Padova: i detenuti ("declassificati" e non) delle Sezioni di Alta Sicurezza scrivono al Dap Ristretti Orizzonti, 25 aprile 2015 Al Capo del D.A.P., Santi Consolo Al Vice Capo D.A.P., Luigi Pagano All'Ufficio Trattamento Detenuti Noi detenuti della Casa di Reclusione di Padova, dopo gli eventi positivi successi a seguito delle decisioni prese da tutti coloro che ne hanno competenza, ci sentiamo di vero cuore di ringraziare le persone sopra citate. Il nostro gruppo di detenuti impegnati nelle attività lavorative, nei giorni scorsi è stato colpito da una notizia che ci ha distrutto, ci siamo sentiti nuovamente come numeri di matricola, nonostante il nostro impegno nel dimostrare che siamo delle persone rinate, che non abbiamo più niente a che fare con quello che eravamo. Il nostro gruppo è formato da compagni con pene molto lunghe, condannati per reati che hanno segnato gran parte della loro vita e che finalmente, dopo lunghi periodi di detenzione, hanno avuto la possibilità di mostrare che si può anche essere diversi dal proprio passato. La notizia dei trasferimenti un pò aveva fatto pensare a tutti noi che qualunque cosa possiamo essere oggi, il nostro passato non ci permette di guardare avanti con fiducia e desiderio di riscatto. Oggi tutti voi ci avete dato una grande lezione, una lezione di vita e di coraggio nel guardare avanti, nel non disperare anche nei momenti difficili e nel continuare ad avere fiducia. La nostra gioia però non è completa, perché alcuni dei nostri compagni fino ad oggi non hanno avuto la possibilità di essere declassificati, ma siamo comunque tutti felici perché oggi, da persone come Voi, ci siamo sentiti trattare come persone, persone che hanno un nome e un cognome, che nonostante tutto possono essere valutati e rivalutati. Ci avete dato prova di coraggio perché nonostante le decisioni già prese avete avuto la forza di rivedere tutto: questi sono gesti che solo le grandi persone possono fare e che ci spingono ad avere sempre più fiducia nelle Istituzioni. Ci sentiamo in obbligo di ringraziarvi con tutto il nostro cuore soprattutto a nome di tutti i nostri familiari, perché avete ridato la forza di sperare anche a loro, alle nostre madri in particolare, alle nostre mogli e soprattutto ai nostri figli. Un grazie speciale Vi giunga da parte loro. Grazie dai detenuti declassificati e non, perché alla fine ci avete fatto sentire persone e non numeri. La memoria della Liberazione? Resistere ancora (all'indifferenza) di Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 25 aprile 2015 E un 25 Aprile meno polemico e più sentito rispetto agli ultimi anni, questo che coincide con il settantesimo anniversario della liberazione. Come se le tragedie del Mediterraneo, la morte di Giovanni Lo Porto, e in generale i primi segnali di ricostruzione dopo una crisi devastante avessero contribuito a creare un minimo di condivisione non tanto tra i partiti, quanto nella vita pubblica. Una memoria condivisa della Resistenza è impossibile. Perché la memoria non si può cambiare, e ognuno ha la sua. La memoria di chi ha avuto le case bruciate a Boves, a Lanciano, ad Acerra, a Civitella Val di Chiana, a Gubbio, a Sant'Anna di Stazzema, a Marzabotto non può essere la stessa di chi quelle case ha bruciato o aiutato a bruciare. È possibile però una conclusione condivisa: chi ha combattuto i nazisti ha fatto la scelta giusta; chi, magari convinto in buona fede di servire la patria, ha combattuto accanto ai nazisti, ha fatto la scelta sbagliata. Può apparire un'ovvietà; ma è un'ovvietà che in Italia è spesso stata discussa. Se poi oggi si parla liberamente delle pagine nere della guerra dì liberazione, che ci sono state e sono rimaste a lungo taciute, questo non indebolisce ma rafforza il sentimento comune. Che però non è acquisito per sempre. Lo conferma l'assurda polemica contro la Brigata ebraica, che deve poter sfilare sempre e ovunque con onore, visto lo straordinario contributo che gli ebrei diedero alla Resistenza come partigiani e come combattenti nelle file alleate: era un ragazzino ebreo Franco Cesana, che si unì ai patrioti quando non aveva ancora tredici anni, e morì per salvare il suo comandante sulle montagne sopra Modena, Qualche strascico polemico rimane anche perché della Resistenza si è fatto troppo spesso un uso politico. La si è evocata ogni volta che si intendeva "resistere" contro qualche nemico. La si è impugnata per cause legittime, magari giuste, ma che non c'entravano nulla con la lotta al nazifascismo, Questo, insieme con il silenzio a volte calato sulle figure dei liberali e dei cattolici, ha reso più difficile che si affermasse l'idea corale della Resistenza, sostenuta dal lavoro politico-culturale di Cario Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, eredità ora raccolta da Sergio Mattarci la. Oggi il vero avversario di questa visione corale, più che le nostalgie, le facili assoluzioni, le equiparazioni impossibili, è l'indifferenza. I giovani, a parte qualche fanatico male informato, non hanno nulla contro la Resistenza; molti però non sanno che cosa sia. Non hanno mai sentito parlare dei martiri di Fiesole, tre carabinieri che vanno a farsi ammazzare in una domenica dell'agosto 1944, alla fine di un pomeriggio pieno di sole, per salvare dieci ostaggi civili. Non sanno che cosa dovette sopportare don Pietro Pappagallo, ucciso alle Ardeatine dopo aver confessato e assolto i compagni sul camion che li portava a morire. Non hanno mai ascoltato la storia delle suore Giuste tra le Nazioni per aver nascosto centinaia di ebrei, né della madre superiora di San Vittore, suor Enrichetta Alfieri, arrestata per aver aiutato i detenuti, compresi Indro Montanelli e Mike Bongiorno. Gino Bartali che pedala con i documenti falsi per i perseguitati nella canna della bicicletta, la partigiana cattolica Paola Del Din che viene paracadutata oltre la linea Gotica, i fucilati di Cefalonia, le lettere degli internati nei lager e dei condannati a morte, che non sono retoriche perché confermate dai fatti: la Resistenza è più viva che mai. Siccome ogni generazione ha la sua guerra da combattere, e quella contro la crisi e il degrado morale del nostro Paese è ancora da vincere, tocca a noi - ora che i resistenti se ne stanno andando - trasmettere il loro patrimonio morale ai nostri ragazzi. Giustizia: sono i pm e non gli appelli a "far morire" i processi di Francesco Petrelli (Segretario dell'Unione Camere Penali) Il Garantista, 25 aprile 2015 Come abbiamo più volte ricordato, sulla questione della riforma della prescrizione l'Unione Camere penali italiane non ha mai avuto posizioni di natura "ideologica" e si è sempre cercato di mantenere il confronto su basi razionali, denunciando piuttosto come spesso da parte di Anm o da parte della politica si sia inteso fare della questione prescrizione un uso simbolico, o di bandiera, con la quale rispondere ad una presunta (del tutto inesistente) aspettativa sociale. Peggio: si è cercato di approfittare di tale supposta aspettativa per introdurre nel sistema elementi pseudo-efficientisti, distorsivi dei già precari equilibri costituzionali dei nostri codici e di natura marcatamente anti-garantista. Abbiamo sempre ritenuto che la prescrizione viene di fatto affrontata come se fosse una malattia e non invece come un sintomo di una patologia del sistema che non si vuole realmente affrontare, impegnandosi in maniera del tutto erronea a cancellare il sintomo: il che come si sa non risolve il problema e non fa altro che aggravare il male. Se si vuole piuttosto approdare ad una effettiva esigenza di razionalizzazione del sistema, occorre conoscere i veri mali del processo, che la prescrizione, come fosse una inesorabile sonda diagnostica, evidenzia in maniera ineccepibile. Visto che la maggior parte dei processi (fra l'87,5 ed il 55,3%) si prescrive nel corso delle indagini preliminari (a conferma dei dati forniti all'epoca dal viceministro Costa), mentre solo il 17% in fase di appello e lo 0,4% nel successivo giudizio di legittimità, il nostro lungimirante e occhiuto legislatore, terapeuta avveduto, cosa fa? Interviene sulla fase delle indagini? Impone termini perentori al Pubblico Ministero perché chiuda le indagini con le cadenze imposte dalla legge e perché eserciti l'azione penale nei tempi previsti dal Codice? Niente affatto! Interviene sulle impugnazioni allungando di tre anni i termini di prescrizione. Interviene proprio là dove il problema della prescrizione incide meno. A confronto con gli esponenti della politica, queste cose le abbiamo dette, e alla politica le ha dette anche l'accademia, anch'essa questa volta compatta e severa nel sollecitare soluzioni diverse che colgano i segni veri dello squilibrio, senza lasciarsi trascinare in una rincorsa demagogica che trasforma il processo in un danno per il colpevole e per l'innocente, per le vittime dei reati e per la collettività intera. In un Paese che spende, come di recente denunciato da Mario Barbuto, 8 milioni di euro al mese per i ritardi della giustizia, l'allungamento dei tempi prescrizionali con l'inevitabile conseguente parossistico allungamento dei tempi processuali diviene un ulteriore motivo di disagio, un altro accumulatore di ingiustizia, se è vero che il rimedio dell'ingiustizia patita giungerà solo dopo decine di anni di drammatica attesa nella pendenza di interminabili giudizi. In attesa che il Senato decida, nel perdurante stato di agitazione dell'avvocatura penale, e forse avvertendo una qualche debolezza del fronte a sostegno del Ddl, e la sua radicale irrazionalità denunciata dagli stessi dati ministeriali, la guerra dei numeri sul fonte della politica maldestramente prosegue. Chiede ora il Senato "approfondimenti statistici sulla prescrizione". Pensavamo ingenuamente che simili studi si facessero prima di formularle, le proposte di legge, ma tant'è. Non è mai troppo tardi. Stando dunque a tali dati secondo il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, negli ultimi anni (2011-2013), sarebbero in diminuzione le prescrizioni nella fase delle indagini ed in aumento quelle nella fase di appello. Ma il dato va corretto: la percentuale citata del 17% delle prescrizioni in appello è da riferire, non al totale dei processi pendenti in quella fase, bensì al totale delle prescrizioni maturate in un anno per cui non può certo dirsi che "quasi due processi su dieci che approdano in appello finiscono in nulla". Ed anche qui, a voler essere dei buoni diagnosti, dovrebbe correttamente porsi il problema se spesso i giudici di Appello non siano in realtà le vittime di ritardi altrui! Dei ritardi maturati nella fase delle indagini del pm delle quali nessuno pare voler parlare. Giustizia: la sparizione del "416 c.p.", così si abusa dell'accusa di mafia di Vincenzo Vitale Il Garantista, 25 aprile 2015 Oltre che le persone, in Italia spariscono anche le norme. È ciò che è accaduto all'art. 416 non bis del Codice penale, regoletta mai ufficialmente abrogata, ma sempre meno applicata. L'art. 416 del codice penale prevedeva il reato di associazione a delinquere semplice, vale a dire non connotata dai requisiti essenziali che, individuati poi dal successivo art. 416 bis, l'avrebbero fatta tracimare in associazione a delinquere di stampo mafioso. Fu una norma utile per molti aspetti, perché serviva a colpire con una efficace imputazione iniziative comuni di più soggetti che fossero indirizzate al medesimo scopo delittuoso e se ne fece uso per decenni, almeno fino alla metà degli anni ottanta. Tuttavia, proprio a decorrere da quel momento e poi in modo sempre più deciso soprattutto a far data dalla fine degli anni Novanta, invano si cercherebbe negli archivi degli uffici giudiziari italiani una qualche imputazione costruita sulla base della associazione a delinquere semplice, perché il terreno investigativo e accusatorio che le era proprio è stato progressivamente eroso, ed oggi in modo quasi completo, dal ricorso alla norma successiva: quell'art. 416 bis che appunto disegna l'associazione a delinquere di stampo mafioso e che ha finito con lo spodestare l'associazione semplice. La materia sarebbe senz'altro di interesse della sociologia giudiziaria alla quale potrebbe affidarsi il compito di comprendere come e perché questo strano esito si sia verificato; ma anche il penalista potrebbe essere indotto ad interessanti analisi, per non parlare della lettura che potrebbe offrirne il filosofo del diritto. Tuttavia, è bene limitarsi qui ad alcuni esempi paradigmatici per comprendere meglio il significato giuridico del fenomeno. Scegliamone due. Il primo è quello recente che è stato denominato mafia di Roma capitale: per capirci, quelle vicende che vedono come protagonista Salvatore Buzzi ed altri soggetti a vario titolo vicini al Comune di Roma. Nell'ambito di tutto il variopinto materiale che da ormai tre mesi viene pubblicato dai giornali in ordine a tali vicende, emerge tutta una serie di rapporti fra soggetti pubblici e privati sui quali certo si dovrà far luce, rapporti forse di dubbia consistenza sul piano della correttezza e della legalità, anche se i singoli protagonisti debbono ancora spiegare le loro difese che vanno attentamente assunte. Detto questo, però, non si vede davvero dove si possano rintracciare i connotati che l'art. 416 bis richiede perché si possa sensatamente parlare di associazione mafiosa: l'omertà, la forza di intimidazione nascente dal vincolo, la condizione di assoggettamento che ne deriva per gli altri, allo scopo di conseguire in modo diretto o indiretto vantaggi o profitti ingiusti. Se c'era malaffare, si trattava probabilmente di un malaffare tradizionale, messo in opera da più soggetti nel proprio interesse a scapito della corretta gestione della cosa pubblica, ma si fatica a scorgervi il vincolo associativo mafioso per la semplice ragione che esso non c'è. Il secondo esempio è quello di Giulio Lampada, di cui abbiamo ieri fatto cenno a proposito dello stato di salute incompatibile con la detenzione in carcere. Anche in questo caso, un fiume di imputazioni che si susseguono come un rosario senza fine, ma completamente privo dei requisiti pretesi dalla legge perché si possa sensatamente contestare l'associazione mafiosa. Anzi, nel caso di Lampada, si è fatto di più. Si è cioè affermato che per concretizzarsi il delitto di associazione mafiosa non occorre più l'intimidazione che induce alla costrizione psicologica della vittima, necessaria - nello schema normativo - a far conseguire il profitto illecito, ma basta, al contrario, quello che è stato definito il nuovo volto della mafia: un volto mascherato di dolcezze e di buone maniere, di sorrisi e cortesie, una mafia da salotto, insomma, ma non per questo meno mafiosa. È evidente come in questa prospettiva del tutto svincolata dai presupposti che l'art. 416 bis - pur nella sua eccessiva elasticità - richiede, si possa giungere a vedere mafia - e a condannare per mafia - dove mafia non è. E se, come ammoniva Leonardo Sciascia, tre decenni or sono, tutto diviene mafia, allora nulla lo è più. Paradossalmente infatti, se - a titolo di esempio - più soggetti collegati fra loro riuscissero ad ottenere vantaggi ingiusti raccontando divertentissime barzellette agli ignari destinatari, i quali, ridendo a crepapelle e perciò allentando i necessari controlli, sarebbero meglio esposti alle ruberie del caso, potrebbe affermarsi che la nuovissima mafia manifesta il suo vero volto raccontando barzellette? Dal punto di vista del ragionamento usato nel caso di Lampada, dipinto come il nuovo paradigma del capomafia da salotto, le cose stanno nello stesso modo. Aspettiamo dunque un qualche provvedimento giudiziario che lo affermi, che dica cioè che raccontare barzellette, purché irresistibili allo scopo di ottenere vantaggi ingiusti, può anche essere una nuova modalità di manifestarsi della mafia: tanto non occorre più né omertà, né intimidazione da parte del mafioso, né assoggettamento delle vittime. Prima o poi vedremo anche questo. Giustizia: Cassazione; valutare la richiesta del detenuto di stare in una cella "no smoking" di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2015 Corte di cassazione - Sezione I penale - Sentenza 23 aprile 2015 n. 17014. Va affrontata seriamente la richiesta del detenuto di essere trasferito in una cella per non fumatori. In generale, per la Cassazione, sentenza 17014/2015, tutti i reclami che lamentano la violazione di "diritti soggettivi", fa cui svetta la carenza di spazio, non possono essere liquidati con formule generiche ma esigono sempre una valutazione concreta delle condizioni della carcerazione. Il caso - Il magistrato di sorveglianza di Cosenza aveva respinto tutte le doglianze di un detenuto. Riguardo la dedotta impossibilità di utilizzare la lavanderia esterna, il giudice ha stabilito che dipendeva soltanto dall'assenza della specifica domanda. Non era vero, invece, che il farmaco richiesto non gli veniva somministrato essendo al contrario provato che ne riceveva gratuitamente uno equivalente. Mentre la cella (per sei persone) era "in linea con quanto prescritto dalla legge". La motivazione - Proposto ricorso, i giudici di legittimità hanno in primis chiarito che, dopo la sentenza della Consulta 26/1999, il ricorso per Cassazione avverso il rigetto dei reclami dei detenuti è sempre "ammissibile nella misura in cui si verta in tema di indebita limitazione dei diritti soggettivi". Per cui, prosegue la sentenza, mentre la questione della lavanderia esula da tale categoria, le altre doglianze meritano di essere valutate riguardando "situazioni tali da incidere sul diritto alla salute e sul diritto ad una pena detentiva in linea con il divieto di trattamenti inumani". E se non vi è motivo di dubitare della idoneità del farmaco, con riguardo invece alla spazio intramurario "il provvedimento impugnato non affronta realmente i temi posti nei reclami". In assenza di una chiara regolamentazione normativa, infatti, la Suprema corte ricorda che il "parametro di riferimento" resta la sentenza Torreggiani emessa dalla Cedu nel 2013 dove si stabilisce che lo spazio minimo a disposizione del detenuto "non può essere inferiore a tre metri quadrati". Ciò detto, continua la Corte, "il giudice del reclamo è chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione". Al contrario, nel caso in esame "il provvedimento si limita ad affermare che la camera detentiva è in linea con quanto prescritto dalla legge senza precisare qual è la sua superficie in rapporto al numero delle persone che la occupano". "Si tratta di risposta non adeguata", chiosano i giudici. Infine con riferimento alla questione del fumo passivo, la Corte stabilisce che mentre la richiesta di essere messi in una cella dove si può fumare rende la doglianza inammissibile, la domanda opposta investendo un "aspetto indubbiamente correlato alla tutela del diritto alla salute" merita una risposta adeguata. Giustizia: Migliucci (Ucpi); sentenze difformi, ora il Cav ha più speranze a Strasburgo di Paolo Emilio Russo Libero, 25 aprile 2015 Intervista a Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Due sentenze, troppe anomalie. Tante da far venire il sospetto che la giustizia quando si tratta di Silvio Berlusconi "tiri" le norme come se fossero un elastico. Il giurista Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione camere penali, ammette che sì, la Cassazione e il medesimo relatore si sono "rimangiati" nel 2014 una loro sentenza di un anno prima. Presidente Migliucci, c'è un magistrato che smentisce se stesso e una Corte che si rimangia una sentenza definitiva. Non è così? "Non c'è dubbio che l'estensore di una sentenza, che poi è il relatore, sia la persona che può dare l'interpretazione autentica della Corte. Nella sentenza del 2014 si rileva che esistono evidenti difformità nella interpretazione e nell'applicazione della legge tra il caso in esame e quello che ha portato alla condanna di Berlusconi". In cosa consiste, a suo avviso, la difformità? "C'è una diversa valutazione su quanto occorre perché si configuri il reato per il quale è stato condannato l'ex premier. Tecnicamente si parla di un reato bifasico. Non basta cioè, come è stato ritenuto, che vi sia un coinvolgimento diretto dell'imputato nella fase propedeutica della commissione del reato fiscale, ma, visto che si tratta di un reato istantaneo, serve che lo si commetta presentando una dichiarazione dei redditi viziata". Semplifichiamo: non è sufficiente che un cittadino scriva bilanci falsi se poi non presenta la dichiarazione dei redditi? "Esattamente. Il reato così come è stato configurato dal legislatore dispone che esiste sì una fase propedeutica alla commissione del reato che si verifica attraverso comportamenti fraudolenti, ma che il reato, nel caso, diventa tale solo al momento della presentazione della dichiarazione". Nel processo a Berlusconi le cose sono andate diversamente. "Lo stesso relatore dell'ultima sentenza, quasi a prendere le distanze dalla precedente, rileva che "non può essere condivisa" la linea tenuta nel caso Agrama (quello in cui era coinvolto l'ex premier ndr) quando si è "ritenuto sufficiente" per una condanna la fase propedeutica. Per la legge, al contrario, se un cittadino pone in essere comportamenti fraudolenti ma non consegna la dichiarazione, quella è una parte propedeutica non punibile". Berlusconi è stato condannato forzando la legge? "Io posso darle solo un parere tecnico, non entro nel merito. Certamente, però, a pagina 10 come a pagina 14 della sentenza del 2014 il giudice relatore ritiene "non condivisibile" l'interpretazione fatta dalla stessa Corte due anni prima e rileva una difformità dalla giurisprudenza anche delle Sezioni unite. Si tratta oltretutto di una sentenza molto completa e puntualizza che l'unico caso di concorso ammissibile è quello di chi determini o istighi alla presentazione della dichiarazione dei redditi". La Corte ha voluto smentire attraverso un comunicato stampa incongruità tra le due sentenze. "Premesso che è anomalo che un ufficio relazione con i mezzi di informazione debba dare una interpretazione delle sentenze, in realtà non mi pare che si possa condividere il comunicato: è lo stesso relatore della sentenza 2014 ad individuare difformità". Ma è possibile che la stessa norma venga applicata in maniera diversa a seconda di chi sono gli imputati? "Può capitare, evidentemente. Ma sarebbe bene che l'interpretazione delle norme fosse univoca e chiara, secondo un criterio di prevedibilità: il cittadino deve sapere con chiarezza cosa è un reato e cosa no". Berlusconi fa appello alla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Ritiene che alla luce dei nuovi sviluppi la Corte potrebbe dargli ragione? "Non so a cosa abbiano fatto riferimento i suoi legali nell'appello, quindi non posso entrare nel merito. Certamente questa difformità di interpretazione della legge italiana è un argomento che lì può essere fatto valere e potrebbe incidere sull'esito. Al contrario ritengo molto difficile che l'argomento si possa far valere per chiedere una revisione del processo in Italia anche per il principio di invulnerabilità del giudicato penale, che forse meriterebbe qualche riflessione". Toscana: il penitenziario modello di "Solliccianino" non verrà chiuso di Damiano Aliprandi Il Garantista, 25 aprile 2015 Solliccianino non ospiterà gli ex detenuti Opg, ma ora che fine faranno? le strutture mancano. Il carcere modello Gozzini non sarà più destinato ad ospitare gli internati dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo. La regione Toscana fa finalmente marcia indietro: dopo le numerose proteste, salta, infatti, la destinazione del carcere "Gozzini", il cosiddetto Solliccianino. Esultano i Radicali, le Camere penali, l'associazione "L'altro diritto" e anche gli stessi detenuti del Gozzini che avevano annunciato uno sciopero della fame. Il fatto che la struttura sia un carcere a custodia attenuata, un'esperienza all'avanguardia nel lavoro di recupero e reinserimento dei detenuti, aveva sollevato proteste sulla scelta di trasferire proprio lì gli internati dell'Opg. Ora la Regione ha deciso di cambiare direzione, come ha annunciato al consiglio comunale di Montelupo, mentre resta ancora da capire quale possa essere la soluzione, ovvero dove andranno questi in ternati. Al momento le voci che circolano indicherebbero l'ex ospedale psichiatrico di Volterra. E stato il piddino Giachetti, parlando ai microfoni di Radio Radicale , che ha dato per primo la notizia: "Si stava rischiando di buttare tutto a mare. Dopo la mia interrogazione e grazie all'interessamento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, la regione Toscana si è accorta che era una soluzione improponibile". Giachetti stesso ha dato notizia che la regione sta valutando di destinare gli ex internati a Volterra. Sulla questione intervengono Massimo Lensi e Maurizio Buzzegoli, presidente e segretario della Associazione Radicale "Andrea Tamburi": "Finalmente il processo di superamento dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo sembra giunto a un momento decisivo. Nelle prossime ore la Regione Toscana dovrebbe annullare, in via definitiva, la decisione di trasferire gli internati psichiatrici al carcere a custodia attenuata Gozzini di Firenze. Un ripensamento saggio, frutto di una importante mobilitazione che ha visto in prima linea i radicali fiorentini, impegnati insieme alla segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, per scongiurare lo smantellamento di un'esperienza di eccellenza come Solliccianino e per il rispetto della legge 81/2014. Ringraziamo per la maturità dimostrata i detenuti del Gozzini e il vicepresidente della Camera dei Deputati, Roberto Giachetti che ha presentato nei giorni scorsi una decisiva interrogazione sull'argomento. La nostra attenzione resta comunque altissima. Si parla, infatti, di realizzare la Rems toscana (residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) nell'ex ospedale psichiatrico di Volterra". Lenzi e Buzzegoli ribadiscono però la loro richiesta di commissariamento della Regione: "Occorre dunque vigilare affinché i tempi e le modalità per individuare le alternative di gestione del disagio psichiatrico che dà luogo a pericolosità sociale siano in sintonia con le disposizioni delle leggi 81/2014 e 9/2012. Ribadiamo quindi, a maggior ragione dopo il gran pasticcio del Gozzini, la richiesta che la Regione Toscana sia commissariata. Ancora la presa in carico degli internati psichiatrici da parte del Servizio sanitario regionale non è avvenuta e a questo punto ci sembra opportuno e necessario che il Governo nomini con urgenza un commissario in sostituzione (ad acta) così come previsto dalla legge 81. Ogni giorno che passa, infatti, dalla data del 31 marzo è un giorno in violazione di legge". Ma che cos'è l'ex manicomio di Volterra dove si vorrebbero trasferire gli internati dell'opg? Ebbe origine nel 1888 nella costituzione di una sezione per "dementi" all'interno del ricovero di mendicità dell'ex convento di San Girolamo. Nel 1902 nacque come Frenocomio S. Girolamo e nei decenni successivi l'istituzione conobbe un notevolissimo sviluppo, ampliandosi progressivamente con officine, servizi, una vera e propria azienda agraria, la costituzione di una sezione giudiziaria. Negli anni Cinquanta e Sessanta conobbe un vasto sviluppo tale da essere considerato, fino alla famosa legge Basaglia del 1978, uno dei manicomi più grandi d'Italia con oltre 100 mila metri cubi di volume. Fino al 1975, anno in cui la legge 180 pose fine all'esistenza dei manicomi, andare a Volterra significa spesso finire internati nell'ospedale psichiatrico Ferri. La struttura era composta da tre edifici principali in cui trovarono ricovero anche 6000 persone contemporaneamente, con 20 lavandini e 2 cessi ogni 200 degenti: un inferno sulla terra, in cui si poteva essere rinchiusi ai primi sintomi di depressione, di presunta schizofrenia o anche per accuse politiche o di morale. Per un trattamento a base di scariche elettriche, comi indotti con insulina e tutto un prontuario di pillole e veleni somministrati per "testare" i risultati ignorando completamente le conseguenze spesso irreversibili sui pazienti. Attualmente la struttura è in un profondo, tragico e inquietante processo di totale abbandono e il camminare in quei luoghi trasmette un infinito senso di rabbia e impotenza, sentimenti che insieme alla solitudine venivano sicuramente percepiti dai pazienti rinchiusi in un inferno senza tempo. L'ospedale, dopo la sua chiusura, è diventato tristemente famoso per i graffiti di Nannetti Oreste Fernando, 180 metri di muro esterno in cui Nof4, come lui stesso si firmava, ha inciso nei lunghi anni di degenza un'opera enciclopedica di sentimenti, biografie e crimini subiti e testimoniati. Parole, poesie, disegni scavati nella pietra gialla con la fibbietta del gilet della divisa dei matti reclusi. L'ospedale ha ispirato il cantautore Simone Cristicchi nella sua "Ti regalerò una rosa", immaginaria lettera di Antonio, chiuso in manicomio da quando era bambino. Molto probabilmente sarà riaperto per ospitare nuovamente i "pazzi". La domanda nasce spontanea: la regione Toscana aveva avuto tutto il tempo per trovare un luogo diverso per sostituire i manicomi criminali. Perché riaprire proprio un ex manicomio con un passato che non dovrebbe ritornare mai più? Bolzano: luci e ombre di un carcere a "5 stelle", il primo in partnership pubblico-privato di Tiziana Balilla e Giacomo Zandonin Left, 25 aprile 2015 La Provincia di Bolzano realizza il primo penitenziario in partnership con un privato: 220 posti per 87 detenuti, vetrate per il sole, ampi spazi di socialità e uno stadio. Il Garante per i diritti dei detenuti: "La struttura è sovra-dimensionata rispetto alle esigenze del territorio". E c'è già chi denuncia "l'affare". Le esperienze internazionali sono devastanti: negli Usa si è creato un business per cui il numero dei detenuti non può diminuire per questioni di profitto. Se ne parla poco o niente del nuovo carcere di Bolzano. Eppure sarà la prima casa circondariale d'Italia realizzata con il sistema del partenariato pubblico-privato (Ppp): il pubblico detta linee guida e obiettivi, il privato esegue. Una novità, tra le Dolomiti, per altre due ragioni: la prima, è che il soggetto pubblico in questione è la Provincia autonoma (per conto dello Stato). La seconda, è che oltre alla costruzione della struttura, il privato si occuperà di gestire anche diversi servizi. Ovviamente non quelli di sicurezza, in capo al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e sanitari, affidati all'Asl. Un esperimento importante, con l'ambizione - come scrive l'avvocato Massimo Ricchi, consulente della Provincia di Bolzano - di diventare un "modello giuridico, tecnico ed economico finanziario ripetibile". Il nuovo carcere sorgerà nella periferia della città, accanto all'aeroporto. Per la sua realizzazione la Provincia ha già espropriato quasi 42.000 metri quadri di frutteti, sborsando 15,8 milioni di euro. Avrà più piani, per una cubatura di circa 85.000 metri cubi, una palestra, un capannone lavorazioni, un teatro e un campo da calcio a 7 con dimensioni regolamentari. Una struttura innovativa, assicurano i partner del progetto, un'opportunità. Un pò perché il vecchio carcere "è una vergogna", un pò perché da queste parti nessuno mette in dubbio che "la Provincia autonoma sia molto più affidabile dello Stato". Eppure i dubbi non mancano, soprattutto sull'ampliamento delle responsabilità del privato. Per capirne di più, Left è andata in Alto Adige. Ma al nostro arrivo, l'impressione è stata di cogliere tutti di sorpresa. Tra i "non ne so nulla" e non poca diffidenza, valicare le mura di un carcere rimane difficilissimo, anche quando non è ancora stato costruito. Galera a 5 stelle? "Questo progetto diventerà il fiore all'occhiello della nostra Provincia", dice soddisfatto il presidente Arno Kompatscher. Che, per rendere l'idea, scomoda persino l'autore di Dei delitti e delle pene: "Alla fine la struttura dovrà raggiungere l'obiettivo posto da Cesare Beccaria: la funzione educativa della pena". Kompatscher, 44 anni e piglio deciso, esponente del Sùdtiroler Volkspartei, eredita la guida della Provincia autonoma da Luis Durnwalder, che da queste parti chiamano il Kònig (il re). Durnwalder, 25 anni di governo ininterrotto, nel 2014 lascia il suo impero con l'ultima scommessa: il nuovo carcere di Bolzano. L'affare passa a Kompatscher, che non ne va meno fiero: "Oltre alla costruzione della struttura, la procedura di appalto prevede l'impegno dell'assegnatario a migliorare il progetto, trovando soluzioni moderne, per un penitenziario degno di questo nome", spiega. Due mesi dopo la comunicazione del vincitore dell'appalto - la cordata guidata da Condotte spa, storica società capitolina delle costruzioni civili - il presidente non entra nei dettagli di quella che ritiene "un'impostazione della gestione molto innovativa a livello internazionale". E non lo fanno nemmeno i costruttori romani, perché "il progetto è soggetto a particolari condizioni di segretezza", spiegano a Left. Chi, nonostante la segretezza, sembra saperne di più, è Alessandro Pedrotti, direttore di Odós, progetto per ex carcerati della Caritas provinciale, in gran parte finanziato dalla Provincia. "Non abbiamo un ruolo diretto - precisa - ma ci siamo affiancati alla Provincia e al Dap perché siamo convinti che il carcere nuovo, essendoci delle risorse, dovesse avere determinate caratteristiche". Pedrotti ci mostra un plico: "Dentro le mura, fuori dal carcere", 60 pagine di pubblicazione che illustrano una ricerca finanziata proprio dalla Provincia con fondi europei. "Abbiamo studiato alcune best practices anche con visite di studio organizzate dalla Provincia, in particolare in Austria", racconta. Le buone pratiche segnalate dalla ricerca riguardano strutture francesi, norvegesi e austriache. Un esempio? Il carcere di Leoben, in Austria, dove la sala della biblioteca è circondata da ampie vetrate per permettere l'ingresso della luce. "Bisogna riconoscere la luce a una persona detenuta?", si chiede Pedrotti. "Io vi dico cosa succede quando una persona sta diversi mesi o anni in un carcere: quando esce rischia di finire sotto una macchina, perché non ha più un orizzonte di luce, ma il suo orizzonte è a tre metri. Queste vetrate non costano più del cemento armato". Lo studio è articolato, parla di umanizzazione, spazi di socialità e interazione con l'esterno. Ma i costruttori ne terranno conto? "Immagino di sì", spera Pedrotti. E Condotte precisa che "ha al suo interno anche le competenze necessarie" e che "ai fini del reinserimento sociale dei detenuti, saranno coinvolti quanto più possibile i detenuti stessi, attraverso le cooperative sociali, soprattutto quelle presenti sul territorio". I dubbi. "Quando mai si è potuto interloquire con l'amministrazione penitenziaria sul tema della costruzione di un carcere?", si chiede il responsabile della Caritas. "Il fatto che si sia aperto uno spiraglio è positivo". Quello spiraglio, però, qualcuno non lo intravede, come Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti per i diritti dei detenuti. Corleone fa parlare i numeri: a marzo 2015 a Bolzano ci sono 87 detenuti su 91 posti, e il nuovo carcere prevede 220 posti. "È un dato enorme", commenta il Garante. "A Bolzano ne basterebbe uno molto più piccolo. E poi l'altro carcere regionale, quello di Trento, su 418 posti ne occupa appena 211, non si capisce perché tenere mezzo vuoto Trento. La distanza è poca, i detenuti sono per la maggior parte stranieri e hanno pochi legami sul territorio". La nuova struttura, insomma, per Corleone è sovradimensionata rispetto alle esigenze del territorio. Nessun problema di sovrappopolamento, quindi. E le condizioni umanitarie? Chi sostiene il nuovo progetto alto-atesino parla dell'attuale istituto come di una struttura indecente. Una visione che Florian Kronbichler, deputato di Sei e visitatore regolare del vecchio carcere, condivide solo in parte: "Che sia fatiscente è in parte voluto", accusa il deputato che denuncia l'assenza prolungata di manutenzione. "La verità è che l'attuale carcere di Bolzano si trova in una zona residenziale, la migliore della città, la più cara", taglia corto. E dunque, tanto di guadagnato per la Provincia, che con l'intesa istituzionale del 19 marzo 2010, ha acquisito dallo Stato il vecchio carcere, che essendo situato in pieno centro si presta a ottimi investimenti, e costruendo invece il nuovo edificio penitenziario in periferia. Chi è il privato? Ad aggiudicarsi il bando, con un ribasso di quasi 10 milioni di euro che ha staccato gli altri cinque concorrenti, è Condotte spa. Nata nel 1880, la società romana è fortemente legata alla storia d'Italia, tanto che nel 2000 lo Stato ne celebra i 120 anni con un francobollo ad hoc. Nel 1970 Michele Sindona la rileva dalla Santa Sede, per poi rivenderla all'Iri, da cui diventa indipendente nel 1997, dopo la privatizzazione dell'istituto. All'attivo ha acquedotti e ponti sospesi in mezzo mondo, il tunnel del Monte Bianco, buona parte della metropolitana milanese, il Tav in Toscana. Tra una grande opera e l'altra, i costruttori romani si imbattono un paio di volte in imbarazzanti vicende giudiziarie: nel 2012 tre dirigenti locali di Condotte vengono arrestati durante l'operazione "Bellu lavuru", sui lavori di ammodernamento della statale 106 Jonica. Condotte aveva subappaltato a due società, considerate dalla Procura distrettuale antimafia "creature" della potente cosca di Africo Nuovo (quella di Giuseppe Morabito, il Tiradritto), ma i vertici della società sono ritenuti estranei ai fatti dall'allora procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pigna-tone, perché "non coinvolti direttamente". Poi, nel 2014, quando salta fuori lo scandalo sul Mose di Venezia, Condotte è tra le aziende del raggruppamento "Consorzio Venezia Nuova" che stava realizzando l'opera, tanto che un suo dirigente patteggia due anni, pena poi sospesa, e una multa di 700.000 euro. A Bolzano l'impresa romana si è presentata con Inso, una sua controllata, già leader nell'edilizia ospedaliera e abituata al partenariato pubblico-privato. La cordata si è avvalsa della collaborazione di diversi studi di progettazione, fra cui i locali Pasquali Rausa Engineering, Bwb Ingenierbùro e Jesacher Geologieboro. La commissione tecnica composta da Dap, Provincia e consulenti economico-finanziari - e guidata dal funzionario e già segretario generale della Provincia Hermann Berger - ha impiegato più di un anno prima di approvare l'offerta di Condotte, che fissa a 31,8 milioni il costo della costruzione. Dati economici più precisi, spiega Condotte, per il momento non è possibile averne, perché la procedura di aggiudicazione non è ancora conclusa. Quello che si sa è che la Provincia restituirà a Condotte il 45% dell'investimento in conto capitale e il resto tramite un canone, da definire se annuale o semestrale. Un sistema che, per Berger, garantisce un controllo in itinere: "Chiaramente non pagheremo il canone se non saremo soddisfatti. Se, nel nostro caso, la direttrice non sarà contenta potrà applicare le penali o rifiutarsi di staccare l'assegno nei confronti della ditta". Con il Ppp, sottolinea Berger, "se io devo realizzare una cosa della quale rispondo in termini di gestione per un determinato lasso di tempo, piuttosto che incasinarmi tra qualche anno preferisco costruire bene". I rischi. Franco Corleone teme che l'esperimento bolzanino possa essere un passo avanti dei privati fin dentro il cuore del mondo penitenziario. A preoccuparlo per esempio è la gestione dei servizi sociali: se nel Gruppo osservazione trattamento (che valuta il percorso del detenuto, decidendo i permessi premio e le misure di semi-libertà) accanto agli agenti del Dap, ai medici e agli psicologi dell'Asl entreranno i dipendenti di una società privata, il peso del privato sulla vita dei detenuti sarà significativo. Secondo Mauro Palma, consigliere del ministro Andrea Orlando per la tematiche sociali e della devianza, il rischio non dovrebbe esserci. Ma la questione rimane aperta. E Corleone bacchetta il Dap: "È garantito dal fatto che l'edificio rispetta i parametri di sicurezza, poi quello che c'è dentro importa poco". Davvero al ministero basta che siano garantiti i parametri di sicurezza? II consigliere Palma prova a rassicurare: "Da parte del ministero c'è una vigilanza sul progetto e attenzione al modello di detenzione". Ma allo stesso tempo ammette: "Mi sono ripromesso d'informarmi meglio, per capire se è il caso o meno di sollevare un campanello d'allarme". Se il consigliere Palma ha una certezza è che "oggi in Italia non ci sia nessuna intenzione di andare verso una privatizzazione di questo settore. Pensare che questo progetto sia emblematico di qualcos'altro mi sembra paranoico". Quello di Bolzano non sarà il primo carcere privato d'Italia, ma lo spettro della privatizzazione continua ad aggirarsi sul sistema penitenziario. Franco Corleone, tira fuori l'argomento senza giri di parole: "Nessuno osa dire che vuole affidare la sicurezza al privato, perché le esperienze internazionali sono devastanti: negli Stati Uniti si è creato un business per cui il numero dei detenuti non può diminuire per questioni di profitto. L'obiettivo è che i detenuti in Italia, che adesso sono passati da 62.000 a 54.000, siano al massimo 20.000. Meno detenuti e non carceri più grandi". Cagliari: incontro Progetto europeo Rehab, per migliorare qualità della vita nelle carceri Ansa, 25 aprile 2015 Rendere migliore la qualità della vita nelle carceri e ridurre i comportamenti recidivi dei detenuti: questi gli ambiziosi obiettivi del progetto Rehab, che il 2 giugno vedrà tutti i partner riuniti a Cagliari. Rehab coinvolge Università della Tuscia, Simspe Onlus - Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, Spanish Society of Prison Health (Sesp), Birmingham City University (Bcu) e il gruppo di ricerca francese Gertox. Il problema comune da affrontare in vari Paesi europei è quello dell'aumento della popolazione carceraria, in condizioni spesso carenti e che creano stress sia per i detenuti sia per il personale delle strutture. I primi soffrono di problemi psicologici, di salute, e di esclusione sociale, mentre lo staff delle prigioni soprattutto dello stress legato al tipo di lavoro. Il sovraffollamento degli istituti di pena in Europa, insieme ai problemi sanitari, richiedono un'azione urgente. Questo progetto pilota si occupa di capire come le condizioni di vita in carcere abbiano un effetto in termini di salute e come si possa fornire un'assistenza mirata, cure e prevenzione. Perugia: dalla Cooperativa "Frontiera lavoro" iniziativa per il reinserimento dei carcerati Giornale dell'Umbria, 25 aprile 2015 Il progetto "Intra" ha dato lavoro a 13 detenuti e ha migliorato i rapporti all'interno della struttura. Grazie al progetto "Intra", gestito dalla cooperativa sociale "Frontiera lavoro", solo nell'ultimo anno 13 detenuti del carcere di Capanne sono stati inseriti nel mondo del lavoro. L'iniziativa ha coinvolto una novantina di detenuti in quattro diversi corsi di riqualificazione professionale: per addetti alla cucina, alla piccola manutenzione, alla conduzione di imprese agricole e all'abbigliamento. Da questo tipo di esperienze è stato possibile anche implementare le attività produttive dell'azienda, la "Fattoria Capanne", i cui prodotti agricoli possono essere acquistati ogni settimana al Mercato coperto o a quello di Pian di Massiano. I percorsi di crescita personale e professionale sono solo uno degli aspetti più significativi della nuova stagione che stanno vivendo i carceri italiani, tra cui quello perugino. Ieri mattina, infatti, gli studenti dell'Istituto superiore "Rosselli" hanno avuto un incontro con il direttore della Casa circondariale di Capanne, Bernardina Di Mario, con il commissario di Polizia penitenziaria Andrea Tosoni e tre detenuti, a dimostrazione dei cambiamenti che stanno avvenendo all'interno delle carceri. Hanno partecipato anche Clara Salvi dell'Associazione perugina volontariato e Luca Verdolini e Paola Bonelli di "Frontiera Lavoro". Trattamenti personalizzati, esperienze formative ed istruttive, percorsi di reinserimento lavorativo: le carceri italiane, secondo le informazioni fornite dai diretti interessati, si stanno sempre più orientando verso nuove modalità di detenzione. La struttura di Perugia, per esempio, è passata dai 630 detenuti del 2012 (a fronte di una capienza tra i 450 e i 480 posti), a 350, rendendo più vivibile il periodo di detenzione. "Oggi stiamo vivendo una situazione ottimale e di fermento", ha commentato la direttrice dell'Istituto di Capanne Di Mario. "Frutto di un percorso che ha visto l'Amministrazione penitenziaria mettere al centro dell'attenzione il "reinserimento", ovvero la rimozione dei fattori che sono stati ostacolo alla crescita della persona spingendola a commettere il reato. Il nostro modo di agire è cambiato - ha proseguito Di Mario - abbiamo messo in atto percorsi trattamentali differenziati sulla base di una approfondita conoscenza della persona. Abbiamo aperto gli spazi in maniera proporzionale al grado di affidabilità del detenuto". Così facendo sono diminuite le tensioni tra gli ospiti e tra loro e il personale, tanto che i rapporti disciplinari sono stati abbattuti dell'80%. In questo percorso, a detta della direttrice Di Mario, si sono rivelati di fondamentale importanza gli interventi delle Istituzioni esterne (Regione, Provincia e Comune di Perugia) "che hanno riempito di contenuti il tempo della detenzione". Ora la città tutta collabora con il carcere, e questo è diventato parte integrante della stessa. "La strada imboccata è quella giusta - sono ancora le parole della direttrice - ogni politica di segregazione crea caos, e il caos crea insicurezza. Le politiche di inclusione al contrario creano ordine e l'ordine crea sicurezza". La Spezia: lavori di pubblica utilità, muro della stazione tirato a lucido da otto detenuti Gazzetta della Spezia, 25 aprile 2015 Il grande muro della stazione recentemente è stato in buona parte pulito dalle erbacce restituendolo a miglior decoro. A calarsi dal parapetto con le funi, evitando così la problematica installazione di ponteggi, otto detenuti del carcere di Villa Andreino. Gli otto stanno partecipando ad un programma di formazione lavoro volontario ed hanno realizzato interventi di pulizia e manutenzione del verde anche sui sentieri che raggiungono il Parco delle 5 Terre e nella Palestra nel verde del Parodi. Questi lavori, sono particolarmente utili e preziosi a maggior ragione in un momento in cui i Comuni hanno difficoltà economiche e non riescono a garantire tutta la manutenzione necessaria. Ma la cosa ancor più preziosa è che queste persone hanno avuto una occasione di formazione vera e concreta che li porterà ad ottenere anche certificazioni abilitanti a particolari mansioni, ad esempio nei lavori in quota grazie al corso fatto sullo stesso muro della stazione. "Mi preme molto ringraziare questi otto detenuti per il loro contributo di decoro alla città. - ha detto il sindaco Federici. In modo particolare voglio però esprimere il mio apprezzamento alla struttura tutta della Casa Circondariale di Villa Andreini. Questo carcere, che è stato in passato una vera vergogna civile per come era ridotto, oggi è una realtà dove il principio dell'umanizzazione della pena e della sua funzione rieducativa sono diventate ben altro che astratti slogan. So che dietro a questi progetti c'è sempre molta fatica, molto impegno, una grande passione e per questo credo che la città debba essere grata agli operatori carcerari che li rendono possibili pur nelle difficili condizioni nelle quali si trovano ad agire. Dunque dico grazie due volte perché la bellezza della città può essere migliorata da un muro pulito, dalla riapertura di un vecchio sentiero, ma anche e soprattutto realizzando un grado maggior di civiltà." Parma: la Rems di Casale di Mezzani inizia l'attività, i primi "ospiti" dal 27 aprile www.parmatoday.it, 25 aprile 2015 La Rems in provincia di Parma ha 10 posti. La struttura è stata sottoposta ad interventi di adeguamento: recinzione della struttura, finestre e porte in sicurezza, sistemi di videosorveglianza interni ed esterni, accessibili in tempo reale dalle Forze dell'ordine. La Rems di Casale di Mezzani inizia dal 27 aprile la propria attività: la presentazione della struttura e delle sue attività nell'ambito dei percorsi di superamento degli Opg - Ospedali Psichiatrici Giudiziari - è stato l'argomento al centro dell'incontro pubblico che l'Amministrazione Comunale e l'Azienda Usl di Parma hanno organizzato giovedì 23 aprile, nella Sala del Consiglio alle ore 11. All'incontro sono intervenuti il Sindaco Romeo Azzali e il Direttore Generale dell'Ausl Elena Saccenti, insieme a Giuseppina Ciotti, direttore del distretto di Parma, Pietro Pellegrini, direttore del dipartimento assistenziale integrato salute mentale-dipendenze patologiche dell'Azienda Usl, Franco Marzullo, direttore dell'U.O. di psichiatria adulti Azienda usl, Giuseppina Paulillo, responsabile della Rems e Sandra Grignaffini, coordinatrice infermieristica della struttura. Le Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria (Rems), realizzate per accogliere i residenti internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), sono strutture dotate di tutte le caratteristiche di sicurezza, e inserite in un programma di riabilitazione sanitaria gestito dai Dipartimenti per salute mentale delle Aziende Usl di residenza, in stretto contatto con l'autorità giudiziaria per valutare caso per caso l'attivazione di percorsi sanitari individuali alternativi dalla detenzione. I degenti emiliano-romagnoli degli Ospedali psichiatrici giudiziari saranno ospitati nella Rems di Bologna "Casa degli Svizzeri" in via Terracini 31, che ha 14 posti, e accoglierà le persone in carico alle Aziende Usl di Bologna, Imola, Ferrara e all'Azienda Usl della Romagna, e nella Rems di Casale di Mezzani, in provincia di Parma, con 10 posti, che accoglierà le persone seguite dalle Aziende Usl di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena. Le due strutture sono state realizzate in attesa dell'ultimazione della destinazione definitiva di accoglienza, un centro che sorgerà a Reggio Emilia entro il 2016. La Rems di Casale di Mezzani, in precedenza già utilizzata come residenza psichiatrica, può ospitare 10 persone. Il personale sarà organizzato come équipe multi-professionale, composta da medici psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti della riabilitazione psichiatrica ed educatori, operatori socio-sanitari per complessivi 22 operatori. L'assistenza è garantita 24 ore su 24. Il medico psichiatra sarà presente a tempo pieno, lo psicologo per tre giorni settimanali, come l'assistente sociale; almeno 1 infermiere, 1 operatore socio-sanitario e 1 educatore/tecnico della riabilitazione sono presenti tutto il giorno e la notte. È prevista l'attivazione di collaborazioni specifiche per realizzare attività espressive, teatro, musica, attività motoria e attività di formazione. Sono stati effettuati interventi di adeguamento della struttura, anche secondo i profili di sicurezza: recinzione della struttura, finestre e porte in sicurezza, sistemi di videosorveglianza interni ed esterni, accessibili in tempo reale dalle Forze dell'ordine. È prevista la presenza nelle 24 ore di personale di vigilanza. I lavori di ristrutturazione e di adeguamento hanno comportato una spesa complessiva di 608mila euro. In Italia sono attivi 6 ospedali psichiatrici giudiziari (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Secondigliano, Barcellona Pozzo di Gotto). Accolgono persone che hanno commesso un reato, sono state riconosciute incapaci di intendere e di volere al momento del fatto e sono state pertanto prosciolte, ma riconosciute "socialmente pericolose" e sottoposte a una misura di sicurezza. La misura di sicurezza dovrebbe servire a rendere la persona non socialmente pericolosa, attraverso le cure erogate all'interno degli Opg. Fino al 2008 gli Opg erano gestiti completamente dall'Amministrazione penitenziaria, e il personale sanitario dipendeva dal Ministero della Giustizia. Dal 2008, con il passaggio di competenze della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, il personale sanitario degli Opg è transitato alle dipendenze delle Aziende Usl, mentre la gestione degli aspetti strutturali, logistici e di sicurezza è rimasta all'Amministrazione penitenziaria. Trapani: carcere di "San Giuliano", la Uil-Pa chiede chiusura di alcuni reparti fatiscenti di Margherita Leggio La Sicilia, 25 aprile 2015 Chiedono la chiusura immediata dei reparti che destano "preoccupanti situazioni di pericolo per la salute del personale di polizia che opera nell'arco delle 24 ore" nel carcere "San Giuliano", che sorge nell'omonimo quartiere ericino di Casa Santa, i sindacalisti della Uil-Pa che giovedì scorso hanno effettuato un sopralluogo nella struttura documentando lo stato dei luoghi con foto che insieme con una relazione saranno inviate al Servizio di vigilanza sull'igiene e la sicurezza dell'amministrazione della giustizia, al Ministero della Giustizia, ai carabinieri del Nas e all'Asp perché dispongano a loro volta dei controlli e adottino i provvedimenti di loro competenza. I sindacalisti hanno accertato la caduta di calcinacci, la presenza di muffa, porte e infissi arrugginiti, mura lesionate e a rischio crollo, la probabile presenza di coperture in amianto, infiltrazioni di acqua piovana nelle pareti e il mancato funzionamento, per un guasto, delle apparecchiature per la videosorveglianza. "Mentre il piano carceri prevede la costruzione di un nuovo padiglione all'interno di questa casa circondariale, per 250 posti detentivi, - ha affermato Gioacchino Veneziano, segretario provinciale e coordinatore regionale Uil-Pa penitenziari - parte dell'area vecchia cade a pezzi. Abbiamo visto un carcere quasi in rovina, specialmente nei reparti denominati "Tirreno", "Egeo" e "Ionio", dove sono i detenuti delle sezioni per reati "sex offender", femminile e alta sicurezza". Nella visita alla struttura carceraria Veneziano era accompagnato da Antonino Simone, coordinatore aggiunto Uil-Pa penitenziari Trapani e da Peppe Scaduto, componente della segreteria provinciale dello stesso sindacato. Una decina di giorni fa era stato il direttore del carcere, Renato Persico, a chiedere l'intervento del personale del Servizio tecnico del Provveditorato della Sicilia affinché valutasse i danni determinati dal distacco di calcinacci dal solaio di tre celle del reparto "Tirreno", in seguito al quale i circa 50 detenuti che le occupavano sono stati trasferiti in stanze più sicure e approntasse anche un piano di intervento volto a realizzare una manutenzione straordinaria. Il crollo è stato provocato dalle infiltrazioni di acqua piovana. "A tutela di tutti i lavoratori - ha concluso Veneziano - e per garantire una adeguata sicurezza operativa e funzionale del personale della Polizia penitenziaria di Trapani è obbligatorio attuare tutte le iniziative necessarie affinché nell'agenda del direttore tra le priorità possano esserci lo stato dei luoghi e la loro funzionalità e quant'altro interessi la salubrità dei posti di lavoro". Teramo: progetto "Credere e vivere nella legalità", gli studenti con detenuti di Castrogno www.cityrumors.it, 25 aprile 2015 L'Istituto di Istruzione Superiore "A. Zoli" di Atri anche quest'anno ha inserito nelle proprie attività didattiche un progetto mirato ad educare al rispetto delle regole come elemento determinante per una corretta convivenza sociale, coinvolgendo i detenuti del carcere di Castrogno di Teramo. Il progetto che si sta svolgendo in questo periodo e che prevede la partecipazione dei detenuti a quattro giornate di pieno coinvolgimento nelle attività didattiche, nelle diverse discipline d'insegnamento, delle classi 1 A Mat, 3 A Mat, 5 A Mat., si prefigge l'obiettivo complessivo di sollecitare la capacità critica dei ragazzi circa l'illegalità attraverso la conoscenza diretta di chi ha violato la legge e, infine, di far conoscere ai ragazzi la realtà di chi sta scontando una pena detentiva. Nel progetto, oltre agli insegnanti, saranno coinvolti Stefano Liberatore, Direttore della Casa Circondariale di Teramo, il quale da sempre sostiene questo speciale rapporto tra l'istituto Scolastico e la struttura che dirige, uno psicologo e psicoterapeuta e rappresentanti delle forze dell'ordine. L'attività didattica si concluderà l'8 maggio prossimo con un incontro didattico tra tutti i partecipanti al progetto e la testimonianza dei detenuti sul vissuto della classe; seguirà una visita delle classi interessate alla Casa Circondariale di Teramo. Immigrazione: bombardare i barconi è "un atto di guerra" di Carlo Lania Il Manifesto, 25 aprile 2015 La Santa Sede boccia i risultati del vertice europeo e condanna come "inutili", le azioni contro gli scafisti: "Chi garantisce che non vengano uccise persone innocenti?". Ma a ribellarsi all'Ue è tutto il mondo cattolico. Il malumore era uscito in maniera chiara già nei giorni scorsi. A renderlo pubblico erano state le associazioni cattoliche insieme a realtà importanti come la Fondazione Migrantes e la Comunità di Sant'Egidio, tutti concordi nel sottolineare come pericolosa e inadeguata qualsiasi ipotesi di intervento militare contro gli scafisti, ma anche nel chiedere all'Unione europea di farsi carico di un'operazione simile a Mare nostrum che tra i suoi obiettivi abbia la salvezza dei migranti e non solo il controllo delle frontiere. Dopo gli esiti del consiglio europeo di giovedì, che per quanto parziali confermano sia i disinteresse di Bruxelles a intervenire seriamente in soccorso delle decine di migliaia di profughi in fuga dall'Africa confermando invece gli scenari di guerra, la bocciatura più dura e autorevole alla strada nella quale il governo Renzi sta portando l'Europa è arrivata direttamente dal Vaticano, contrario soprattutto alla decisione di affondare i barconi dei trafficanti di uomini quando ancora si trovano nei porti libici. "Bombardare in un Paese è un atto di guerra", ha detto il cardinale Antonio Maria Vegliò, "ministro" della Santa Sede per le migrazioni in una dichiarazione rilasciata all'agenzia Sir. "E poi a cosa mirano? Solo ai piccoli battelli dei migranti? Chi garantisce che quell'arma non uccida anche persone vicine, oltre a distruggere i barconi? E poi, anche se fossero distrutti tutti i battelli - ha proseguito monsignor Vegliò - il problema dei profughi in fuga da conflitti, peesecuzioni e miseria proseguirà ad esistere". Nel mirino del Vaticano non ci sono però solo le ambizioni interventiste del governo italiano (ieri il ministro degli Interni Alfano è tornato a parlare della possibilità di bombardare i barconi), ma l'intera linea uscita dal vertice dei capi di Stato e di governo. "Non siamo soddisfatti di questo accordo", ha proseguito monsignor Vegliò, che pur riconoscendo che "qualcosa è stato fatto", come il rifinanziamento dell'operazione Triton, è convinto "che non si risolve così il problema". "Servirebbe un programma a lungo termine, una politica delle migrazioni seria", ha aggiunto. E infine la critica all'"egoismo" della Gran Bretagna che ha assicurato mezzi e soldi ma non è disponibile ad accogliere profughi nel proprio territorio. "Tutti sono disposti a dare soldi - è il commento del cardinale - basta che non vengano a disturbare nel proprio paese". È dunque una bocciatura totale e senza appello quella che arriva da Oltretevere. A rincarare la dose ci pensa l'Osservatore romano, per il quale "l'Ue ha perso l'occasione per comprendere fino in fondo che la tragedia legata alle migrazioni mette in gioco la sua autorità morale e politica e i principi di solidarietà su cui è fondata", mentre per la Fondazione Migrantes "dal vertice europeo esce l'Europa dei nazionalismi", mentre "è rimandata la costruzione di dell'Europa sociale e solidale". L'unica apertura arriva dalle parole diplomatiche del segretario di Stato Pietro Parolin, per il quale "la strada intrapresa dall'Unione europea è quella giusta, ma deve continuare con il coinvolgimento di tutti i Paesi" . Critiche della Chiesa a parte, le questioni importanti che riguardano l'emergenza immigrazione sono ancora tute sul tavole. Sì, Frontex verrà rifinanziata e potrà contare su 120 milioni di euro l'anno contro gli attuale 36, e altri 16 milioni di euro all'anno sono stati destinata a Poseidon, l'altra missione europea. Ma tutto qui quello che i 28 capi di stato e di governo sono riusciti a fare concretamente. Le azioni contro gli scafisti restano ancora da una parte a un mandato dell'Onu che tarderà ad arrivare e dall'altra dalle troppe incertezze tecniche e politiche che circondano un intervento militare. Da aggiungere che il dramma di cui è rimasto vittima il cooperante italiano Giovanni Lo Porto, insieme alla decisione del presidente Usa Barack Obama di rivedere l'uso dei droni, mette fortemente in dubbio anche la possibilità di impiegare gli aerei s controllo remoto. Possibilità in realtà mai esistita veramente, nonostante gli annunci del governo, visto che i droni in possesso al nostro Paese non sono armati e che farlo richiederebbe mesi di tempo. L'altro, vero grande problema che resta sul tavolo è quello di una più equa spartizione dei profughi e della possibilità di mettere mano al regolamento di Dublino III. E su questo si comincerà a discutere mercoledì prossimo al parlamento europeo. Con scarse possibilità di successo. Immigrazione: il Piano dell'Europa… anneghiamone di più di Lorenzo Misuraca Il Garantista, 25 aprile 2015 Vi ha pensato il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha sintetizzare in poche parole il vero nodo politico del vertice europeo sull'emergenza migranti che si è tenuto ieri a Bruxelles. Secondo il polacco, quanto sta avvenendo in questi giorni nel Mediterraneo "è una questione europea e non un problema dei paesi del sud europeo", e il vero punto di attrito tra i governi è "la redistribuzione dei richiedenti asilo", "la questione più difficile da trattare" e "bisognerà sconfiggere qualche interesse nazionale in nome del bene comune". Su queste basi, il documento approvato dai governi presenti al vertice, è un accordo al ribasso. Prevista la triplicazione dei fondi per l'operazione Triton e delle operazioni di sorveglianza dei confini in un'area di competenza di 30 miglia dalle coste italiane e maltesi, oltre alla distruzione sistematica delle imbarcazioni utilizzate dai trafficanti, l'avvio di un progetto pilota per la ridistribuzione di almeno 5000 richiedenti asilo in vari Paesi su base volontaria, l'attivazione di un programma di rimpatri rapidi dei migranti irregolari coordinato da Frontex, e l'incremento della cooperazione con i paesi interessati dalle partenze. La delusione di chi chiedeva un impegno più massiccio è espressa da Gauri van Gulik, vicedirettrice del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International, che ha definito le risposte dell'Ue "del tutto inadeguate". Ad esempio l'area di competenza delineata è "assai distante da dove si verifica la maggior parte delle morti in mare. Se confermata, questa operazione continuerà a essere molto meno efficace rispetto a Mare nostrum". Posizione analoga a quella dell'ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi: "Va benissimo potenziare Triton ma, pur con questo aumento, siamo bene al di sotto di quanto spendeva l'Italia da sola per Mare Nostrum. Quindi siamo ancora in una situazione di avarizia. È inutile fare tante cose - ha aggiunto - se non agiamo sulle grandi potenze che proteggono le fazioni libiche che partecipano alla tensione e alla divisione in Libia. Il Paese è spaccato, abbiamo Qatar e Turchia che appoggiano gli uni, Egitto e gli altri Paesi del Golfo che appoggiano altri, abbiamo denaro che corre per la vendita di petrolio che va in tute le direzioni". Che sarebbe stato difficile trovare un accordo al rialzo, si era capito già dalle dichiarazioni del premier britannico, David Cameron, che prima di entrare al prevertice del Pse, ha offerto l'invio nel Mediterraneo di tre navi della Royal Navy e di tre elicotteri per contribuire alle operazioni di soccorso dei migranti e nella lotta ai trafficanti di esseri umani, ma a una condizione ben precisa: non accogliere i migranti salvati in territorio britannico. "Salvare vite significa soccorrere queste povere persone, ma significa anche combattere le bande criminali e stabilizzare la regione" ha spiegato cha inoltre spiegato che i migranti soccorsi verranno portati nel porto più vicino, probabilmente in Italia, e non verrà concessa loro la possibilità di chiedere asilo nel Regno Unito. Non proprio quello che è andato a chiedere Matteo Renzi a Bruxelles. Il premier italiano, prima di entrare alla riunione, ha dichiarato: "Dobbiamo dimostrare che la politica europea può mostrare la sua unità. Se l' Europa è soltanto regolamenti e iniziative economiche, perde l'anima", e sfoggiando il consueto ottimismo: "Dai primi contatti mi sento di poter dire che ci sono tutte le condizioni per cambiare approccio", aggiungendo che "non è solo più un problema dell' Italia o di Malta ma una questione di diritto umanitario, di giustizia e sicurezza. I nostri fratelli e sorelle non possono morire in questo modo. Il Mediterraneo continua ad essere un luogo di dolore e di disperazione". Il leader della Lega, Salvini, anche ieri ha ribadito le posizioni di totale chiusura nei confronti dell'accoglienza: "Immigrazione, anzi invasione in corso. Mentre l' incapace Renzi si dice "ottimista", il premier britannico Cameron promette che non accoglierà neanche un immigrato. Ci sono premier con le palle, e premier contapalle. Noi, ancora per poco, abbiamo quello sbagliato…" ha scritto su Facebook. Mentre Pierferdinando Casini, presidente della commissione Esteri al Senato ha dichiarato: "Affondare i barconi è una soluzione doverosa; ma affondare i barconi lo si deve fare, non lo si deve annunciare: annunciare di affondare i barconi è sbagliato, affondarli è giusto". E su questo punto, Matteo Renzi aveva chiarito prima del vertice la posizione del governo italiano: "Tutto ciò che riguarda singole iniziative è del tutto parziale. Ciascuno prende una dichiarazione, l'intervento di protezione, la distruzione delle barche, l'intervento nei Paesi d'origine. Tutto questo deve stare in un ampio quadro strategico". Immigrazione: frasi fatte e dischi rotti, le parole di Renzi & Co di Luca Sappino Left, 25 aprile 2015 Difendono Triton, ma dicono che l'Europa deve fare di più. Applaudono il santo padre e pensano a risparmiare pochi milioni. Ogni tragedia in mare è un trionfo di retorica, E di contraddizioni. Retorico e contro la retorica, demagogico e contro la demagogia. "Niente demagogia almeno oggi" ha scritto Matteo Renzi poche ore dopo la strage di domenica 19 aprile. "La battaglia di tutti deve essere contro i trafficanti di esseri umani. Sono i nuovi schiavisti", è il tweet che non tiene conto del fatto che Renzi è al governo, e che Renzi, pur con altri e il prezioso aiuto di Angelino Alfano, porta la responsabilità della chiusura di Mare Nostrum, il programma di recupero in mare avviato dal "lento" Enrico Letta e chiuso nel novembre 2014, in pieno governo Renzi e semestre europeo. Come scrive il giornalista Stefano Liberti, autore del documentario Mare chiuso, Renzi sembra non rendersi conto che i cattivissimi scafisti con Triton ci sguazzano: "Gli scafisti, gli "schiavisti moderni", sono il sottoprodotto della politica di chiusura dell'Unione Europea. Il cui principale obiettivo, ribadito ieri dallo stesso Renzi, è "bloccare le partenze", anziché offrire rifugio a chi ne ha bisogno e diritto". È contro gli scafisti però che Renzi ha promesso mano pesantissima. E pazienza che lo dicesse, tale e quale, già il 3 ottobre 2013, nei giorni delle 366 bare allineate a Lampedusa. "A chi oggi mi ha detto "Vai a Lampedusa" scriveva profondissimo nella sua consueta e-news, "rispondo dicendo che lì oggi servono le bare non le lacrime del giorno dopo. La vera sfida non è solo piangere oggi, la vera sfida è non dimenticarsene domani. E allora siamo seri. Bene ha fatto il governo a proclamare il lutto nazionale. Si cancelli la Legge Bossi-Fini sull'immigrazione clandestina. Si assicurino alle patrie galere gli scafisti di morte. Si spieghi ai tecnocrati di Bruxelles che Lampedusa è Europa". Eh. Si cancelli. Si assicurino. Si spieghi. Nel frattempo è stato più di un anno al governo ma la frase la deve ripetere, più o meno uguale. Il disco dev'essersi rotto. "Gli sciacalli tornino a casa: la demagogia non serve, è il tempo della politica", scrive su Facebook. "Esattamente", verrebbe da dire. Ma dov'è stata la politica? Senza appello è il giudizio di Emma Bonino, una che - ministro degli Esteri - Matteo Renzi ha rottamato insieme a Letta: "L'Europa che ha innalzato il suo "mai più" dopo aver sopportato l'orrore dei forni crematori, finora non ha fatto nulla per impedire l'orrore dei forni liquidi". Nulla, oltre le parole, si intende. Lo dice anche Romano Prodi: "Piangiamo giustamente quando abbiamo alcuni morti vicino a noi, ma la classe politica commette un errore: si emoziona un attimo e poi non insiste per risolvere la questione nel lungo periodo". Nota, Prodi, come nessuno, neanche per retorica, dica che "se non agiamo per lo sviluppo dei Paesi sub-sahariani e del Corno d'Africa il flusso migratorio è destinato a incrementare" e che - a proposito del blocco navale di Lega e forzisti, e del "non farli partire" di Renzi - "c'è una bomba demografica in piena esplosione, che non possiamo fermare sparando". "Di grazia" twitta Gad Lerner, che è anche membro dell'assemblea nazionale del Pd, "dopo che avete finito di urlare e sparare agli scafisti in quale modo intendete rispondere al dramma dei profughi?". Urla e sparate, questo è quanto. E non serve scomodare Matteo Salvini e Daniela Santanché (l'ultima: "Tutta questa gente dove trova i soldi per pagare gli scafisti? Io ho un sospetto: molte di queste persone sono pagate perché vogliono farle venire in Italia per conquistarci"). Quelli fanno solo confusione e consentono alla politica che si vuole buona di condannare lo sciacallaggio, come se anche la retorica a cui non segue l'azione non fosse da sciacalli. "Mentre i nostri uomini raccolgono i cadaveri e salvano vite nel Mediterraneo, gli sciacalli speculano in diretta tv", twitta il Pd Lorenzo Guerini, beccando una comparsata del leghista: "Nauseante", precisa. Certo il Giornale della famiglia Berlusconi ha titolato "Settecento morti di buonismo", ma è Sallusti, lo sapete e poi la retorica è sempre stucchevole. Anche quando riprende quella del papa, citato da molti: "Sono uomini e donne come noi, che cercano una vita migliore. La comunità internazionale agisca in fretta". Una frase buona ma generica, in realtà, se anche Renzi l'ha ripresa, offrendo un assist perfetto a Nichi Vendola: "È paradossale citare il papa e poi non essere coerenti. Il governo abbia il coraggio di sbattere i pugni a Bruxelles, di aprire corridoi umanitari per le salvare persone, e di ripristinare l'operazione Mare Nostrum". "È una gara all'ipocrita retorica" ha detto il senatore 5 stelle Andrea Cioffì: "C'è chi ha pure proposto una giornata per la memoria dei migranti". "Retorica" per Cioffì, "è anche dire, "li dobbiamo fare entrare tutti". E riprende un post di Grillo che merita la citazione: "Da un po' di tempo" scrive Grillo e non sul Giornale, "chiunque entri in Italia con un barcone è un definito "migrante", ma le parole giuste sono solo "rifugiato" (circa un decimo di chi sbarca) o "clandestino". Migrante non vuol dire nulla. È un eufemismo. Serve ad aumentare i voti ai "buonisti" di sinistra con il culo degli altri, e ai razzisti che alimentano la paura del "diverso". Retorica batte retorica. Ed meglio tornare a Mare Nostrum, perché è finita che aveva ragione che diceva che l'avremmo rimpianto. Angelino Alfano negherà fino alla morte, e ripete oggi quando disse a novembre 2014: "L'unica differenza sarà che Triton non graverà sui contribuenti italiani". Ma anche Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri dice ormai "Triton non è sufficiente" mentre il 13 novembre 2014 diceva "nel passaggio da Mare nostrum a Triton cambia il nome, ma non l'indirizzo: e il nostro impegno anzi si moltiplica". È il tempo della politica, no? La stessa che avrebbe potuto ascoltare le parole "tecniche" dell'executive director di Frontex, Gil Arias Fernandez, che mise in chiaro da subito che le due missioni non erano equivalenti: "Triton ha, come scopo principale, il controllo della frontiera e non la "ricerca e il soccorso". Non è Mare Nostrum". Immigrazione: senza sviluppo in Africa hai voglia ad affondare i barconi di Cesare Goretti Il Garantista, 25 aprile 2015 E stupefacente osservare come nessuno racconta e riflette sulle vere ragioni della fuga della maggior parte degli africani dal loro continente. Eppure non è difficile a chiunque scoprirle. Basta prenotare con 4 mesi di anticipo (così costa solo 400-500 euro) un volo andata e ritorno in classe turistica dall'Italia in qualcuno dei paesi dell'africa sub-sahariana. Ma prima eli partire si deve avere l'accortezza di cercare alloggio (via internet) in una delle case in cui vivono gli africani nelle loro città. Poi il vostro ospite, o un suo amico, vi proporrà di conoscere la sua famiglia (gli africani sono molto ospitali e orgogliosi del loro paese) e di visitare per qualche giorno il villaggio da dove proviene. E allora inizierete a capire molte cose. Prima di tutto che la fotografia del vaccaro keniota intento a parlare con il telefonino in mezzo alla savana è vera. Tutti gli africani, anche il più misero, quello che va in giro a piedi e talvolta senza nemmeno i sandali, vivono per prima cosa di comunicazione e hanno un cellulare. Immediatamente dopo si capisce che un'africana, o un africano, vestono come noi in jeans e t-shirt, guardano come noi la televisione... e basta. Perché la maggior parte della popolazione centroafricana abita villaggi o quartieri periferici dli città, in cui il tessuto sociale è guidato da un capo villaggio, che ha gli stessi privilegi e poteri fiscali, di giustizia, e politici, che avevano ì piccolo signori feudali. E la maggior parte della popolazione vive un'economia di scambio, in cui anche il commercio si svolge all'interno di un circolo sociale e economico dal quale quasi nessuno riesce a uscire, come accadeva in Europa nel medioevo. Ovviamente gli investimenti pesanti sono nelle mani dell'economia e delle compagnie occidentali, di cui l'oligarchia economica africana compartecipa in percentuali infinitesimali. Come accadeva in tutt'Europa prima della rivoluzione francese. Quando pochi e potenti aristocratici, o alcuni ricchissimi borghesi nobilitati, gestivano l'intera economia di una nazione. E la maggior parte dei manager, dal responsabile della sicurezza degli aeroporti al dirigente della società di costruzione di infrastrutture, al direttore del grande magazzino o del negozio di lusso (in cui molto difficilmente un africano può permettersi di acquistare qualcosa), sono quasi tutti "bianchi". Inutile parlare di stampa libera, anche perché gli africani leggono molto poco. Inutile infine parlare di istruzione pubblica, che viene loro dispensata in pillole anche al liceo, solo per essere sicuri che vengano educati ad essere inoffensivi popoli per loro natura straordinariamente miti. Meglio allora guardarsi intorno e scoprire alcune piccole curiosità molto illuminanti. Per esempio si può osservare che le impalcature intorno alle case in costruzione non sono fatte di tubi innocenti, ma di legno. Lo stesso legno usato per i telai delle porte, che nessuno vede perché ricoperti dalla muratura. Ma se andate a vedere di che tipo di legno si tratta, scoprite che quel legno che in Africa è di scarto, in Europa viene pagato centinaia di euro a metro cubo. E si può venire a sapere, leggendo qualche giornale locale, che una volta all'anno, il presidente di un grande Paese europeo, s'incontra con il suo collega della Costa d'Avorio. E fissa (lui, non il suo collega africano), il prezzo di pochi euro a metro cubo, con cui quel tipo di legno verrà acquistato dagli imprenditori di quel paese europeo nell'anno successivo. E che verrà poi venduto a centinaia di euro al metro cubo agli altri paesi occidentali, grazie all'esercizio di un monopolio assolutamente coloniale. E se da buon italiano proverete a cercare della pasta o dei tortellini in un grande magazzino, scoprirete che non potrete trovare prodotti italiani. E che, ad esempio in Cameroun, tempo fa una fabbrica di pasta italiana (gli africani vanno pazzi per pizza, pasta, lasagne, ecc.) è stata chiusa d'autorità (dalle autorità), senza alcuna spiegazione. Tranne quella, ovvia, che andava preservato il monopolio di una grande nazione europea che esporta e smercia i suoi prodotti, obbligando gli africani a consumarli al prezzo da lei stabilito, sostenendo così solo la propria economia a loro danno. Mentre importa a bassissimo prezzo qualsiasi cosa sia prodotta esclusivamente in quelle zone, in base agli stessi principi economici che costarono all'economia coloniale inglese, in India, il boicottaggio della produzione del cotone da parte del partito del Congresso guidato da Ghandi. La domanda è allora molto semplice: vi trovate a vivere nel medioevo; ma ogni giorno vedete sul vostro telefonino altri uomini vivere in un'altra epoca. Invecchiano più lentamente perché hanno a disposizione alimenti e sanità migliori; godono di possibilità economiche, politiche, sociali che vi sono interdette. E sognate di camminare su una strada asfaltata, invece che di fango. Di trovare un uomo che è in grado di offrire una casa ai vostri figli, di essere trattata da uguale, e un parto sicuro. Immaginate di sognare di poter lavorare, invece di dover aspettare un'offerta che non arriva mai. Immaginate di sognare di poter usare una lavatrice, un ferro a vapore, di poter salire su un'auto che non sia vecchia di 15 o vent'anni. E, soprattutto, conoscete su Facebook chi ce l'ha fatta ! Che vi scrive da Copenaghen, Parigi, Toronto. E che può suggerirvi come arrivare là, ospitarvi, aiutare a integrarvi. Voi cosa fareste? Gli Africani, come sanno bene gli operatori dell'assistenza e dell'integrazione, fanno una colletta nel loro vili aggio, o vendono tutto quello che hanno, e partono. Non profughi da guerre, genocidi, desertificazione, fame. La stragrande maggioranza, profughi dal medioevo loro imposto da un colonialismo economico identico a quello che li ha vessati per secoli. Mascherato dalle forme di una falsa democrazia. Se non si scrive e descrive questa realtà non si potrà capire cosa spinge quel flusso ininterrotto che miete migliaia di vittime e che continuerà, anche dopo che ì barconi dei trafficanti libici verranno bruciati, o il fuoco del Medio Oriente spento. I governanti e i giornalisti europei dovrebbero farsi un bell'esame di coscienza. Non per spirito filantropico o moralismo, o rispetto della deontologia, ma per cambiare un futuro intriso di xenofobia e incendi sociali nei loro paesi. E perché un'economia colonialista e monopolista limita la produzione della ricchezza ovunque, anche per ciascuno di noi. Brasile: l'Italia da l'ok all'estradizione di Henrique Pizzolato, in carcere a Bologna La Stampa, 25 aprile 2015 Il governo italiano ha autorizzato l'estradizione in Brasile dell'ex direttore del "Banco do Brasil", Henrique Pizzolato, uno dei 25 condannati nel 2005 per uno scandalo corruzione scoperto durante il primo mandato di Luiz Inàcio Lula da Silva come presidente della Repubblica. La decisione arriva dopo il via libera della Cassazione. Pizzolato, condannato in patria a 12 anni e 7 mesi nello scandalo "Mensalao" la "tangentopoli brasiliana", fu arrestato a Maranello (Modena) a febbraio 2014. A ottobre fu però rimesso in libertà dopo che la Corte d'Appello di Bologna negò l'estradizione. I giudici motivarono il diniego scrivendo che la condizione carceraria del Brasile è "drammatica", e che "il rischio che un detenuto possa essere sottoposto ad umiliazioni, torture, violenze, sia ancora concreto". Il Brasile fece però ricorso in Cassazione, dove il 12 febbraio di quest'anno è stata dichiarata la "sussistenza" delle condizioni per dare il via libera all'estradizione. A partire da oggi la giustizia brasiliana avrà 20 giorni di tempo per prenderlo e portarlo al penitenziario di Papuda, a Brasilia. Libano: ministro Interno "1.100 detenuti in celle per 400, sommosse potrebbero ripetersi" Nova, 25 aprile 2015 La sommossa che ha avuto luogo la scorsa settimana nel carcere di Roumieh, a est di Beirut, potrebbe ripetersi se non saranno costruiti nuovi penitenziari al più presto. Lo ha dichiarato questa mattina il ministro dell'Interno libanese, Nouhad Machnouk, in un'intervista al quotidiano "al Joumhouria". "Non sono sicuro che quel che è accaduto non possa ripetersi. Dobbiamo fornire condizioni di vita normali ai detenuti e, per farlo, dobbiamo aprire nuove carceri", ha detto Machnouk. Venerdì scorso, i detenuti del sovraffollato Blocco D di Roumieh, che ospita per lo più prigionieri islamisti, hanno sollevato una sommossa prendendo per breve tempo in ostaggio 20 guardie carcerarie e causando ingenti danni materiali alla struttura. "È normale che accadano cose del genere quando hai 1.100 detenuti schiacciati all'interno di un Blocco realizzato per ospitarne 400", aveva commentato pochi giorni dopo lo stesso ministro, osservando come il sovraffollamento delle carceri favorisca "le alleanze tra gruppi terroristici". Indonesia: nove stranieri condannati a morte per droga verso l'esecuzione capitale Ansa, 25 aprile 2015 L'esecuzione della pena di morte per nove stranieri, tra i quali un francese e due australiani, condannati in Indonesia per traffico di droga potrebbe essere vicina. Secondo quanto riportato dalla Bbc e da altri media internazionali, infatti, i detenuti sono stati trasferiti tutti nel carcere di massima sicurezza di Nusakambangan dove per domani sono stati convocati anche i rappresentanti delle rispettive ambasciate. A nulla sono valse le richieste di clemenza da parte dei paesi di origine dei condannati, Australia e Francia in primis. Dal momento che i condannati devono ricevere un preavviso di 72 ore si presume che l'esecuzione possa avvenire nelle prossime ore. Solo due giorni fa Parigi ha convocato l'ambasciatore indonesiano e il presidente François Hollande ha lanciato un appello alla giustizia e al governo indonesiano per fermare l'esecuzione di Serge Atlaoui. Russia: amnistia per i 70 anni della vittoria sul nazismo, più di 400.000 i beneficiari Il Velino, 25 aprile 2015 Ne beneficeranno circa 400 mila persone. Di queste 60mila, grazie al provvedimento, usciranno dal carcere in anticipo. Approvata oggi all'unanimità dalla Camera alta del parlamento russo la risoluzione che concede l'amnistia, proposta presentata in precedenza dal presidente Vladimir Putin. L'amnistia riguarderà tutti coloro che sono sospettati, accusati e giudicati colpevoli di crimini di lieve e media entità, la cui pena non supera i cinque anni di reclusione. Nella categoria di quelli che potranno beneficiare dell'amnistia sono presenti anche gli invalidi, i soldati in missione ed i genitori di figli minori. Secondo le prime stime, a beneficiare dell'amnistia saranno circa 350 mila persone, ed altre 60mila, per effetto del provvedimento, usciranno dagli istituti di pena in anticipo. Stando alle dichiarazioni degli esperti, dopo l'amnistia la Russia dovrebbe occupare il trentesimo posto al mondo per numero di detenuti, rispetto all'ottavo che occupava in precedenza. Attualmente sono circa 600mila le persone detenute nelle carceri russe. Slovacchia: sistema carcerario al collasso, si pensa a nuovi penitenziari costruiti da privati www.buongiornoslovacchia.sk, 25 aprile 2015 Il sovraffollamento nelle carceri slovacche ha convinto i funzionari del Ministero della Giustizia slovacco a prendere provvedimenti. È infatti all'esame la costruzione di nuovi impianti carcerari, oltre a progetti di ristrutturazione e ampliamento delle strutture esistenti. Non ultimo, è stato di recente deciso di iniziare a mandare un certo numero di prigionieri agli arresti domiciliari, utilizzando cavigliere elettroniche per tenere sotto controllo la loro ubicazione. Il ministro, Tomas Borec, è inoltre arrivato con una nuova idea, quella di valutare l'edificazione di nuove prigioni attraverso il sistema del finanziamento misto pubblico-privato, già sperimentato per la costruzione di tratti autostradali. La questione risulta da un rapporto sulle attività del Ministero della Giustizia per il periodo 2011-2020 discusso dal governo l'8 aprile scorso. Uno studio di fattibilità per un carcere da costruire in località Rimavska Sobota tramite un progetto PPP sarebbe del resto già stato commissionato. All'inizio di questo mese, ben 1624 persone già condannate non hanno ancora iniziato a scontare la loro pena in carcere a causa del sovraffollamento delle strutture che oggi contano oltre 10mila detenuti. Inoltre, altri 877 cittadini slovacchi stanno scontando una pena all'estero, ma potrebbero essere trasferiti in carceri slovacche se ci fosse disponibilità. In ogni caso il ministro ha ammesso che la questione delle prigioni piene non è cosa da potersi sistemare nel breve periodo.