Giustizia: suicidi in carcere; intervista a Patrizio Gonnella, presidente di "Antigone" di Roberto Fantini tellusfolio.it, 7 agosto 2015 Le morti in carcere fanno, in genere, scarso clamore. Finiscono spesso per essere guardate con indifferenza, se non addirittura con un compiaciuto pizzico di sollievo e soddisfazione. Assai raramente, ci si sofferma a riflettere sull’entità e sulle responsabilità del fenomeno, nonché a riflettere sui numeri oltremodo inquietanti che ci provengono da dietro le sbarre: 44 suicidi nel 2014 e 22 fino al 20 luglio 2015; 6.919 detenuti coinvolti in atti di autolesionismo nello scorso anno e ben 933 che hanno tentato il suicidio e sono stati salvati dai poliziotti penitenziari. A Regina Coeli, carcere storico della capitale, in particolare, la situazione appare estremamente allarmante: si lamentano 250 agenti in meno rispetto all’organico previsto e 200 unità distaccate presso il Tribunale, la Corte di Cassazione, ecc. Al fine di tentare di delineare un corretto quadro della situazione abbiamo interpellato Patrizio Gonnella (foto), presidente di Antigone. Nelle nostre carceri si continua a morire. Ancora suicidi, ancora troppi suicidi. Eventi inevitabili, potremmo dire "fisiologici" del sistema carcerario in quanto tale o qualcosa da mettere in relazione alle ben precise condizioni del nostro attuale sistema carcerario? "Il numero dei suicidi e delle morte naturali è in linea con il dato europeo. Non è questa una specificità italiana. Negli ultimi anni il dato è sempre stato costante e proporzionato al numero dei detenuti presenti. Tutto questo non ci impedisce di affermare che ogni suicidio, pur quello legato a scelte di disperazione personale, è anche una sconfitta per il sistema dell’accoglienza in carcere, incapace di far cambiare un’intenzione così tragica". L’Unione delle Camere Penali italiane, a proposito degli ultimi casi, ha parlato di "morti annunciate", mentre Santi Consolo, capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), preferisce parlare di "triste coincidenza" (Il Messaggero, 22 luglio 2015, p. 13, intervista di Silvia Barocci). Tu che ne pensi? "Regina Coeli, carcere romano dove ci sono stati due suicidi in due giorni, è un istituto ben gestito dove la direzione sta sperimentando un’ipotesi di gestione più aperta in modo da assicurare maggiore socialità durante le giornate di detenzione. Purtroppo, questo modello avanzato non era applicato nel reparto dove erano ristretti i due detenuti suicidi. Quello è un "reparto nuovi giunti" dove i detenuti sono tendenzialmente chiusi tutto il giorno in cella. Speriamo che ora cambino le regole, rendendole più flessibili. Il detenuto deve essere sostenuto nelle prime giornate di carcerazione. Quelli sono i momenti più difficili, pieni di rimorso e vuoti di speranza". L’ex garante per i detenuti Angiolo Marroni sostiene che la struttura del carcere di Regina Coeli sarebbe in sé e per sé inadeguata e che meriterebbe, pertanto, di essere chiusa. Giudizio realistico o esageratamente severo? "Non sono d’accordo. Regina Coeli, pur essendo un carcere antico con tanti problemi logistici, è in pieno centro. La sua ubicazione consente maggiori contatti con difensori, parenti, amici. Un carcere periferico è spesso un carcere destinato all’isolamento sociale". Una cosa che, molto spesso, non viene sufficientemente sottolineata è che, accanto ai suicidi attuati, ce ne sono moltissimi altri scongiurati grazie all’intervento del personale penitenziario. Non credi che questi servitori dello Stato meriterebbero una maggiore considerazione e che il loro impegno meriterebbe di essere meglio conosciuto ed apprezzato? "Sono totalmente d’accordo. Lo staff penitenziario svolge un lavoro straordinario. Dalla loro gratificazione sociale ed economica dipende la qualità della vita in un carcere. Vanno prese misure in questa direzione. In particolare, i media devono assumersi questa responsabilità. Detto questo, i sindacati autonomi di polizia penitenziaria non devono costituire una resistenza a ipotesi di ammodernamento della vita in carcere e non devono difendere in modo corporativo chi fuoriesce dal solco della legge". A che punto sono i progetti di miglioramento delle condizioni delle nostre carceri? Stiamo finalmente cercando di rispettare gli impegni e i richiami internazionali? E cosa rimane, soprattutto, da fare? "Prima della condanna europea del gennaio 2013 i detenuti erano 68 mila. Oggi sono 53 mila. Di conseguenza, le condizioni di vita sono migliorate indubbiamente. Sono stati assunti provvedimenti tesi a ridurre l’impatto della custodia cautelare, a rilanciare le misure alternative alla detenzione. Non devono essere fatti passi indietro altrimenti è facile tornare nella melma e nell’ammasso di corpi". Giustizia: intercettazioni, il grande patto del silenzio di Marco Damilano L’Espresso, 7 agosto 2015 Le registrazioni sono ancora il fronte caldo della Giustizia. E nasce un’intesa inedita tra politica e magistratura. Per salvare lo strumento d’indagine ma limitare il lavoro dei giornalisti. Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, passeggiando nel Transatlantico di Montecitorio semi-deserto, annuncia la tregua estiva: "Il disegno di legge sarà votato alla Camera a metà settembre. E dopo nominerò una commissione dì esperti per studiare i contenuti della delega". Si parla di legge sulle intercettazioni, tormentone di questa estate di veleni politici. Materia scottante per qualsiasi maggioranza di governo, anche la più solida. Durante l’ultima legislatura sulla legge che limitava le intercettazioni telefoniche per i magistrati e vietava la loro pubblicazione per i giornalisti sì infranse l’invincibile armata di Silvio Berlusconi. Il Pdl si spaccò tra i seguaci del Cavaliere e i dissidenti guidati da Gianfranco Fini e il governo cominciò a entrare in una lunga crisi. L’ultima immagine parlamentare è quella della relatrice Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia, che parlava a nome non più del Pdl ma del nuovo gruppo legato a Fini, Futuro e libertà. Poi calò il sipario e la legge terminò sul "binario morto", come ironizzò il presidente Giorgio Napolitano. Ora tocca al governo Renzi. E non parte bene: la maggioranza è già stata costretta a fare marcia indietro sull’emendamento presentato dal deputato Alessandro Pagano (Ncd) che prevedeva il carcere fino a quattro anni per intercettazioni "carpite in modo fraudolento", con telecamere o microfoni nascosti. Il ministro Orlando è intervenuto, un successivo emendamento del Pd firmato dal renziano David Ermini e da Walter Verini ha escluso la punibilità per i giornalisti che esercitano il diritto di cronaca. Ma non è un bell’inizio di partita, in vista del la delega che affiderà al governo la facoltà di decidere in materia di intercettazioni da pubblicare o da cestinare senza dover ripassare da un voto parlamentare. E l’attenzione del potere politico si sta concentrando soprattutto su un punto. Quella di Berlusconi era stata chiamata legge-bavaglio. Quella che si punta ad approvare è piuttosto una legge-recinto: limitare, circoscrivere, recintare il giornalismo di inchiesta che utilizzando le intercettazioni ricostruisce e racconta gli intrecci tra politica, affari e criminalità. Un intervento che nella maggioranza renziana e nell’opposizione berlusconiana viene considerato urgente, rilanciato dagli ultimi casi politici, giudiziari e mediatici. Frammenti di discorsi che provocano terremoti. Come le parole e i silenzi di cui ha scritto "L’Espresso" a proposito dell’inchiesta sulla sanità in Sicilia che ha sfiorato il governatore Rosario Crocetta: quattro procure ne hanno negato l’esistenza e i magistrati di Palermo hanno aperto un’indagine. O i colloqui ad alto rischio, una volta risaputi, come quello tra il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi e Renzi non ancora premier, ma in procinto di diventarlo, con apprezzamenti poco lusinghieri nei confronti dell’inquilino di Palazzo Chigi Enrico Letta e il disvelamento di un’intimità sorprendente: "Che stronzo...", si lasciava andare il generale con il futuro premier. E l’intercettazione ambientale della Taverna Flavia, con Adinolfi, il deputato renziano Dario Nardella, oggi sindaco di Firenze, e altri commensali illustri, con considerazioni degne di "House of Cards". Le intercettazioni erano state disposte durante l’inchiesta Cpl Concordia sulla metanizzazione dell’isola d’Ischia, coperte da omissis, poi trasmesse dalla procura di Napoli a quella di Modena e inserite in un’informativa con le intercettazioni non penalmente rilevanti. Il Csm ha aperto un’indagine. Anche in questo caso, più che la vicenda giudiziaria, interessa che le intercettazioni siano diventate di dominio pubblico. Impedire che il caso si ripresenti in futuro. L’articolo 25 del ddl di riforma del processo penale che sarà votato alla ripresa dei lavori dalla Camera è esplicito: "prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche... con speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle persone occasionalmente coinvolte e delle comunicazioni non rilevanti ai fini di giustizia penale". Un paletto su cui il governo punta a conquistare il consenso dì una parte importante della magistratura. E una novità rispetto alla stagione berlusconiana, in cui la stretta riguardava in pari misura la possibilità per la magistratura dì utilizzare lo strumento di indagine delle intercettazioni e la diffusione mediatica delle conversazioni. Oggi le alleanze si sono rovesciate. Come sì è visto, ad esempio, il 16 aprile, quando la commissione Giustizia della Camera presieduta da Donatella Ferranti (Pd), ex magistrato, ha ricevuto in audizione i capi delle principali procure, le più impegnate a fronteggiare corruzione e mafia, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, il numero uno della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati, il nuovo capo della procura di Palermo Francesco Lo Voi. Tutti d’accordo: no a bloccare i poteri di indagine delle toghe, sì a limitare la pubblicazione delle intercettazioni. "Nell’inchiesta Mafia Capitale", ha detto Pigliatone, "dopo i primi due giorni in cui sì è dato risalto a quello che c’era nell’ordinanza di custodia cautelare gli organi di informazione hanno riportato tutto quanto era contenuto nei decreti di intercettazione iniziali, quando erano stati percorsi filoni di indagine che non avevano avuto esito positivo. Faccio un nome soltanto: Totti. E diventato il titolo di testa dei giornali senza che ce ne fosse ragione". La soluzione consigliata dal procuratore capo di Roma è il divieto di pubblicazione per il materiale fuori dall’ordinanza di custodia cautelare. "E serve una sanzione vera, non penale ma pecuniaria" per i giornalisti e i blogger che violano il divieto. Sulla stessa linea il procuratore di Milano Bruti Liberati che ha attaccato "il malcostume nella rappresentazione scenica delle intercettazioni nelle trasmissioni televisive". E il procuratore di Palermo Lo Voi: "Il cuore del problema, come tutti sappiamo, è la pubblicabilità dei dati risultanti dalle intercettazioni telefoniche. Il punto è quello, al di là di chi le autorizza. Credo che il disegno di legge Mastella prevedesse una sanzione dai 10mila ai 100mila euro che è un pizzico più deterrente, forse, rispetto ai 2.000 e ai 1omila euro previsti dal disegno di legge della scorsa legislatura". Parole accolte con entusiasmo dai deputati presenti. "Un approccio totalmente soddisfacente", ha commentato Pagano dell’Ncd. "Voi procuratori avete dimostrato coraggio nella chiusura del cerchio: è una bella esposizione dire che bisogna arrivare alla sanzione dei giornalisti", si è emozionata la super-berlusconiana Jole Santelli, già sottosegretaria alla Giustizia nei governi del Cavaliere, in prima linea nelle tante guerre contro le toghe tentate dal capo di Forza Italia. L’obiettivo sì sposta: dalle indagini della magistratura alle inchieste giornalistiche, dal potere di intercettare su disposizione dei pm al diritto di cronaca, da imbrigliare. La parola-chiave delle prossime settimane sarà: bilanciamento. Piace molto al ministro Orlando: mettere sulla bilancia la tutela della riservatezza e la libertà di informazione. Come se il giornalismo di inchiesta non fosse già sotto attacco in un Paese in cui, secondo l’osservatorio Ossigeno per l’informazione, che ha presentato il suo rapporto al presidente Sergio Mattarella, nei primi dieci mesi del 2014 si sono registrati 412 atti di intimidazione contro i cronisti. Prima della pausa la Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi ha votato la relazione del deputato Claudio Fava a nome del comitato sulla mafia e l’informazione, un documento che offre uno scenario agghiacciante dì avvertimenti, danneggiamenti, minacce. E querele pretestuose: un altro strumento con cui si tenta di soffocare la libertà d’azione dei giornalisti. È stata approvata dalla Camera la nuova legge sulla diffamazione, con la cancellazione del carcere per ì cronisti, il tentativo dì eliminare le querele temerarie che hanno l’obiettivo di intimorire chi fa informazione e con la previsione per direttori e giornalisti condannati a pagare un risarcimento di rivalersi sulla proprietà del giornale anche in caso di fallimento della società editrice. Ora però la legge dovrà tornare al Senato. E dopo la tregua estiva il Palazzo tornerà a votare sulle intercettazioni. Con i giornalisti nel mirino. Giustizia: il ministro Orlando; sull’immunità si muova il Parlamento di Fabrizio Lioni Il Messaggero, 7 agosto 2015 Il ministro torna a sollecitare una revisione dell’autorizzazione all’arresto. "Ma non ci sarà alcun atto del governo in materia". Il M5S favorevole a rivedere l’articolo 68 della Costituzione "Si può discutere, ma non delegando decisioni alla Consulta". "Non ci sarà un atto del governo in tema di riforma delle immunità". È lo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando, in un’intervista all’agenzia Dire, a sgombrare i dubbi sulla discussione partita da una sua dichiarazione di qualche giorno fa, in tema di autorizzazione a procedere sui parlamentari. "La mia volontà - ha spiegato ieri - era di suscitare il confronto. Le forze politiche, il Parlamento, valuteranno se ci sono le condizioni, in futuro, per affrontare questo tema in modo compiuto". Un disegno di legge quindi, questa la via indicata dal Guardasigilli, che accolga le diverse istanze del Transatlantico, senza però l’aggiunta di uno specifico imprimatur da parte di palazzo Chigi, in questo momento già alle prese con il delicato compito di mediare sul ddl Boschi. E proprio l’altro ieri il ministro della Giustizia si è visto con i componenti della sua corrente, per fare il punto sull’attività politica, anche se da viale Arenula smentiscono che la "questione immunità" sia stata tra i temi sul piatto. Non ci sono ancora date quindi, né tantomeno piani imbastiti dalla maggioranza, per incardinare una possibile proposta di revisione dell’articolo 68 della Costituzione. Resta il fatto però che la necessità di mettere mano al tema sembra essere un’idea abbastanza condivisa dalle diverse forze politiche, nonché dalla minoranza Dem, che aveva inserito un emendamento in tal senso proprio nella riforma costituzionale in discussione al Senato. Il progetto è in fase embrionale, ma si svilupperà. Una spinta a questa ipotesi verrà sicuramente anche dal presidente del gruppo Misto a Montecitorio Pino Pisicchio. "Sono ormai diverse legislature che presento una proposta di legge per modificare il principio dell’autodichia sull’autorizzazione a procedere - dice l’esponente centrista - e mi impegnerò affinché la capigruppo la calendarizzi in tempi ragionevoli al ritorno dalla pausa estiva". E questa volta al tavolo delle trattative potrebbe sedersi anche il Movimento Cinque Stelle. "Noi da sempre siamo per togliere qualsiasi privilegio ai deputati - spiega Andrea Colletti, deputato pentastellato che siede nella Commissione Giustizia - si tratta di vecchie prerogative che avevano senso in un Paese che usciva dalla dittatura e non adesso. Detto questo, se il tema verrà trattato dal parlamento se ne potrà discutere, da una posizione mediana però, perché che questo ruolo sia affidato alla Corte Costituzionale siamo totalmente contrari". Il punto di incontro, per Coletti, è rappresentato dal tribunale del Riesame "un organo composto da giudici competenti, che eviterebbe lo snaturamento della Consulta". E se nei giorni scorsi anche Forza Italia, Alleanza Popolare, Sel e Psi hanno mostrato la loro contrarietà ad affidare questo incarico alla suprema Corte, uno stop a questa ipotesi è arrivato anche dall’Anm. "La terzietà dei giudici costituzionali -ha detto il presidente dell’ Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli - è fuori discussione e va preservata dalle critiche, per quanto infondate esse siano. Proprio per questo sarei contrario ad attribuire alla Corte l’autorizzazione all’arresto dei parlamentari". Giustizia: fondi per Europa più giusta… violenza su donne, diritto di difesa, integrazione di Roberto Lenzi Italia Oggi, 7 agosto 2015 Dall’Ue quattro bandi per un totale di 7,7 milioni in scadenza tra settembre e ottobre. Migliorare la giustizia all’interno dell’Unione europea è uno degli obiettivi primari della Commissione europea. Il Programma giustizia 2014-2020 è lo strumento attraverso il quale l’Ue intende raggiungere questo obiettivo, potendo contare su uno stanziamento per il periodo 2014-2020 di oltre 377 milioni di euro. Il programma comunitario viene attuato attraverso l’emanazione periodica di bandi specifici. Attualmente sono operativi ben quattro diversi bandi che mettono in gioco risorse per oltre 7,7 milioni di euro e che scadono nei mesi di settembre e ottobre 2015. I bandi riguardano aspetti quali la violenza contro le donne, il funzionamento dei sistemi nazionali di giustizia, i diritti delle persone accusate di crimini e l’integrazione della popolazione Rom. Le azioni generalmente finanziate sono studi e analisi, attività di formazione e divulgazione, scambi di buone prassi e cooperazione tra enti. Combattere la violenza contro le donne Il bando Daphne stanzia 3 milioni di euro da tradurre in sovvenzioni di azioni per sostenere progetti transnazionali per la lotta contro le molestie sessuali e la violenza sessuale contro le donne. Il bando Just 2015 scadrà il 13 ottobre 2015. L’invito ha lo scopo di cofinanziare progetti transnazionali per la lotta contro le molestie sessuali e la violenza sessuale contro le donne e le ragazze, in linea con l’obiettivo specifico di prevenire e combattere tutte le forme di violenza contro i bambini, i giovani e le donne, così come la violenza contro altri gruppi a rischio, in particolare i gruppi a rischio di violenza nelle relazioni strette, e per proteggere le vittime di tale violenza (Daphne). Il contributo a fondo perduto, per un minimo di 75 mila euro, copre fi no all’80% delle spese ammissibili. Migliorare i sistemi nazionali L’obiettivo di questo bando è fornire sovvenzioni destinate a sostenere progetti transnazionali sulla promozione della qualità dei sistemi giudiziari nazionali. Il bando Just/2015/jacc/ag/qual stanzia allo scopo un milione di euro. Ha lo scopo di cofinanziare progetti transnazionali che promuovono la qualità dei sistemi giudiziari nazionali, in linea con la specifica obiettivo di facilitare l’accesso effettivo alla giustizia per tutti. Il contributo a fondo perduto copre fino all’80% dei costi ammissibili. La scadenza del bando è fissata alle ore 12 del 13 ottobre 2015. Tutelare le persone sospettate di un crimine. Il bando Just/2015/jacc/ag/proc stanzia 2 milioni di euro per concedere sovvenzioni a progetti di sostegno al miglioramento dei diritti delle persone sospettate o accusate di reati. Il bando vuole cofinanziare progetti nazionali e/o transnazionali che contribuiscono a un’applicazione efficace e coerente del diritto penale dell’Ue nel settore dei diritti di indagati o imputati di reati e alla preparazione di una nuova azione comunitaria, in linea con lo specifico obiettivo di facilitare l’accesso effettivo alla giustizia per tutti. Anche in questo caso il bando permette di accedere ad un contributo a fondo perduto fi no all’80% della spesa ammissibile, con un minimo di 75 mila euro. La scadenza di questo bando è fissata al 28 ottobre 2015. Facilitare l’integrazione della popolazione Rom Questo bando finanzia azioni, portate avanti direttamente dagli stati membri, a sostegno delle attività per promuovere l’integrazione dei Rom. Il bando Just/2015/rdis/ ag/nrcp ha una dotazione finanziaria di 1,775 milioni di euro e scadrà il 10 settembre 2015. Il bando sosterrà la creazione o il rafforzamento e la ristrutturazione dei processi nazionali di consultazione attraverso le National Rom platforms dei punti di contatto nazionali per i Rom (Nrcp), in linea con l’obiettivo specifico di promuovere l’effettiva attuazione del principio di non discriminazione. Il contributo a fondo perduto, per questo bando, copre fi no al 95% delle spese ammissibili ma non potrà superare l’importo di 65 mila euro per progetto. Giustizia: Mafia Capitale; Alfano costretto ad attendere, pacchetto Giubileo a settembre di Eleonora Martini Il Manifesto, 7 agosto 2015 Angelino Alfano sarebbe stato anche pronto, a discutere in Consiglio dei ministri la sua relazione su Mafia capitale, ma ormai Matteo Renzi non ha più fretta. "Io sono tecnicamente pronto a relazionare oggi in Cdm", aveva detto il ministro dell’Interno attendendo il consueto tavolo settimanale. Ma con alcuni suoi fedelissimi piazzati nella giunta Marino ter, ormai il premier/segretario può aspettare fino a settembre per decidere il da farsi: non tanto riguardo l’ipotesi di sciogliere o meno il comune di Roma, che con il Giubileo straordinario alle porte e con la candidatura italiana alle Olimpiadi 2024 non è più sostenuta nemmeno dalle più accanite opposizioni, quanto però riguardo il pacchetto di decreti emergenziali che permettano al Campidoglio di appaltare i lavori giubilari a tempo record e in deroga alle leggi vigenti. Tutto dunque rinviato "al Cdm del 27 agosto", quando il governo - ha annunciato ieri sera Renzi - "approverà una serie di pacchetti" per la Capitale, in particolare quello sul "commissario per il debito", quello relativo al "decreto sul Giubileo e una serie di iniziative richieste dal comune di Roma". Altri venti giorni di attesa non sono però una buona notizia, per il sindaco Marino e la sua nuova giunta. Perché dopo i tanti mesi persi nel mezzo della bufera giudiziaria di Mafia capitale, di tempo ne rimane davvero poco per mettere in campo le giubilari per le quali sono stati già stanziati 150 milioni di euro e altri 50 se ne possono aggiungere subito, con le linee di credito bancarie aperte dopo la lettera del Mef che ne stabilisce lo stanziamento. L’assessore ai Lavori pubblici Maurizio Pucci che dovrebbe coordinare gli interventi sulla città (anche l’ipotesi di un commissario straordinario ad hoc sembra essere stata accantonata, ferma restando la cabina di regia composta da Prefettura, Regione, Comune e Vicariato sotto l’egida del sottosegretario Claudio De Vincenti) si aspettava probabilmente una strada normativa che permettesse l’assegnazione diretta o con gare "brevi" per i lavori necessari al Giubileo francescano. Sul tavolo del governo c’è già il protocollo di vigilanza collaborativa siglato il 29 luglio scorso dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone e il sindaco di Roma, proprio per permettere l’appalto rapido di almeno sei grandi opere sotto la sorveglianza speciale dell’Anac, "sul modello Expo di Milano". Renzi non ha cambiato idea dopo il fiume di accuse di Salvatore Buzzi contro Marino e il governatore Zingaretti. Non a caso il ras delle coop rosse se ne guarda bene dal parlare della vera Mafia Capitale. "Mi pare di capire - afferma il premier - che ci sia una strategia processuale del tutto rispettabile da parte di alcuni imputati ma come è ovvio questo non cambia né il nostro approccio né la relazione". D’altronde, nel governo c’è anche chi, come il Guardasigilli Andrea Orlando, contrasta nettamente la linea di Alfano. "Avere inserito nella Giunta comunale di Roma elementi importanti del nostro partito dà il senso di un investimento politico importante per risolvere i problemi della Capitale - ha detto ieri su Rai3 - Non si tratta di capire se il sindaco Marino ce la faccia o meno, perché Roma è una sfida collettiva e quindi o ce la facciamo tutti assieme o falliamo tutti assieme". Giustizia: Mafia Capitale; Buzzi "ecco i 30 politici nel mio libro paga" di Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi La Repubblica, 7 agosto 2015 I verbali: a Pucci fondi per le elezioni e un’auto. I pm: ma quando salva Alemanno non è credibile. Il capo della coop "29 giugno" adesso in carcere svela i rapporti con gli uomini del Campidoglio: "Favori e tangenti ai membri delle ultime due amministrazioni, ai consiglieri e ai presidenti dei municipi". Chi ha davvero trascinato con sé Salvatore Buzzi? E fin dove la Procura è disposta a credergli? Il 23 luglio, nell’ultimo dei cinque interrogatori nel carcere di Cagliari, Buzzi è costretto dai pubblici ministeri a mettere un punto. A indicare una volta per tutte il ruolo del suo complice chiave (Massimo Carminati) e il dettaglio della sua tela di corruttore. Trenta politici: 2 assessori della giunta Alemanno, 5 assessori, 18 consiglieri comunali e 5 presidenti di municipio della stagione Marino. È un redde rationem che convince la Procura di avere di fronte un uomo che è insieme disperato e furbacchione. Capace di ammettere solo ciò che non può negare, ma pronto a tacere ciò che davvero trasformerebbe le sue dichiarazioni in una "collaborazione" che, al contrario, è solo un avviso ai naviganti. Di Massimo Carminati, Buzzi ha paura. Dunque, pattina. "Devo dire - esordisce - che sono rimasto molto deluso dal suo comportamento, perché è emerso che ha commesso svariati reati, mentre a noi ci rassicurava del fatto che non li commettesse". Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il pm Paolo Ielo lo interrompono: "Lei ha confessato dei reati che ha commesso insieme a lui. Quindi". Buzzi prova ad arrabattarsi. "È vero, però nella mia idea si tratta di reati meno gravi. Non violenti o mafiosi". Quindi aggiunge: "E comunque non ho difficoltà a riferire i flussi economici con cui avevamo definito i nostri reciproci rapporti di dare e avere. Erogammo alla coop Cosma che era a lui riconducibile 140 mila euro e comunque il rapporto di fiducia reciproco cresceva anche perché lui ci affidava tutte le decisioni da prendere relative ai suoi interessi. Addirittura, per i 200 mila euro del debito "Misna" (progetto di assistenza di minori non accompagnati, ndr), ci disse che un terzo avrebbe dovuto essere destinato a Fabrizio Testa (detenuto dal dicembre scorso, ndr), un terzo lo avrebbe preso lui e un terzo lo avrebbe lasciato in cooperativa. I rapporti con Carminati si sarebbero legalizzati presto e sarebbe diventato socio della "29 giugno"". Per i pm, una solenne sciocchezza: "Come fa a parlare di "legalizzazione dei rapporti", dal momento che usavate un jammer per impedire la captazione di conversazioni?". "Era Carminati a volerlo usare - rincula Buzzi. Perché aveva paura delle indagini su Finmeccanica. E comunque a noi andava bene perché sapevamo che i nostri accordi di cartello con altre imprese erano reati". I pm sollecitano quindi Buzzi a indicare una volta per tutte chi avrebbe corrotto. "La nuova Amministrazione Marino - dice lui - mi aveva posto a carico i costi di 4,5 assessori, 18 consiglieri comunali, 4, 5 presidenti di municipi". E, questa volta, lascia scivolare il nome dell’assessore ai lavori pubblici della Giunta Marino, Maurizio Pucci, un pisano classe 1954, ex agente assicurativo Unipol, legatissimo al sindaco e, tra gli anni 90 e il 2000, uomo chiave delle giunte Veltroni e Rutelli in Ama e nei cantieri del Giubileo, prima di diventare responsabile della protezione civile regionale con Marrazzo. "Il primo degli assessori della giunta Marino con cui ho avuto rapporti di tale natura - dice infatti Buzzi a verbale - è Maurizio Pucci, durante la campagna elettorale del 2006, quando gli erogammo finanziamenti e gli mettemmo a disposizione un’autovettura che lui non voleva più restituire. Nell’ultima consiliatura, però, non ci sono state altre erogazioni". "Poi?", chiedono i pm. "Vi sono state tre assunzioni richieste da Luigi Nieri (ex vicesindaco, ndr). Non normali, né amicali, ma immediate, al costo di 110, 120 mila euro annui, e fatte in una logica di scambio". Buzzi prosegue: "Per le deliberazioni per il debito fuori bilancio ho promesso a Mirko Coratti (ex presidente dell’assemblea capitolina ndr) e Francesco D’Ausilio (ex capogruppo Pd in Campidoglio, ndr) 100 mila euro. Che hanno accettato, ma che non ho fatto in tempo a pagare perché sono stato arrestato. Alfredo Ferrari (consigliere Pd, ndr) e Luca Giansanti (capogruppo della lista Marino, ndr) hanno accettato una promessa di 30 mila euro, 15 mila a testa, mentre con Ferrari mi sono accordato per un compenso tra il 5 e il 10% di un debito fuori bilancio da 400 mila euro. Poi ci sono state le tre assunzioni chieste da Massimo Caprari (consigliere di Centro democratico, ndr). Anche Fabrizio Panecaldo (capogruppo Pd, ndr) mi chiedeva assunzioni. Assentivo ma non si è mai fatto nulla". Nei ricordi di Buzzi, c’è qualcosa di nuovo anche sul conto del Pdl Giordano Tredicine. "Gli promisi il 10% su uno stanziamento di 2 milioni di cui avevano disponibilità in bilancio". E su Lucia Funari, assessore alla casa con Alemanno. "Le davo 10 mila euro al mese per ottenere le proroghe dei servizi dell’emergenza alloggiativa. Complessivamente, le ho portato in ufficio 100 mila euro". C’è infine il capitolo dei finanziamenti in chiaro e delle "altre utilità" alla politica. Dice Buzzi: "Ho finanziato Erica Battaglia (presidente della commissione politiche sociali del comune, ndr), mentre al consigliere Pd Athos De Luca ho garantito presenze agli eventi per la campagna elettorale. Ho finanziato Alemanno per le europee e feci un’assunzione ma non con caratteri di scambi per Fabrizio Ghera (capogruppo in Campidoglio di "Fratelli d’Italia", ndr)". L’interrogatorio si chiude qui. Ma Buzzi non porta a casa quel che cerca. La Procura gli contesta che quanto ha ascoltato per cinque giorni - il 23 e il 24 giugno, il 21, 22 e 23 luglio - "è scarsamente credibile". Per più di una ragione. "Per la scarsa plausibilità logica - si legge nel verbale - della ricostruzione dei rapporti con Alemanno, delle erogazioni nei suoi confronti di utilità economiche che non avrebbero avuto ragione se non in forza di un’esplicitazione di un accordo corruttivo". "Per la scarsa plausibilità logica e per il contrasto con alcune conversazioni intercettate nella ricostruzione dei suoi rapporti con Carminati". "Per le versioni sui rapporti e gli interventi minacciosi nei confronti di Riccardo Mancini (ex ad di Ente eur e tesoriere di Alemanno, ndr)". "Per la scarsa plausibilità logica dei rapporti con la criminalità calabrese". Giustizia: intervista a Giulia Bongiorno "sulla giustizia Renzi fa peggio di Berlusconi" di Marco Damilano L’Espresso, 7 agosto 2015 "Oggi ritrovo nelle parole del premier, e anche di Cantone, le stesse motivazioni che usavano i berlusconiani. Che differenza c’è tra la proposta del Pd e quella del Pdl? Nessuna". Parla l’avvocato presidente della Commissione Giustizia alla Camera nell’ultima legislatura. L’avvocato Giulia Bongiorno, popolare al punto di finire in una canzone del rapper J-Ax ("vorrei avere l’avvocato di Andreotti e Amanda Knox") nell’ultima legislatura è stata presidente della Commissione Giustizia della Camera. Nonostante fosse stata eletta nel Pdl, toccò a lei contrastare la legge sulle intercettazioni pretesa da Silvio Berlusconi che fu all’origine della rottura con Gianfranco Fini. Era l’epoca della legge bavaglio e del movimento dei post-it gialli nelle piazze, alla fine non se ne fece nulla. Oggi l’avvocato Bongiorno, tornata alla sua professione, ragiona sulla proposta del governo Renzi: "Mi ha colpito che Renzi individui ora come una priorità una legge delega sulle intercettazioni. Ricordo quando nella commissione da me presieduta il Pd ripeteva che i problemi erano l’efficienza, i tempi, il numero dei cancellieri. Lo dicevano tutti: Donatella Ferranti che oggi presiede la commissione Giustizia, l’attuale ministro Andrea Orlando... Chiedevano di ripristinare il reato di falso in bilancio, non le intercettazioni". Beh, però il reato di falso in bilancio in effetti è stato reintrodotto. "In apparenza. Sappiamo che il falso in bilancio è un reato-sentinella rispetto alla corruzione e lievita con l’utilizzo improprio delle valutazioni. Per decenni a Berlusconi è stato contestato che la valutazione poteva avere una rilevanza penale sopra una certa soglia del bilancio, il dieci per cento. Renzi ha fatto una grandissima pubblicità sostenendo di aver ripristinato il falso in bilancio e poi, con un emendamento governativo, ha eliminato tutte le valutazioni, cioè il cuore del falso. La nuova legge è inutile. L’operazione anti-corruzione di Cantone è stata svuotata. È stato disegnato un grande affresco e poi cancellato". E sulle intercettazioni? Che disegno c’è? "C’è una legge delega, vaga, che però nasconde dei trabocchetti. La grande limitazione arriverà sui tempi per i magistrati: alla fine saranno tre mesi di indagini, come nelle leggi presentate da Berlusconi su cui litigai con l’allora Pdl di cui facevo parte. La tagliola è uno strumento di Berlusconi: oggi ritrovo nelle parole di Renzi, e anche di Cantone, le stesse motivazioni che usavano i berlusconiani. E io che cercai di correggere quelle leggi mi ritrovo a muovere le stesse obiezioni del Pd dell’epoca". Eppure la magistratura, nel complesso, sembra meno allarmata di queste limitazioni rispetto a qualche anno fa. Come lo spiega? "C’è una differenza tra Berlusconi e Renzi. Berlusconi voleva difendersi dai magistrati che indagavano su di lui, Renzi si preoccupa di più di quanto arriva all’opinione pubblica, ai giornalisti. Berlusconi faceva il legislatore da imputato, voleva limitare i poteri dell’accusa che era la sua controparte processuale, la controparte di Renzi non è la magistratura, è la stampa. Per questo ho l’impressione che sia riuscito ad ottenere dalla magistratura un nulla osta, indicando come punto focale della legge il tema della pubblicazione. In questo modo si è sviata l’attenzione sui tempi per le intercettazioni. Queste garanzie si riveleranno fittizie perché i limiti arriveranno anche per i magistrati". All’epoca le intercettazioni erano il tema politicamente più caldo, nelle aule parlamentari e nelle piazze. E la legge Berlusconi-Alfano fu chiamata legge-bavaglio. Che differenza c’è con la legge-delega di Renzi? "Sul divieto di pubblicare le intercettazioni ci fu uno scontro durissimo nel Pdl. Il punto era stabilire quando fossero pubblicabili. Si era stabilito che quel momento fosse l’udienza-filtro, quando le parti in parità, accusa e difesa, fissano quali sono le conversazioni da portare in giudizio e quali sono da considerare inutilizzabili. Io sostenevo: prima dell’udienza-filtro c’è l’ordinanza di custodia cautelare, bisogna consentire alla stampa di darne notizia, almeno nei contenuti, per sunto, come si diceva allora. Non si può comprimere il diritto di cronaca fino all’udienza-filtro che arriva molti mesi dopo. Mi sembra che ora si voglia andare proprio in quella direzione: la bandiera di Berlusconi riciclata. Che differenza c’è tra la proposta del Pd e quella del Pdl? Nessuna". Almeno un avvocato come lei apprezzerà quella che qualcuno ha definito "la svolta garantista" del premier. Il Parlamento, ha detto Renzi, "non è il passacarte delle procure". "Mi sembra che Renzi non si stia affatto occupando della giustizia, ma esclusivamente di tutelare la sua immagine. Ha fatto credere che tagliava le ferie ai magistrati, invece è stata tagliata soprattutto la sospensione feriale (il periodo del mese di agosto escluso dal calcolo delle scadenze processuali, ndr). In questi giorni Renzi presenta il suo garantismo come buono, illuminato, diverso da quello di Berlusconi che era interessato, motivato dalla sua condizione di imputato. E invece va considerato per quel che è. Uno straordinario gioco di prestigio". Le piace almeno l’idea del ministro Orlando di togliere al Parlamento il voto sulle autorizzazioni all’arresto di deputati e senatori e di affidarlo alla Consulta? "Con questo escamotage si prepara il vero colpo: togliere al Csm il potere disciplinare. Si dirà: basta con la giustizia domestica, la politica non giudica se stessa, neppure la magistratura deve farlo. Se riuscirà nell’intento Renzi avrà una magistratura con la responsabilità civile, sottoposta al giudizio dell’esecutivo, senza strumenti di indagine. Se così fosse si realizzerebbe il sogno del berlusconismo più spinto". Morte di un paziente nel corso del Tso. C’entra qualcosa lo War Project di taluni pazienti? di Mario Iannucci* Ristretti Orizzonti, 7 agosto 2015 Una persona è morta a Padova, nei giorni scorsi, mentre le Forze di Polizia stavano eseguendo un Tso. Io non so come siano andate le cose, ma provo a formulare talune riflessioni a partire da questa penosissima vicenda. Si va dicendo per ogni dove (e lo asseriscono soprattutto taluni psichiatri, peraltro senza fornire alcuna prova documentale) che le persone affette da gravi turbe mentali non sono più pericolose dei cosiddetti "normali". Non c’è niente di più falso. Intanto, mentre in apparenza si svuotano gli Opg riempiendo però le Rems (i nuovi Opg), le carceri ordinarie sono stracolme di persone che soffrono di gravissime patologie psichiche. Sfido poi chiunque abbia un pò di buon senso a dire che un grave delirante di persecuzione o uno schizofrenico paranoide, che rifiutino le cure e formulino war projects, non siano pericolosi nel momento in cui, con ferma determinazione, si oppongono alle cure. È in casi del genere - quando ci si trova di fronte a un esordio psicotico gravissimo, o quando le nostre cure non hanno sortito effetti favorevoli, quando la relazione terapeutica col paziente si è interrotta e quando, infine, vi sia una "situazione di pericolo" - che dolorosamente si ricorre al Tso. Spesso sono i familiari per primi a reclamare un forte e tempestivo intervento sanitario. Sono i Giudici, richiamando i terapeuti alla "posizione di garanzia" (che è la posizione di tutela della "salute" del paziente e della società), a condannare coloro che, dovendo intervenire per loro obbligo professionale, non intervengono o lo fanno con negligenza, imprudenza o imperizia. Immaginiamo allora che una persona, che soffre di una grave e documentata patologia psichica per la quale è già da tempo in cura presso i Servizi di Salute Mentale, manifesti chiari sintomi psicopatologici e, al contempo, appaia anche agitato e aggressivo. Immaginiamo magari che siano gli stessi familiari a richiedere un tempestivo intervento di quei Servizi di Salute Mentale, perché il paziente riceva un immediato aiuto e una cura. Io non so cosa sia accaduto a Padova, ma so cosa mi piacerebbe che accadesse ovunque. Mi piacerebbe che gli Operatori del Servizio (possibilmente quelli che abitualmente curano il paziente) andassero subito a trovare la persona sofferente. Mi piacerebbe che, nel caso la ritenessero bisognosa di cure immediate per il grave stato psicopatologico, cure da eseguirsi in ambito ospedaliero, cercassero di convincerlo al ricovero. Solo nel caso che il ricovero e le cure venissero rifiutate, qualora non fosse possibile adottare altra idonea misura terapeutica extra ospedaliera, solo allora due medici (uno dei quali, almeno in Toscana, deve essere uno specialista psichiatra del Ssn) si vedrebbero costretti a proporre e convalidare una richiesta di Tso. Il Tso (che sussistendo lo stato di necessità in talune circostanze può essere eseguito immediatamente dalle Forze di Polizia) viene quindi ordinato dal Sindaco (in via d’urgenza, si spererebbe, ma non sempre accade) ed effettuato nel competente Servizio Psichiatrico Ospedaliero. Qui si pone un’altra annosa questione: chi provvede a fermare, trattenere e talora a contenere un paziente che, in preda a una grave patologia mentale, si opponga con ogni mezzo alle cure, tenti di fuggire e magari aggredisca gli astanti che cercano di aiutarlo? Mi è capitato, talora, di sentir dire agli Operatori di Polizia, durante l’esecuzione di un Tso, che non sarebbero stati loro a trattenere il paziente riottoso, ma che questo era piuttosto il compito degli Operatori Sanitari. Questi ultimi, d’altra parte, registrando che si tratta di eseguire una ordinanza del Sindaco, sostengono invece che debbano essere le Forze di Polizia (in particolare quelle della Polizia Municipale) a provvedere a tale adempimento. La ragione e le esigenze cliniche esigerebbero invece una strettissima collaborazione fra tutti coloro che intervengono in siffatte circostanze, considerando che si tratta di circostanze complesse ed estremamente delicate, che richiedono una forte coesione interprofessionale e inter-istituzionale. La competenza per interventi così difficili, così emergenziali, nei quali è in gioco la salute dei singoli e la sicurezza della società, non la si inventa, ma piuttosto la si costruisce con costanza e con sapienza, organizzando corsi interprofessionali abituali e obbligatori per tutti gli Operatori, Sanitari e di Polizia. La presenza di personale sanitario competente e non ignavo, durante l’effettuazione di un Tso, a me pare assolutamente necessario. Ammettiamo infine che, nonostante tutte le cose siano state fatte convenientemente, il paziente da sottoporre al Tso cerchi di sfuggire al ricovero, aggredendo magari gli astanti con grande violenza fisica. Immaginiamo che, fuggito in un campo, colpisca con una pietra un Operatore di Polizia che sta cercando di fermarlo. Se i suoi colpi fossero inferti per - o fossero in ogni caso in grado di - procurare lesioni gravi e potenzialmente mortali a quell’Operatore di Polizia, dovremmo forse meravigliarci che quell’Operatore, se armato, si difenda sparando? Io non amo gli ipocriti, ma amo molto il difficilissimo compito di terapeuta di complicate (e spesso rischiose) condizioni di patologia mentale (mi occupo da quasi trentasette anni anche di pazienti psichiatrici autori di reato). Posso quindi dire con certezza cosa non andrebbe fatto in certe occasioni. In occasione di un Tso ad esempio, a meno che non si tratti di intervenire con pazienti che sappiamo armati e minacciosi, non bisognerebbe fare intervenire Operatori di Polizia con armi da sparo. Questi Operatori, inoltre, bisognerebbe che avessero ricevuto una adeguata formazione per intervenire in circostanze simili e che, ove possibile, fossero scelti fra coloro nei quali si fosse rinvenuta anche una certa attitudine a trattare con persone disturbate. Il numero degli Operatori (Sanitari e di Polizia) dovrebbe quindi essere congruo rispetto all’intervento da effettuarsi. Tale intervento, se il caso fosse noto ai Servizi, dovrebbe essere preparato con cura. La collaborazione poi di tutti gli Operatori intervenuti dovrebbe essere massima. Tutto questo, però, non accade che raramente. Non ci meravigliamo, allora, che epiloghi pericolosi, potenzialmente letali, possano avere luogo. Per evitarli occorre prepararsi adeguatamente, attenendosi a precise linee guida. Con l’auspicio che tali linee vengano pensate e redatte da operatori che non solo sappiano riflettere, ma che abbiano anche una specifica e documenta competenza. * Psichiatra psicoanalista - Salute Mentale Adulti e Istituti di Pena di Firenze Già Presidente della Società Italiana di Psichiatria Penitenziaria I figli di Gheddafi e le torture inaccettabili Corriere della Sera, 7 agosto 2015 I due figli di Gheddafi sono sottoposti a torture inaccettabili e degradanti: lettera-appello di Emma Bonino, Pier Ferdinando Casini, Fabrizio Cicchitto, Massimo D’Alema, Antonio Martino e Giorgio Tonini. Caro direttore, le vicende che, negli ultimi giorni, hanno coinvolto i due figli di Gheddafi detenuti in Libia sono una drammatica conferma del caos e della barbarie in cui è precipitato il Paese. Saif al Islam, secondogenito e successore designato del Colonnello, è stato condannato a morte da un tribunale di Tripoli, dopo un processo farsa. Saadi, terzogenito ed ex calciatore, è apparso in un video mentre viene sottoposto a torture e a trattamenti degradanti in carcere, bendato e incatenato. È uno schiaffo intollerabile al diritto internazionale e al senso di umanità, oltreché ai principi del giusto processo e al rispetto dei diritti degli imputati. Quali che siano state le loro responsabilità e le loro colpe, probabilmente gravissime, nel passato regime e nella guerra civile, la tortura è una pratica inaccettabile, così come la pena capitale, soprattutto in un contesto così platealmente privo di qualsiasi garanzia. L’Alto commissario Onu per i diritti umani ha evidenziato le gravi carenze del procedimento giudiziario contro Saif al Islam. Lo stesso hanno fatto il Consiglio d’Europa, e le principali organizzazioni non governative impegnate sul fronte dei diritti umani, a partire da Amnesty International e da Human Rights Watch. È chiaro che in Libia, non solo a Tripoli ma probabilmente ovunque nel Paese, non ci sono le condizioni per processi rispettosi dei minimi standard internazionali. Sicuramente non per imputati del genere. È un Paese troppo diviso e dilaniato dalla violenza. Da tempo il Tribunale penale internazionale chiede la consegna di Saif al Islam e il trasferimento del processo all’Aia. La comunità internazionale deve sostenere questa richiesta con più forza e più decisione, con tutti gli strumenti di pressione di cui dispone. E lo stesso potrebbe essere fatto per il fratello Saadi. La Libia non sarebbe un Paese migliore con l’eliminazione dei due figli del suo ex dittatore. La sorte dei due Gheddafi non può rappresentare una nuova macchia nera su un Paese devastato. Qui non si tratta di tirannicidio, forse neanche più di vendetta. Un processo equo è un’occasione per fare davvero i conti col proprio passato. Un’occasione che la Libia non può permettersi di perdere. Come non possiamo permettercelo noi, che in quel pantano siamo immersi fino al collo. Del resto l’Italia, a livello governativo e grazie all’impegno di "Nessuno tocchi Caino", "Non c’è Pace Senza Giustizia" e della Comunità di Sant’Egidio, è stata continuativamente alla testa delle battaglie in sede Onu per la moratoria sulla pena di morte e per l’istituzione della Corte penale internazionale. La Libia deve aprire una fase nuova del dopo Gheddafi. Bisogna partire da un pò di giustizia, non da fucilazioni e torture. Emma Bonino, ex ministro degli Affari esteri; Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Affari esteri del Senato; Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Affari esteri della Camera; Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio dei ministri; Antonio Martino, ex ministro degli Affari esteri; Giorgio Tonini, vicepresidente senatori Pd. Cari poliziotti, pure voi contro i migranti? Attenti a non usarli, già lo fanno in troppi di Gianni Tonelli* Il Garantista, 7 agosto 2015 L’intolleranza diffusa che le cronache ogni giorno raccontano è la cartina di tornasole più vera del fallimento delle politiche per la sicurezza di questo Paese. Quando in località tranquille come Camaiore o Rimini la gente cerca di linciare rapinatori e mariuoli di origine straniera, bisogna porsi delle domande e soprattutto fornire delle risposte. Vogliamo poi ricordare le aggressioni subite dalla polizia? Non ultimo l’assalto ai miei colleghi avvenuto a Tor Bella Monaca, noto quartiere "difficile" della capitale, dopo l’arresto di alcuni spacciatori stranieri. Ma l’esasperazione porta anche le persone perbene a sfogarsi contro le divise, basti pensare ai residenti di Casale San Nicola a Roma, una zona tranquilla a due passi dalla Cassia dove la presenza di profughi rischia di superare il numero di residenti. A Casale ci sono stato l’altra settimana, ho parlato con la gente e ho visto che sono la parte migliore di questo Paese, che sono mamme, babbi, fratelli e figli che chiedono solo di non vedere travolte e sconvolte le proprie vite. Compito di chi amministra, di chi fa politica con la "P" maiuscola, deve essere quello di prevenire certe situazioni, di non mettere i cittadini gli uni contro gli altri. Per i fenomeni migratori occorre trovare soluzioni compatibili, soprattutto permettere alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro in termini di prevenzione, dando strumenti e non tagliandoli come è avvenuto con le ultime leggi di stabilità. Se in una città come Roma girano poche decine di volanti e gazzelle, mediamente una ogni 150.000 abitanti, è ben chiaro che a Tor Bella Monaca possano esserci assalti alla polizia. Ed è altrettanto chiaro che - come a Casale San Nicola - le persone non si sentano sicure, perché passata l’attenzione mediatica spariranno pure i presidi delle forze di polizia e i dispositivi di sicurezza provvisoriamente insediati. Chi fa politica con la "P" maiuscola dovrebbe anche interrogarsi su quel che succede nella "tranquilla" provincia italiana: come si può pensare di far politica dell’accoglienza permettendo a una parte dei migranti di passare le loro giornate in hotel, quando ci sono imprenditori strangolati dalle banche che hanno perso il proprio lavoro e dormono in macchina? Come si può pensare di spendere 900 euro al mese per ogni profugo (una famiglia di migranti con due figli ci costa 3.600 euro) quando ci sono pensionati che in due vivono con meno di 1.000 euro? Devo maliziosamente pensare che taluni difendano certe situazioni non per convinzione, ma perché la greppia dove pascolano è vitale per mantenere posizioni di privilegio: non voglio fare populismo da bocciofila, perché per me un parlamentare che fa bene il suo lavoro potrebbe anche esser pagato di più rispetto ad oggi, ma quando si guadagnano 200.000 euro l’anno è facile parlare di accoglienza per tutti i disperati che arrivano dai Paesi poveri. Andiamo a spiegarlo ad una famiglia in cassa integrazione! Il Governo e il ministro dell’Interno rasentano ormai l’impalpabilità in materia di sicurezza, continuano a raccontare un’Italia che non esiste per nascondere il loro totale fallimento che non è una maledizione del cielo, ma la diretta conseguenza dei tagli e delle scelte scellerate che non sono stati contrastati. Anzi, sono stati avallati per difendere posizioni e prebende! L’ex titolare degli Esteri del Governo Monti, Giulio Terzi, si dimise in dissenso e in polemica col professore bocconiano per la vicenda dei due Marò. Alfano darà mai conto dei suoi insuccessi? *Segretario Generale Sap Sindacato Autonomo di Polizia Risponde Errico Novi Caro Tonelli, possiamo essere d’accordo solo su una cosa: i poliziotti sono costretti a fare il loro lavoro in condizioni, soprattutto retributive, sempre peggiori. Ma i migranti non c’entrano. E, ci permetta, non c’entrano neppure con le altre condizioni di disagio ricordate nel suo intervento. La storia di un’Italia afflitta dai troppi stranieri è una favola utile a nascondere i problemi veri, che nascono altrove. Nel rapporto con l’Europa per esempio, e in una crisi demografica che, soprattutto al Sud, lascerebbe l’Italia ancora più deserta, se non fosse per i migranti. Friuli Venezia Giulia: accordo con ministero Giustizia su informatizzazione e ottimizzazione Il Velino, 7 agosto 2015 Il Guardasigilli Orlando e la Governatrice Serracchiani firmano protocolli intesa per servizi più efficienti. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando e la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani hanno firmato questa mattina nella sede del ministero in via Arenula due protocolli d’intesa per l’ottimizzazione del sistema giustizia. Nell’illustrare gli accordi tra ministero e regione, il Guardasigilli, ha sottolineato "l’importanza di un’occasione in cui si realizza una forma di sussidiarietà davvero avanzata, in cui le linee direttrici del ministero della Giustizia si sono trasformate in interventi concreti da parte della regione Friuli Venezia Giulia". "È uno di quei casi virtuosi, purtroppo non così frequenti nel nostro Paese, in cui i vari livelli istituzionali collaborano per andare esattamente nella stessa direzione: il risultato di questa sinergia si traduce in un risparmio delle risorse e un’ottimizzazione dell’organico arrivando all’obiettivo di dare servizi più efficienti ai cittadini". Soddisfazione ha espresso anche la presidente Serracchiani, ribadendo che con questi protocolli d’intesa "si consente alla regione di fornire maggiori e migliori opportunità ai cittadini, risparmiando risorse e mezzi". Sia Orlando che Serracchiani hanno congiuntamente espresso l’auspicio che l’intesa di oggi tra ministero e regione possa servire da modello anche per altri territori. Con il primo dei protocolli siglati oggi si rinnova un accordo già stipulato nel 2012 tra la Regione e il Ministero che prevede l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione previste per il processo civile nel procedimento di volontaria giurisdizione del sistema tavolare (il sistema con cui viene gestita la circolazione degli immobili in Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). L’accordo è un esempio di cooperazione con gli enti territoriali per la piena attuazione del processo telematico, una delle priorità del ministero della Giustizia in una logica di risparmio di spesa e riduzione dei tempi del processo. Anche con il secondo protocollo si compie un ulteriore passo avanti nell’ambito di una collaborazione istituzionale avviata da tempo tra ministero e regione per l’ottimizzazione del sistema giustizia sviluppando il Protocollo del 2009, che ha contribuito alla informatizzazione degli uffici giudiziari. Nell’ex palazzo di giustizia di Tolmezzo (il cui tribunale è stato soppresso nell’ambito della revisione della geografia giudiziaria) verrà creato uno "sportello di prossimità" e la regione metterà a disposizione il personale necessario. È importante sottolineare come la novità di uno sportello di prossimità faccia parte di un più complessivo progetto del ministero, finanziato con fondi comunitari, che prevede la creazione di altri luoghi simili nelle sedi di altri tribunali soppressi. Il protocollo contiene inoltre altri importanti contenuti come ad esempio: 1) interventi per la giustizia minorile; 2) iniziative di informazione e divulgazione della cultura riparativa e conciliativa; 3) finanziamento delle borse di studio per i giovani laureati che svolgono tirocini nell’ufficio del processo; 4) specifici progetti in materia di educazione dei giovani alla legalità e di prevenzione della devianza giovanile, con interventi mirati presso le scuole della Regione; 5)collaborazione della Regione a progetti per la formazione dei giudici di pace; 6) supporto organizzativo e statistico per lo studio e censimento delle buone prassi negli uffici giudiziari. Oltre al guardasigilli Orlando e alla presidente Serracchiani, erano presenti alla firma dei protocolli il vice capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia Barbara Fabbrini, il capo del Dog Mario Barbuto, il vice capo Dog Renato Romano, il segretario generale della regione Daniele Bertuzzi e il sindaco di Tolmezzo Francesco Brollo. Firenze: caldo record, un Sos da Sollicciano. Il cappellano: nelle celle anche 35 gradi Corriere Fiorentino, 7 agosto 2015 "Sollicciano è peggio di una serra". Il cappellano del carcere don Vincenzo Russo non usa mezzi termini per descrivere le dure condizioni dei detenuti: "Nelle celle la temperatura arriva fino a 35 gradi". Difficile alleviare la sofferenza rinfrescandosi con l’acqua, visto che "la doccia si può fare soltanto durante l’ora d’aria" e visto che "l’unica acqua da bere fuori dai pasti è quella della cannella". A peggiorare la situazione c’è il sovraffollamento. La capienza regolamentare di Sollicciano è di 494 detenuti, ma attualmente al suo interno ce ne sono 683. E proprio a causa del caldo, sarebbero frequenti i malori tra i reclusi: "Spesso qualcuno si sente male" spiega ancora don Russo. Nei giorni scorsi un detenuto è morto dopo una partita di calcio durante l’ora d’aria, che usualmente è alle 15 del pomeriggio, quando la temperatura raggiunge picchi elevatissimi. Secondo Massimo Lensi dell’associazione radicale Andrea Tamburi, quelle di Sollicciano sono condizioni di "tortura democratica". Per questo Lensi rivolge un accorato appello al neo assessore regionale alla sanità Stefania Saccardi, affinché "si faccia carico di queste drammatiche condizioni". La prima richiesta è l’acquisto di ventilatori da mettere dentro le celle, proprio come avvenuto nell’adiacente carcere di Solliccianino. L’assessore Saccardi replica: "Accogliamo l’appello e lo giriamo al Ministero della Giustizia, l’ente delegato a rendere il carcere vivibile. È un compito che non spetta alla Regione. Subiamo tagli alla sanità e non possiamo intervenire anche su competenze che non sono nostre". L’associazione Andrea Tamburi chiede inoltre "un presidio sanitario permanente negli istituti penitenziari toscani". Lensi, non risparmiando critiche neppure per il garante Eros Cruccolini ("potrebbe fare di più"), ha poi ricordato che, dall’inizio dell’anno, "sono già sei i decessi all’interno di Sollicciano, di cui quattro suicidi, un malore e una overdose". E proprio sulla questione droga, il cappellano è chiaro: "Circolano sostanze stupefacenti, dobbiamo evitare che la droga entri in carcere". Porto Azzurro (Li): Nunzio Marotti nominato Garante comunale dei diritti dei detenuti tenews.it, 7 agosto 2015 Nunzio Marotti, volontario di giustizia da quasi trent’anni, ha ricevuto stamattina il decreto dal sindaco Simoni. "Un impegno preso con il sottosegretario alla Giustizia". "Sono contento perché, dopo un impegnativo iter, siamo riusciti a nominare il garante delle persone private della libertà". Cosi si esprime Luca Simoni, sindaco di Porto Azzurro, che con proprio decreto ha nominato il Garante nella persona di Nunzio Marotti che oggi ha ricevuto notifica. Simoni ha così portato a termine l’impegno assunto, durante una sua visita alla Casa di reclusione di Porto Azzurro, con il Sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri. "Desidero esprimere - aggiunge Simoni - il mio ringraziamento a tutto il Consiglio comunale che ha istituito tale figura disciplinandone compiti e funzioni con apposito regolamento. E ringrazio Nunzio Marotti che, partecipando al bando, si è reso disponibile per un compito non facile e a titolo gratuito. Ma sono sicuro che Marotti saprà operare in modo adeguato perché conosce da molti anni la realtà del carcere di Porto Azzurro". Nunzio Marotti, infatti, è volontario di giustizia (attualmente con l’associazione "Dialogo") da quasi trenta anni. Ha svolto all’interno del carcere elbano, oltre al tirocinio universitario, diverse attività soprattutto nell’ambito formativo e culturale. Come insegnante liceale, cura anche i rapporti tra Isis "Foresi" e carcere per alcune attività che coinvolgono gli studenti elbani. Su temi carcerari è stato relatore in alcuni convegni. "Ringrazio - dice Marotti - il sindaco Simoni e tutto il consiglio comunale per la sensibilità che mostrano nei confronti dei diritti delle persone detenute nominando il loro garante. Sono consapevole della importanza e della delicatezza del ruolo. L’impegno richiesto non è piccolo. Oltre all’attività ordinaria ritengo importante darsi degli obiettivi più ampi e di prospettiva culturale. L’importante è che tutto si realizzi secondo la logica della collaborazione con gli operatori penitenziari, le istituzioni e il mondo del volontariato e dell’associazionismo. E questo sia in ambito locale che in quello più ampio (per esempio, curando il rapporto con il garante regionale e quello livornese)". Secondo lo Statuto comunale (art. 58 bis), il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale è istituito "al fine di promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone comunque private della libertà personale o limitate nella libertà di movimento". Quindi svolge attività a tutela di tali persone domiciliate, residenti o comunque presenti nel territorio comunale con riferimento alle competenze dell’Amministrazione. Tra i compiti stabiliti dal regolamento troviamo quelle di osservazione e vigilanza, di sensibilizzazione pubblica, di promozione di iniziative con altri soggetti, di richiesta di informazioni e di segnalazioni sulla base di istanze che gli pervengono. Nell’iniziare questo impegno, Marotti invia un saluto al direttore Francesco D’Anselmo, ai responsabili della polizia penitenziaria e delle area educativa, a tutti gli operatori carcerari, ai volontari e agli ospiti della Casa di reclusione. Como: i parcheggi per disabili al Bassone… piccola notizia, grande risultato di squadra di Emanuele Caso quicomo.it, 7 agosto 2015 Ci sono notizie piccole, se si vuole, ma grandi al tempo stesso. La seguente è una di quelle. Perché come ci comunica l’Associazione Italiana Lotta agli Abusi, da qualche ora sono stati disegnati davanti alla carcere del Bassone i posti per disabili della cui mancanza ci eravamo occupati con questo articolo del primo agosto scorso grazie alla segnalazione di Massimiliano Bellini e Ada Orsatti a nome dell’Aila e del gruppo Facebook "Fotografa L’Impostore". "Battaglia vinta. Anche il Bassone - si legge nella nota dell’Aila - finalmente avrà due posteggi dedicati ai disabili. Anche loro da adesso sono a norma di legge". "Noi del gruppo Facebook Fotografa l’impostore e dell’associazione Aila di Ada Orsatti siamo ben lieti di aver scoperchiato la pentola in modo efficace anche se vogliamo dirla tutta è stato solo l’atto finale ("la spallata finale") abbattendo gli ultimi ostacoli burocratici di una lunga battaglia portata avanti da un appuntato della polizia penitenziaria di Como che non si è mai dato per vinto in questa lotta di civiltà in cui credeva fermamente - aggiunge Massimiliano Bellini. Questo significa che tutti i cittadini anche un semplice appuntato della Polizia Penitenziaria può contribuire al miglioramento dei servizi e a rendere più vivibile la nostra bella Italia. Il Bassone aspettava il posto per disabili da 35 anni e dopo relazioni su relazioni e grazie al consigliere comunale Luigi Nessi siamo riusciti a sanare questa vergogna". La cronaca di una piccola-grande vittoria giornalistica perché ci siamo occupati del caso? No, se non per un pezzettino piccolo. Perché l’associazione e promotori dell’iniziativa social segnalano l’ottimo lavoro di gruppo su questa vicenda, con i ringraziamenti per Andrea Turolla (Polizia Penitenziaria) e per tre politici di schieramenti assolutamente trasversali (Nicola Molteni della Lega Nord, il sindaco di Como Mario Lucini e il consigliere comunale di Paco-Sel Luigino Nessi). Un obiettivo comune, un risultato rapido e soddisfacente per tutti. La speranza che non resti un caso isolato. Torino: "lo hanno preso al collo", paziente muore dopo il Tso, indaga Guariniello di Marco Bardesono Corriere della Sera, 7 agosto 2015 Sarà l’autopsia che il pm Raffaele Guariniello ha disposto per lunedì a chiarire le cause del decesso di Andrea Soldi, 45 anni, paziente dei servizi psichiatrici dell’Asl To2 morto mercoledì pomeriggio in circostanze ancora oscure. Il sospetto è che la vittima, a cui doveva essere somministrato un trattamento sanitario obbligatorio (Tso), sia stata trattata in maniera inadeguata. Secondo i testimoni (ma ci sarebbero anche foto e filmati dei passanti, già acquisiti dalla procura) gli agenti della Municipale avrebbero bloccato Soldi alle spalle: "Lo hanno stretto al collo - ha riferito una testimone, è diventato cianotico e sembrava non respirasse". L’uomo sarebbe stato ammanettato con le braccia dietro la schiena. Caricato in posizione prona sull’ambulanza e sempre con le mani bloccate, Soldi sarebbe stato liberato dalle manette solo all’arrivo in ospedale, ormai agonizzante. "Gli agenti - precisa il comune di Torino - hanno inviato al magistrato una relazione di servizio dalla quale non sembrano emergere fatti di particolare rilevanza nel comportamento degli operatori". Un’informativa diversa da quella del 118, anch’essa acquisita dal pm, dove si evidenzierebbero anomalie. Se l’autopsia certificherà una morte per arresto cardiaco, dovuta alle conseguenze di un’asfissia, allora nel fascicolo penale, per ora privo di indagati, potrebbero comparire i nomi dei presunti responsabili. Teramo: progetto Whiti-Te-Ra, l’8 agosto incontro di rugby con i detenuti di Castrogno abruzzo24ore.tv, 7 agosto 2015 Sono passati solo due mesi dall’avvio del progetto Whiti-Te-Ra, con il quale l’Amatori Rugby Teramo ha coinvolto i detenuti del carcere teramano nel mondo della palla ovale. Sei allenamenti complessivi che hanno trasformato 14 ragazzi di nazionalità differenti in una squadra affiatata e motivata nel proseguire il progetto. Sono nati così i "Papillons", nome tratto dall’omonimo libro di Henri Charriere, scelto dai ragazzi nel corso di un allenamento. L’esito di questa avventura - afferma il club teramano - è andato ben oltre le aspettative iniziali, tanto che i Papillons affronteranno alcuni giocatori della Prima Squadra del Teramo Rugby, in una partita amichevole che si svolgerà sabato 8 agosto presso la Casa Circondariale di "Castrogno", dalle ore 9:00 alle 11:30, alla quale seguirà il consueto Terzo Tempo offerto dalla società. Biella: lo yoga per aiutare i detenuti a vivere lo stato emotivo che il carcere genera di Marcelo Profumo ilperiodicodibiella.com, 7 agosto 2015 La polisportiva di Roasio e l’Uisp di Biella, hanno realizzato insieme la prima sessione di "Yoga della risata". L’evento riservato ai detenuti del carcere di via Dei Tigli, è una sessione in cui viene praticata la disciplina orientale, per aiutare i detenuti a migliorare lo stato psicofisico. L’impegno dell’associazione è quello di portare la "risata", poiché quest’ultima può aiutare a mutare le emozioni negative derivanti dalla loro particolare condizione, in una molto più costruttiva e consapevole. L’iniziativa è stata subito accolta dalla direzione del carcere biellese, sopratutto per la sua natura di base, ovvero quella volontaria. "Terminata questa prima serie di incontri, possiamo sicuramente affermare che questa attività aprirà la mente e farà riflettere molto - hanno detto gli organizzatori dello yoga della risata - attraverso l’alternanza di risate indotte e movimenti rilassanti, favorisce e rafforza i meccanismi psicomotori". Il progetto dopo la pausa estiva, con tutta probabilità riprenderà e sarà anche eventualmente ampliato. Droghe: cannabis terapeutica, sì di Maroni di Eleonora Martini Il Manifesto, 7 agosto 2015 Lombardia. Anche la Lega vota in consiglio regionale la mozione del M5S per la sperimentazione. Perfino il governatore leghista Roberto Maroni ha votato sì all’ordine del giorno proposto in consiglio regionale dal M5S che impegna la giunta a riconoscere l’uso dei farmaci a base di cannabis a scopi terapeutici in alcuni centri della regione e ad avviare una sperimentazione per il trattamento di malattie come la Sla e la sclerosi multipla. E così, con 53 voti favorevoli e 13 contrari (alcuni esponenti di Ncd, Fi, FdI e del gruppo Misto-Fuxia people), anche la Lombardia si prepara a disciplinare in proprio l’erogazione dei medicinali a carico del proprio Servizi sanitari regionale, recependo quanto già stabilito dalla normativa nazionale. L’odg è stato approvato durante la seduta notturna di mercoledì nella quale il consiglio regionale ha dato il via libera alla riforma della sanità lombarda. Un provvedimento che rimette mano alla governance e con il quale, assicura Maroni, "la Regione prevede di recuperare circa 300 milioni di euro da reinvestire nel sistema sanitario", ma che secondo il Pd e il M5S che hanno votato contro farà invece lievitare i costi ed è "a forte rischio di incostituzionalità". Matteo Salvini mette le cose in chiaro e, durante un’iniziativa dell’Avis sulla donazione del plasma, giustifica così la posizione del governatore sulla cannabis: "Sono contro ogni apertura verso la droga, visto anche cosa è successo nella discoteca in Romagna, meglio donare il sangue, ma per l’uso terapeutico deve essere un medico a dire se serve o no, quindi sono d’accordo, ma come svago no". Tiene invece la postazione più proibizionista il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Riccardo De Corato: "La cannabis crea assuefazione, quindi se anche all’inizio c’è una prescrizione medica poi c’è il rischio che il paziente non riesca più a smettere di farne uso, anche quando ormai non ne avrebbe più bisogno: per questo dico no a qualsiasi utilizzo", afferma senza tema del ridicolo e fingendo di dimenticare l’uso quotidiano di oppiacei nella terapia del dolore. Sono nove le regioni che hanno già varato una legge regionale sulla cannabis terapeutica, ciascuna con le proprie peculiarità: Puglia, Toscana, Veneto, Liguria, Marche, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sicilia e Umbria. E in Toscana, regione che per prima - l’8 maggio 2012, e successiva delibera del novembre 2014 - ha varato una normativa che distingue tra erogazione in ambito ospedaliero e erogazione non ospedaliera, i risultati si vedono: nell’Asl di Firenze, per esempio, è cresciuto di 3 volte in un anno il numero di pazienti curati con la cannabis, con un aumento del 5-10% al mese, secondo i dati diffusi ieri dal Laboratorio galenico dell’Azienda sanitaria fiorentina che ha sede nell’ospedale di Santa Maria Nuova, a cui è affidato il compito di confezionare i preparati a base di tetraidrocannabinoidi da impiegare nel trattamento curativo della spasticità secondaria correlata a malattie neurologiche, ed in particolare alla Sclerosi multipla, del dolore cronico neuropatico, del dolore oncologico, del glaucoma, della nausea e del vomito causati da chemioterapia. Nel 2014 erano solo 24 i pazienti in cura con la cannabis che si rivolgevano al laboratorio galenico dell’ospedale fiorentino dietro presentazione di ricetta medica e con il programma terapeutico dello specialista in neurologia, oncologia o algologia. In quell’anno la struttura fiorentina ha distribuito 532 millilitri di soluzione oleosa, somministrata per via orale. Nel primo semestre del 2015 i pazienti sono diventati 80 e "la produzione di cannabis sotto forma di soluzione oleosa ha raggiunto i 9.500 millilitri, ipoteticamente 16.000 alla fine dell’anno a parità di trend, vale a dire oltre 30 volte la quantità dell’anno precedente". La previsione è che entro il 2015 si arrivi a 150 persone in trattamento. Un dato significativo, spiega l’azienda sanitaria, "riguarda l’impennata vertiginosa nella produzione di cannabinoidi sotto forma di soluzione oleosa, rispetto alla preparazione in cartine dalle infiorescenze essiccate della cannabis importate dall’Olanda". Prodotti farmacologici, questi ultimi, che vengono importati dal laboratorio "in attesa che l’Istituto farmaceutico militare divenga il principale produttore italiano di principio attivo per i cannabinoidi ad uso terapeutico". Pakistan: pena di morte, 200 esecuzioni da dicembre Aki, 7 agosto 2015 Duecento esecuzioni per impiccagione da dicembre. Nonostante gli appelli a fermare l’esecuzione di condanne a morte, il Pakistan continua a mandare al patibolo i prigionieri condannati alla massima pena. "Ieri siamo arrivati a quota 200", ha detto un funzionario del ministero dell’Interno di Islamabad all’agenzia di stampa Dpa, chiedendo l’anonimato. La "Commissione indipendente per i diritti umani del Pakistan" (Hrcp) ha confermato 196 esecuzioni fino a martedì scorso. Ieri quattro detenuti, tutti condannati a morte per omicidio, sono stati impiccati a Gujranwala e Mianwali, dopo lo sdegno suscitato il giorno precedente dall’impiccagione di Shafqat Hussain, il giovane condannato a morte per un omicidio commesso nel 2004 quando - secondo la difesa - era minorenne. "La cosa peggiore è che vengono impiccati i poveri - ha denunciato Zaman Khan, portavoce della Hrcp - Quelli che non possono comprarsi una sentenza in un sistema in cui dilaga la corruzione". Sono oltre ottomila i detenuti nel braccio della morte in Pakistan. La moratoria sulla pena di morte, in vigore dal 2008, è stata revocata lo scorso dicembre dopo l’attacco contro una scuola di Peshawar, che ha fatto 150 morti, per lo più bambini. Le esecuzioni erano state poi sospese durante il mese sacro di Ramadan, che si è concluso il 18 luglio. Turchia: se la giustizia torna a colpire i media di Antonio Ferrari Corriere della Sera, 7 agosto 2015 Ora che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è riuscito ad accorpare indistintamente, come pericolosi terroristi, i guerriglieri curdi del Pkk, i movimenti di estrema sinistra come il Dhkp-C e i tagliagole dello Stato islamico, la scure della giustizia può colpire duramente. Vittime, coloro che il presidente ritiene i suoi più acerrimi nemici: i giornalisti. L’incriminazione di diciotto nostri colleghi, colpevoli di aver pubblicato le immagini del pubblico ministero Mehmet Selim Kiraz, preso in ostaggio nel marzo scorso da due guerriglieri del gruppo Dhkp-C, e ucciso durante il blitz della polizia, era questione di tempo. La Procura generale attendeva il momento propizio. Che si è materializzato quando la Turchia ha accettato di aprire ai caccia e ai droni americani la base di Incirlik, per poter raggiungere più in fretta le postazioni dell’Isis da bombardare. In cambio però, Ankara ha riaperto il fronte di guerra con i curdi del Pkk, facendo saltare una tregua che durava dal 2013, e con tutti gli estremisti di sinistra. Ma soprattutto ha ricominciato a colpire la stampa, le tv private e i social. Le condanne che i 18 colleghi rischiano sono assai pesanti: da un anno e mezzo a sette anni e mezzo di prigione. L’accusa di "diffondere propaganda terroristica" è ovviamente, in Turchia, assai elastica. Non stupisce infatti che tra gli incriminati vi sia anche Can Dundar, direttore del quotidiano laico e di sinistra Cumhuryet. Dundar, agli occhi di un potere sempre più arrogante e insofferente, è infatti accusato di aver pubblicato, alla vigilia delle elezioni di giugno, un documentatissimo scoop (non smentibile), con le immagini di camion, scortati da agenti turchi, carichi di armi da inviare ai jihadisti dello Stato islamico in Siria. Questo per distinguere tra coloro che l’odierna Turchia considera nemici o quasi nemici. Mauritania: fissato per il 20 agosto il processo d’appello agli attivisti contro la schiavitù Nova, 7 agosto 2015 Un tribunale della Mauritania ha fissato al 20 agosto l’apertura del processo d’appello per tre militanti contro la schiavitù, condannati a gennaio a due anni di prigione per "appartenenza a un’organizzazione non riconosciuta". Lo riferisce una fonte giudiziaria, citata dal quotidiano "Africa Time". Sul banco degli imputati Biram Ould Dah Ould Abeid, presidente dell’Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista, il suo collaboratore, Brahim Ould Bilal, e il presidente di una organizzazione non governativa (Ong) per i diritti civili e culturali, Djiby Sow. La Mauritania è stato l’ultimo paese al mondo ad abolire la schiavitù nel 1981 e nel 2007 la pratica è stata definita ufficialmente un crimine punibile con pene fino a dieci anni di carcere. Ma secondo gli attivisti il governo non ha preso iniziative per contrastare la schiavitù.