si trova ricoverato in gravi condizioni. L'ennesimo evento critico accaduto in un carcere italiano è sintomatico di quali e quanti disagi caratterizzano la quotidianità penitenziaria", denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Stefano D'Antonio, segretario reatino del Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, sottolinea che "alla data del 31 marzo scorso erano detenute a Rieti 239 persone. Negli ultimi dodici mesi del 2014, nel penitenziario reatino, si sono contati 2 tentati suicidi, sventati in tempo dai poliziotti penitenziari, 19 episodi di autolesionismo, 19 colluttazioni e 2 ferimenti. Numeri su numeri che raccontano un'emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall'Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all'invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili". "Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere - come a Rieti - con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici", conclude Capece. "Ma non si può e non si deve ritardare ulteriormente la necessità di adottare urgenti provvedimenti: non si può pensare che la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri laziali e del Paese sia lasciata solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia". Firenze: incendio nell'Opg Montelupo appiccato da un internato, nessun ferito Ansa, 5 aprile 2015 Un incendio si è sviluppato intorno alle 3 in una cella dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino (Firenze). Ad appiccarlo, a quanto si apprende e per cause in corso di accertamento, un internato. Per spegnerlo sono intervenuti due agenti della polizia penitenziaria i quali hanno prima fatto uscire e messo in sicurezza il detenuto, poi hanno fermato le fiamme con estintori e un idrante prima che si propagassero nelle sale attigue. L'incendio ha provocato seri danni alla stanza distruggendo mobili e suppellettili. Attualmente nella Villa dell'Ambrogiana di Montelupo sono ospitati 118 internati che, prossimamente, saranno destinati alle Rems, in previsione della chiusura degli Opg. Novara: detenuti al lavoro nella zona dietro alla stazione, coordinati dall'Azienza Assa www.oknovara.it, 5 aprile 2015 Grazie al lavoro svolto dai detenuti della Casa Circondariale, coordinato e supportato organizzativamente, logisticamente e operativamente da Assa, è stato ripristinato un gradevole stato di decoro nella zona retrostante la stazione ferroviaria di Novara. L'intervento ha interessato la Via Leonardo Da Vinci e alcune vie limitrofe, e rientrava nell'ambito delle "Giornate di tutela ambientale" sulla base del protocollo sottoscritto da Comune di Novara, Magistratura di Sorveglianza, Casa Circondariale, Uepe Ufficio esecuzioni penali esterne, e Assa. All'avvio dei lavori ha portato il suo saluto a tutto il personale coinvolto il presidente di Assa, l'avvocato Marcello Marzo, che ha sottolineato l'importanza dell'intervento di pulizia in una zona molto centrale della città, punto nevralgico di grande passaggio e frequentazione, evidenziando i risvolti estremamente positivi dell'attività sia dal punto di vista ambientale e di decoro urbano, a beneficio di tutti i cittadini, e sia dal punto di vista sociale, in quanto si stanno strutturando reali e graduali percorsi di reinserimento sociale e lavorativo di persone soggette a misure restrittive della libertà e che ha visto oggi impiegati, a fornire il supporto tecnico logistico ai detenuti in "permesso premio" per lo svolgimento del lavoro volontario, i soggetti del progetto "cantieri di lavoro" (banditi dal Comune di Novara ai sensi della legge regionale 34/2008) creando dunque un percorso di continuità e integrazione tra la prima fase lavorativa, proposta con le attività di "volontariato" previste dalle giornate dedicate al recupero ambientale, e la seconda fase, più strutturata, quella dei cantieri di lavoro, dove le persone sono assunte con un regolare stipendio previsto dalla normativa vigente. L'area è stata pulita dai vari rifiuti presenti e dalle erbe infestanti. Messina: riforma degli Opg, ritardi e sicurezza sociale. Convegno con Orlando e Alfano Gazzetta del Sud, 5 aprile 2015 Del "The day after" degli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, tra i ritardi della sanità regionale e le esigenze di garantire la sicurezza sociale, si parlerà sabato prossimo con i ministri della Giustizia, Andrea Orlando, e dell'Interno, Angelino Alfano. I due ministri, infatti, parteciperanno alla tavola rotonda organizzata nel teatro dell'Opg di Barcellona, con il presidente della Commissione giustizia del Senato Nitto Palma, il presidente della commissione Affari sociali della Camera Pierpaolo Vargiu, il vicepresidente del Csm Giovanni Lengnini, il sottosegretario del ministero della Salute Vito De Filippo, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli, il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa. I lavori saranno coordinati dal presidente Tribunale di sorveglianza di Messina e coordinatore nazionale magistrati di Sorveglianza, Nicola Mazzamuto e dal direttore dell'Opg Nunziante Rosania, che hanno organizzato due giornate di lavoro durante le quali si confronteranno giuristi e psichiatri che metteranno al centro del dibattito "il malato di mente autore di reati tra politiche sicuritarie e percorsi individuali di reinserimento sociale". E due giornate di lavoro inizieranno venerdì prossimo con gli interventi del presidente della Corte d'appello Mario Zumbo, del procuratore generale Giovanni D'Angelo, del presidente del Tribunale di Barcellona Michele Galluccio, del procuratore facente funzioni Francesco Massara; di Cosimo D'Arrigo, del direttivo della Scuola superiore magistratura; del giudice Maria Teresa Arena, presidente della sezione di Messina dell'Associazione magistrati, e dei presidenti dei due Ordini degli avvocati Francesco Russo e Vincenzo Ciraudo e del presidente della Camera minorile Antonio Centorrino. Sempre venerdì seguirà il dibattito "La psichiatria giudiziaria tra istituzioni totali e servizi territoriali" al quale parteciperanno tra gli altri il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Santi Consolo e lo psichiatra Vittorino Andreoli. Avezzano: incontro tra studenti e 2 detenuti, la scuola Argoli conosce la realtà di Rebibbia www.marsicalive.it, 5 aprile 2015 Gli studenti entrano nella realtà del sistema carcerario grazie alla testimonianza di due ex detenuti. È stato un vero successo l'incontro dibattito che si è svolto al teatro Talia di Tagliacozzo tra gli studenti dell'Istituto onnicomprensivo "Argoli" e i detenuti di Rebibbia. L'obiettivo è stato quello di confrontarsi sui temi della legalità e cercare insieme di approfondire l'argomento. scuola Argoli, incontro al Talia di Tagliacozzo con i detenuti di Rebibbia. L'incontro rientra nel progetto di educazione alla legalità, coordinato dalla professoressa Claudia Sansone per il turistico e dalla professoressa Ester Mordini per le medie. Al faccia a faccia hanno preso parte il sindaco Maurizio Di Marco Testa, Giovanni Iacomini, docente nella scuola di Rebibbia e due ex detenuti in libertà da pochi mesi. Numerose le domande che gli studenti hanno rivolto agli ex detenuti che hanno raccontato le loro storie e le vicende giudiziarie che li hanno visti coinvolti trasmettendo loro un messaggio positivo per la loro crescita formativa. scuola Argoli, incontro al Talia di Tagliacozzo con i detenuti di Rebibbia. Uno dei due ex carcerati ha evidenziato anche la necessità della rieducazione del detenuto e quanto sostanzialmente avviene nella realtà soprattutto quando si trova a confrontarsi con la società e il mondo del lavoro. Secondo loro, questo è ciò che poi causa la recidiva di reato. Ha poi anche rilevato le modalità di trattamento diversificate tra una struttura carceraria e un'altra. Ha spiegato che le attività riabilitative sono: arte, cultura, musica e teatro di cui loro sono primi attori e fondatori grazie a una compagnia teatrale "Assai" che svolge rappresentazioni in molte parti d'Italia e con la collaborazione di noti artisti di teatro. Avellino: la Misericordia dona uova di Pasqua ai figli dei detenuti di Bellizzi Irpino www.ottopagine.it, 5 aprile 2015 Uova di Pasqua ai figli dei detenuti, un bel gesto di solidarietà all'ingresso del Carcere di Ariano Irpino quello promosso dai Volontari della Misericordia di Fontanarosa, in collaborazione con l'ufficio colloqui che con il responsabile Ettore Sommariva e l'assistente capo Fedele Cifaldi hanno coordinato al meglio l'iniziativa, fortemente apprezzata dal comandate della Polizia Penitenziaria Tiziana Perillo e dal direttore della Casa Circondariale arianese Gianfranco Marcello. A consegnare i doni, il governatore dell'associazione Alfonso Cerundolo e il volontario Marco De Dominicis. Un bel gesto che ha commosso le mamme dei bambini in visita ai loro mariti rinchiusi nel penitenziario di via Cardito. E non è la prima iniziativa del genere, già a Natale e alla Befana grazie all'impegno della Caritas e altre associazioni si è dato vita a gesti di solidarietà per queste famiglia, con la speranza di alleggerire in qualche modo il dolore e la distanza legato all'assenza di un genitore. Israele: i migranti indesiderati se li prende il Ruanda… a pagamento di Gina Musso Il Manifesto, 5 aprile 2015 Una forma di deportazione dolce, espulsioni in piena regola presentate come un'opportunità d'oro a persone disperate. È ciò che aspetta migliaia e migliaia di migranti clandestini e/o richiedenti asilo, provenienti in maggioranza da Eritrea e Sudan e approdati in Israele negli ultimi anni. Al momento se intercettati dalla polizia vengono rinchiusi in centri di raccolta come quello di Holot, in pieno deserto del Negev, altrimenti si "infiltrano" nel tessuto economico delle città finendo impiegati nei lavori più umili e peggio pagati. In un titolo di prima pagina qualche tempo fa (il manifesto, 7 gennaio 2014), il giorno in cui sfilarono in massa a Tel Aviv per reclamare i loro diritti, li avevamo chiamati "Gli isralieni". In Israele li chiamano appunto "alieni", o appunto, "infiltrati". Netanyahu sente particolarmente il "problema" e le politiche sui flussi dei suoi governi non hanno mai fatto sconti agli stranieri "irregolari". L'ultima trovata chiama in causa un paese africano (forse due), che con Tel Aviv vanta già collaborazioni a più livelli, in primis sul piano tecnologico, militare e di intelligence. Sono a buon punto le trattative con il Ruanda, infatti, lo ha rivelato il presidente ruandese Paul Kagame e confermato il ministro degli Interni israeliano Gilad Erdan, per concludere un affare che porterebbe soldi freschi nelle casse di Kigali e svuoterebbe d'incanto - nelle speranze del governo israeliano - i centri di raccolta. Ai circa 50 mila sudanesi ed eritrei illegalmente presenti sul territorio israeliano verrebbe in pratica detto: non posso rispedirti nel tuo paese perché dici che lì la tua vita sarebbe in serio pericolo; allora ti dò un biglietto aereo per Kigali, un visto d'ingresso e 3.500 dollari ("non una piccola somma per certi paesi", sottolinea Erdan al quotidiano israeliano Yediot Ahronot), con la possibilità (del tutto teorica) di lavorare. È un suggerimento, chiaro, una prospettiva che può apparire di tutto rispetto. Soprattutto se scappi da una guerra e l'unica alternativa è quella di restare in stato di detenzione senza limite. Al Ruanda un eventuale accordo porterebbe finanziamenti multimilionari e accordi commerciali privilegiati. Come minimo. Una simile trattativa sarebbe in corso anche con l'Uganda, ma la notizia non è altrettanto confermata. Certo è che già a partire dall'estate del 2013 decine di immigrati in attesa di asilo sono stati segretamente trasferiti proprio in Uganda, come denunciato a più riprese da un altro quotidiano israeliano, Haaretz. E dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati che non fu mai informato dell'operazione. In questo caso però i migranti avevano ricevuto 1.500 dollari a testa. E l'Uganda le solite garanzie economiche. Lontani i tempi di Idi Amin, anche Kampala ha da tempo con Israele ottime relazioni, soprattutto nel settore della difesa. Iran: dopo l'intesa sul nucleare, resta il caso dei 4 americani detenuti www.rainews.it, 5 aprile 2015 In prigione da otto mesi anche il corrispondente del Washington Post Jason Rezaian. Il segretario di Stato americano John Kerry ha sottolineato che la questione è stata sollevata in ogni incontro con le controparti iraniane Tweet 8 Jason Rezaian di S.B. 04 aprile 2015 Come si declinerà l'accordo quadro sul nucleare iraniano non è ancora chiaro. L'intesa definitiva arriverà entro il 30 giugno ed è sui dettagli che si giocherà la vera partita. Al di là dell'uranio e delle centrifughe però agli americani sta a cuore anche un'altra questione: le sorti dei quattro americani detenuti nel Paese. Tra questi anche il corrispondente del Washington Post Jason Rezaian, con doppia nazionalità americana e iraniana, nel carcere di Evin a Tehran da circa 8 mesi. Il segretario di Stato americano John Kerry non ha dato risposte al riguardo, si è limitato a sottolineare che la questione del rilascio è stata sollevata in ogni incontro con le controparti iraniane. "Un processo per il risolvere il problema è in corso" ha detto ancora il capo della diplomazia Usa, rispondendo a chi gli chiedeva se la liberazione potesse essere un gesto di "avvicinamento" dell'Iran al momento della firma definitiva dell'accordo. Oltre a Rezaian nelle carceri iraniane ci sono anche l'ex marine Amir Hekmati, detenuto in Iran dal 2011 e il pastore cristiano Saeed Abedini. Resta invece il giallo sulla vicenda di Robert Levinson, un agente dell'Fbi a riposo che aveva lavorato anche per la Cia, scomparso più di otto anni fa sull'isola iraniana di Kish. Teheran nega di averlo arrestato, ma Washington ritiene che sia detenuto in Iran. Yemen: miliziani sciiti assaltano il carcere di Dalia e liberano centinaia di detenuti Nova, 5 aprile 2015 I miliziani sciiti seguaci dell'imam al Houthi hanno assaltato oggi il carcere della provincia yemenita di Dalia, nel sud del paese. Secondo quanto riporta il sito informativo yemenita "al Masdar", i miliziani sciiti hanno liberato 800 dei detenuti rinchiusi al suo interno. La zona del sud dello Yemen è teatro da un mese di scontri tra i ribelli sciiti e le milizie popolari e dell'esercito fedeli al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e ai gruppi secessionisti del sud.