A Padova vincono i detenuti: annullati i trasferimenti di Damiano Aliprandi Il Garantista, 19 aprile 2015 Scongiurata l'emergenza in Veneto, entra nel mirino l'alta sicurezza di Rebibbia: in molti rischiano di essere spostati. La sezione dell'alta sicurezza di Padova non si deve chiudere. A ribadirlo - tramite una nota inviata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e resa pubblica dalla redazione di Ristretti Orizzonti - è stata la dottoressa Aurea Dissegna, il Pubblico Tutore dei minori e Garante delle persone ristrette nelle libertà personali del Veneto. Nella nota chiede la sospensione del provvedimento relativo al trasferimento di tutte le persone della sezione Alta Sicurezza della Casa di Reclusione di Padova, in altre strutture carcerarie italiane. Aveva evidenziato la inopportunità di interrompere percorsi di studio, di lavoro, di partecipazione ad iniziative culturali, sportive; la non considerazione per molte delle persone, per le quali era stato previsto il trasferimento, della evoluzione delle diverse situazioni, dei risultati positivi del trattamento in corso, condizioni che potevano essere esaminate per una eventuale declassificazione. A margine di un incontro tra alcuni Garanti dei detenuti di Regioni e Comuni d'Italia ed il capo del Dap, che si è tenuto a Roma, è stata data assicurazione da parte del capo del Dap, dott. Santi Consolo, alla dott.ssa Aurea Dissegna, che verranno rivalutate tutte le situazioni per le quali vi è trattamento in corso, in particolare quelle in trattamento avanzato. Ma non è solo la sezione di Padova a dover chiudere. Anche il carcere di Rebibbia è coinvolto in questo piano di "sfollamento" organizzato dal Dap e, se accadrà, ciò decapiterà la compagnia teatrale Liberi Artisti Associati, composta da detenuti di Alta Sicurezza di Rebibbia Nuovo Complesso, Tra loro c'è anche il protagonista del film vincitore al festival di Berlino "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani. "Una scelta che arriva come un fulmine a ciel sereno - aveva commentato Marroni - perché coinvolge persone da tempo detenute a Rebibbia Nuovo Complesso che avevano fatto del Teatro una ragione di riscatto personale e sociale. I trasferimenti riguardano anche detenuti iscritti all'Università che, vedono, in tal modo, interrotto il loro percorso formativo. Una decisione anche in questo caso poco comprensibile, visto che lo stesso Dap ha indicato l'Alta Sicurezza di Rebibbia come riferimento nazionale per i detenuti che intendono frequentare corsi universitari". Fra i nomi più noti dei reclusi trasferiti, spicca quello di Antonio Frasca, universitario, capocomico della Compagnia Liberi Artisti Associati e protagonista del pluripremiato Cesare deve morire. Al Garante risulta, fra l'altro, che l'uomo abbia già espiato il reato ostativo di cui all'articolo 416 c.p. Con lui trasferito anche Giancarlo Polifroni, anch'egli attore e responsabile dell'orto del reparto di Alta Sicurezza. Insieme a loro, sono stati sfollati altri tre detenuti, fra i quali uno laureato e titolare di un assegno di dottorato all'Università La Sapienza di Roma. Nella sezione di Alta Sicurezza di Rebibbia N.C., con questa decisione, viene mortificata una esperienza virtuosa che lo stesso Ministero di Giustizia aveva, negli anni, annoverato tra le buone pratiche dell'Amministrazione penitenziaria. Sulla vicenda dei trasferimenti, il Garante Angiolo Marroni aveva inviato una lettera al Capo del Dap Santi Consolo chiedendo un ripensamento sulla decisione assunta che appare ispirata da criteri meramente burocratici, ignorando il contesto e la complessità in cui tale decisione si applica. "Ritengo - ha scritto Marroni - che questa decisione vada a compromettere le importanti attività trattamentali che per lunghi anni hanno fortemente caratterizzato il reparto di Alta Sicurezza di Rebibbia nuovo complesso e che, a mio avviso, indebolisce la scelta fatta, d'accordo con il Dap., di creare e potenziare proprio nell'Alta Sicurezza di Rebibbia il Polo Universitario nazionale del circuito penitenziario". I trasferimenti riguardano anche detenuti iscritti all'Università che, vedono, in tal modo, interrotto il loro percorso formativo. Tra questi un laureato titolare di un assegno di dottorato alla Sapienza di Roma, che se trasferito in un'altra città perderebbe la possibilità di continuare a studiare. "Una decisione anche in questo caso poco comprensibile - ha chiosato Marroni - visto che lo stesso Dap ha indicato l'Alta Sicurezza di Rebibbia come riferimento nazionale per i detenuti che intendono frequentare corsi universitari". Luigi Pagano, il vice capo del Dap ha comunque promesso al garante dei detenuti del Lazio che nulla sarà smantellato e che prenderanno in considerazione la segnalazione e, nel caso corrispondesse al vero, vedranno come poter recuperare. Ma ad oggi il dietrofront non è stato ancora concretizzato e a Rebibbia "il teatro deve morire". Giustizia: sentenza n. 49 del 2015… così la Consulta dribbla Strasburgo di Astolfo Di Amato Il Garantista, 19 aprile 2015 Due recenti decisioni della Corte di Strasburgo hanno avuto uno spazio molto ampio nelle cronache italiane recenti: quella sulle violenze nella caserma Diaz in occasione del G8 di Genova e quella sul caso Contrada e sulla indeterminatezza del reato di concorso esterno m associazione mafiosa Si tratta di due sentenze che hanno rafforzato l'idea, sempre più diffusa, che a fronte della mancanza di sensibilità dei giudici italiani al tema del rispetto dei diritti fondamentali, via sia comunque un Giudice a Berlino (anzi a Strasburgo) capace di dare giustizia a tutti. Si è innestata, nel comune sentire, l'idea che vi sia un ulteriore ed ultimo grado di giudizio nel quale denunciare le ingiustizie estreme del nostro sistema, senza i pregiudizi derivanti, ad esempio, dalla attribuzione della qualifica di mafioso o presunto mafioso. La possibilità, perciò, di poter fare affidamento su di un Giudice vero, che non lotta contro nessuno, ma che si limita ad applicare il diritto. Una recentissima sentenza della Corte Costituzionale italiana costringe a rimettere i piedi per terra. Una Corte internazionale la quale applica il diritto senza guardare in faccia nessuno e senza essere partecipe della lotta "contro" che spesso caratterizza la giustizia italiana? Non sia mai! Ecco, allora, che la Corte Costituzionale italiana si è esibita in una sorprendente attività di ridimensionamento della portata delle decisioni della Corte di Strasburgo. La sentenza è la n. 49 del 2015, presidente Criscuolo e relatore Lattanzi, tutti e due provenienti dai ruoli della magistratura ordinaria. Il tema era quello della compatibilità con una decisione della Cedu della confisca degli immobili, di cui si assuma la costruzione abusiva, pur in presenza di una sentenza di proscioglimento per prescrizione. Le tecnicalità precise della vicenda non richiedono, qui, particolare attenzione, essendo rilevante, invece, riferire attraverso quali argomenti la Corte Costituzionale indica ai giudici italiani la via per sottrarsi all'obbligo, sinora indiscusso, di attenersi alle decisioni dei Giudici di Strasburgo. Innanzi tutto, si afferma che il dovere del giudice nazionale di interpretare il diritto interno in senso conforme alla Cedu è subordinato al dovere di una lettura conforme alla Costituzione. Il che è una via per mettere al primo posto il diritto interno e le decisioni della Corte Costituzionale. Smentendo tutto quello che si era sinora detto e scritto sulla primazia delle convenzioni sui diritti fondamentali. In questa prospettiva, la stessa giurisprudenza della Cedu va letta ed interpretata dal giudice italiano in conformità con quanto affermato dalla Costituzione, evidentemente nella interpretazione che ne dà la Corte Costituzionale italiana. Ma vi è di più. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo può essere considerata, nei limiti predetti, vincolante solo se sia espressione di un orientamento consolidato. Se si tratta, viceversa, di una decisione da ritenere ancora isolata non vi è alcun vincolo per il giudice nazionale. Così, se la decisione è emessa da una sezione semplice o è caratterizzata dalla presenza di una opinione dissenziente essa non è idonea a vincolare il giudice nazionale. Si tratta, come appare evidente, di un ridimensionamento del ruolo e della funzione della Corte di Strasburgo che ha i connotati di una vera e propria ribellione. Resta da registrare la sorprendente involuzione che ha caratterizzato la Corte Costituzionale a partire da Mani Pulite. Prima di quella epoca, la Corte Costituzionale aveva svolto un'opera meritoria di adeguamento dell'ordinamento, ancora largamente riferibile al periodo fascista, ai nuovi valori di libertà e di democrazia. I suoi interventi nel processo penale hanno dato spazio concreto alle esigenze di rispetto del diritto di difesa, rivoluzionando il sistema. Con Mani pulite, si è affermata l'opposta esigenza di salvare le inchieste e di legittimare l'azione inquirente ad ogni costo, sino a giungere all'imbarazzante affermazione che le ricorrenti lesioni del diritto di difesa erano legittime, siccome vi era una costituzionalizzazione del processo inquisitorio. La Corte Costituzionale è, così, diventata un elemento di conservazione se non addirittura, in qualche caso, di partecipazione diretta alla lotta politica (si pensi al sorprendente cambio di enunciati e di orientamenti rispetto alla valutazione della disciplina della immunità del presidente del consiglio, alla quale era interessato Berlusconi). È in questa prospettiva che si colloca, a pieno titolo, la decisione di cui si è dato conto. È un passo indietro, la portata dei cui effetti è di dimensioni incalcolabili e che, perciò, va registrato e segnalato affinché vi sia coscienza dei problemi che esso apre. Giustizia: cari pm, decidetevi, o in Parlamento a fare le leggi, o nei tribunali ad applicate di Vincenzo Vitale Il Garantista, 19 aprile 2015 Fa un certo effetto contemplare il dottor Bruti Liberati e il dottor Pignatone, rispettivamente Procuratore della Repubblica di Milano e di Roma, dialogare insieme davanti a giornalisti e telecamere, proponendo modifiche, integrazioni, aggiustamenti di vario genere al disegno di legge sulle intercettazioni. E ciò non perché non siano bravi o perché non siano interessanti o convincenti le loro osservazioni o, ancora, perché debbano essere estromessi dal dibattito pubblico per una qualche oscura motivazione. Il fatto è molto più semplice ma allo stesso tempo importante. Ed è che questi illustri magistrati non sono persone qualunque, ma appunto appartengono all'ordine giudiziario nei suoi vertici, vale a dire a quell'ordine al quale è attribuito il compito di interpretare e applicare la legge e che, in uno Stato di diritto, non può in alcun modo interloquire con gli organi che invece sono deputati al confezionamento dei testi di legge. Anche un bambino sa, infatti, che nella cornice dello Stato di diritto gli organi che fanno le leggi non possono applicarle e quelli che le applicano non possono farle. Invece, in Italia, tutto è possibile, ma anche il suo contrario: e perciò accade come nulla fosse che gli organi incaricati di applicare le leggi indicano, per esempio, una bella conferenza stampa nel corso della quale non solo comunichino all'opinione pubblica le loro critiche ai testi di legge all'esame del Parlamento, ma anche si spingano fino ad introdurre nuove e diverse proposte: sicché, da un certo punto di vista, potrebbe dirsi che ci troviamo in presenza di una nuova forma di iniziativa legislativa ad uso dell'Associazione Nazionale Magistrati o di singoli alti magistrati auto-investiti di questo nuovo potere non previsto ed anzi escluso dalla Costituzione. Non dico certo che i magistrati debbano tacere o non possano esprimere il loro punto di vista come chiunque altro, ma soltanto che dovrebbero farlo, proprio perché esercitano un potere di rango costituzionale e perciò limitato dagli altri poteri, nelle sedi e nei modi acconci. In particolare, un singolo magistrato potrebbe tranquillamente scrivere un articolo su una rivista specializzata oppure su un quotidiano, esprimendo le proprie perplessità o i propri e legittimi punti di vi- sta su un certo disegno di legge: ci mancherebbe che non potesse farlo! L'Associazione nazionale magistrati, se proprio occorresse, potrebbe anche chiedere un'audizione presso la competente Commissione parlamentare, allo scopo di avanzare proposte o critiche. Ma nulla di più dovrebbe essere reputato lecito o possibile, se non a patto di dover registrare, come oggi invece accade, continue interferenze messe in atto dall'ordine giudiziario nei confronti di quello legislativo. Il bello è che queste interferenze vengono consumate quotidianamente ai più vari livelli nella indifferenza generale, senza cioè che nessuno lo faccia debitamente notare o faccia qualcosa per evitarlo. Conosco già l'obiezione: e cioè che anche i magistrati, come qualunque altro essere umano, hanno diritto di manifestare il loro pensiero a proposito di qualunque aspetto della vita pubblica, pur attinente alle nuove proposte di legge e che tale diritto è costituzionalmente riconosciuto e tutelato. Vero, verissimo. Tuttavia, è anche vero che tale diritto viene riconosciuto e tutelato a favore di tutti i soggetti in qualità appunto di cittadini e, prima ancora, di esseri umani, non certo a favore di organi istituzionali, quali Procure o Tribunali. Che perciò singoli magistrati, come sopra notato, ne usino nell'ambito di un convegno o scrivendo su riviste o giornali non solo è lecito, ma è anche auspicabile - non essendo in alcun modo conculcabile il diritto di esprimere il proprio pensiero; che invece una Procura o un Tribunale intendano interloquire attraverso i loro capi in forma ufficiale e pubblica è cosa che desta sconcerto, in quanto produce un grave vulnus istituzionale. Che perciò parlino a gran voce e critichino - anche duramente - i magistrati qualunque progetto di legge, in qualità appunto di esseri umani; me che lo facciano in prima persona, al modo di tutti, con il necessario coraggio e senza nascondersi dietro la toga. Come uomini, insomma: e non come capi di un ufficio giudiziario, qualunque esso sia. Giustizia: intercettazioni, quel rapporto pericoloso tra magistrati e stampa di Pietro De Leo Il Tempo, 19 aprile 2015 E intanto alcuni pm vorrebbero impedire la pubblicazione dei verbali sui giornali. Non sorprende che una parte della stampa si stracci le vesti, gridando al "bavaglio", di fronte alle proposte come quella dei due procuratori Pignatone (Roma) e Bruti Liberati (Milano) per mettere fine all'orgia della diffusione mediatica delle intercettazioni. Visto che è praticamente impossibile individuare chi si rende artefice delle fughe di notizie, hanno spiegato, meglio intervenire alla radice, permettendo solo la pubblicazione delle ordinanze di chiusura inchieste ma vietando, a pena di sanzioni pecuniarie, quella degli atti allegati, come intercettazioni e informative. Niente paura, anche se qualcuno ci vede la messa in mora del diritto all'informazione. Perché così non è. È altro. La spia di questo la troviamo in un articolo di Liana Milella su Repubblica dell'altro ieri, in cui c'è scritto che i magistrati "si battono perché non venga toccato il loro potere di intercettare, ma buttano a mare la stampa". La chiave di tutto è in quel "buttano a mare". Che conferma la compresenza, sulla stessa barca, per molti anni, di certa magistratura e certa stampa. Coabitazione non sana, perché i due poteri (la stampa lo è, inutile fingere il contrario) dovrebbero avere scopi diversi. L'accertamento delle responsabilità, e la relativa sanzione, per la magistratura. La resa dei fatti e, non prendiamoci in giro, anche la coltivazione dell'opinione pubblica per i giornalisti. Dannoso, e pericoloso, è quando questi obiettivi si mescolano. E allora i magistrati copulano con l'opinione pubblica magari costruendo, proprio grazie a certi titoli sui giornali, carriere politiche più o meno luminose. E, parallelamente, i giornali si agghindano a pubblici ministeri sottoponendo al giudizio dei lettori intelaiature senza contraddittorio. L'opinione pubblica, come si sa, smania di arrivare all'ultima pagina del giallo, pretende subito il nome dell'assassino e non aspetta i tre gradi di giudizio per far calare la lama della ghigliottina. Vogliamo elementi eclatanti su cui scaricare normalissime frustrazioni "da piani bassi". Vogliamo scoprire amanti e fidanzate (Ricordate gli sms tra la Falchi e Ricucci finiti sui giornali? Era il 2005), assaggiare gli umani scoramenti dei potenti (Berlusconi che, sfinito dallo stress, se la prendeva con "questo Paese di merda"). Vogliamo entrare nel giardino proibito e mettere mano su Rolex (Lupi), profilattici (Bertolaso) e casse di vino (D'Alema). Per questo ci servono le intercettazioni. In tempi, per dirla con Elie Wiesel, di "esilio della parola", tutto questo viene chiamato informazione. Ma è ben altro. È giudizio morale, una cosa completamente diversa. Giustizia: la presidente di Mi "intercettazioni sui giornali? serve il giusto equilibrio" di Andrea Ossino Il Tempo, 19 aprile 2015 "La disciplina esiste ma non sempre viene rispettata. Mi riferisco alla pubblicazione responsabile" afferma il Presidente di Magistratura indipendente, Giovanna Napoletano, in merito alle norme che regolano le intercettazioni. "Il problema attiene alle conversazioni che non hanno rilevanza con l'indagine ma che hanno una portata dal punto di vista etico e morale disdicevole". Oggi, presso la corte di Cassazione, si terrà l'assemblea generale straordinaria, convocata su richiesta di Magistratura indipendente. "Le intercettazioni non saranno un argomento previsto all'ordine del giorno. A titolo personale posso affermare che sono strumenti investigativi ormai non più sostituibili" continua il magistrato. Presidente, ad ogni modo cosa ne pensa rispetto alla riforma in tema di intercettazioni? "Le intercettazioni vengono riportate per trasparenza e doverosa motivazione che va data all'imputato. Bisogna trovare un giusto equilibrio tra esigenza investigativa, diritto alla privacy e libertà d'informazione. Chi ha la disponibilità dei contenuti deve farne un uso responsabile. La normativa è buona ma l'attuazione pratica delle regole diventa difficile. È una tematica che andrà affrontata con giusta cautela". Come mai avete richiesto la convocazione dell'assemblea? "Vogliamo consentire ai magistrati di decidere direttamente le iniziative e le proposte più adeguate per superare il disagio che da anni stiamo vivendo nell'espletamento delle nostre funzioni". A cosa si riferisce? "Alla carenza di mezzi, di risorse che rendono estremamente difficile espletare il servizio giustizia. Discuteremo delle norme sulle ferie ma soprattutto sulla responsabilità civile dei magistrati. Inoltre facciamo attività che prima ci venivano garantite in quanto il personale amministrativo, gli ufficiali giudiziari e i cancellieri sono insufficienti. Vorremmo che l'Anm proponga al Csm la definizione dei carichi esigibili individuando il massimo carico quantitativo e dunque qualitativo che si può chiedere ai magistrati. C'è una domanda di giustizia esorbitante. I magistrati non ce la fanno più, anche aggravati dal clima di discredito che negli ultimi 20 anni si è creato intorno alla nostra categoria. I provvedimenti normativi sono stati presentati ai cittadini accompagnati da giustificazioni false e demagogiche. I fatti di Milano non vanno strumentalizzati ma costituiscono un campanello d'allarme. Ci sentiamo soli e inadeguatamente protetti. Inoltre la norma sulla responsabilità civile non da al cittadino un giudice più forte ma più debole, meno sereno nella sua valutazione. Come farete sentire la vostra voce? "Si tratta di un percorso. Ci auguriamo di trovare un punto di sintesi sulla richiesta di astensione dall'attività di supplenza svolta quotidianamente dai magistrati e chiediamo ulteriori forme di protesta in assenza di risposte adeguate. Siamo aperti al dialogo ma vorremmo che l'Anm disponesse linee di tutela individuali e collettive". Giustizia: Società di Psichiatria "la chiusura degli Opg a rischio per mancanza di fondi" www.ilfarmacistaonline.it, 19 aprile 2015 Ritardi e inadempienze di Stato e Regioni. Soprattutto per l'erogazione dei fondi necessari all'ampliamento degli organici nei dipartimenti di Salute Mentale. Livelli di sorveglianza da intensificare e consulenze tecniche da ridisegnare contro i tentativi di inganno per evitare il carcere. La Società di Psichiatria a convegno per valutare tutti i rischi e i problemi del passaggio dagli Opg alle strutture alternative . "Sussistono pochi dubbi che il soggiorno in una delle nuove residenze (Rems) che stanno iniziando a sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari chiusi per legge, sia decisamente migliore della permanenza in cella. Questo dettaglio è solo la punta di un iceberg che nasconde molte problematiche e criticità attuative non risolte dalla nuova legge sulla chiusura degli Opg". La denuncia arriva da Brescia, dove si è aperto oggi il convegno promosso dalla Società Italiana di Psichiatri, dalla Procura Generale di Brescia, dagli Spedali Civili di Brescia e dall'Università degli Studi di Brescia per fare il punto sull'applicazione della legge e sull'importanza del rapporto tra medici e giudici. Ritardi e inadempienze dello Stato e delle Regioni soprattutto per quanto riguarda l'erogazione dei fondi necessari al previsto ampliamento degli organici - "che risulta tanto più pesante se si considerano il ben noto e comune sottodimensionamento del personale di molti Dipartimenti di Salute Mentale: oggi si viaggia in alcuni casi al 50% circa del necessario", la necessità di ridefinire il tema della pericolosità sociale, di riorganizzare l'assistenza psichiatrica in carcere, e soprattutto di rivedere e rimodellare la consulenza tecnica in psichiatria. Queste le principali criticità denunciate nel corso dell'evento. "Tutto questo - spiegano gli psichiatri della Sip - per garantire sicurezza e cure adeguate ai malati veri, ma anche sicurezza ai cittadini". Dei circa 700 pazienti ancora ospitati negli Opg in questi ultimi mesi, infatti, una quota, presumibilmente compresa tra i 250 e i 400, verrà accolta nelle Rems, mentre la restante parte dei pazienti fruirà, come qualsiasi altro cittadino, dell'insieme dei servizi offerti dai Dsm. Ma il vero problema, secondo la Sip, sarà la gestione del futuro, soprattutto se si considera che nell'ultimo anno, già molti ospiti degli Opg, circa 800, sono stati liberati ed accolti nei Dsm. "Mancano infatti i fondi per la loro presa in carico da parte delle strutture territoriali". "Superare gli Opg è un atto di civiltà - ha affermato Emilia Grazia De Biasi, Presidente della Commissione sanità del Senato. Ma sappiamo quanti muri ci sono ancora da abbattere tra gli operatori e la società e fra la società e le istituzioni. E quanti muri ancora da abbattere dentro di noi, sapendo che il dolore dell'anima è un grande dolore. Non ci sono farmaci possibili, il dolore dell'anima è quello che porta a perdere se stessi, e io credo che, tra i tanti significati e i tanti sensi che possono avere la politica e le Istituzioni, c'è anche quello di favorire strumenti che consentano alle persone di non trasformare il dolore in aggressività, riconoscerlo per quello che è e, insieme, aiutarsi. Che, forse, è anche la chiave per questo Paese per uscire dalla crisi". "Siamo di fronte ad una legge condivisibile nei suoi principi - spiega Emilio Sacchetti, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della AO Spedali Civili di Brescia e presidente nazionale della Società Italiana di Psichiatria - ma che va però resa operativa, dotata di risorse, e portata a regime in breve tempo. Tutto questo non è ancora avvenuto per intero, non solo perché siamo ancora nell'inevitabile fase di rodaggio ma anche perché restano insoluti i problemi della carenza di fondi ed è sempre più evidente che una buona applicazione della legge comporta una revisione più generale di vari temi medici e legali connessi ai rapporti tra reati, disturbi mentali e loro cura. In primo piano a questo riguardo c'è la necessità di creare una buona assistenza psichiatrica in carcere. Qualsiasi previsione di superamento degli Opg che non scalfisca in maniera apprezzabile anche l'assistenza psichiatrica in carcere è espressione di un pensiero irrealistico. Inoltre è fondamentale rivedere il concetto di pericolosità sociale, l'individuazione di linee guida chiare che regolamentino possibili conflitti di interesse tra il consulente tecnico e lo specialista che opera all'interno della struttura carceraria. In questo senso la collaborazione con le procure e con il ministero di Grazia e Giustizia è fondamentale". "In generale credo sia indispensabile salvaguardare tutto quanto sia recuperabile dal punto di vista medico e umano per delle persone che si trovano in condizioni di salute molto particolari - ha detto Pier Luigi Maria Dell'Osso, Procuratore Generale della Repubblica, Corte d'Appello di Brescia -. Con la nuova legge si dovranno trovare moduli operativi nuovi, che riescano, in sintonia, a garantire la salute del malato e la sicurezza dei cittadini. Da un lato, quindi, vanno approntanti tutti i possibili presidi medici per chi ha incapacità di intendere e di volere, al contempo vanno anche garantiti i diritti dei cittadini di sicurezza e legalità". "L'obiettivo di una azienda ospedaliera come una nostra - ha aggiunto Ezio Belleri, direttore generale degli Spedali Civili di Brescia - è proprio quello di anticipare le problematiche e di avviare preventivamente confronti su temi importanti, come questo. Alla luce della nuova legge, la componente medica e quella legale, devono rivedere molti punti del loro modo di agire e interagire. In gioco ci sono concetti molto delicati: rivedere l'assistenza psichiatrica nelle carceri (molto richiesta dalle strutture), trovare nuove regole per definire il concetto di pericolosità sociale, e rivedere l'impostazione delle perizie psichiatriche, che devono decidere ciò che è malattia e ciò che è delinquenziale". I punti caldi, secondo la Sip, sono in effetti molti: dalla necessità di una formazione ad hoc del personale carcerario all'adeguamento degli standard strutturali di sicurezza; dal bisogno di livelli più intensi di sorveglianza all'inserimento di percorsi di riabilitazione psichiatrica. Anche nel campo delle cure è fondamentale un monitoraggio costante dell'aderenza alle terapie e il coinvolgimento dei Sert. "Importantissimo anche uno screening approfondito delle patologie, per separare i casi incidenti da quelli alla ricerca di vantaggi secondari. Infine devono essere trasferite al carcere, tout court, le linee guida diagnostico-terapeutiche utilizzate dai Dsm, con la messa a punto di specifiche linee guida diagnostico-terapeutiche dedicate all'agitazione psicomotoria e all'aggressività rivolta contro se stessi e/o agli altri". "Per rendere sistematica la messa in atto di queste necessità - ha spiegato Sacchetti - è necessario anche ridefinire il concetto di pericolosità sociale. E il superamento degli Opg è un ottima occasione. Due sono i punti chiave da considerare. Il primo che l'attribuzione della pericolosità sociale per motivi psichiatrici non poggia su certezze ma su presunzioni (spesso grossolane ed effimere), dal momento che sono molte le variabili esterne più o meno o controllabili che entrano in gioco. Il secondo, molto sottile e suscettibile di falsificazioni, è la linea che separa la libera scelta delinquenziale da quella condizionata dalla presenza di disturbo mentale. Ciò implica la necessità di recuperare con forza la lezione della clinica, dando maggior spazio soprattutto ai percorsi diagnostici e terapeutici pregressi, a scapito della tendenza non sopita a privilegiare interpretazioni poco basate sull'evidenza, arbitrarie e, talvolta, fantasiose. Quindi è fondamentale ridisegnare il modello attuale della consulenza tecnica in psichiatria adeguandolo a questi punti". E sono molte le criticità in questo campo, ora che sono stati superati gli Opg: "I tentativi di predeterminare gli esiti di una consulenza tecnica grazie ad un adeguato addestramento probabilmente aumenteranno", secondo Sacchetti. "È infatti evidente che il gap tra la posizione di carcerato con o senza problemi psichiatrici e quella di autore di reato a causa di un qualche disturbo mentale, si è acuita a tutto vantaggio della seconda proprio grazie alla chiusura degli Opg. Sussistono pochi dubbi che il soggiorno in una Rems o in una struttura afferente al Dsm sia decisamente migliore della permanenza in cella". Giustizia: ddl eco-reati, sit-in davanti a Montecitorio per dire "no" a nuove modifiche Il Velino, 19 aprile 2015 L'appello: "Dopo due anni di discussioni in Parlamento il Paese non può più attendere. Non regalate altro tempo ad eco-mafiosi ed eco-criminali" "Stop a qualsiasi ipotesi di modifica, il Ddl sui reati ambientali deve essere approvato nelle prossime settimane in via definitiva, senza cambiare neanche una virgola. Ai deputati chiediamo perciò un atto di responsabilità nei confronti del Paese, dell'ambiente, della salute dei cittadini, dell'economia sana e delle imprese oneste, che non possono più aspettare dopo 21 anni di attesa. Approvare questo provvedimento significherebbe fermare gli eco-mafiosi e i ladri di futuro, aprirebbe una nuova era in cui chi inquina pagherebbe davvero, fermerebbe la concorrenza sleale e si darebbero nuove speranze al Paese. Modificarlo e farlo tornare al Senato dopo due anni di discussioni in Parlamento, con il serio rischio di vederlo affossare, sarebbe solo un grande regalo alle ecomafie e all'eco-criminalità. È arrivato il momento di scrivere la parola fine al suo iter parlamentare con l'approvazione definitiva alla Camera". È questo in sintesi il messaggio lanciato oggi pomeriggio dalle 25 associazioni firmatarie dell'appello "In nome del popolo inquinato: subito i delitti ambientali nel codice penale", promosso da Legambiente e Libera, che oggi pomeriggio hanno organizzato un sit-in davanti a Montecitorio e al quale hanno partecipato anche diversi deputati. Tra i presenti in piazza: i tre deputati primi firmatari del Ddl ora in discussione alla Camera, in terza lettura, Ermete Realacci (Pd), Salvatore Micillo (m5s) e Serena Pellegrino (Sel), inoltre il presidente della Commissione giustizia Donatella Ferranti, Alfredo Bazoli relatore del provvedimento, Chiara Braga, responsabile ambiente del Pd, Raffaella Mariani (Pd), Giovanna Sanna (Pd), Pippo Civati (Pd), Miriam Cominelli (Pd), Filiberto Zaratti (Sel), Adriano Zaccagnini (Sel), Gianni Melilla (Sel), Giulio Marcon (Sel), Arturo Scotto (Sel), Alberto Zolezzi (m5s), Massimo De Rosa (m5s). "Dopo il via libera della Commissione Ambiente della Camera che non ha proposto modifiche al testo - spiegano Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente ed Enrico Fontana coordinatore nazionale di Libera - ci auguriamo che nei prossimi giorni anche in Commissione Giustizia avvenga lo stesso, in modo tale che il 27 aprile si possa garantire il voto definitivo dell'Aula. Purtroppo in queste ultime settimane non sono mancate le pressioni e le critiche da fronti opposti per chiedere ulteriori modifiche al testo. Se passassero farebbero tornare il provvedimento nuovamente in Senato per un quarto passaggio parlamentare, dove rischierebbe di essere affossato definitivamente, viste le tante difficoltà emerse nella estenuante discussione fatta a Palazzo Madama. Ieri, tra l'altro, sono scaduti i termini per presentare gli emendamenti in Commissione Giustizia e Pd, M5s e Sel, partiti che hanno promosso il Ddl, non ne hanno presentanti. Questa è una buona notizia e speriamo che ora facciano lo stesso sia il relatore sia il Governo. Ci auguriamo - aggiungono Ciafani e Fontana - che i deputati guardino ai punti di forza di questo Ddl, che introduce finalmente nuovi delitti ambientali come ad esempio l'inquinamento, il disastro ambientale o il traffico di materiale radioattivo, che sarebbero sanzionati adeguatamente per la loro gravità. Ci sarà tempo e modo per migliorare ulteriormente il testo con provvedimenti successivi all'approvazione definitiva del Ddl alla Camera. È giunto il momento che ciascuno si assuma le proprie responsabilità davanti al Paese". Il "pressing" su Governo e deputati da parte delle 25 associazioni firmatarie dell'appello "In nome del popolo inquinato: subito i delitti ambientali nel codice penale" continuerà senza sosta anche nelle prossime settimane, come già annunciato nella lettera aperta inviata nei giorni scorsi al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ai Ministri Andrea Orlando e Gian Luca Galletti, ai Presidenti di Commissione Donatella Ferranti, Ermete Realacci e Alessandro Bratti, al relatore Alfredo Bazoli e ai parlamentari della Camera dei deputati. Giustizia: rinuncia alla prescrizione? un lusso che "solo" i ricchi si possono permettere di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 19 aprile 2015 Ha avuto grande spazio sui giornali la decisione di Marco Tronchetti Provera di rinunciare alla prescrizione nel processo d'appello in corso a Milano. L'ex capo di Telecom era stato condannato in primo grado ad un anno ed otto mesi per ricettazione. Trattandosi di fatti commessi nel 2004, la prescrizione era intervenuta già lo scorso settembre, rendendo di fatto inutile lo svolgimento del processo di secondo grado. Ma Tronchetti Provera, come riportato sul Corriere della Sera da Luigi Ferrarella, sempre ben informato sulle vicende del Palazzo di giustizia milanese, vuole "che i fatti siano accertati". Ritenendosi innocente, considera "moralmente inaccettabile" che cali l'oblio della prescrizione sulla condanna di primo grado. Non entro nel merito delle accuse, che non conosco, mosse a Tronchetti Provera. Mi permetto però di dire che la scelta di rinunciare alla prescrizione dimostra, senza ombra di dubbio, grande carattere e, soprattutto, coraggio. È l'orgoglio ferito di un imprenditore che non accetta che la sua storia professionale sia infangata da una condanna per una reato che normalmente commette chi rivende le autoradio rubate al mercato di Porta Portese e non un capitano d'industria ai vertici di uno dei più grandi gruppi di telecomunicazioni europeo. Fatta questa premessa, ritengo che si debbano fare alcune considerazioni. Tralasciando quanto, soprattutto su questo giornale, è stato scritto in tema di prescrizione del reato, norma di diritto sostanziale prevista già dal fascismo che il governo Renzi sotto la spinta del partito dei pubblici ministeri e della stampa forcaiola che li fiancheggia ha voluto stravolgere, rendendo eterni i processi per i reati commessi dal pubblico ufficiale (20 anni, ad esempio, per la prescrizione del reato di concussione), considero il gesto di rinunciare alla prescrizione uno "sfizio" che solo chi nella vita ha avuto tutto può permettersi. E spiegherò perché. Affrontare un processo sine die, magari per sopperire a condotte dilatatone del pubblico ministero che ha atteso anni prima di esercitare l'azione penale, ben consapevole della totale impunità, anche sotto l'aspetto disciplinare non essendo per lui previste sanzioni, a differenza del giudice che ritarda il deposito di una sentenza (su questo aspetto la Commissione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura è inflessibile), non è cosa per tutti. Solo chi non ha bisogno di lavorare, e non deve lavorare, può permettersi di diventare un imputato in servizio permanente effettivo. Per affrontare un processo penale senza limiti temporali servono tre fondamentali presupposti. Che provo a riassumere, Grande disponibilità di denaro, in quanto gli avvocati costano. È sufficiente un rapido sguardo all'ultimo tariffario forense per rendersi conto che il diritto di difesa in Italia è un lusso che non tutti possono permettersi. Si tratta di soldi a fondo perduto perché in caso di assoluzione non è previsto che lo Stato risarcisca le spese affrontate. A differenza, ad esempio, di quanto accade in Gran Bretagna. Grande disponibilità di tempo per presenziare alle udienze, alle riunioni con gli avvocati, alla lettura degli atti d'indagine. Tutto tempo che viene, per forza di cose, tolto al lavoro e alla famiglia. Grande forza psico-fisica per reggere lo stress di un processo che, come diceva Carnelutti, è già una pena. Frequentare le aule di giustizia non è come frequentare il circolo del Bridge. Proprio per questi motivi i casi di chi rinuncia alla prescrizione sono più unici che rari. Nessuno ha voglia di restare "impantanato" per la vita nel processo infinito. Uno che ha rinunciato alla prescrizione è il generale dei Carabinieri Mario Mori, già comandante del Ros e direttore del Sisde, persona a cui va tutta la mia stima, il quale a quasi settantasei anni invece di godersi la meritata pensione sta affrontando quella giostra giudiziaria che è il processo alla Trattativa Stato - Mafia. Ma Mario Mori, per il quale il processo è diventato la forma stessa della sua vita, è la conferma di quanto scritto in precedenza. È in pensione, ha risorse economiche sufficienti, dopo essere stato ai vertici degli apparati di sicurezza del Paese, per gestire una difesa in un processo incredibile come quello di Palermo. Probabilmente se fosse stato in servizio si sarebbe comportato diversamente. Si ricordi, infatti, che per un militare è sufficiente il rinvio a giudizio per essere estromesso dall'avanzamento. Come può conciliarsi la legittima aspettativa di progressione di carriera con i tempi infiniti del processo qualcuno dovrebbe spiegarlo. Anche perché il risarcimento postumo in caso di assoluzione dopo vent'anni non serve a nessuno. La vita, ormai, è trascorsa e non si può tornare indietro. Purtroppo, per "sopravvivere", essendo puntualmente disatteso il secondo comma dell'articolo 111 Costituzione, bisogna accettare la prescrizione. Anche obtorto collo. Come disse Giulio Andreotti parlando di se dopo che il reato di associazione a delinquere si era prescritto: "Meglio di niente. Ce ne faremo una ragione". Lettere: noi, gente di galera, "diversamente liberi" Tempi, 19 aprile 2015 "La prigione è un baratro di miserie, bisogni, solitudini. O ti iscrivi all'università del crimine o trasformi la detenzione in opportunità di cambiamento". Lettere dalla "fraternità" del carcere di Busto Arsizio. Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola. Sul settimanale Tempi della scorsa settimana (numero 15), abbiamo pubblicato la lettera degli amici del giornale Voce Libera - redatto dai detenuti della Casa circondariale di Busto Arsizio - che ci hanno comunicato l'adesione della "Fraternità del carcere" al manifesto Ragione Verità Amicizia. "Noi, gente di galera, guardando e osservando quello che succede fuori evitiamo il rischio di subire la deformazione del "dentro". Così succede, come oggi, di riconoscerci nello spirito del manifesto stesso. Siamo alla ricerca di orizzonti alternativi, nei limiti delle scelte possibili, nel momento in cui la parola orizzonte è svanita dalla dialettica comune. La nostra sete di sapere stride con il contesto in cui viviamo: un deserto di solitudini e convivenze forzate. Ma lentamente la libertà viene ritrovata non all'esterno, bensì nel cuore della prigione; (…) la tentazione di essere felici incombe. Il carcere mi pare il luogo perfetto per illustrare l'intreccio di contraddizioni che contraddistingue la nostra esistenza, per questo anche noi sottoscriviamo. Un forte abbraccio". Dopo la lettera, sono arrivati i testi che riportiamo di seguito. Sono riflessioni scritte dai detenuti stessi. Dentro c'è un po' di tutto: nostalgia, rabbia, speranza, angoscia, fiducia, tormento, luce. Quanto più sarà viva l'attenzione della società, quanto più ci saranno persone disponibili a operare a favore della crescita in umanità nelle carceri, tanto più si potrà riaccendere nei detenuti la fiducia di ritrovare una dignità e onorabilità, la forza di sognare e costruire un futuro, la volontà di realizzare un reinserimento positivo nella società. Molti personaggi importanti hanno gridato allo scandalo per le condizioni delle loro celle, ma nessuno ha mosso un dito contro quello sconcio una volta riacquistata la libertà. Il nostro rapporto con il carcere è sbagliato, ipocrita e controproducente. Claudio Appollaiato al terzo piano del letto a castello, ascolto alla radio l'intervista al presidente del Consiglio Renzi che riprende le parole del ministro della Giustizia sul tema della giustizia e delle carceri. Quando sento il premier affermare che amnistia e indulto non sono più necessarie in quanto il problema del sovraffollamento carcerario è stato risolto, ho un sobbalzo. Ma scordavo di essere a soli trenta centimetri dal soffitto quindi prendo una testata che mi fa vacillare. Barcollando scendo dalla branda, mi guardo intorno ma non noto differenze sostanziali rispetto all'anno scorso: la dimensione della cella non è mutata e il numero di occupanti nemmeno. Però statisticamente il numero di detenuti è diminuito, e questo è quello che conta. Mi ricorda molto la faccenda del pollo di Trilussa. È pur vero che se siamo in dieci e abbiamo a disposizione cinque polli, statisticamente ce ne spetta mezzo a testa. Ma è altrettanto vero che se qualcuno si è pappato un pollo intero, statisticamente io resto con la pancia vuota. Bisogna sempre guardare con diffidenza alle statistiche. Claudio Guardo indietro e, nonostante siano stati anni lunghi e pesanti, mi sembra che il tempo sia passato rapido. E mentre ogni cosa nella cella resta ferma, non è così nella mia vita, perché è vero che dipendo dal volere degli altri, però, per vivere, devo metterci la mia volontà. Il carcere, così com'è concepito, pone l'individuo di fronte a un bivio: può divenire università del crimine (con i vari corsi di specializzazione), oppure rappresentare una pausa di riflessione che consente prima di tutto di fare pace con se stessi smettendola di farsi del male, e poi di dare la sterzata decisiva. La prima strada è facile da percorrere, basta lasciarsi trasportare dalla corrente. Le sezioni abbondano di "malati di malavita" che esibiscono fieri la quantità di anni trascorsi in galera, quasi fossero medaglie da appuntare al petto, e fanno proseliti soprattutto tra i giovani che ne subiscono il fascino maledetto fino a diventarne succubi. L'alternativa è molto più impegnativa, perché ci vogliono coraggio, determinazione e forza d'animo per riuscire a trasformare la detenzione in opportunità di cambiamento. Ci vuole soprattutto volontà. Andare controcorrente richiede energia per superare la fatica quotidiana dell'essere "diversi", significa combattere contro le regole non scritte del bravo galeotto, vuol dire anche capire e rendersi conto che la quotidianità non può essere trascorsa nell'ozio a progettare nuovi reati, e nemmeno a lustrare le medaglie dei cattivi maestri. Il carcere è un baratro di miserie, bisogni e solitudini, ma si può ricominciare sempre e dovunque, anche da qui. Quando "da dentro" capiremo che dobbiamo cambiare le regole, allora potremo pretendere di demolire gli stereotipi dell'immaginario comune che alimentano la diffidenza della società civile rispetto al pianeta carcere. Mi considero un cavallo pazzo, quando mi sono trovato al bivio ho scelto la strada più ripida, consapevole, come ha scritto qualcuno, che "solamente quando non avrai più bisogno dell'approvazione degli altri, potrai dire di essere veramente una persona libera". Soimosan Recentemente papa Francesco ha nuovamente affrontato con coraggio il tema delle vittime di abusi da parte dei servitori della Chiesa: "Bisogna saper ascoltare le vittime, è un'occasione preziosa per la via del perdono". Affermazioni che arrivano in un momento particolare, perché giungono in concomitanza con l'occasione che ci è stata offerta in carcere di partecipare a un incontro di un'intensità devastante. Claudia e Irene, la vedova di un carabiniere e la madre dell'assassino, sedute l'una accanto all'altra a raccontarci il percorso che le ha fatte incontrare passando attraverso rabbia, dolore, odio e, infine, perdono. Un perdono totale e profondo, che si è spinto oltre il confine dell'umana pietas. Quando si ascoltano le vittime ci si rende conto che sono inadeguate le parole con le quali parliamo dei reati e della sofferenza. Le parole sono appuntite, irritano, feriscono. Dovremmo imparare a farlo in punta di piedi. È complesso conciliare il rispetto per chi è privato della libertà con il bisogno delle vittime di veder riconosciuto il proprio diritto a non essere offese di nuovo dalla disattenzione, dal silenzio distratto della società. È un equilibrismo che dovrebbe portare alla consapevolezza che l'odio non porta a nulla. Un confronto che può solo fare del bene, anche dentro la sofferenza. Claudia e Irene hanno fondato l'associazione AmiCainoAbele che vuole promuovere la cultura della riconciliazione, una grande lezione di vita. Claudio Parafrasando Bertolt Brecht direi: "Sono seduto dalla parte del torto perché tutti gli altri posti sono occupati". Tuttavia non faccio parte della nutrita schiera di coloro che si sentono vittime della giustizia; sono "solo" vittima di me stesso, dei miei errori, di scelte sbagliate e fiducia mal riposta. Non ci sono migliaia di fan disposti a firmare una petizione per farmi tornare libero, in compenso ho una famiglia meravigliosa che, pur non condividendo le scelte di vita che alla fine mi hanno portato in carcere, non mi ha mai abbandonato per un solo istante, facendosi carico di una sofferenza immeritata. Sono loro sono i miei veri fan, la mia forza interiore. Per questo mi sento libero anche se pare una contraddizione. Sono libero di continuare a sperare in un futuro migliore, libero di pensare, leggere, scrivere, cucinare, pulire. Sono libero di offrire il mio tempo agli altri, a chi ne ha più bisogno. Sono un "diversamente libero", ma fortunatamente la mia non è una disabilità e quindi non ha bisogno dell'altrui compassione, perché presto o tardi le porte si apriranno nuovamente e io ne uscirò arricchito e fortificato da quella che considero la prova più difficile che la vita mi abbia riservato. Carlo Il tempo della mia detenzione è scandito dai nuovi modelli di iPhone. L'ho visto, era appena stato immesso nel mercato, e siamo già alla versione 6. Ogni tanto penso agli sventurati che ho incontrato durante il tour delle carceri. Qualcuno di loro non ha mai toccato le banconote in euro perché quando sono entrati in galera c'era ancora la lira, e non è escluso che quando usciranno esistano solo transazioni elettroniche. Una cosa è certa: non sono questi i rimpianti. È ben altro quello che abbiamo perso. Claudio No, non dimentico il sudore versato per ottenere ciò che ho avuto. Non scordo nemmeno dove sono cresciuto, gli errori che ho fatto, pagato e che ancora mi perseguitano. Ma non è la fine del mondo. Ogni giorno, quando mi sveglio e sto bene, il sole illumina la mia speranza. Ora ho la forza e la costanza per lottare, ho paura ma non tremo; è come un incendio, ma buttando acqua prima o poi lo spegnerò. Il calore di questo fuoco brucia, ma non mi uccide. Mi crea un fastidio incredibile, ma sopportabile. È stato dolce vivere una vita tranquilla, così dolce che non posso dimenticarla, e per questo mi aggrappo con tutte le mie forze ai bei ricordi. Questo è solo il passaggio dal purgatorio, e non tornerò a essere quello di prima, ma sono e sarò quello di ora. Sono le cose più piccole che valgono e insegnano, e dove c'è il cuore li sarà casa mia, nei miei più bei ricordi il più bello sei tu, mia dolce libertà. Issam Il tempo, a volte, è nemico. Bisogna saper attendere con calma anche il più piccolo cambiamento. Correre senza avere i freni adeguati può essere molto pericoloso, figurarsi poi se i freni proprio non esistono. Non mi riferisco a nulla in particolare se non alla dimensione in cui viviamo oggi. Noi siamo un punto di una linea infinita nel quale tutto scorre senza fermarsi mai. Per quanto si voglia modificare questo status le probabilità di riuscita sono molto basse. Si possono innalzare piccole dighe per cambiare il percorso di una persona, così come fanno i castori in natura. Dobbiamo diventare tutti dei piccoli castori per trovare la nostra strada? Probabilmente sì, questa è la giusta via! I castori sono dei professionisti dell'ingegneria fluviale e la dimensione in cui viviamo è come un fiume i cui argini sono troppo alti per andare a riva. Pensieri troppo astratti, ma non troppo, forse, se pensiamo a quanto possa essere difficile oggi trovare concretezza nella realtà quotidiana. La realtà non si affronta da soli e infatti i castori sono un grande esempio di solidarietà operativa incredibile. Inoltre, a pensarci bene, si nutrono della polpa della corteccia degli alberi che si trova ancora facilmente nonostante il selvaggio disboscamento ad opera dell'uomo. Unico problema: i castori saranno felici di essere simili a noi? Carlo Lombardia: l'Assessore Mantovani "chiusura degli Opg, una sfida per la Regione" Italpress, 19 aprile 2015 "La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari rappresenta un vera sfida per Regione Lombardia, che sono certo riusciremo a vincere, come sempre". Lo ha detto il vice presidente e assessore alla Salute di Regione Lombardia Mario intervenendo al convegno Superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ed oltre: psichiatri e giuristi a confronto, nell'Aula Magna del Complesso Universitario di Medicina e Chirurgia, a Brescia. "All'inizio del 2010 - ha spiegato il vice presidente - erano circa 1.400 le persone negli Opg italiani, assistite per la maggior parte in condizioni non appropriate, con la sola eccezione di Castiglione delle Stiviere (Mantova) già organizzato con modello sanitario". "Il processo di superamento degli Opg - ha ricordato Mantovani - si è avviato tra il 2007 e il 2009 in concomitanza con il trasferimento delle competenze di tutta la sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Regioni, tramite norme specifiche. Le leggi 9 del 2012 e 81 del 2014, hanno accelerato il processo in corso, imponendo scadenze imprescindibili per la chiusura degli Opg (31 marzo 2015) e prevendo finanziamenti ad hoc sia sul fronte dell'edilizia sanitaria sia per l'assunzione di nuovo personale". "Purtroppo - ha evidenziato Mantovani - ci sono problemi ad adeguarsi al nuovo sistema indicato dalle disposizioni legislative. Infatti, a Castiglione delle Stiviere l'attivazione delle Rems è in fase di avvio, in quanto sono presenti attualmente circa 220 pazienti, 90 dei quali residenti in Regioni non ancora pronte alla presa in carico dei propri pazienti; ciò significa che fino a quando questo numero non scenderà sotto i 160, come previsto dalla legge, non sarà possibile disporre dei requisiti richiesti per le Rems provvisorie. "Il programma della Regione Lombardia - ha aggiunto - prevede la realizzazione di 8 Rems, delle quali 6 attraverso la riqualificazione dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere della Azienda C. Poma di Mantova, e altre due attraverso il recupero di un edificio ora inutilizzato di proprietà della Azienda Ospedaliera "Guido Salvini" di Garbagnate Milanese. Il programma relativo è stato già spedito al Ministero della Salute". "Visto che la nostra Regione - ha continuato l'assessore - è stata considerata come la realtà italiana che meglio affronta la situazione della dismissione degli Opg, abbiamo accolto la proposta di formulare un piano pilota che preveda un'analisi epidemiologica di quello che avviene su tutti i dimessi in Lombardia. Infatti, dei 110 dimessi nel 2014 da Castiglione delle Stiviere, solo 10 sono tornati in famiglia, mentre gli altri sono stati collocati in strutture territoriali, altre residente psicoterapeutiche etc. È evidente che ci debba essere un controllo della destinazione dei pazienti, una volta dimessi, e il nostro progetto, che una volta affinato potrà essere esportato a livello nazionale, punterà proprio a far luce su questo aspetto". "Nonostante non siano ancora arrivati i 32 milioni di euro che lo Stato deve trasferirci per gli interventi necessari alla fase di transizione - ha concluso Mantovani. Regione Lombardia, comunque, ha già approvato la delibera per l'integrazione del personale della struttura di Castiglione delle Stiviere ai fini della gestione delle 8 Rems provvisorie, che prevede l'assunzione di 39 infermieri, 7 psichiatri, 7 psicologi e 4 educatori o tecnici della riabilitazione psichiatrica. Questo dimostra che l'argomento ci sta a cuore e che la Lombardia come al solito, sta facendo la propria parte". Avellino: detenuto si impicca senza sapere che è stato assolto, è in coma da un mese www.ottopagine.it, 19 aprile 2015 Pietro Bassi, detto Bobby Solo era detenuto a Bellizzi. Drammatica la vicenda accaduta all'ultimo reduce dell'organizzazione mafiosa capeggiata da Salvatore Anacondia, storico boss della mafia Nord barese, di cui Bassi era l'indiscusso braccio destro. Il 57enne Bassi Pietro, noto con lo pseudonimo di "Bobby solo", già condannato per il reato di duplice omicidio e di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estradato dall'Olanda ove era stato catturato su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, dopo un lungo periodo di detenzione nella Casa Circondariale di Bellizzi Irpino era stato da poco trasferito nel Carcere di Frosinone. L'approssimarsi di un nuovo processo penale, da celebrarsi nel tribunale di Trani, aveva ingenerato nell'uomo un profondo stato di angoscia. E così il 25 marzo 2015, dopo aver rinunciato a comparire all'udienza dibattimentale fissata agli inizi di aprile per la sola discussione dinanzi al tribunale di Trani, salito in cella ed approfittato del fatto che gli altri detenuti erano usciti per l'ora d'aria, ha tentato di suicidarsi impiccandosi con le lenzuola legate alla grata della finestra. Il detenuto ha penzolato per circa una quarantina di secondi fino a quando gli insoliti rumori sentiti dal vicino di cella e l'allarme dato, hanno consentito il provvidenziale intervento degli agenti di Polizia penitenziaria. Bassi è stato immediatamente trasportato in gravissime condizioni nell'ospedale di Frosinone dove tutt'ora si trova in stato di coma. Sconvolto il legale di fiducia del Bassi, l'avvocato penalista Rolando Iorio, che non ha avuto neanche la soddisfazione di poter comunicare al proprio assistito, che versa in uno stato di coma, l'esito del processo penale celebratosi dinanzi al Tribunale di Trani, Presidente Dott. D'Angeli, che ha mandato assolto Bassi con formula piena perché il fatto non sussiste. "Questa vicenda" ha commentato il legale, "accende ancora una volta la luce sulla drammatica condizione dei detenuti nel nostro Paese, spesso costretti a vivere in condizioni insopportabili, vittime di pregiudizi e ritenuti colpevoli già prima della celebrazione dei processi". Benevento: detenuto di 80 anni muore in cella, stava scontando l'ergastolo www.ottopagine.it, 19 aprile 2015 Un malore, la corsa al pronto soccorso che si è però rivelata inutile. Non ce l'ha fatta Ettore Bruscella, 80 anni, di Genzano, in provincia di Potenza, detenuto nel carcere di Benevento. Condannato all'ergastolo per aver ucciso la vigilia di Natale del 2011 una donna e due dei suoi figli, per contrasti di vicinato, l'anziano era ospite della struttura di contrada Capodimonte. Tutto è accaduto nella notte, quando l'80enne è stato trasportato al Rummo, dove il suo cuore ha cessato di battere. La salma è stata trasferita presso l'obitorio, a disposizione della Procura. Teramo: Sappe; detenuto tenta il suicidio nel carcere di Castrogno, salvato dagli agenti Il Centro, 19 aprile 2015 Ha tentato di impiccarsi nella cella di Castrogno, dove si trova rinchiuso per reati di droga. È stato salvato in extremis sono stati gli agenti di Polizia penitenziaria, che l’hanno strappato alla morte. È accaduto ieri, alle 15.30, nel carcere di Teramo. Il detenuto, un 45enne italiano, aveva assicurato un lenzuolo alla sbarra della cella e si era stretto il cappio attorno al collo. I poliziotti, intervenuti velocemente, hanno evitato il peggio. L’uomo, medicato in infermeria, già in passato avrebbe compiuto gesti simili. Il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, plaude all’intervento degli agenti e torna a chiedere misure più incisive sul fronte dei detenuti con problemi psichiatrici ristretti a Castrogno, struttura non adatta ad ospitarli. Livorno: 43enne, fermato per ubriachezza molesta, muore due ore dopo in ospedale di Lara Loreti Il Tirreno, 19 aprile 2015 Livorno: un uomo di 43 anni era in piazza Cavour e vagava infastidendo i passanti che hanno chiamato ambulanza e polizia. Alle 00.50 è stato fermato in piazza Cavour, neanche due ore dopo è morto in ospedale. Non ce l'ha fatta Luan Danushi, albanese di 43 anni. Le cause del decesso saranno chiarite dopo l'autopsia, che è stata disposta dal magistrato di turno che sta seguendo il caso. Una storia i cui contorni sono ancora tutti da definire. Il fatto è iniziato in via Ginori davanti al Black Angel. L'uomo, come hanno riferito i passanti e come poi accertato da polizia e ospedale, è apparso in stato di ubriachezza. Al momento dell'intervento - dicono i testimoni - era sdraiato per terra, era molto agitato e urlava frasi sconnesse non in italiano, probabilmente nella sua lingua, dimostrando un atteggiamento aggressivo nei confronti dei passanti. A quel punto, un cittadino ha chiamato la polizia che è intervenuta con due volanti. In quel momento c'erano numerose persone per strada: intorno a via Ginori, infatti, ci sono due sale giochi molto frequentate. E come accertato dalla polizia, c'era diversa gente nelle vicinanze. Danushi sembrava fuori di sé tanto che in un primo momento le pattuglie non sono riuscite a fermarlo. Gli agenti - come spiegano dalla questura - hanno cercato di bloccarlo anche per evitare di prendere calci. E alla fine, con diverse difficoltà, sono riusciti ad ammanettarlo. Lo scopo - sottolineano ancora dalla questura - era di garantire la sicurezza della gente e della polizia stessa. È scattato quindi anche l'allarme al 118, che ha inviato sul posto un'ambulanza della Misericordia di Montenero senza medico: gli altri mezzi erano già impegnati. Alla fine, gli agenti sono riusciti a farlo salire in volante e a bordo della stessa auto di servizio, lo hanno accompagnato in ospedale, scortati dall'ambulanza. A quel punto Danushi è stato affidato alle cure dei medici del pronto soccorso che lo hanno sottoposto alle cure necessarie per gli stati etilici. Ma è stato tutto inutile: alle 2.30 il quarantatreenne è morto per arresto cardiaco. Ma è da chiarire cosa abbia determinato il decesso. Il caso è seguito dalla Procura, in particolare dal pm Giuseppe Rizzo e dal procuratore capo Francesco De Leo. Per il momento non ci sono indagati, è stato aperto un fascicolo contro ignoti con l'ipotesi di reato di omicidio colposo. La data dell'autopsia probabilmente sarà fissata oggi, nel momento in cui ci sarà il conferimento dell'incarico al medico legale. Nato in Albania, Danushi viveva in città da anni: risiedeva in via Calatafimi. E a Livorno aveva anche dei parenti, oltre agli amici. La sua morte lascia tanti punti interrogativi e un vuoto enorme nelle persone che gli volevano bene. Cremona: Sappe; nuovo padiglione del carcere inaugurato due anni fa e già fatiscente di Daniele Rescaglio La Provincia, 19 aprile 2015 "Ma chi ha dato l'agibilità e la vivibilità di questo Reparto? Com'è possibile che una struttura nuova cada a pezzi in pochi mesi?" Inaugurato meno di due anni fa e già mostra evidenti criticità strutturali. È il nuovo padiglione del Carcere di Cremona e a puntare il dito è il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe. "La segreteria Sappe di Cremona ci ha segnalato una situazione ai limiti dell'assurdo. Un Reparto detentivo nuovo di zecca, inaugurato un anno e mezzo fa, che ha palesi ed evidenti criticità strutturali, emerse anche nel corso di una visita delle Camere penali" denuncia il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Parliamo di vaste infiltrazioni d'acqua nelle mura, cancelli e ascensori rotti, addirittura l'ingresso principale danneggiato e non utilizzabile, i posti di servizio dei poliziotti in parte inagibili…. Ma chi ha dato l'agibilità e la vivibilità di questo Reparto? Com'è possibile che una struttura nuova cada a pezzi in pochi mesi?". Capece ne chiede conto al direttore e al Provveditore regionale lombardo delle carceri ed annuncia "che una dettagliata relazione in merito a Cremona sarà inviata al Vice Ministro della Giustizia Enrico Costa, al quale già sono pervenute svariate nostre note con le quali sollecitiamo il cambio alla guida della direzione del carcere considerati i molti eventi critici che si verificano da troppo tempo". Pordenone: la Presidente Serracchiani al ministro "non cancellate il nuovo carcere" Messaggero Veneto, 19 aprile 2015 Il presidente della Regione a Orlando: La gravità della situazione non consente di ritenere accettabile un ulteriore differimento. "La gravità della situazione non consente di ritenere accettabile un ulteriore differimento e men che meno una cancellazione della realizzazione della nuova struttura". Lo ha scritto la presidente della Regione, Debora Serracchiani, in una lettera inviata al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, dopo aver appreso "con preoccupazione" che l'Amministrazione penitenziaria avrebbe disposto la cancellazione dal "piano carceri" della costruzione del nuovo carcere di San Vito al Tagliamento (Pordenone). "La nuova struttura da trecento posti, che in ipotesi dovrebbe sorgere al posto dell'ex caserma Dall'Armi - ha evidenziato la presidente - consentirebbe di risolvere il gravissimo problema legato all'attuale utilizzo del carcere di Pordenone, collocato in una struttura assolutamente fatiscente, la quale pone non solo immaginabili e insostenibili disagi ai detenuti e agli operatori penitenziari, ma anche elevatissimi rischi sotto il profilo della sicurezza". Da qui l'auspicio per un intervento del Ministro "per una soluzione positiva alla questione, anche in considerazione del fatto che la nuova struttura di San Vito "non si aggiunge a quelle esistenti ma sostituisce di fatto l'obsoleto complesso di Pordenone". Caserta: l'Opg di Aversa verso la chiusura dopo 150 anni, diventerà un carcere di Alfonso Pirozzi Ansa, 19 aprile 2015 Sulle pareti delle celle ormai vuote del reparto più isolato le scritte di chi si lamenta del vicino di cella perché "parla con lo sciacquone del bagno", o qualcun altro che si prescrive una dieta alimentare per dimagrire da seguire con attenzione - "tanta acqua e poca pasta" - o ancora chi chiede a se stesso "di farsi coraggio", aspettando che trascorri il tempo dietro una porta blindata. Le stanze dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta), intitolato al medico aversano Filippo Saporito, sono la testimonianza di circa un secolo e mezzo di drammi. Della sofferenza di malati psichici, che si sono resi autori di reati gravi ma anche di di fatti lievi, e delle loro famiglie. L'Opg della cittadina normanna (ha aperto i battenti nel 1876), diretto da Elisabetta Palmieri, così come prevede la legge, dal 31 marzo scorso non accoglie più nuovi pazienti. E nel giro di qualche mese i suoi attuali 86 ospiti (quelli registrati oggi alla matricola) dovranno essere trasferiti nelle residenze per l'esecuzione delle misure sicurezza o nelle strutture intermedie di residenza. Secondo i programmi finora annunciati, l'antica struttura diventerà un carcere a custodia attenuata, ovvero destinato a quei detenuti che non sono particolarmente pericolosi. Circa la metà degli ospiti dell'Opg di Aversa è campana. Gli altri vengono dal Lazio, dalla Lucania, dall'Abruzzo. E secondo la legge dovranno tornare nelle loro regioni e presi in carico dai servizi sanitari locali. In Campania la prima struttura alternativa - si tratta quella di Mondragone, in provincia di Caserta - diventerà operativa solo dalla prossima settimana. Negli istituti di pena, invece, sono già sono state attrezzate le articolazioni per il superamento degli Opg. Si tratta di strutture di accoglienza provvisoria. In passato l'Opg di Aversa, il più antico di Italia, che sorge alle spalle dell'antico castello aragonese ora sede del tribunale e della procura di di Napoli Nord, ha ospitato anche fino a 250 persone. In dieci, negli ultimi giorni, hanno varcato, l'uscita perché hanno scontato la pena oppure è stata revocata la misura di sicurezza a loro carico (che non può avere una durata superiore alla pena edittale) o possono seguire un programma terapeutico individuale nelle case famiglie. Altri, invece, attendono la decisione del tribunale di sorveglianza. Tante storie, una diversa dell'altra, con vicende che hanno segnato non solo l'esistenza dei singoli pazienti ma anche quella dei loro familiari. Sono giovani ed anziani, tra cui alcune persone di discreta cultura, che continuano ad aggiornarsi su tutto e che alla vista dei giornalisti chiedono di fare precisazioni o di avere chiarimenti su notizie di stampa risalenti addirittura a qualche anno fa. C'è chi è dentro per aver ucciso la mamma o chi per aver commesso un furto. Un luogo che a qualcuno dispiace di lasciare: "Qui ho imparato a fare qualcosa - ha confidato un uomo di mezza età dentro per omicidio - quando vado fuori voglio lavorare anche senza soldi, perché non ho affatto bisogno di soldi". Civitavecchia (Rm): il carcere si apre alla formazione sanitaria in ambito psicologico www.ilfaroonline.it, 19 aprile 2015 "L'assistenza psichiatrica nella medicina penitenziaria: criticità cliniche e modelli di intervento per una gestione istituzionale integrata", questo il titolo del Corso di Formazione organizzato per lunedì prossimo 20 aprile dalla Asl RmF proprio all'interno del Carcere di Via Aurelia nord a Civitavecchia. All'incontro, che vede come responsabili scientifici il Direttore Generale dott. Giuseppe Quintavalle e la d.ssa Carola Celozzi del Dipartimento di Salute Mentale della Asl RmF, interverranno la d.ssa Flori De Grassi per la Regione Lazio, il dott. Angiolo Marroni, Garante dei Detenuti del Lazio, la d.ssa Patrizia Bravetti Direttrice dei Penitenziari di Civitavecchia, e la d.ssa Maria Claudia Di Paolo Provveditore per le Carceri del Lazio del Ministero della Giustizia, oltre a numerose autorità scientifiche ed istituzionali. Il corso è stato organizzato per le seguenti discipline e figure professionali: Assistente Sanitario, Psicologo, Medico Chirurgo, Psichiatra, Infermiere e Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica. L'obiettivo dell'incontro è rafforzare la partnership Azienda/Istituzioni/Regione nell'ottica di una progettualità rivolta agli istituti penitenziari di grande interesse come tematica a livello di Regione Lazio. La Asl RM/F è infatti divenuta la Capofila responsabile per le progettualità e la gestione dell'assistenza sanitaria e psichiatrica di tutti gli istituti penitenziari della Regione Lazio. Il Garante dei detenuti della Regione Lazio, l'Ordine degli psicologi del Lazio e il Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria del Lazio hanno infatti recentemente annunciato la firma di un Protocollo d'intesa per riconoscere e garantire il Diritto alla Salute alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, nonché il loro diritto ad usufruire di una presa in carico di assistenza psicologica. Gli obiettivi dell'accordo sono incentrati, in particolare, sulla salvaguardia del diritto del detenuto a poter fruire dell'intervento dello psicologo e sul riconoscimento dell'importanza di tale professionalità nella tutela della Salute negli istituti di pena della nostra regione. Il Protocollo, che resterà in vigore sino al marzo 2018, ha dunque lo scopo di garantire ambiente idoneo allo svolgimento del lavoro di competenza del professionista psicologo, tale da assicurare la messa in opera di azioni di sostegno, attività trattamentali e interventi terapeutici; far collaborare i tre enti, nell'ambito delle rispettive competenze ed autonomie, al fine di riconoscere e garantire il Diritto alla salute alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Padova: carcere Due Palazzi, agente presenta 75 certificati medici in un solo anno www.padovaoggi.it, 19 aprile 2015 Oltre cento giorni di malattia per una guardia penitenziaria del carcere di Padova. Malesseri non gravi, in corrispondenza di ponti e festività. Lo stesso per altri otto colleghi, tutti indagati assieme a quattro medici. Solo nel 2012 avrebbe presentato 75 certificati medici, per un totale di oltre cento giorni di malattia. Le patologie, come riportano i quotidiani locali, andavano dalla dissenteria, alle cefalee, a lombalgie e faringiti, e, casualità, si presentavano puntualmente in corrispondenza di ponti e festività. È solo uno dei nove agenti di polizia penitenziaria indagati per truffa e falso in concorso dal pubblico ministero Sergio Dini. Anche gli altri 8, infatti, pare fossero inclini ad "ammalarsi" con frequenza, sempre con l'avvicinarsi delle feste. Sono i risultati delle perquisizioni avvenute un mese fa ad opera degli agenti della squadra Mobile di Padova, all'interno degli studi di 4 medici, pure questi indagati, con l'accusa di avere rilasciato con troppa facilità quei certificati medici, firmati sempre da loro e, stranamente, mai dai medici di base delle guardie penitenziarie, come di prassi dovrebbe essere. L'ennesima indagine sul carcere Due Palazzi era scaturita dalla prima inchiesta, che a luglio smascherò un giro di droga, telefonini e materiale pornografico tra i detenuti, e che portò all'arresto, tra gli altri, di diversi agenti di polizia penitenziaria. Gli accertamenti degli inquirenti portarono alla luce quelle continue assenze da lavoro, firmate sempre dai "soliti" 4 dottori, le cui certificazioni venivano spesso presentate in ritardo. Uno di loro avrebbe persino staccato i certificati dalla Puglia, dove si era trasferito e da dove era improbabile potesse avere visitato gli agenti. Firenze: Osapp; detenuto si ferisce e poi da fuoco al materasso, 5 agenti aggrediti e feriti Ansa, 19 aprile 2015 un detenuto di origine marocchina di 29 anni, con fine pena nel 2018 per una serie di reati contro il patrimonio, si è ferito alle braccia nel carcere fiorentino di Sollicciano e poi, in infermeria, è andato in escandescenze colpendo prima due agenti penitenziari, poi altri agenti e infermieri cagliando contro anche pc e barelle, per, infine, dare fuoco al materasso una volta rientrato in cella. A renderlo noto è il segretario generale dell' Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), Leo Beneduci. "Sono cinque - dice il sindacalista - i poliziotti penitenziari che hanno dovuto essere accompagnati al pronto soccorso e che, fatte salve eventuali complicazioni, non potranno rientrare in servizio prima di qualche giorno con ciò, se necessario, peggiorando ulteriormente le già grave penuria di organico della struttura e, in conseguenza, le già precarie condizioni di sicurezza esistenti". "Come sindacato da mesi stiamo descrivendo e denunciando quanto sia pericolosa e instabile la situazione del principale istituto di pena della Toscana", aggiunge Beneduci. "Ma la gravità del contesto sembra essere ignorata proprio dai vertici regionale e nazionali dell'amministrazione penitenziaria a cui fa eco la persistente assenza di iniziative e di pronunciamenti dal parte del Guardasigilli Orlando". "Anche riguardo alle iniziative dei cocktail-aperitivi nel carcere delle prossime settimane, su cui la direzione del carcere sembra unicamente concentrata, malgrado le carenze di mezzi e di personale, abbiamo ripetutamente avvisato per iscritto le competenti autorità e persino il sindaco Nardella - conclude Beneduci - perché, come purtroppo insegnano che decine e decine di aggressioni che come poliziotti penitenziari stiamo subendo ogni giorno sul territorio nazionale (e di cui nessuno si interessa) oggi più che mai con il carcere in Italia non si può giocare". Catanzaro: la musica lirica entra nel carcere, protagonista di una giornata da ricordare www.infooggi.it, 19 aprile 2015 Quasi come per incanto ieri il teatro della Casa Circondariale "Ugo Caridi" di Catanzaro si è trasformato in un piccolo "teatro dell'opera", con un programma degno di essere annoverato e ricordato, non solo dai detenuti ma anche degli stessi artisti che vi hanno partecipato e che sono stati i protagonisti di questa indimenticabile giornata. L'evento voluto dall'amministrazione della Casa Circondariale di Catanzaro ed organizzato da Mario Sei, già presidente di Teatro 6, assistente volontario presso la casa circondariale e il M° Giovanna Massara, Presidente dell'Associazione Coro Polifonico SS Trinità, ha entusiasmato tutti i presenti e i vertici della struttura, sempre molto attenti ad organizzare eventi di grande qualità. Oltre al M° Giovanna Massara, presenti anche il M° Amedeo Lobello, docente di pianoforte e sassofono al Conservatorio e due giovani talenti, che alle spalle hanno già diverse esperienze anche a carattere regionale e nazionale, Laura Screnci e Giuseppe Froio. Di tutto rispetto i brani con cui questi artisti catanzaresi hanno estasiato i circa 150 detenuti di Alta Sicurezza presenti alla kermesse, che si è svolta rigorosamente a porte chiuse. Il programma scelto scrupolosamente dal M° Giovanna Massara ha spaziato dalla musica melodica fino alla musica lirica, oltre ad intermezzi di poesie scritte e recitate da alcuni detenuti, preparati da Mario Sei e già vincitori di alcuni concorsi nazionali di poesie in ambito carcerario. Il Programma ha spaziato da Bocelli a Cohel, da Vecchioni a Celine Dion, passando per arie importanti, come Casta Diva, Nessun Dorma, Habanera, Seguidilla, Un bel dì vedremo oltre a due emozionanti Ave Maria, di Schubert e di Gounod ed alcuni pezzi assai noti del premio oscar Ennio Morricone. Giovanna Massara, che vanta un curriculum di tutto rispetto, ha incantato la platea con la sua voce, ma anche i due giovani talenti hanno entusiasmato i tanti presenti con le loro calde e belle voci. Magistrale l'accompagnamento al pianoforte del M° Amedeo Lobello. Una giornata quindi davvero bella ed intensa e resterà certamente vivo il ricordo sia nei detenuti che non hanno risparmiato lunghissimi applausi ma anche negli artisti che hanno avuto modo di vedere con i loro occhi che la musica bella, ma anche le iniziative importanti sono apprezzate anche il quel contesto che per chi non lo conosce è semplicemente da evitare. Con The Prayer i quattro artisti si sono congedati con l'augurio, cosi come dice il testo di questa famosissima canzone, che si possa sognare un mondo senza più violenza… un mondo di giustizia e di speranza. Il direttore della struttura, la dottoressa Paravati, non perde mai occasione di portare oltre i muri e decine di cancelli eventi di qualità, che consentano ai detenuti di "conoscere" realtà che esprimono positività, modelli da imitare, artisti che volontariamente decidono di regalare emozioni a chi non ne avrebbe diversamente la possibilità, se non attraverso l'immaginazione. Gli artisti sono stati premiati con alcuni oggetti in ceramica, creati e decorati a mano per l'occasione da alcuni detenuti e da un decoratissima e gustosissima torta, preparata da alcuni detenuti pasticcieri donata al soprano Giovanna Massara con tanto di note musicali e nome di questa brava artista calabrese. Libri: l'acrobatica missione della Consulta, insegnare giurisprudenza, non "giurispaura" di Antonio Polito Corriere della Sera, 19 aprile 2015 Sabino Cassese racconta i suoi nove anni alla Corte costituzionale. Una volta ho quasi fatto a botte per la Corte costituzionale. Fu nell'ottobre del 2009. La Consulta aveva bocciato il lodo Alfano e Berlusconi andò su tutte le furie. Tra i suoi supporter l'allora ministro della Difesa La Russa si distinse per la veemenza dell'attacco alla Corte, basato sui soliti argomenti, giudici comunisti, inganno e tradimento, violazione della sovranità popolare, ecc. ecc. Alla sera, in un talk show, lo ripresi sostenendo che la Consulta è un organo costituzionale e che un ministro della Repubblica, che alla Costituzione ha giurato fedeltà, non poteva trascinarla così nel fango della lotta politica. La Russa non gradì e alla prima pausa pubblicitaria mi minacciò di ritorsioni fisiche, il moderatore non lo moderò. Leggendo il singolare diario (singolare nel senso letterale, nessuno l'ha mai fatto prima) con cui l'ex giudice costituzionale Sabino Cassese racconta mese per mese i suoi nove anni alla Consulta e i pensieri che gli hanno provocato (Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, il Mulino, pagine 320, € 22, in uscita il 23 aprile), ho trovato il fondamento di quel mio scaldarmi. Il fatto è che, come scrive un collega americano a Cassese per complimentarsi della sua nomina, "we are not final because we are infallible, but we are infallible only because we are final". È la regola del gioco: una democrazia basata sulla divisione dei poteri e sul primato della legge, non potrebbe vivere ordinatamente senza un giudice finale delle leggi che ha l'ultima parola, e senza che tutti l'accettino come tale. D'altra parte l'autore ha sentito spesso usata contro la Corte "l'eco di una concezione rousseauiana del potere pubblico, per cui tutto il potere promana dal popolo e va quindi rispettata la volontà del Parlamento. Ma perché allora - obietta - si è voluta una Costituzione con forza superiore a quella della legge? Perché è stata istituita una Corte costituzionale?". Come se il popolo "non dovesse esercitare la sua sovranità nei modi e nei limiti stabiliti dalla Costituzione". Semmai Cassese è preoccupato del contrario, da un eccesso di judicial modesty che vede nella Corte, una tendenza a dimenticare che "si insegna la giurisprudenza non la giurispaura". "Si sente spesso in Camera di consiglio la frase: non andiamo in contrasto con la volontà del legislatore, non forziamogli la mano... La formula corretta non è dove deve fermarsi la Corte, ma fino a dove si estende la Costituzione, che la Corte è chiamata a difendere". L'autore propende per un ruolo attivo, critica il rifugiarsi frequente nelle decisioni di inammissibilità, "alle quali si ricorre quando non si vuole decidere in un senso o nell'altro", preferisce giudici che davanti a un problema non si chiedano "come ne usciamo", perché pensano che il loro lavoro è decidere e non "uscirne". Non è parco di critiche alla Corte Cassese. Anzi. Scrive che "è una prigione, un mondo incatenato alla tradizione e ai precedenti, anche dove non ce n'è bisogno". È tentato di dar ragione "a quelli che ritengono la Corte italiana una Villa Arzilla... appare in un angolo, gioca di rimessa, quando il pallone arriva è sempre troppo tardi". La sua è una critica serrata che va nel profondo e che si avvale di una costante comparazione con il lavoro delle altre grandi Corti supreme, che Cassese conosce e frequenta come pochi. Ma è una critica che non disdegna di estendersi al fattore umano, ai vizi e ai vezzi dei colleghi, alla loro competenza, capacità di studio, impegno lavorativo, coraggio intellettuale. Memorabile una pagina del nono anno del diario in cui descrive per bozzetti, uno a uno, i suoi "compagni di viaggio". Mancano i nomi, ma è come se ci fossero. Severo è l'autore anche con certe prassi, come quella di eleggere presidente sempre il più anziano, quello al quale resta meno tempo nella Corte, così indebolendo gravemente la credibilità dell'organo e autorizzando il sospetto che, piuttosto che per difendere la collegialità, la vertiginosa rotazione (nove presidenti nei suoi nove anni) serva la vanità e gli emolumenti dei giudici. Non di Cassese, però, che chiese esplicitamente al collegio di non essere eletto quando fu il suo turno, con una lettera che pubblica nel libro. Sono anni difficili quelli che Cassese racconta, anni in cui la Consulta ha dovuto decidere sulla legge elettorale, sui referendum, sulla procreazione assistita, sul caso Englaro, sul conflitto tra Napolitano e la Procura di Palermo, e contemporaneamente su una pletora di questioni minori, dai diritti e privilegi delle corporazioni pubbliche fino alla "certificazione dell'Azienda sanitaria per la movimentazione del bestiame". Lo spirito, la cultura giuridica, la mole di informazioni che sulle decisioni della Corte questo libro fornisce al lettore danno ragione all'autore per non aver seguito l'esempio di Giuliano Vassalli, che nel 2006 scrisse: "Dei nove anni in cui fui giudice alla Corte non mi sembra sia il caso di scrivere". Cassese ha scritto e senza violare alcuna regola. Il suo libro fissa dunque un precedente. Per una Corte che non ha un archivio, le cui sedute sono segrete, che non prevede la pubblicità della dissenting opinion, in cui una formale incomunicabilità con la stampa convive con l'opacità delle veline, il libro di Cassese è una ventata di aria fresca da ispirare, e su cui meditare. Il diritto alla pace come fondamento di tutti i diritti. L'appello del volontariato di Luca Liverani Avvenire, 19 aprile 2015 Sì a corpi civili e a politiche nuove: 70 le firme dei parlamentari. Focsiv-Volontari nel mondo lancia un appello al Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, al Governo italiano e all'Unione europea. Un progetto ambizioso, che mette in discussione il tradizionale diritto alla sovranità e alla guerra delle nazioni, ma che poggia sul robusto impianto giuridico e sulla mobilitazione del Centro per i diritti umani e la pace dell'Università di Padova: oltre 300 enti locali, tra cui cinque regioni, hanno già approvato delibere sullo ius pacis. La pista scelta per far decollare l'appello è il Festival del volontariato che si chiude oggi a Lucca. E il progetto della Focsiv incassa già un primo risultato: il sostegno dell'intergruppo parlamentari per la pace, 70 tra deputati e senatori di Sei, Pd, M5S e dell'area di Scelta civica. "L'appello della Focsiv sarà il testo base - promette il coordinatore Giulio Marcon, deputato di Sei - per una mozione trasversale che sia un atto di indirizzo per politiche di pace". Alla tavola rotonda su "Volontariato e pace, il ruolo dei volontari nelle situazioni di conflitto " è il presidente della Focsiv Gianfranco Cattai a presentare l'appello. "Cento anni fa la prima guerra mondiale ha lasciato sul campo più di 10 milioni di morti e 20 di feriti e mutilati", si legge nell'appello. Poi centinaia di altre guerre "hanno causato più di 200 milioni di vittime". Oggi "gli interessi economici, i fondamentalismi religiosi e la cultura dello scarto continuano a fare vittime". È dunque tempo per "creare una cultura che fermi il dilagare delle violenze" e valorizzi "i volontari internazionali che quotidianamente lavorano per la pace". La Focsiv sottolinea "l'opportunità storica di inscrivere formalmente la pace tra i diritti umani internazionali internazionalmente riconosciuti". "Viviamo in un tempo in cui si cancellano i nomi per non vedere la realtà - sottolinea Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e moderatore dell'incontro - che è quella di una Guerra Mondiale combattuta a pezzi, come è riuscito a farci vedere Papa Francesco. I volontari si impegnano per non cedere alla logica dell'odio dei mercanti di armi". Monsignor Joachim Ouedraogo, vescovo del Buriana Faso, sottolinea come "per l'educazione alla pace servono passerelle tra i popoli, tra le culture e anche tra i volontari". Ad avviare la campagna per il diritto alla pace è stato il Centro di Padova diretto dal professor Antonio Papisca. "La pace è al centro di una contesa tra il vecchio diritto internazionale della sovranità degli Stati e il nuovo diritto internazionale fondato sulla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Uno ius "umano-centrico" con principi vincolanti. Il Consiglio diritti umani dell'Orni ne sta discutendo. Ambienti diplomatici ci dicono che il problema è il traffico di armi. Dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni avevamo avuto assicurazioni sull'impegno del nostro ambasciatore. L'Italia esca dal limbo". Il governo italiano può fare anche altro. Il volontariato chiede di stabilizzare i Corpi civili di pace. E raccoglie firme per una legge che istituisca il Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta, che metta insieme Protezione civile, Vigili del fuoco, Corpi civili di pace e un istituto di ricerca ad hoc. Perché se vuoi la pace, prepara la pace. Immigrazione: su quei barconi galleggiano le bugie dell'Europa di don Francesco Soddu (Direttore Caritas Italiana) Il Garantista, 19 aprile 2015 Il vecchio continente si proclama paladino dei diritti umani, ma esternalizza il dolore di chi soffre e lo tiene lontano dai suoi confini. La drammatica conta dei migranti morti in mare sembra non arrestarsi. Sono migliaia le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l'Europa. Una situazione che sta mettendo in crisi le già deboli politiche migratorie europee. L'idea di un'Europa inespugnabile sta barcollando sotto i colpi di una umanità disperata che in fuga dai propri paesi sta mostrando il volto peggiore degli effetti della globalizzazione. Iniquità, conflitti, ideologie sono i fattori che determinano il costante aumento dei flussi di profughi verso il continente europeo. E guai a pensare che tutto questo si potrà evitare solo perseguendo i trafficanti. È una scorciatoia che non produce alcun effetto. I trafficanti, infatti, sono il prodotto di scarto di politiche di chiusura verso i migranti e i rifugiati che pur di trovare una soluzione alla loro precarietà esistenziale si mettono nelle mani di chi lucra sul loro destino. Senza contare che, dopo Mare Nostrum, l'operazione Triton non sta aiutando certo a migliorare la situazione. Il dibattito europeo sulle migrazioni che attraversano il Mediterraneo si presenta confuso, fazioso, ammantato da una terminologia allarmistica che non aiuta a comprendere l'essenza di questi avvenimenti. Emergenza sbarchi, morti in mare, emergenza accoglienza sono le immagini di chi pretende di descrivere questo fenomeno con l'occhio del cittadino del nord del mondo senza interrogarsi più di tanto sulla natura del fenomeno, le sue cause, le politiche - se vi sono - per affrontarla. Suscita anche grande scalpore quanto riferito da alcuni migranti scampati al naufragio a proposito di persone gettate in mare dagli stessi compagni di viaggio solo perché cristiane. Un ulteriore elemento che complica il già critico quadro internazionale che vede le atrocità dell'Isis e una crescente propaganda di odio mascherata da motivi religiosi, che produce persecuzioni e uccisioni in molte zone, dal Medio Oriente all'Africa. Ma esistono anche episodi opposti di comunione e collaborazione. Come la storia di Lamin, un ragazzo di diciannove anni, arrivato in Italia dal Gambia nel giugno scorso. Insieme ad altri 28 giovani migranti ospiti al Santo Curato d'Ars di Falsomiele, un quartiere di Palermo, ha deciso di dare una mano ad accogliere i migranti che sempre più spesso sbarcano in città. "Ho deciso di ricambiare l'aiuto che mi è stato dato al mio arrivo a Palermo dando una mano agli operatori Cari-tas durante gli sbarchi al porto e nella gestione dell'ospitalità ad altri migranti. Voglio insomma ricambiare ciò che voi italiani state facendo per me". Non dobbiamo dunque lasciare spazio a strumentalizzazioni. Nel condannare con fermezza tutte le violenze, ricordiamo sempre il monito di Papa Francesco: "La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano". L'Europa sembra incapace di reagire perché vittima di una idea anacronistica di territorio e di confine. Da un lato si presenta come paladina dei diritti umani, dall'altro promuove politiche di esternalizzazione volte a tenere lontano dai confini europei i migranti e tutto il loro carico di dolore e di speranza. Non si tratta più solo di prevedere fondi comunitari a cui attingere per calmierare l'emergenza, bensì di andare incontro a un fenomeno in costante mutamento che chiede con urgenza e senza ulteriori rinvii una riflessione di sistema proprio sulla mancanza di programmazione di interventi sinergici e congiunti a livello europeo, per mettere in atto quei "canali umanitari" che consentono a coloro che comunque arriveranno in Europa di non rischiare costantemente la vita come sta accadendo in queste ore. Pensare all'attuazione di canali umanitari significa, cioè, anzitutto fare delle scelte politiche precise, scaturite dalla presa di coscienza che gli investimenti sul fronte del controllo delle frontiere e del contrasto all'immigrazione irregolare non sono evidentemente né sufficienti né tantomeno adeguati a gestire la richiesta di protezione internazionale. Peraltro i trafficanti e i migranti stessi, hanno una capacità di ridefinirsi nel progetto e nelle rotte migratorie che stupisce e spesso lascia del tutto impreparati. Una delle preoccupazioni che stanno davanti ai governi in questo momento riguarda l'aspetto economico, di ordine pubblico o di sistemazione dell'emergenza. In questo modo si indeboliscono, però, le politiche di accoglienza e soprattutto si rischia di non puntare sui diritti umani fondamentali. Sarebbe, invece, auspicabile una strategia a medio termine, che coinvolga anche i governi dei paesi di provenienza dei migranti in modo che diventino partner affidabili, capaci di porre i diritti umani al centro del loro operato. Mentre nel breve termine è difficile poter pensare ad altro se non a ragionare su come garantire a chi riesce ad arrivare sulle nostre coste in questi mesi una tutela e un'accoglienza dignitosa. Come ci ricorda la risoluzione dell'Europarlamento dello scorso 23 ottobre 2013, la legislazione comunitaria prevede ad es. alcuni strumenti che consentono il rilascio di visti umanitari. L'ingresso legale nell'Ue è sempre preferibile all'ingresso irregolare. Quest'ultimo, infatti, presenta maggiori rischi, anche con riferimento al grave fenomeno della tratta di esseri umani e alla conseguente perdita di vite umane. C'è bisogno di strumenti che costituiscano una "una risposta vera e propria" di "un'Unione Europea basata sulla solidarietà e sul sostegno concreto", come ha affermato la Commissaria europea per gli Affari interni Cecilia Malmstrom, all'indomani dell'istituzione della Task-force Mediterraneo. Ad oggi sono oltre 15mila i profughi transitati in Italia nei servizi della Caritas che in questi giorni sta garantendo più di 5mila posti in accoglienza. Peraltro, parallelamente ad inizio 2015 sono ufficialmente partiti i progetti Sprar approvati con il bando triennale 2014-2017, ed una quota rilevante di migranti giunti e salvati via mare è stata ed è attualmente ospitata anche attraverso quel circuito ordinario di accoglienza, di cui fanno parte numerose Caritas diocesane attraverso i loro enti gestori. Va infine rilevato che oltre all'accoglienza diretta, consistente nella messa a disposizione di vitto, alloggio, servizi alla persona, ecc., altre Caritas diocesane hanno optato per un tipo diverso di impegno, scegliendo di mettere a disposizione appositi servizi di orientamento, di lingua, di inclusione per i migranti ospitati da strutture di accoglienza dotate di minore esperienza nella gestione delle problematiche dei richiedenti asilo. È uno sforzo straordinario reso possibile dalla costante collaborazione con le istituzioni e dall'intenso lavoro e abnegazione di operatori e volontari che quotidianamente cercano di restituire dignità e futuro a queste persone, cercando nel contempo di non aggravare la situazione e i disagi che sperimentano anche le comunità di accoglienza. Come ci ha ricordato Papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2014, "lavorare insieme per un mondo migliore richiede il reciproco aiuto tra Paesi, con disponibilità e fiducia, senza sollevare barriere insormontabili. Una buona sinergia può essere di incoraggiamento ai governanti per affrontare gli squilibri socioeconomici e una globalizzazione senza regole, che sono tra le cause di migrazioni in cui le persone sono più vittime che protagonisti. Nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a questo fenomeno, che è così ampio da interessare ormai tutti i Continenti nel duplice movimento di immigrazione e di emigrazione". Immigrazione: l'Unione europea si tira indietro… e Roma sta a guardare di Carlo Lania Il Manifesto, 19 aprile 2015 Che l'Europa si stesse preparando a battere in ritirata sul fronte dell'emergenza immigrazione lo si è capito chiaramente giovedì, quando la portavoce del commissario Ue per l'immigrazione Avramopoulos, pur riconoscendo che la situazione degli sbarchi dei profughi è destinata ad aggravarsi a partire già dalle prossime settimane, ha alzato le braccia davanti all'impotenza della commissione europea. "Dobbiamo essere franchi - ha detto - la commissione non può fare da sola, non abbiamo la bacchetta magica". Mancano i soldi (anche se solo qualche giorno fa proprio Avramopoulos aveva negato che il problema fosse economico) ma manca - ha aggiunto la portavoce - soprattutto la volontà politica di intervenire da parte di alcuni governi. La conferma del disinteresse di Bruxelles è arrivata venerdì, quando fonti diplomatiche dell'Ue hanno riconosciuto la mancanza di un "consenso per rafforzare Triton", la missione europea impegnata nel Mediterraneo. Il problema - hanno spiegato - è la Libia dove l'assenza di un governo di riferimento rende impossibile arginare le partenze dei barconi. Ma anche la crisi siriana e quella irachena, che contribuiscono non poco ad alimentare il fiume di disperati che cercano salvezza da questa parte del mare. Per domani infine è in programma il vertice dei ministri degli Esteri dei 28 a Lussemburgo dove la rappresentante della politica estera dell'Ue, Federica Mogherini, presenterà un documento con le proposte per avviare un processo di stabilizzazione in Libia, ma c'è da scommettere che qualunque decisione verrà presa difficilmente cambierà qualcosa per i migranti, che continueranno così a rischiare la pelle nel canale di Sicilia. La realtà è che l'Italia è sola a fronteggiare un dramma che riguarda centinaia di migliaia di persone. E a peggiorare le cose c'è il fatto che il governo anziché prendere in mano la situazione - come fece il governo Letta nel 2013 - continua ad appellarsi a Bruxelles sapendo che difficilmente riuscirà ad ottenere più di quanto avuto finora, ovvero il via libera a una missione come Triton della quale oggi tutti riconoscono i limiti. Ma che il ministro degli Interni Alfano salutò a suo tempo come un successo del nostro Paese che aveva finalmente costretto l'Europa ad assumersi le sue responsabilità. Gli oltre diecimila profughi arrivati negli ultimi giorni (700 solo ieri) dimostrano che le cose non stanno affatto così, e che anzi sono destinate a peggiorare vista la violenza dimostrata dagli scafisti, pronti a tutto pur di riprendersi i barconi fatiscenti sui quali costringono a viaggiare i profughi. E a poco servono gli appelli rivolti puntualmente all'Ue dalla presidente della Camera Laura Boldrini o dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che si è anche detto "imbarazzato" per l'immobilismo di Bruxelles. Appelli ai quali da ieri si sono aggiunti anche quelli autorevoli del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di papa Francesco, concordi nel chiedere all'Europa un impegno deciso per fermare quella che il capo dello Stato ha definito come una "continua perdita di vite umane nel Mediterraneo". Stragi che purtroppo sono destinate a ripetersi se Roma e Bruxelles continueranno a rimpallarsi il problema. Aspettare che si risolvano le crisi in Libia, Siria e Iraq per intervenire in aiuto di coloro che proprio da quelle crisi fuggono, significa solo perdere ancora tempo prezioso.