"Giuseppe Zagari… si prepari la roba, è in partenza" di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 21 aprile 2015 La rottamazione della sezione di "Alta Sicurezza 1" del carcere di Padova è iniziata. E Giuseppe è stato il primo questa mattina ad essere trasferito. Immaginavo che sarebbe stato nella lista di quelli che non sarebbero stati declassificati perché gli avrebbero fatto pagare l'evasione tentata sei anni fa, anche se poi, arrivato a Padova cinque anni fa e trattato finalmente con un po' di umanità, aveva finalmente iniziato a scontare la sua pena in modo dignitoso, costruttivo ed in positivo. Però troppo spesso il carcere non ha lo scopo di educare, ma deve solo punire. Giuseppe da alcuni mesi frequentava la redazione di "Ristretti Orizzonti" e incontrava centinaia di studenti durante la settimana nel progetto "Scuola-Carcere" e rispondeva con timidezza a tutte le loro domande. L'altro giorno mi ha confidato che da quando era entrato a fare parte della redazione di "Ristretti Orizzonti" e parlava con i ragazzi era cambiato e incominciava a sentirsi colpevole, cosa che non gli era mai venuta in mente quando era chiuso in cella tutto il giorno come una belva in gabbia. Ci sono rimasto male che l'hanno mandato via, perché mi ci ero anche affezionato. Non ho neppure potuto salutarlo e ringraziarlo perché per Pasqua mi aveva regalato un coniglio di cioccolata bianca per mia figlia. Chissà Giuseppe adesso dove sarà? Si vocifera che è stato mandato nel carcere di Sulmona. E mi viene in mente quando dal carcere di Voghera ero stato trasferito in quell'istituto, lo chiamavano il carcere dei suicidi "Musumeci in partenza, in cinque minuti deve prepararsi la roba, forza andiamo, si prenda solo il minimo indispensabile, non più di sette chili". "Un attimo che sono appena le quattro del mattino, datemi almeno il tempo di svegliarmi…". Poi la solita prassi, perquisizione, flessioni, manette e partenza con blindato. All'arrivo in quel carcere, come si usa di solito, mi avevano subito dato il benvenuto con un discorso più o meno di questo genere: "Musumeci, si ricordi che noi abbiamo sempre ragione e le suggeriamo di imparare la lezione rapidamente. E si ricordi che è impossibile non essere d'accordo con noi. Qui l'unica regola che vige è quella di sorvegliare e punire, i rifiuti della società è giusto che soffrano e che, con qualunque mezzo, comprendano il nulla della loro esistenza…". Purtroppo il carcere è il luogo dove più che in qualsiasi altro posto non si rispetta la legge. E quando il prigioniero si vede esposto a sofferenze che la legge non ha ordinato e neppure previsto, poi entra in uno stato di collera abituale contro tutto ciò che lo circonda, perché intorno a lui non vede altro che carcerieri che non rispettano la dignità delle persone. La cosa più brutta è che poi il prigioniero non crede più di essere stato colpevole perché finisce per vedere che la giustizia stessa non rispetta le regole che si è data. Spero che questo non accada anche a Giuseppe per non fargli interrompere la crescita interiore che aveva intrapreso con la redazione di "Ristretti Orizzonti" e gli incontri con gli studenti, ma sarà difficile che una persona possa migliorare, murata viva in una cella per tutto il giorno senza fare nulla, come accade a tanti in quell'istituto, e con un fine pena nell'anno 9999. Buona vita Giuseppe. Abbi cura di te e del tuo cuore. Un abbraccio fra le sbarre. Cosa ne sarà di mio padre e degli altri detenuti se saranno trasferiti? di Sara Papalia Ristretti Orizzonti, 21 aprile 2015 Ancora a proposito della chiusura dell'Alta Sicurezza a Padova. Mi chiamo Sara Papalia e mio padre, Antonio, è uno dei tanti detenuti della Casa di reclusione di Padova che in questi giorni vedono la loro vita, i loro percorsi e i rapporti con i loro famigliari appesi a un filo. Sono tutti detenuti che hanno passato anni in carceri di massima sicurezza, lontano dalle famiglie e molti di loro, come mio padre, sono stati sottoposti al regime del 41 bis per lunghi anni. Un regime che come ben saprete non ha nulla di rieducativo, ma che punisce e penalizza non solo i detenuti, ma anche i famigliari. A Padova, questi uomini sono riusciti a dare un senso alla loro detenzione, hanno ricostruito legami famigliari e hanno intrapreso percorsi rieducativi, come mio padre che ha potuto riprendere gli studi, frequentare la redazione di Ristretti Orizzonti, dedicarsi alla poesia e prendere parte a un gruppo di catechesi, con la speranza di una declassificazione, e poi col tempo di intraprendere un percorso extra-murario, ma cosa succederà invece? cosa ne sarà di mio padre e degli altri detenuti se saranno trasferiti? Come può una persona che si è già messa in discussione e che ha passato anni di dolore e solitudine trovare la forza per ricominciare? Come possono loro e noi credere nelle istituzioni se sono le istituzioni a negarci ogni diritto? Aiutateci vi prego! Immigrazione: il naufragio dell'occidente di Ezio Mauro La Repubblica, 21 aprile 2015 C'è tutta la sproporzione del mondo in cui viviamo, tutto il peso delle disuguaglianze che sopportiamo e pratichiamo, nella corsa di centinaia di migranti sul lato del peschereccio egiziano, per protendersi verso le luci del mercantile che si sta avvicinando a mezzanotte. Fino a far inclinare il barcone con la forza della disperazione e della speranza che diventano la stessa cosa: per poi rovesciarlo nel naufragio che condanna alla morte certa i profughi trasformati in prigionieri nelle stive chiuse a chiave dai trafficanti di schiavi. Qualcosa di fisico e di metafisico insieme, come nei vecchi dipinti, nei racconti dei mercanti di uomini. Dobbiamo soltanto immaginare questa morte senza testimonianza e senza racconto, nell'era in cui tutto è rappresentazione. Noi che pensiamo che la sicurezza dipenda solo dalla sorveglianza e si realizzi soltanto con l'esclusione e la separazione, tenendo gli scarti umani a distanza, scopriamo che la distanza non ci protegge. Perché il numero dei morti la supera, e la annulla. Quel che non vogliamo vedere, lo dobbiamo contare e il saldo è la più grande tragedia di mare del secolo, a 180 miglia da Lampedusa, Europa. È la rotta verso l'Europa che ci interpella e svela la contraddizione tra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo. Quei 900 morti annegati nel Mediterraneo erano partiti dal Centro Africa puntando verso la costa di un'Europa che non conoscevano ma che inseguivano come una promessa di futuro, una sponda di sopravvivenza dove appoggiare il destino dei loro figli. Così ci vede la parte più disperata del mondo: la terra della libertà e del lavoro. Noi potremmo tradurre: della civiltà dei diritti e del diritto, della democrazia e della dignità delle persone, se fossimo consapevoli di noi stessi e degli obblighi che nascono da questa responsabilità. Non lo siamo. L'Europa vive la tragedia del Mediterraneo come una crisi regionale meridionale, equipara nei numeri i flussi di migranti dall'Est europeo a quelli che vengono dall'inferno delle guerre e rischiano ogni ora la morte sui traghetti della disperazione. L'Italia sperimenta nel suo piccolo il dramma intero dell'epoca, con il governo nazionale costretto a fronteggiare una crisi di dimensioni globali. I politicanti più miserabili lucrano su questa impotenza strutturale della politica per desertificarla lasciando campo libero alle paure individuali di un mondo ignoto e fuori controllo, paure che non trovano più risposte pubbliche e collettive. È come se si fosse rotto il cuore della civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri, i codici del mare, la storia del Mediterraneo. Il risultato è una scissione: tra la sicurezza e la responsabilità, tra la politica e la morale, tra la legge e l'umanità, tra l'Europa e le sue parti. Soprattutto, tra i vincenti e i perdenti della globalizzazione, potremmo dire tra i ricchi e i poveri del mondo, che hanno perso il nesso da cui prendeva forma quel libero vincolo reciproco e comune chiamato società. Una contraddizione capitale per l'Europa, davanti alla sua storia e al significato della sua civiltà. L'Italia, e persino la sinistra, hanno un'occasione enorme per pretendere che l'Europa restituisca una legittimità morale ad una sua politica che non può essere fatta soltanto di vincoli ciechi e di parametri ottusi, coniugando sicurezza e umanità: cominciando noi, intanto, con un'azione responsabile di soccorso di fronte all'emergenza. Per poi chiedere che la crisi del Mediterraneo diventi un problema di coscienza dell'Occidente, se vuole rispondere ai suoi doveri e alle nuove paure continuando ad essere la terra della democrazia dei diritti e della democrazia delle istituzioni. Immigrazione: l'esodo dei migranti e l'Europa nemica di se stessa di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 21 aprile 2015 Ecco indetto per giovedì il vertice straordinario dell'Unione Europea, dopo l'ecatombe del Mediterraneo. Ma che sia straordinario davvero. Operativo subito. Coordinato senza gelosie, ripicche, esclusivismi, manovre dilatorie. Circostanziato nella definizione dei costi economici che le operazioni di contrasto a questa strage continua comportano necessariamente. Realistico nella definizione degli obiettivi urgenti. E serio, soprattutto serio, nel delineare una strategia capace di fronteggiare questo spostamento immane di popoli disperati in fuga dai massacri di guerre atroci e spietate, in cui è tutta la popolazione civile ad essere coinvolta nella tragedia. Nel dire anche una parola, una sola parola dopo anni di afasia, indifferenza, viltà, su quello che sta accadendo in Siria e in Iraq. Un'Europa slabbrata e muta, incapace di una posizione univoca, ipocritamente in attesa di capire cosa faranno gli Stati Uniti. Se già da giovedì l'Europa non dimostrasse di saper agire in modo straordinario, sarà poi inutile prendersela con gli eurofobici, con gli antieuropei: perché la prima nemica dell'Europa che vorremmo sarebbe alla fine proprio lei, un'Unione Europea che non sa più che fare quando centinaia, migliaia di persone muoiono in mare cercando di avvicinarsi, per salvarsi, alle sue sponde. I responsabili dell'Unione Europea forse nemmeno immaginano quanto devastante sia per il nostro continente quello spaventoso spettacolo di uomini, donne e bambini inghiottiti dal mare. Nemmeno immaginano quanto sia sconfortante l'impotenza esibita sulla questione della Libia, a solo pochi anni dalla prova di inettitudine e cecità messa in mostra con la violenta detronizzazione di Gheddafi. Quanto suoni lontano questo disquisire su sigle e nomi che non rispondono alla sostanza della questione: cosa ha fatto l'Europa sinora per impedire la carneficina nei mari, ma anche soltanto per capire il perché di un esodo così massiccio? Facciamo sempre finta di non vedere. Speriamo sempre che per qualche fortunata coincidenza del destino, le cose si mettano miracolosamente a posto. Confidiamo sempre che qualcun altro (gli Stati Uniti, ovviamente: salvo imprecare contro Obama e prima di lui contro qualunque inquilino della Casa Bianca) possa muoversi al posto nostro. Si misura drammaticamente l'assenza di una politica estera comune. Di un sistema di difesa comune, suo necessario supporto, che però comporta dei costi: la difesa non è gratis, gratuita è soltanto la demagogia di chi dice che ogni euro speso per la difesa militare è un regalo a qualche lobby tenebrosa, sottratto a chissà quali progetti di sviluppo civile. L'Europa non sa cosa fare di scafisti senza scrupoli, di schiavisti che spadroneggiano sui mari. Figurarsi se riesce ad elaborare una linea comune, e comportamenti coerenti, anche molto impegnativi, per aiutare i curdi che si battono contro i fanatici islamisti, contro Assad che da una parte è un alleato, ma dall'altra è un macellaio che ha affamato una popolazione, ucciso decine o centinaia di migliaia di civili. Già con il caso greco si è misurata l'incredibile vaghezza della linea europea, quel suo galleggiare un po' nevrotico tra rigore e accondiscendenza. Eppure la mina della Grecia è pronta a esplodere, corrodendo la fiducia degli europei nella loro moneta e nelle loro istituzioni. Ma baloccarsi con la tragedia del Mediterraneo, inabissarsi in beghe nazionali e rivalità territoriali, senza coordinare già da giovedì provvedimenti in grado di essere attuati subito, significa rischiare il collasso morale di un'Europa incapace di un sussulto di fronte a tragedie così ripetute. Se poi si dovesse replicare la pantomima del cordoglio di fronte alle emergenze, aspettando la prossima strage, allora per l'Europa sarebbe la fine di ogni credibilità. E stavolta la colpa non sarebbe dei suoi soliti nemici. Immigrazione: l'Europa del cinismo di Adriana Cerretelli Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2015 Nonostante ami proclamarsi campione mondiale della difesa dei diritti umani e si fregi con orgoglio del premio Nobel per la pace, l'Europa non è facile alla compassione. Ancora meno alla solidarietà. Quando nell'estate del 2013 il siriano Bashar Assad rovesciò armi chimiche sui propri civili presunti ribelli, rumoreggiò immediato lo sdegno ma poi i Governi Ue preferirono voltare la testa. L'anno scorso nel Mediterraneo sono morti 3.200 emigranti senza sortire reazioni degne di nota in fatto di concrete azioni comuni. Con buona pace di allarmi, proteste e sollecitazioni italiane. Il 2015 però è cominciato con due violenti pugni nello stomaco all'Europa dell'indifferenza e dell'inazione. Prima a Parigi l'attacco del terrorismo islamico alla sede di Charlie Hebdo: 12 morti, una grandiosa manifestazione che ha raccolto 2 milioni di persone sugli Champs Elysées e poi un vertice Ue fatto di tanti buoni propositi e promesse di maggiore cooperazione intra-Ue. Si vedrà. Ora l'annegamento in un solo week-end di 900 emigranti davanti alle coste libiche, 1.800 dall'inizio dell'anno. A fronte di 24mila arrivi e 10mila salvataggi riusciti. "È in gioco la reputazione dell'Europa. Non si può avere un'emergenza europea e una risposta solo italiana", avverte da Lussemburgo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ricordando che dei 278mila irregolari residenti attualmente nella Ue, 171mila sono entrati dall'Italia. Dopodomani a Bruxelles si terrà, come chiesto dall'Italia, un vertice straordinario sull'immigrazione dei 28 leader Ue. Di nuovo tante promesse e pochi fatti? Forse no. Questa volta, pare, l'Europa s'è desta davvero. Schiacciata dalla forza di numeri e di interessi che sembrano far breccia nel suo coriaceo cinismo. Dopo aver pubblicamente "criminalizzato" Mare Nostrum per attivismo nei salvataggi, equiparato a un invito a delinquere per i trafficanti di esseri umani, ora la Germania e i suoi alleati del Nord e dell'Est fanno marcia indietro. Riconoscono che, all'evidenza, la fine della costosa operazione italiana, cui è subentrata in novembre l'europea Triton in formato ridotto e bilancio pari a un terzo, ha reso più incerti i controlli della frontiera mediterranea. Dunque si parla di raddoppiarne i fondi. Si pensa a una più equa distribuzione degli immigrati che richiedono asilo insieme alla creazione di campi ad hoc in Medio Oriente e Nordafrica per evitarne viaggi suicidi. Si discute su come affrontare il teorema impossibile del crocevia libico. Finalmente, insomma, saremmo a una svolta epocale, con l'instabilità del Mediterraneo destinata a diventare quello che è: un problema di tutti e non di pochi. Anche perché, con un reddito medio pro capite 30 volte superiore a quello della maggioranza dei Paesi africani, cioè con un divario 10 volte più grande di quello che divide Stati Uniti e Messico, l'Europa resta e resterà una calamita irresistibile per i più poveri. In attesa di decisioni concrete, il condizionale è d'obbligo. La pressione migratoria è enorme e destinata a salire tra guerre, caos e terrorismo che infiammano il bacino mediterraneo e oltre. Ma almeno altrettanto condizionante - e paralizzante - per i Governi è la pressione anti-immigrazione, non importa se legale o no, che scuote tutti i paesi da Nord a Sud, Svezia, Finlandia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, rafforzando i partiti populisti e euroscettici. Il che non aiuta né maggiori investimenti nella stabilità del Mediterraneo né la spartizione degli immigrati magari per quote, tanto più quando è impossibile prevederne i flussi ma poi è perfettamente lecita, una volta accolti, la loro libera circolazione nell'Unione. Lo stesso vale per la Libia: intervento militare escluso ma alternative nebulose. All'Europa non basta, dunque, aver capito che la normalizzazione del Mediterraneo è un interesse primario che non può più ignorare. Resta il grande punto interrogativo sui tempi e modi per arrivarci con l'approccio comune che serve. Immigrazione: l'odio feroce e le falsità di chi si nasconde dietro i nickname di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 21 aprile 2015 Dal naufragio è emerso il dolore di milioni di italiani ma anche il cinismo più becero di una minoranza di anonimi. "Nessuna pena, 700 zozzoni in meno da sfamare!", scrive in un post "Mladic", l'anonimo che per vomitare odio online si è scelto come nickname quello del generale serbo noto come "il boia di Srebrenica". E conclude: "Nessuno li ha chiamati, speriamo nel mare grosso sempre". Una ferocia raggelante. Ma niente affatto isolata. Il naufragio del peschereccio libico, col suo carico di anime inghiottite dal mare a poche ore di navigazione dalla terra dove sognavano una vita diversa, pare aver fatto emergere non solo il dolore di milioni di italiani ma anche il cinismo più becero di una minoranza di anonimi. Razzisti elettrizzati dalla possibilità di dare sfogo, nascosti dai "nickname", ai loro sfoghi biliosi. Sia chiaro: non parliamo delle critiche alla gestione dell'emergenza. Ogni opinione ostile alle scelte degli ultimi governi e ogni rimpianto per il "cattivismo" di Bobo Maroni, i patti scellerati con Gheddafi e i respingimenti, per quanto possano risultare indigesti a chi s'appella agli accordi internazionali, ai diritti umani, alla Costituzione, ha diritto a essere espressa. Ovvio. Anche criticare pesantemente Renzi e Alfano, Orlando o Mattarella è del tutto legittimo. Ci mancherebbe. Così come sono sgradevoli ma legittime le ironie, dopo certe intercettazioni dell'inchiesta Mafia capitale ("con gli immigrati si fanno molti più soldi") sul ruolo delle cooperative: "Mi associo con deferenza al lutto che coop rosse ed Onlus vaticane e non, hanno subito". Negli sfiati di cui parliamo, però, c'è di più. "Si temono 700 morti... io avrei temuto di più 700 vivi da mantenere!", posta "Moshe" a commento di un pezzo sul Giornale titolato "Ecatombe nel Mediterraneo, si temono 700 morti". Ivano Colzani, uno dei pochi che si firma, fa i conti: "1.350 (costo mensile per profugo) x 700 (nr. presunto di profughi affondati) x 12 (numero di mesi di presenza e mantenimento sul suolo italico) = 11.340.000 Euro risparmiati". Che i numeri siano falsi perché sostenere provvisoriamente un profugo fino alla definizione del suo status costa molto meno, come spiega un documento contro i luoghi comuni del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'interno, non importa. Conta lo sfogo: "Non capisco perché questi profughi che partono da Paesi sud-sahariani non si vadano a rifugiare nelle nazioni africane confinanti dove non c'è guerra e vengano dritti in Italia", sbuffa Parsifal1. Non sa che in realtà secondo l'Onu ci sono nel mondo 50 milioni di rifugiati e il Kenya ne ospita mezzo milione, la Repubblica del Congo quasi due di sfollati interni, il Sudan 743 mila esterni e 1,2 milioni interni, la Nigeria un milione e mezzo, il Sudafrica 2 milioni? Secondo Parsifal1, invece, vengono tutti in Italia "perché i nostri politici venduti hanno fatto leggi che garantiscono a questa gente una casa e uno stipendio che un giovane disoccupato italiano può solo sognarsi...". "Tersicore" conferma: "È chiaro che se si promette a tutti i poveri del mondo alloggio, vitto, e sanità gratis per tutta la vita, e senza dare nulla in cambio, e a nostre spese…". La casa? Lo stipendio? Il vitto? In regalo tutta la vita? L'importante è spararla… È falso che "non danno nulla in cambio", come dimostra la fondazione Moressa secondo cui, ad esempio, esistono già 497 mila aziende fondate da immigrati che complessivamente contribuiscono con circa l'8% al Pil? Chissenefrega! "Sono "africani", spiega sprezzante l'anonimo Rapax: "Non combattono, fanno lavorare le donne, si fanno predare... e hanno capito che è meglio non fare un c...o e farsi mantenere da dei cog...ni occidentali... almeno accettino i rischi". "Avviso ai pescatori: stanno abbondantemente pasturando il Canale di Sicilia, si prevede che quelle acque saranno molto pescose questa estate", posta su Facebook il gruppo musicale Nobraino. "È ormai da molti anni che non mangio il tonno in scatola. l'ultimo che avevo divorato, perché ne ero molto ghiotto, aveva un colore nero!", scrive schifato "Scandalo". E prosegue: "I pescatori siciliani pescano tutto!! quindi per non diventare cannibale ho deciso di non mangiarlo!!". "Obiettore" si associa: "Non mangerò più pesce pescato nel Mediterraneo". A proposito, e la sepoltura dei corpi? "Non pagheremo mica noi i funerali di questi clandestini vero?", chiede "giangol". "Bare a nostro carico? saranno anche queste di mogano da 8.000 euro cadauna…", butta lì sarcastico l'anonimo "non rassegnato". Niente di nuovo: dopo il naufragio dell'ottobre 2013 già si lagnò un certo "Stegalas": "Altro sperpero di denaro pubblico: nei loro posti, i cadaveri manco li seppelliscono decentemente, li calano nella nuda terra dentro un sudario ed amen... Noi invece: 363 bare di buona qualità per un totale di 1.500 x 363 = 544.500 euro... 363 loculi per un totale di 1.800 x 363 = 653.400 Tour marittimo: circa 20 mila euro". Insomma: quanti soldi! "Sarebbe bastato lasciare al mare il compito di fare pulizia…". Sono in diversi, a invocare quella "pulizia": "Spiace dirlo, ma amico mare…", posta "gianniverde". "Forza Mediterraneo, avanti così", esulta Luci60. "Appena 700? Peccato avrebbero dovuto essere almeno 7.000 e con loro tutti i cattocomunisti italidioti!", strilla "emigrante 48". "Finalmente una notizia positiva dal fronte del mare. I nemici invasori hanno subito una notevole perdita! Ma non è sufficiente per vincere la guerra contro i clandestini invasori. Speriamo in sempre più consistenti naufragi futuri", scrive "seccatissimo". "Non danno soldi ai pensionati perché dobbiamo mantenere tutti quegli animali bastardi che vengono qua", telefona Daniele da Brescia al filo diretto "la catapulta" a Radio Padania. E il conduttore, senza fare una piega: "Penso che dicendo animali si riferisca ai clandestini che arrivano a frotte dalle coste dell'Africa…". E tutto in mezzo a noi, a poche ore dalla morte in mare di centinaia e centinaia di uomini, donne, bambini. E senza che chi in questi anni ha seminato odio provasse un minimo di rossore. Immigrazione: la beffa dei 976 scafisti arrestati, in carcere neanche il 10 per cento Grazia Maria Coletti Il Tempo, 21 aprile 2015 Continueranno a ingrassare facendo affari d'oro sulla pelle dei disperati che cercano la terra promessa in Italia e invece trovano una bara d'acqua nel Mare Nostro. È questo l'unico dato certo, oggi. Il resto, cioè i 976 scafisti arrestati dall'Italia negli ultimi mesi, cifra diffusa dal premier Matteo Renzi nelle ore seguenti all'ecatombe dei 950 migranti al largo delle coste della Libia, è solo un bel numero ma che resta sulla carta. In realtà, come spiegano fonti interne al Viminale, solo qualche decina di quei Caronti assassini, che approfittano della fame di felicità di chi fugge da guerre e persecuzioni, sarebbe ancora dietro le sbarre. Arrivare a un 10 per cento, assicurano, sarebbe già un bel risultato. Ma difficilmente è così. È come una tela di Penelope, infatti, il lavoro di forze di polizia e militari che identificano e fermano i mercanti di uomini sulla base delle segnalazioni dei migranti trasportati sui barconi. Fermati, dopo 5 giorni al massimo, gli scafisti tornano liberi in attesa del rinvio a giudizio. E chi li rivede? Del resto non sono sprovveduti. Sanno che vengono da noi in ipotesi di reato, in un paese dove se verranno identificati saranno arrestati. In quel caso sono supportati da un cordone di "complicità criminali" per rientrare a casa. E quando ciò non avviene c'è difficoltà nel reperire fatti di reato: chi ha denunciato non è in grado di fornire prove, "non gli fanno la ricevuta dei soldi presi". Chi li accusa poi viene avvicinato nei Cie e indotto a cambiare versione. "Spesso abbiamo gente che dichiara di essersi sbagliata". E pensare che la legge che prevede la punizione per il reato di ingresso illegale in Italia punisce gli scafisti con la reclusione fino a 12 anni (se viene dimostrato che hanno preso denaro) e una sanzione di 15mila euro per ciascun immigrato fatto sbarcare.(E c'è l'aggravante per trattamento inumano e degradante, gli immigrati chiusi nelle stive ne sono un esempio). Fargli pagare di tasca in soldoni era stato pensato proprio per scoraggiare i mercanti di carne umana da macello, si fa notare. Ma ipotizzare che qualcuno paghi la sanzione è pura fantascienza, spiegano ancora. Immaginiamo solo che qualcuno dei 28 sopravvissuti al disastro del peschereccio ribaltatosi con centinaia di persone nella notte tra sabato e domenica a 60 miglia dalla Libia indicasse chi è lo scafista che ha portato alla morte centinaia di compagni che resteranno seppelliti nel Canale di Sicilia dove è affondata l'imbarcazione nella quale erano stati rinchiusi. Lo scafista, semmai fosse preso, dovrebbe sborsare una cifra fantasmagorica: 15 mila euro per 100 immigrati fanno già un milione e mezzo. Una somma che in questo caso va ancora moltiplicata, perché su quella barca lunga neanche 23 metri erano stipati 950 persone, come ha raccontato il bengalese trentenne ricoverato all'ospedale di Catania. E anche se la testimonianza deve ancora trovare riscontri, come ha spiegato il procuratore di Catania Giovanni Salvi su quel barcone capovoltosi davanti al mercantile "King Jacob" andato in soccorso non c'erano meno di 700 migranti. Quindi la somma da sborsare sarebbe di 14 milioni 250mila euro. Come su tutto il lavoro sprecato delle nostre forze dell'ordine e dei militari che ascoltano i superstiti alla ricerca di indizi. L'individuazione dei traghettatori avviene infatti su indicazione della persone trasportate dagli scafisti. La loro denuncia viene usata come un segnale di vicinanza al paese che dovrà dare il via libera alla richiesta di asilo politico per non entrare nella clandestinità. Anche perché ottenere un sì non è poi così scontato come ha dimostrato la prefettura di Varese, che ha respinto il 70 per cento delle richieste di asilo. Ma difficilmente le denunce resistono. "Va verificato quanti di questi "Caronte" denunciati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina vengono effettivamente rinviati a giudizio e processati e qui senz'altro la questione si complica - conferma Giorgio Innocenzi, segretario generale nazionale della Confederazione sindacale autonoma di polizia. Infatti una volta denunciati gli stranieri vengono tenuti nella migliore delle ipotesi qualche giorno in detenzione dopo di che vengono rilasciati in attesa di giudizio, in questa fase molti scappano, altri evidentemente più avvezzi al nostro sistema giudiziario, confutano il reato che nasce spesso da dichiarazioni fatte a caldo da alcuni migranti che si fatica a suffragare con i fatti". Giustizia: Opg; dopo la chiusura il nodo del cambiamento di Emilio Sacchetti (Presidente Società Italiana di Psichiatria) Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2015 La legge di superamento degli Opg ha avuto un travaglio lungo e laborioso soprattutto a causa delle difficoltà di trovare un punto condiviso di equilibrio tra due tipi di garantismo. Da un lato, quello che sancisce il diritto dell'individuo, indipendentemente dalla sua posizione giudiziaria, ad usufruire pienamente dei servizi sanitari messi a disposizione della comunità. Dall'altro, quello non meno importante che sancisce il diritto della società ad essere debitamente protetta da qualsiasi azione criminosa, indipendentemente dallo stato di salute mentale di chi commette tale azione. Risulta quindi facile comprendere il perché una buona parte del dibattito della legge di superamento dell'Opg sia stata spesa per discutere in merito all'organizzazione strutturale e funzionale delle Rems, e alla dotazione complessiva dei posti letto da predisporre nel loro interno. Infatti si è spesso usato il paravento delle Rems per chiedere rinvii all'attuazione della. Quasi che il numero di posti letto da prevedere nelle Rems rappresentasse l'asse portante della Legge. Che invece è un altro, come altri sono i problemi veri. Ma già prima della sua piena ed effettiva entrata in vigore, la legge di superamento degli Opg ha riscosso almeno due apprezzabili successi: diversamente da altri interventi legislativi su problematiche di competenza anche psichiatrica sono stati finalmente sollecitati e largamente recepiti i suggerimenti provenienti dalle associazioni scientifiche più accreditate, da ampie frange di operatori e dal mondo delle associazioni dei pazienti e dei famigliari; inoltre il dibattito ha promosso un primo, del tutto iniziale ritorno al dialogo tra importanti componenti del mondo psichiatrico che avevano da tempo sostanzialmente interrotto ogni canale di comunicazione. È però evidente che un processo innovativo come quello del superamento degli Opg non può avere una efficace trasduzione sul campo senza risorse. Invece restano insoluti i problemi della carenza di fondi ed è sempre più evidente che una buona applicazione della legge comporta una revisione più generale di vari temi medici e legali connessi ai rapporti tra reati, disturbi mentali e loro cura. In primo piano a questo riguardo c'è la necessità di creare una buona assistenza psichiatrica in carcere. Qualsiasi previsione di superamento degli Opg che non scalfisca in maniera apprezzabile anche l'assistenza psichiatrica in carcere è espressione di un pensiero irrealistico. Inoltre è fondamentale rivedere il concetto di pericolosità sociale, l'individuazione di linee guida chiare che regolamentino possibili conflitti di interesse tra il consulente tecnico e lo specialista che opera all'interno della struttura carceraria. In questo senso la collaborazione con le procure e con il ministero di Grazia e Giustizia è fondamentale. L'assistenza psichiatrica in carcere Attualmente, più che di psichiatria carceraria si dovrebbe per correttezza parlare di psichiatrizzazione del carcere. Infatti, la psichiatria che opera nei penitenziari è chiamata a svolgere in proprio e/o a condividere compiti, ad esempio di tipo eminentemente psicologico, che non sono propri della psichiatria. Inoltre, gli psichiatri che operano in carcere si trovano ad agire in un contesto che è comprensibilmente governato da regole sue proprie ma che risulta spesso restio ad accettare anche le regole proprie di un corretto agire psichiatrico. Rappresentativi a questo riguardo sono i casi relativi ai ridotti standard di sicurezza, all'insufficiente flessibilità dei livelli garantiti di sorveglianza, all'erogazione di gran parte di cure da parte di operatori non professionalmente qualificati, alla mancata disponibilità di opzioni terapeutiche oggi routinarie nella prassi del Dsm. Ecco dunque la necessità di una formazione ad hoc del personale carcerario, di un adeguamento degli standard strutturali di sicurezza con livelli più intensi di sorveglianza, l'inserimento di percorsi di riabilitazione psichiatrica, un monitoraggio forte dell'aderenza alle terapie, screening approfondito delle patologie de novo per separare i casi incidenti da quelli alla ricerca di vantaggi secondari, trasferimento, tout court, delle linee guida diagnostico-terapeutiche utilizzate dai Dsm, messa a punto di specifiche linee guida diagnostico-terapeutiche dedicate all'agitazione psicomotoria e all'aggressività rivolta contro se stessi e/o agli altri. La pericolosità sociale Il superamento degli Opg è anche un buon punto di partenza per una ridefinizione della pericolosità sociale. Due sono i punti chiave da considerare. Il primo che l'attribuzione della pericolosità sociale per motivi psichiatrici non poggia su certezze ma su presunzioni (spesso grossolane ed effimere), dal momento che sono molte le variabili esterne più o meno o controllabili che entrano in gioco. Il secondo, molto sottile e suscettibile di falsificazioni, è la linea che separa la libera scelta delinquenziale da quella condizionata dalla presenza di disturbo mentale. Ciò implica la necessità di recuperare con forza la lezione della clinica, dando maggior spazio soprattutto ai percorsi diagnostici e terapeutici pregressi, a scapito della tendenza non sopita a privilegiare interpretazioni poco basate sull'evidenza, arbitrarie e, talvolta, fantasiose. Quindi è fondamentale ridisegnare il modello attuale della consulenza tecnica in psichiatria adeguandolo a questi punti. La consulenza tecnica in psichiatria Questo istituto richiede da tempo un sostanziale rimodellamento, ora che sono stati superati gli Opg. È ragionevole quindi prevedere che i tentativi di predeterminare gli esiti di una consulenza tecnica grazie ad un adeguato addestramento probabilmente aumenteranno. È infatti evidente che il gap tra la posizione di carcerato con o senza problemi psichiatrici e quella di autore di reato a causa di un qualche disturbo mentale, si è acuita a tutto vantaggio della seconda proprio grazie alla chiusura degli Opg. Sussistono pochi dubbi che il soggiorno in una Rems o in una struttura afferente al Dsm sia decisamente migliore della permanenza in cella. Giustizia: il pm Nino Di Matteo "basta annunci, adesso servono riforme vere" di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2015 Il magistrato interviene al convegno del M5S su corruzione e mafia: "prescrizione da rifare". Dopo la politica degli annunci ora sulla giustizia servono fatti, assieme a un severo cambio di direzione". È un messaggio forte e chiaro al governo, quello lanciato ieri dal procuratore di Palermo Nino Di Matteo durante il convegno "Corruzione, il nuovo volto della mafia", organizzato alla Camera dai Cinque Stelle (tra gli oratori, Marco Lillo del Fatto ). È la prima volta a Montecitorio, per il pm antimafia. E in una sala che lo accoglie con una standing ovation, Di Matteo non usa metafore: "Spero che il sistema della giustizia non si traduca sempre in più in sistema duro con i deboli ma blando nei confronti di colletti bianchi e soggetti istituzionali". Invoca riforme "non più rinviabili", partendo da un tema caldo: "Temo che le nuove regole sulla prescrizione siano un pannicello caldo, volto ad alleviare e non risolvere lo sciagurato sistema che la regola. La decorrenza dovrebbe essere sospesa a partire dal momento in cui viene scoperto il reato, oppure dall'inizio del processo". Quindi, non dopo la sentenza di primo grado (due anni di sospensione), come previsto dal ddl della maggioranza approvato dalla Camera. Ma Di Matteo critica anche il ddl anticorruzione passato in Senato, lamentando la mancata introduzione dell'agente provocatore (su cui il M5S aveva presentato appositi emendamenti). E formula forti perplessità sul nuovo articolo 416 ter del codice penale, quello che disciplina lo scambio elettorale politico-mafioso. Lo scambio "di denaro o altre utilità" come condizione per la punibilità non gli pare sufficiente. Va sanzionata anche la "semplice" pressione da parte del mafioso nei confronti del politico, anche quando non accompagnata da minacce. La stessa posizione del pm della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che lo dice chiaro: "Siamo pochi e spesso ci sentiamo soli". Anche Lombardo critica le norme anticorruzione approvate in Senato: "Per i soggetti pubblici corrotti serve l'interdizione perpetua". Tanti gli interventi di parlamentari del Movimento. tra questi, il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che si rivolge ai due magistrati: "Montecitorio paga i vitalizi a politici che voi avete fatto arrestare". A margine, lo stesso Di Maio precisa: "Se le proposte di Di Matteo entreranno nel ddl anticorruzione lo voteremo". Giustizia: l'Anm è divisa, ma chiede maggiore rispetto da parte della politica di Marcello Calvo Giornale d'Italia, 21 aprile 2015 Niente braccia incrociate, ma una protesta simbolica di sospensione per 3 giorni dalle cosiddette attività di supplenza. L'Anm si divide. Non passa neanche questa volta la linea dura dello sciopero contro la riforma della responsabilità civile delle toghe. All'assemblea prevale nuovamente la mozione della maggioranza di Area e Unicost, che chiede al legislatore di introdurre un filtro contro le "azioni temerarie". Ma con una protesta simbolica di sospensione, per 3 giorni a giugno (22, 23 e 24), delle "attività di supplenza". Ossia quelle a cui i giudici si prestano per far camminare la già lentissima macchina giudiziaria, pur non essendo loro compito. Prevale quindi la linea morbida con 1.212 voti ottenuti dalla maggioranza, contro i 756 "racimolati" da quella che in questo caso potrebbe essere bollata come la "minoranza". Che voleva già incrociare le braccia lo scorso ottobre ed è raffigurata da Magistratura Indipendente - che un tempo rappresentava l'ala conservatrice del centrodestra e oggi ha invece assunto quel ruolo sindacale che una volta spettava alle toghe rosse - oltre che da Autonomia e solidarietà. Differenze di idee e opinioni. Posizioni contrastanti che hanno creato una forte frattura. Non scomposta. Ad accomunare le diverse correnti, la rabbia. Delusi dal governo, furiosi per la riforma. È questo il sentimento condiviso da tutti, che non può sfociare in un gesto che creerebbe altri problemi al già inadeguato apparato della giustizia. Il testo approvato chiede di verificare gli effetti della nuova legge e affida al comitato direttivo e alla giunta il mandato di fare in qualche modo da depuratore contro la discussa norma. Attraverso diversi strumenti giuridici da "inquadrarsi nell'ambito della lite temeraria o dell'abuso del processo". La parola d'ordine, per le toghe, è "rispetto". Anche e soprattutto da parte del Parlamento. L'esigenza è quella di "stroncare sul nascere eventuali azioni pretestuose o manifestamente infondate". Stratagemmi che impediscano insomma un uso strumentale della legge. Tant'è, anche se proseguiranno con le loro attività, nella 3 giorni prevista per l'inizio dell'estate i giudici eviteranno di sostituirsi all'attività dei cancellieri. Nella categoria esiste un forte disagio, forse perché le certezze dei togati cominciano a vacillare. Non si sentono più così intoccabili e quello scagliato dal governo rappresenta un duro colpo inferto a un sistema che adesso appare più vulnerabile. Altro che responsabilità civile, i magistrati vorrebbero una nuova azione giustizialista. A partire dalla riforma della prescrizione fino ad arrivare a rafforzare quegli strumenti di contrasto da utilizzare contro la criminalità organizzata. Per il momento dovranno accontentarsi di un po' meno giorni di ferie e di essere sottoposti al principio del "chi sbaglia paga". Che vale - o almeno dovrebbe - valere per tutti. Giustizia: Antigone; non estradare in Albania Paolo Iodice, detenuto gravemente malato Adnkronos, 21 aprile 2015 Detenuto italiano che vive con la bombola d'ossigeno ed è in gravi condizioni di salute rischia l'estradizione in Albania. Antigone chiede di sospendere l'esecuzione del provvedimento. Paolo Iodice, detenuto presso la casa circondariale di Regina Coeli a Roma, rischia l'estradizione in Albania dove deve scontare una pena di quattro anni perché ritenuto colpevole dei reati di traffico di veicoli e falso documentale. Il suo stato di salute è tuttavia molto grave e l'esecuzione del provvedimento di estradizione potrebbe provocare danni irreversibili. Per tale motivo Antigone ha chiesto alle autorità italiane di sospendere il provvedimento a tutela della sua salute e della sua stessa vita. Il signor Iodice è affetto da numerose e gravi patologie (obesità, insufficienza respiratoria in trattamento con macchina produttrice di ossigeno, ipertensione polmonare secondaria, cardiopatia ipertensiva, opertensione arteriosa), che lo obbligano a continue visite mediche ed esami, nonché lo costringono a sottoporsi a cure salvavita, tra le quali l'ossigenoterapia domiciliare e l'assunzione continua di farmaci. La gravissima ipertensione arteriosa di cui soffre, infatti, se non ben controllata ne aumenta in maniera esponenziale il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari significative. Motivi di salute resi evidenti anche dal primo trasferimento del signor Iodice dal carcere di Arezzo a quello di Sollicciano, dotato di un centro clinico attrezzato, nonché il ricovero sempre presso il centro clinico del carcere romano di Regina Coeli. È evidente che il solo viaggio Italia-Albania comporti un concreto rischio per l'incolumità fisica del sig. Iodice. Inoltre il sistema albanese non assicura standard avanzati nelle cure sanitarie. Consegnare Paolo Iodice alle Autorità Albanesi in questo momento potrebbe significare sacrificare la vita di un nostro concittadino. Per questo chiediamo che sconti la sua pena in Italia. Per informazioni sul caso del sig. Iodice si può far riferimento all'avvocato Gennaro Santoro, 349/4740379. Campania: progetto "Dentro e fuori. Percorsi di integrazione", oggi la presentazione www.agensir.it, 21 aprile 2015 Sarà presentato oggi alla stampa e alla città, presso il Consiglio regionale della Campania, il progetto "Dentro e fuori. Percorsi di integrazione". Al convegno parteciperanno in qualità di relatori, padre Carlo De Angelis, cappellano del carcere di Lauro e presidente dell'associazione "La sorgente", Adriana Tocco, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Campania, Claudio Flores, dirigente del Dipartimento Amministrazione penitenziaria del Provveditorato regionale della Campania, Nicola Caracciolo, presidente dell'associazione Laici Caracciolini. Il progetto, sostenuto dalla Fondazione con il Sud e promosso da una partnership di 8 attori privati costituitisi in rete (associazioni di volontariato, cooperative ed enti) con capofila l'Associazione La Sorgente, nasce per attivare un servizio di informazione e orientamento rivolto ai detenuti e alle loro famiglie, con lo scopo di favorire percorsi di integrazione e facilitare il reinserimento sociale dopo la dimissione dal carcere. Il progetto prevede l'apertura di sportelli di ascolto sia all'interno degli istituti penitenziari campani, rivolti ai detenuti, sia all'esterno, rivolti alle famiglie. Fine ultimo del progetto è anche la creazione di una rete locale di associazioni di volontariato che opera sul territorio per sensibilizzare la società che si trova a riaccogliere gli ex detenuti. Santa Maria Capua Vetere: detenuto di 35 anni si strangola nel bagno della sua cella di Biagio Salvati Il Mattino, 21 aprile 2015 Ancora un dramma nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere dove ieri mattina, gli agenti di polizia penitenziaria hanno tentato di salvare, senza riuscirci, un giovane detenuto originario del Napoletano suicidatosi nel bagno della sua cella che condivideva con uno straniero. Carmine Martino, 35 anni, accusato di tentato omicidio (doveva trascorrere almeno altri cinque anni nel penitenziario), stando a quanto si è appreso, si è recato di buon mattino nel piccolo bagno della cella, ha inzuppato d'acqua una maglietta intima e se l'è stretta al collo fino a strangolarsi. Un gesto autolesionistico difficile da portare a termine su sé stessi e che purtroppo non ha trovato ostacolo nell'azione messa in atto dal recluso. Il personale di polizia penitenziaria è riuscito ad arrivare in tempo e a trasferire il giovane nel reparto sanitario del carcere per sottrarlo alla morte, purtroppo quando sono arrivati i medici del 118 (che nel frattempo erano stati già allertati), Martino era già deceduto. La salma è stata trasferita presso l'Istituto di Medicina Legale di Caserta per l'autopsia disposta dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, così come da prassi. Carmine Martino era stato arrestato due anni fa per un tentato omicidio commesso nel Casertano. Dopo un periodo trascorso ai domiciliari era entrato in carcere dove, peraltro, si stava reinserendo con buoni risultati: aveva conseguito un diploma di cucina ed era addetto nell'area giardinaggio. Qualcosa, però, è scattato ieri nella sua mente, aggravando così un suo disagio psichico. La notizia della morte del giovane ha lasciato sgomenti anche gli operatori del penitenziario che seguivano le attività di reinserimento del detenuto e la stessa direttrice Carlotta Giaquinto sorpresa dal gesto del giovane detenuto. Di recente, nel penitenziario sammaritano, dove sono ospitati oltre mille detenuti (417 nel reparto cosiddetto di Alta Sicurezza), tra cui 77 donne, aveva fatto visita il presidente dell'associazione Antigone che da anni si occupa dei problemi dei detenuti nelle carceri italiane oltre a realizzare dei dossier sul pianeta carcere. Nella struttura sammaritana negli ultimi dieci anni si sono registrati una decina di suicidi mentre sono di numero superiore gli atti di autolesionismo. Intanto, con le richieste avanzate dal sindacato del Sappe, è stato assicurato al penitenziario di Santa Maria Capua Vetere un rinforzo di personale di polizia penitenziaria, la risoluzione di alcune criticità interne e la liquidazione di missioni e straordinari. La situazione del personale era stata richiamata nei mesi scorsi a seguito dell'aggressione ad un agente da parte di un detenuto violento avvenuta nel settembre dello scorso anno ed un'altra a distanza di tre mesi. Dei problemi dei detenuti si occupa anche una speciale commissione per la tutela dei diritti dei detenuti attivata qualche anno fa in seno alla Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere. L'organismo, presieduto dall'avvocato Nicola Garofalo, interagisce con la direzione carceraria e segnala eventuali criticità lamentate all'interno della struttura. Frosinone: due detenuti tentato il suicidio, sono entrambi in coma all'ospedale www.ciociarianotizie.it, 21 aprile 2015 Da venti giorni C.B. quarantadue anni, detenuto nel carcere di Frosinone per reati sessuali, sta lottando tra la vita e la morte dopo che ha tentato di impiccarsi in cella con un lenzuolo. "L'uomo - ha riferito a Tg24 il direttore del penitenziario di Frosinone dr. Francesco Cocco- a differenza degli altri che in genere mettono in atto il proposito suicida a scopo dimostrativo, voleva veramente farla finita. Quella detenzione stava diventando ancora più dura da quando una maculopatia lo stava rendendo cieco. A questo c'è da aggiungere che la famiglia, proprio a causa del reato per il quale era finito in carcere lo aveva abbandonato. Da qui la depressione che lo ha portato all'insano gesto". Dicevamo che l'uomo sta lottando ancora tra la vita e la morte. Quella morte a cui fortunatamente lo ha sottratto quel giorno un suo compagno di cella che ha subito chiesto aiuto. Prova a togliersi la vita poco prima dell'assoluzione Aveva rinunciato a comparire all'udienza dibattimentale fissata per i primi giorni di aprile e così, lo scorso 25 marzo, ha tentato di togliersi la vita in carcere, impiccandosi con le lenzuola legate alla grata della finestra. A distanza di anni dalla maxi operazione "Dolmen", l'ex latitante Pietro Bassi torna, in un modo o nell'altro, a far scalpore. Il 57enne tranese, noto come "Bobby Solo", è tra i pochi reduci dell'organizzazione mafiosa capeggiata da Salvatore Anacondia, storico boss della mafia del Nord barese, di cui Bassi era uno dei più fedeli collaboratori. Accusato di duplice omicidio e associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga, era stato condannato a 30 anni di carcere, pena confermata sia in Appello che in Cassazione, ma a dicembre del 2008 era svanito nel nulla. Rintracciato dai Carabinieri, in collaborazione con la Quick Unit Response del Police Department di Amsterdam, era stato arrestato in Olanda mentre passeggiava con due tranesi. Dopo un lungo periodo di detenzione nella Casa Circondariale di Bellizzi Irpino, era stato da poco trasferito nel Carcere di Frosinone. Probabilmente a causa del nuovo ed imminente processo penale, Pietro Bassi era caduto in uno stato di profonda depressione e, approfittando dell'ora d'aria degli altri detenuti, ha tentato il suicidio. "Bobby Solo" ha penzolato per circa una quarantina di secondi, fino a quando gli insoliti rumori hanno scatenato l'immediato intervento degli agenti di Polizia penitenziaria. È stato trasportato in gravissime condizioni nell'ospedale di Frosinone, dove tutt'ora si trova in stato di coma. Per uno strano scherzo del destino, di lì a poco, l'avvocato del detenuto, Rolando Iorio, avrebbe comunicato al Bassi l'esito del processo, celebratosi dinanzi al Tribunale di Trani. "Bobby Solo" è stato assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste, ma questo lui ancora non lo sa. Cagliari: detenuto 70enne muore in carcere. Diabetico, era ricoverato nel Centro Clinico La Nuova Sardegna, 21 aprile 2015 "Sgomento nel carcere di Cagliari-Uta per la morte di un detenuto. L'uomo, G.P.C., originario di Arbus, si è sentito male nel primo pomeriggio di ieri. Nonostante l'immediato intervento degli Agenti della Polizia Penitenziaria, degli Infermieri e dei Medici è deceduto per un arresto cardio-circolatorio". Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", facendo osservare che "l'evento luttuoso, il primo nella nuova Casa Circondariale di Cagliari, ha provocato un profondo cordoglio". "L'uomo, che aveva subito diverse carcerazioni, era considerato un detenuto tranquillo. Avrebbe compiuto 70 anni proprio oggi essendo nato il 20 aprile 1946. Diabetico, era ricoverato nel Centro Clinico". "Una domenica infausta - sottolinea Caligaris - che impone una riflessione. In questo caso si è trattato di un evento acuto imprevedibile ma è chiaro che occorre un'attenzione particolare verso una realtà, a venti chilometri dal capoluogo di regione, dove sono attualmente ristrette oltre 500 persone". Firenze: i penalisti; la Casa Circondariale "Mario Gozzini" non diventi una Rems Ansa, 21 aprile 2015 "L'Unione delle Camere penali italiane (Ucpi) e anche la Camera penale fiorentina auspicano che la Casa Circondariale "Mario Gozzini" di Firenze non venga trasformata in Rems" perché "non sussistono le condizioni necessarie per l'accoglimento e la cura dei pazienti dell'Opg (di Montelupo Fiorentino, ndr) e soprattutto verrebbe cancellata una struttura di custodia (ma soprattutto di recupero sociale del detenuto) perfettamente funzionante e confacente al dettato costituzionale in tema di recupero del condannato". Così, il referente dell'Osservatorio Carceri della Camera Penale di Firenze, avvocato Luca Maggiora, dopo una visita all'istituto Mario Gozzini di Firenze, effettuata unitamente ai colleghi Rosa Todisco e Michele Luzzetti, anch'essi componenti dell'Osservatorio fiorentino, e ai colleghi Riccardo Polidoro, Davide Mosso e Gabriele Terranova rispettivamente responsabile dell'Osservatorio Carcere e membri dell'Osservatorio Carcere dell'Ucpi. "Abbiamo visitato la struttura in oggetto - riferisce l'avvocato Maggiora. La visita è stata organizzata a seguito della ipotesi di trasferimento degli internati dell'Opg di Montelupo a seguito della dismissione dello stesso. La casa circondariale Mario Gozzini è struttura detentiva a custodia attenuata dove bene viene attuato il principio rieducativo della pena. Molti sono i laboratori in cui i detenuti esprimono le proprie capacità creative e non tese al recupero sociale post delictum". Inoltre, prosegue, "abbiamo riscontrato un oggettivo buon funzionamento della struttura ed un clima disteso e collaborativo non solo dei detenuti ma anche degli operatori, tutti, che ivi prestano la propria attività lavorativa". Roma: sette detenuti di Rebibbia al lavoro per digitalizzare 900 mila atti del Csm di Marzia Paolucci Italia Oggi, 21 aprile 2015 Dal prossimo maggio fino a ottobre sette detenuti della Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso saranno impegnati per sei mesi nella digitalizzazione di circa 900 mila pagine di atti del Consiglio superiore della magistratura. Una parte di quelle migliaia di fascicoli che vanno dal 1970 al 2002, oggi stipati nel deposito atti di viale Trastevere di proprietà dell'Agenzia del demanio (che ne chiede la restituzione). Dal prossimo maggio fino a ottobre sette detenuti della Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso saranno impegnati per sei mesi nella digitalizzazione di circa 900 mila pagine di atti del Consiglio superiore della magistratura. Una parte di quelle centinaia e migliaia di fascicoli oggi stipati nei locali dell'ufficio adibito a deposito atti di viale Trastevere di proprietà dell'Agenzia del demanio (che ne chiede la restituzione). Atti che peraltro si sarebbe dovuto distruggere in base alla delibera della precedente consiliatura e che invece saranno in parte digitalizzati da cinque detenuti e trasportati dall'ufficio al laboratorio informatico del carcere romano, da altri due. In particolare, si tratta di 595 fascicoli dell'Ufficio studi dal 1970 al 2002, 90 faldoni della Sezione disciplinare dal 1980 al 1990, 253 faldoni della Commissione antimafia dal 1985 al 2001 e di 2662 fascicoli personali dei magistrati, già fuori servizio nel periodo 1985-2001. Un progetto seguito dalla Commissione di sorveglianza sugli archivi ricostituitasi a febbraio scorso e composta dal vicepresidente Csm, vicesegretario generale, un funzionario dell'Archivio di stato e uno del Ministero dell'interno. L' obiettivo è quello di ridurre il materiale cartaceo del Consiglio e creare opportunità lavorative per i detenuti nel laboratorio informatico dell'istituto romano come già avvenuto per un analogo progetto relativo alla digitalizzazione dei documenti del tribunale di sorveglianza di Roma. L'importo complessivo del progetto, pari a 43.130 euro, è quasi interamente a carico del Csm e servirà a finanziare la formazione, il pagamento degli stipendi dei detenuti e l'acquisto di cinque scanner in sostituzione dei vecchi già in dotazione a Rebibbia. Per parte sua, il ministero della giustizia, attraverso la Cassa delle ammende sostiene la spesa di 780 euro per l'acquisto di carburante e materiale di cancelleria. Un'intesa inter-istituzionale tra il Consiglio superiore della magistratura e il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria la cui fase di realizzazione è affi data alla Direzione della Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso su cui per ora vige il più assoluto riserbo visto che né il Csm né il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno fornito maggiori ragguagli in merito. L'unica fonte di riferimento è la delibera che appare sul sito del Consiglio all'indirizzo www.csm.it, dal titolo "Progetto di de materializzazione dei documenti del Consiglio superiore della magistratura situati presso l'immobile di proprietà dello stato sito in Roma, viale Trastevere". Ed è lo stesso testo della delibera che cita la creazione all'interno del carcere di Rebibbia di "una struttura organizzata per l'informatizzazione dei dati cartacei attraverso la scannerizzazione dei documenti". "Questa attività", è scritto nel documento, "oltre che portare a una significativa professionalizzazione del settore, successivamente spendibile all'esterno, ha permesso di dare lavoro negli anni a molti detenuti creando nella struttura un'attività consolidata che, in via permanente, può garantire quei servizi ad altre amministrazioni pubbliche e private". Ed ecco come funzionerà il servizio a cui si vuole evidentemente dare un profilo tecnico di lungo respiro: due detenuti ammessi al lavoro esterno trasporteranno i faldoni dall'archivio di viale Trastevere a Rebibbia per poi restituire i documenti in digitale al Csm. Digitalizzazione che avverrà su supervisione del Consiglio Superiore da parte dei restanti cinque detenuti formati sui programmi software di scansione e indicizzazione dello stesso Consiglio mentre il controllo di garanzia sulla riservatezza dati sarà congiunto, con la partecipazione sia del personale Dap - Dipartimento amministrazione penitenziaria sia del Csm. Massa: progetto dell'Asl, il detenuto può scegliere il medico di fiducia di Franco Alberti* Sole 24 Ore Sanità, 21 aprile 2015 Nella Casa di reclusione di Massa sono state introdotte due importanti novità. L'istituto penitenziario è il primo in Italia che sta consentendo ai detenuti di scegliersi il medico di fiducia e che sta dando ai familiari l'opportunità di monitorare il loro stato di salute attraverso uno sportello informativo. In analogia a quanto succede per il cittadino libero, che può scegliere il medico di fiducia dall'elenco dei medici presenti che non hanno raggiunto il numero limite massimo degli assistiti, dal primo dicembre scorso, a Massa, è possibile effettuale una prima e seconda scelta di un medico, in base alla disponibilità dello stesso, fra gli otto medici operanti nel penitenziario. Così, all'interno del carcere, anche il detenuto conosce anticipatamente giorni e orari stabiliti d'ambulatorio al pari del cittadino libero. Una importante novità nello scenario generale che vede all'interno degli istituti penitenziari operare più medici, obbligando la persona costretta al momento del bisogno, urgente o meno, a rivolgersi al medico presente di turno. Quest'organizzazione non permetteva una continuità della cura in quanto era leso, come riferito dal Comitato nazionale di bioetica, il diritto alla continuità della cura; inoltre, mancava completamente quel rapporto medico-paziente raccomandato più volle dall'Oms anche in ambito detentivo. A Massa, a distanza di tre mesi, da una prima verifica effettuata, si e tonnato un rapporto di fiducia medico-paziente che ha contribuito a una maggiore appropriate/za diagnosti-co-tcrapeutica e ha portato non solo soddisfazione agli utenti, ma anche un risparmio di tipo economico. Altra rilevante introduzione è stata l'istituzione di uno sportello informativo sanitario, attualmente funzionante due giorni al mese e su appuntamento, al quale possono rivolgersi i parenti o gli aventi diritto per notizie sanitarie, naturalmente a seguito di un consenso scritto da parte del diretto interessato. Un reale cambiamento rispetto a quanto previsto in precedenza, visto che solo il soggetto detenuto ha diritto d'accesso alla propria documentazione sanitaria in qualsiasi momento mentre purtroppo esiste un vuoto informativo sanitario che riguarda invece i parenti o gli altri soggetti aventi diritto. Non conoscere le condizioni di salute, in taluni casi, può portare a tristi risvolti e per ovviare a questa mancanza a Massa si è deciso di percorrere una strada diversa. Il locale che ospita lo sportello viene messo a disposizione dalla Direzione del carcere e si trova all'esterno del carcere stesso; le notizie al momento sono fomite direttamente dal responsabile sanitario del presidio, ma in un prossimo futuro saranno fornite dallo stesso medico di riferimento del paziente. Grazie alla fattiva collaborazione tra chi scrive e la Direzione della casa di reclusione di Massa, queste due iniziative sono state oggetto, prima della loro attuazione, di un confronto con la popolazione ristretta nella Casa di Reclusione. Le novità introdotte sono state condivise e valutate con gli stessi detenuti, durante incontri "ad hoc" dove sono stati raccolti suggerimenti, che li hanno visti particolarmente partecipi. Questi due progetti, che fanno da apripista in Italia nel miglioramento dell'assistenza sanitaria dei detenuti, si inseriscono dopo la riforma della sanità penitenziaria, un'innovazione importante perché ha aperto le porte del carcere a una istituzione, quella sanitaria, il cui mandato primo e unico è la promozione della salute della persona e la sua tutela della salute come paziente, L'uguaglianza nel diritto alla salute fra detenuti e liberi non significa solo uguaglianza nell'offerta di servizi sanitari. Una buona rete di servizi sanitari è uno strumento necessario, ma non sufficiente, per raggiungere l'uguaglianza dei livelli di salute: ai detenuti va offerta, infatti, l'opportunità dell'accesso al bene salute, tenendo conto delle notevoli differenze di partenza nei livelli di salute, nonché delle particolari condizioni di vita in regime di privazione della libertà, che di per sé rappresentano un ostacolo al conseguimento degli obiettivi di salute. Queste due innovazioni, nella loro semplicità, contribuiscono quindi a incrementale una logica di continuo miglioramento della gestione della salute "dietro le sbarre", pur rappresentando solo l'inizio di una vera rivoluzione culturale da parte di tutti, in particolare degli operatori sanitari (e non) che vi operano con dedizione. * Responsabile Presidio distrettuale Asl Massa-Carrara "istituto Penitenziario" Cremona: Sappe; detenuto dà fuoco alla cella, cinque agenti intossicati La Provincia, 21 aprile 2015 Tensione senza fine nel penitenziario, nuova denuncia del Sappe. Sembra davvero non avere fine la spirale di tensione e violenza che caratterizza ormai da mesi il carcere di Cremona, da tempo al centro di eventi critici e delle critiche sindacali del Sappe, l'organizzazione più rappresentativa dei baschi azzurri. "Questa mattina (lunedì 20 aprile, ndr) - si legge nella nota diffusa dal segretario generale del Sappe, Donato Capece - un detenuto straniero si è ferito. Il tempestivo intervento degli agenti di servizio ha impedito che la situazione degenerasse. A seguire si sono rese necessarie le cure dell'uomo presso l'infermeria, ma non è finita lì. Lo stesso detenuto, rientrato in cella, ha dato fuoco a quel che aveva nella sua camera detentiva. Poteva essere una strage. Fiamme e fumo hanno invaso la cella e la sezione, ma proprio il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari ha scongiurato conseguenze drammatiche. Il fumo era denso e pericoloso, tale da determinare anche grida di allarme da parte degli altri detenuti, e i poliziotti sono stati eroici nel loro comportamento. Si è reso necessario far evacuare la sezione detentiva. Cinque poliziotti sono rimasti intossicati e sono dovuti ricorrere alle cure ospedaliere. Poteva essere una tragedia, sventata dal tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari di servizio nel Reparto e dal successivo supporto dei loro colleghi. Sono stati momenti di grande tensione. Sono stati bravi i poliziotti a intervenire tempestivamente, con professionalità, capacità e competenza". Secondo Capece, "questo gravissimo episodio è sintomatico di una tensione detentiva che noi denunciamo da tempo. Da mesi segnaliamo le criticità interne al carcere, dove evidentemente la situazione sembra sfuggire di mano a direttore e comandante del reparto di polizia penitenziaria, che evidentemente hanno improntato una organizzazione del lavoro e una quotidianità penitenziaria fallimentare sotto il punto di vista della sicurezza e della rieducazione trattamentale". Il Sappe torna così a chiedere, "nell'indifferenza dell'amministrazione penitenziaria, una ispezione ministeriale e l'allontanamento da Cremona di direttore e comandante della polizia penitenziaria". Nel 2014 - ricorda Capece - nella casa circondariale di Cremona si è registrato un numero di atti di autolesionismo (120) maggiore di quelli del penitenziario di Milano San Vittore (46), che però ha quasi il triplo dei detenuti. "Le responsabilità di direttore e comandante per quel che da mesi avviene in carcere a Cremona mi sembrano palesi e mi sorprende - conclude Capece - che l'amministrazione penitenziaria non adotti adeguati provvedimenti". Firenze: Osapp; detenuta non vuole essere trasferita in una Rems e dà fuoco alla cella di Massimo Mugnaini La Repubblica, 21 aprile 2015 Una detenuta di 40 anni del carcere fiorentino di Sollicciano ha appiccato il fuoco alle suppellettili della propria cella e un ispettore e cinque guardie carcerarie sono rimaste intossicate dal fumo. Lo rende noto il sindacato Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria). La detenuta voleva protestare contro il suo prossimo ricovero in una Rems (residenza esecuzione misure sicurezza). Durante le difficoltose operazioni di spegnimento delle fiamme, afferma il sindacato, viste anche le disfunzioni del sistema antincendio, un ispettore e 5 agenti femminili sono rimasti intossicati dal fumo. Le cinque agenti, una delle quali in condizioni particolarmente gravi, e due detenute hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere. "Si tratta dell'ennesimo gravissimo episodio interno alla casa circondariale di Sollicciano dove purtroppo - afferma il segretario dell'Osapp Leo Beneduci -. Di fronte a tanta ingiustificata non curanza, come sindacato non ci resta che chiedere che il direttore e il provveditore regionale siano sottoposti ad accurate indagini ispettive in sede ministeriale intese ad accertarne le responsabilità rispetto a condizioni di continuo reale e grave rischio per il personale, per l'utenza e per l'intera collettività". Novara: il Garante regionale Mellano "161 detenuti, ma solo 8 impegnati in un lavoro" www.oknovara.it, 21 aprile 2015 "Quello del carcere, in Piemonte, è un pianeta complesso e in continua evoluzione". Così l'esordio del "Garante regionale per i detenuti" Bruno Mellano, in aula in Regione, presentando la relazione sulla propria attività. Grazie ai recenti provvedimenti "normativi e organizzativi" si è passati "a un progressivo decremento dei detenuti all'interno delle carceri piemontesi, che da oltre 5.000 sono oggi poco più di 3.500. Occorre però tener presente che le criticità e illegalità del sistema penitenziario non sono attribuibili in via esclusiva ai problemi di sovraffollamento ma riguardano soprattutto l'efficacia del periodo di detenzione rispetto all'obbiettivo individuale e collettivo della pena". Dalle statistiche, ha aggiunto il Garante, si evince come siano "aumentate di molto le persone in esecuzione penale esterna, che in Piemonte sono circa 2.700. Pare quindi giunto il momento di approfittare di un'opportunità impensabile fino a qualche anno fa per rilanciare e approfondire una collaborazione istituzionale e sociale mirata a rendere la pena detentiva utile ed efficace". In Piemonte ci sono 13 istituti penitenziari per adulti, 1 carcere minorile e 1 Centro di identificazione ed espulsione, a Torino. "Tra le emergenze da affrontare - ha concluso Mellano - spicca quella del lavoro per abbattere il rischio di recidiva: è dimostrato che su dieci detenuti che hanno avuto occasione di sviluppare e arricchire la propria professionalità e di abituarsi agli orari e ai ritmi di lavoro, solo tre hanno fatto ritorno in carcere. Da quando i fondi dell'Ufficio ammende non sono più impiegati per finanziare progetti lavorativi, è purtroppo diminuito sensibilmente il numero di detenuti che può accedere al lavoro. Urge trovare nuove forme e nuove risorse per non perdere un'occasione tanto importante per il reinserimento lavorativo dei detenuti". Qualche dato relativo alla Case circondariali di Novara e Verbania, aggiornati al 24 marzo. Quella di Novara ospitava in totale 161 detenuti (38 stranieri, cioè il 23,17%), ovvero la capienza totale regolare (la tollerabilità massima è fissata invece a 190), mentre quella verbanese 59 (16 stranieri, cioè il 27,59%) su una capienza di 53 (tollerabilità massima a 89). Dei 161 "novaresi" 19 erano in attesa di giudizio, 8 appellanti, 7 ricorrenti e 95 con condanna definitiva (i restanti sotto altre voci); dei 59 "verbanesi" 13 quelli in attesa di giudizio, 4 gli appellanti, 2 i ricorrenti e 36 quelli con condanna definitiva (gli altri sotto altre voci). A Novara si suddividono in 92 "comuni" e 69 al "41 bis" (ovvero il carcere duro per mafiosi etc.), a Verbania fra 34 "comuni" e 24 "protetti". Per quanto riguarda impieghi e lavori, all'interno e all'esterno. A Novara, fra i semiliberi, 1 lavora in proprio e 1 ha un datore di lavoro esterno (a Verbania nessuno rientra in queste tipologie); 5 sono ammessi al lavoro esterno (2 a Verbania), mentre 1 è alle dipendenze di una cooperativa. Quindi in totale i detenuti "novaresi" che lavorano sono (solo) 8, mentre i "verbanesi" 2. Ma c'è per fortuna il discorso degli interventi socialmente utili (manutenzioni, pulizie etc.), tramite accordi con gli enti locali: a Novara coinvolgono una trentina di detenuti, a Verbania una ventina. È un aspetto importante, tra l'altro recentemente rilanciato a Novara anche tramite la Provincia che ha sottoscritto un accordo con la Casa circondariale cui hanno aderito la Magistratura di sorveglianza e l'Ufficio esecuzioni esterne. Al tavolo col presidente Besozzi il direttore del Carcere Rosalia Marino, il magistrato di sorveglianza Lina Di Domenico e per l'Ufficio esecuzioni penali esterne la responsabile Santina Gemelli. Previsti interventi in tutto il Novarese con particolare attenzione alla manutenzione stradale e all'edilizia scolastica. Augusta (Sr): detenuti al lavoro sul territorio, accordo tra Casa di Reclusione e Comune di Gianni D'Anna www.augustaonline.it, 21 aprile 2015 Partirà nei prossimi giorni l'utilizzo di detenuti della casa circondariale di Augusta per lavori di manutenzione varia sul territorio comunale come previsto dal protocollo siglato dai due enti. L'hanno reso noto questa mattina, durante la conferenza stampa, il commissario straordinario del comune vice-prefetto Maria Rita Cocciufa e il direttore della casa di reclusione Antonio Gelardi. All'incontro erano presenti anche il sovraordinato Raffaele Falconieri e il dirigente della Polizia Municipale Antonino Barbera. Grande soddisfazione è stata espressa da entrambe gli enti per la sigla dell'accordo che avrà la durata di un anno e che si rinnoverà tacitamente per cinque anni. "Un momento di grande riscatto sociale anche per i detenuti - ha commentato la commissaria Cocciufa - grazie a una serie di considerazioni fatte a seguito di alcune nostre visite nella casa di reclusione. L'ambiente carcerario mi aveva affascinato - ha affermato - una realtà che appare estranea alla comunità, anche se così non è realmente. Alcune di queste persone avranno la possibilità di uscire per mettere a frutto quello che sanno fare, a beneficio della comunità". La commissione aveva già notato "il gran lavoro fatto dai detenuti per la pulizia del cortile interno del castello Svevo. Adesso con questo protocollo si potrà avere una più organica collaborazione. Anche grazie alla stipulazione di un'assicurazione stipulata per i detenuti, come prevede la legge, siamo pronti all'utilizzo degli elementi che il direttore Gelardi fornirà, per una serie di manutenzioni del verde pubblico, sulle strade o edifici comunali, della segnaletica stradale". Al progetto saranno impegnati il personale dell'ufficio tecnico e della polizia municipale. Come annunciato tra i primi interventi è stato programmato la pulizia di Palazzo san Biagio in occasione della prossima riapertura. "Ringrazio il direttore Gelardi - ha concluso il vice-prefetto Cocciufa - per la sensibilità dimostrata nell'aver creduto alla positiva interazione tra carcere e comunità. Augusta può vantarsi di essere la prima città siciliana che ha dato il via a una collaborazione del genere". Il direttore ha confermato il suo impegno "Frutto della sintonia tra i due enti per attività di "giustizia riparativa" a favore di detenuti che sono già in regime appropriato. Da tempo un gruppo di detenuti già escono dalla Casa di Reclusione per andare a cucinare e servire alla mensa per bisognosi dell'associazione "Buon Samaritano" che in cambio spesso organizza collette per l'acquisto di generi di prima necessità per i detenuti bisognosi. È un modo per fare espiare la pena detentiva in maniera diversa, per cercare di restituire alla comunità individui. Una recente normativa - ha spiegato Gelardi - ha permesso ai detenuti di lavorare per comuni e associazioni di volontariato. Ci muoviamo a piccoli passi, collaborando con scuole e associazioni, uno scambio continuo". Milano: Expo; open day a San Vittore per promuovere le attività dei detenuti Ansa, 21 aprile 2015 Un Primo maggio 2015 anche per la poco nota "economia carceraria". È quello organizzato alla casa circondariale di San Vittore a Milano, dove sarà allestito uno "Speciale padiglione Italia" in occasione dell'apertura di Expo 2015. Si tratta di un'esposizione delle attività produttive legate al cibo e all'ambiente che le cooperative del privato sociale realizzano nelle strutture penitenziarie italiane. Un'occasione importante per dare visibilità all'economia penitenziaria che non solo produce, ma tenta di generare posti di lavoro per i detenuti e realizzare quell'intervento di inclusione sociale che mira all'abbassamento della recidiva dei reati. Lo speciale padiglione potrà essere visitato dalle ore 15.30 alle 18 da cittadini, imprenditori, ristoratori, commercianti, amministratori pubblici nell'obiettivo di assaggiare, toccare, concordare strategie commerciali, stabilire contatti utili per proseguire una collaborazione fattiva e creare opportunità. La sfida di Expo per l'Amministrazione penitenziaria è far sentire il carcere parte del territorio, rinsaldare il patto sociale e contribuire alla costruzione di una società integrata "buona come il buon cibo" e migliore per tutti. Acireale (Ct): inaugurati i nuovi locali della zona laboratori del carcere minorile di Teresa Grasso La Sicilia, 21 aprile 2015 Un posto più accogliente per incontrare i propri familiari e per vivere con maggiore serenità il percorso di ritorno alla vita vera. Sono stati inaugurati, ieri mattina, i nuovi locali della zona laboratori nel cortile interno dell'Istituto penale per minorenni di Acireale. Una cerimonia partecipata che ha visto protagonisti indiscussi i ragazzi reclusi. Dopo un lungo periodo di inabilità e proprio in occasione dell'arrivo della stagione estiva, una preziosa risorsa per i 20 giovani presenti nell'istituto che trascorrono in questi luoghi buona parte della loro giornata. E proprio qui che i ragazzi svolgono attività ricreative: dalla classica partita di calcetto ai laboratori di ceramica, scultura e falegnameria. In realtà, per accogliere al meglio gli ospiti che hanno assistito all'evento, i giovani si sono improvvisati pure chef, cucinando con le proprie mani le pietanze offerte nel corso della cerimonia. Nel cortile sono stati collocati due gazebo che saranno utilizzati per i colloqui tra ragazzi e famiglie, ma anche per le attività all'aperto che saranno di volta in volta programmate. Alla cerimonia erano presenti il dirigente del Centro per la giustizia minorile di Palermo, Angelo Meli, soddisfatto specialmente per l'entusiasmo manifestato dai giovani contenti per le nuove opportunità di cui usufruiranno i giovani reclusi, il direttore generale del Dipartimento per la giustizia minorile, Emanuele Caldarera, il presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, Francesca Pricoco, il sindaco di Acireale, Roberto Barbagallo, l'assessore alle Politiche Sociali, Adele D'Anna, il vescovo della diocesi, Antonino Raspanti, assieme agli operatori e i volontari che collaborano con l'istituto. "Grande emozione e la riprova che investire su questi giovani garantisce per loro uno stimolo e la motivazione per vivere al meglio il difficile quanto necessario percorso che li restituisce alla loro vita, é chiarissimo e la giornata di oggi ne é stata la prova che i ragazzi danno il massimo se comprendono che si ha interesse per la loro vita e il loro percorso di recupero sociale e umano", ha spiegato con tono commosso e particolarmente soddisfatta la direttrice dell'Ipm di Acireale, Carmela Leo. Perugia: chef si diventa... dietro le sbarre. "Golose Evasioni" al carcere di Capanne di Erika Pontini La Nazione, 21 aprile 2015 Domani sera la cena-evento che segna il traguardo del progetto per il reinserimento dei detenuti. Quindici nuovi cuochi che hanno imparato l'arte di far da mangiare ai più sofisticati clienti. Una cena di 250 persone è il banco di prova che li vedrà impegnati sotto la guida di uno chef d'eccellenza, Giancarlo Polito. La nuova frontiera di un mondo del lavoro sempre più difficile, stavolta, è dietro le sbarre del carcere di Capanne a Perugia - diretto dalla dottoressa Dina di Mario - dove, anche quest'anno (dopo il successo dello scorso anno) tornano "Golose evasioni", che saranno accompagnate anche dalla performance del clarinettista Gabriele Mirabassi e del chitarrista Roberto Taufic. Saranno loro, quanti stanno pagando con la detenzione i loro sbagli nella società, a preparare la cena a pagamento in programma per mercoledì sera. E metteranno a tavola anche il cardinale Gualtiero Bassetti, il sottosegretario alla giustizia, Cosimo Ferri, il prefetto Antonella De Miro, il sindaco Andrea Romizi, Luisa Todini, presidente di Poste italiane, Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio e Andrea Fora, presidente Federsolidarietà-Confcooperative. Ma anche i vertici della magistratura, come il presidente della Corte d'appello Wladimiro De Nunzio e il procuratore generale Giovanni Galati. E poi avvocati, pm, imprenditori, assessori e onorevoli. L'iniziativa si inserisce nell'ambito del progetto "Intra: azioni integrate per la transizione al lavoro delle persone detenute", finanziato dalla Provincia di Perugia e gestito dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro in collaborazione con l'Unione Regionale Cuochi Umbri. Il corso di "Addetto alla cucina" ha previsto 150 ore di lezione ed ha offerto a 15 detenuti del reparto penale "la possibilità di apprendere un mestiere spendibile nel mercato del lavoro, una volta terminato di scontare la pena detentiva". "La nostra idea - sostiene Roberta Veltrini, presidente di Frontiera Lavoro - è quella di far sentire utili queste persone e aiutarle a reinserirsi nella società a cominciare dal mondo lavorativo, elemento imprescindibile del trattamento educativo. Ecco perché occorre favorire la partecipazione dei detenuti alle attività formative, che risultano indispensabili per l'acquisizione di qualifiche utili per la collocazione nel mercato ordinario del lavoro al momento della dimissione dall'istituto". Carcere, quindi, come vero luogo di recupero. Gli allievi-chef sono stati 4, già ammessi al lavoro esterno e impegnati nel tirocinio formativo di sei mesi nei migliori ristoranti perugini, insieme ad altri 11 detenuti che, divisi in due turni, preparano ogni giorno il pranzo e la cena per la popolazione dell'istituto. "È un'esperienza bellissima, ricca di soddisfazioni. La mia speranza è di poter fare anche in futuro questo lavoro", dice Angelo, 30 anni. Detenuto-chef. Reggio Calabria: trovato coltello artigianale in cella, ricavato da lamiera delle bombolette Quotidiano di Calabria, 21 aprile 2015 Un coltello artigianale è stato individuato nel carcere di Reggio Calabria durante una perquisizione in delle celle. L'arma è stata ricavata dalla lamiera delle bombolette del gas. Un coltello rudimentale, che secondo quanto ricostruito dagli inquirenti sarebbe stato ricavato dalla lamiera delle bombolette di gas che i detenuti usano per cucinare e riscaldare cibi e bevande, è stato trovato da personale della polizia penitenziaria nella casa circondariale "Panzera" di Reggio Calabria. Lo rendono noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. Il coltello è stato scoperto nel corso di una perquisizione effettuata in locali che sono di uso comune ai detenuti. "Il coltello, abilmente occultato, è stato trovato all'interno di un intercapedine di locali in uso ai detenuti. È stato realizzato con del materiale tipo lamiera, realizzato schiacciando e modellando la lamiera di una bomboletta di gas in uso ai detenuti per riscaldare e cucinare le pietanze tramite fornellini da camping", ha aggiunto il segretario generale del sindacato Donato Capece. Per Capece, che esalta "i poliziotti penitenziari di Reggio Calabria per l'importante ritrovamento, che evidenzia la loro professionalità, il loro scrupolo, la loro attenzione", la presenza di un arma di questo tipo "impone domande preoccupanti. A cosa sarebbe servito? Ad una resa di conti tra detenuti o ad un agguato ai poliziotti?". Evidenziando in questo modo anche l'allarme per la sicurezza che da qualche tempo c'è nelle carceri calabresi. Bellucci ha poi evidenziato come "nei dodici mesi del 2014, nel carcere di Reggio Calabria ‘Panzerà si sono contati il tentato suicidio di un detenuto, sventato in tempo dalla Polizia Penitenziaria, 3 episodi di autolesionismo (ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile, tagli diffusi sul corpo e provocati da lamette) e 8 colluttazioni". Una situazione che per Capece è "sintomatica del fatto che le tensioni e le criticità nel sistema dell'esecuzione della pena in Italia sono costanti. E che a poco serve un calo parziale dei detenuti, da un anno all'altro, se non si promuovono riforme davvero strutturali nel sistema penitenziario e dell'esecuzione della pena nazionale". Napoli: l'attore detenuto Arena incontra gli studenti, contro la dispersione scolastica Il Mattino, 21 aprile 2015 Saranno gli studenti dell'istituto Serra di via Trinità delle Monache a dare il via domani mattina al ciclo di incontri con l'attore ergastolano Aniello Arena nell'ambito del progetto "Early School Leaders. Dall'abbandono al successo dentro e fuori la scuola" che si occupa di combattere il fenomeno della evasione scolastica. Promosso da una rete di 26 soggetti tra enti del terzo settore, enti locali, scuole, università - capofila Ltm, Gruppo Laici terzo mondo Organizzazione Non Governativa con sede a Napoli in via de Pretis 62 - il programma, che si articola in due anni, si impegna a mettete in campo le strategie atte intervenire efficacemente nel contrasto alle principali cause di dispersione e abbandono delle aule. Nel corso delle tre ore di confronto, l'attore originario di Barra - condannato per la strage di piazza Crocelle a Barra del gennaio 1991 - detenuto presso la casa di reclusione di Volterra sarà accompagnato dal regista Armando Punzo che nel 1997 ha fondato nel carcere la Compagnia della Fortezza www.compagniadellafortezza.org e racconterà il suo percorso: allontanatosi dalla scuola, ha cominciato a vivere secondo la legge della strada fino a incrociare il crimine e poi la detenzione. Il suo riscatto e il suo recupero sono avvenuti proprio grazie al teatro, di cui ha cominciato ad appassionarsi in prigione. A partire dal teatro, Aniello ha iniziato un percorso di revisione del proprio passato fino a raggiungere il successo con la partecipazione al film "Reality" del regista Matteo Garrone premiato al Festival del Cinema di Cannes dove Aniello ha ricevuto il Nastro d'Argento come miglior attore. In seguito la pubblicazione con la casa editrice Rizzoli del libro autobiografico "L'aria è ottima (quando riesce a passare)". Durante gli appuntamenti, alle parole si aggiungeranno le immagini di video e di documentari collegati all'attività teatrale nel carcere di Volterra e il testo sarà il pretesto per rispondere alle domande dei ragazzi e affrontare le questioni più spinose legate alle scelte sbagliate e alle conseguenze che queste possono avere sulla vita di un individuo. Gli altri appuntamenti in programma mercoledì alla Volino Croce di via De Gaparis e giovedì all'istituto Leonardo da Vinci di via Foggia. Gela (Ct): cancelleria e libri per i detenuti dal Lions club del Golfo di Desirèe Alabiso www.corrieredigela.com, 21 aprile 2015 Gesto di solidarietà e funzione di servizio da parte del Lions club Golfo di Gela. A beneficiarne sono stati i detenuti della Casa circondariale di contrada Balate, ai quali è stato dato in dono materiali scolastico e di cancelleria, in particolare penne, album da disegno, colori e calcolatrici). La consegna è avvenuta in forma ufficiale il 14 aprile scorso, con una sobria cerimonia all'interno dell'Istituto di detenzione, presenti i vertici del club Lions del Golfo e quelli della Casa circondariale. A rappresentare i primi c'era il presidente del club Franco Guarnera, il segretario Leo Buscemi, il rappresentante della 23ª zona Lions e la consigliera Angela Rinzivillo e Massimo Giordano; per il carcere, la direttrice Gabriella Di Franco, il comandante responsabile della sicurezza e la responsabile del trattamento Viviana Savarino. È intervenuta anche la dirigente scolastica della San Francesco Giovanna Palazzolo, la cui scuola ha una sezione staccata all'interno dell'Istituto di pena di contrada Balate. Il Lions Club si occupa di solidarietà con diversi progetti, tra cui la donazione di libri scolastici agli alunni con famiglie in difficoltà, Il Club ha anche inviato un contributo per la costruzione di una scuola in Burkina Faso per permettere a centinaia di bambini di andare a scuola e ricevere quell'istruzione di base che permette di avere una vita migliore e speranze per il futuro. Tutti i progetti coinvolgono il territorio di Gela e limitrofi e prevedono il più delle volte donazioni di materiale scolastico ed altro. "Il Lions Club investe soprattutto nella cultura - ha detto la prof.ssa Angela Rinzivillo, socia fondatrice del Lions Club Golfo di Gela - che è veicolo di libertà non solo fisica ma soprattutto mentale. È anche per questo che appoggiamo con convinzione la preside Giovanna Palazzolo, che insieme ai suoi docenti sta facendo un ottimo lavoro". Una novità di quest'anno è l'inserimento nel materiale di cancelleria ed anche di alcuni libri di testo e romanzi del 900, così da incrementare la crescita e lo sviluppo di interessi nei detenuti che hanno scelto di seguire i corsi di scuola media. L'iniziativa è presente da tre anni nella Casa circondariale di Gela. I corsi sono tenuti da docenti che giornalmente si occupano della didattica. Hanno una durata di tre ore al giorno e coinvolgono in tutto 12 detenuti. "Hanno cominciato in 18 - ci dice la Giovanna Palazzolo - e quest'anno 3 o 4 di loro sosterranno l'esame di licenza media. È un modo per garantire loro, dopo un percorso formativo, la possibilità di spendere il loro titolo di studio per l'inserimento nel mondo del lavoro". Solidarietà dunque e cultura come veicolo di libertà. L'Istituto penitenziario si trova in un contesto territoriale particolarmente complesso, caratterizzato da disagio economico-sociale, criminalità organizzata, la voglia di riscatto sembra essere comunque più forte e negli ultimi anni Gela sembra essere al centro di alcuni programmi statali di aiuto, le istituzioni, in questo caso la scuola e alcune associazioni come i Lions si stanno impegnando a diffondere l'educazione alla legalità. Si sono avviati progetti per il recupero sociale delle persone detenute. Uno dei tanti progetti in corso è l'allestimento di una sala lettura all'interno dell'Istituto, la lettura è in fondo apertura verso il mondo, apre la mente e allevia il tempo. Bari: partita per la legalità, all'Ipm Fornelli in campo giovani detenuti e calciatori www.barilive.it, 21 aprile 2015 Gran finale nel pomeriggio per il progetto "Un calcio dietro le sbarre". L'iniziativa organizzata dall'Associazione italiana calciatori in collaborazione con Aps Fuorigioco si completerà con un incontro di calcio, la prima "Partita per la Legalità". Fischio d'inizio alle 14 sul terreno di gioco interno dell'istituto penitenziario minorile "Fornelli" di Bari. I ragazzi detenuti scenderanno in campo insieme a grandi campioni del calcio, magistrati, giornalisti e altri operatori del diritto. Hanno già dato adesione all'iniziativa, tra gli altri, Morgan De Sanctis, Simone Perrotta, Damiano Tommasi, Nicola Legrottaglie, Cristian Manfredini, Mauro Esposito, Ezio Rossi oltre al sindaco di Bari, Antonio Decaro, all'assessore allo Sport, Pietro Petruzzelli, e al presidente del Bari, Gianluca Paparesta. L'iniziativa ha previsto un percorso di allenamenti e laboratori didattici sul gioco del calcio, tenuti da allenatori esperti messi a disposizione dall'Aic. Stati Uniti: altro che "Csi", centinaia gli errori dell'Fbi, 32 innocenti condannati a morte di Luca Celada Il Manifesto, 21 aprile 2015 Stati Uniti. Report contro i laboratori scientifici dei federali. In 32 casi, mandati a morte degli innocenti. L'Fbi ha ammesso che anomalie nei propri laboratori di medicina legale, avrebbero contribuito a centinaia di errori giudiziari negli ultimi 20 anni, compresi almeno 32 casi di pena capitale. Almeno 14 detenuti condannati a morte in base a prove "discutibili" sono stati giustiziati o sono deceduti in prigione in attesa di esecuzione. Secondo il Washington Post, che ha condotto un indagine congiunta col programma investigativo della Cbs, "60 Minutes", le irregolarità confermate anche dagli ispettori del ministero di giustizia, si sarebbero verificate nel reparto preposto alle analisi dei capelli, spesso utilizzate per stabilire la colpevolezza di un imputato. Nel rapporto stilato dal Office of Inspector General si legge che dal 1980 al 2000, 26 dei 28 specialisti impiegati dal laboratorio forense dell'Fbi hanno "regolarmente enfatizzato risultati in modi che hanno favorito l'accusa". Nel 95% dei 268 casi persi finora in esame le testimonianze degli esperti sarebbero "discutibili". Le rivelazioni giunte in seguito a numerosi ricorsi presentati dall'Innocence Project e dall'associazione nazionale degli avvocati penali (Nacdl) hanno indotto il senatore Blumethal del Connectucut a chiedere un ulteriore riesame di migliaia di processi. Le analisi della scientifica dell'Fbi vengono utilizzati infatti anche dalle procure distrettuali di tutto il paese. Intanto sono in corso controlli su altri 1.200 casi. Si tratta di una vicenda che mette in luce una verità sempre più evidente, in riferimento agli innocenti uccisi per errore negli Stati che applicano la pena di morte (32 più lo stato federale e le forze armate). In Usa nel 2014 sono stati giustiziate "solo" 35 persone, il minor numero da vent'anni a oggi, in parte a causa della carenza di "farmaci" utilizzati per le iniezioni letali. Da quando l'ultimo produttore di tiopental sodico (penthotal), la Hospira, ha sospeso le operazioni nell'impianto di Liscate in Lombardia, la mancanza di veleni ha messo in crisi la macchina della morte. Diversi Stati hanno improvvisato esecuzioni usando barbiturici e altri farmaci per improvvisare cocktail mortali, che in diversi casi hanno provocato strazianti agonie in contravvenzione al mandato costituzionale di "morte umanitaria". Per questa ragione alcuni stati come California, Ohio e Tennessee hanno sospeso le esecuzioni e dichiarato una moratoria. Altri hanno ritenuto di "sperimentare" ulteriormente: a marzo lo Utah ha reintrodotto la fucilazione, la settimana scorsa l'Oklahoma ha approvato il soffocamento mediante gas azoto "somministrato via maschera a gas". A fronte di questo scempio, a breve la questione del metodo dovrebbe essere presa in esame della corte suprema. Mentre non è prevista un'abolizione della pena in se stessa (ancora considerata valida dal 60% degli americani), le rivelazioni sul reparto "Csi" dell'Fbi potrebbero favorire riforme per facilitare il riesame delle sentenze. Attualmente - ad esempio - solo California e Texas ammettono appelli basati unicamente sull'emergere di nuovi dati scientifici. Solo dal 2001 in Texas ci sono state 42 scarcerazioni in base a nuove analisi del Dna. Gli archivi dell'Innocence Project registrano ad oggi in America un totale di 1.064 "assoluzioni retroattive". La vicenda getta un ombra sulle tecniche forensi così decantate in cinema e tv come definitive garanzie di giustizia. Mentre i risultati dei laboratori venivano presentati alle giurie come "scientificamente inequivocabili", il rapporto segnala che, in particolare nell'analisi dei capelli, non ci sarebbero i margini per giustificare questa certezza. Lo scandalo non è il primo a coinvolgere i laboratori Fbi: già nel 2007 era stato determinato che errori nelle analisi dei proiettili avevano potenzialmente compromesso 4° anni di testimonianze in tribunale. Iran: 65 esecuzioni in una settimana, altri 200 detenuti in procinto di essere giustiziati www.ncr-iran.org, 21 aprile 2015 Appello ai giovani perché protestino contro le esecuzioni ed esprimano la loro vicinanza alle famiglie delle vittime. Per contrastare la massiccia crisi interna ed esterna, specie dopo il passo indietro fatto nel corso dei negoziati sul nucleare, la contemporanea diffusione delle proteste degli insegnanti, degli operai e di altri strati della popolazione, il disumano regime teocratico ha intensificato le esecuzioni in una maniera senza precedenti per paura dell'aumento delle rivolte popolari. Oltre il 70% delle condanne a morte è stato eseguito in segreto e il regime teocratico non ha rilasciato alcuna informazione su queste atrocità. La scorsa settimana (dal 12 al 18 Aprile), i boia hanno impiccato almeno 65 detenuti. Quarantacinque di questi sono stati giustiziati solo nelle prigioni della città di Karaj. Il 13 Aprile otto detenuti sono stati impiccati nella prigione centrale di Karaj ed altri 13 in quella di Ghezel Hessar. Il giorno dopo 19 detenuti sono stati impiccati nella prigione di Gohardasht e il 15 Aprile i boia ne hanno impiccati altri cinque nella stessa prigione. Tra questi vi era anche Javad Saberi, minorenne all'epoca del suo arresto. In questo stesso periodo è stato impiccato un detenuto il 12 Aprile a Mehriz (nella provincia di Yazd), otto sono stati impiccati il 12 e il 15 Aprile ad Arak, tre il 14 e 15 Aprile a Shiraz, quattro detenuti sono stati impiccati il 13 Aprile ad Esfahan e altri quattro a Zahedan il 18 Aprile. Due di queste esecuzioni, quella di Mehriz e quella di Shiraz, sono state pubbliche. Un gran numero di questi detenuti giustiziati erano ragazzi sotto i 30 anni ed erano tra quelli che avevano partecipato alla protesta contro l'ondata di esecuzioni collettive nella prigione di Ghezel Hessar ad Agosto. Moltissimi sono stati giustiziati perché accusati di traffico di droga, ma secondo le loro famiglie non avevano avuto mai niente a che fare con al droga. I detenuti delle prigioni di Karaj hanno iniziato a protestare il 12 Aprile dopo il trasferimento in isolamento dei loro compagni di cella, in preparazione dell'esecuzione delle loro criminali condanne a morte. I detenuti hanno gridato: "Non ci lasceremo uccidere". Allo stesso modo anche le famiglie dei detenuti in attesa di essere giustiziati, riunite di fronte alle prigioni hanno gridato: "Non ve li lasceremo giustiziare". Sembra che per le prossime settimane il regime teocratico abbia in programma di impiccare 200 detenuti nel braccio della morte delle prigioni di Gohardasht e Ghezel Hessar. Molti familiari di questi detenuti hanno chiesto di potersi recare alle prigioni per incontrare i loro cari per l'ultima volta. Temendo le rivolte dei detenuti, il regime dei mullah ha fatto trasferire quelli in attesa di esecuzione in alcune prigioni delle città vicine, come la più grande prigione di Tehran, in Hassanabad Varamin Road, e la prigione centrale di Qazvin. La Resistenza Iraniana esorta la popolazione, ed in particolare i giovani, a protestare contro queste esecuzioni criminali e ad esprimere la loro vicinanza e la loro solidarietà alle famiglie delle vittime. Sottolinea inoltre che il silenzio e l'inerzia dimostrate dalla comunità internazionale, per il bene dei colloqui sul nucleare, a seguito dell'impennata delle esecuzioni arbitrarie e collettive, non fa che incoraggiare questi assassini ad uccidere ancora il popolo iraniano e a continuare la loro marcia verso l'acquisizione della bomba atomica. Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana Egitto: tribunale condanna a morte 22 membri dei Fratelli Musulmani Nova, 21 aprile 2015 Un tribunale penale del Cairo ha condannato a morte 22 membri dei Fratelli Musulmani accusati dell'attacco contro la stazione di polizia di Kerdasa nel 2013. Il verdetto è stato emesso ieri. Fra i condannati 14 sono al momento detenuti nelle carceri egiziane, mentre otto sono stati condannati in contumacia. Essi sono accusati della morte di un ufficiale di polizia, Mahmoud Ibrahim Abdul Latif. La corte ha inoltre condannato a 10 anni di carcere altri 14 imputati minorenni, per i reati di tentato omicidio, possesso illegale di armi e violenza contro agenti di polizia. Le condanne a morte dovranno essere ratificate dal gran muftì d'Egitto, Shawqy Allam. Libano: irruzione della polizia nel carcere di Roumieh dopo la rivolta di venerdì scorso Nova, 21 aprile 2015 La polizia libanese ha lanciato una operazione "su vasta scala" all'interno della prigione di Roumieh, a est di Beirut, dove venerdì scorso si è scatenata una rivolta durante la quale i detenuti hanno preso in ostaggio per breve tempo 20 guardie carcerarie. Lo ha annunciato il ministro dell'Interno Nouhad Machnouk in un'intervista all'emittente radiofonica "Voce del Libano". L'operazione è stata condotta all'alba da un'unità speciale delle Forze di sicurezza interne nel Blocco D, dove è scoppiata la rivolta della scorsa settimana e dove sono detenuti la maggior parte dei prigionieri islamisti. Secondo Machnouk, la rivolta è stata causata dal sovraffollamento del reparto. "Eventi del genere sono normali quando si trovano 1.100 persone all'interno di un Blocco in grado di ospitare 400 detenuti, cosa che aumenta le possibilità di alleanze tra gruppi terroristici", ha osservato il ministro. Una situazione causata anche dalla chiusura temporanea del Blocco B che, ha annunciato Machnouk, "riaprirà entro 15 giorni". "I prigionieri saranno distribuiti in modo sicuro all'interno del carcere per limitare le comunicazioni tra i gruppi", ha concluso il ministro libanese. Iran: giornalista americano accusato di spionaggio, per il Washington Post è "assurdo" Agi, 21 aprile 2015 Dovrà rispondere di spionaggio Jason Rezaian, corrispondente del Washington Post da Teheran, arrestato l'anno scorso e finora detenuto senza incriminazione. Lo ha riferito il quotidiano americano, citando l'avvocato del giornalista, Leilah Ahsan. Tra le accuse mosse contro di lui, anche "collaborazione con governi ostili" e "propaganda contro le autorità". Per Teheran, Rezaian ha raccolto informazioni "sulla politica interna ed estera" del Paese, dandole a "individui con intenti ostili". Immediata la reazione del caporedattore del Wp, Martin Baron, secondo cui "è assurdo e abietto affermare che il lavoro di Jason sia come free lance che come corrispondente del Post a Teheran fosse spionaggio o rappresentasse una minaccia alla sicurezza dell'Iran". Rezaian, giornalista con la doppia cittadinanza iraniana e americana, era alla guida dell'ufficio di corrispondenza del Wp in Iran dal 2012. Sul suo caso era intervenuto lo stesso presidente Barack Obama, che il mese scorso aveva esortato Teheran a rilasciare immediatamente gli americani detenuti nelle carcere iraniane. Egitto: attesa sentenza su ex presidente Mohamed Morsi, rischia condanna a morte Askanews, 21 aprile 2015 Dopo oltre venti mesi dalla sua destituzione, l'ex presidente islamista dell'Egitto Mohamed Morsi potrebbe essere condannato oggi alla pena di morte, in primo grado, per "istigazione all'omicidio" di manifestanti nel suo Paese nel dicembre del 2012. La sentenza a carico dell'ex capo dello Stato egiziano è infatti attesa in queste ore e, denunciando una giustizia "strumentalizzata" dalle autorità locali, il Movimento dei Fratelli Musulmani ha chiesto a tutti i suoi sostenitori di manifestare senza interruzione a partire da questa mattina. Ieri intanto un tribunale egiziano ha confermato le condanne a morte di ventidue sostenitori dell'ex presidente islamista Mohamed Morsi, giudicati colpevoli dell'attacco di un commissariato nel luglio 2013 durante il quale fu ucciso un poliziotto.