Voglio abbracciare papà, ma è al "41bis" di Alessandra B. (15 anni) Il Garantista, 22 aprile 2015 Ho letto l'articolo di Maria Brucale, pubblicato sul Garantista del 31 marzo 2015, che polemizzava con la proposta-choc di un deputato del Pd, Ernesto Carbone, di togliere i bambini ai condannati per mafia. Non riesco a capire come possa proporsi una simile legge, contraria ai diritti umani ed ai prìncipi di giustizia che dovrebbero ispirare i nostri legislatori. Più leggevo l'articolo più sentivo crescere la rabbia, l'indignazione, una profonda tristezza ed un senso di vuoto. Il mio unico pensiero era "perché vogliono privarmi del rapporto con il mio papà?". Io amo mio padre, amo il suo sorriso e la sua voce. Mi manca tornare da scuola e non potergli raccontare delle interrogazioni, dei compiti, delle amicizie con i compagni, del ragazzo che mi piace. Posso vederlo così poco e quando lo incontro vorrei poter fermare il tempo per restare di più con lui, guardarlo, parlargli, anche se solo attraverso un vetro. Non so quante volte, vorrei poterlo spaccare, quel vetro, per correre a rannicchiarmi tra le sue braccia, e quante volte ho dovuto trattenere le lacrime, che però, rigavano comunque il mio viso. Vorrei essere forte per lui, fargli coraggio, ma puntualmente i ruoli si invertono. Al rientro a casa, ricomincio a contare i giorni, le ore ed i km che mi separano da lui. Questa situazione mi strazia, ma non potrei e non vorrei mai rinunciare ai nostri colloqui, a vedere papà ed è per questo che ho odiato la proposta di Carbone di togliere i bimbi ai detenuti. Questa è una punizione terribile sia per i genitori, sia per i figli. Dopo la condanna ai padri lo Stato vorrebbe condannare anche i figli. Ma siamo sicuri che politici e giudici possano educare meglio i propri figli e dare loro l'affetto di cui hanno bisogno? Perché i condannati per mafia non dovrebbero esserne capaci? Ritengo che tutti i genitori vogliano bene ai propri figli e sperano che non gli accada nulla di brutto, siano essi politici, giudici o delinquenti. L'amore di un genitore è incondizionato e di certo non dipende da ciò che fa o dagli sbagli che può aver commesso per sé stesso. Io non ho mai desiderato sostituire mio padre, credo che sia il padre che tutti i figli desidererebbero. Tutti voi, avete mai pensato come possa stare un detenuto che passa, giorno dopo giorno, la sua vita chiuso in un buco? Non credo proprio. Avete mai pensato cosa possano provare i familiari di quello stesso detenuto? Della rabbia, del dolore, delle preoccupazioni che sentono, voi non ne avete neanche lontanamente un'idea. Politici, giudici ed alcuni giornalisti, non si fanno scrupoli e pensano solo alle loro carriere, senza preoccuparsi di fare davvero Giustizia. La parola giustizia è in maiuscolo perché, ormai da anni, in Italia, di tale termine non se ne conosce il significato. Scrivo quale figlia quindicenne di un uomo sottoposto al regime del 41 bis, che sta lottando per cercare di dimostrare la sua innocenza. Noi figli, anche se le sentenze sono state di condanna, crediamo nella sua innocenza e gli staremo sempre vicini, I giudici emettono sentenze con le quali condannano a tantissimi anni di carcere e pensano che più è grave la pena inflitta più sono bravi, Non comprendono cosa significa star lontani dall'amore della propria famiglia, buttati su un lettino con i ratti che ti passano sotto i piedi e la muffa che cade dal tetto. Questi detenuti vivono in condizioni pessime e disumane, nell'ora di colloquio possono vedere ì figli e la moglie solo attraverso un vetro. Adesso qualche politico senza cuore e forse senza figli, vorrebbe levare i bambini ai condannati per mafia, infliggendo loro l'ennesima tortura. Io, ripeto, sono fiera dì mio padre e come me, credo che ogni minore che si trovi in una situazione simile alla mia, abbia il mio stesso pensiero. Giustizia: "scafisti", il nuovo nemico che copre le vere colpe di Domenico Ciruzzi (Vicepresidente Unionme Camere Penali) Il Garantista, 22 aprile 2015 Lo scempio tragico dei migranti nel Mediterraneo viene addebitato agli scafisti: è tutta colpa loro, si dice. Da decenni sappiamo che vi sarebbe stata una spaventosa migrazione di interi popoli affamati, privi del necessario per vivere: migrazioni dall'Africa, dall'Asia, dai paesi più poveri del mondo verso l'Europa. Era prevista una migrazione senza precedenti nella storia, velocizzata paradossalmente dalle nuove tecnologie del Pianeta; uno spostamento di intere popolazioni diverso dal fenomeno migratorio di singoli, sia pur numerosi, avvenuto nell'Ottocento verso gli Stati Uniti. Pur sapendo ciò da tempo, cosa ha fatto l'Europa unita, e non solo, per prevenire l'inarrestabile ecatombe quotidiana di questi anni? Nulla, come tutti sappiamo. Le responsabilità politiche di parlamenti ed istituzioni non solo europee sono innegabili. Ma come le si nasconde all'opinione pubblica? Con la nuova ed antica arma di distrazione di massa, attraverso l'individuazione del nuovo "nemico" a cui addebitare tutto o quasi tutto, deresponsabilizzando i governanti: i nuovi mercanti di schiavi, gli scafisti. Per i quali il governo italiano - "differentemente da tutti gli altri paesi europei" esclama fiero il Ministro di turno - ha previsto la punibilità del timoniere con pene che con gli aggravamenti raggiungono i 30 anni di reclusione! Come per gli spacciatori di droga. Soltanto che in tema di droga - si è a lungo sostenuto - quantomeno si tutela il diritto alla salute del cittadino; salvo poi accorgersi dopo cinquanta anni che forse è meglio legalizzare le droghe al fine di interrompere l'interesse della criminalità all'arricchimento illegale che condiziona intere economie di mercato. In un caso, dunque si è mercanti di morte e si ritiene, comunque a torto, di giustificare i 30 anni. E nell'altro? Si è mercanti di morte facendo salire dei disperati - inseguiti da nemici sanguinari - su di un barcone pericolante condotto dall'ultima pedina di un'organizzazione? Pedina-timoniere, peraltro, sovente anch'essa disperata tanto da rischiare la morte insieme ai suoi passeggeri. È più colpevole chi ha ridotto intere popolazioni in condizioni così disperate da essere destinate a morte certa o il disgraziato - ben più simile ai suoi passeggeri che a noi - che offre loro, sia pur in cambio di denaro, l'ultima chance? Come già sostenuto da altri, non credo che tali riflessioni possano essere degradate a "buonismo da irridere", essendo di contro l'analisi necessaria per individuare le cause reali della tragedia in atto senza ricorrere a diversivi distrattivi. Ed è chiaro che tali riflessioni, fatte le debite proporzioni, possono valere anche per l'analisi sulle principali cause del crimine e che gli aumenti di pena rappresentano sempre e soltanto lo specchietto per le allodole, non incidendo per nulla nella realtà del fenomeno criminale. Ma tant'è, è inutile filosofeggiare sul libero arbitrio: il colpevole è già individuato ed a nulla valgono le sparute prese di posizione di chi evidenzia lo scandalo di oltre un miliardo di persone che vivono in una condizione di estrema invivibilità. Tali allarmanti dati sono peraltro relegati sempre ai margini dell'informazione ed, in ogni caso, slegati sia da un punto di vista grafico che concettuale dalla notizia dei migranti e delle loro tragiche morti. Persino Renzi, il sedicente rottamatore della politica, non afferma mai con chiarezza che le responsabilità sono in primis di tutti i governanti presenti e passati che, pur potendo agevolmente prevedere cosa sarebbe accaduto, non hanno mai concretamente attuato politiche che consentissero una più equa redistribuzione delle ricchezze materiali e culturali sul pianeta. Nessuna autocritica, nessuna analisi che permetta di individuare le vere cause dello scempio. Il responsabile è per tutti già pronto: il cattivissimo timoniere. Come dire che la responsabilità della Shoah è tutta del soldato Schulz che conduceva i camion verso i campi di prigionia. Nell'immediato, nell'attesa che si comincino ad attuare politiche dirette a mitigare sensibilmente le cause scatenanti della diaspora dei disperati del mondo - in primis, una più equa redistribuzione delle risorse materiali e culturali - occorre porre un argine all'ecatombe di migranti a cui stiamo assistendo inerti negli ultimi anni. Esiste un diritto alla vita che deve essere tutelato prima di ogni altra cosa, senza distinguo e senza tentennamenti. In una tragedia umanitaria di queste proporzioni, tutti i paesi occidentali devono fare la loro parte, accogliendo pro-quota - attraverso un sistema che consenta ai migranti di spostarsi con mezzi "normali" e non già attraverso "zattere della morte" - i disperati della Terra. Giustizia: intervista a Mirella Casiello (Oua) "Le riforme? Fatele fare a noi avvocati" di Errico Novi Il Garantista, 22 aprile 2015 Basta leggi scritte solo dai magistrati. Giurisprudenza sia a numero chiuso. Lo chiede la "pancia" della classe forense. Dicono: è una lobby. Potente e ben rappresentata in Parlamento. Ma davvero la categoria degli avvocati può essere descritta così? O il mito dei "tantissimi deputati che esercitano la professione forense" - e per questo procurano privilegi e tutele ai colleghi - va riconsiderato? La presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura (Oua), Mirella Casiello, propende per la seconda opzione: "Ci saranno anche tanti avvocati, alla Camera e in Senato, ma la nostra capacità di fare lobby è assai mediocre. Parlano da soli, credo, i ben 18 tentativi di riforma del processo civile piovutici addosso negli ultimi vent'anni". Casiello è un avvocato civilista di Taranto, al vertice dell'Oua dallo scorso 31 ottobre. Guarda alla realtà del sistema giustizia con occhi assai disincantati, che sono gli stessi, probabilmente, di molti suoi colleghi giovani come lei. La condizione sociale dell'avvocato vive un cambiamento epocale, in senso non positivo evidentemente… "La crisi economica pesa su tutte le professioni. Nel nostro caso si somma all'aumento dei costi di accesso alla giustizia introdotti negli ultimi anni: la sfiducia dei cittadini verso il sistema ha da tempo superato i livelli di guardia, e si traduce in una considerazione sempre più bassa che si ha della professione forense". Come mai? "Noi avvocati rappresentiamo il primo impatto che il cittadino ha con il sistema giustizia. Lo scoramento per i ritardi e le inadeguatezze si traduce in un risentimento verso di noi, non certo rivolto verso i magistrati". Ma la qualità dell'avvocatura è in ribasso? "Da quasi dieci anni esiste l'obbligo di formazione professionale, siamo tutti obbligati a seguire i corsi del Consiglio nazionale forense o di altri organi. Ma certo un'università migliore, e il numero chiuso nelle facoltà di Giurisprudenza, innalzerebbero il livello della preparazione". Numero chiuso a Giurisprudenza? Sarebbe una misura molto impopolare, non trova? "Senta, l'università ha venduto bugie ai ragazzi. Li ha accolti ma non li ha informati sulle reali opportunità che avrebbero avuto dopo gli studi. Credo che una preparazione generale debba essere aperta a tutti, ma poi la formazione specialistica andrebbe regolamentata". Nelle grandi città gli avvocati sono un esercito. "Ecco appunto. Io comincerei a informare in modo corretto gli studenti già nelle scuole. Il mondo del lavoro richiede strategie che consentano di colmare le sacche vuote ed evitare che i giovani restino parcheggiati". Intanto il governo ha licenziato la legge delega che dovrebbe riformare di nuovo il processo civile. "Si punta a superare il metodo degli interventi spot di questi ultimi anni. Ma mi pare si finisca per anticipare il cosiddetto collo di bottiglia del processo civile senza produrre reale contrazione dei tempi. Oggi il problema è la prima udienza collegiale, che in alcuni tribunali arriva a quattro anni dall'inizio della causa. Di fatto, con la riforma preparata dal professor Berruti, questo passaggio, che spesso ingolfa tutto, arriverebbe all'inizio della causa, con lo scambio delle memorie tra le parti. E per l'utente è molto peggio". Perché se i tempi complessivi restano quelli? "Perché avere il primo contatto col giudice dopo più di un anno produce uno scoramento irreparabile". Come se me esce, presidente Casiello? "Finché non si aumenta il numero dei magistrati, sarà inutile ogni ulteriore tentativo di riforma. Basterebbe questo tipo di intervento e si riuscirebbe a procedere spediti con il sistema processuale già in vigore". Dopo la tragedia di Milano c'è il rischio che le risorse destinate al personale della Giustizia finiscano alla voce sicurezza? "È vero che ci sono molte strutture inadeguate, ma resto convinta che tutto passi per un miglior coordinamento del personale oggi addetto alla vigilanza. Altrimenti come si spiega che Giardiello è andato su e giù per tre piani a sparare 13 colpi ed è stato preso solo dopo una fuga di chilometri?". All'ufficio legislativo del ministero non c'è neanche un avvocato, solo magistrati: va bene così? "Se ci fosse qualche avvocato e non solo magistrati si riuscirebbe ad avere un punto di vista diverso e a produrre proposte di legge in grado di incidere meglio sulla realtà. Ci vorrebbero avvocati di quelli che militano tutti i giorni nelle aule, e magistrati di prima linea, di quelli impegnati nei giudizi di primo grado, non cassazionisti ormai distanti dalla realtà. Un po' di concretezza in più e tante cose andrebbero sicuramente meglio". Giustizia: reato di tortura, quanti svarioni nella nuova legge di Michele Passione (Avvocato) Il Garantista, 22 aprile 2015 Fate presto, fate bene! L'Aula del Senato ha ricominciato l'esame del Ddl sulla tortura, dopo l'approvazione del testo modificato alla Camera lo scorso 9 aprile. Com'è noto, in seguito alla sentenza della Corte europea dei Diritti dell'uomo dello scorso 7 aprile, nel ricorso Cestaio contro Italia, il dibattito tra i Deputati si è improvvisamente (?) concluso, consegnando a Palazzo Madama per la lettura finale un articolato che, in teoria, dovrebbe costituire una risposta all'ennesima bocciatura del nostro Paese dinanzi alla Corte "Edu". Davanti ai giudici di Strasburgo, è bene ricordarlo, per i fatti di Genova pendono ancora i ricorsi Azzolina ed altri contro Italia, il cui esito appare scontato. Nel passaggio da un ramo all'altro del Parlamento sono state abolite l'inclusione dei trattamenti inumani e degradanti tra quelli oggetto di incriminazione. Si è previsto che la condotta debba avvenire intenzionalmente, ed altresì con le finalità specificamente indicate. Si è opportunamente chiarito che anche una sola condotta costituisce atto di tortura. Si è significativamente intervenuti sul versante della prescrizione. Sono novità da salutare con favore, che avevamo richiesto a gran voce, frutto del lavoro svolto dalla commissione Giustizia di Montecitorio. Le buone notizie, però, finiscono qui. Vediamo. La Camera ha testardamente mantenuto la previsione del reato comune e a forma vincolata (violenza o minaccia), che lascia del tutto scoperte le più moderne forme di tortura (solo per fornire degli esempi: lasciare senza cibo; lasciare nudi e al freddo; tenere sempre accesa, o sempre spenta, la luce nei luoghi di detenzione; mettere la musica ad altissimo volume; costringere a posture innaturali, età). Inoltre, la fattispecie si presenta pericolosamente foriera di sovrapposizioni con altre disposizioni previste dalla Legge (si pensi ai maltrattamenti, di cui all'articolo 572 del Codice penale). Il professor Ferrando Mantovani, che chi scrive considera il proprio maestro, sostiene a ragione che ogni fattispecie penale deve presentare il massimo della chiarezza e tipicità, senza inseguire la realtà con confuse disposizioni di dettaglio, poiché questa è sempre più varia e mutevole rispetto alle previsioni del Legislatore; è sufficiente leggere la trascrizione dei lavori parlamentari per rendersi conto di quanto sia stato inascoltato il monito nel dibattito in Aula, impregnato di demagogia e pressapochismo giuridico. Quanto alla condotta del Pubblico ufficiale, prevista come mera circostanza aggravante (bilanciabile con qualsivoglia attenuante), essa richiama "i fatti dì cui al primo comma", commessi "con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio". Appare dunque evidente come il richiamo "ai fatti", e non alla mera condotta dell'ipotesi base, impedisca di ritenere punibile l'azione di forze di polizia, ove commessa prima che le vittime del reato siano poste "nelle mani dello Stato" (ad esempio, con l'arresto); stupisce dunque che sia stato affermato (come si può leggere a pagina 4 della trascrizione dei lavori alla Camera) dalla presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti che "nei fatti commessi dal pubblico ufficiale vediamo bene che ci rientrano tutti ì noti fatti che oggi la Corte europea caratterizza come tortura". Non è così; come sa bene l'onorevole Ferranti, il fatto di reato comprende tutto ciò che lo connota, ivi comprese le caratteristiche della persona offesa ed i rapporti che la legano all'autore del delitto. Entrambe le norme, al dunque, presentano non poche aporie, evidenti frutto di compromesso giuridico ("le larghe intese"), che le rendono per molti versi inapplicabili. In questi giorni molto si è scritto, e da più parti, sul testo in esame. In particolare, si è sostenuto che l'Italia sarebbe obbligata a mutuare la definizione del reato da quella prevista dalla Convenzione del 1984, che al contrario lascia liberi gli Stati nel normare come credono la fattispecie, che pure deve essere introdotta. Ancora: l'opinione di chi ha sostenuto che il Giudice nazionale potrebbe estendere la portata del reato alla definizione offerta sul punto dalla Corte europea non è condivisibile, poiché si tratterebbe di analogia in malam partem, che nulla ha a che fare con il rispetto dell'articolo 117 comma 1 della Costituzione, tanto più alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, secondo la quale il Giudice comune è tenuto al rispetto delle interpretazioni della Convenzione avanzate dalla Corte Edu solo laddove risultino "consolidate". Proseguendo nell'esame del testo, si nota che è stata inserita la disposizione (presente per vero anche nella Convenzione) per la quale l'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti deve assurgere a livello ulteriore di sofferenza per poter essere sanzionata (diversamente da quanto più volte affermato dalla Corte di Strasburgo, che non distingue tra atti legittimi o meno in subiecta materia, quando essi provochino comunque sofferenze acute). Nel testo ora tornato all'esame del Senato manca del tutto l'insieme di regole previste dalla Convenzione (articoli 2, 10 e 11) per prevenire gli illeciti, dalla formazione del personale di polizia, civile, militare, medico (Bolzaneto docet) al sistema di identificazione degli agenti, né risultano soddisfatte le ragioni per le quali sono stati proposti i ricorsi contro l'Italia per i fatti della Diaz e Bolzaneto. Di più. Si è mantenuta la bizzarra previsione (con un raddoppio della pena originariamente prevista) per la quale l'istigazione è punita solo nei confronti dei pubblici ufficiali; per la morte non voluta si è prevista la pena superiore a quella dell'omicidio volontario (con evidenti profili di incostituzionalità), e si è mantenuta la pena dell'ergastolo per chi cagiona volontariamente la morte, un'altra occasione persa per mondare l'Ordinamento da un istituto indecente come la pena perpetua. Speriamo ancora che il Senato sappia rimediare a questi errori. Un Paese che legifera sempre e soltanto sull'onda della emergenza (di volta in volta, una tragedia, una condanna "dell'Europa", una calamità naturale, una sapiente campagna mediatica, debitamente alimentata a fini elettorali) è un Paese che ha smesso dì pensare al bene comune. A chi ancora ritiene che "l'ottimo è nemico del bene" possiamo solo obiettare che così facendo continueremo a pensare che "nessuno è Stato". Giustizia: Ospedali Psichiatrici Giudiziari, le tante resistenze alla chiusura di Michele Passione (Avvocato) Il Manifesto, 22 aprile 2015 Il prossimo 24 giugno la Corte Costituzionale deciderà sulla questione sollevata dal Tribunale di Sorveglianza di Messina, che lamenta la violazione di ben 13 articoli della Carta (e, tra essi, di 4 Principi fondamentali) ad opera della legge 81/2014, che prevede la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Le disposizioni censurate sono quelle secondo le quali la sola mancanza di un progetto di cura non può costituire motivo a sostegno del giudizio di pericolosità, né che lo stesso può fondarsi sulla base di elementi inerenti le condizioni di vita individuali, familiari e sociali delle persone. Non trattandosi di lettura "a rime obbligate", come si dice tecnicamente, ben potendosi dare un'interpretazione diversa e costituzionalmente orientata della norma denunciata come illegittima, si può confidare che la Consulta saprà proteggere la novella. Infatti, la norma criticata dai giudici siciliani riassegna alla magistratura l'onere della decisione sul destino delle persone, quando non avvenga (come la legge peraltro impone di fare) una presa in carico da parte dei servizi. Quanto all'accusa di "neo positivismo", derivante dal dimidiato parametro di valutazione della pericolosità, essa appare risibile; la modifica introdotta dalla legge semplicemente tende ad impedire la coazione a ripetere la misura dell'internamento. La ragione dell'attacco frontale è sempre la stessa, la cosiddetta sicurezza sociale. Regioni totalmente inadempienti come il Veneto, oppure orientate a scatenare un conflitto tra le diverse ed incompatibili esigenze di detenuti ed internati, come la Toscana; Comuni restii ad accogliere "i matti" sul territorio, secondo un'insopportabile logica nimby, psichiatri ossessionati dalla "posizione di garanzia", che temono accresciuta, magistrati autori di interpretazioni bizzarre. In mezzo a tutto questo, restano volti e nomi, finalmente restituiti a se stessi, ma che devono essere accompagnati verso la via di uscita e la liberazione da una condizione che per decenni li ha obbligati "a viver come bruti". Di sicuro, il difficile viene ora. È necessario che la magistratura comprenda fino in fondo che non può delegare ai periti un giudizio che le compete, e che l'Avvocatura sappia adempiere al suo ruolo di tutela dei diritti, con consapevolezza e preparazione. È indispensabile che il personale medico, tutto, si apra al bisogno di cura, abbandonando pratiche medioevali come la contenzione, massicciamente praticata, non solo negli Opg. In prospettiva, ovviamente, bisognerà superare la logica del doppio binario, in nome della quale si è edificato un sistema di potere sul quale pochi hanno aperto gli occhi ed alzato la voce. Come è emerso con chiarezza dalle Relazioni dei Ministri della Salute e della Giustizia, le persone ritenute non ancora dimissibili per ragioni connesse alla loro patologia sono meno di un centinaio; vien dunque da chiedersi a cosa serva, e a chi, prevedere una pluralità di strutture neo manicomiali, anche con l'ausilio del privato sociale, che nella loro parcellizzazione rischiano di ricreare un sistema che si vuole superare. Il modello Castiglione delle Stiviere, che con sapiente maquillage si appresta a proseguire gattopardescamente lo schema di "asylum", non può diventare l'esempio da seguire, ed anzi va fortemente contrastata la pretesa di poter tuttora conciliare la cura con gli stessi strumenti del passato. Territorio, inclusione, partecipazione, responsabilità, cura delle persone, non solo delle malattie, sono le coordinate di civiltà e di umanità su cui orientare il cammino che ci attende. Giustizia ddl sul reato di "omicidio stradale", perimetro ampliato di Maurizio Caprino Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2015 Il reato di omicidio stradale potrebbe scattare anche negli incidenti causati da chi passa col rosso, circola contromano o si rifiuta di sottoporsi ai test per accertare se il guidatore è sotto effetto di alcol o droga. Inoltre, potrebbe essere inasprita la parte del reato relativa alla velocità. Verteranno anche su queste novità le votazioni della commissione Giustizia del Senato sul disegno di legge 859, che un mese fa era stato adottato come testo base per l'introduzione dell'omicidio stradale nel Codice penale. Dunque, per ora sono state recepite almeno alcune delle richieste di inasprimento reiterate dalle associazioni che si occupano di sicurezza stradale. E che avevano organizzato nuove manifestazioni proprio per ieri, quando scadeva il termine per la presentazione degli emendamenti al testo base. La scadenza, però, è stata posticipata a lunedì prossimo, per dar modo ai senatori di studiare ulteriori modifiche o di rinunciare a presentare i propri emendamenti. Si è ritenuto che ciò fosse necessario perché il relatore, Giuseppe Luigi Cucca (Pd), ha appena aggiunto al testo base alcune parti nuove, per cercare un equilibrio con le posizioni più "dure". Ma ciò non esclude che possano arrivare proposte ancora più severe. Così come non è detto che la versione inasprita del testo base non sia ammorbidita: su alcuni punti ci sono perplessità tecniche. È il caso, per esempio, dell'aggiunta della guida contromano all'elenco delle infrazioni che, in caso d'incidente mortale, dovrebbero far scattare per il conducente responsabile l'accusa di omicidio stradale: imboccare un'autostrada o una superstrada nella carreggiata sbagliata è certamente pericolosissimo, ma spesso accade per mero errore. Magari legato a deficit visivi o cognitivi. Quindi non ci sarebbe quella volontà specifica (di accettare un rischio elevato) che giustifica le pene più severe che l'omicidio stradale avrà rispetto all'omicidio colposo. In base a considerazioni analoghe è per ora rimasta senza esito la proposta delle associazioni di inserire nel testo base anche gli incidenti dovuti a grave distrazione. Quanto alla velocità, un mese fa era stato previsto l'omicidio stradale in caso di andatura doppia rispetto al consentito; nel testo base emendato, fuori dai centri abitati basterebbe un eccesso di 50 km/h. Tra i ritocchi apportati da Cucca c'è anche la previsione di considerare la revoca della patente una pena accessoria e non una sanzione amministrativa da comminare a parte. Giustizia: in arrivo la codificazione del principio dell'abuso di diritto di Cristina Bartelli Italia Oggi, 22 aprile 2015 L'abuso di diritto, sinonimo dell'elusione fiscale, sarà sanzionato solo amministrativamente, con l'onere della prova in capo all'amministrazione finanziaria. Al contribuente spetterà il compito di dimostrare il vantaggio extra fiscale in vista dei quali ha compiuto l'operazione. Il consiglio dei ministri, dopo una serie di stop and go ha approvato ieri in prima lettura il decreto legislativo sulla certezza del diritto che contiene la codificazione nel nostro ordinamento del principio dell'abuso di diritto. Ora il testo, che per essere approvato in tempi certi ha perso per strada la riforma dei reati tributari, sarà inviato alle commissioni parlamentari per i prescritti pareri. Il decreto legislativo inserisce, dunque, un nuovo articolo, il 10-bis, innestato nello statuto del contribuente (legge 212/2000). In conferenza stampa, ieri, il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan ha spiegato le ragioni della norma nel "delineare con certezza la condotta contestabile dal contribuente e cioè fornire margini chiari entro i quali operare senza incorrere nella violazione involontaria dello spirito delle norme fiscali". L'onere della prova resterà a capo dell'amministrazione finanziaria mentre "il contribuente deve dimostrare il vantaggio extra fiscale in vista del quale ha compiuto l'operazione" ha spiegato Padoan che ha aggiunto: "ricordo che comportamenti che riguardano frode, reati tributari, e evasione presentano rilevanza penale. Nel caso dell'abuso del diritto il regime sanzionatorio è di tipo amministrativo e quindi non penale". Delineando dunque una netta spartizione tra le condotte elusive e quelle evasive. Sono tre i presupposti della condotta dell'abuso di diritto: l'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate, la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito e la circostanza che il vantaggio è l'effetto essenziale dell'operazione. In particolare per configurare l'abuso di diritto deve sussistere la violazione della ratio delle norme o dei principi generali dell'ordinamento. La norma esclude dal perimetro dell'abuso di diritto le operazioni giustificate da valide ragioni extra fiscali, non marginali anche di ordine organizzativo. Nella relazione di accompagnamento del provvedimento si specifica rispetto alle indicazioni della legge delega che il principio si applica anche "quando l'attività economica del contribuente sia professionale e non imprenditoriale". Inoltre sempre nella relazione di accompagnamento si evidenzia che non è "possibile configurare una condotta abusiva laddove il contribuente scelga, per dare luogo all'estinzione di una società di procedere a una fusione anziché alla liquidazione". Sono per il legislatore ora due operazioni messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse. Inoltre il contribuente ha la possibilità di presentare istanza di interpello preventivo. E l'atto di contestazione dell'abuso non dovrà contenere eventuali addebiti che dovranno essere contestati separatamente. La procedura di contestazione dell'abuso poi è rigida. Il Fisco cioè dovrà attenersi a quelle regole con la richiesta di chiarimenti entro 60 giorni e dovrà contenere sempre, a pena di nullità, le motivazioni analitiche in relazione alla condotta abusiva. Nel provvedimento, poi, si introduce una procedura collaborativa tra fisco e aziende con un fatturato maggiore di 10 mld di euro per gestire il rischio fiscale. Dove l'amministrazione finanziaria diventa consulente dell'azienda. Il decreto definisce cosa si debba intendere per rischio fiscale. Un po' sulla falsa riga del rischio di impresa per la responsabilità amministrativa degli enti. È quel rischio suscettibile di produrre danni patrimoniali o reputazionali con particolare riferimento a situazioni che possono comportare violazioni dirette della norma tributaria o nelle quali possa ravvisarsi incertezza interpretativa. In questa categoria rientrano tutte quelle operazioni per cui possa configurarsi l'abuso di diritto. Sul punto è intervenuto il presidente della commissione finanze della Camera, Daniele Capezzone che fa notare: "che uno dei punti fondamentali della delega, che il governo era chiamato ad attuare, e cioè la cooperazione Fisco-imprese, sia stata riservata dal governo solo alle imprese oltre i 10 miliardi di euro di fatturato. E tutti gli altri? E le piccole e medie imprese? Il governo ha dimenticato oltre il 90% delle imprese italiane, quelle più tartassate dal Fisco". Giustizia: Bernardo Provenzano in gravi condizioni di salute, detenzione incompatibile Ansa, 22 aprile 2015 Grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, anche se lento, peggioramento: è la diagnosi che i medici dell'ospedale San Paolo di Milano fanno del boss Bernardo Provenzano, ricoverato in stato di detenzione al 41 bis nel nosocomio lombardo. Il referto è stato depositato oggi all'udienza preliminare, davanti al gup di Palermo Riggio, in cui il capomafia di Corleone è imputato di minaccia a corpo politico dello Stato, nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. La posizione del padrino è stata stralciata da quella degli altri coimputati che sono già a giudizio davanti alla corte d'assise, perché Provenzano non è stato ritenuto in grado di partecipare coscientemente al processo. Periodicamente il gup chiede all'ospedale una rivalutazione della diagnosi delle condizioni cliniche del detenuto e rinvia - stavolta l'udienza è stata fissata al 15 settembre - per accertare se ci siano state modifiche e se l'udienza preliminare può riprendere il suo corso. Nelle loro conclusioni i medici dichiarano il paziente "incompatibile con il regime carcerario", aggiungendo che "l'assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza". Da mesi l'avvocato del boss, Rosalba Di Gregorio, chiede, senza successo, la revoca del regime carcerario duro e la sospensione dell'esecuzione della pena per il suo assistito, proprio in virtù delle sue condizioni di salute. Sicilia: chiusura degli Opg; la Regione è una delle poche adempienti, operative due Rems Ansa, 22 aprile 2015 "La Sicilia è una delle poche regioni italiane pienamente adempienti in materia di Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza, che dal 1 aprile devono sostituire per legge gli ospedali psichiatrici giudiziari. Un segno di attenzione nei confronti dell'esigenza di cura di coloro che scontano la detenzione presso tali strutture, nonché di sicurezza dei cittadini". Lo dice l'assessore regionale per la salute Lucia Borsellino che fa il punto sull'avvio delle nuova strutture. In Sicilia sono state individuate due residenze provvisorie rispondenti agli standard ministeriali che al momento prevedono soltanto la presenza di uomini. Si trovano a Naso nel Messinese e a Caltagirone nel Catanese, ciascuna con un modulo di 20 posti letto come stabilito dalla norma. La struttura di Naso è operativa già dal 1 aprile ed ospita in atto 13 internati, il cui trasferimento è stato disposto dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Dal 27 aprile sarà operativa anche la struttura di Caltagirone. I contatti tra gli uffici competenti dell'Assessorato, le Aziende Sanitarie Provinciali di Messina e Catania ed il Dap sono costanti, per consentire nei tempi stabiliti, la prosecuzione dell'iter di trasferimento degli internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto alle Rems. Nelle nuove strutture sono rispettati gli standard di sicurezza, residenzialità e personale, previsti dalla legge. La tempestiva azione della Regione ha fatto si da creare le condizioni per l'ospitalità provvisoria di soggetti di altre regioni nelle quali, ancora, le strutture Rems non sono attive. Toscana: il Garante; chiusura Opg, situazione di incertezza in attesa delle nuove strutture Ansa, 22 aprile 2015 Una situazione di incertezza in attesa dell'individuazione di piccole strutture terapeutiche territoriali e di una residenza destinata ad accogliere i pazienti internati con misure di sicurezza detentiva. È quanto emerso da una visita del garante dei detenuti toscano Franco Corleone all'Opg di Montelupo Fiorentino. Al momento della chiusura della struttura la Toscana dovrà farsi carico dei 48 toscani, mentre gli altri pazienti verranno affidati alle rispettive regioni di provenienza. Accompagnato dalla direttrice Antonella Tuoni, Corleone ha visitato la struttura e le celle. Attualmente, viene spiegato in una nota, gli internati sono 114 dei quali 48 toscani. La direttrice ha fatto presente che entro breve otto internati liguri dovrebbero essere trasferiti a Castiglion delle Stiviere (Mantova). Il garante ha incontrato i detenuti, che gli hanno fatto presente la situazione di incertezza e preoccupazione, in attesa di conoscere la loro destinazione futura. Alcuni internati hanno voluto mostrare al garante la cella dove nei giorni scorsi erano stati bruciati due materassi. La direttrice ha parlato di una situazione stazionaria all'Opg dove dal primo aprile (giorno in cui è entrata in vigore la legge 81, che stabilisce la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari) non si sono registrate né uscite né ingressi. Toscana: la restituzione dell'Opg alla collettività non è un capriccio, ma un atto di civiltà di Paolo Londi (ex Consigliere Comunale di Montelupo Fiorentino) www.gonews.it, 22 aprile 2015 Pur avendo vissuto in prima persona le vicende politico-istituzionali e il corposo dibattito sulla Villa Medicea di Ambrogiana, fino ad oggi mi sono astenuto dall'intervenire. In vista del Consiglio Comunale aperto del 22 Aprile, ritengo utile ristabilire alcune verità storiche comprovate da documenti che i soggetti presenti oggi nelle istituzioni non conoscono, per il fatto di non averle vissute o per non averle mai approfondite. Della proposta di un uso diverso della Villa Medicea dell'Ambrogiana si hanno notizie certe già dagli anni 61/62 (articoli La Nazione Empoli, 03.02.1962 e 06.02.1962: il rag. Luciano Mancioli, assieme al rag. Alfio Dini, in un convegno sui problemi delle industrie di Montelupo, riprendendo un articolo de La Nazione di Empoli del 10.12.1961, per la prima volta lanciano l'idea di un utilizzo diverso della Villa Medicea dell'Ambrogiana). Personalmente ho vissuto dall'esterno, fin dal 1970, le vicende riguardanti il Manicomio Criminale, poi O.P.G., e della Villa Medicea. Nel 1972, a seguito di notizie circa la costruzione di un carcere femminile adiacente alla Villa Medicea, le forze politiche montelupine, e in particolare la DC, portarono all'attenzione dell'allora Ministro di Grazia e Giustizia, Gonella, tramite l'onorevole Cesare Matteini, la contrarietà a tale intervento, sostenendo fosse più utile costruire una sede alternativa per l'OPG. Il 13 marzo 1973, il Lion s'club di Empoli, organizzò un'interessante convegno sulla villa medicea dell'Ambrogiana dal titolo "Liberazione dell'Ambrogiana", alla presenza del senatore Piero Bargellini dell'onorevole Matteini, dell'architetto Guido Morozzi. Gli esiti del convegno verranno ampiamente riportati dalla stampa vedi v. La Nazione del 15/03/1973. Si richiedeva un utilizzo diverso per la Villa Medicea. Contemporaneamente, a seguito di pressanti interessamenti da parte di vari esponenti della DC locale (avv. Franco Anticaglia, Guido Lami, Bruno Migliori, Oreste Allegranti, Paolo Londi) il Ministero di Grazia e Giustizia chiese in forma ufficiale al Comune di Montelupo Fiorentino di prevedere, nel nuovo Piano Regolatore Generale del 74, un'area per la costruzione di un nuovo manicomio criminale. Tale richiesta venne accolta da l comune di Montelupo Fiorentino che assegnò, nel suo P.R.G, una vasta area di circa 5 ettari in località Sammontana per la costruzione della nuova struttura. Dal 1975 fino all'anno 2008, anno in cui il legislatore previde il superamento degli OPG, nonostante l'interessamento di tutte le forze politiche comunali e nazionali (v. i numerosi articoli pubblicati sulla stampa), il Ministero e il D.A.P (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) non presero mai in considerazione queste loro richieste, pur in presenza di precarie condizioni delle strutture esistenti. Questa premessa ha lo scopo di far comprendere come la comunità di Montelupo abbia sempre avuto presenti le problematiche legate all'ospedale psichiatrico. Leggendo dell'attuale legittimo dibattito oggi in corso, resto meravigliato da alcune posizioni politiche, in particolare quella dell'amico Daniele Bagnai, che è stato componente, assieme al sottoscritto, del gruppo consiliare della Dc dal 1980 al 1995. Prendo atto con rammarico del fatto che, rispetto al passato, l'amico Bagnai inspiegabilmente abbia cambiato opinione, in quanto attualmente si dichiara a favore del mantenimento del carcere al posto dell'OPG. Negli anni 80 Bagnai fu cofirmatario di un articolo pubblicato sul periodico Montelupo Informa, in cui la DC di allora chiedeva la totale e completa restituzione della Villa Medicea (compreso annessi) alla collettività. Inoltre stupisce anche la posizione dell'ex assessore Luca Rovai, che ha vissuto politicamente in prima persona le vicende passate dell'OPG (condividendo sempre le scelte delle amministrazioni comunali precedenti) il quale oggi, con un comunicato scritto in "burocratese/doroteo puro", vorrebbe lasciare le cose così come stanno. Ciò che più mi amareggia sono alcuni passaggi sulla stampa e su Facebook, dell'amico Fabrizio Ciuffini, segretario generale FNS Cisl Toscana e, in parte, anche della posizione dell'attuale direttrice dell'OPG Antonella Tuoni. Alcuni loro interventi affermano che alle istituzioni e alla politica montelupina non interessano gli internati e il personale di polizia penitenziaria dipendente dell'OPG, ma solo la struttura della Villa Medicea. Simili affermazioni non corrispondono al vero, poiché, per quanto ricordi e abbia vissuto personalmente, le associazioni del volontariato, l'Arci, le Acli, la parrocchia di Ambrogiana (e qui un pensiero va al compianto Don Armando Elmi), si sono sempre interessate, nei limiti consentiti dalla legge, agli internati dell'OPG. Ricordo benissimo, ad esempio, i momenti di convivialità organizzati nei locali del circolo Acli di Montelupo assieme ad alcuni degli internati. Vorrei precisare all'amico Ciuffini che la richiesta di un utilizzo diverso della Villa, già negli anni 60, rispondeva a tre esigenze primarie: 1) creare una struttura sanitaria all'altezza dei tempi per i soggetti malati reclusi; 2) favorire un ambiente di lavoro idoneo, sicuro ed efficiente, per gli agenti di custodia; 3) restituire alla collettività un edificio di interesse storico universale, impropriamente usato da oltre 150 anni. Queste mie considerazioni non intendono assolvere la Regione Toscana, il Ministero di Grazie e Giustizia, il D.A.P da ritardi, omissioni, incomprensioni; se errori vi sono stati, chi li ha commessi è giusto se ne assuma la responsabilità. Riguardo agli oltre 7 milioni di euro che l'amministrazione penitenziaria afferma di aver speso dal 2008 a oggi, preciso che le istituzioni montelupine non sono mai state informate in merito a tali ristrutturazioni. Inoltre, se i provvedimenti legislativi, già dal 2008, prevedevano il superamento dei 5 OPG a livello nazionale, per quale motivo il D.A.P ha impiegato tali somme in una struttura di cui era già prevista la chiusura? Tali ingenti somme avrebbero potuto esser destinate al miglioramento di strutture attualmente esistenti e non interessate alla dismissione". Toscana: Grieco (Uil-Pa) "Regione collochi al più presto i pazienti dell'Opg nelle Rems" www.gonews.it, 22 aprile 2015 Il Coordinamento Provinciale della Uil-Pa Penitenziari di Firenze ha appreso dalla stampa che il 22 aprile è stato indetto il Consiglio Comunale con annesse le modalità di intervento per discutere sull'OPG di Montelupo Fiorentino. È quanto comunica Eleuterio Grieco, Coordinatore della Segreteria Provinciale della Uil-Pa Penitenziari di Firenze. Come già dichiarato in commissione consiliare l'11 Marzo 2015 dal Coordinamento Uil-Pa Penitenziari, la questione della chiusura dell'OPG Montelupo Fiorentino, a nostro parere, deve trovare le sue attenzioni, nell'ambito del confronto con la parte datoriale, ovvero con il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, al fine di avere quelle risposte necessarie per comprendere appieno la politica penitenziaria che si vuole adottare nel paese, rispetto sia al sovraffollamento detentivo che alla certezza della pena, collegata da un filo conduttore, alle dismissioni e/o edificazioni di strutture penitenziarie, sottolinea Grieco. Tale passaggio, è propedeutico per l'attivazione di quei sistemi contrattuali insiti e specifici del Comparto Sicurezza. Nel merito della vicenda OPG Montelupo Fiorentino, è di tutta evidenza che oggi si è di fronte ad una mancata applicazione della legge 9/2012 e 81/2014 da parte della Regione Toscana, essendo presenti ancora all'interno della struttura gli internati "come reclusi" (114). Un plauso va agli uomini ed alle donne della Polizia Penitenziaria che stanno oggi surrogando ad un servizio non più di loro competenza con enormi difficoltà rispetto a segnali di insofferenza esternati dalla popolazione detenuta. In conclusione Grieco afferma il nostro auspicio è che la Regione Toscana, si ravveda, affinché collochi al più presto i pazienti nelle Rems attraverso anche accordi interregionali temporanei, unica soluzione atta a rispettare nell'immediatezza la previsione normativa; viceversa chiederemo con forza anche mediante l'intervento della magistratura, affinché il personale di Polizia Penitenziaria esca immediatamente dai reparti ove sono presenti i pazienti, imponendo alla regione toscana ovvero l'ASL 11 la presa in carico del servizio di custodia ed assistenza sanitaria essendo dal 31.03.2015 di loro esclusiva competenza. Coordinamento Provinciale della Uil-Pa Penitenziari di Firenze Benevento: dieci detenuti-operatori per la raccolta differenziata Il Sannio, 22 aprile 2015 Casa Circondariale di Benevento, reparto a Custodia Attenuata: il via alla raccolta differenziata dei rifiuti. Alla regia Marilena Palladino, docente di Pontelandolfo esperta in materia ambientale e titolare della società Gcst.Eco srl, e Lino Fiscarelli, nel ruolo di tutor. Nell'ambito di un corso che ha abilitato 10 detenuti alla professione di operatore per la raccolta differenziata dei rifiuti, promosso dalla Regione Campania per il tramite dell'ente di formazione Avs Group, si e dato il via al progetto di raccolta differenziata all'interno del settore a Custodia Attenuata che ospita circa 100 detenuti. Argomento di grande attualità ed interesse che ha visto tutti impegnati con grande successo. La sinergica collaborazione tra il docente, il tutor, la direzione, l'arca trattamentale ed il Corpo di Polizia ha permesso che, dopo un mese e mezzo di lavori, si raggiungesse lo scopo di trasmettere un concetto rilevante: i rifiuti sono una risorsa. In atto, quindi, la raccolta di umido, multimateriale riciclabile e indifferenziato secco, che nei giorni stabiliti la municipalizzata azienda Asia di Benevento, prezioso collaboratore, ritira durante la settimana. I detenuti hanno subito fatto proprio il regolamento interno, dando esempio di grande civiltà, decoro e rispetto per l'ambiente. Il corso si è sviluppato in tre fasi. A quella puramente didattica è seguita la vagliatura manuale dei rifiuti, mentre nella parte finale si è data "libertà" alla creatività dei detenuti con il "riciclo creativo". Hanno fatto arte utilizzando i propri rifiuti. Tappi, bicchieri, bottiglie di plastica, residui di saponette hanno dato vita a vere e proprie sculture e oggetti di arredo. "Quando sono stata contattata per questo progetto dall'Ente di formazione - ha dichiarato la docente Palladino - ho avuto molte remore e prima di accettare l'incarico ho riflettuto a lungo. Si trattava di un mondo sconosciuto, che spaventa, eppure parte della realtà in cui viviamo. Le paure hanno lasciato subito il posto ad una grande grinta che mi veniva trasmessa da persone che, sebbene abbiano commesso un errore, sono pronte a ricominciare; a noi educatori tocca dare tutto quanto nelle nostre possibilità per riabilitarli. Un ambiente sereno quello del reparto a Custodia Attenuata. I detenuti lavorano, studiano e il tutto è possibile grazie all'interesse attivo della direttrice M.L. Palma e delle educatrici dell'area trattamentale, persone competenti e professionali, e al Corpo di Polizia coadiuvato dall'ispettore Nicola Soreca. Tutti loro mi hanno preso per mano il primo giorno e accompagnata fino all'ultimo. Reggio Calabria: seminario "Detenuti e Lavoro", l'occasione arriva da 30 imprese solidali www.strettoweb.com, 22 aprile 2015 Durante il seminario intitolato "Detenuti e Lavoro" si sono illustrati i risultati del progetto Agis (Agenzia inclusione sociale): 30 imprese solidali si sono dichiarate disponibili ad accogliere persone provenienti da circuiti penali. Si è tenuto ieri, presso il Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, il seminario intitolato "Detenuti e Lavoro", nel corso del quale si sono illustrati i risultati del progetto Agis (Agenzia inclusione sociale), avviato a giugno dell'anno scorso e teso all'inserimento lavorativo e sociale di persone provenienti da circuiti penali e dei loro familiari. Come è stato attestato, e riportato anche quest'oggi su La Gazzetta del Sud, lo sportello Agis, sito negli uffici comunali al Cedir, ha registrato 120 contatti: si sono riuscite ad orientare 42 persone, tra le quali 6 donne. Presente all'incontro, moderato da Giuseppe Carrozza, anche Maria Angela Ambrogio, della Cabina di regia Agis, che ha sottolineato l'importanza del percorso intrapreso, basante non solo su un modello orientativo, ma anche su un supporto psicologico da offrire a questa gente. A tale scopo sono orientate 30 imprese solidali, che si sono dichiarate disponibili ad accogliere persone provenienti da circuiti penali, anche se è difficile assicurare loro un futuro lavorativo in quanto il progetto non prevede borse di studio. Un tentativo di inclusione sociale, quindi, che però risulta frenato soprattutto dalla scarsità di fondi a disposizione. La Ue e i migranti: repressione più che accoglienza di Anna Maria Merlo Il Manifesto, 22 aprile 2015 Verso il Consiglio straordinario. Bruxelles studia l'ipotesi di "operazioni militari" contro i trafficanti. L'obiettivo di Frontex resta sempre lo stesso: difendere la fortezza Europa. Le proposte della Commissione. La protesta delle associazioni umanitarie. La Ue sarà più "solidale", come afferma Matteo Renzi, ma questa solidarietà si esprime senza uscire dai criteri che hanno portato alla creazione di Frontex, dieci anni fa e, alla fine dell'anno scorso, del suo programma Triton: sorvegliare e punire, respingere il più possibile i migranti disperati che cercano di scalare la fortezza Europa. Tra i dieci punti presentati dalla Commissione per rispondere nell'immediato all'emergenza dei 1600 morti in neanche quattro mesi di questo 2015 (un morto ogni due ore, in media), ve ne sono alcuni molto problematici: Bruxelles propone al Consiglio europeo straordinario di domani dei capi di stato e di governo di organizzare una più precisa lotta ai trafficanti, di bloccare le strade utilizzate dai migranti, di sequestrare e distruggere i barconi. La portavoce della Commissione per le questioni di immigrazione, Natasha Bertaud, ha evocato ieri una possibile "azione militare e civile" per colpire i trafficanti. Ipotesi confermata in serata anche dal ministro degli Interni italiano: "Abbiamo fatto una richiesta chiara per ottenere azioni mirate in Libia, in un quadro di legalità internazionale. Siamo alla ricerca di consenso internazionale per affondare i barconi dei trafficanti di esseri umani" prima che partano, ha detto Alfano. Sarebbero quindi allo studio interventi mirati, in Libia, per bloccare le partenze dei migranti. Le organizzazioni umanitarie sono insorte ieri contro queste ipotesi, che privilegiano la repressione e lasciano poco spazio al miglioramento dell'accoglienza. La rete Migreurop, che da tempo lotta per un Frontexit (cioè per l'abolizione di Frontex), accusa la missione di avere come solo scopo quello di impedire ai migranti di arrivare sul territorio europeo. Per Claire Rodier di Migreurop, autrice di un libro sul business dell'immigrazione, ci sono grandi "zone d'ombra" in Frontex, che opera in modo incompatibile con il rispetto dei diritti umani. Critiche severe a Frontex anche da parte di Jean-François Dubost, di Amnesty International France: "La strategia della Ue è: non facciamo nulla che faccia venire voglia di venire" in Europa. La conferma dell'approccio prevalentemente repressivo viene dalla stessa Frontex: la portavoce, Izabelle Cooper, ha ieri puntato i riflettori soltanto contro i trafficanti, che "fanno miliardi di business obbligando uomini e donne a imbarcarsi su minuscole imbarcazioni, senza giubbotti di salvataggio". La Ue si ripara dietro la lotta ai trafficanti e propone di bloccare le partenze all'origine. Le politiche migratorie restano nella Ue una responsabilità dei singoli stati. Giovedì, per François Hollande il Consiglio "non può prendere decisioni ordinarie". Nei dieci punti della Commissione c'è anche la "schedatura" dei migranti e un rinvio più veloce di coloro che non vengano considerati candidati al diritto d'asilo. In altri termini, ci si avvia verso una repressione che, partendo dai trafficanti, colpirà soprattutto le persone che la situazione disperata in cui vivono spinge ad emigrare. Bruxelles chiede ai paesi membri una maggiore solidarietà verso i paesi del sud Europa - Italia, Grecia, Spagna e Malta - dove arrivano i migranti, suggerendo una ripartizione dei candidati all'asilo tra i 28 (si parla di circa 5mila persone al massimo). La svolta dell'Ue "Operazione militare contro gli scafisti" di Vincenzo Nigro La Repubblica, 22 aprile 2015 Alfano: "Dopo l'ok dell'Onu bombarderemo i barconi" Il premier Renzi chiama Ban Ki-moon per il via libera. Potrebbe essere la prima "guerra" dell'Unione europea, la guerra agli schiavisti del 21° secolo. Un'operazione di polizia internazionale condotta con mezzi militari, con un obiettivo principale nel mirino: i barconi degli scafisti in Libia, ma anche tutta la struttura di comando e controllo del traffico di esseri umani che attraversa quel paese. Con un obiettivo parallelo e non secondario: quello di essere pronti a colpire anche i miliziani dell'Is, o comunque i jihadisti che in Libia hanno giurato fedeltà al califfato di Al Baghdadi. Per questi obiettivi ieri il governo italiano si è messo al lavoro innanzitutto con i partner europei, per garantire supporto alla proposta e partecipazione a una possibile operazione militare. Il premier Matteo Renzi ha telefonato al presidente Ue Donald Tusk, ma anche al segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon per annunciargli le linee guida della proposta italiana che, se approvata dalla Ue, avrebbe bisogno di essere battezzata dal Consiglio di Sicurezza Onu per avere un timbro di legittimità internazionale definitivo. L'obiettivo lo conferma apertamente il ministro degli Interni Angelino Alfano: "Affondare i barconi degli scafisti, impedire che partano. Noi da soli non possiamo farlo ed è in corso un negoziato con Onu e Ue per avere, in un quadro di legalità internazionale l'autorizzazione a questo intervento". Domani, quando a Bruxelles i leader dei 28 paesi europei si incontreranno per un vertice d'emergenza, si troveranno sul tavolo i "10 punti" preparati dal commissario all'immigrazione Dimitris Avramopoulos e approvati lunedì dai ministri degli Esteri. Con l'aggiunta della richiesta italiana di autorizzare operazioni di "polizia internazionale" contro gli scafisti che trovano base in Libia e di rafforzare la missione Triton. "L'ondata emotiva del disastro umanitario di Lampedusa dell'autunno del 2013 portò a Mare Nostrum, cioè a un'operazione soltanto italiana", dice una fonte a Palazzo Chigi, "adesso quello che stiamo provando a costruire è una reazione collettiva, dell'Europa, autorizzata dall'Onu, che tenga insieme gli aspetti del soccorso umanitario con quelli della tutela della sicurezza". Ieri mattina Natasha Bertaud, portavoce in materia di immigrazione della Commissione, ha confermato apertamente della possibile "operazione militare", spiegando che le imbarcazione degli scafisti verrebbero sequestrate e distrutte da "una missione militare e civile dell'Unione europea". La funzionaria ha fatto un paragone con la missione Ue "Atalanta" contro i pirati al largo delle coste somale. A Palazzo Chigi sono già arrivati i primi echi di alcune esitazioni fra alcuni partner europei, ma il pressing è continuato per tutta la serata. Renzi ha parlato con leader europei grandi e piccoli, si è già assicurato il sostegno di Grecia, Francia e Cipro, paesi con cui l'Italia condivide il tema dell'emergenza migranti con quello della stabilizzazione della Libia. Questo "mare nostro" che si riempie di morti. Fratellanza, quanto sei lontana di Fausto Bertinotti Il Garantista, 22 aprile 2015 La tragedia è sotto gli occhi di tutti. I fatti sono drammatici. Questo mare nostro che si riempie di morti, che mette in mostra una nuova strage degli innocenti… Il nostro mondo della comunicazione e dell'immagine ci riempie gli occhi di ciò che non vorremmo vedere. Penso che in molti vivano con sofferenza e un disagio profondo queste intollerabili visioni di corpi devastati e fatti scomparire. Eppure è come se quel mare in cui sprofonda la nostra civiltà ne coprisse anche l'orrore. Così come in un mondo parallelo e separato, tutto nella nostra vita continua a scorrere "normalmente". La nostra normalità prevede, anche quando gli appare inaccettabile, la loro morte. È come se si fosse scavato un solco tra due umanità. La prima è quella interna alla "cittadella", forse potremmo cominciare a chiamarla "fortino". In questa cittadella, pur stracarica di violenze, ingiustizie, sopraffazioni, e pervasa dall'alienazione, l'attesa di vita si prolunga e la scienza sembra accarezzare il sogno (l'incubo) dell'immortalità. Mentre si affaccia persino l'idea, come nel Golem, di generare vita in laboratorio. Fuori dalla cittadella l'attesa di vita è una nozione impraticabile. La vita può essere spezzata, oltre che "fisiologicamente" dalla povertà, improvvisamente da una carestia, da una guerra, da un'impresa terroristica, da un viaggio verso la cittadella agognata che si rivela ancora una volta, invece, portatrice fuori da sé di morte. Noi stiamo affacciati sul Mediterraneo. Ci avevano insegnato che poteva essere un mare di pace, di dialogo tra i popoli. Ci avevano detto che poteva essere il luogo delle traduzioni. Insomma, un ponte. È il crocicchio dove si incrociano le tre grandi religioni monoteistiche. Quando tra esse è prevalsa una volontà di sopraffazione, è stata la guerra, sono state le occupazioni. Quando hanno saputo convivere e hanno ereditato i segni di una civiltà che si è venuta costruendo contro le guerre, hanno contribuito invece a fare del Mediterraneo un luogo aperto, carico di speranze, di bellezze e di esperienze straordinarie. Se vai in Sicilia e ti guardi attorno ne puoi respirare l'aria. In quella Gibellina devastata da un terremoto, uomini di buona volontà hanno dato vita, con le Orestiadi, alla possibilità di poter identificare le tracce che hanno visto diversi popoli affacciati sul Mediterraneo realizzare gli stessi mestieri, fare le stesse cose, dipingere gli stessi colori, quasi a formare la mappa della possibile Costituente di un popolo, quello del Mediterraneo, capace di far convivere le sue diversità in un sentire comune. Ora è proprio questa unitarietà che viene spezzata, generando una drammatica perdita per tutti e una crisi di civiltà nella quale gli uni crepano e gli altri sembrano condannati all'indifferenza (almeno rispetto alla necessità di fare). Si discuterà molto sulle misure immediate da adottare, sulla lotta contro gli organizzatori dello sfruttamento della morte. Si discuterà molto della necessità di un coinvolgimento dell'Europa. (Intendiamoci, sono tutte discussioni necessarie, tanto più se capaci di realizzare un mutamento profondo rispetto agli attuali comportamenti dei governanti). Saremo costretti persino a scontrarci con chi questa nostra fortezza vorrebbe munire di armi e munizioni per respingere l'orda barbarica, che è ciò che ai loro occhi appare di un'umanità dolente e disperata. Ma nulla potrà fermare il grande esodo. E allora forse bisognerebbe ricominciare da una delle grandi parole con cui la Rivoluzione francese ha aperto il libro della storia moderna: Fraternità. Per questo, mentre le parole della politica si ingarbugliano e non comunicano alcunché, la domanda di accoglienza rivolta da Papa Francesco all'Europa ha un timbro chiaro e chiede in realtà un riordinamento dell'intera politica dell'Europa. Verso l'esterno come al proprio interno. Ci sono domande che non possono più essere allontanate. Che cosa ha originato il clima endemico di guerra che ha investito i paesi del Nord Africa, dove stanno saltando, ad una ad una, tutte le costruzioni dell'assetto neocoloniale e della sua eredità? Che cosa ha provocato, nel profondo di quelle società, il cinico sostegno dell'Occidente a qualsiasi regime che non contraddicesse i suoi interessi materiali? Che cosa ha lasciato sul terreno la crisi dell'ultima grande stagione politica di quei paesi, quella del panarabismo e della de-colonizzazione? Perché interi paesi nei quali quelle politiche e i leader di quelle politiche non avevano subito alcuna contaminazione dall'Islam politico, hanno visto quest'ultimo diventare protagonista della loro storia? Perché i conflitti inter-religiosi che sembravano confinati nella memoria di un lontano passato stanno occupando in maniera così devastante i territori della politica? E perché la teoria e la pratica della guerra preventiva, della guerra permanente, del conflitto di civiltà in Occidente non sono state sconfitte e hanno aperto la strada, a partire dall'Iraq, a una storia che oggi diventa ingovernabile? Se non si risalirà, attraverso questi interrogativi e la risposta ad essi, alle cause prime di questa immane tragedia, essa sarà destinata a ripetersi e noi non potremo dichiararci innocenti. Ma c'è una questione forse ancora più ostica che andrebbe affrontata. E qui ne accenniamo soltanto. Questa questione ha un nome preciso. Si chiama "capitalismo". Si è riaperta, tra i fautori del pensiero critico, una discussione sulla collocazione della accumulazione originaria nella storia del capitalismo. La tesi che si viene proponendo e che, ahimé, appare convincente, è che essa non appartenga solo alla protostoria del capitalismo, ma, al contrario, che essa ne accompagni lo sviluppo sino ai nostri giorni. Specie nelle fasi di crisi. Insomma, la violenza della spoliazione si rivelerebbe necessaria al capitalismo per riattivare l'accumulazione altrimenti bloccata. Di questa spoliazione a noi sta venendo addosso un portato terribile. Il ricorso necessario alla Fraternità, la capacità di vedere in quelle vite distrutte la sorte dei tuoi fratelli, dovrebbe accompagnare, insieme a una capacità di accoglienza finora sconosciuta, la rinascita di un pensiero critico all'altezza di questo mostruoso capitalismo. Francia: "Le suicide en prison", ecco le motivazioni che spingono un detenuto al suicidio di Annalisa Lista www.west-info.eu, 22 aprile 2015 Nelle carceri francesi, un decesso su due è legato al suicidio. Tant'è che togliersi la vita in cella è addirittura sette volte più frequente che tra le persone in libertà. Cifre messe in luce dall'ultimo rapporto Ined, che ne ha indagato le principali cause. 1. L'isolamento. Questa forma di detenzione accresce notevolmente il rischio di suicidio. Di 15 volte maggiore rispetto a quello registrato per la pena ordinaria. A causa del forte impatto con la dura vita carceraria. 2. La detenzione provvisoria. La detenzione provvisoria genera più suicidi che l'incarcerazione vera e propria. Per via dello choc subito e l'incertezza sulla propria sorte. Infatti, si registrano circa 34 decessi ogni 10.000 detenuti rispetto ai 13 osservati tra le persone condannate in via definitiva. 3. La gravità del reato. Il tentativo di mettere fine alla propria vita è molto più frequente, nell'ordine, tra chi ha commesso un omicidio, uno stupro, un'altra forma di molestia sessuale. In questi casi, non è tanto la durata della pena da scontare che influisce sullo stato d'animo. Quanto il rimorso, il sentimento di ingiustizia, l'ostracismo all'interno del penitenziario. 4. La perdita del contatto sociale. Chi viene abbandonato dai suoi cari senza ricevere visite tenta di farla finita con più frequenza rispetto agli altri. Con un rischio superiore di 2,5 volte. 5. L'ospedalizzazione. Chi ha sofferto in passato di disturbi mentali sceglie di morire molto più facilmente. Pakistan: eseguite 15 condanne a morte per impiccagione in un solo giorno La Presse, 22 aprile 2015 Le autorità del Pakistan hanno eseguito la condanna a morte per impiccagione nei confronti di 15 persone, il numero più alto di esecuzioni in un solo giorno da quando a dicembre scorso è stata revocata la moratoria sulla pena capitale. L'ispettore generale delle carceri nella provincia del Punjab, Farooq Nazir, ha riferito a Reuters che 14 persone condannate per "crimini efferati" sono state messe a morte nella regione. La pena di morte è stata inoltre eseguita nei confronti di un'altra persona nella provincia del Belucistan. Il numero dei detenuti giustiziati nel Paese da dicembre è salito così a 95, secondo i dati dell'ong Justice Project Pakistan. Egitto: ex Presidente Morsi condannato a 20 anni carcere per uccisione manifestanti Aki, 22 aprile 2015 Si tratta della prima sentenza emessa nei confronti di Morsi da quando è stato destituito e messo agli arresti a luglio 2013. L'ex presidente - il primo eletto dopo la rivoluzione del 2011 che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak - è sotto processo anche per cospirazione contro lo Stato, spionaggio e per fuga dal carcere. Anche per queste altre accuse potrebbe subire una condanna a morte. I suoi legali hanno già fatto sapere che impugneranno la sentenza emessa oggi del tribunale penale del Cairo. L'ex presidente egiziano Mohamed Morsi è stato condannato a 20 anni di carcere nel processo per l'uccisione di alcuni manifestanti il 5 dicembre del 2012 nei pressi del palazzo presidenziale. Lo annunciano i media arabi. Morsi, destituito a luglio del 2013, rischiava la pena di morte. Si tratta della prima sentenza emessa nei confronti di Morsi da quando è stato destituito e messo agli arresti a luglio 2013. L'ex presidente - il primo eletto dopo la rivoluzione del 2011 che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak - è sotto processo anche per cospirazione contro lo Stato, spionaggio e per fuga dal carcere. Anche per queste altre accuse potrebbe subire una condanna a morte. I suoi legali hanno già fatto sapere che impugneranno la sentenza emessa oggi del tribunale penale del Cairo. Somalia: italiani consegnano a carcere Mogadiscio strumenti di lavoro per detenuti www.onuitalia.com, 22 aprile 2015 Il personale italiano dell'Italian National Support Element, ha consegnato alla direzione del carcere centrale della capitale della Somalia Mogadiscio, 5 macchine da cucire, 1300 metri di tessuti vari, 25 paia di forbici e varie scatole di materiali vari quali aghi e gessetti, a completamento della fornitura di materiali già già in uso nella struttura carceraria. I materiali sono destinati ad avviare dei corsi di formazione professionale per i detenuti (a breve scadenza di pena) finalizzati al reinserimento nella società civile degli elementi che hanno scontato il loro debito verso la società. Alla consegna hanno presenziato il Colonnello Bernardo Mencaraglia con i suoi collaboratori, i rappresentanti del Ministero della Giustizia e della municipalità di Mogadiscio. Marocco: è scontro tra governo e Ong sul progetto di riforma del Codice penale Nova, 22 aprile 2015 È scontro tra il ministero della Giustizia marocchino e le Ong e le associazioni per i diritti umani locali a causa della presentazione del progetto di legge di riforma del codice penale in parlamento a Rabat. Secondo il presidente della Coalizione marocchina per l'abolizione della pena di morte, Abdel Rahim al Jamii, "la bozza di riforma del codice penale contrasta con i principi della Costituzione marocchina che invece sancisce il diritto alla vita come primo diritto dell'essere umano". Le associazioni contestano al governo di non aver abolito la pena di morte all'interno della riforma. Il testo viene difeso invece dal ministro della Giustizia, Moustapha Ramid, secondo il quale "abbiamo compiuto grossi passi in avanti. Se prima era prevista la pena capitale su 31 reati con questa riforma sarà prevista solo per 8". Stati Uniti: a New York i giudici riconoscono a due scimpanzé gli stessi diritti dei detenuti di Fulvio Cerutti La Stampa, 22 aprile 2015 È il caso di Hercules e Leo, due primati usati per la sperimentazione. Ora la Corte dovrà decidere se liberarli o meno. Fino a qualche giorno fa Hercules e Leo erano "semplicemente" due scimpanzé destinati alla sperimentazione animale applicata dalla Stony Brook University di Lond Island (New York). Ma non tutti la pensano così: per la prima volta negli Usa, un giudice ha equiparato la condizione dei due animali a quella dei detenuti umani. Barbara Jaffe, giudice della Suprema Corte di New York, ha accolto la richiesta di "habeas corpus" per Hercules e Leo avanzata dall'organizzazione animalista Nonhuman Rights Project. Così come accade per gli esseri umani, la valutazione dell'habeas corpus prevede che i due "detenuti" (in questo caso chi li rappresenta) debbano comparire davanti al giudice che dovrà valutare le motivazioni della loro "detenzione", giudicare se si tratta di una detenzione arbitraria o meno, ed eventualmente stabilirne la liberazione. Gli attivisti, in due anni di battaglie, hanno motivato la richiesta evidenziando l'elevata intelligenza e le capacità emotive dei due primati, condizioni che meritano il rispetto dei diritti naturali, compreso il diritto di essere liberi da trattamenti "disumani". Ora la Stony Brook University dovrà fornire alla corte sufficienti motivazioni legali per giustificare lo stato di detenzione e cattività in sono tenuti Leo e Hercules. La Nonhuman Rights Project spera che il giudice decida di liberare i due esemplari che verrebbero così trasferiti nel "Save the Chimps a Fort Pierce" (Florida), dove centinaia di altri scimpanzé vivono in una struttura dove è stato ricreato un habitat simile a quello africano. Non è il primo caso del genere nel mondo, ma rimane comunque una decisione storica in un panorama generale in cui le battaglie per liberare gli animali-detenuti da zoo, acquari, circhi e laboratori è ancora molto complessa. La vittoria più importante gli animalisti l'avevano ottenuta a Buenos Aires (Argentina): i giudici avevano riconosciuto l'orango Sandra come "persona - non umana" e, in quanto tale, avevano deciso di attribuirle il diritto di essere liberata perché "illegittimamente tenuta prigioniera", per oltre 29 anni, in uno zoo. Più recentemente, negli Stati Uniti, un tribunale aveva invece respinto una richiesta di liberazione - molto simile a quella di Sandra - per lo scimpanzé Tommy che si trova in uno zoo di New York. Altra sconfitta l'aveva dovuta sopportare la Peta nel 2011 che aveva perso la causa contro il parco marino Sea World per la "riduzione in schiavitù" di cinque orche. Leo e Hercules dovranno attendere il 6 maggio per la prima udienza, il primo passo verso una possibile nuova vita.