Il Papa ce lo ricorda spesso, non ci sono persone "cattive per sempre" Il Mattino di Padova, 13 aprile 2015 "Per il vostro bene vi chiedo di cambiare vita": è l'appello che Papa Francesco lancia, nella Bolla di indizione del Giubileo, agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. "Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore". Le parole del Papa ci ricordano che non ci sono persone condannate a essere "cattive per sempre". Anche se così si sentono i detenuti della sezione di Alta Sicurezza di Padova, che sta per essere smantellata: per loro e per le loro famiglie si tratta di una terribile mazzata, perché a Padova ci sono, a detta di tutti, condizioni molto più umane. Quelle che seguono sono le testimonianze di detenuti che, dopo anni passati in carceri di massima sicurezza lontano dalle famiglie, sono arrivati a Padova, dove sono riusciti a ricostruire i legami spezzati e a dare un senso alla loro carcerazione, ma ora pare che chiuderanno davvero la sezione di Alta Sicurezza, e chi vi è rinchiuso verrà trasferito, a Parma, a Sulmona, a Asti, a Opera, in Sardegna, e perderà di nuovo quel po' di umanità che aveva ritrovato. Qui a Padova ho incominciato a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare Mi chiamo Giuseppe Zagari e da circa cinque anni mi trovo in questo istituto di Padova dove ho intrapreso un percorso molto importante nella redazione di Ristretti Orizzonti, mettendomi in gioco e facendo autocritica del mio poco piacevole passato. Ora sento dire che la sezione in cui mi trovo sarà chiusa e tutti i detenuti saranno tradotti. Non so, per questo mi domando e vi domando, cosa deve fare un uomo per dimostrare che non è più ciò che è stato un tempo? che le sue vedute vanno oltre a quelli che sono i limiti che lo caratterizzavano fino a quando non ha finalmente incominciato a vedere un barlume di speranza grazie al percorso citato? Durante alcuni convegni sono intervenuto dando testimonianza della mia storia umana e giudiziaria, cosa non facile visto l'ambiente in cui mi trovo, ma grazie a Ristretti Orizzonti sono riuscito a esternare ciò che non avrei mai potuto fare se non mi fosse stata data questa possibilità. Ho incominciato a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare, dando a mia volta speranza alla mia famiglia che da ormai ventiquattro anni mi segue in questo inferno senza fine. Il rammarico più grande non è di per sé la fine di questo mio percorso, ma la delusione che darò ancora una volta alla mia famiglia. Certo ciò non dipende da me, ma mi sento comunque responsabile di dare ancora una volta prova dei miei fallimenti. Non solo io ho creduto che la giustizia possa in qualche modo venire incontro a chi dopo tanti anni di solitudine e pene varie abbia intrapreso una via diversa, ma anche la mia famiglia, viste le possibilità che si sono presentate in questo istituto, ha incominciato ad avere un po' di pace nel cuore. Sarebbe un nuovo trauma per i miei cari vedermi catapultato in un altro pozzo senza fondo. Giuseppe Zagari Ancora una volta condannato Sono Tommaso Romeo e sono detenuto ininterrottamente dal 27 maggio del ‘93. Il mio fine pena è 9999. Da giugno del 2009 mi trovo nella casa di Reclusione di Padova, nella sezione AS1, dove sono arrivato dopo aver trascorso sedici anni di carcere, di cui otto sottoposto al regime del 41 bis. In quei sedici anni non avevo mai incontrato un giudice di sorveglianza, ammetto che allora vedevo tale figura come un nemico, e per quanto riguarda gli educatori e i volontari, non solo non li avevo mai incontrati, ma nemmeno sapevo della loro esistenza. Esco dal regime del 41 bis che avevo perso l'affettività della mia famiglia per colpa di quel maledetto vetro che ai colloqui mi toglieva la possibilità di dare una carezza alle mie figlie. Mia moglie cade nell'inferno della depressione. Arrivo nel 2009 a Padova con dentro un bel po' di rabbia, ma subito ho il colloquio con l'educatrice che mi consiglia di iscrivermi all'università e così faccio, anche se avevo grande difficoltà, non riuscivo più a esprimermi dopo il lungo periodo di isolamento del 41 bis; mi ha aiutato molto pure l'incontro con i volontari, quel poco tempo che dialogavo con loro mi aiutava ad avvicinarmi alla società esterna. Anche la possibilità di telefonare una volta a settimana ai miei familiari e poterli riabbracciare ai colloqui mi ha dato molta serenità. Comincio allora ad avere un'altra visione, così mi decido a fare la prima richiesta a conferire con il giudice di sorveglianza, in poco tempo accetto volentieri il reinserimento, tanto che quando mi viene proposto di partecipare al gruppo di discussione di Ristretti Orizzonti e al corso di scrittura accolgo con gioia questa proposta, adesso sono tre anni che frequento queste due attività che mi hanno aiutato ancora di più a riavvicinarmi alla società esterna, sono riuscito a superare gli strascichi lasciatimi dal lungo periodo del 41bis tanto da dare due esami all'università. Dopo quasi ventitré anni di carcere finalmente sono arrivato a buttare via tutta la mia rabbia e vedo il mio futuro passo dopo passo verso la speranza di uscire da uomo sereno e cambiato, ma invece arriva la notizia di questo trasferimento. Se accadesse ciò significherebbe perdere, oltre alla speranza, tutto il percorso di reinserimento, e la mia paura più grande è di ritornare indietro di vent'anni pieno di rabbia e senza un futuro. Tommaso Romeo L'esperienza di Ristretti Orizzonti per un detenuto di una sezione di Alta Sicurezza Qualche volta, mentre mi recavo al passeggio, volgevo lo sguardo verso quel corridoio, dove c'è la redazione di Ristretti Orizzonti, la mia era più che altro una curiosità. Volevo capire, ma per quanto uno possa avere anche una fervida fantasia, non potrebbe minimamente immaginare cosa c'è dentro quel piccolo grande mondo. Io provenivo dal carcere di Milano Opera, dove nel circuito dell'Alta Sicurezza non era consentito nessun tipo di attività, si doveva stare in cella venti ore al giorno chiusi. Ma a dirla tutta in questi ventinove anni di carcere non c'è stata una grande differenza tra gli innumerevoli istituti in cui sono stato detenuto. Eccetto Padova! Arrivare nel carcere di Padova è stato come se mi avessero catapultato in un altro mondo. Purtroppo è così, anche le cose più semplici ti sconvolgono quando vivi in un ambiente chiuso, e vieni a essere plasmato da quell'ambiente, e proprio i fattori ambientali prevalgono soprattutto in situazioni di costrizione, e ti annullano, nel senso che non riesci a vedere oltre. In maniera diametralmente opposta è stato l'approccio nel carcere di Padova. Infatti, a parte i vari corsi frequentati e l'aver ripreso gli studi universitari, la vera svolta è stata quella di essere stato autorizzato a far parte della redazione della rivista "Ristretti Orizzonti". È un'esperienza per davvero notevole sia sotto il profilo personale sia sotto il profilo relazionale. Giorno dopo giorno scopro nuove dimensioni. Un momento di grande importanza sono le riunioni di redazione, dove si discutono i temi da affrontare poi sulla rivista. Ci si confronta nel rispetto della libertà di opinione, qualunque essa sia trova sempre il suo spazio. Questo tipo di organizzazione ti accompagna a farti accettare l'altro in ogni sua dimensione, un approccio che non trova facilmente riscontro all'interno del carcere, proprio perché il carcere ha delle sue dinamiche difficili da rimuovere, mentre in quello spazio sembra la cosa più naturale che possa esserci, come d'altronde dovrebbe essere affinché si possa sperare che il carcere svolga la sua funzione rieducativa. Il momento più coinvolgente è l'incontro con gli studenti previsto dal progetto "Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere", durante il quale, a parte il confronto che si ha con i ragazzi, c'è sempre un profondo momento di riflessione. È inevitabile, poiché avere di fronte decine di studenti che ascoltano e chiedono ti rende responsabile anche della loro formazione culturale. Una situazione per davvero strana, coinvolgere in un compito così oneroso chi rappresenta nell'immaginario collettivo quella parte di società considerata "peggiore per sempre". Ecco che ti trovi davanti a un mondo nuovo, quel mondo che non potevo mai immaginare che si celasse proprio nelle stanze di quel corridoio cui volgevo sempre il mio sguardo. Un corridoio di un carcere! Nella redazione non mancano gli incontri con personalità della società civile, sono spazi di cultura che ti arricchiscono in tutti i sensi. Ultimamente ne abbiamo avuto uno con l'ex direttrice del carcere di Bollate, Lucia Castellano, in cui lei ha definito la redazione di Ristretti Orizzonti "la goccia cinese" che cade inesorabile sulla testa dell'amministrazione, ovvero una specie di tortura. Una tortura per chi non vuole capire il lavoro, le rivendicazioni, gli obiettivi e le finalità utili per cambiare la vita delle persone detenute. Ma anche una tortura per chi difende il pregiudizio, il sospetto e l'ignoranza. In quella "goccia" ho la fortuna di esserci anch'io: è un onere dal quale non vorrei esimermi… e speriamo che me la cavi riuscendo a restare a Padova! Giovanni Donatiello Chiusura delle Sezioni A.S. a Padova. Il parere dell'avvocato Annamaria Alborghetti Il Mattino di Padova, 13 aprile 2015 Ad Annamaria Alborghetti, della Camera Penale di Padova, abbiamo chiesto che cosa può fare una persona detenuta per tutelare i suoi diritti, in una situazione come quella di Padova, dove la chiusura delle sezioni di Alta Sicurezza sta provocando disagi, sofferenza, anche disperazione. A mio parere è possibile proporre reclamo ex art. 35 bis e 69 6° comma O.P. contro i trasferimenti dell'AS. La legge dà al Magistrato un ampio potere di intervento di fronte all'accertata violazione di diritti garantiti ai detenuti dall'Ordinamento penitenziario. Infatti, di fronte all'inosservanza da parte dell'Amministrazione di norme da cui derivi al detenuto un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti, il Magistrato, accertata la sussistenza e l'attualità del pregiudizio, ordina all'Amministrazione di porre rimedio entro un determinato termine. Nel caso dei trasferimenti in questione per molti detenuti si profilano più violazioni. Innanzitutto l'art.13 che prevede il trattamento individualizzato nonché l'art 14 secondo cui le assegnazioni ai singoli istituti sono disposte tenendo conto delle modalità del trattamento. E a proposito del trattamento, c'è da tener presente che la Corte Costituzionale ha più volte ribadito il divieto della regressione incolpevole del trattamento penitenziario. Francamente sembrava che il Dap volesse far proprio tale principio, tanto da metterlo nero su bianco nella circolare del 2014 che riguarda, appunto, i trasferimenti di detenuti e dove si dice che va rispettato il principio della non regressione del trattamento. Ma in quella circolare si dice anche che non possono essere trasferiti i detenuti che frequentano corsi scolastici, professionali e che svolgono attività lavorativa stabile. Ritengo, quindi, che vengano violate le norme che garantiscono e tutelano il diritto allo studio e il diritto al lavoro (artt.19 e 20). Nel momento in cui il detenuto perde il lavoro non per motivi disciplinari o per ragioni che riguardano il datore di lavoro, il suo licenziamento è illegittimo. Da tale violazione scaturiscono tutta una serie di altre violazioni, quale l'obbligo di assistenza familiare, etc. Ma il dato sicuramente più rilevante è che nessuno degli istituti di destinazione è in grado di garantire la continuità del trattamento. E, paradossalmente, ce lo dice proprio il Dap: basta leggere le schede degli istituti pubblicate sul sito del Ministero! A Parma, piuttosto che ad Asti, nelle sezioni di Alta Sicurezza non esiste quasi lavoro, e sono pressoché assenti le attività trattamentali. Quindi credo che ci sia ampio spazio per sostenere che vi è violazione dei diritti garantiti dall'Ordinamento Penitenziario. Come Camera Penale di Padova abbiamo inviato un comunicato alla stampa locale in cui stigmatizziamo la decisione del Dap. Abbiamo inoltre segnalato la gravità del caso all'Unione Camere Penali Italiane, chiedendo un intervento deciso da parte del Presidente e credo che vi sarà un incontro con il capo del Dap. Chiusura reparto A.S. Casa di Reclusione di Padova: comunicato dopo l'incontro al Dap Il Mattino di Padova, 13 aprile 2015 Al Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Dott. Santi Consolo Al Vicecapo Dipartimento Vicario Dott. Luigi Pagano Al Direttore della Direzione generale dei detenuti e del trattamento dott. Roberto Calogero Piscitello Al Direttore Ufficio detenuti alta sicurezza Dott. Federico Falzone Largo Luigi Daga, 2 00164 Roma Il 10 aprile mattina presso il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria le SS.LL. hanno prontamente incontrato una rappresentanza delle attività trattamentali in corso presso la Casa di Reclusione di Padova, sul tema della chiusura del Reparto Alta Sicurezza e il relativo trasferimento dei detenuti interessati. L'incontro è stato collaborativo e costruttivo. Due sono i punti principali su cui il Capo del DAP ha dato ampia e convinta disponibilità per una attenta verifica: 1. rivedere la modalità di declassificazione dei detenuti di AS. A questo proposito il Capo del DAP Santi Consolo ha evidenziato che in caso di detenuti con pena definitiva la raccolta delle informazioni dagli organi competenti non può basarsi su formule stereotipate e deve tenere presente il loro percorso rieducativo e ciò che queste persone detenute sono oggi e non 15/20/30 anni fa; 2. riverificare le singole posizioni di tutti i detenuti impiegati alla luce delle attività nelle quali sono stabilmente impegnati: scolastiche, lavorative, formative, occupazionali in genere, culturali, editoriali e religiose. I sottoscritti ringraziano della disponibilità delle SS.LL. alla verifica che quanto costruito in tanti anni con fatica e attraverso l'investimento di notevoli risorse economiche e umane, da parte dell'Amministrazione Penitenziaria in primis, dall'Università di Padova, dagli Istituti scolastici Gramsci e Parini, dal Cappellano del carcere assieme alla Diocesi, dagli enti pubblici locali (Comune di Padova, Regione Veneto, Azienda Ulss 16, Azienda Ospedaliera, Fondazioni, imprese private, etc.), assieme a tante associazioni, cooperative sociali, volontari non vada perso. Tutto questo patrimonio, che appartiene a tutta la società, non può andare distrutto. Patrimonio che non è solo fatto di attività, ma soprattutto di rapporti affettivi e famigliari ritrovati, di dignità riacquistata magari dopo molti anni di carcere o addirittura acquistata per la prima volta, di rapporti umani finalmente veri. Non parliamo perciò ancora una volta solo di chi ha sbagliato e sta pagando, ma anche di chi per anni assieme a loro sta scontando una pena e cioè i loro genitori, le loro mogli ed i loro figli. Ringraziando di cuore per la disponibilità a verificare che tutti i percorsi trattamentali iniziati non vengano interrotti, rimaniamo a completa disposizione per quanto può essere di nostra competenza. Con i migliori saluti. Sottoscritto da: Polo universitario dell'Università di Padova - Casa di Reclusione Istituto Einaudi-Gramsci Sezione carceraria Centro Territoriale Permanente G. Parini Sezione carceraria Cappellano del carcere Diocesi di Padova Redazione di Ristretti Orizzonti Associazione Operatori Volontari Carcerari Associazione Granello di Senape Associazione Antigone (sezione Veneto) Consorzio sociale Giotto Cooperativa sociale Altra Città Cooperativa sociale Volontà di Sapere Cammino Neocatecumenale Aurea Dissegna (Garante delle persone ristrette nelle libertà personali del Veneto). Giustizia: i riflettori sui magistrati di Ilvo Diamanti La Repubblica, 13 aprile 2015 Il Presidente Mattarella dopo il massacro avvenuto al palazzo di Giustizia, a Milano, ha lanciato un messaggio esplicito. Contro la campagna di discredito che, da tempo, investe i magistrati. Come, d'altronde, Gherardo Colombo, in passato pm di "Mani pulite", e il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli. D'accordo nel denunciare il clima di rabbia e di veleni, non estraneo all'azione criminale dell'assassino. Il quale, non per caso, ha individuato il "luogo" responsabile del proprio fallimento (in senso letterale) proprio nel palazzo di Giustizia. Dove ha ucciso il giudice Ciampi e altre due persone (tra cui un avvocato). Naturalmente, non è possibile ricondurre a ragioni sociologiche comportamenti criminali, che hanno radici largamente patologiche. Tuttavia, l'idea che esista un clima d'opinione sempre meno favorevole ai magistrati e al sistema giudiziario è sicuramente fondata. E il ri-sentimento verso l'ambiente della giustizia è, anzi, cresciuto negli ultimi tempi. È lontana l'epoca di Tangentopoli, quando, nei primi anni Novanta, gli italiani affidarono a pm e giudici il compito di decapitare (metaforicamente) la classe politica che aveva governato l'Italia repubblicana fino ad allora. Corrotta e delegittimata. Giudici e pm divennero, allora, gli esecutori della "volontà popolare". In quegli anni, la fiducia nei loro confronti si avvicinò al 70%. Senza grandi differenze di schieramento politico. Pochi anni dopo, però, questo atteggiamento divenne più tiepido e sicuramente meno trasversale. Soprattutto perché l'interprete principale della nuova stagione (anti) politica, Silvio Berlusconi, insieme a Forza Italia, venne coinvolto da indagini e inchieste "giudiziarie" compromettenti. E concatenate, come la trama fitta del conflitto di interessi del Cavaliere. Così, la fiducia nei magistrati cominciò a declinare, in modo sensibile, soprattutto a centrodestra. Questa tendenza, in seguito, si è allargata. La fiducia nella magistratura, infatti, è scesa costantemente, fino a oscillare intorno al 35-40%, fra il 2005 e il 2010. In seguito è calata ancora. Fino al 30%, rilevato da Demos alcune settimane fa. Dunque, prima degli omicidi avvenuti al palazzo di Giustizia. Si tratta dell'indice di consenso più basso registrato dal 1994 ad oggi. Il clima di sfiducia denunciato dai magistrati, effettivamente, esiste. E ha diverse ragioni. Alcune delle quali, sicuramente, "politiche". Come dimostra la profonda, differenza di atteggiamenti, in base alla posizione politica e alle scelte di partito. Attualmente, infatti, la quota di elettori che esprime fiducia verso i magistrati è intorno al 41%, nella base del Pd, ma scende al 29% nella base del M5S, al 25%, fra gli elettori di Fi e, infine, al 18% fra quelli della Lega. C'è, dunque, un'evidente "frattura" politica, che marca l'atteggiamento verso i magistrati. Guardati con ostilità da destra, con diffidenza dal M5S. Visti, invece, con maggiore favore a sinistra. Tuttavia, il pregiudizio politico nei confronti dei magistrati è cresciuto in modo generalizzato e trasversale. Anche fra gli elettori di centrosinistra, infatti, il consenso nei loro riguardi è calato, di quasi20 punti negli ultimi 5 anni. La causa di questo mutamento d'opinione è, dunque, in gran parte, "politica". E ha alcune spiegazioni precise. Anzitutto, i magistrati, dagli anni di Tangentopoli in poi, hanno assunto un ruolo "politico". Perché hanno contrastato l'illegalità cresciuta insieme all'intreccio fra partiti e interessi. Sono, dunque, divenuti i controllori di un sistema compromesso e poco credibile. Alessandro Pizzorno ha osservato che si sono trasformati nei "garanti della pubblica virtù". In grado di delegittimare, con un'inchiesta, un leader o un amministratore. In secondo luogo, i magistrati stessi, in alcuni casi, sono divenuti attori politici di rilievo. A partire da Antonio Di Pietro. Fino a Antonio Ingroia. Ma sono molti, oggi, i magistrati in Parlamento, alcuni eletti anche nelle liste di centrodestra. Altri, invece, impegnati come sindaci in città importanti. Emiliano a Bari. De Magistris a Napoli. Mentre Casson è candidato a Venezia. Difficile non venire coinvolti dai (ri)sentimenti politici quando si diviene canale di formazione della classe politica. Perché l'identità del magistrato persiste. E Di Pietro, De Magistris ed Emiliano restano "magistrati" anche se hanno cambiato ruolo e attività. Così, presso l'opinione pubblica, si è diffusa la tendenza a "politicizzare" l'immagine dei magistrati. A percepirli come "attori", oltre che "controllori", della politica. In altri termini, oggi l'orientamento dei cittadini verso la politica, i politici e i partiti è sempre più disilluso. E, a differenza di vent'anni fa, non riconosce più i magistrati come moralizzatori. Nonostante che la "questione morale", sollevata da Enrico Berlinguer all'inizio degli anni Ottanta, sia sempre attuale. E colpisca settori politici e amministrazioni - regionali e comunali - di destra ma anche di sinistra. Non per caso il 48% dei cittadini (Demos, marzo 2015) ritiene che oggi la corruzione politica, in Italia, sia più diffusa che all'epoca di Tangentopoli. Mentre solo l'8% pensa il contrario. Per questo la preoccupazione espressa dal Presidente e dal Csm è fondata. Ma non facilmente risolvibile. Perché lo spazio della magistratura si è allargato nel vuoto della politica. Le sue funzioni di controllo e di intervento si sono moltiplicate parallelamente al riprodursi della corruzione e degli illeciti. Nella realtà politica ma anche nella vita pubblica. Al punto che oggi si assiste a una sorta di "giuridificazione della vita quotidiana". Che accompagna, a fini di controllo, le nostre attività - pubbliche, ma anche private. Praticamente ogni giorno. Per alleggerire le tensioni sulla magistratura, dunque, dovremmo "rassegnarci" al ritorno della politica. E dell'etica: nella vita pubblica e privata. Si tratta di un'impresa difficile, mi rendo conto. Ma, voglio credere, non impossibile. Giustizia: Garante dei detenuti; Orlando ha firmato il decreto, la nomina tocca al Cdm di Marzia Paolucci Italia Oggi, 13 aprile 2015 È arrivata la volta buona per il Garante nazionale dei diritti dei detenuti: invocato e promesso dal ministro Cancellieri che l'aveva fatto inserire tra le diverse misure oggetto di un ddl governativo del 2013 ma portato a casa solo ora dal ministro Orlando con un più agile decreto ministeriale dell'11 marzo scorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 marzo scorso ed entrato in vigore già il giorno dopo, cita lo stesso dettato del decreto. Senza Pesce d'aprile però perché, pur nel giorno della burla internazionale, il Garante è nato per davvero. E l'iter stavolta non ha tradito perché, va ricordato, il decreto ministeriale non deve essere presentato al Parlamento ma solo registrato alla Corte dei conti. Una figura invocata a più riprese in questi anni da rappresentanze del privato sociale come da colleghi meno gallonati, come Angiolo Marroni, il Garante regionale dei detenuti per il Lazio che due anni fa in un'intervista rilasciata a Italia Oggi esprimeva il suo assenso alla scelta perché, dichiarava, "sicuramente ne trarremmo una maggiore legittimazione al nostro ruolo che oggi spesso in alcune parti del paese è contestato". Istituito per decreto del Ministero della giustizia, il nuovo Garante nazionale dei detenuti si aggiunge così ai già presenti garanti regionali, provinciali e comunali. Il decreto regolamenta la struttura e la composizione dell'ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale in ottemperanza al decreto legge n.146/2013 convertito nella legge n.10 del 21 febbraio 2014. Normativa, questa, sulle "Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e riduzione controllata della popolazione carceraria", che disciplina la figura del Garante all'articolo 7, a cui lo stesso regolamento si richiama. Istituito presso il Ministero dove avrà la sua sede, avrà un presidente e due membri tutti in carica per cinque anni non prorogabili e scelti tra persone non dipendenti dalle pubbliche amministrazioni e capaci di assicurare indipendenza e competenza in materia di diritti umani. Il Garante nazionale, oltre a promuovere e favorire rapporti di collaborazione con i garanti territoriali o con altre figure istituzionali con competenza nelle stesse materie, vigila, sulla conformità della detenzione alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti. Può visitare, senza necessità di autorizzazione, tutte le strutture penitenziarie: carceri, Rems, istituti penali minorili e comunità di accoglienza e consulta, previo consenso anche verbale dell'interessato, il fascicolo della persona detenuta o privata della libertà personale e comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà. Ha anche la possibilità di richiedere alle strutture le informazioni e i documenti necessari e richiedere, tramite il magistrato di sorveglianza, l'emissione di un ordine di esibizione nel caso in cui sia stato inascoltato. Entra nei Centri di identificazione e di espulsione dove verifica il rispetto degli adempimenti di rito nei confronti degli stranieri trattenuti presso le strutture, formula specifiche raccomandazioni alle amministrazioni interessate se accerta violazioni alle norme dell'ordinamento e trasmette annualmente una relazione sull'attività svolta ai presidenti del Senato e della Camera dei deputati e ai ministri dell'interno e della Giustizia. Previa delibera del consiglio dei ministri, la nomina avverrà con il parere delle competenti commissioni parlamentari. I componenti del Garante nazionale non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi in partiti politici e non hanno diritto a niente più che un rimborso spese. Struttura e composizione dell'ufficio chiamato ad avvalersi del personale del Ministero della giustizia, saranno disciplinate da un successivo regolamento del ministro della giustizia da adottarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Giustizia: presunzione d'innocenza "europea", blindata la proposta di direttiva di Paolo Bozzacchi Italia Oggi, 13 aprile 2015 Un altro passo verso la presunzione d'innocenza europea. La Commissione Libertà Civili dell'Europarlamento ha infatti blindato la nuova proposta di direttiva in materia, inserendo nuovi emendamenti che dissuadono le autorità giudiziarie nazionali dal fare dichiarazioni sulla colpevolezza di un condannato prima del giudizio definitivo, o che violino i principi dell'onere della prova (che spetta alla pubblica accusa), quello di rimanere in silenzio durante gli interrogatori e quello di essere presenti fisicamente al proprio processo. "La presunzione d'innocenza è un diritto fondamentale e anzitutto un principio essenziale che intende garantire da abusi giudiziari e giudizi arbitrari nei procedimenti penali", ha dichiarato la francese Nathalie Griesbeck, relatore del provvedimento in Commissione. "La proposta di direttiva nasce dal fatto che notiamo un'erosione del principio di presunzione di innocenza in diversi Paesi membri", ha aggiunto la Griesbeck. E i nuovi emendamenti richiedono ai Paesi membri di vietare alle autorità giudiziarie locali di dare informazioni "incluse interviste e comunicazioni in collaborazione con i media, che potrebbero creare pregiudizio o biasimo nei confronti di indagati o accusati prima della sentenza finale in tribunale". L'Europarlamento invita anche i Paesi membri a promuovere l'adozione di codici etici, in collaborazione con i mezzi d'informazione. E il codice etico dovrebbe poter essere applicato anche all'operato dei professionisti della giustizia. Il rovesciamento dell'onere della prova dall'accusa alla difesa, poi, è giudicato "inaccettabile" dalla Commissione Libertà Civili. "Qualsiasi tipo di beneficio in merito", precisa il documento, "dovrà riguardare l'indagato o l'accusato". Un altro aspetto precisato è quello che gli indagati o accusati non dovranno essere considerati colpevoli semplicemente perché esercitano il loro diritto di rimanere in silenzio". L'esercizio di questo diritto "non deve mai essere considerato come una conferma di una tesi sui fatti occorsi". Con l'approvazione della Commissione ora inizia il negoziato con il Consiglio Ue per poi arrivare alla formale proposta di direttiva. Giustizia: in Europa meno garanzie (causa crisi) per i diritti fondamentali di Paolo Bozzacchi Italia Oggi, 13 aprile 2015 Diritti fondamentali meno garantiti in Italia, anche a causa della crisi. È una delle conclusioni del Rapporto "L'impatto della crisi sui diritti fondamentali nell'Unione europea", presentato in sede di Commissione Libertà Civili dell'Europarlamento. Preso in esame dal 2008 al 30 giugno 2014, lo studio ha avuto come oggetto i Paesi più colpiti dalla crisi economica: Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, Belgio e Cipro. E in generale ha sottolineato come i principali processi di riforme e le misure legislative adottate (spesso tagli lineari) per contrastare la crisi, abbiano impattato piuttosto negativamente sui diritti fondamentali presi in esame, cioè alla salute, all'educazione, al lavoro, alla pensione e alla proprietà. Ma anche sull'accesso e i costi della giustizia. In Italia dal 2008 sono "aumentate del 92% le tasse per il disbrigo delle pratiche nei tribunali civili, contro un aumento di solo il 15% nei sei anni precedenti", e questo ha di fatto limitato il diritto di accesso alla giustizia. Non solo. Le parti in causa hanno visto anche lievitare altri costi aggiuntivi, tra cui "il doppio pagamento della tassa d'iscrizione per i ricorrenti quando il ricorso è irricevibile". Sull'aumento delle tasse nei tribunali amministrativi, poi, è in corso un procedimento presso la Corte europea dei diritti dell'uomo e la Corte di giustizia europea. Stessa musica quando si richiede copia del fascicolo del caso, per la quale si sborsano "fino a 300 euro" di dazi aggiuntivi (quando si richiede copia salvata su cd o penna Usb). Inoltre il rapporto ha evidenziato come "l'accesso alla giustizia è stato complicato anche da una riforma delle condizioni di appello delle sentenze civili". In Italia è stato ridotto anche l'accesso fisico alle infrastrutture giudiziarie, visto che in questi anni sono stati chiusi o accorpati 31 tribunali, 31 pubblici uffici legali, 220 sezioni locali dei tribunali, 667 uffici di giudici di pace (su un totale di 850). Gli esperti europei invitano l'Italia "a ridurre le tasse e altri costi di accesso alla giustizia, perché non sono adatti per lo scopo dichiarato, cioè decongestionare". Per migliorare senza aumentare i costi "bisognerebbe spendere una quota maggiore del bilancio per l'informatizzazione". Giustizia: corruzione, perché non basta rivendicare "zero reati" di Lionello Mancini Sole 24 Ore, 13 aprile 2015 A seguire le cronache su malcostume e corruzione che a ritmo serrato coinvolgono politici, amministratori e imprenditori, sale quel senso di vertigine e di malessere che precede la paralisi dell'ottimismo. In meno di un anno abbiamo assistito agli arresti milanesi di Greganti, Frigerio & Co. (maggio 2014), quelli per il Mose a Venezia (giugno), alla retata di "Mafia Capitale" e all'epidemia dei vigili di Roma (dicembre), al caso Incalza (Firenze, marzo 2015), per finire all'inchiesta su Ischia, tuttora scoppiettante di novità, confessioni e scenari inediti. Mentre - come ogni altra volta - il tema centrale pare essere la pubblicizzazione degli atti giudiziari depositati, i media danno voce a personaggi pubblici indignati e offesi, sospinti a dimettersi se titolari di una carica, mentre altri si difendono ricordando di essere pensionati e dunque non capiscono "lo sputtanamento" orchestrato nei loro confronti. Se è comprensibile la reattività delle persone non indagate, lo sono molto meno gli argomenti utilizzati per convincere l'opinione pubblica di essere soltanto vittime di inquirenti spregiudicati, di avversari che manovrano inquirenti spregiudicati, di giornalisti deontologicamente scadenti. In frangenti simili, nulla va escluso a priori: la gogna mediatica esiste e spesso la realtà dei fatti ha annichilito le fantasie più fervide. Ma la stessa prudenza andrebbe posta nell'esporre scusanti e narrazioni taroccate, persino offensive dell'intelligenza degli italiani. Prendiamo le intercettazioni. Si invoca una legge che faccia cessare lo scandalo. Ma quale scandalo? Quello dell'utilizzo da parte dei pubblici ministeri? Conviene ignorare per brevità la tiritera sull'abuso, i costi, la privacy violata eccetera eccetera, sempre - e solo - intonata quando le inchieste coinvolgono colletti bianchi di medio-alto livello. Riguardo, invece, alla diffusione delle notizie, i giornalisti sanno benissimo quali intercettazioni, informative o verbali, è doveroso rendere noti e quali no perché sfregiano gratuitamente l'immagine e l'onore di qualcuno. Non servono altre leggi: basta seguire la deontologia professionale - come peraltro dovrebbero fare pubblici ministeri, politici, amministratori, burocrati, imprenditori, consulenti, professionisti eccetera - rinunciando allo specioso paravento del "dovere di cronaca", dato che il giornalista non "deve" pubblicare, bensì "scegliere" cosa pubblicare. Forse sarà dispiaciuta a Giulio Tremonti la notizia della richiesta di autorizzazione a procedere per corruzione, ma il suo disagio deve fermarsi un gradino prima di quello spettante al diritto di sapere che una Procura indaga su una parcella di 2,4 milioni incassata dal suo studio proprio mentre lui era un potente ministro. Lo stesso gradino dovrebbero occupare l'indignazione di D'Alema per l'accostamento fra i traffici degli indagati e i loro interessi enologici ed editoriali e quella di Maurizio Lupi, ormai ex ministro per il sostegno dato ai propri parenti. Dice D'Alema che lui non indice gare, che il vino di famiglia è super e che ha tutti i diritti di coltivare allo stesso tempo vigneti e passione politica; inoltre, aggiunge, i sostenitori ischitani di Italiani Europei non sono che tre "delle migliaia di persone" che incontra battendo il Paese in lungo e in largo. Appunto: dato che continua a contare migliaia di followers in carne, ossa e voti, qualche dettaglio etico andrebbe curato meglio per schivare ogni malignità. Ma da politici esperti e navigati (e dopo le sberle subìte dal Pd) ci si aspetterebbe qualcosa di più del solito "zero reati". Sgomenta notare come dopo anni di mea culpa e promesse di rettitudine, possa resistere tanta autoreferenzialità. Forse molti uomini pubblici si sentono rassicurati dalla sperimentata certezza che - dove un normale cittadino rischia galera, beni e reputazione - essi non corrono il pericolo di vedersi emarginati dai network relazionali costruiti in anni di potere, né di perdere il diritto ai loro possenti vitalizi. Giustizia: Società Italiana Psichiatria; chiusura Opg, vero nodo assistenza su territorio Ansa, 13 aprile 2015 "Minori investimenti nelle residenze alternative Rems, ovvero le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sovrastimate rispetto alle reali necessità, e più investimenti per l'assistenza sul territorio, vero nodo cruciale della riforma". A due settimane dall'entrata in vigore della normativa che prevede il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e la loro sostituzione con le Rems, dove verranno accolti i pazienti non dimissibili (circa 450 su un totale di 704), il presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Emilio Sacchetti, rileva come questa sia sostanzialmente una "buona legge" che va però "resa operativa e portata a regime". Il problema, spiega Sacchetti a margine del 23/o Congresso dell'Associazione europea di psichiatria (Epa), "è innanzitutto relativo alle Rems: credo infatti che tali residenze alternative non siano veramente necessarie se non in casi estremi; le Rems devono cioè essere approntate per accogliere solo i veri pazienti psichiatrici autori di delitti, mentre gli altri condannati vanno indirizzati nelle carceri". La priorità dunque, a fronte di una situazione che vede ancora molte Regioni in ritardo nell'avvio di tali strutture è quella di "stimare correttamente il numero di posti davvero necessari per ogni Rems regionale, investendo invece maggiormente - afferma - nel territorio per l'assistenza e la presa in carico di questi pazienti. Ma su questo le Regioni sono impreparate". Ad oggi, rileva Sacchetti, "circa 800 internati sono stati già dimessi, ma mancano i fondi per la loro presa in carico da parte delle strutture territoriali, così come non sono ancora operative, presso i Dipartimenti di salute mentale, le mini-equipe con le varie figure professionali previste per la gestione di questi pazienti". A ciò, afferma Sacchetti, si aggiungono altre due priorità: "bisogna rivedere e potenziare l'assistenza psichiatrica nelle carceri e bisogna riformulare, a livello giuridico, il concetto di pericolosità sociale per evitare che criminali si possano far passare per malati mentali al fine di usufruire di trattamenti diversi dal carcere". Ovviamente, conclude il presidente Sip, "il processo delle dimissioni dei pazienti dagli Opg dovrà essere graduale e supportato sul territorio, anche tenendo conto del disorientamento di molti di questi soggetti che, spesso, non hanno più una rete di supporto nelle proprie realtà di origine, né di tipo familiare né sociale". Dell'Acqua: non resta indietro più nessuno Un indubbio merito nella chiusura degli Opg va ascritto all'ex Presidente Giorgio Napolitano per la "passione con cui accolse la denuncia della Commissione del Senato. Quando gli comunicammo il viaggio con Marco Cavallo per la campagna StopOpg, ci scrisse e ci mandò una medaglia per il patrocinio della Presidenza". Il primo ricordo di Peppe Dell'Acqua, tra gli psichiatri che raccolse l'eredità di Basaglia, alla vigilia della chiusura degli Opg che completa quella rivoluzione cominciata negli anni 70, è per l'ex Presidente della Repubblica. Che nel discorso di fine anno nel 2012 parlò di "istituzione indegna di un paese appena civile". Tra le paure diffuse di incrociare in libertà pericolosi quanto inconsapevoli individui, Dell'Acqua riporta il discorso su un piano di minor suggestività: "Non resta indietro più nessuno. Tutti i matti ora sono cittadini". Praticamente "si restituisce appieno o si tenta di restituire diritto e responsabilità. Le persone con disturbo mentale quando commettono un'azione sono ora responsabili, cittadini a tutti gli effetti: si processano se commettono un reato, si condannano se colpevoli e, se sono bisognosi di cure, si curano. Ci liberiamo del doppio binario: hai commesso un reato ma ti assolvo perché incapace, ma ti inserisco nel circuito manicomiale e non in quanto hai commesso il reato ma perché sei pericoloso". Intanto, gli ospiti degli Opg negli ultimi quattro anni sono quasi dimezzati; oggi sono circa 700 in tutta Italia. "Vivo un momento di svolta storica, epocale - prosegue Dell'Acqua. È straordinario il modo in cui con questa legge e con questa campagna finisce l'internamento ancora ottocentesco. Si chiude un ciclo, ma il 31 marzo sarà ancora una volta un inizio perché il problema è di una delicatezza estrema". Con un ringraziamento: prima di tutto ai "giuristi costituzionalisti che hanno messo sempre più in evidenza lo stridore tra la persistenza di quelle strutture con la visione acquisita della cura delle persone con disturbo mentale". E un pensiero speciale va al convegno bolognese dell'Anm: "straordinario, che ha sottolineato nelle parole del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, responsabilità, libertà e Costituzione". Infine, Basaglia. "Aveva detto una cosa suggestiva per noi: non mandiamo la gente in carcere ritenendo che non sia in grado comprendere il senso della carcerazione e la mandiamo in un luogo dove per chiunque è impossibile comprendere dove si trova e perché. Io da allievo dico: con il viaggio del Cavallo siamo entrati in luoghi da chiudere non perché sporchi e fatiscenti ma perché sono i luoghi della più locale insensatezza. Sono i luoghi della sottrazione, dell'azzeramento di ogni diritto. Lì vivono uomini e donne che non hanno nessun diritto. Sono luoghi improntati alla pericolosità, luoghi senza tempo. Oggi tutto questo, con la legge 81 comincia a essere attaccato, lesionato". Lettere: giustizia e cambiamento di Giuseppe Maria Berruti La Repubblica, 13 aprile 2015 Qual è la funzione, di una magistratura della modernità? Questa è la domanda oggi. Mentre il riemergere della corruzione suggerisce ancora una volta il carcere. Che anestetizzi il dolore. Ed eviti un ragionamento sulla giurisdizione che cambia. Non spetta ai magistrati dire quali rapporti sociali nasceranno dalla crisi economica globale (L'interconnessione planetaria, come la definisce l'enciclica Caritas in veritate). Ma essi debbono tentare almeno di capire quanto la funzione giudiziaria è esposta alla domanda di cambiamento. Perché la realtà registra l'insufficienza del meccanismo giudiziario a rispondere alle domande dei cittadini e mette in dubbio la funzione dell'indipendenza. Ma anche una prepotente domanda di giustizia. Si sprecano i richiami alla Costituzione. Di cui viene data una lettura riduttiva, per consegnarle le paure e utilizzarla come memoria, inevitabilmente conservatrice. Invece la Costituzione è una chiave del futuro perché è un patto di vita associata. Che sconta l'imprevedibilità della storia e predispone regole che conservino la possibilità di affrontare i cambiamenti. Questa è, anche, modernità. Una magistratura che realizzi l'opzione dello Stato a registrare i cambiamenti, ad individuare i vecchi ed i nuovi diritti, adeguando la sua azione verso l'interesse dei cittadini. L'indipendenza della magistratura è strumento della capacità dei processi di affrontare il divenire. Non è obbiettivo. È mezzo. La crisi dello Stato è una opportunità. Non esistono più la destra e la sinistra che conoscevamo. La politica intende dare risposte migliori al Paese. E le norme costituzionali non vengono considerate invalicabili se il loro superamento serve a soddisfare un bisogno. Ripetere, allora, che una giurisdizione libera è migliore di una giurisdizione controllata anche se meno efficiente, non funziona più. Occorrono nuove ragioni che sostengano le scelte della Costituzione. Perciò occorre capire come mantenere la fedeltà alla legge e insieme rispondere alle domande di giustizia che cambiano prima che la legge registri i cambiamenti. Non servono le ideologie. La contrapposizione comunisti ed anticomunisti era l'in sé della guerra fredda. Ma la politica ha chiuso la guerra fredda. La sua liquidità non ha bisogno di una magistratura moderata e di una magistratura progressista che si bilancino. Vuole una magistratura che non imprima inattese velocità all'ordinamento. Nella dimensione statuale classica la sintesi fra incentivazione dello sviluppo economico, diritti della persona e diritti sociali era affidato alle scelte che le maggioranze politiche andavano compiendo, bilanciando utile e giusto. Tutto questo non c'è più. Manca quella che Natalino Irti chiamava la coestensione tra politica, diritto ed economia, figlia del bilanciamento. Che ha consentito al diritto di governare i fenomeni economici. L'attività economica oggi ha una estensione spaziale che supera quella degli Stati. L'"interconnessione planetaria" ne sconvolge il potere. Cosicché la minaccia di guerra, si è osservato, non è più costituita da quella di una invasione, ma da quella di una non invasione. Di un abbandono. I marchi che si spostano in India dall'Italia. E trascinano le fabbriche. Ciò che si definisce di delocalizzazione è l'insieme di atti di ostilità verso gli Stati che non mettono a disposizione dei gruppi economici altre facilitazioni e, talvolta, altra eliminazione di diritti. La concorrenza fra ordinamenti oggi induce gli Stati verso assetti giuridici compiacenti nei confronti dell'investimento di capitali. Non è un caso che, nel nostro Paese, la responsabilità civile dei giudici sia passata oggi, e non a ridosso del referendum di una ventina di anni fa. Eppure nelle società si alimenta una domanda di giustizia sempre più forte. La domanda di diritti individuali originata da bisogni effettivi si alimenta dal costituzionalismo particolare oltre che da testi normativi sovranazionali come la Carta dei diritti dell'uomo, la carta di Nizza, il trattato di Lisbona. Si parla di epoca delle corti. Perché le sentenze delle corti, nella lentezza degli Stati, rispondendo alle domande di giustizia, creano le regole. Da questa osservazione credo si debba partire. Dalla necessità del giudice che modella la regola del caso concreto. Non mi pare ragionevole immaginare una riaffermazione del potere del diritto sulla economia. Credo però che la spinta da parte di tutti coloro i quali alimentano con le loro domande il diritto delle corti, e cioè la rivendicazione del diritto ad avere diritti sia il motore della storia che reclama l'esistenza di un punto di equilibrio. Che può ancora essere il giudice interprete. Un giudice che costituisca con il processo, cioè con l'applicazione di una regola formale, il suo potere di fare il diritto vivente. E giustifichi la sua indipendenza. Lettere: fanno quel che vogliono, e chiamano informazione il circo mediatico-giudiziario di Giuliano Ferrara Il Foglio, 13 aprile 2015 Repubblica sabato se l'è presa con noi del Foglio e, sulla scia di un pronunciamento della Cassazione, ha ribadito che la corruzione municipale nei giri cooperativi e politici romani è mafia. Anzi Mafia Capitale. Capital Mafia, una roba con la maiuscola e la centralità statale. Non importa polemizzare con l'editorialista pistarolo Carlo Bonini, le polemiche tra giornalisti non rivestono grande interesse in sé. Importa riflettere sul funzionamento del circuito o circo mediatico-giudiziario in Italia. Perché la Cassazione è autorevole, e ci si conforma alla sua sentenza, ovvio, quando stabilisce su ricorso che sì, il teorema del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, e dei suoi sostituti che hanno indagato con le intercettazioni a strascico, con procedure rafforzate ed esemplari e spettacolari in virtù dell'ipotesi di associazione mafiosa ex articolo 416 bis, è un buon teorema, un teorema che regge alla prova dell'esperienza, come hanno retto la relatività generale o la meccanica quantistica. Ma le modeste obiezioni del Foglio sono state superate? Un giornalismo di minoranza che nega l'assunto di una procura e argomenta in modo semplice i suoi dubbi deve essere tacitato senza esame obiettivo delle sue tesi? Non è questa la funzione di un buon giornalismo, senza voler disconoscere la buona fede e l'impulso di giustizia che guida la grancassa dell'informazione generale, che milita con i pm praticamente senza eccezioni. Un buon giornale guarda la realtà delle cose, e solo in base a intuizione, esperienza, analisi dei fatti, contro-argomentazione, esercizio del dubbio, arriva poi alle sue conclusioni. Specialmente in un caso come questo. Anche i bambini con il loro sguardo ingenuo e innocente, e proprio dall'esame delle intercettazioni, dei capi d'accusa, delle fattispecie di reato, del contesto fattuale e ambientale della cosiddetta "mafia romana" allocata presso una pompa di benzina in mezzo ai cravattari o usurai, sarebbero in grado di capire che qualcosa non funziona. Non funziona una indagine giudiziaria annunciata a sorpresa, pochi giorni prima delle ordinanze di cattura e dell'elevazione delle accuse, dal suo massimo responsabile, il dottor Pignatone. Non funziona in ogni senso la sede dell'annuncio: un convegno del Partito democratico. Non funziona la spettacolare convergenza di tutti i giornali o quasi e di tutte le televisioni senza eccezione nel definire il fenomeno secondo una specie di lectio universalis desunta dalle carte e, trattandosi di centinaia di migliaia di pagine, dalla selettiva illustrazione riservata delle carte lungo canali al di fuori di ogni controllo, giorno dopo giorno, capitolo per capitolo. Questi non sono i Pentagon papers, questo è un metodo giustiziere che origina da un potere invasivo dei pm, i quali pensano di poter orientare l'opinione pubblica, e ci riescono ampiamente, in base a un procedimento inquisitorio che si colora subito di politica, di cultura non garantista della giurisdizione, al di fuori di quel che è sempre, in tutti gli altri paesi democratico-liberali del mondo, un conflitto alla pari tra le ragioni dell'accusa e quelle della difesa. La Cassazione ha dato ragione alla casta togata più influente, quella della Capitale, perché non poteva sollevare lo scandalo di una grande montatura? Non dico questo. Ripeto: le pronunce giudiziarie hanno una loro intrinseca autorevolezza, e si giustificano o si contraddicono mediante altre pronunce giudiziarie. E non mi appello alle diverse opinioni interne alle magistrature, visto che un procuratore della Corte dei conti ha detto chiaro e tondo che lui nella corruzione municipale intorno al Comune di Roma non vede nemmeno l'ombra della mafia. Mi appello ad altro, ed è quello che dovrebbe interessare chi legge e scrive i giornali, chi confeziona e guarda i telegiornali. Anche la sentenza della Cassazione che "salva" per adesso il processo a venire del dottor Pignatone, e tiene in galera preventiva gli accusati (il che secondo un certo modo di vedere le cose è un caso di tortura), fa dei riconoscimenti in analogia patente con le nostre obiezioni. Non c'è nell'indagine e nei suoi risultati una catena estorsiva e violenta di tipo mafioso. Non ci sono delitti di mafia. C'è un'aria di malavita e di deviazione dai canoni della legalità, e di corruzione, intestabile al business della carità e dell'assistenza, a istituzioni tipiche di una concezione solidarista della funzione pubblica nel campo del recupero dei carcerati, dell'accoglienza e del volontariato. Accanto a un mare di cose buone o di velleità redentive buoniste, scegliete voi, c'è il sospetto, e molto più che il sospetto, di un coinvolgimento corruttivo di pezzi dell'amministrazione capitolina, singoli funzionari. Mancano le famiglie, i mandamenti, il linguaggio e le omertà della mafia. Mancano gli arsenali, insomma mancano tutti gli elementi tipici di un crimine organizzato di tipo mafioso. Non tutte le associazioni a delinquere, reato in sé capace di allontanare dalla puntuale registrazione di responsabilità personali nei delitti, e sconosciuto ai codici penali delle grandi democrazie moderne, sono di tipo mafioso. E questa, ricostruita a strascico, meno delle altre. La verità è che l'informazione massificata e orchestrata secondo un criterio di legalità culturalmente bacato, onnivoro e non procedurale, stravolge la realtà. D'altra parte che c'entra la evocata "solitudine e delegittimazione dei magistrati", sia detto con il massimo rispetto per la vittima togata della sparatoria nel tribunale di Milano, con un paranoico sbandato che colpisce un giovane avvocato, prima, poi un incolpevole commercialista e poi un bravo giudice, facendo morte della sua pazzia? Eppure è questo quel che ideologicamente ci hanno propinato nei giorni scorsi. Fanno quello che vogliono, e la chiamano informazione. Frosinone: Falanga (Fi) visita carcere e chiede di calenderizzare ddl indulto e amnistia Il Velino, 13 aprile 2015 "Le condizioni di fatiscenza dei locali, ed in particolare dei servizi igienici e delle docce, del carcere di Frosinone, realizzano quella condizione disumana che viola i diritti fondamentali della persona e, di certo, non è ripagabile con la norma licenziata dal Senato che prevede un risarcimento di circa sette euro al giorno. Peraltro, un nuovo padiglione, ancorché completato, non viene utilizzato per la mancanza del collaudo finale ed anche per la carenza di personale. Vorrei ripetere la mia visita al carcere con quegli esponenti della maggioranza di governo, penso anche alla senatrice Ginetti, che oppongono resistenza alla calendarizzazione del ddl sull'indulto e l'amnistia. Il nostro Paese, democratico, non può essere sordo alle grida di dolore di persone che scontano la pena in tali condizioni". Lo ha dichiarato il senatore di Forza Italia, Ciro Falanga, componente della Commissione Giustizia, a seguito di una visita ispettiva al carcere di Frosinone. Treviso: Ente Parco Sile, convenzione con i detenuti per i lavori sociali www.trevisotoday.it, 13 aprile 2015 Sottoscritta la convenzione con la Casa Circondariale di Treviso per l'inserimento lavorativo dei detenuti all'interno del Parco del Sile. Raccolta rifiuti lungo il Sile, vigilanza dell'Ente Parco e lavori di manutenzione: questo il contenuto dell'accordo firmato tra la Casa Circoncariale di Treviso e l'Ente Parco del Sile per permettere il reinserimento dei detenuti nell'ambito lavorativo. La firma è avvenuta nei giorni scorsi a Villa Letizia, sede dell'Ente Parco Naturale Regionale del Fiume Sile, alla presenza del Presidente dell'Ente Parco Nicola Torresan e il Direttore della Casa Circondariale di Treviso Dott. Francesco Massimo che hanno sottoscritto una convenzione di fondamentale importanza per i carcerati di Santa Bona. L'Ente Parco metterà infatti a disposizione dei detenuti ristretti nella struttura penitenziaria di Treviso l'opportunità di prestare un'attività occupazionale nell'ambito di specifici progetti di pubblica utilità. L'attività prestata da parte dei detenuti sarà a titolo volontario e gratuito, in conformità a quanto disposto dalla legge. È previsto un rimborso simbolico giornaliero a detenuto pari a euro 22,00 comprensivo delle spese per il pranzo e trasporto. La Casa Circondariale di Treviso individuerà tra la popolazione attualmente reclusa e nel rispetto dell'Ordinamento penitenziario un numero massimo di due soggetti da assegnare per un periodo massimo di 6 mesi, rinnovabili previo accordo fra le parti, sulla base delle esigenze lavorative prospettate, alle seguenti attività: raccolta rifiuti lungo le sponde dei Fiume Sile; camminamento, a fini di monitoraggio, lungo le piste ciclo pedonali di proprietà o manutenute dall'Ente, anche assieme al personale addetto alla vigilanza dell'Ente Parco laddove ritenuto necessario e verniciatura, con materiale impregnante, di alcuni tratti di staccionata posta lungo le piste ciclopedonali. I detenuti ammessi al beneficio dovranno tenere un comportamento adeguato e rispettoso: ogni azione non consona del detenuto ammesso al beneficio verrà segnalato alla Direzione della Casa Circondariale anche attraverso i suoi referenti, e potrà comportare l'immediata revoca dell'ammissione al beneficio stesso. I detenuti svolgeranno la loro attività due giorni alla settimana, nella fascia oraria compresa tra le ore 08,00-12,00 e 14,00-17,00, per un massimo dì 14 ore settimanali. L'attività verrà svolta dai detenuti ammessi al beneficio sulla base di un cronoprogramma mensile che l'Ente Parco fornirà alla direzione dell'Istituto penitenziario di Treviso. L'Ente Parco provvederà infine ad assicurare i detenuti ammessi ai lavori, contro gli infortuni e le malattie professionali nonché riguardo alla responsabilità civile verso terzi, limitatamente al danno arrecato a terzi per colpa lieve nell'espletamento dell'attività a favore dell'Ente Parco. Bologna: rassegna culturale "Fuori e Dentro", un altro sguardo sul carcere Ansa, 13 aprile 2015 Torna a Bologna per la seconda edizione "Fuori e Dentro, un altro sguardo sul carcere", rassegna culturale che dà ai cittadini l'opportunità di "affacciarsi" da finestre simboliche sul carcere per vedere cosa c'è dietro le mura. Dal 15 al 29 aprile in vari spazi cittadini sette appuntamenti - un film, due performance teatrali, due incontri info-formativi e due presentazioni di libri - saranno occasioni pensate ad hoc per guardare il mondo della detenzione e il valore della pena con occhi diversi, superando le barriere della stigmatizzazione, con la convinzione, spiegano i promotori, "che una società che investe sulla riparazione e il reinserimento investe sul benessere e sulla sicurezza di tutti". L'iniziativa è realizzata nell'ambito del progetto "Fuori e dentro. Giustizia riparativa e pena utile", promosso da una rete di associazioni di volontariato, partner istituzionali e di settore che, con il sostegno di Volabo-Centro servizi per il Volontariato di Bologna, ha intrapreso un percorso di confronto e collaborazione sui temi riguardanti la situazione carceraria locale e le sue problematiche, l'impatto sociale della "Giustizia riparativa" e la sensibilizzazione della comunità "per una cultura civica consapevole e attenta". Roma: Shakespeare e Rebibbia di Eraldo Affinati Corriere della Sera, 13 aprile 2015 Quando, nel febbraio del 2008, i fratelli Taviani vinsero l'Orso d'Oro al festival di Berlino con Cesare deve morire, un film al quale avevano partecipato come attori diversi detenuti del carcere di Rebibbia, alcuni tirarono in ballo perfino Cesare Beccaria. Ecco un modello esemplare di rieducazione del condannato, si disse, citando il grande autore di Dei delitti e delle pene, il cui spirito è stato pienamente raccolto nel dettato costituzionale di questa Repubblica. Dopo solo tre anni Antonio Frasca, il quale nella pellicola ha interpretato il ruolo di Marcantonio, viene trasferito in un altro istituto. Lo ricordiamo fra i muri grigi, con la veste imperiale gettata sulle spalle, impegnato nella celebre arringa shakespeariana: "Amici romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie; sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l'elogio. Il male che gli uomini fanno, sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa". Parole che oggi valgono doppio. Il provvedimento non ha riguardato soltanto lui. Ad aver sloggiato dal penitenziario romano ci sono anche studenti iscritti all'università che stavano facendo un difficile percorso di riqualificazione dietro le sbarre, nonché Gianfranco Polifroni, responsabile dell'orto nel reparto di Alta sicurezza. La motivazione sarebbe legata all'esigenza di "sfollare" l'ambiente della reclusione. Si sa che la burocrazia è cieca e i suoi meccanismi possono mortificare qualsiasi atto di buona volontà. Tuttavia sembra incredibile che un'esperienza virtuosa come quella suddetta possa essere gettata alle ortiche in questo modo. Forse qualcosa ci sfugge. Ma, anche a prescindere dal caso specifico, che tutti speriamo venga riconsiderato, sullo sfondo resta il tema cardine del delitto e della pena. Basta entrare in un carcere per gettare uno sguardo negli abissi della natura umana. Tu magari credi che lì ci siano i reietti della società. Poi fai presto a prendere atto di un'altra evidenza: fra chi sta dentro e chi sta fuori lo scarto a volte è minimo. Colpisce la potenza umana delle persone recluse, come se la prigionia intensificasse la loro dimensione emotiva: ti vengono sotto gli occhi alla maniera dei dannati dell'Inferno dantesco, schiacciati dal peso dell'errore commesso, perfino quando lo negano. Sono spesso disperati, quasi sapessero di non poter più cambiar vita, incapaci di rispondere "Sì" alla recente esortazione rivolta da Papa Francesco ai criminali. In realtà c'è sempre tempo, ma i percorsi di riabilitazione non si possono fare da soli. L'istituzione pubblica li deve favorire. Campobasso: il carcere di Larino apre le porte alla musica e alla poesia www.primopianomolise.it, 13 aprile 2015 Martedì 14 aprile alle 9:30, presso la casa circondariale di Larino, il pianista molisano Simone Sala allieterà i reclusi nella casa circondariale con la sua musica, mentre il detenuto-poeta Francesco Frasca presenterà una raccolta di poesie dal titolo "I segreti dell'anima" "Tra musica e poesia": appuntamento culturale d'eccezione martedì 14 aprile, alle ore 9:30, in una location del tutto inusuale: il carcere di Larino, che ha accolto la proposta del pianista molisano Simone Sala, di portare la musica nei posti dove non arriva mai. Un momento di condivisione e di gioia, destinato ad un pubblico "speciale" come possono essere i detenuti, oggi molto spesso protagonisti dei tg e dei giornali a causa delle condizioni, a volte davvero al limite del disumano, in cui versano le strutture carcerarie italiane e ovviamente tutti coloro che vi sono rinchiusi. Una mattina all'insegna della buona musica e non solo. L'esibizione di Sala, infatti, farà da cornice alla presentazione di una raccolta di poesie del detenuto-poeta Francesco Luigi Frasca, dal titolo "I segreti dell'anima". Numerosi gli ospiti: Don Marco Colonna, Don Benito Giorgetta - autore della prefazione della raccolta - la direttrice del carcere Rosa La Ginestra - che ha stilato l'introduzione allo scritto - la dirigente dell'Istituto alberghiero di Termoli Maria Chimisso, l'assessore regionale alle Politiche Sociali Michele Petraroia, l'avvocato Nicola Bonaduce, lo studente del liceo artistico di Termoli Paolo Pio Pilone, che ha tradotto gli scritti del poeta in disegni, tutto il corpo docente dell'Istituto alberghiero, dell'Istituto industriale e della scuola media del carcere e tutti i detenuti degli indirizzi scolastici citati. Avellino: Osapp; violenze nel carcere di Ariano Irpino, pronti ad allertare il Prefetto di Gianni Vigoroso www.ottopagine.it, 13 aprile 2015 Il delegato Osapp Sommariva intende investire della grave situazione le massime istituzioni. Sono stati dimessi i due agenti di Polizia Penitenziaria aggrediti in carcere durante una movimentata azione di protesta di un detenuto, il quale dopo aver minacciato il personale in servizio di sorveglianza, si era barricato all'interno della stanza annunciando di darsi fuoco in caso di intervento da parte degli agenti. All'indomani di quanto accaduto, interviene ancora una volta e con determinazione Ettore Sommariva, delegato regionale dell'Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria: "È una gravissima situazione quella che sta attraversando l'Istituto Penitenziario Arianese. Le aggressioni che subiscono i colleghi sono frequenti. Noi diciamo basta e prossimamente questa organizzazione, se non avrà delle risposte alle varie problematiche rappresentate proclamerà lo stato di agitazione nei modi e nelle forme consentite dalla legge." Sommariva ha anche annunciato che informerà in maniera dettagliata, della grave situazione di Ariano il prefetto di Avellino Carlo Sessa. Palermo: recital di poesie dei Narratura alla casa circondariale di Termini Imerese www.cefaluweb.com, 13 aprile 2015 Venerdi 10 Aprile 2015 alla Casa Circondariale di Termini Imerese conm il poeta Antonio Barracato e il suo gruppo i Narratura di Cefalù e con la collaborazione della poetessa Rosaria Lo Bono si è svolto il recital di poesie dal titolo "La poesia dentro" con la regia dello stesso Barracato. Sono Intervenuti la prof.ssa Santa Franco, le musiche sono state curate da giovanissima Delia Saja . Ha presentato la manifestazione la prof.ssa Miriam Cerami. L'idea di Antonio Barracato è stata di coinvolgere i detenuti della Casa Circondariale allo spettacolo, che hanno preso parte attiva in qualità di poeti, declamando i propri componimenti destando una forte emozione. Tutto ciò è risultato estremamente interessante ed è intervenuto nel locale adibito a teatro un vasto numero di partecipanti. Presenti dal comune di Cefalù l'Assessore Marinaro, il Presidente del Consiglio Antonio Franco e il consigliere Daniele Tumminello. Non sono mancati gli apprezzamenti per l'organizzazione e l'idea dell'evento. Iran: giornalista Washington Post in carcere, l'accusa è spionaggio Aki, 13 aprile 2015 Jason Rezaian, il giornalista del Washington Post in carcere in Iran da circa nove mesi, è accusato di spionaggio per aver trasmesso illegalmente dati sensibili sull'economica e l'industria iraniane. Lo riporta l'agenzia di stampa semiufficiale Fars, spiegando che Rezaian dovrà rispondere in Tribunale delle accuse di spionaggio e di azione contrarie alla sicurezza nazionale. Al momento non è stata fissata una data per l'inizio del processo a suo carico. Cittadino americano oltre che iraniano, Rezaian, che è capo dell'ufficio di Teheran del Washington Post, è stato arrestato il 22 luglio scorso. "Vendere informazioni economiche e industriali nel tempo delle sanzioni è esattamente come vendere cibo al nemico in tempo di guerra", ha scritto la Fars riferendosi alle sanzioni imposte dalla comunità internazionale all'Iran per il suo controverso programma nucleare. Secondo Martin Baron, direttore esecutivo del Washington Post, sono "assurde" le accuse di spionaggio nei confronti di Rezaian. "Sono passati quasi nove mesi dall'arresto di Jason - ha detto. Ora sappiamo da un'agenzia di stampa iraniana che Jason è accusato di spionaggio. Un'accusa simile è assurda, è il prodotto di un'immaginazione fertile. Ribadiamo i nostri appelli al governo iraniano a rilasciare Jason e, allo stesso tempo, chiediamo al suo avvocato di preparare una difesa vigorosa". Solo di recente è stato nominato un avvocato per Rezaian, Leila Ahsan, che l'ha incontrato nel famigerato carcere di Evin. Quella arrivata dalla Fars è stata la prima conferma dell'accusa di spionaggio nei confronti di Rezaian e di sua moglie, Yaganeh Salehi. A febbraio un deputato iraniano critico con il presidente Hassan Rohani aveva denunciato che Rezaian era entrato nell'ufficio presidenziale grazie al nipote del capo di Stato. L'agenzia di stampa iraniana ha fatto anche riferimento ad amicizie e rapporti professionali che Rezaian ha con sei giornalisti iraniani e attivisti per i diritti umani che vivono in esilio, la maggior parte negli Stati Uniti. Uno è Omid Memarian, giornalista che vive a New York e che ha scritto ampiamente e in modo critico rispetto alla detenzione di Rezaian. Secondo Memarian il Tribunale della Rivoluzione sta tentando di mettere in difficoltà Rohani attraverso il nipote. Il fratello di Rezaian, Ali, ha invece detto che gli iraniani dovrebbero essere in "imbarazzo" per questa lunga detenzione. "Dopo nove mesi di detenzione illegale, un'agenzia di stampa semiufficiale, la Fars, ha scritto un lungo articolo su due persone che hanno partecipato al funerale di mio padre in California nel 2011 e che conoscono Jason dal 2006", ha detto. "Se questo è davvero il motivo per cui Jason sta in carcere da nove mesi, tutti gli iraniani, indipendentemente dal loro paese di residenza o dall'appartenenza politica, dovrebbero essere imbarazzati da questa continua ingiustizia e unirsi alla nostra famiglia, al presidente Obama, al Washington Post, a Muhammad Ali, Noam Chomsky e a gruppi come Reporter senza frontiere, il Committee to Protect Journalists, Amnesty International e alle quasi 400mila persone di 140 paesi che hanno chiesto all'Iran di rilasciare immediatamente Jason", ha concluso.