Giustizia: il dito e la luna Alessandro Campi Il Mattino, 1 aprile 2015 Sono davvero tante le cose che colpiscono in quest'ennesimo scandalo politico-affaristico che ha per epicentro Ischia, per posta in gioco giudiziaria la corruzione legata agli appalti per la metanizzazione dell'isola, per protagonisti uomini del Pd e del mondo delle cooperative e che tra le comparse e i personaggi secondari annovera niente meno che Massimo D'Alema. Colpisce in prima battuta il riaffiorare di un nodo che prima o poi la sinistra italiana dovrà decidersi a recidere: quello relativo agli opachi legami, di natura al tempo stesso politici e affaristici, che essa organicamente intrattiene con le imprese cooperative. Se vuole dare corpo ai suoi propositi riformatori anche in materia di lotta alla corruzione e di corretta gestione degli appalti pubblici, Renzi dovrà prima o poi spezzare o impostare su basi nuove il rapporto che il Pd - ricevendone finanziamenti (non sempre leciti e trasparenti) e favorendone le attività imprenditoriali (spesso contro ogni logica di mercato) - intrattiene con le cooperative rosse. Troppi gli scandali per corruzione nei quali sono rimasti coinvolti negli ultimi tempi dirigenti e amministratori di aziende cooperative e uomini di quel partito, dal Mose di Venezia all'Expo di Milano, per pensare che si tratti di episodi isolati. Ma colpiscono anche altri elementi. Ad esempio il modo con cui Massimo D'Alema, rendendola suo malgrado mediaticamente eclatante, è entrato nella vicenda. Non perché in essa direttamente coinvolto dal punto di vista giudiziario, ma perché oggetto di un'intercettazione, puntualmente finita sui giornali, nella quale viene indicato come un politico di quelli abituati a "sporcarsi le mani", nei confronti dei quali chi fa affari col settore pubblico - come appunto la cooperativa Cpl Concordia, accusata di aver corrotto il sindaco di Ischia Giosi Ferrandino - fa dunque bene a mostrare un atteggiamento benevolente. Da qui, a quanto pare, la decisione di acquistare copie dei suoi libri e casse del vino prodotto dall'azienda agricola gestita dalla moglie. Non si tratta ovviamente di una tangente, ma pur sempre di una regalia per nulla disinteressata, che sembra dirla lunga sui legami obliqui tra imprese e politica e sui modi indiretti con cui le prime finanziano, al limite dell'illegalità, la seconda. Irrilevanti sul piano penale, per ammissione dello stesso gip, Amelia Primavera, che ha condotto le indagini e ordinato ben nove arresti tra Campania ed Emilia, le intercettazioni in cui si parla di D'Alema presenterebbero un valore in senso lato politico per il sistema di relazioni - sostanzialmente legale ma obiettivamente immorale - che esse mettono a nudo. Da qui la scelta di renderle pubbliche. Ma come ha spiegato ieri Massimo Adinolfi nel suo editoriale su questo giornale, preoccuparsi non di reati specifici, ma del contesto ambientale nei quali questi ultimi potrebbero essersi realizzati rappresenta una distorsione nel modo di intendere l'esercizio dell'azione penale all'interno di uno Stato di diritto. Una delle facce della crisi della giustizia italiana è che sempre più spesso non si ricercano fatti, prove e circostanze che possano dimostrare l'esistenza di uno specifico reato, si punta piuttosto a fare sociologia della devianza politica, per di più accompagnata da rilievi moralistici o da considerazioni che sconfinano nell'analisi di costume e dalla ricerca del clamore mediatico. Insomma, si punta più che a colpire il cattivo politico, individualmente responsabile degli atti illeciti che commette, a sancire la cattiva politica, intesa come sistema intrinsecamente corrotto, anche quando a quest'ultima non si può addebitare alcuna violazione di legge. Quello che più colpisce in questa vicenda - e in altre simili - è però la difficoltà a trame le giuste conseguenze sul piano politico generale. D'Alema, colpito nel vivo, si è affrettato a dire che il suo caso è diverso da quello del ministro Lupi dal momento che lui, non avendo incarichi politici o di governo, deve essere considerato un "cittadino qualsiasi in pensione": davvero una pessima autodifesa! Vincenzo De Luca, candidato del Pd alla Regione Campania, a sua volta ha alzato la soglia del moralismo e dell'ipocrisia dicendo che "chi sbaglia nel Pd è colpevole non una ma tre volte", dimostrando così un'intransigenza verso gli altri che non ha mai applicato alla sua persona. Ma politici seri e responsabili dovrebbero forse portare la discussione su altri terreni e combattere ben altre battaglie, invece di limitarsi a difendere se stessi e la propria parte politica solo quando ci si scopre vittime di un meccanismo mediatico-giudiziario che quando applicato agli avversari, nel corso degli anni e anche in tempi recenti, non sempre ha suscitato gli stessi moti d'indignazione. Tra queste battaglie, giusto per fare qualche esempio, c'è quella relativa alla regolamentazione del lobbismo. L'Italia è la sola grande democrazia nella quale non si è ancora resa trasparente e pubblica, nonché soggetta a precise regole di condotta e a un sistema sanzionatoria altrettanto preciso, l'attività di rappresentanza e mediazione degli interessi organizzati. Se i rapporti tra aziende e sfera politico-decisionale restano affidati, come oggi accade nel nostro Paese, alla capacità di intrattenere relazioni e contatti del singolo faccendiere, sarà difficile contrastare la corruzione e il malaffare basandosi solo sull'inasprimento delle pene o sull'azione repressiva della magistratura. Ma questa vicenda riporta alla luce anche il tema del finanziamento alla politica e ai partiti. Aver abolito, sull'onda dell'indignazione popolare, quello pubblico-statale per affidarsi all'evanescenza delle erogazioni liberali, peraltro senza stabilire criteri che rendessero i contributi privati, non solo rispondenti alle necessità reali della vita politica democratica, ma anche rigorosamente trasparenti, è un altro fattore che, come dimostrano molti episodi recenti, rischia di favorire l'illegalità o la tendenza a dirottare le risorse pubbliche per i fini particolaristici dei partiti e dei singoli esponenti politici. Senza contare che gran parte del malaffare che pesa sulla vita pubblica italiana non dipende dalla cattiva qualità del suo sistema partitico e della sua classe politica, come spesso si ripete, ma dal fatto che in Italia semplicemente non esistono più né l'uno né l'altra. Sopravvivono solo fazioni e gruppi di potere che, soprattutto sul territorio, usano i partiti e la politica come pretesto per arricchirsi e fare affari. Ma dal momento che, come diceva Mao, gli imbecilli guardano il dito e non la luna, invece di discutere questi problemi (le cause che li hanno determinati e le possibili soluzioni ad essi) ci appaghiamo con l' ennesimo esponente della casta messo alla gogna e con le solite dichiarazioni allarmate e trasudanti sdegno di politici, magistrati e osservatori d'ogni colore politico. Il nostro senso della giustizia si accontenta ormai davvero di poco. Giustizia: in carcere ci sono 226 corruttori e 216 corrotti, meno dello 0,8% dei detenuti di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2015 Non è proprio che le carceri italiane scoppino di detenuti per corruzione e altri reati contro la pubblica amministrazione. I dati più recenti dell'amministrazione penitenziaria fotografano una realtà per certi versi sorprendente, almeno per chi, sulla scia delle continue inchieste di questi anni soprattutto sulle grandi opere pubbliche, individua nella corruzione, insieme con la mafia, la vera emergenza criminale italiana. La gravità del fenomeno infatti non si rispecchia nel numero dei detenuti: per la corruzione "classica", quella propria, le presenze nelle carceri sono in tutto 226. Oltretutto con l'avvertenza che, nel caso in cui a una persona siano ascritti anche altri reati, appartenenti a categorie diverse da quella dei delitti contro la pubblica amministrazione, il conteggio può essere plurimo. Solo leggermente inferiore a quello dei corrotti è il numero dei corruttori che si attesta a quota 216. Al di sotto di queste due categorie, per gli altri reati tipici dei rapporti pubblico-privato, i numeri sono assai inferiori: dopo le 84 detenzioni per turbata libertà degli incanti si va infatti dalle 48 persone in carcere per istigazione alla corruzione alle 44 per peculato, passando per le 33 dell'abuso d'ufficio e le 30 della rivelazione di segreti d'ufficio. Ma un'altra precisazione è d'obbligo, perché, fa sapere il ministero della Giustizia, un certo numero di detenzioni è in realtà possibile solo perché insieme con il reato contro la pubblica amministrazione è contestata anche l'associazione a delinquere, delitto punito con pena da 3 a 7 anni. E su questo punto, tanto più nel momento in cui al Senato si discute una legge che interviene soprattutto sul versante delle sanzioni, va tenuto presente che il nuovo limite, introdotto nel 2013, che rende possibile l'applicazione della custodia cautelare è fissato a 5 anni. Un tetto che, facendo riferimento alla sola ipotesi base non aggravata, rende impossibile la custodia cautelare per reati come l'abuso d'ufficio (4 anni di massima), l'indebita induzione, il traffico d'influenze illecite (reato quest'ultimo introdotto dalla legge Severino e sul quale poche settimane fa la Cassazione ha messo in evidenza l'allentamento delle maglie rispetto al "vecchio" millantato credito). Alzare le sanzioni allora può avere un senso più che in chiave di deterrenza in sé e per sé, nel rendere tuttavia possibile l'applicazione della custodia cautelare anche in casi in cui oggi non è possibile o lo è solo in caso di contestazione di una pluralità di delitti. Insomma, il carcere resta tutto sommato un'ipotesi abbastanza remota, anche per effetto della possibilità, potendo indagati e imputati in genere contare, per questa tipologia di reati, su difese a elevato tasso tecnico, di applicare in maniera accorta i riti alternativi. A partire dal patteggiamento che, di solito, ha come riferimento il minimo della pena e non certo il massimo. Patteggiamento che adesso, il disegno di legge vorrebbe comunque subordinare alla restituzione dei proventi illeciti. Discorso diverso, anche in questo caso numeri alla mano, per quanto riguarda la prescrizione. Qui lo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando, facendo riferimento a dati del 2012, quando peraltro la legge Severino non aveva ancora dispiegato i suoi effetti, ha sottolineato come la prescrizione interessi solo una misura assai ridotta dei reati contro la pubblica amministrazione, non molto oltre il 3 per cento. Tuttavia lo stesso Orlando ha poi riconosciuto alla Camera la necessità di un intervento che riconoscesse la specificità di alcuni di questi reati (corruzione proprie e impropria e corruzione in atti giudiziari) e aumentasse i termini, al di fuori della riforma complessiva che fa leva invece sul congelamento dopo un giudizio di condanna. Giustizia: reati a danno della P.A., chi vuole patteggiare deve restituire il maltolto di Simona D'Alessio Italia Oggi, 1 aprile 2015 Giro di vite per reati di associazione mafiosa (la pena massima arriverà fino a 26 anni di reclusione). E maggiore severità pure nei confronti di chi, sotto processo per illeciti nei confronti della pubblica amministrazione, chiederà di accedere al patteggiamento: sarà concesso, ma soltanto in caso di "restituzione integrale del prezzo, o del profitto del reato" commesso. Il Senato ha approvato nella seduta di ieri pomeriggio una serie di articoli del disegno di legge in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio (19), dando il via libera a una stretta nei confronti di chi fa parte di organizzazioni criminali, così come deciso dalla commissione giustizia: per i componenti di un'associazione mafiosa, infatti, è stabilito il carcere da 10 a 15 anni, invece che da 7 a 12, mentre per coloro, invece, che "promuovono, dirigono, o organizzano l'associazione", recita l'articolo 4 del testo, la pena fissata è da 12 a 18 anni (invece che da 9 a 14). Se, poi, l'organizzazione è armata si applica la pena della reclusione da 12 a 20 anni (e non più da 9 a 15 anni), innalzata per i "boss" da 15 a 26 anni (invece che dagli attuali 12 a 20). Fra gli articoli votati, anche quello che dispone l'obbligo di risarcimento, giacché il condannato per peculato, concussione, corruzione e induzione indebita è tenuto, si legge, al "pagamento di una somma pari all'ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale, o dall'incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio appartiene"; il patteggiamento, inoltre, come già sottolineato, viene consentito all'imputato a condizione che renda quanto tutto quanto ottenuto, ovvero il prezzo o il profitto del reato in maniera "integrale". L'articolo 6 del ddl (che ne comprende complessivamente 11) vincola, poi, il pubblico ministero, quando esercita l'azione penale per i delitti contro la pubblica amministrazione, a informare l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), i cui poteri di vigilanza sugli appalti vengono incrementati (art. 7). L'Aula di palazzo Madama riprenderà l'esame del testo oggi, con dichiarazioni di voto fissate a partire dalle ore 18. Giustizia: "forcaioli troppo forti", al congresso dei penalisti va in scena la resa del Pd di Errico Novi Il Garantista, 1 aprile 2015 Il Pd ammette la propria impotenza sulla giustizia davanti all'opinione pubblica. Tre suoi rappresentanti intervengono al convegno organizzato dall'Unione Camere penali dal titolo "Prescrizione: un nodo da sciogliere": si tratta dei deputati Alfredo Bazoli, Anna Rossomando e David Ermini. Ammettono che i processi non possono essere eterni. Ma anche che c'è una pressione fortissima da parte dell'opinione pubblica, in maggioranza insensibile alle garanzie per l'imputato. E, di fatto, che non è possibile ignorare queste richieste forcaiole. Il presidente dei penalisti Migliucci, il viceministro Costa e il senatore D'Ascola (questi ultimi due dall'Ncd) rivolgono un appello alla misura. Difficile che sia colto. E soprattutto il Pd che i penalisti mettono alla prova. Alla Sala Capranichetta di Roma convocano anche professori universitari in diritto penale, ma la scena è praticamente tutta per gli esponenti politici della maggioranza. A loro il presidente dell'Unione Camere penali Beniamino Migliucci chiede in sostanza se ci sono margini di ripensamento sulla prescrizione. Non a caso il dibattito è intitolato "Prescrizione; reato & processo. Un nodo da sciogliere". Il testo approvato alla Camera è una bomba ancora inesplosa. A cui manca in realtà un innesco, ovvero la legge anticorruzione che forse già oggi l'aula di Palazzo Madama approverà in prima lettura. In questo secondo articolato ci sono, oltre alla stretta sul falso in bilancio, innalzamenti di pena per tutti i reati contro la pubblica amministrazione, Dal momento che la durata della prescrizione si calcola, per ogni singola fattispecie, innanzitutto sulla pena massima, ecco che bisogna combinare gli allungamenti già previsti dalla legge specificamente dedicata all'allungamento dei processi con le novità del ddl anti-corrotti. E ne viene fuori che chi è imputato di corruzione propria, può restare in tale condizione per oltre vent'anni. Com'è possibile che un governo, un ministro della Giustizia, e un Pd che si erano impegnati a tutelare la ragionevole durata si siano lasciati sedurre dal miraggio di compiacere le isterie forcaiole dell'opinione pubblica? Semplicemente casi è successo. Il dibattito alla Sala Capranichetta lo chiarisce bene. Qui di seguito, nelle loro parole, tre autorevoli esponenti renziani impegnati in prima linea sulla giustizia cadono sempre sullo stesso punto: dall'opinione pubblica arrivano precise spinte e non possono essere ignorate, È l'abdicazione esplicita alla vocazione riformista. Che consiste non nell'assecondare gli impeti, ma nel fare le cose giuste anche quando gli elettori sembrano non condividerle, e poi trovare il modo di spiegarle e portare la pubblica opinione dalla propria parte. A intervenire al convegno in rappresentanza del Partito democratico sono tre deputati: Anna Rossomando, Alfredo Bazoli e David Ermini. Quest'ultimo è anche il responsabile Giustizia del partito. Vicino a Renzi, ascoltatissimo dal premier. Ma evidentemente costretto, come i colleghi, ad adeguarsi ai cambi di rotta che Palazzo Chigi impone sia a loro che allo stesso ministro Andrea Orlando, I renziani ammettono che "non si può intaccare la presunzione di non colpevolezza", eppure la legge sulla prescrizione lo fa. Dicono anche che "i processi non possono essere eterni", eppure con questa riforma i processi saranno eterni. Sono insomma testimoni del "vorrei ma non posso". Insieme con loro intervengono due esponenti dell'unica forza davvero compatta nel chiedere di frenare gli eccessi giustizialisti, il Nuovo centrodestra: si tratta del viceministro della Giustizia Enrico Costa e del relatore del ddl anticorruzione al Senato, Nino D'Ascola. Ricordano principi sacrosanti. Che rischiano di essere travolti. Qui di seguito, in successione, alcuni dei passaggi più significativi degli interventi al convegno organizzato dall'Unione Camere penali. Beniamino Migliucci (presidente Ucpi). Tra gli obiettivi dichiarati della riforma ci sarebbe il rispetto effettivo dell'articolo 111, la separazione delle carriere, la terzietà del giudice. Sono obiettivi divenuti marginali. Eppure si tratterebbe dei principi stabiliti dalla Costituzione. Alfredo Bazoli (deputata Pd). C'è di sicuro l'esigenza dell'imputato, che non può trovarsi per un tempo eccessivo sottoposto a una condizione da cui si rischia di uscire molti anni dopo, magari con il riconoscimento che la pretesa punitiva dello Stato non era legittima. C'è ormai un contesto sociale che ha trasformato la presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza. Sembra che l'imputato debba scagionarsi dall'ipotesi dell'accusa. Noi ci troviamo a dover legiferare in questo clima. E l'ipotesi di riforma della prescrizione giunge al termine di un lungo iter e, si ritiene, a torto o a ragione, che si tratti di un compromesso tra le diverse esigenze. L'ipotesi votata consiste nel tentativo di garantire un tempo aggiuntivo con la sospensione della prescrizione se viene confermata l'ipotesi dell'accusa e ci sia un primo riconoscimento di colpevolezza. Credo che questo tema, affrontato da solo, non ci aiuti a ragionare in modo coerente sul processo penale. Abbiamo un governo che cerca di riformare in maniera profonda il sistema del nostro Paese, Lo facciamo su tante questioni. Sul piano giustizia il tentativo è in atto e qualcosa di buono lo stiamo facendo, Ma manca la capacità di sciogliere alcuni nodi, alcune questioni che si sono inabissate. A cominciare dall'obbligatorietà dell'azione penale e dalla terzietà del giudice. Che sono temi senza i quali non riusciamo a dare una sterzata. Su questo manca ancora la capacità di incidere profondamente. Condivido in parte l'accusa fatta alla classe politica di essere un po' schiavi dell'opinione pubblica, che si finisce per rincorrere. È una strana esigenza vendicativa. Cito Mattarella, che ha detto di guardarsi dal penalismo penale, da questa etica della vendetta. Rischiamo di disfare quello che cerchiamo di fare con la depenalizzazione. Enrico Costa (viceministro della Giustizia, Ncd). Il governo aveva predisposto un ddl sul processo penale con un approccio organico a tutta la materia, con l'adeguamento di alcuni meccanismi processuali, le impugnazioni, l'udienza preliminare, la prescrizione dei processi. Si è poi dovuto fare i conti con i calendari del Parlamento e il governo è stato costretto a riadeguare il proprio lavoro, a trasformare in emendamenti ad articolati già in discussione alcune delle proprie proposte, com'è avvenuto per la prescrizione e per il ddl anticorruzione. Adesso siamo al dunque. Se noi parliamo di prescrizione alla Camera e di aumento delle pene al Senato, non possiamo pensare che le due questioni siano sganciate. La prescrizione è un istituto che ha una profonda dignità, forse è impopolare difenderlo. Sicuramente nella discussione della legge relativa a tale materia che ora ci sarà al Senato, si darà molta attenzione alle garanzie per il cittadino. Tutelare le garanzie non significa essere poco rigorosi. Beniamino Migliucci. I magistrati, quando facciamo notare che il 70 per cento delle prescrizioni avviene nella fase delle indagini, quando come dice Valerio Spigarelli "l'avvocato non tocca palla", loro dicono: i reati si scoprono tardi. Ma su questo non ci sono indagini che diano conferme. Mafia Capitale è un esempio positivo; i fatti commessi risalgono a fine 2013 e inizio 2014. Pignatone e i suoi aggiunti hanno agito in modo tempestivo. Nino D'Ascola (senatore Ncd, relatore del ddl anticorruzione al Senato). Il fatto che il reato sia scoperto tardivamente ha a che vedere con il principio della prescrizione, con la temporalità dell'esercizio dell'azione punitiva. Lo Stato dovrebbe punire chiunque e indipendentemente dal tempo? La pubblica opinione si interroga frequentemente sul fatto che la pretesa punitiva dello Stato debba interrompersi: non si ha il coraggio di spiegare all'opinione pubblica che questa pretesa punitiva si deve interrompere persino nei confronti dei soggetti ritenuti colpevoli del reato loro attribuito con sentenza non definitiva. Tacere su questo significa creare il principio della presunzione di colpevolezza. Se noi partiamo da una concezione autoritaria della Stato, quest'ultimo deve avere tutto il tempo che vuole. Se ci poniamo nell'ottica dello stato democratico, dobbiamo tutelare i diritti della persona, e non possiamo che pensare a una temporaneità della pretesa punitiva. Che è anche l'unica via per assicurare la ragionevole durata del processo prevista dalla Costituzione. Anna Rossomando (deputata Pd), La prescrizione non può essere infinita. Il provvedimento è frutto di diverse proposte. Si è dato un aumento specifico per alcuni reati motivando la scelta non in funzione del maggiore sdegno, ma per la difficoltà dell'accertamento. Il punto di equilibrio va mantenuto, se si fa riferimento a dei massimi di pena, come avviene al Senato nel ddl anticorruzione, la durata della prescrizione non può essere ulteriormente dilatata. Si è parlato di presunzione di non colpevolezza: è chiaro che se i tempi del processo sono eccessivi, viene intaccato il principio di non colpevolezza. Questo principio deve essere applicato in tutte le fasi processuali. Ed ecco perché, per esempio, abbiamo fortemente insistito per una riforma dell'istituto della custodia cautelare. Ed è chiaro, che ci aspetteremmo che al Senato la si approvi. Chi è più garantista non è che ha meno a cuore la sicurezza dei cittadini. I quesiti del presidente Migliucci devono trovare una risposta nel provvedimento sul processo penale, che è alla Camera. Io penso che in quel ddl va riaffrontato il tema dei tempi che intercorrono tra la chiusura delle fasi preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio: un tema che incide sui tempi del processo, molte prescrizioni si consumano nella fase delle indagini, e questo tema va ripreso. Penso che il processo debba essere centrato. Nel processo ci sono le garanzie. Tutti dobbiamo avere come obiettivo, non solo far funzionare il processo, ma far accadere li tutte le verifiche del caso. Se noi non difendiamo il processo, finisce che il processo viene fatto altrove. Siamo sensibili alla diffamazione della persona sbattuta sui giornali perché lì si celebra un processo senza garanzia di contradittorio. Ed è quello che bisogna evitare. David Ermini (deputato, responsabile Pd sulla Giustizia). Il 90 per cento dei cittadini italiani ha la percezione che l'Italia sia un Paese corrotto. Se i processi si fanno ma i detenuti per corruzione non ci sono, due sono le cose: o vengono assolti tutti, o i processi non ci sono. Io ho fatto trattative politiche sulla prescrizione. Nel momento in cui si è scelto di aumentare della metà i temimi, anziché raddoppiarlo, non si può dire che il problema è la durata teorica dei 20 anni. Il reato di corruzione ha la peculiarità del fatto che l'evento corruttivo non emerge repentinamente. Il nostro nemico peggiore in questo Paese è il tempo, non possiamo continuare a non fare le riforme, né possiamo farle a pezzetti, non solo per alcuni tipi di reati, per alcune parti processuali, ma deve essere tutto ricondotto a sistema. Non abbiamo solo un problema di diritto alla giurisdizione: la legge Finto ci costa un sacco di soldi. Se li potessimo investire nel personale sarebbe meglio. Però pensate a cosa ci dicono quando proponiamo soluzioni. Se depenalizziamo, siamo complici dei delinquenti. Se introduciamo la tenuità del fatto è lo stesso. Oggi in Italia si va sui giornali, si sparano tre o quattro stupidaggini, e però quelle sciocchezze persuadono un elevatissimo numero di cittadini. Giustizia: il Pd tra inchieste, intercettazioni e faide interne di Daniel Rustici Il Garantista, 1 aprile 2015 Dalle Coop rosse a Mafia capitale passando per commissariamenti e sospensioni, la vita dura dei dem da Milano a Palermo passando per Ischia. "Una vicenda scandalosa. È incredibile diffondere intercettazioni che nulla hanno a che vedere con l'indagine della Procura di Napoli. Lancio un allarme: chi non ha ruoli istituzionali e non ò indiziato di reato non può essere perseguitato in questo modo al solo scopo di ferirne l'onorabilità. Difenderò la mia reputazione in ogni sede, ho già dato mandato agli avvocati". Massimo D'Alema, il nome più pesante citato nelle carte dell'inchiesta ischitana sul presunto giro di tangenti che sta facendo tremare i vertici del Pd campano ma non solo: commentando le indagini degli inquirenti partenopei, ci va giù molto pesante, Nel corso di un'intervista a Repubblica, inoltre, l'ex premier ammonisce: "Non sono indagato. Di cosa devo rispondere? Della mia vita personale? La giustizia ha il compito di individuare i reati, non deve avere come fine lo sputtanamento delle persone". D'Alema, pur non essendo iscritto nel registro dogli indagati, potrebbe tuttavia essere a breve interrogato in qualità di persona informata sui fatti nell'ambito dell'inchiesta sull'appalto per la metanizzazione a Ischia. La testimonianza dell'ex primo ministro potrebbe infatti aiutare a chiarire, secondo i pm, i rapporti che intercorrevano tra la cooperativa Cpl Concordia e gli ambienti politici e della pubblica amministrazione. Nel frattempo, sull'inchiesta che vede coinvolto il sindaco di Ischia è intervenuto anche Matteo Orfini annunciando la sospensione dal partito del sindaco dell'isola campana, arrestato in via cautelare: "Sta alla magistratura", ha spiegato il presidente del Partito Democratico, "fare indagini e individuare le responsabilità, noi sospenderemo il sindaco dal Pd come prevede il nostro statuto". "Non penso", ha poi aggiunto Orfini, "che nel Pd ci sia una questione morale, certo il caso del sindaco di Ischia è grave: ci sono casi che possono accadere e non devono accadere e si pone un problema in più ossia come si argina la corruzione e come un partito si autoriforma per evitare queste infiltrazioni". Quindi ha elencato una serie di misure promosse dal Pd contro la corruzione: "L'autorità anticorruzione guidata da Cantone, l'auto-riciclaggio, il falso in bilancio, un pacchetto di norme contro la corruzione che verrà approvato presto". Infine, una battuta sulle prossime elezioni regionali in Campania in risposta a chi chiede di ritirare il nome di De Luca: "I cittadini della Campania sapevano tutto e hanno scelto De Luca come candidato del centrosinistra. De Luca è il candidato del centrosinistra alla regione Campania". De Luca che, da parte sua, intanto commenta così le vicende che stanno scuotendo il suo partito: "Non credo si tratti di un problema riguardante il Pd campano, piuttosto di un problema della Campania, di questa terra profondamente segnata dalla criminalità organizzata e da un basso livello di spirito pubblico. Chi sbaglia paga e per quanto mi riguarda chi sbaglia nel Pd è colpevole non ima ma tre volte". E in Forza Italia c'è già chi, messo in soffitta lo spirito garantista di solito riservato alle vicende giudizarie che hanno visto coinvolto Berlusconi, ò partito all'attacco dei dem come il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri che tuona: "Ancora uno scandalo che coinvolge il mondo delle coop rosse. Corruzione, malaffare, mondo di mezzo. Dall'inchiesta Penati alla recente Mafia Capitale, dal viadotto in Sicilia all'Expo e ora l'appalto per la metanizzazione di Ischia. Sempre in prima linea le coop rosse. Le loro mani sulle principali opere pubbliche del nostro Paese: non è forse il tempo che sia ipotizzata l'applicazione del 416 bis a questa autentica piovra rossa?". Nel frattempo in Sicilia Marco Zambuto, dopo le pressioni dei vertici Pd locali, ha rassegnato le proprio dimissioni da presidente del Partito Democratico regionale. A essergli contesta è una cena a casa di Berlusconi con il deputato azzurro Gallo Alfitto dove secondo alcuni si sarebbe siglato un accordo che portò poi alla contesta vittoria di Silvio Alessi alle primarie democratiche di Agrigento. Giustizia: caro D'Alema, adesso sai l'effetto che fanno i verbali "depositati in edicola" di Tiziana Maiolo Il Garantista, 1 aprile 2015 "Negli Stati Uniti il magistrato si tiene le intercettazioni ben strette nel proprio cassetto". Così il giornalista Federico Rampini nella trasmissione Piazza pulita, ricorda, dal Paese in cui vive e lavora, l'anomalia italiana paragonata a un sistema, come quello americano, dove in uno spazio dieci volte più grande, il numero complessivo delle intercettazioni è pari alla metà di quelle italiano. E del resto, non occorre andare lontano per avere l'esempio di un magistrato che di recente è stato capace di "tenere ben strette nel proprio cassetto" le intercettazioni che lui stesso aveva disposto. Parliamo del Procuratore aggiungo di Venezia Carlo Nordio, che è riuscito a condurre un'inchiesta colossale come quella sul Mose senza che neppure una riga fosse sfuggita dalle maglie del segreto investigativo, intercettazioni comprese. Il che significa che è possibile evitare lo "sputtanamento", soprattutto di persone non indagate, purché il magistrato, che è il custode naturale della riservatezza delle indagini, lo voglia. E quindi, a contrario, ogni volta che la notizia scappa, significa che il magistrato, prima di tutto (e con lui le forze dell'ordine che dipendono dal Pm) lo ha voluto. Intercettazioni depositate in edicola, si dice, con ammiccamento complice, tra giornalisti. È capitato, buon ultimo, a un esponente del Pd, Massimo D'Alema, non uno qualunque, ma che ha il torto di non essere sull'inginocchiatoio davanti a San Matteo. Sadicamente, e con un po' di malizia, avremmo preferito che la vittima dell'ennesimo circo mediatico-giudiziario fosse un amico del premier Renzi, secondo il detto del "chi la fa l'aspetti". Perché questo problema delle intercettazioni in edicola in genere viene preso a cuore solo da chi lo subisce e dai propri amici. Inoltre gli argomenti usati per lo "sputtanamento", soprattutto del personaggio politico, sono sempre quelli più adatti a suscitare invidia sociale, dal posto di lavoro per il figlio o l'orologio di valore simbolico come il Rolex (se così non fosse non esisterebbero i falsi ), come nel caso di Maurizio Lupi, o le bottiglie di vino pregiato come nel caso di Massimo D'Alema. Lo "sputtanamento" è costruito ad hoc per istigare i cittadini all'odio e all'invidia. Il personaggio individuato serve da cappello su inchieste che spesso non conquisterebbero le prime pagine (con conseguente tam tam televisivo e sui social ) senza "il nome" del politico da rosolare. E qui si apre un problema di politica giudiziaria molto serio. Da un po' di tempo i magistrati delle indagini preliminari hanno introdotto il costume di allegare all'ordinanza di custodia cautelare il testo delle intercettazioni. Il documento complessivo è "a disposizione delle parti", il che non vuol dire che siano atti pubblici. Ma ormai è come se lo fossero, perché magistrati e forze dell'ordine li distribuiscono a piene mani ai giornalisti dietro l'alibi che i responsabili di queste propalazioni potrebbero anche essere gli avvocati. Ma quale difensore avrebbe interesse a rendere pubbliche intere pagine che danneggiano il loro assistito? La risposta è ovvia. Inoltre, in mezzo alle intercettazioni, ne viene allegata abilmente qualcuna che riguarda un uomo politico famoso, che non è indagato, che spesso non è neppure intercettato (come nel caso di D'Alema), ma di cui parlano altri. Che cosa si imputa, con titoloni e strilli, al non indagato che diviene immediatamente un imputato al Tribunale del popolo? Il "comportamento". Il re dei cattivi comportamenti resta sempre Silvio Berlusconi, e giù moralismi a palate. Ma insomma, anche Lupi e D'Alema: era opportuno che... e giù moraleggiando. A nessuno (o quasi) viene in mente di considerare che il magistrato dovrebbe limitarsi, se proprio deve, ad allegare all'ordinanza solo le intercettazioni relative alla commissione di reati, e non ai comportamenti, soprattutto se di persone estranee. E comunque che dovrebbe tenerle ben strette nel proprio cassetto, come Nordio e tutti i magistrati Usa insegnano. Purtroppo queste questioni non riguardano più solo il mondo della politica, come insegna tutto quanto il processo a Massimo Bossetti, che è già diventato il processo della pubblica moralità, di cui sono diventate vittime, oltre all'imputato, tutte le donne della sua famiglia, nella cui vita affettiva e sessuale si fruga con rara morbosità, in modo che tutti noi "spettatori" possiamo sentirci più virtuosi. Il problema delle intercettazioni (una volta erano i verbali d'interrogatorio ) in edicola non ha soluzione, purtroppo. Perché ogni volta che il Parlamento o un Governo cercano di metterci mano, partono sempre con il cercare di erogare sanzioni all'utilizzatore finale, il giornalista, arrivando persino a tentare di punirlo con il carcere. Si sa già come va poi a finire, con i sindacati, gli articoli ventuno, le "se non ora quando", tutti a protestare con il bavaglio sulla bocca e la cosa finisce in niente. Del resto una parte (ma solo una parte) di ragione i giornalisti l'hanno, perché il cane cui viene dato l'osso, come fa a non rosicchiarlo? L'unica punizione che veramente meriterebbero certi giornalisti è di essere intercettati, non solo al telefono, anche in camera da letto o sulla Comasina, che è una strada abitualmente popolata da prostitute. Per il resto, l'unico che dovrebbe essere sanzionato (ma da chi? Dai suoi colleghi?) è il naturale custode della notizia, colui che l'ha prodotta e che dovrebbe tenerla "ben stretta nel proprio cassetto". Ecco perché il problema non ha soluzione, ecco perché è inutile lamentarsi, caro compagno D'Alema. Benvenuto tra noi. Giustizia: così la magistratura ha distrutto la classe politica del Sud di Pietro Mancini Il Garantista, 1 aprile 2015 "Sì, sono Antonio Gava, anzi lo ero". Così, il leader doroteo, figlio di don Silvio Gava, ministro nella Prima Repubblica, e a sua volta titolare, negli anni 80, delle Poste e dell'Interno, rispose ai carabinieri, che erano andati ad arrestarlo, nella sua villa all'Eni. Poi s'impuntò, spiegò di essere stato il numero 1 del Viminale e pretese di essere portato al carcere militare di Forte Boccea. Seguì un processone, per presunta collusione con la camorra, che durò 13 anni e 2 mesi e si concluse, in Appello, con l'assoluzione definitiva dell'imputato. "Se voi giornalisti siete onesti, ogni volta che vi capiterà di farlo, dovrete scriverlo: Gava è stato assolto". Ma 13 anni sono un'epoca, in politica. Così seguì una richiesta di maxi-risarcimento allo Stato, che gli riconobbe solo 38 milioni, sebbene l'ex ministro, scomparso nel 2008, avesse lamentato "danni di immagine, morali e fisici". Sono in pochi, in Campania, a non riconoscere che l'epoca dei Cava e di quelli che vennero definiti i "6 viceré" di Napoli - oltre a don Antonio, i Dc Scotti e Cirino Pomicino, Di Donato (Psi), Galasso (Pri) e De Lorenzo (Pli) - fu caratterizzata anche dal malgoverno, dalle lottizzazioni, in primis della "Balena bianca", come Giampaolo Pansa definì la vecchia e vorace Dc. Ma, di recente, Paolo Mieli, storico ed ex direttore del Corriere della Sera, parlando di Napoli, si è così espresso sui politici degli anni 80 e dei primi anni 90: "Nessuna città italiana ha avuto un personale politico di quello spessore, che fu raso al suolo dalla magistratura". Non si può non riconoscere che, in quella stagione politica, si assisteva al confronto delle idee, al lancio di opere e di progetti per lo sviluppo del Mezzogiorno. E l'opinione pubblica partecipava, con attenzione, non di rado con passione, ai dibattiti e agli scontri tra i leader. Mentre, qualche giorno fa, il sottosegretario emiliano Delrio, renziano della prima ora, a Cosenza, ha arringato folle tutt'altro che oceaniche, bensì solo i quattro gattoni, di cossighiana memoria. E, prima del drammatico, cruciale 1992, che Sky sta rievocando con la serie tv di Stefano Accorsi, i partiti, pur con i loro limiti e difetti, erano scuole di buona politica, di efficiente amministrazione e di partecipazione democratica delle comunità. La classe dirigente meridionale, finita sotto inchiesta, a differenza di quella del Nord, era anche classe dirigente nazionale: ascoltata e credibile a Roma, non solo nelle realtà locali, come, 20 e 30 anni prima, lo erano stati i Misasi, i Cassiani, i Cullo, i Mancini. Travolti dalle inchieste giudiziarie ministri, capi corrente, leader di partito, sul campo non rimase più nessuno. La sinistra fu colta di sorpresa. E si trovò impreparata. In Campania erano tramontati Valenzi, Alinovi e Geremicca, Napolitano s'era ritagliato un ruolo prestigioso, ma appartato, a Roma, e non contrastò l'ascesa del suo antagonista, Bassolino. Bassolino, di Afragola, governò, a lungo, a Napoli e in Campania ma, a differenza dei Gava e dei vecchi "viceré", nelle decisioni, assunte dal vertice nazionale del suo partito, l'ex dirigente del Pci contava poco. Don Antonio rispose con un esasperato senso dell'autonomismo locale e finì per cedere alle lusinghe del partito personale. Dal 1992 Napoli, in realtà, non ha più avuto ne classe dirigente locale né classe dirigente nazionale. Stavano meglio prima ? Nessuno può dire che, dal punto di vista dei risultati concreti, stiano meglio ora. Oggi, a Napoli, alla luce del flop del sindaco, l'aspirante nuovo Masaniello, l'ex toga don Gigino de Magistris, e in altre realtà, si avverte la profonda esigenza di una classe dirigente moderna, che si formi grazie al confronto delle idee e che non venga cooptata dai capi. Forse, a Firenze, Matteo Ronzi non è bone informato, Non devo commettere l'errore di affidare, nelle regioni meridionali, il cambiamento agli eterni Gattopardi, ai figli e ai nipoti dei maggiori responsabili della bancarotta delle banche e degli enti. E il premier non accusi, ancora, donna Laura Boldrini di sconfinare dal suo ruolo istituzionale, dal momento che la Presidente della Camera ha definito il Sud "lo scantinato d'Italia" e ha protestato contro la tendenza, in atto, di scaricare la crisi sul Mezzogiorno e sulle donne. Il Capo del governo narra, direbbe Vendola, un "Paese che riparte". Forse, ma senza il Sud. La questione meridionale è, infatti, uscita dall'agenda dell'esecutivo. E, in grandi città, come Napoli, ostaggio della malavita, e dove persino i carabinieri fanno le rapine, chiedono, disperati, al ministro degli Interni, don Angelino Alfano, siciliano di Agrigento: "Lo Stato c'è ancora?". Giustizia: non punibilità per tenuità del fatto, l'occasione giusta per tagliare i processi di Valerio Spigarelli (Ucpi) Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2015 La legge specifica i requisiti della non punibilità: l'offesa deve essere di particolare tenuità e il comportamento non abituale. L'introduzione della causa di non punibilità per tenuità del fatto è da salutare con favore. Se utilizzata in maniera equilibrata, questa nuova causa di non punibilità offrirà l'opportunità di valorizzare il requisito di extrema ratio della sanzione penale e di alleggerire il peso dei processi che approdano alla fase dibattimentale o a quella della esecuzione. Proprio al fine di arrivare ad una significativa deflazione del carico processuale complessivo, questa innovazione è stata proposta, e fortemente sostenuta, dalla avvocatura penale. La scelta operata dal legislatore muove dalla premessa di una sostanziale distinzione tra l'ipotesi in esame e quella della "inoffensività del fatto", cioè della eventualità che il fatto stesso sia contraddistinto da totale mancanza di attitudine ad offendere il bene tutelato dalla norma penale. Viceversa, nei casi previsti dalla disciplina appena introdotta, il fatto ha un suo rilievo criminoso ma, per la tenuità della offesa ai beni costituzionalmente garantiti dalla norma incriminatrice, viene ritenuto "non punibile in ragione di principi generalissimi di proporzione ed economia processuale", così come sottolineato dalla commissione ministeriale presieduta da Francesco Palazzo che ha lavorato sullo schema di decreto legislativo. La legge specifica in maniera sufficientemente dettagliata i requisiti che debbono ricorrere per l'applicazione della causa di non punibilità, stabilendo che essa "è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo" valutate in base all'articolo 133, primo comma, del Codice penale, "l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale". Un doppio criterio di valutazione che, unito alla limitazione della sua portata applicativa ai reati puniti con pena detentiva non superiore a cinque anni, scongiura i rischi di "depenalizzazione selvaggia" che sono stati denunciati in alcuni commenti. Semmai, in un ottica realmente deflattiva, la pecca è esattamente all'opposto. Introdotta la possibilità di sgravare dal carico penale complessivo i fatti di scarsa rilevanza, sarebbe stato più utile, infatti, estendere la possibilità di applicazione anche a reati di maggior gravità, che ben possono vedere ipotesi attenuate. Ciò vale sicuramente per alcuni reati contro il patrimonio, così come per taluni reati contro la pubblica amministrazione che rimangono esclusi dall'ambito di operatività della norma; rilievo che risulta ancor più evidente nella attuale congiuntura politica che vede una tendenza all'aggravamento delle pene, sia nei minimi che nei massimi edittali, per reati del più diverso tipo. Il fatto è che l'iter legislativo è stato, da ultimo, influenzato dalla ventata di populismo penale che si sta abbattendo sulle istituzioni parlamentari a seguito di alcuni fatti di cronaca giudiziaria. Ciò ha prodotto, ad esempio, l'inserimento nella normativa in esame di una puntualizzazione superflua per alcuni aspetti, ovvero illogica per altri, laddove si è specificato che rimane escluso dal concetto di tenuità "l'aver agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà anche in danno di animali", ovvero approfittando "delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato la morte o le lesioni gravissime di una persona". Previsioni che, in taluni casi, erano già implicitamente ricomprese nella concetto di tenuità, ed in altri, come i fatti riguardanti gli animali, appaiono del tutto irragionevoli. Tolti questi ultimi aspetti, in ogni caso, le norme appaiono equilibrate dal punto di vista procedurale anche se, per ciò che concerne l'eventuale opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pm per tenuità del fatto nel corso delle indagini preliminari, la soluzione proposta dalla commissione ministeriale, risultava di maggior garanzia rispetto a quella accolta nella versione finale dubbia pare anche l'efficacia di giudicato in base all'articolo 651 del Codice di procedura penale. Giustizia: Magistratura indipendente affila le armi "Anm debole" di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 1 aprile 2015 In vista dell'Assemblea straordinaria generale dell'Associazione nazionale magistrati convocata per il prossimo 19 aprile, le correnti delle toghe affilano le lame e si preparano alla resa dei conti. Complice, come si legge in comunicato di Magistratura Indipendente, "l'atteggiamento timido e inadeguato dell'Anni sui recenti interventi normativi in tema di ferie e di responsabilità civile". Come si ricorderà, fu proprio Magistratura Indipendente a farsi promotrice nelle scorse settimane della raccolta firme necessarie per la convocazione dell'Assemblea generale dell'Anni. Al termine della quale, nelle intenzioni, dovrebbe essere approvato un pacchetto di iniziative "più adeguate ad esprimere il diffuso malcontento rispetto agli ultimi interventi normativi e per formulare alcune proposte concrete per superare il grave disagio vissuto quotidianamente nell'espletamento dell'attività professionale". 1.447 i magistrati che hanno risposto all'appello. Segno, da un lato, di un consenso "trasversale" (gli iscritti ad Mi sono 714) sulle tematiche propriamente "sindacali", dall'altro, che i mali della giustizia non si risolvono rendendo i processi eterni, vedasi l'incivile e populista riforma sulla prescrizione, ma cercando condizioni di lavoro più dignitose. Il Cahier de doléances di Mi, affisso nelle bacheche degli uffici giudiziari d'Italia, ha un nome evocativo: Tazebao, come i manifesti murari in uso in Cina ai tempi della Rivoluzione culturale di Mao. A smentire coloro i quali vedono il gruppo di Mi composto di magistrati "moderati" e filo governativi, considerata la presenta del loro esponente di punta, Cosimo Maria Ferri, nell'esecutivo Renzi. Al primo posto la questione della copertura assicurativa. Nervo scoperto alla luce della riforma della responsabilità civile. Uno dei problemi segnalati è, infatti, la libera facoltà di recesso dell'assicuratore. Fatto che esporrebbe il magistrato, in caso di plurimi sinistri, al rischio di assenza di tutela. Poi il tema dei carichi esigibili: cioè il numero massimo e adeguato di procedimenti, provvedimenti e udienze che, per le diverse funzioni giudiziarie, può essere richiesto al magistrato a cui si deve consentire lo studio, la preparazione, il serio esercizio della propria attività. Non più un semplice cottimista delle sentenze. In particolare, il carico esigibile e lo standard di rendimento-produttività dovranno coincidere e rappresentare il limite oltre il quale non si può chiedere di andare. Il numero massimo di sentenze e fascicoli per anno dovrà essere chiaro e conosciuto da subito dal magistrato. Quindi il tema ferie. Oltre che coltivare la strada giurisdizionale dei ricorsi, esclusa recentemente dal Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura che ha avallato obtorto collo il taglio delle ferie a 30 giorni voluto da Renzi, si chiede che non vengano fissate udienze nei 10/15 giorni antecedenti e successivi al periodo di sospensione feriale dei termini. Per garantire così periodi di concreta fruizione da parte dei magistrati di ferie per un numero di giorni maggiore di 10/15 consecutivi. Riconoscendo espressamente la facoltà per il magistrato di godere delle proprie ferie in qualsiasi periodo dell'anno. Infine la richiesta di misure di defiscalizzazione che consentano ai magistrati di provvedere rapidamente e in autonomia al reperimento delle ulteriori dotazioni, anche tecnico-informatiche, utili allo svolgimento del proprio lavoro, senza dover sottostare a macchinose procedure centralizzate. Argomento di grande attualità vista la farraginosità complessiva del sistema. Dove anche l'acquisto di una matita (e come debba essere utilizzata) è un problema. Recentemente, tanto per fare un esempio, la Procura della Repubblica di Nocera Inferiore ha formulato un quesito alla Procura generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Salerno per sapere se fosse di competenza del personale ausiliario la sostituzione dei toner nelle fotocopiatrici in uso agli uffici. La Segreteria amministrativa e Affari generali della Procura salernitana, dopo aver risposto positivamente, ha pure inviato la nota al ministero della Giustizia affinché confermasse la correttezza della decisione. In tale ottica, pertanto, la necessità di defiscalizzazione degli acquisti di materiale giuridico (codici, riviste, libri) e informatico (pc, monitor, software, hardware complementare) effettuati da parte del magistrato. La raccolta delle deleghe è iniziata. L'appuntamento è alle ore 11 del 19 aprile presso l'aula magna della Corte di Cassazione. Giustizia: Garante della privacy, la cronaca vince sul diritto all'oblio di Antonello Cherchi Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2015 Il diritto all'oblio imposto a Google dalla Corte di giustizia europea nel maggio dello scorso anno (sentenza C 131/12) prende forma. La società californiana ha spiegato che da quel momento in poi le richieste di "sparire" dalla Rete sono diventate sempre più numerose e ha approntato una procedura ad hoc. In questi mesi si è delineata una casistica che si va perfezionando anche grazie agli interventi dei Garanti della privacy. Come quello effettuato di recente dall'Autorità nostrana dietro ricorso di un cittadino che ha chiesto a Google di rimuovere una notizia, pubblicata su un quotidiano locale, relativa a una vicenda giudiziaria in cui il ricorrente era rimasto coinvolto, ma in una posizione - ha sostenuto l'interessato - di assoluta marginalità. Da qui il ricorso al Garante perché intervenisse su Google imponendogli di applicare il diritto all'oblio anche in questo caso. Nel dettaglio, si chiedeva di deindicizzare la ricerca, ovvero di evitare che, digitando determinate parole chiave, la Rete restituisse una serie di risultati in cui il nome del ricorrente risultava associato in maniera fuorviante alla vicenda giudiziaria. In alternativa, si pretendeva che Google intervenisse sui cosiddetti snippet, ovvero sui "riassunti" di poche righe che appaiono sotto i risultati di una ricerca, a corredo dei link. Si tratta di sintesi automatiche generate dal motore di ricerca. Nel caso in questione finivano sempre per contenere - a detta del ricorrente - il suo nome insieme ai reati più gravi relativi alla vicenda in cui risultava coinvolto, dando un'immagine distorta di quanto poi si raccontava nell'articolo. Si è trattato della prima volta che la richiesta di diritto all'oblio ha coinvolto gli snippet. La risposta del Garante è stata duplice. Niente da fare per quanto riguarda la richiesta di deindicizzare la ricerca: in questo caso il diritto all'informazione prevale su quello all'oblio, considerato che il resoconto giornalistico è recente e le notizie riportate corrette. Per quanto, invece, riguarda gli snippet, l'intervento del Garante non è stato necessario, perché Google ha accolto la richiesta del ricorrente e ha fatto in modo che la sintesi sotto il link dell'articolo giornalistico non appaia fuorviante rispetto ai contenuti del pezzo. Sempre in tema di internet, va ricordato che oggi scattano le regole dettate dal Garante nel maggio scorso per chi acquista prodotti e servizi digitali pagando attraverso smartphone, tablet e Pc. Chi, per esempio, compra video, giochi, e-book o si abbona a un giornale online e ricorre al mobile payment, deve essere informato - da parte delle compagnie che forniscono il servizio di pagamento attraverso il cellulare, le società che assicurano la piattaforma tecnologica e le aziende che offrono contenuti e servizi digitali, nonché da tutti gli altri attori coinvolti nella transazione - del modo in cui vengono utilizzati i dati personali necessari per il pagamento. Di solito si tratta del numero di telefono dell'acquirente, dei suoi dati anagrafici e delle altre notizie "informatiche" necessarie per portare a buon fine il pagamento elettronico. Il Garante ha imposto che quei dati possano essere conservati per un massimo di sei mesi e siano utilizzati esclusivamente per il servizio di mobile payment. Dunque, niente uso delle informazioni per l'invio di messaggi pubblicitari o per profilare i gusti e comportamenti dell'utente. Regole che sarebbero dovute diventare operative a metà dicembre, ma che una proroga del Garante ha spostato a domani. Giustizia: gli Ospedali psichiatrici chiudono, i nodi da sciogliere per la partenza dei Rems di Roberta Giuliani Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2015 Da oggi non si parlerà più di ospedali psichiatrici giudiziari e i 700 internati prenderanno strade diverse: saranno dimessi oppure ospitati nelle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) o ancora trasferiti temporaneamente in strutture transitorie. Nessuna proroga dunque per la chiusura degli Opg: dopo tre slittamenti dalla prima data prevista dal Dl 211/2011 per 1° febbraio 2013, è scaduto ieri l'ultimo termine fissato dal Dl 52/2014. Ma nonostante i rinvii non tutte le Regioni sono pronte ad accogliere i detenuti: gli Enti che possono contare già dal 1° aprile su residenze funzionanti sono Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna e Provincia Autonoma di Bolzano. Per il Veneto, unica Regione in ritardo, come si legge nel comunicato del ministero della Giustizia, si prospetta invece l'istituto del commissariamento. "Nel caso della Regione Veneto, che in mancanza di strutture individuate non risulta in condizione di prestare l'assistenza alle persone sottoposte a misure di sicurezza detentiva, sarà necessario procedere alla nomina di un Commissario straordinario (L. 30 maggio 2014, art. 1 co. 2) perché provveda in via sostitutiva a dare attuazione a quanto richiesto dalla legge". Sempre secondo il comunicato, altre Regioni "completeranno tale percorso nelle prossime settimane: si tratta del Friuli Venezia Giulia, della Puglia, della Provincia autonoma di Trento e del Piemonte". Il Piemonte, pur avendo individuato soluzioni, non ha fornito i relativi atti deliberativi e ha previsto termini lunghi (il primo settembre 2015) per il via libera alla struttura. Gli altri Enti non ancora pronti hanno tuttavia individuato i tempi di effettiva attivazione, in relazione a lavori e procedure da ultimare: le aperture variano da pochi giorni come il Friuli Venezia Giulia (4 maggio) e la Puglia (30 maggio), ai 120 giorni della Calabria necessari per attivare una struttura transitoria. La Provincia autonoma di Trento conta di essere pronta il prossimo primo luglio. Il trasferimento degli internati dagli Opg alle strutture alternative individuate non sarà tuttavia un'operazione di massa, ma un percorso che richiede l'adozione di provvedimenti sia giudiziari sia sanitari per ciascuno dei ricoverati nelle strutture. "Sarà il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in collaborazione con l'Autorità giudiziaria, con le Regioni e con le Province autonome, a provvedere - si legge nel comunicato del ministero della Giustizia - ai trasferimenti presso le Rems dei soggetti destinatari delle misure di sicurezza". Tale percorso presumibilmente impegnerà un arco di tempo di alcune settimane. Per una parte delle 700 persone internate negli Opg sarà possibile la dimissione, mentre gli altri saranno ospitati nelle Rems. "A stabilire se un soggetto può essere dimesso - spiega Roberto Piscitello, responsabile della Direzione generale detenuti e trattamento del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria - è la magistratura di sorveglianza sulla base di una valutazione della pericolosità sociale e dei trattamenti seguiti: entro il primo aprile si stima che questa quota sarà tra il 5 e il 10% del totale". Il comunicato di Via Arenula auspica che "la prosecuzione della positiva esperienza dell'Organismo di coordinamento del ministero della Salute possa essere sostenuta dalla istituzione in ambito regionale di analoghi meccanismi di raccordo delle competenze coinvolte e della cooperazione istituzionale, anche sollecitando il contributo delle competenti Autorità giudiziarie". L'organismo di coordinamento ha presentato il 13 febbraio 2015 al Parlamento la II relazione trimestrale sul superamento degli Opg evidenziando alcuni nodi cruciali. Una soluzione è stata quella di individuare strutture residenziali transitorie per rispettare le scadenze e assicurare i necessari interventi ma anche per garantire il trasferimento degli internati destinatari di una misura di sicurezza detentiva e socialmente pericolosi. Alcuni Enti territoriali hanno invece aperto le Rems prima della scadenza. Se la residenza di S. Isidoro nella Provincia di Bolzano è attiva già dal 1° gennaio 2014, sono sette sono le strutture toscane che hanno avviato un percorso alternativo. Il superamento dell'Opg di Montelupo è stato infatti uno degli obiettivi prioritari della Regione Toscana che in questi anni e con varie delibere ha posto particolare attenzione alle problematiche degli internati e detenuti: sono stati individuati tra l'altro percorsi socio-assistenziali e di cura da realizzarsi nell'ambito territoriale che hanno prodotto 65 programmi di dimissione dall'Opg per favorire il rientro degli internati toscani nel territorio di provenienza. Molte Regioni invece hanno inaugurato le proprie residenze sul filo di lana. Tra il 30 marzo e il 1° aprile è stata annunciata l'apertura della Rems di Castiglione delle Stiviere di Valle d'Aosta e Lombardia che sarà l'unico dei sei attuali Opg a trasformarsi in residenza con una dotazione di 160 posti. Il Lazio invece ha avviato le residenze afferenti alla Asl RmG, a Subiaco e a Palombara Sabina ma anche altre due residenze in provincia di Frosinone: una a Ceccano e l'altra a Pontecorvo che tra l'altro è stata inaugurata il 31 marzo dal ministro della Giustizia Andrea Orlando insieme al Presidente della regione Nicola Zingaretti. Anche in Basilicata il 30 marzo ha aperto i battenti nella frazione di Tinchi (Comune di Pisticci) una Rems con 10 posti letto. Se in Sicilia sono pronte a partire due residenze una a Caltagirone (Ct) e l'altra a Naso (Me), in Campania è stata annunciata l'apertura di tre delle cinque previste. Il taglio del nastro delle altre due slitterà invece di qualche mese. La Sardegna aprirà in via temporanea una parte della residenza di Capoterra in provincia di Cagliari. A queste strutture dovrebbe aggiungersi l'apertura temporanea per Abruzzo e Molise della Rems di Guardiagrele (Chieti) frenata solo da un giudizio amministrativo pendente che potrebbe risolversi, almeno in fase cautelare al Tar, già prima dell'inizio di aprile. Giustizia: chiudono gli Opg, 700 malati psichici in attesa di destinazione di Antonio Castaldo e Andrea Pasqualetto Corriere della Sera, 1 aprile 2015 I ritardi nella chiusura dei sei ospedali giudiziari (Opg). Commissariato il Veneto e polemiche sulla sicurezza. C'è chi se ne andrà a breve, chi fra qualche mese, chi mai. Pochi, pochissimi, appena sei, hanno fatto le valigie ieri, come previsto dalla legge sulla chiusura dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, i famigerati Opg: Montelupo Fiorentino, Aversa (Caserta), Napoli, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere (Mantova) e Barcellona di Pozzo di Gotto (Messina). La scadenza del 31 marzo 2015, già slittata tre volte, è stata rispettata solo parzialmente. Da oggi gli ex manicomi giudiziari non accetteranno nuovi ingressi. Ma alcune Regioni sono in ritardo con le nuove strutture che dovrebbero sostituirli. "Ci sono centinaia di malati psichici che non possono ancora essere trasferiti perché non si sa ancora dove mandarli... sono un po' sfiduciato", ha allargato le braccia Santi Consolo, capo del Dipartimento della polizia penitenziaria. Nessuno stravolgimento, dunque, ma una lenta rivoluzione. Nei prossimi mesi, gli internati torneranno nelle Regioni da cui provengono, presi in carico dalle Asl. Dovrebbero andare nelle Rems, cioè le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, luoghi meno afflittivi degli ospedali giudiziari. Ma ci vorranno dei mesi. "Qualcuno ha davvero pensato di trasferire centinaia di persone dalla sera alla mattina, come fossero pacchi?", argomenta Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute che ha curato il dossier per il governo. Nel gennaio 2014 gli internati erano 880. Nel 2009 oltre duemila. Ad oggi sono meno di 700. "Si chiude una pagina complicata e triste per il nostro Paese. Le altre sono polemiche inutili", sottolinea De Filippo. Nelle Rems non c'è polizia, ma medici e infermieri. Addio celle sovrappopolate e luride, ogni residenza avrà 20 pazienti. "Si tratta di un progresso innegabile", sottolinea il magistrato Paola Di Nicola. "Il problema è che diverse Regioni non hanno neppure programmato i lavori necessari. Dove metteremo nel frattempo i soggetti pericolosi? Chi ha pensato alle loro vittime?", conclude Di Nicola. In assenza di strutture "definitive" molti malati saranno dirottati verso sedi provvisorie. I dimissibili, circa 200, potranno invece accedere a percorsi terapeutici alternativi. Il Veneto è un caso estremo, per il quale il ministero della Giustizia ha deciso il commissariamento. Una scelta che ha provocato la reazione del governatore Zaia: "Difendiamo la dignità dei malati e la sicurezza dei territori dall'ennesima vergogna perpetrata da un governo che scarica qua e là malati di mente pericolosi". Pronta la risposta del ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non speculate su questo tema perché è facile dire che si liberano persone pericolose, ma tutto questo non è vero. Passiamo dall'internamento alla cura. Non è poco". Giustizia: i direttori "impossibile chiudere, non sappiamo dove mandare gli internati" di Paolo Russo La Stampa, 1 aprile 2015 La chiusura degli Opg era stata fissata per ieri. Secondo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, "quasi tutte le Regioni sono pronte". Quasi tutte le Regioni sono pronte" ad accogliere nelle strutture alternative i circa 700 internati negli ex manicomi criminali, assicura in una nota il Ministero della Giustizia. Ma oggi, come abbiamo potuto accertare contattandoli uno ad uno, nessuno dei sei Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari della vergogna, chiuderà i battenti come previsto per legge. Salvo uno, quello di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Ma qui tutto si risolverà in un cambio di targa all'ingresso, con quella di Opg che lascerà il posto alla più rassicurante sigla Rems, le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza, massimo 20 letti, sorvegliate, in larga parte d'Italia non ancora attive. O non in numero tale da accogliere tutti. Un caso lo illustra Nunziante Rosania, direttore dell'Opg Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). "Per ora non chiudiamo perché non sapremmo dove mandare gli internati pugliesi, calabresi e lucani che non hanno strutture pronte nelle loro regioni". "I 68 siciliani verranno in parte dimessi e presi in carico dai nostri dipartimenti di salute mentale, mentre una metà di loro andrà nelle due Rems di Naso e Caltagirone". Il problema è che le due strutture non saranno in grado di accogliere anche chi commetterà nuovi reati e verrà giudicato incapace di intendere e di volere dal giudice. "Di sicuro non potranno rientrare in Opg e io non posso mettermeli in tasca", commenta sconsolato. In Emilia alle Rems hanno pensato per tempo, attivando due strutture a Bologna e Parma. "Ma anche qui nell'Opg di Reggio -spiega il direttore Paolo Madonna - resteranno i detenuti di altre regioni, soprattutto veneti, privi di residenze"". Il Veneto è stato infatti commissariato "e altre regioni inadempienti lo saranno", preannuncia il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, che in cima alla lista avrebbe il Piemonte e la Calabria. Le Regioni in ritardo con l'apertura delle Rems, secondo "Stop-Opg", sarebbero solo Friuli, Puglia e Trento, oltre alle due maglie nere individuate dalla Lorenzin. Un quadro tutto sommato rassicurante, che non coincide però con quello fornitoci dai direttori degli Opg. E nemmeno con le parole di uno "sfiduciato" capo del dipartimento della polizia penitenziaria, Santi Consolo. "Siamo disponibili a trasferire con la dovuta gradualità gli internati presso le Rems, che però - precisa - devono confermare le disponibilità reali e finora tutte queste conferme non arrivano". "È ingiusto e crudele accanirsi contro chi ha già sofferto tanto", dichiara nel frattempo il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Ricordando che "a decidere la detenzione è un'apposita commissione medica e soprattutto un giudice", che indirizzeranno chi è incapace di intendere e di volere "in strutture che servono a ridare dignità a chi è stato detenuto in posti indegni di un essere umano". Il problema è appunto capire cosa accadrà se le Rems faranno registrare il "tutto esaurito". Intanto il governatore veneto, Luca Zaia, difende la sua scelta, parlando "di vergogna del governo che scarica qua e là malati di mente pericolosi per se e gli altri". Una pericolosità che in verità sarebbe esclusa dalla sorveglianza nelle Rems, che il Veneto non ha preso nemmeno in considerazione. C'è però quel codicillo della legge sulla chiusura degli Opg, che prevede la custodia solo entro il limite delle pena edittale, che sarebbe stata assegnata all'imputato se questo fosse stato capace di intendere e di volere. "Abbiamo parecchi soggetti pericolosi con gravi disturbi della personalità", dichiara il direttore dell'Opg di Barcellona. "Circa il 70% dei nostri ha alle spalle un omicidio", gli fa eco il collega di Reggio Emilia. Chi si curerà di loro finiti i termini di custodia è un'altra "dimenticanza" che farà discutere. Giustizia: Consolo (Dap); non arrivano conferme su disponibilità reali nelle Rems Askanews, 1 aprile 2015 "Dovremmo trasferire alcune centinaia di persone presso le Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza, sono in continuo contatto con la direzione generale detenuti e trattamenti ma tutte queste richieste da parte delle Rems non arrivano. Quindi sono un po' sfiduciato. Ho sollecitato la direzione a chiedere a tutte le Rems se sono effettivamente disponibili a ricevere gli internati. Al 25 marzo gli internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari erano 698 ci aggiriamo su quella cifra. Noi siamo disponibili a chiudere tutti gli Opg quanto prima, abbiamo fatto riunioni per dovere con la dovuta gradualità che attiene al rispetto degli internati trasferirli presso le Rems, ma queste strutture devono confermare tale disponibilità reali". Così il capo del Dap Santi Consolo a margine dell'inaugurazione del Rems di Pontecorvo. "Come dipartimento abbiamo avuto la doverosa attenzione verso i disabili mentali, io spero che venga documentata la situazione attuale degli Opg per come, come è stata migliorata dall'amministrazione penitenziaria. Spero anche che si dia il giusto riconoscimento a tutto il personale degli Opg e alla polizia penitenziaria che si è molto sacrificata in un lavoro anche rischioso con senso di umanità e solidale assistenza. Scandalizzarsi è facile, operare no". Sappe: Opg riconvertiti in Case di reclusione a custodia attenuata "Saranno riconvertite in carceri a custodia attenuata e case di reclusione le strutture che erano adibite ad Ospedali psichiatrici giudiziari". Così in una nota Donato Capece, segretario generale Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. Il Sappe sottolinea "che un riutilizzo in tal senso delle strutture è certamente positivo, anche nella previsione di una territorialità della pena". Sulla chiusura degli Opg, Capece afferma: "Quel che serve ora sono strutture di reclusione con una progettualità tale da garantire l'assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari, hanno risentito nel tempo dei molti tagli ai loro bilanci. Ma colpevole è anche una diffusa e radicata indifferenza della politica verso questa grave specificità penitenziaria, confermata dall'incapacità di superare davvero gli Opg". "Se i politici - prosegue - a tutti i livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnavano puntualmente anatemi e demagogie quanto estemporanee soluzioni, si fossero fatti carico del loro ruolo istituzionale, avrebbero per tempo messo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, poiché le condizioni disumane in cui hanno versato gli Opg sono il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, ma soprattutto dei vertici dell'amministrazione penitenziaria". Capece, evidenzia infine "la professionalità, la competenza e l'umanità che per anni ha contraddistinto l'operato di centinaia di donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, con tutti gli internati e i detenuti, per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative, gravi carenze di organico di poliziotti e strutture spesso inadeguate. Ai poliziotti penitenziari va il ringraziamento per quello che hanno fatto con grande professionalità, nel silenzio, negli Opg". Giustizia: chiudono gli Opg, ma è allarme per i pazienti… mancano i medici per seguirli di Monica Serra Il Giornale, 1 aprile 2015 "Non sono ancora arrivati i soldi per le equipe mediche che dovranno seguire i numerosi pazienti dimessi dagli Opg", denuncia il professore Sacchetti, presidente della Società italiana di psichiatria. Si è detto addio agli Ospedali psichiatrici giudiziari, almeno formalmente. "Una riforma necessaria", secondo chi negli Opg ci lavora e sa che, sotto questo nome, spesso si celano veri e propri lager, in cui sono di fatto rinchiusi i pazienti. Ma le regioni sono davvero pronte ad attuare la riforma? Lo abbiamo chiesto al professore Emilio Sacchetti che, pur essendo presidente della Sip (Società italiana di psichiatria), ad oggi non ha ancora i numeri relativi a ciò che accade sul territorio nazionale, perché "ci sono dipartimenti che neanche rispondono, e questo fa capire - commenta amaro il presidente- quanto siano sensibili all'argomento". Ha potuto parlarci solo del suo dipartimento, che comprende la provincia di Brescia, il lago di Garda e il lago di Iseo. E che, tra quelli italiani, numeri alla mano, è un dipartimento esemplare, dotato di numerose strutture che tanti altri "si sognano". "Quello che più manca in Lombardia - ha dichiarato - sono i soldi per l'equipe medica necessaria a seguire i numerosi pazienti dimessi negli ultimi mesi", in linea con la riforma. Per capire il significato di queste parole dobbiamo andare con ordine. La legge 81 del 2014 prevede la chiusura degli Opg, che saranno sostituiti dalle Rems, le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, delle microstrutture in cui verranno inseriti solo gli infermi di mente, ritenuti socialmente pericolosi. Si parla di 450 pazienti su 700 attualmente in cura. Tutti gli altri ex pazienti degli Opg, che hanno in passato commesso qualche reato a causa della loro infermità, ma che "sono guariti", sottolinea il professore, in questi mesi sono stati dimessi (e ne saranno dimessi ancora molti altri). Ecco, tutti questi pazienti torneranno a casa, si potranno muovere in assoluta libertà, ma "resteranno a carico dei servizi territoriali dovranno essere seguiti all'esterno da medici specializzati, dalle equipe psichiatriche degli ospedali che curano anche gli altri cittadini residenti nella stessa area", sottolinea il professore. Per far fronte a questa esigenza è necessario rafforzare le equipe mediche presenti, che devono rispondere alla "necessità di controlli quotidiani per questi pazienti. Per alcuni di loro sono necessari più controlli nel corso delle 24 ore. Per questo il problema diventa avere il personale necessario - evidenzia il presidente Sacchetti - ed è indispensabile. Qui (in Lombardia, ndr) le strutture ci sono e funzionano abbastanza bene rispetto ad altre realtà di Italia ma, solo per il mio dipartimento, servono almeno altri 8 medici e qualche infermiere". Se in un dipartimento "che brilla" sul territorio nazionale sono necessari 8 medici, quanti ne serviranno negli altri? Ad oggi non è dato saperlo. Ma una stima, per difetto, ci fa ipotizzare qualche centinaio. E i soldi per pagarli? In Lombardia non sono ancora arrivati. "In questi giorni abbiamo dimesso un paio di pazienti che in passato hanno ucciso un parente, e che sono rimasti nell'opg di Castiglione delle Stiviere, nel Mantovano, per 15, 20 anni, e che ora sono stati ritenuti pronti a ritornare nella comunità. È altamente improbabile che loro tornino a delinquere. Poi la certezza in psichiatria non esiste. E va detto pure che è necessario che vengano seguiti dal personale specializzato ora che sono tornati a casa". Ma a questo problema, sul territorio nazionale, si aggiunge quello legato alla carenza delle strutture: "Il problema è che l'assistenza sanitaria in Italia si dipana a macchia di leopardo. Ci sono zone in cui è garantita in modo accettabile - conclude il professore- e zone in cui è inesistente, a causa di una assoluta insensibilità dei politici regionali. Sicuramente dal Lazio in giù, la situazione è decisamente peggiore, pur con qualche regione che "si salva". Lettere: chiudono gli Opg, le più violente ed insensate istituzioni totali del nostro Paese di Stefano Cecconi, Giovanna Del Giudice, Patrizio Gonnella, don Armando Zappolini (Comitato Stop Opg) Ristretti Orizzonti, 1 aprile 2015 Nessuna proroga è stata concessa alla data di scadenza per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. È un risultato positivo, dovuto alla grande mobilitazione del Comitato Stop Opg. Per questo un grazie particolare va a quanti - e sono tanti - hanno partecipato alla "staffetta del digiuno: per chiudere gli Opg senza proroghe e senza trucchi". Ma decisivo è stato anche l'atteggiamento del Governo che ha respinto le richieste di proroga, in particolare per l'impegno del sottosegretario De Filippo, e l'esistenza della Legge 81, approvata in Parlamento a fine maggio 2014, con il ruolo trainante della Commissione Sanità del Senato. Il 31 marzo 2015 è una tappa fondamentale nella strada dell'affermazione dei diritti e cittadinanza di uomini e di donne finora esclusi. Ma non ci si deve fermare alla chiusura degli istituti e si deve continuare nel percorso di contrasto alle Rems. Dopo questa data si apre una fase carica di speranze ma anche di preoccupazioni e di rischi. Intanto vanno commissariate subito le regioni che non si sono fatte carico delle persone internate dei loro territori. Va intensificato e completato con le dovute attenzioni per ogni paziente, il trasferimento di oltre 700 persone nei servizi esterni agli Opg, organizzare le dimissioni e privilegiare le misure alternative alla detenzione per evitare nuovi ingressi. Si potrà così rendere sempre più residuale la risposta di internamento nelle Rems. Questa fase "transitoria" va utilizzata per ridurre drasticamente il numero di queste Residenze, sanitarie ma pur sempre inequivocabilmente detentive, indirizzando risorse e personale verso i Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm) e i servizi socio sanitari nel territorio. Anche per evitare categoricamente che gli operatori dei servizi svolgano funzioni di custodia come al tempo dei manicomi. Purtroppo rimane ancora aperto l'ultimo ospedale psichiatrico, quello di Castiglione delle Stiviere: chiuderlo resta obiettivo necessario per evitare si riaffermi una logica neo-manicomiale. Tutto ciò presuppone l'applicazione corretta della legge 81/2014, che ha spostato il baricentro degli interventi per il superamento degli Opg dalle strutture ai percorsi di cura e inclusione sociale per ogni persona. Così come bisogna applicare il recente Accordo della Conferenza Unificata (Stato/Regioni/Comuni) che prevede protocolli di collaborazione tra Magistrature e Asl e l'obbligo di inviare i progetti di cura individuali e di dimissione al Ministero della Salute. È evidente che serve una forte regia nazionale. È necessaria attenzione e vigilanza per garantire qualità alle dimissioni delle persone ancora presenti negli Opg, per fornire indicazioni e sostegno, ove necessario, agli operatori dei Dsm e agli operatori della giustizia nei nuovi percorsi di presa in carico, impedire soluzioni che non modifichino nella sostanza una cultura manicomiale di segregazione e di abolizione di diritto. Dal 1 aprile inizia dunque un nuovo percorso: non solo per ridurre drasticamente le Rems che vanno considerate residuali, e attivare percorsi di cura nel territorio, ma per rivedere il codice Rocco che ancora mantiene i malati di mente autori di reato in un recinto speciale che li separa dagli altri cittadini. E per garantire il diritto alla salute e alle cure dei detenuti, troppo spesso oggi negato. È un percorso impegnativo, i diritti si conquistano: servirà una partecipazione responsabile e un'altra mobilitazione. Lazio: Zingaretti e Orlando inaugurano a Pontecorvo la prima Rems della regione di Carmela Piccione Adnkronos, 1 aprile 2015 Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il ministro della Giustizia Andrea Orlando inaugurano oggi a Pontecorvo (Fr) la prima Rems (Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) del Lazio che ospiterà 11 donne. Le Rems nascono per superare gli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari, la cui esistenza, come sottolineò il presidente emerito Giorgio Napolitano desta "estremo orrore. È inconcepibile - aveva aggiunto - in qualsiasi paese appena, appena civile". Le Rems sono strutture residenziali gestite dalla sanità territoriale in collaborazione con il ministero della Giustizia che garantiscono l'esecuzione della misura di sicurezza e al contempo l'attivazione di percorsi terapeutico-riabilitativi. La legge prevede infatti la chiusura degli Opg entro il 31 marzo di quest'anno e l'operatività delle Rems dal 1 aprile. La Regione Lazio è tra le prime ad applicare la riforma nei tempi stabiliti dalla legge. Le strutture regionali ospiteranno cittadini (residenti nel Lazio) attualmente internati negli Opg di Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere (solo reparti femminili) comprese le donne internate nella Casa di cura e custodia di Sollicciano. Complessivamente la Regione Lazio attiverà da subito quattro strutture provvisorie destinate ad accogliere 79 ospiti, (68 uomini e 11 donne). Per il funzionamento di queste strutture saranno assunti a tempo indeterminato attraverso un concorso pubblico 132 operatori tra medici, psicologi, infermieri, personale ausiliario e amministrativo. La prima fase del progetto Rems prevede l'attivazione di quattro sedi provvisorie a Pontecorvo, Ceccano, Subiaco, Palombara Sabina. Pontecorvo è un ex Spdc, Servizio psichiatrico di diagnosi e cura. Sarà operativo a partire da domani, avrà 11 posti letto solo pazienti donne. Il personale, in attesa di un regolare concorso è stato selezionato tra i dipendenti della Asl di Frosinone. Il personale è stato, inoltre, adeguatamente formato per poter accogliere e assistere i pazienti che saranno trasferiti, dall'Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione dello Stiviere e dalla Casa di cura e custodia di Sollicciano. La struttura di Ceccano prevede, invece, 20 posti letto per soli uomini. I lavori sono in corso e la loro conclusione è prevista entro il mese di aprile. Anche la struttura di Subiaco prevede 20 posti letto per soli uomini, i lavori sono in corso e l'apertura è prevista entro fine aprile. 28 posti saranno disponibili anche qui per soli uomini a Palombara Sabina. I lavori sono in corso così come le procedure di selezione del personale. La seconda fase vedrà l'attivazione delle tre Rems definitive a Rieti, Ceccano e Subiaco. Il tempo stimato per l'apertura delle Rems definitive va da un minimo di un anno ad un massimo di 2 anni. Solo posti letto per donne a Rieti, solo posti letto per uomini a Ceccano e Subiaco. Ciascuna Rems dovrà essere dotata di un totale di 24 operatori (12 infermieri, 6 operatori socio-sanitari, 2 medici psichiatri, un tecnico per la riabilitazione psichiatrica, uno psicologo, un assistente speciale, un amministrativo). Nel Lazio gli operatori saranno 27, 3 in più. La Regione, infatti, ritenendo sottostimata la presenza in particolare di medici psichiatri con Dca 233/14, ha chiesto e ottenuto per le Rems maschili che il personale fosse composto da 27 persone. Il totale del personale necessario, a pieno regime per le Rems definitive nel Lazio è di 132 unità. Ad aprile 2013 la Regione Lazio aveva firmato il decreto 96 sul fabbisogno di Strutture sanitarie residenziali terapeutiche alternative agli Ospedali psichiatrici giudiziari. A luglio 2013 è stato firmato il decreto 300 e a febbraio 2014 il Dca 72, con cui sono state individuate le strutture del Lazio da trasformare in Rems. Queste le categorie di pazienti destinate alle Rems. Internati prosciolti per infermità mentale, internati con infermità mentale sopravvenuta per i quali sia stato ordinato l'internamento in Opg o in Ccc, gli internati provvisori imputati, in qualsiasi grado di giudizio, sottoposti alla Ms provvisorio in Opg. Ed infine, internati con vizio parziale di mente dichiarati socialmente pericolosi e assegnati al Ccc, eventualmente in aggiunta alla pena detentiva. In questa occasione il presidente Zingaretti e il prefetto di Frosinone Emilia Zarrilli firmeranno un accordo che prevede la messa in sicurezza delle strutture di Pontecorvo attraverso un collegamento tra Rems e prefettura. Campania: Opg di Secondigliano, 84 internati verso il salto nel vuoto di Luigi Nicolosi Roma, 1 aprile 2015 Gli ex manicomi criminali sono da oggi "fuorilegge". La loro dismissione resta però un miraggio: a Napoli sono soltanto 29 i detenuti in uscita. L'ora X è scattata. Da oggi gli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani sono ufficialmente fuorilegge. I sei istituti del Paese si avviano, più per timore di eventuali commissariamenti che per effettiva presa di coscienza istituzionale, verso la dismissione. Che ancora oggi, dopo tre proroghe in due anni, stenta a decollare. A farne le spese, nemmeno a dirlo, saranno centinaia di detenuti internati. Sul loro futuro continua infatti ad aleggiare lo spettro di un enorme punto di domanda. Un'anomalia giuridico-sanitaria ai cui tentacoli non è sfuggito neppure il manicomio criminale napoletano. L'Opg di Secondigliano, allo stato attuale e a fronte di una capienza di 100 posti, ospita ancora ben 84 internati. Di questi soltanto 55 sono già beneficiari di un progetto riabilitativo personalizzato che, almeno da un punto di vista esecutivo, vedrà la luce non si ancora bene quando. Di contro sono appena 29 i detenuti in uscita verso strutture atte ad accoglierli. E - questo fa molto riflettere - in nessun caso le famiglie di origine si sono rese disponibili a dar loro ospitalità. Un dramma all'interno di un dramma senza fine. È questo lo spaccato emerso dall'ultimo report stilato da Antigone Campania all'indomani dell'ultima visita all'istituto di via Roma verso Scampia. Il report. Lunedì mattina, nell'ambito di un "blitz" su larga scala, gli osservatori dell'associazione Antigone e i responsabili regionali fanno capolino, tra gli altri, anche all'Opg di Secondigliano. E le cifre riportate nel documento redatto al termine della visita ritraggono un quadro dalle tinte quanto mai fosche. Infatti, pur trattandosi di "un edificio di recente costruzione e in condizioni manutentive generali discrete", non mancano le criticità. Alcune anche piuttosto acute: "Tutte le celle - si legge nel testo - hanno il bagno interno, ma nessuno di questi reca la doccia, come prescritto dal regolamento di Esecuzione dell'ordinamento penitenziario, che si trova invece all'esterno, nei corridoi di ogni sezione. Le condizioni igieniche generali non sono sempre soddisfacenti". L'analisi strutturale dell'edificio è però soltanto la punta di un iceberg di proporzioni allarmanti. A rendere l'idea della portata del fenomeno ci pensano, ancora una volta, le cifre. Più ombre che luci. Il primo dato che salta all'occhio è quello riguardante la popolazione carceraria. Infatti, a fronte di una capienza di 100 posti, al momento della visita di Antigone Campania all'interno dell'Opg di Secondigliano erano presenti ancora 84 internati. Segno che gli accessi alla struttura, seppur in forte calo rispetto al passato, non sono ancora cessati del tutto. Per quanto concerne invece le caratteristiche dei detenuti, appare degno di nota il fatto che, delle 84 unità, 52 abbiano origini campane, 22 laziali, 4 abruzzesi e una molisane. Far rientrare questi ultimi, in assenza di un adeguato piano di coordinamento inter-istituzionale, nelle regioni di provenienza sarà impresa tutt'altro che semplice. E intanto la dismissione dell'Opg napoletano continua ad allontanarsi. Eventi critici. Nonostante i 69 agenti impegnati nell'Opg di Secondigliano - a fronte comunque dei 118 previsti dalla Pianta organica - gli ultimi sei mesi sono stati un interminabile susseguirsi di eventi critici. Spesso al limite del dramma. Dall'1 giugno al 30 marzo - denuncia il report di Antigone - si sono infatti registrate 32 aggressioni; 3 tentati suicidi; 20 episodi di autolesionismo e 14 di danneggiamento ai beni dell'Amministrazione; 19 infortuni accidentali; 17 violazioni delle norme penali; 2 manifestazioni di protesta e un invio urgente in ospedale. Rems ferme al palo. Il completamento delle strutture destinate ad accogliere le persone dismesse - le cosiddette Rems, residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza - ad oggi resta ancora poco più che un miraggio. E questo nonostante le tre proroghe in due anni di cui, tra gli altri, ha beneficiato anche la Regione Campania. Ovvero l'Ente incaricato per legge della realizzazione. Campania: Mario Barone (Antigone); il Ministero in ritardo sui regolamenti delle Rems di Luigi Nicolosi Roma, 1 aprile 2015 Il presidente di Antigone Campania: le nuove residenze restano un interrogativo. Con le Rems ancora ferme al palo - le due strutture campane non saranno pronte prima dell'estate - l'ipotesi ad oggi più accreditata, e di fallo in dirittura d'arrivo, è quella che conduce all'utilizzo transitorio di strutture pubbliche in regime di sostituzione temporanea: le cosiddette Pre-Rems. A questa circostanza va poi aggiunta l'ormai prossima apertura dei mini reparti psichiatrici in carcere. È qui che confluiranno i non dimissibili, ad esempio nel caso in cui sussista ancora la pericolosità sociale. Il rischio è quindi quello di passare dalla padella alla brace. "Stiamo purtroppo facendo i conti con un serio problema di adeguamento delle strutture, che ancora oggi non state approntate". Cosi Mario Barone, presidente di Antigone Campania, che spiega: "A livello ministeriale era in corso di approvazione un regolamento per la tutela degli internati. Ma allo stato attuale quello relativo alle Rems non è ancora pronto. Figuriamoci quello delle Pre-Rems". La fase di transizione dal vecchio modello degli Opg a quello delle residenze per l'esecuzione delle misura di sicurezza rischia quindi di rivelarsi molto più paludosa del previsto: "Nasce adesso - avverte Barone - tutta una serie di problematiche: dalla gestione dei colloqui ai rapporti fra detenuti e legali. Senza dimenticare il tema del personale. La Regione, subentrando all'Amministrazione penitenziaria, come ha intenzione di esercitare e regolare le frizioni di ingresso? Ad oggi non è ancora chiaro". E così mentre le Pre-Rems di Mondragone, Statigliano e Bisaccia iniziano a "scaldare i motori", resta comunque intatto il problema della riorganizzazione dei flussi in entrata: "Dismessi gli Opg - spiega il presidente di Antigone Campania - sono due i potenziali sbocchi per i detenuti: le Rems e le sezioni psichiatriche in carcere. Gli Opg un tempo ospitavano anche i cosiddetti osservando chiusi gli Opg questa categoria di internati finirà inevitabilmente in carcere. Da un punto di vista culturale questo è un deciso passo indietro". Barone solleva poi un ultimo ma non meno trascurabile quesito, quello dei progetti individualizzati per la dimissione degli internati: "Per buona parte degli 84 detenuti di Secondigliano i progetti sono stati disposti. Si tratta adesso di valutarli caso per caso, vagliando quindi ad esempio il nucleo familiare di origine, la residenza e altri elementi ancora. Stando così le cose e mancando un unico centro amministrativo fare una previsione sui tempi diventa praticamente impossibile". Ad allargare ulteriormente il raggio di azione del problema ci pensa il direttore sanitario dell'Asl Napoli 1 Antonella Guida: "A Secondigliano - spiega - sono ancora oggi presenti troppi pazienti provenienti da altre regioni. E se queste ultime non provvederanno a riassorbirli sul proprio territorio saremo costretti a tenere ancora aperta la struttura. Guai a far venir meno la sinergia tra regioni". Getta intanto acqua sul fuoco il direttore generale dell'Asl Napoli 1 Ernesto Esposito: "Le Rems di San Nicola Baronia e Calvi Risorta (20 posti ciascuna, ndr) saranno pronte rispettivamente entro maggio e agosto. Non ci saranno ritardi". Veneto: chiusura degli Opg; la Regione è inadempiente, verso il commissariamento di Simonetta Zanetti Il Mattino di Padova, 1 aprile 2015 Sarà un commissario ad acta a realizzare in Veneto una Residenza di esecuzione di misure di sicurezza (Rems) per detenuti psichiatrici. Lo ha annunciato ieri il ministero di Giustizia di fronte alla mancata individuazione di strutture in grado di prestare assistenza alle persone sottoposte a misure di sicurezza detentiva, dopo che ieri è scaduto il termine per la chiusura dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari d'Italia. Nel frattempo, una quarantina di detenuti veneti continuerà a stare a spese della Regione negli Opg di Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere, che non chiuderanno immediatamente. "Il Veneto non cambia idea, perché con la nostra scelta stiamo difendendo la dignità dei malati e la sicurezza dei cittadini dall'ennesima vergogna perpetrata da un Governo che scarica qua e là malati di mente pericolosi per se e per gli altri". Con queste parole Luca Zaia motiva la "impreparazione" veneta "strutture inadatte e improvvisate per nostra scelta non ne faremo. Le Rems sono irrealizzabili: giustamente, lo stesso ministero ha indicato severi parametri, sia per le caratteristiche delle stanze di degenza sia per la necessità di attrezzare in maniera molto particolare finestre e uscite, sia per l'obbligo di predisporre un'adeguata recinzione e la relativa sorveglianza. Strutture così in Veneto non ce ne sono e se un futuro commissario ne indicherà una lo farà assumendosene tutte le responsabilità". la legge che stabilisce la chiusura degli Opg è stata approvata nel 2012. Nel 2013, quindi, il Veneto ha individuato la sede di una Rems definitiva, approvata dal Governo. "Da allora, spiega Zaia, il silenzio più assoluto da Roma fin quando, un paio di settimane fa, sono stati finalmente messi a disposizione i fondi necessari. Solo ora il Veneto è stato messo nelle condizioni di fare le cose per bene e di realizzare una struttura adatta a rispettare la dignità dei malati e la sicurezza dei cittadini. Ma anche lavorando giorno e notte non occorreranno meno di 2-3 anni per realizzare l'opera. Fino a quel momento malati di mente di questa tipologia, non ne arriveranno, se non per manu militari". Intanto, il Dipartimento interaziendale per la Salute mentale di Verona ha presentato un progetto per far fronte alla ricollocazione dei pazienti. Nel solo Veronese nel 2011 sono stati dimessi 25 pazienti a fronte dei 57 internati; altrettanti nel 2012, a fronte dei 59 internati. La sezione di Psichiatria ha avviato, su base nazionale, un monitoraggio dei percorsi di cura e riabilitazione - e dei loro esiti - sia dei pazienti già dimessi che dei nuovi autori di reato: il progetto Persone. Una "lente" che osserva i percorsi di cura e attraverso cui i Servizi monitoreranno le loro storie che costituiranno una scheda clinica standardizzata. Al progetto, al momento l'unico in Italia che consente di rilevare quanto accadrà nei territori coinvolti, hanno aderito oltre una cinquantina di Dipartimenti di salute mentale Zaia: commissariati per difendere dignità malati di mente (Adnkronos) "Il Veneto non cambia idea, perché con la nostra scelta stiamo difendendo la dignità dei malati, e la sicurezza dei territori e dei cittadini, dall'ennesima vergogna perpetrata da un Governo che scarica qua e là malati di mente pericolosi per sé e per gli altri così come sta facendo con gli immigrati". Con queste parole il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia reagisce all'annuncio da parte del Ministero di Grazia e Giustizia del commissariamento del Veneto in materia di chiusura degli Opg e di attivazione di Rems provvisorie. "Strutture inadatte e improvvisate per nostra scelta in Veneto non ne faremo", prosegue il Presidente. "Le cosiddette Residenze per l'Esecuzione della Misura di Sicurezza Sanitaria provvisorie (Rems) - aggiunge - sono in realtà irrealizzabili, in quanto, giustamente, lo stesso Ministero di Grazia e Giustizia ha indicato severi parametri, sia per le caratteristiche delle stanze di degenza (anche un banale lavello in ceramica, se infranto, può diventare un pericolo letale per il malato e per chiunque altro) sia per la necessità di attrezzare in maniera molto particolare finestre e uscite, sia per l'obbligo di predisporre un'adeguata recinzione e la relativa sorveglianza. Strutture così in Veneto non ce ne sono e se un futuro Commissario ne indicherà una lo farà assumendosene tutte le responsabilità". "La legge che decise della chiusura degli Opg - ricorda il Governatore del Veneto - fu approvata nel 2012 e il Governo ha lasciato dormire la questione per 3 anni, mentre il Veneto, già nel 2013, aveva individuato la sede di una Rems definitiva, redatto il progetto e inviato lo stesso al Governo, che lo ha approvato. Da allora il silenzio più assoluto da Roma fin quando, un paio di settimane fa, sono stati finalmente messi a disposizione i fondi necessari. Solo ora il Veneto è stato messo nelle condizioni di fare le cose per bene e di realizzare una struttura adatta a rispettare la dignità dei malati e la sicurezza dei cittadini". "Anche lavorando giorno e notte - conclude - il buon senso dice che non occorreranno meno di 2-3 anni per realizzare l'opera, partendo dall'indizione della gara d'appalto e seguendo tutte le regole che accompagnano la costruzione di un'opera pubblica. Fino a quel momento malati di mente di questa tipologia, molti dei quali responsabili di gesti di grande efferatezza, in Veneto non ne arriveranno, se non per manu militari da parte di un Governo che, come anche in altre vicende pressoché quotidiane, continua a non tenere nella benché minima considerazione i reali interessi dei cittadini e dei territori". Toscana: internati trasferiti da Montelupo a Solliccianino, che caos per il dopo Opg di Jacopo Storni Corriere Fiorentino, 1 aprile 2015 "Mi auguro che quella di Solliccianino sia una sistemazione provvisoria per i malati mentali provenienti dall'Opg di Montelupo, nell'ottica del loro trasferimento in un'altra struttura a vocazione sanitaria come indicato dalla legge". Lo ha detto Patrizio Gonnella - presidente di Antigone, tra i responsabili della campagna nazionale Stop Opg - all'indomani della decisione della Regione Toscana di spostare una ventina dei 52 pazienti toscani dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo nel carcere di Solliccianino, un luogo che secondo Gonnella ha una "vocazione esclusivamente carceraria". Secondo Antigone, "la Toscana in tema di Opg sta facendo un percorso complicato e ha fatto fatica a trovare i luoghi alternativi per i malati di Montelupo". La struttura di Montelupo, nonostante la scadenza del 31 marzo per la chiusura di tutti gli Opg italiani, è ancora aperta. Sono già state individuate sei residenze sanitarie alternative, ma alcune non sono ancora pronte, mentre altre sono attualmente piene. A destare maggior perplessità è soprattutto Solliccianino, un luogo più adatto alla detenzione piuttosto che alla cura. "È un penitenziario - ha detto il deputato di Fratelli d'Italia Achille Totaro - Adesso verranno portati anche gli internati. Così andrà a carte quarantotto tutto il percorso riabilitativo per i detenuti e il percorso psichiatrico per gli internati". Sul tema interviene anche Giovanni Donzelli, capogruppo regionale di Fratelli d'Italia e candidato governatore, insieme ai consiglieri Fdi Marina Staccioli e Paolo Marcheschi: "La Regione ha deciso di mandare gli ex detenuti dell'Opg di Montelupo in una serie di strutture che non adeguate". I Radicali: la Regione ha fatto una figuraccia (www.gonews.it) "La decisione della Regione Toscana di trasferire gli internati non dimissibili dall'OPG di Montelupo al carcere di Solliccianino, dimostra solo che si è arrivati all'ultimo secondo utile per evitare il commissariamento senza avere in mano soluzioni adeguate: una figuraccia, che mette in mostra l'incapacità politica del governatore Rossi di affrontare problemi delicati come quello del superamento degli Opg con gli strumenti della persuasione e della coesione territoriale. La decisione, infatti, è stata presa a solo un giorno dalla scadenza prevista per il superamento dell'Opg di Montelupo Cosa accadrà ora non si sa: si spera che il trasferimento avvenga solo dopo gli interventi di adeguamento nell'istituto Gozzini, un carcere a custodia attenuata ma pur sempre un carcere. Insomma, non si è voluto, o potuto, comprendere appieno il significato importante contenuto nella legge 81 e si è preferito dar prova di inefficienza politica. "Cambiare tutto per non cambiare nulla?: ma allora è meglio, molto meglio, il commissariamento previsto nella legge 81". Sardegna: a Capoterra i detenuti dei manicomi criminali, ecco dove alloggeranno www.castedduonline.it, 1 aprile 2015 Saranno sistemati nell'rsa di via Lombardia a Capoterra. Grande apprensione in paese. Il sindaco Dessì: non creiamo allarmismi. Scadeva ieri l'ultimatum per la chiusura dei sei Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) presenti nel territorio della penisola che provvederà a trasferire tutti i ricoverati in strutture Rems (residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) regionali, che ospiteranno i pazienti-detenuti che non possono essere lasciati in libertà a causa dei gravi reati commessi e la resistenza alle cure. La struttura scelta per il territorio sardo, con due moduli di massima sicurezza da otto posti letto ma che ospiterà temporaneamente soltanto sei detenuti-pazienti è l'rsa di Capoterra, che ha sede in via Lombardia, nella zona adiacente alla XXIII Comunità Montana, nota anche come zona "Bronx". Nella struttura gli ospiti, verranno ricoverati in un'ala vuota e inutilizzata, ma soltanto dopo che questa sarà messa in sicurezza con telecamere di videosorveglianza, inferriate e ogni forma di sicurezza. Il sindaco Francesco Dessì ci tiene a tranquillizzare i cittadini: "Non creiamo allarmismi, i pazienti saranno trasferiti soltanto dopo che la struttura sarà messa in sicurezza e supererà tutti i criteri di idoneità, i pazienti saranno internati in un'ala separata rispetto a quella dove sono ricoverati gli altri ospiti della struttura e saranno sorvegliati 24 ore su 24 da assistenti, infermieri, psicologi e personale qualificato, seguiti in un percorso di recupero sanitario dagli specialisti della Asl 6 di Sanluri. Il ricovero presso la nostra struttura sarà in maniera temporanea e provvisoria, dato che poi se ne farà carico totale la Asl di Sanluri che provvederà a trasferirli in una struttura del loro territorio". Niente panico quindi per questa notizia che pare creare non poca paura e apprensione tra i tanti che hanno appreso la notizia nelle ultime ore. Roma: a Rebibbia detenuto si impicca in cella dopo il no all'istanza di scarcerazione di Rosalba Emiliozzi Il Messaggero, 1 aprile 2015 Un marchigiano di Maiolati Spontini, vicino Jesi, si è ucciso nel carcere di Rebibbia dove era detenuto per una storia di stupefacenti subito dopo aver saputo del rigetto di una istanza di scarcerazione. L'uomo, che aveva chiesto la sostituzione della misura cautelare (arresti domiciliari anziché in cella), si è impiccato allo spigolo di una armadietto con un nastro di stoffa ricavato dall'accappatoio. Si chiamava Bruno Plutino. Il dramma - di cui si è avuta notizia solo ieri - risale a sabato mattina intorno a mezzogiorno. Alle 11,15 gli era stato notificato da Genova il rigetto dell'istanza. I soccorsi sono stati immediati e una dottoressa ha praticato per 40 minuti il massaggio cardiaco e le manovre di rianimazione, ma non c'è stato nulla da fare. Plutino, 42 anni, ex concessionario auto, avrebbe lasciato due lettere per il magistrato: una in busta chiusa, nell'altra un messaggio: "Mi hai condannato a morte". Del dramma si occupa il Garante dei Detenuti del Lazio. Plutino, condannato in primo grado a 16 anni a 8 mesi, non doveva stare in carcere. Da tempo era gravemente depresso, rifiutava il cibo tanto da essere malnutrito e aver perso in poco tempo quasi 50 chili (da 102 a 58). Uno scheletro di un metro e 83 di altezza che non ragionava più e rifiutava le cure. Allo psichiatra aveva detto "di sentire negati i propri diritti di detenuto". Uno stato fisico e mentale che aveva portato la direzione del carcere di Rebibbia a concludere: "Si evidenza che le attuali condizioni di salute risultano gravemente incompatibili con il regime carcerario con elevatissimo rischio della vita". La relazione aveva convinto un giudice a sostituire l'ordinanza di custodia cautelare in carcere (emessa per importazione di 670 chili di cocaina) con gli arresti domiciliari in una struttura ospedaliera di Roma, da "individuarsi tempestivamente". Ma i rifiuti di sottoporsi alle cure nel carcere di Ancona, dove l'uomo era stato la settimana scorsa per essere presente adi latri processi, erano stati presi male e il medico penitenziario aveva scritto che il detenuto si trovava "in condizioni stabili con ripresa del peso corporeo". Il giorno dopo Plutino si è ucciso a Rebibbia dove era stato riportato. Padova: detenuto morto di peritonite curato con l'antidolorifico, 5 medici sotto inchiesta di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 1 aprile 2015 La cercavano per avere conferme dei sospetti sulla morte del detenuto Francesco Amoruso. E quando è stata rintracciata e convocata dagli investigatori, ha confermato: i sanitari le avevano indicato di somministrare al paziente del Buscopan. Lei è un'infermiera che, all'epoca dei fatti, lavorava nel carcere Due Palazzi di Padova dove Amoruso - 45enne originario di Crotone, una condanna definitiva da scontare fino al 15 luglio 2023 per rapina, omicidio e reati legati allo spaccio di droga - è stato rinchiuso fino al 7 marzo del 2014. Quel giorno il trasferimento urgente nel Pronto soccorso dell'Azienda ospedaliera padovana. Troppo tardi: è morto il 10 marzo tra dolori atroci in seguito a una peritonite stercoracea, una perforazione di un tratto dell'intestino con infiammazione del peritoneo (membrana che riveste gli organi addominali) e del passaggio retto-pelvico a causa di un'abnorme stasi di feci. Tutto ciò aveva provocato uno shock ipovolemico (una riduzione acuta della massa sanguigna circolante), con problemi renali e due arresti cardiaci. Eppure il Buscopan si impiega nel "trattamento sintomatico delle manifestazioni spastico-dolorose del tratto gastroenterico e genito-urinario": in pratica si usa per alleviare i classici crampi allo stomaco dovuti ad iperacidità gastrica. L'infermiera ha ammesso: quell'antidolorifico era stato prescritto al recluso colpito da dolori lancinanti tanto da reclamare più volte una visita medica. E, in effetti, nell'arco di appena ventiquattr'ore, Amoruso era stato sottoposto a cinque visite dal personale sanitario dell'istituto. Visite che si erano concluse con la somministrazione di Buscopan, senza ritenere necessari altri approfondimenti diagnostici. Questi ultimi avrebbero imposto un immediato trasferimento in ospedale. Fu un errore quel mancato trasferimento: lo rileva un consulente tecnico nominato dal pubblico ministero Francesco Tonon che coordina l'inchiesta per omicidio colposo. Ma il magistrato vuole capire di più, in particolare se Amoruso pagò con la vita quel ricovero tardivo. Ecco perché ha sollecitato un'integrazione della consulenza tecnica. Brescia: rissa tra detenuti al carcere di Canton Mombello, feriti anche 2 agenti di polizia www.bresciaoggi.it, 1 aprile 2015 È scoppiata una rissa ieri mattina all'interno del carcere di Canton Mombello. Cinque detenuti albanesi e uno di origine tunisina hanno dato vita a un violento litigio. Coinvolte anche due guardie penitenziarie intervenute per sedare gli animi, che sono finite al Pronto soccorso per le ferite riportate al viso e alle braccia (guaribili in cinque giorni). Contusi anche alcuni detenuti. Per la Fp-Cgil di Brescia "quanto accaduto stigmatizza un'inefficienza del sistema penitenziario in cui la sicurezza e l'incolumità dei lavoratori della Polizia Penitenziaria non viene garantita, anzi viene messa a repentaglio dal momento che vi è una sofferenza di organico in tutti i ruoli, ma anche e soprattutto con il mancato adeguamento strutturale che preveda l'impiego di mezzi tecnologici per garantire la sicurezza sia dei ristretti che dei lavoratori medesimi. Ormai da troppi anni - ricorda inoltre il sindacato - la Fp Cgil ha gridato, invano, la necessità di chiudere quella struttura ormai vetusta". Se le rappresentanze degli agenti lanciano l'ennesimo allarme, la direzione del carcere ridimensiona l'accaduto, ricordando come l'impegno è costante e la sicurezza anche in occasione della rissa "non è mai venuta meno". "Stiamo parlando di un carcere, quindi di una realtà in cui convivono persone abituate a un certo stile di vita - ha spiegato la direttrice Francesca Gioieni. Di solito riusciamo a prevenire le tensioni, smistando i detenuti di etnie diverse. L'importante è che nessuno abbia riportato lesioni gravi. La causa della lite non era legata né a dinamiche di sorveglianza né a carenze di personale. Gli agenti erano due in quel reparto, sei suddivisi sui 4 piani, 60 in tutto il carcere". Sul caso è intervenuta Simona Bordonali, assessore regionale alla Sicurezza: "La mia solidarietà - ha detto - va agli agenti e a Francesca Gioieni che sta facendo miracoli in un ambiente che va rifatto da cima a fondo". Milano: l'Expo dentro Bollate, il carcere si "expone" con sei mesi di iniziative di Anna Spena Vita, 1 aprile 2015 Il carcere si "expone" con sei mesi di iniziative a porte aperte in occasione di Expo. Anche questa volta è l'arte a primeggiare: 20 pannelli, realizzati da artisti e detenuti, coloreranno i muri di cinta di Bollate. La seconda casa di reclusione di Milano, Bollate, e l'Expo Village quasi si toccano: sono contigui. È da questa vicinanza che nasce l'idea di "jail Expo": durante i sei mesi dell'esposizione universale il carcere di Bollate si trasforma in una galleria d'arte sia dentro che fuori le mura, anzi, l'arte la vedi proprio sulle mura. Per questa occasione "Cartabollate", giornale bimestrale del carcere, si trasforma in "(c)artebollate", catalogo che spiega tutte le mostre e le iniziative che si terranno in carcere e che saranno aperte al pubblico ogni venerdì. Il prossimo otto maggio, venti pannelli di tre metri per tre, saranno esposti sui muri di cinta del carcere di Bollate. Il filo conduttore di tutte le opere sarà lo stesso che muove Expo 2015: "Nutrire il pianeta". I pannelli nascono dalla collaborazione tra alcuni artisti dell'Accademia di Brera con circa 40 detenuti del carcere. "Ogni artista", spiega Catia Bianchi che da dieci anni lavora a Bollate come educatrice nel reparto femminile ed è responsabile dell'organizzazione delle attività culturali, "ha declinato il proprio stile condividendo la creazione dell' opera con i detenuti con cui ha lavorato. La collaborazione con l'Accademia di Brera è datata: Brera organizzava dei corsi di pittura a Bollate, oggi due detenuti sono regolarmente iscritti all'accademia e frequentano i corsi". All'interno del carcere saranno esposte, per tutto il periodo di expo, quattro mostre: "la prima", spiega Catia Balti, "è una collezione di quadri della Fabbrica Borroni, che pure collabora con il carcere di Bollate; il tema è quello dell'identità". Anche per le altre tre mostre, progetti fotografici, il tema dell'identità sarà quello predominante. "La prima delle mostre fotografiche, ad esempio", spiega Catia Bianchi, "è stata realizzata da Isabella Maia, una giovane studentessa che frequenta l'accademia di Brera. Con il suo lavoro è partita dal volto delle persone per arrivare al ruolo: ha fotografato molti dei detenuti e degli operatori che lavorano a Bollate, il compito dei visitatori sarà distinguere i primi dai secondi". All'interno del carcere si potrà ammirare anche l'installazione realizzata da Studio Azzurro con i detenuti di Bollate, per la Biennale di Venezia: figure interattive, che dialogano con il pubblico, animandosi al contatto. "Questo", sottolinea Catia Bianchi, "è un modo per dire che ci siamo anche noi. È pero anche un modo creativo per fare "uscire" i detenuti e far vivere loro l'esperienza di Expo. Non sappiamo quanti visitatori di Expo entreranno a Bollate, ma quello che facciamo dentro al carcere deve essere riconosciuto: portiamo avanti un modello di carcere diverso; usciamo e portiamo dentro allo stesso tempo". Anche il direttore del carcere Massimo Parisi ha dato il suo appoggio per questo progetto: "l'esperienza di Bollate è stimolante e intensa, da senso a quello che facciamo". Venezia: esce dal carcere per lavorare, non torna più "caso più unico che raro" www.veneziatoday.it, 1 aprile 2015 Al detenuto cinese era stato concesso di dedicarsi a un mestiere all'esterno della struttura. Ricerche in corso. "Caso più unico che raro". Gli viene concesso di dedicarsi ad un mestiere onesto all'esterno del carcere, ma non si presenta sul posto di lavoro e non fa ritorno in cella: è quanto accaduto sabato al penitenziario Santa Maria Maggiore di Venezia, dove un detenuto cinese si è reso "uccel di bosco". Essendo irreperibile, di fatto risulta evaso e sono quindi scattate le ricerche per assicurarlo alla giustizia. Ne dà notizia il sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), spiegando: "Purtroppo si può verificare, anche se la percentuale dei detenuti ammessi al lavoro all'esterno che non fa poi rientro in carcere è minima". Donato Capece, segretario del sindacato, aggiunge: "Ovviamente a questo punto la sua condanna si allungherà. Ma il lavoro all'esterno per i detenuti è utile (e la stragrande maggioranza di chi ne fruisce ha un comportamento ineccepibile) proprio per creare le condizioni di un percorso rieducativo finalizzato a intessere rapporti con la famiglia". Il sindacato ribadisce poi che scontare la pena fuori dal carcere, per coloro che hanno commesso reati di minore gravità, ha una funzione anche sociale. Si cita l'esempio di chi, sorpreso alla guida in stato di ebbrezza, lavora (senza essere retribuito) nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale. Il leader del Sappe evidenzia però che anche il grave episodio del mancato rientro del detenuto in carcere a Venezia è "sintomatico della presenza di criticità nel sistema dell'esecuzione della pena in Italia. E a poco serve un calo parziale dei detenuti, da un anno all'altro, se non si promuovono riforme davvero strutturali nel sistema penitenziario e dell'esecuzione della pena nazionale". Genova: carcere di Marassi, scoperti telefoni cellulari nel doppiofondo delle scarpe www.ligurianotizie.it, 1 aprile 2015 La polizia penitenziaria ha individuato e sequestrato due telefonini abilmente nascosti nel doppiofondo delle scarpe in gomma destinate ad un detenuto straniero nel carcere di Marassi. A comunicarlo è il Sappe precisando che la scoperta è stata fatta grazie alla professionalità acquisita dal personale addetto ai controlli pacchi destinati ai detenuti. In passato si è assistito ai lanci di involucri contenenti droga e telefonini i quali, dalla confinante strada, venivano catapultati nei cortili passeggi di Marassi, mentre oggi i famigliari dei detenuti cercano di occultarli nei pacchi a loro destinati. "Ma l'attenzione della Polizia Penitenziaria di Marassi benché sia alta - precisa il Sappe - non può essere lasciata solo alla scaltrezza del poliziotto di turno. È necessario che vengano organizzati corsi di formazione e si adottino strumenti tecnologici, anche se sarebbe meglio prevedere la schermatura degli istituti per annullare il segnale telefonico. Se ne parla da anni ma ad oggi, solo tanti progetti ma nessuna vera iniziativa è stata intrapresa, nel frattempo, una grossa responsabilità incombe sul Poliziotto di turno e se invece del telefonino o droga entrasse accidentalmente un'arma? La responsabilità verrebbe imputata solo sul poliziotto di turno con l'accusa di omesso controllo? Per questo il Sappe ligure chiede che alla Polizia Penitenziaria gli venga affidato solo il compito della sicurezza e con gli strumenti adeguati, ma da subito ci vuole il reparto cinofilo antidroga". Ragusa: scrittori dentro, per i detenuti il concorso letterario "Goliarda Sapienza" di Valentina Frasca www.ragusah24.it, 1 aprile 2015 L'incontro faceva parte delle due giornate dal titolo "Cultura e legalità - Raccontare il disagio" promosse dal comune di Ragusa. "Scrivere è la torcia che illumina la caverna quando stiamo cercando l'uscita, ha detto Federico Moccia, uno dei tutor dell'iniziativa. "La dignità non ce la deve toccare nessuno. Tanti di noi, se avessero avuto di che vivere serenamente, non avrebbero commesso reati. Ma è giusto che chi ha sbagliato paghi. Io sono stato fortunato perché ho trovato chi crede in me. Ho 63 anni, e ho capito che non c'è nulla al mondo per cui valga la pena di spendere qui dentro un solo giorno della nostra vita". A parlare è Salvatore Saitto, arrestato per la prima volta nel 1974 per reati politici e condannato a 5 anni di reclusione, di cui i primi 5 mesi trascorsi in totale isolamento. Saitto, napoletano di origine e libero dal novembre 2014, è il vincitore dell'edizione 2014 del concorso letterario "Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere", destinato ai detenuti di tutta Italia e curato dalla giornalista Antonella Bolelli Ferrera, socio fondatore di Inverso Onlus, associazione per la diffusione della letteratura tra le categorie socialmente svantaggiate. C'era anche lei, ieri pomeriggio, nella casa circondariale di c.da Pendente, a Ragusa, per presentare la quinta edizione del Premio ed invitare i detenuti a partecipare. Con lei anche due "tutor" d'eccezione del concorso: lo scrittore e regista Federico Moccia e il giornalista di Repubblica Massimo Lugli. È stato il comune di Ragusa ad organizzare l'iniziativa, e in rappresentanza di Palazzo dell'Aquila erano presenti il sindaco Federico Piccitto, l'assessore ai servizi sociali Salvatore Martorana, e il Presidente del consiglio comunale, Giovanni Iacono. "La cultura dev'essere il ponte tra chi sta dentro e chi fuori" ha dichiarato Piccitto. "Invece, purtroppo, quello che arriva alla gente sono solo i problemi delle carceri, non le storie di chi ci vive. Questo concorso è importante perché fa emergere il vero volto dei detenuti, attraverso ciò che vogliono dirci con i loro racconti e le loro poesie". "Nel corso della mia visita di dicembre" ha aggiunto Iacono: "avevo promesso che sarei tornato prima di Pasqua, e così è stato. Il mondo delle carceri e quello che sta all'esterno sono distinti solo apparentemente; in realtà, se il secondo inizia a vedere e ad accogliere nel giusto modo chi fa parte del primo, permettendo un reinserimento sociale e professionale, questo potrà essere non più solo un luogo di reclusione, ma anche di speranza". Creare uomini nuovi, quindi, che hanno imparato la lezione e hanno nuovi progetti di vita. Questo dev'essere il fine ultimo dei luoghi di prigionia. E a ribadirlo è stato, nel suo saluto iniziale che ha aperto il lungo incontro, anche la direttrice della struttura penitenziaria, Giovanna Maltese. Tante sono state le tematiche affrontate, soprattutto quando è arrivato il Sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri. Dalla contumacia alla carcerazione preventiva, dall'immigrazione clandestina ai tempi della giustizia, dall'importanza del garantire la certezza della pena alla rieducazione, fino alle prescrizioni e alle pene pecuniarie. "Sono un magistrato", ha affermato: "ma conosco davvero la realtà delle 200 carceri italiane solo da un paio d'anni, da quando cioè sono entrato nella squadra di Governo. In questo lasso di tempo ho capito quanto sia importante la sinergia tra le istituzioni per far si che i detenuti possano non solo scontare la loro pena, ma utilizzare il tempo della loro condanna imparando un mestiere e rendendosi utili e per questo stiamo lavorando ad una riforma sul lavoro penitenziario e al miglioramento delle strutture affinché possano diventare delle "carceri – imprese". Un detenuto che fuori si sentirà accettato ed integrato, e non nuovamente condannato, sarà un uomo che non tornerà a delinquere. E questo rappresenterà un bene per se stesso e la collettività tutta. Per questo - ha concluso il Sottosegretario - stiamo procedendo al finanziamento di 600 progetti in tutta Italia". Sono 40, al momento, i detenuti del carcere di Ragusa che lavorano alle dipendenze del Ministero. Tre, invece, quelli coinvolti in un laboratorio per la produzione di torrone grazie ad una cooperativa esterna che sarà presente, e porterà i lavori dei detenuti, anche all'Expo' di Milano. L'obiettivo è di arrivare alla piena occupazione e del resto loro, i carcerati, molti dei quali hanno raccontato il difficile percorso che li ha portati fin lì, lo hanno detto chiaramente: "Non sopportiamo l'idea di stare a guardare i muri tutto il giorno! Aiutateci ad imparare". Sull'importanza del reinserimento si sono concentrati anche il Prefetto di Ragusa, Annunziato Vardè, e Rosetta Noto, responsabile per il reinserimento sociale della struttura penitenziaria, che ha voluto rimarcare come solo una minima parte di chi è finito in manette ha scelto questa vita, il resto vi è stato costretto dalle circostanza e dalla sfortuna e merita, quindi, una seconda chance. Tornando al concorso letterario, sono circa 2000 i lavori che, in quattro anni di concorso, sono pervenuti agli organizzatori. Storie di vita vissuta guardando il sole a righe. Antonella Bolelli Ferrera ha invitato tutti a partecipare. "Saranno 20, alla fine, i racconti selezionati per la finale e abbinati ad un tutor che seguirà il detenuto passo dopo passo nella trasformazione del racconto", ha spiegato. "I tutor sono tutti personaggi di altissimo profilo che incontreranno il detenuto, leggeranno il suo racconto, apporteranno le piccole correzioni necessarie e scriveranno l'introduzione. Tutti e 20 gli scritti saranno poi inseriti in una raccolta dalla quale la Rai trarrà spunto per un film. Proprio com'è accaduto per La mala vita con Luca Argentero e Francesco Montanari. Quello che facciamo è premiare il coraggio di raccontarsi, non il racconto più bello o scritto meglio". "Scrivere è la torcia che illumina la caverna quando stiamo cercando l'uscita", ha detto Federico Moccia, uno dei tutor sin dalla nascita di Goliarda Sapienza, 5 anni fa. "Io, prima di questa esperienza, non mi ero mai posto domande sulle realtà carcerarie e grazie ai detenuti ho imparato molto. Nel corso della mia carriera ho spesso scritto di giovani che, con grande naturalezza, commettevano degli errori. Loro, però, quasi sempre avevano qualcuno che glielo facesse notare. Queste persone non sempre l'hanno avuto". "Ho fatto dieci giorni di carcere, da ragazzino" ha raccontato Massimo Lugli. "Nessuno nasce con la natura da delinquente e non resta delinquente se non lo vuole. C'è sempre una scelta e questo concorso letterario ne può offrire una. La galera è dura, dei miei 10 giorni a 18 anni ricordo la noia mortale e solo il sonno ti strappa al dolore. Ma c'è una cosa - ha concluso il giornalista tutor, rivolgendosi direttamente alla platea di detenuti - che nessuno può chiudere a chiave qua dentro ed è il vostro spirito. Mi piacerebbe che partecipaste non per vincere, ma per quello che la lettura e la scrittura vi possono dare. Un momento di evasione, scrivendo potete volare fuori, dove volete". In chiusura c'è stato spazio anche per un piccolo show messo su da un gruppo di detenuti guidato dall'attore e regista Gianni Battaglia che a breve inizierà il suo secondo corso di teatro all'interno della casa circondariale. Battaglia ha letto anche le toccanti poesie scritte da alcuni reclusi e ha concluso dicendo "proprio quando ormai mi ero convinto che il teatro non servisse a niente, ho capito che, in realtà, può salvare persino delle vite". Padova: la Pallalpiede Calcio ce l'ha fatta, raccolti 7.500 euro per proseguire l'attività di Francesco Vigato Il Mattino di Padova, 1 aprile 2015 La Pallalpiede ha vinto la sfida crowdfunding. La squadra di calcio composta da detenuti del carcere Due Palazzi di Padova, impegnata nel campionato di Terza Categoria, è riuscita a sconfiggere le ristrettezze economiche con una raccolta fondi on line, promossa tramite il network "Produzioni dal basso" di Banca Etica. Il crowdfunding (termine inglese che indica il sistema di finanziamento collettivo) ha permesso di raggiungere la quota prefissata, 7.500 euro, che serviranno a coprire le spese rimanenti per le visite mediche, la manutenzione del campo e l'acquisto del materiale sportivo, oltre a gettare le basi per la prossima stagione. Un vero e proprio successo, l'ennesimo di un progetto che poteva terminare con l'ultima partita del prossimo 18 aprile, ottenuto grazie all'aiuto di singoli sostenitori, giocatori (anche avversari) e società della zona. Ma - e questa è una "chicca" assoluta - sono stati gli stessi tifosi della Pallalpiede, i detenuti appunto, a salvare la rappresentativa attraverso una sottoscrizione interna. Sono stati raccolti, infatti, 1.245 euro, fondamentali per il raggiungimento dell'obiettivo. "Siamo contenti, perché l'iniziativa ha coinvolto tantissime persone, in modo trasversale", spiega Paolo Piva, professore di italiano e presidente della Polisportiva Pallalpiede. "Gli stessi ragazzi hanno voluto contribuire in base alle proprie possibilità, chi con 2 e chi con 15 euro, l'offerta massima consentita". "Ogni detenuto", continua Piva, "ha un proprio conto, in cui finiscono i soldi passati dalle famiglie o guadagnati lavorando. In 149 hanno voluto compilare un foglio indicando le generalità, il numero di matricola e l'importo per dare il proprio sostegno, non essendo possibile, per ovvi motivi, far circolare contanti. Penso che i risultati della squadra, sia dal punto di vista umano che sportivo, siano veramente commoventi e degni di nota. Noi dello staff siamo affezionati a questa realtà in modo viscerale". La Pallalpiede, terza in classifica con 37 punti, potrà continuare le attività, tant'è vero che, tra poche settimane, dovrebbero iniziare le nuove selezioni coordinate da mister Valter Bedin. E nelle varie sezioni non si parla d'altro, come conferma Lara Mottarlini, fondatrice della squadra: "I ragazzi sono tutti interessati a risultati, schemi di gioco e classifiche, dal lunedì al sabato", racconta. "Durante il crowdfunding mi chiedevano aggiornamenti quotidianamente. Ci tenevano tanto, perché conoscevano le difficoltà. Ringraziamo quanti hanno creduto in questa grande opportunità, permettendo così ai detenuti di continuare a rimettersi in gioco". Palermo: 32° edizione di Vivicittà, il 12 aprile "Porte Aperte" anche all'Ucciardone www.cronopolitica.it, 1 aprile 2015 Si correrà domenica 12 aprile a Palermo la 32° edizione del Vivicittà, la gara podistica che ogni anno tocca numerose città italiane. Anche quest'anno la gara podistica internazionale è dedicata alla memoria di Mario Bignone, capo della sezione Catturandi della Polizia di Stato di Palermo scomparso prematuramente all'età di 43 anni nel 2010. L'edizione 2015, organizzata dal Comitato provinciale Uisp Palermo e dal Comune di Palermo in collaborazione con la Lega atletica Uisp Sicilia, è all'insegna delle novità. Il Vivicittà si correrà sulla distanza classica di 12 km per la gara competitiva mentre rimane su 3 km per la passeggiata ludico-motoria. Il nuovo circuito di quattro chilometri (da ripetere tre volte), interamente ricavato nel centro storico della città, ospita un numero immenso di monumenti, palazzi nobiliari, chiese, conventi, mercati, edifici storici e torri da lasciare senza fiato. La zona partenza ed arrivo è posta in viale della Libertà (davanti al Giardino Inglese) ed il circuito è un susseguirsi di emozioni. I podisti, infatti, potranno godere dei tanti monumenti che incanteranno gli occhi ed il cuore dei partecipanti con colori e profumi che si fonderanno durante i dodici chilometri della gara. Come lo scorso anno, insieme ai tanti cittadini che percorreranno le vie centrali della città, anche un gruppo di detenuti del carcere Ucciardone. Un importante evento che coniuga l'amore per lo sport con un tema vitale, quale la libertà. Un grande momento di sport per i detenuti e i cittadini che correranno fianco a fianco, senza più barriere. Continua, inoltre, il protocollo intesa firmato dalla Uisp Palermo con il carcere Ucciardone. Il 18 aprile i detenuti, preparati da due operatori sportivi durante il corso dell'anno, correranno all'interno della casa circondariale per dare vita ad un passaggio di testimone tra le due corse cittadine. Le iscrizioni sono aperte nella segreteria organizzativa che si trova all'interno dello Stadio di Atletica Leggera Vito Schifani, sito in Viale del Fante 23. Il costo d'iscrizione fino all'8 aprile è di 12 euro. Per ogni iscritto alle gare, un euro sarà destinato in beneficenza in Libano dove grazie a Vivicittà sono state allestite le prime 8 palestre per la soft-boxe e formati, attraverso 4 cicli formativi, 10 istruttori. Dal 9 all'11 aprile sarà comunque possibile iscriversi applicando una penale di 3 euro ad iscritto. La passeggiata Ludico-Motoria avrà inizio alle 9,30 con partenza sempre dall'ingresso principale del Giardino Inglese di via Libertà. Il costo d'iscrizione è di 6 euro e comprende il pacco gara contenente la t-shirt, il pettorale, altri gadget e ristoro finale. Per informazioni contattare la segreteria organizzativa ai numeri 3397149566 - 3283666552, oppure tramite email vivicitta.palermo@uisp.it. Civitavecchia: si aprono le porte del carcere per gli alunni dell'Istituto Tecnico Baccelli Ristretti Orizzonti, 1 aprile 2015 Nell'ambito del progetto "Oltre lo sport. Custode e manutentori d'impianti sportivi" rivolto a detenuti e finanziato dalla Fondazione Cariciv - Bando 2014 in terza edizione, questa mattina si è svolta la prima partita di calcio a 5 solidale, tra una delegazione degli alunni delle quinte classi dell'Ite "Guido Baccelli" di Civitavecchia e una rappresentanza di reclusi ospiti presso la Casa di Reclusione "Giuseppe Passerini" di via Tarquinia, 20. Gli studenti che hanno partecipato all'iniziativa, insieme ad alcuni docenti ed al dirigente scolastico, hanno avuto modo di prepararsi all'evento, attraverso riflessioni sui problemi e le situazioni legate ai temi della giustizia e del sistema carcerario, su come sono le condizioni di vita dei detenuti oggi, cosa fare per contribuire alla lotta alla devianza ed alla criminalità e sulle modalità di collaborazione al loro reinserimento sociale, laddove possibile. Prima di disputare la partita ai ragazzi è stata illustrata l'architettura e la storia del penitenziario: l' edificio è un'antica fortificazione cinta da mura, in mattoni, che in epoca antica è stata adibita a colonia penale, precedentemente granaio del Vaticano, oggi carcere a trattamento penitenziario differenziato (media sicurezza). La partita è stata vinta dai ristretti con il risultato di 4 a 1. A breve l'evento, unitamente al progetto, verrà realizzato anche presso la Casa Circondariale "Nuovo Complesso Penitenziario Aurelia - Km 79,500" - Città. Per la realizzazione dell'avvenimento sportivo si ringrazia la Dottoressa Anna Angeletti - Direttrice C.R. con la Prof.ssa Stefania Tinti - Preside dell'ITE "G. Baccelli", l'area educativo trattamentale Dottoressa Alessia Giuliani, il personale di polizia penitenziaria, le insegnati Marinella Scaccia e Manila Di Gennaro, gli alunni che hanno partecipato ed infine il presidente dell'Asd Trinità Emanuele Fustaino per la collaborazione. Immigrazione: deportazione o carcere per i migranti in Israele di Michele Giorgio Il Manifesto, 1 aprile 2015 "Quando la sera vado a riprendere i miei due figli, non ho la certezza di trovarli vivi". È la frase agghiacciante pronunciata l'altro giorno da una giovane madre eritrea intervistata dalla radio militare israeliana. Parole che descrivono uno dei drammi più gravi che vivono tanti eritrei, sudanesi e altri migranti africani in Israele, costretti per necessità a lasciare i figli per tutto il giorno in asili nido improvvisati e privi di strutture minime. Sono dei "depositi per bambini" a tutti gli effetti, dove le condizioni sono disumane e pericolose: dall'inizio dell'anno sono morti cinque piccoli, l'ultimo, di soli 4 mesi, tre giorni fa. A lanciare l'allarme è una Ong locale, "Ali di Crembo". I suoi volontari denunciano che in Israele ci sono decine di questi "depositi" che ospitano oltre 2000 bambini, su una popolazione di migranti eritrei e sudanesi di circa 42 mila persone. Bambini di fatto abbandonati a se stessi che sono stipati per ore ed ore in ambienti poco areati, quasi senza cibo, spesso con un unico pannolino per tutto il giorno. Una neonata è morta soffocata dal proprio biberon. È intervenuta anche la leader del partito Meretz, Zahava Galon, che ha lanciato un appello al premier Netanyahu affinché intervenga con urgenza. Ma è improbabile che l'esecutivo scenda in campo facendosi completamente carico della condizione di questi bambini, visto che ha imposto negli ultimi anni un giro di vite sull'immigrazione. Israele di recente ha ulteriormente irrigidito la sua posizione. I migranti africani, riferiscono i media locali, nei prossimi giorni saranno convocati e messi di fronte alla scelta se stabilirsi in Uganda o in Ruanda (con voli pagati da Israele e con assegni per far fronte alle prime necessità) oppure andare incontro alla deportazione con la forza. Si opporrà rischia di essere rinchiuso nel carcere di Saharonim, nel deserto del Neghev. Duemila africani si trovano già nella cosiddetta "struttura aperta" di Holot, di fatto un altro centro di detenzione per migranti sempre nel Neghev. Nonostante le proteste dei centri per i diritti umani locali e internazionali, le autorità israeliane proseguono la loro politica. Secondo i dati del governo lo scorso anno 5.803 immigrati avrebbero scelto di "lasciare" Israele e di andare in Ruanda e Uganda. Resta incerta anche la condizione dei richiedenti asilo. Israele negli anni passati ha riconosciuto questo status in pochissimi casi nonostante un numero elevato di migranti provengano da paesi sconvolti da gravi conflitti armati o dove sono sistematicamente violati i diritti umani. Le autorità invece ritengono che gli africani entrati illegalmente nel Paese lo abbiamo fatto per cercare lavoro e non per sfuggire a guerre e persecuzioni. Le norme per le espulsioni perciò sono applicate spesso anche nei confronti dei richiedenti asilo. Le risoluzioni delle Nazioni Unite obbligano gli Stati a rendere pubblici gli accordi di "trasferimento" dei richiedenti asilo e ad accertarsi che poi siano protetti nel paese di accoglienza. Tel Aviv al contrario continua a non rivelare i punti degli accordi con Ruanda ed Uganda. "Dubito che tali patti siano messi per iscritto. Gli stessi Stati coinvolti negano che ci siano delle intese", denuncia Oded Peler, responsabile per i migranti all'Associazione per i Diritti Civili "(gli espulsi) sono accolti in Paesi terzi senza avere uno status giuridico né la rassicurazione che non saranno consegnati alle autorità dei loro Stati d'origine. Israele è tenuto a comunicare quale è il prezzo che paga per potersi disfare dei richiedenti asilo, in soldi, in armi o in altri modi". Droghe: barlumi di speranza all'Onu di Marco Perduca Il Manifesto, 1 aprile 2015 Le aspettative alla vigilia della 58esima sessione della Commissione sulle droghe dell'Onu non erano particolarmente alte, ma qualcosa s'è mosso. Per riassumere gli sviluppi positivi bisogna citare gli Usa: "Abbiamo adottato politiche intelligenti sul crimine" hanno esordito gli Stati Uniti sottolineando come all'incarcerazione di chi consuma sia da preferire la cura. Un messaggio preciso, anche se non totalmente corrispondente alla realtà delle politiche giudiziarie nazionali. Altrettanto chiara l'invocazione della "latitudine" cioè lo spazio di manovra all'interno delle tre Convenzioni Onu sulle droghe per modificare, a impegni internazionali vigenti, leggi e politiche sugli stupefacenti. Il nuovo corso del Paese che ha inventato la "guerra alla droga" ha contribuito a impostare il dibattito relativo all'Ungass, la sessione speciale dell'Assemblea generale prevista per il 2016. Le nuove posizioni americane erano state precedute dai toni inusualmente concilianti dell'Incb, l'organo che controlla l'aderenza delle politiche nazionali alle Convenzioni sugli stupefacenti, e dell'Unodc, l'ufficio delle Nazioni Unite che coordina le campagne di "controllo alla droga". Attenzione socio-sanitaria, depenalizzazione, ferma condanna dell'uso della pena di morte per reati connessi alle droghe e "sviluppo alternativo" per contrastare le colture illecite sono diventate le nuove parole d'ordine. Segnali di buon senso che fino a qualche tempo fa non avevano diritto di cittadinanza all'Onu di Vienna. Certo, nessuno mette in dubbio che sia arrivato il tempo di riformare le Convenzioni e molti paesi continuano a stigmatizzare anche la sola menzione della possibilità di "legalizzare", ma i tempi della parola d'ordine "Un mondo senza droga, possiamo farcela" con cui Pino Arlacchi convocò la Ungass del 1998 son morti e sepolti. Tutto pronto quindi per un cambio di passo nel 2016? Non proprio, e a far notare che modulare i toni non basta ci hanno pensato i latino-americani. Il ministro della giustizia colombiano Yesid Reyes ha infatti denunciato in plenaria che "la guerra alla droga non è stata vinta" e che "diventa imperativo ideare, proporre e concordare, a livello globale, nuovi approcci che ci permettano di affrontare il problema della droga in modo più efficace La riduzione dell'offerta della cocaina non ha funzionato" ha detto Reyes, occorre quindi "esser flessibili quanto il mercato delle sostanze". Parole chiare, salutate da un applauso generale, anch'esse sicuramente più avanti delle politiche nazionali, ma che hanno messo in evidenza un sentire comune del continente sudamericano confermato da Messico, Uruguay, Guatemala. Altro segnale incoraggiante il coinvolgimento delle organizzazioni non-governative nelle sessioni tematiche e negli eventi organizzati a latere del dibattito ufficiale. Proprio come in altri consessi dell'Onu, anche a Vienna, le Ong possono tranquillamente prendere la parola, far circolare documenti e, in alcuni passaggi, come a proposito della proposta di proibire la ketamina, giocare un ruolo attivo per influenzare positivamente i negoziati. Il 7 maggio prossimo, al Palazzo di Vetro, si terrà un dibattito di alto livello per continuare la preparazione della sessione del 2016. A New York si affrontano le questioni politiche, c'è da sperare che i paesi che si sono esposti a Vienna confermino la risolutezza manifestata e che, finalmente, l'Europa assuma la leadership di questo nuovo atteggiamento affinché l'Ungass lanci un processo riformatore che ci porti alla chiusura definitiva col proibizionismo. Italiani detenuti all'estero… storie di "ordinaria" galera di Federico Rapini www.ilprimatonazionale.it, 1 aprile 2015 Nei giorni in cui il tema degli italiani detenuti all'estero torna sotto la luce dei riflettori, causa l'inizio del processo nelle Filippine ai danni di Daniele Bosio, è bene ricordare che secondo le stime della Farnesina sono più di 3000 gli italiani detenuti all'estero. Tra tutti sicuramente sono i 2 marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, a fare più notizia. Come nel caso dei due militari detenuti da più di 3 anni in India, il Governo italiano negli altri casi fa molto poco se non nulla per riportar i propri cittadini a casa. Anzi, talvolta contribuisce a farli condannare. Tra le storie più raccapriccianti c'è quella di Roberto Berardi, imprenditore di Latina che dal gennaio 2013 si trova nel carcere di Bata, in Guinea Equatoriale. In Africa dal 2012, Berardi entra in contatto con Teodorin Obiang, figlio del Presidente della Guinea Equatoriale, con il quale comincia rapporti di lavoro tanto da creare una società, la Eloba Construction SA, il cui 60% nelle mani di Obiang e il 40% all'italiano. Nel dicembre 2013,l'imprenditore di Latina scopre che la sua società ha buchi milionari, impegnandosi di tasca propria a risanarli, pagando dipendenti e fornitori. Chiede allora spiegazioni ad Obiang che di tutta risposta lo fa arrestare. Qui inizia l'odissea. Il carcere di Bata è uno dei posti peggiori del mondo, dove i detenuti sono tenuti in pessime condizioni igienico-sanitarie, vengono pestati e torturati quotidianamente. Ad oggi Berardi ha contratto più volte la malaria, un enfisema polmonare, il tifo e perso 30 kg. "Il Principe", così viene chiamato Teodorin Obiang, è oggetto di un mandato di cattura internazionale emanato dagli Usa, ma tutt'oggi è libero. Il governo italiano, tramite la Farnesina prova timidamente a risolvere la questione, considerando le pressanti e giustificate richieste dei parenti di Berardi. Ma nulla. Al console Massimo Spano non viene neanche permesso l'accesso al carcere. Il processo è una farsa con testimoni che dopo le accuse spariscono nel nulla. Roberto viene condannato a due anni e mezzo di carcere più 1,5 milioni di dollari da restituire. La famiglia di Roberto Berardi è disperata e chiede anche aiuto al Vaticano, pensando che la cattolica Guinea Equatoriale accolga la richiesta nell'Angelus da parte del Papa. Ma la situazione, è il caso di dirlo, non la smuove neanche "l'Onnipotente". Il nostro connazionale ha anche tentato la fuga dal carcere, ma giunto davanti l'ambasciata spagnola, nonostante le suppliche, questa non ha aperto neanche i cancelli. Questa vicenda mostra chiaramente la considerazione che il nostro governo gode all'estero. Un governo fantoccio che abbandona i propri figli. Chi a suo tempo fu abbandonato dall'Italia fu Carlo Parlanti. Accusato falsamente dalla ex compagna di maltrattamenti e stupro, ha scontato nove anni nel carcere americano di Avenal in California. Anni dopo il suo ritorno in Italia, Carlo Parlanti ha descritto tutte le anomalie del suo processo, compreso "l'aiuto" che la Polizia italiana diede a quella americana per cercare di incastrarlo. Parlanti fu arrestato a Dusseldorf, in Germania, per le accuse citate sopra. Sarebbe dovuto essere stato messo in libertà previo cauzione, anche perché la signora White, la denunciate di Parlanti, fu fotografata, nei giorni seguenti ai presunti abusi, in buona forma e senza evidenti segni di percosse. Parlanti in carcere fece due scioperi della fame lamentando le difficoltà incontrate nell'acquisire la documentazione medica avanzata dalla White, la quale in precedenza fu anche dichiarata instabile da un tribunale californiano in seguito alla separazione dall'ex marito. L'aiuto della polizia italiana a quella americana venne con l'invio di un documento preso abusivamente da un vecchio fascicolo del 1989, dove il Parlanti veniva accusato di maltrattamenti da una sua ex compagna. Quel caso però fu archiviato senza che mai si arrivasse alle indagini. Dopo essere tornato in Italia, Carlo Parlanti ha avuto modo di raccontare la sua versione dei fatti e ha denunciato l'ispettore di polizia italiana e l'attaché di ambasciata che hanno provato ad incastrarlo. Parlanti ha anche denunciato le pessime condizioni di vita a cui era soggetto nel carcere americano, dove ha contratto l'epatite C. Non sono, quindi, solo i paesi del Terzo Mondo, come la Guinea Equatoriale, a trattare come bestie i detenuti, ma anche stati che si ergono a paladini della democrazia come gli Usa. E tramite l'associazione "Prigionieri del silenzio" i cui portavoce sono lo stesso Carlo Parlanti e Katia Anedda, si vengono a scoprire queste storie che hanno dell'incredibile. Come quella di Claudio Castagnetta, ricercatore arrestato in Canada per disturbo della quiete pubblica. Il suo corpo viene ritrovato senza vita dopo due giorni in cella. Secondo le istituzioni canadesi si è suicidato, ma il ministero canadese in seguito inviò delle scuse che lasciano perplessi. Senza parole lascia anche la storia di Simone Renda, bancario morto in un carcere messicano. Portato in cella perché trovato nudo e non in grado di muoversi nella sua stanza d'albergo. Solo dopo si venne a sapere che soffriva di una malattia che non gli permetteva di rimanere a lungo senza bere. Questi sono solo pochi esempi dei migliaia di italiani detenuti più o meno giustamente all'estero. Italiani abbandonati dalle istituzioni italiane che latitano. D'altronde la giustizia e la vita di un italiano valgono molto meno che mantenere "buoni rapporti" anche con stati dove la pena di morte è ancora in vigore. Messico: le carceri femminili sono un inferno www.contropiano.org, 1 aprile 2015 "Regni" governati da mafie che abusano, praticano estorsioni, obbligano a prostituirsi donne già costrette a vivere in condizioni degradanti, ammassate in piccoli spazi, carenti di tutto, dai servizi igienici al cibo: questo il ritratto delle carceri femminili del Messico, disegnato dalla Commissione nazionale dei diritti umani, ente statale autonomo che ha studiato le condizioni di vita di 77 dei 102 istituti di pena del paese, capaci di contenere fino a 12.692 donne. La discriminazione di cui la donna in Messico soffre quotidianamente si riflette anche nelle carceri, secondo l'organismo che annota carenze e problemi che non si riscontrano fra i detenuti maschi in almeno 65 prigioni; piaghe già segnalate in un rapporto del 2013 ma rimaste senza risposta. Maltrattamenti e abusi sessuali sono all'ordine del giorno, così come "mazzette" estorte dalle guardie coinvolte in reti di attività criminali guidate dai detenuti ospitati nella sezione maschile dello stesso istituto di pena. Così, mentre in 51 centri le recluse dormono ammassate sul suolo fra insetti e topi, in altri 20 sono costrette a prostituirsi, altre, finanche all'interno degli stessi impianti, beneficiano di celle private con tv al plasma, forno a microonde, frigo e telefono cellulare, sottolinea la Commissione. I penitenziari dove gli abusi sono più massicci sono quelli dello stato meridionale di Guerrero - che la tragedia dei 43 studenti di Aytzinapa ha fatto conoscere al mondo per la violenza - seguiti da quelli degli stati di México, Puebla, Sinaloa, Michoacán e Oaxaca. I problemi, tuttavia, non si limitano ad aree circoscritte, ma si riscontrano dal nord al sud del territorio nazionale. Stati Uniti: Barack Obama condona pene a condannati per reati di droga Agi, 1 aprile 2015 Son state ridotte le pene comminate a 22 condannati negli Stati Uniti per reati di droga. La decisione è stata presa da Barackk Obama, che ha motivato in altrettante lettere ai detenuti la scelta: "Avete dimostrato -scrive il presidente americano- di essere in grado di imporre una svolta alla vostra vita". I detenuti, alcuni dei quali avrebbero dovuto scontare l'ergastolo, saranno rilasciati il prossimo 28 luglio. "Hanno già trascorso diversi anni in carcere, e in alcuni casi anche più di un decennio -ha spiegato il consigliere della Casa Bianca Neil Eggleston - più a lungo di diversi detenuti condannati con il sistema giudiziario odierno per lo stesso crimine". Rispetto alla presidenza di George W. Bush, che aveva ordinato 11 provvedimenti di condono, Obama ne ha emessi 43, ovvero il triplo. Iran: 809 detenuti amnistiati per festa repubblica islamica, decide l'ayatollah Khamenei Askanews, 1 aprile 2015 La Guida Suprema della Repubblica Islamica iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, ha concesso l'amnistia a 807 detenuti in occasione delle celebrazioni per la "giornata della Repubblica Islamica", l'anniversario della presa del potere da parte dell'ayatollah Khomeini. Lo ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale Irna, precisando che l'amnistia per i detenuti liberati è stata richiesta dal capo della Magistratura, l'ayatollah Sadeq Amoli Larijani. La richiesta accolta da Khamenei prevede anche la riduzione di pena per un numero non precisato di altri detenuti. Malaysia: negata richiesta di grazia per capo dell'opposizione Agi, 1 aprile 2015 Il governo della Malaysia ha bocciato una richiesta di perdono per Anwar Ibrahim, capo dell'opposizione caduto in disgrazia dopo essere stato condannato a cinque anni di carcere per sodomia. La richiesta era stata inoltrata dalla famiglia di Anwar a Febbraio scorso, dopo che la Corte suprema aveva confermato la sentenza di condanna. Il processo nei confronti di Anwar aveva sollevato diverse perplessità in una parte della comunità internazionale, che ne aveva denunciato il carattere politico, teso a eliminare dalla scena l'avversario più pericoloso per il regime. Tailandia: utente Facebook condannato a 25 anni di carcere per "lesa maestà" Adnkronos, 1 aprile 2015 Un thailandese di 58 anni è stato condannato a 50 anni di carcere per lesa maestà a causa di alcuni post pubblicati su Facebook. La sentenza, riferisce il Bangkok Post, è stata dimezzata perché l'uomo ha confessato. Dopo avere pubblicato i post tra luglio e novembre dell'anno scorso, l'uomo è stato arrestato a dicembre prima di venire riconosciuto colpevole da un tribunale militare.