Giustizia: Cav "salvo Renzi se riforma magistratura, intercettazioni e custodia cautelare" di Errico Novi Il Garantista, 16 agosto 2015 Giovanni Toti spiega la strategia del suo partito. E indica tre obiettivi: separazione delle carriere, regolazione delle intercettazioni e riduzione del carcere preventivo. In cambio i voti per il Senato. Naturalmente il bombardamento è già cominciato. A tuonare contro l'accordo - eventuale, per ora solo ipotizzato - tra Forza Italia e Renzi sulla giustizia, sono soprattutto gli ex forzisti, i cosiddetti fittiani. Maurizio Bianconi per esempio dice che se ci fosse davvero un "baratto" tra il Senato elettivo e un intervento su processi e intercettazioni, sarebbe "una cosa schifosa". Altri come Massimo Corsaro pensano che un'altra giustizia è possibile solo se la si rende ancora più forcaiola ("serve certezza della pena"). Ma figurarsi cosa accadrà non appena si saranno ripresi dal Ferragosto i giustizialisti in servizio permanente effettivo. Figurarsi che bordate spareranno quelli sparsi nel Pd e i grillini, tanto per intendersi. In fondo l'ombra di un'intesa segretissima, vero inconfessabile snodo di ogni inciucio, ha accompagnato il disciolto Patto del Nazareno per tutto il suo periodo di vigenza. In tanti hanno sempre sostenuto che l'oggetto più importante dell'accordo tra premier e Cavaliere riguardasse proprio la giustizia. Non è stato così, i fatti lo hanno dimostrato: Forza Italia è rimasta quasi sempre esclusa dalle discussioni sui vari capitoli della riforma Orlando. Ciononostante, si scatenerebbe sicuramente una raffica di voci indignate, se arrivassero pur timidi segnali di praticabilità dell'ipotesi fatta a Renzi da Confalonieri ("Silvio vorrebbe discutere anche di giustizia oltre che del Senato", ha detto il presidente di Mediaset a Matteo dopo la chiusura della vicenda Rai). Dal premier è arrivata una risposta un po' sibillina, confusa tra altre dichiarazioni fatte dalla festa dell'Unità di Casalgrande, vicino Reggio Emilia: "Sulle riforme andremo avanti con o senza Forza Italia". Non è che si possa fare l'esegesi di ogni esclamazione partita tra la brace delle salsicce e il palco degli ospiti, però il senso pare essere: se per dare una mano sul ddl Boschi, Berlusconi pretende di rivoltare il Codice penale e il Csm, non se ne fa nulla e andremo avanti lo stesso. Sul "Corriere della Sera" di ieri Giovanni Toti ha in effetti rilanciato la proposta di collaborare sia sulla riforma del Senato che su quella della Giustizia. Ha confermato che, rispetto alla seconda parte del patto, i punti chiave sarebbero intercettazioni, limiti all'abuso della custodia cautelare e separazione delle carriere. Cose che evidentemente, dal punto di vista di Matteo, sono troppo grandi per essere manipolate con tanta disinvoltura. Una legge con alcune limitate novità sul carcere preventivo è stata approvata di recente. Il piano di battaglia per le intercettazioni è già abbastanza definito: nell'ecumenico disegno di legge sul processo penale è inserita anche una delega al governo per introdurre l'udienza filtro e un più stringente divieto di pubblicazione dei brogliacci processualmente irrilevanti. Resta davvero aperta solo la partita del Csm. Ma anche in quel caso, il presidente del Consiglio sa che non ci sono margini per arrivare alla separazione delle carriere tra giudici e pm e a un Consiglio superiore sdoppiato. Messa in questi termini, l'ambizione forzista di costruire un nuovo tavolo col governo e di metterci sopra la giustizia pare velleitaria. E invece rischia di avere davvero un notevole senso politico, nonostante sia effettivamente difficile raggiungere gli obiettivi immaginati dal Cavaliere. Se infatti Renzi si mostrasse comunque disponibile a discutere di riforma del processo e di ordinamento giudiziario, pur nei margini di manovra limitati ancora disponibili, darebbe un segnale forte. Soprattutto alla magistratura. Con la quale com'è noto, il capo del governo ha intrattenuto un rapporto vivace e contraddittorio, ma mai davvero conflittuale. In apparenza le tensioni ci sono state, e certe uscite di Renzi hanno alimentato quest'impressione: basti pensare al "brrr, che paura" opposto da Matteo alle minacce di sciopero dell'Anni seguite al taglio delle ferie, o al più recente "non siamo i pas-sacarte della Procura di Trani". Più scena che sosatanza, però. Su molte questioni di fondo i giudici hanno fatto sentire tutto il loro peso e hanno condizionato diverse scelte: basti pensare alle norme anticorruzione, o a quelle sulla prescrizione (ancora all'esame del Senato). E poi persino su materie che in teoria avrebbero visto l'Anm messa al tappeto, all'atto pratico il quadro si è capovolto: sulle ferie per esempio molti uffici giudiziari procedono con grande libertà, con i presidenti di Tribunale che consentono ai magistrati di lavorare da casa proprio in piena estate, come a Santa Maria Capua Vertere. Alla fine dei conti, le scelte che davvero hanno creato problemi all'Anni sono state pochissime. Forse si riducono a una soltanto, il restyling della responsabilità civile. Intervento che comunque ha conservato un incontestabile carattere di equilibrio, tanto è vero che di rivolte dei giudici legate ad abusi dell'istituto non si sente parlare. Questa linea è anche il frutto dell'approccio moderato del guardasigilli Andrea Orlando, che ha preferito la certezza dei risultati al fascino dell'avventura. Ma l'impostazione sulla giustizia nasce anche dalle diverse anime che, anche su questo terreno, coesistono nella maggioranza. Ieri un ex magistrato, Stefano Dambruoso, di Scelta civica, ha detto chiaro e tondo che all'Adnkronos che il Csm e le carriere non si toccano ("tanto le funzioni sono già separate, mica un gip può diventare pm nello stesso distretto e da un giorno all'altro", e ci mancherebbe pure). Un segnale piccolo che in fondo le toghe un pochino sono impensierite dalla pazza idea berlusconiana. E già questa sarebbe una buona ragione almeno per provarci. Giustizia: Alfano sull'immigrazione "io e la Cei facciamo un mestiere diverso" Corriere della Sera, 16 agosto 2015 Il ministro: "Senza una soluzione con la Libia ci saranno ancora tragedie". Reati in calo del 9,3%. Rapine diminuiscono del 12%, i furti del 5,6%. "Nell'ultimo anno i reati commessi sono calati del 9,3% e ciò testimonia che l'Italia migliora sempre di più dal punto di vista della prevenzione e del contrasto al crimine" ha detto il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, nella tradizionale conferenza stampa di Ferragosto, sottolineando che le rapine sono calate del 12% ed i furti del 5,6%. Ma, ha aggiunto, "non ci accontentiamo e proseguiremo nel contrasto convinti che l'aumento delle pene per i furti sia la scelta giusta". "La nuova tragedia di oggi non sarà l'ultima se non si risolve il problema della Libia". Così il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, commenta il nuovo naufragio davanti alle coste libiche facendo appello "alla comunità internazionale". "Si tratta di un'altra tragedia avvenuta al largo della Libia in cui 320 persone sono state tratte in salvo", ha aggiunto Alfano, spiegando che ora è in corso la verifica delle vittime. "Noi ancora una volta abbiamo il merito di aver salvato 320 persone", ha spiegato il ministro sottolineando che "l'Italia fa fino in fondo il suo lavoro di grande democrazia, salvando vite umane". Secondo il ministro però il nostro Paese "sta pagando due volte il conto alla comunità internazionale, la prima l'ha pagato in Libia quando è finito il regine di Gheddafi e la seconda la sta pagando adesso sull'inerzia della comunità internazionale". "La crisi libica - ha concluso Alfano - rappresenta un vulcano acceso davanti all'Europa". Il ministro Alfano è tornato a parlare delle polemiche tra governo e Vaticano sulla politica dell'immigrazione citando il segretario Nunzio Galatino: "Noi facciamo un mestiere diverso dalla chiesa e comunque dò per buona la rettifica delle parole di monsignor Galantino e non quello a lui in un primo momento attribuito". Giustizia: "avevano pagato meno", 40 migranti morti soffocati nella stiva di un barcone Corriere della Sera, 16 agosto 2015 L'imbarcazione trasportava circa 350 persone, i migranti nella stiva sarebbero morti per soffocamento. I soccorritori: "Corpi ammassati, una scena terribile". Ancora una tragedia in mare che vede coinvolti dei migranti. La Marina militare ha soccorso a sud di Lampedusa - a 21 miglia dalle coste libiche - un barcone in difficoltà con circa 400 migranti a bordo. Ci sarebbero almeno 40 vittime, morti per soffocamento nella stiva, il luogo in cui sono confinati coloro che non hanno soldi a sufficienza per pagarsi un posto sul ponte. "Una scena terribile che ha colpito molto l'equipaggio: decine di cadaveri ammassati nella stiva, le donne che piangevano i loro uomini", ha raccontato il capitano di fregata Massimo Tozzi, comandante del pattugliatore della Marina Militare Cigala Fulgosi, che ha soccorso i migranti. La richiesta d'aiuto alle autorità italiane è avvenuta, come al solito, tramite un telefono satellitare. La nave della Marina è stata così dirottata sul posto. Alle prime ore della mattina di sabato un elicottero del pattugliatore ha individuato il barcone. "Era - spiega il capitano Tozzi - un'imbarcazione di 14 metri stracarica di persone: in pochissimi avevano il salvagente. Non è chiaro se a bordo c'erano scafisti o qualcuno che la governava. Il barcone era comunque fermo quando siamo arrivati noi". I migranti soccorsi sull'imbarcazione al largo della Libia - spiega la Marina militare - sono 312. Tra i superstiti assistiti dal pattugliatore della Marina Militare Cigala Fulgosi anche 45 donne e tre minori. Solo a notte fonda è poi terminato il trasbordo dei migranti soccorsi dalla nave della Marina Militare sulla norvegese Siem Pilot al servizio di Frontex. In tutto sono stati trasbordati 312 migranti, tra cui 45 donne e 3 minori. Con i sopravvissuti sono state trasbordate anche le salme finora recuperate. Giustizia: Radicali "chiudere i Tribunali delle Acque, risorse agli Uffici di Sorveglianza" radicali.it, 16 agosto 2015 Dichiarazione di Alessio Di Carlo e Valerio Federico, rispettivamente membro di Giunta e Tesoriere di Radicali Italiani: "La drammatica situazione degli uffici di sorveglianza italiani, che da tempo denunciamo, è giunta ad un punto di intollerabilità tale da richiedere un intervento di urgenza da parte del Governo". "Per questo motivo proponiamo l'immediata soppressione, da attuarsi con Decreto Legge, dei Tribunali delle Acque, strutture anacronistiche ed insostenibilmente dispendiose per il sistema giustizia. Basti pensare che, in tutta Italia, il numero complessivo delle cause iscritte a ruolo nei Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche raramente supera il numero di 200 all'anno: controversie che potrebbero senza alcun problema essere ripartite sui Tribunali Ordinari e sui Tar, liberando al contempo un numero di Magistrati e di personale amministrativo sufficiente per affrontare, almeno nell'immediato, la condizione drammatica in cui versano gli Uffici di Sorveglianza e, con essi, la popolazione detenuta". Giustizia: caso Markov "se mi rimandano in Ucraina mi ammazzano" di Marco Preve La Repubblica, 16 agosto 2015 Dalla cella del carcere di Valle Armea a Sanremo dove è rinchiuso da mercoledì mattina, Igor Markov sembra davvero preoccupato e si confida con chi gli sta vicino: "Se mi rimandano in Ucraina mi ammazzano". L'ex deputato e leader degli oppositori filorussi in esilio a Mosca, questa mattina comparirà davanti alla Corte d'Appello di Genova che dovrà decidere se farlo rimanere in carcere o liberarlo in attesa che si avvii la procedura per la richiesta di estradizione. Kiev lo vuole per fargli scontare la pena relativa al pestaggio di alcuni manifestanti nazionalisti avvenuto ad Odessa nel 2007. Oggi a Mosca, davanti all'ambasciata d'Italia, i suoi compagni sfileranno per chiedere che non venga estradato. Se è vero che proprio pochi mesi fa, a marzo, la Corte d'Appello di Genova ha negato l'estradizione per un ex oligarca russo Yuriy Megel, condannato per truffa ed evasione fiscale, perché nelle carceri di Putin avrebbe rischiato di subire "trattamenti inumani e degradanti", è altrettanto vero che i rapporti tra la giustizia italiana e l'Ucraina sono improntati alla massima collaborazione e le Ong non segnalano situazioni diffuse violazioni dei diritti umani in relazione alle prigioni di quel paese. È comunque scontato che questa mattina, con il suo avvocato Enrico Scopesi, Markov chiederà di non essere estradato. Il capo dei filorussi in esilio avrebbe incontrato nel Principato alcuni oligarchi che giorni fa hanno partecipato ad una festa dell'ex presidente Kucma. Restano intanto avvolte dal mistero le ragioni del suo viaggio in Italia e che, pur non riguardando l'aspetto giudiziario, stanno suscitando molto interesse nelle retrovie dell'intelligence. Come avevano detto i suoi compagni da Mosca, è confermato che Markov dovesse incontrare dei politici e dovesse farlo a Milano. Non è escluso che avesse già preso contatto al suo arrivo martedì a Malpensa prima di raggiungere Sanremo. La sera dello stesso giorno Markov è andato a Montecarlo accompagnato da due russi portando con sé una borsa. Con chi ha cenato nel Principato? La spiegazione potrebbe trovarsi in Costa Smeralda. In Sardegna, nell'esclusivo hotel Pitrizza di Porto Cervo il 9 agosto si è tenuta una festa di compleanno. Quella per i 77 anni di Leonid Kucma, presidente dell'Ucraina dal 1994 al 2005. Kucma è un politico che riveste ancora un ruolo importante anche nelle trattative di pace tra Kiev e Mosca. Ed avrebbe ottimi rapporti con molti oligarchi russi. Gli stessi che anche quest'anno, come già accaduto nel 2013, per i suoi 75 anni, hanno partecipato al party in suo onore. Alcuni di loro, dopo la festa, avrebbero lasciato la Costa Smeralda per un'altra meta vip, Montecarlo. Dove nella serata di martedì 11 agosto avrebbero incontrato Markov per parlare, anche in questo caso, del sostegno alla causa degli "esiliati", ma non sotto l'aspetto politico quanto, piuttosto, finanziario. Il precedente: quel no dei giudici alla Russia di Putin IN TEMA di estradizione verso paesi dell'ex blocco comunista c'è un precedente genovese recente e importante da segnalare. Il no alla richiesta di estradizione da parte della Russia riguardante un cittadino di origine ucraina ma di nazionalità russa Yuriy Megel colpito da un mandato di cattura per i reati di truffa, frode ed evasione fiscale. Come aveva chiesto lo stesso sostituto procuratore generale Enrico Zucca, la Corte d'Appello a marzo di quest'anno, ha negato l'estradizione di Megel per il concreto pericolo che nelle carceri russe l'uomo potesse essere torturato. Nelle sue conclusioni il pg Zucca ricorda le critiche del "Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura a proposito della scarsa efficacia del controllo ordinariamente operato dai procuratori della Federazione Russa nelle incombenze di supervisione delle carceri loro affidate". Yuriy Megel, che era stato fermato nel luglio del 2014 mentre soggiornava con la famiglia in un hotel di Monterosso alle Cinque Terre, non è un ricercato qualunque. Nonostante sia appena 42 enne, è stato un potente manager di alcune grandi aziende russe del settore energetico. In particolare era stato amministratore delegato della Naftogaz la società nazionale di petrolio e gas dell'Ucraina. Nel 2012 è stato condannato in contumacia a tre anni per reati risalenti al 2000 quando apparteneva alla ristretta cerchia degli oligarchi. Megel prima che la sentenza diventasse definitiva si era già rifugiato in Austria dove le autorità locali, pur negandogli il diritto di asilo, gli hanno riconosciuto lo status di rifugiato "sussidiario". L'istituto della protezione sussidiaria è stato introdotto nel sistema comune europeo in materia di asilo nel 2004, proprio al fine di soddisfare esigenze di protezione che non rientrano nelle ristrette ipotesi di persecuzione individuale che possono dar luogo allo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Ritenendo di essere garantito da tale status l'estate scorsa Megel aveva lasciato l'Austria con la famiglia per trascorrere un periodo di vacanza nella riviera spezzina. Ma a Monterosso venne arrestato e portato in carcere. Era così partita la procedura di estradizione visto che i reati, nonostante fosse passato molto tempo, non erano coperti dalla prescrizione. La procura generale e la Corte d'Appello pur escludendo la natura politica dei reati hanno però ritenuto che la protezione "sussidiaria" scatti qualora "sussistano " fondati motivi" per ritenere che se il soggetto ritornasse nel paese di origine o di dimora abituale "correrebbe un rischio effettivo di subire un danno grave". Il pg Zucca aveva anche ricordato come "il rapporto di Amnesty International del 2013 in relazione alla Federazione Russa si esprime ancora in termini del tutto negativi quanto al rispetto dei diritti umani e alla reazione delle istituzioni per arginare o reprimere le loro violazioni, in un contesto ove: "difensori dei diritti umani, giornalisti avvocati hanno continuato a subire vessazioni, mentre le indagini sulle aggressioni violente sono stati inefficaci. Tortura e altri maltrattamenti sono rimasti diffusi e raramente sono stati perseguiti in modo efficace". Il pg aveva poi precisato che "l'autorità austriaca ha proceduto a una compiuta analisi della situazione generale che caratterizza la Federazione Russa anche e soprattutto nel suo assetto istituzionale, escludendo per mancanza di sufficienti prove l'allegata persecuzione per motivi politici... Ha, invece, riconosciuto che, in caso di rientro nel paese di origine, l'attuale estradando sarebbe esposto " al pericolo reale di pene o trattamenti inumani" in considerazione della situazione carceraria in tale paese ove le condizioni detentive "non rispettano lo standard europeo, dal momento che le persone vengono detenute in condizioni non dignitose per la persona umana e spesso in celle sovraffollate, causando talvolta perfino il decesso dei detenuti". Giustizia: è nato il figlio di Martina e Alex, la coppia diabolica dell'acido di Elisabetta Andreis e Simona Ravizza Corriere della Sera, 16 agosto 2015 Il piccolo, subito dopo il parto, è stato sottratto alla madre, che non ha potuto nemmeno vederlo. Ora spetta al Tribunale dei Minori decidere il futuro migliore del bimbo. È nato nella notte di sabato il figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher, la "diabolica coppia" dell'acido. Ma appena venuto alla luce il piccolo è stato subito allontanato dalla mamma: non le è stato neppure fatto vedere, in attesa che - nel giro di pochi giorni - il Tribunale per i minorenni si pronunci sul futuro che più lo tutela. La Levato si è detta "sconvolta" per via del fatto che sua figlia e il bambino che ha dato alla luce siano stati separati subito dopo il parto. Lo ha spiegato il legale della donna, Laura Cossar. "Nell'urgenza ho dato le indicazioni generali che sono di prassi in casi come questo. Evitare i contatti con i genitori perché i giudici possano decidere in modo totalmente libero, in un ventaglio di scelte il più ampio possibile, senza che siano influenzati da relazioni o aspettative preesistenti", chiarisce il pm dei minori che era di turno, Annamaria Fiorillo. Il destino del bimbo, per cui durante la gravidanza Martina e Alexander avevano pensato il nome Achille, dopo questa prima drammatica svolta è ora appeso alla decisione del Tribunale di via Leopardi, che avverrà in tempi brevissimi. Detto che se starà con la mamma o con i nonni, crescerà con la prospettiva di entrambi i genitori in carcere. Come terza ipotesi, potrebbe essere dato in affido ad una famiglia estranea, primo passo per l'adottabilità. Il neonato è nato alla Mangiagalli, con la sua mamma piantonata notte e giorno dalle guardie carcerarie, i nonni materni vicini (gli unici che lo hanno potuto vedere) e il papà in cella, a San Vittore, perché gli hanno negato visite speciali. E il trasferimento in quella che è considerata una delle cliniche migliori in Italia era stato richiesto esplicitamente dal pm Marcello Musso che per contro si era opposto con forza, per la pericolosità della ragazza, agli arresti domiciliari. Ma poi ha voluto, a ridosso del parto, "le cure migliori possibili". Su richiesta di Musso, mamma e bimbo avrebbero dovuto essere trasferiti, in attesa della decisione del Tribunale per i minorenni, all'Icam di via Macedonio Melloni, la struttura a custodia attenuata per detenute con figli fino a sei anni dove non ci sono celle né sbarre alle finestre, le guardie sono in borghese e i piccoli hanno a disposizione spazi gioco. Domenica l'indicazione a sorpresa, che sembra dare un segnale diverso. Per Martina ed Alexander, già condannati in primo grado a 14 anni di carcere per aver sfigurato con l'acido Pietro Barbini, a settembre ci saranno nuove udienze per le altre aggressioni. Compiute secondo l'accusa con il complice Andrea Magnani, il 2 novembre (contro Stefano Savi) e il 15 novembre (contro Giuliano Carparelli, salvatosi per un miracolo grazie ad un ombrello). In questo nuovo processo bis, i tre devono difendersi anche dall'imputazione pesantissima di associazione per delinquere. La Levato deve rispondere anche del tentativo di evirazione ai danni dello studente Antonio Margarito, in quello che nell'ordinanza di custodia veniva definito "il primo episodio della lunga saga di purificazione ispirata da Boettcher". Più volte i giudici, nel rigettare l'istanza con cui il legale di Martina Daniele Barelli chiedeva gli arresti domiciliari, hanno sottolineato di non aver visto "alcun ravvedimento" nella ragazza, da quando sono stati compiuti i reati. Anzi, si leggeva: "Esistono ancora esigenze cautelari spaventosamente intense, più che eccezionali" che richiedono il carcere e "non ammettono misure meno afflittive". Eppure chi l'ha frequentata in questo tempo da lei - giovanissima, 24 anni - era affascinato. "Da subito è stata dolce con la sua pancia, innamorata di Alex e del figlio che le cresceva dentro - racconta un'operatrice che chiede di non essere citata. Protetta dalle altre detenute che le facevano cerchio intorno". Plagiatrice e manipolatoria, o semplicemente "doppia"? "Della possibilità che il bimbo le venga tolto non dice mai. Non pare neanche attraversata dal dubbio", osservava un'altra. Il reato commesso, in qualche modo, è stato innescato dalla gravidanza. Perché proprio per prepararsi ad essere una "brava mamma" Martina aveva iniziato a "purificarsi" dalle storie passate. Con l'amante-complice, in parallelo al figlio, aveva concepito l'aggressione al Barbini, e - secondo l'accusa - le altre. "Penso allo stato mentale in cui hanno concepito il figlio e deciso di tenerlo - dice la psicanalista Simonetta Bonfiglio. Credo che la società debba farsi carico della tutela del bambino e dargli la possibilità di iniziare la vita senza così pesanti ipoteche". Paradossalmente, dice, "se la madre provasse empatia autentica, e cioè fosse in grado di pensare ai bisogni del figlio invece che ai propri, sarebbe lei stessa a chiedere l'adottabilità immediata". Di che cosa si preoccupa la società di fronte ad un contesto così platealmente negativo, continua la psicanalista? "Del bimbo e solo del bimbo? O di riabilitare la madre dandole una possibilità?". È una domanda che mette in discussione ogni possibile scelta. E lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet offre un altro spunto ancora: "Nel valutare la competenza e la responsabilità genitoriale, non ci si dovrebbe basare troppo sulle anomalie della condotta sociale - dice -. Capita di vedere donne con elevato tasso di sociopatia che con il figlio piccolo dimostrano una capacità di accudimento anche maggiore rispetto a mamme dalla condotta irreprensibile". Veneto: Sappe; 300 detenuti in meno rispetto al 2014, ma la violenza cresce di Alessandro Mognon Giornale di Vicenza, 16 agosto 2015 Verona e il San Pio X sono in testa quanto ad atti di autolesionismo "Nei 10 penitenziari regionali 205 colluttazioni con 46 feriti". Ci sono 300 detenuti in meno oggi nelle carceri del Veneto rispetto a un anno fa. Ma violenze e autolesionismo, secondo il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, non sono calati per niente. Così in un anno nei 10 penitenziari veneti ci sono state 205 colluttazioni con gli agenti, 46 ferimenti e 169 casi di detenuti che si sono feriti da soli. Con Verona e Vicenza le due carceri del Veneto con il più alto numero di atti di autolesionismo. "Per il Dap, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - si legge nella nota del segretario generale del Sappe Donato Capece, le condizioni di vita dei detenuti, in linea con le prescrizioni dettate dalla sentenza Torreggiani, sono migliorate in Italia. Non si dice, però, che le tensioni del sistema penitenziario italiano continuano a scaricarsi sulle donne e gli uomini del Corpo di polizia penitenziaria, quotidianamente impegnati a contrastare le tensioni e le violenze che avvengono nelle nostre carceri". Cita poi alcuni dati, Capece: "I detenuti complessivamente presenti nelle carceri regionali del Veneto erano, il 30 luglio scorso, 2.250. Circa 300 in meno di quelli che c'erano un anno fa quando, nello stesso giorno del 2014, erano 2.541". Resta aperto invece il problema delle violenze. Sia quelle verso gli agenti che quelle autoinflitte o tra detenuti. Si diceva di Verona e Vicenza: con rispettivamente 53 e 29 casi per il Sappe sono le prime due carceri delle 10 presenti nella regione per atti di autolesionismo (quando un detenuto si lesiona il corpo ingerendo chiodi, pile, lamette, o procurandosi tagli sul corpo). Quanto agli altri dati "dal 1 gennaio al 30 giugno 2015 nelle 10 carceri venete si sono infatti contati il suicidio di 2 detenuti in cella, 3 tentativi sventati in tempo dagli uomini della polizia penitenziaria e 169 atti di autolesionismo posti in essere da detenuti. Ancora più gravi i numeri delle violenze contro i nostri poliziotti penitenziari: parliamo di 205 colluttazioni e 46 ferimenti". "I nostri agenti, sovrintendenti e ispettori vengono quotidianamente picchiati e feriti dalle violenze ingiustificate di una consistente fetta di detenuti che evidentemente si sentono intoccabili" dice Capece. "I dati sono gravi e sconcertanti ma sono utili per capire situazione delle prigioni del nostro Paese: ometterli è operazione mistificatoria - commenta il segretario regionale del Sappe del Veneto Giovanni Vona. Ogni giorno, insomma, le turbolenti carceri venete ed italiane vedono le donne e gli uomini della polizia penitenziaria fronteggiare pericoli e tensioni e per i poliziotti penitenziari in servizio le condizioni di lavoro restano pericolose e stressanti". "Ma il Dap queste cose non le dice - chiude la nota del sindacato autonomo. L'unica preoccupazione, per i solerti dirigenti ministeriali, è evidentemente quella di migliorare la vita in cella ai detenuti. I poliziotti possono continuare a prendere sberle e pugni, a salvare la vita ai detenuti che tentato il suicidio nel silenzio e nell'indifferenza dell'Amministrazione penitenziaria". Basilicata: la Uil-Pa denuncia le contraddizioni del sistema carcerario lucano Quotidiano della Basilicata, 16 agosto 2015 Visita alla struttura del segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. "Matera è la sintesi perfetta di tutte le contraddizioni del sistema penitenziario italiano". Lo ha detto il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che, insieme a una delegazione del sindacato, ha effettuato nel giorno di ferragosto una visita nella casa circondariale lucana. "Quasi una isola felice - ha evidenziato - se non fosse che l'assenza di un direttore in pianta stabile (due volte a settimana arriva a Matera un Dirigente in servizio al Provveditorato di Potenza) non garantisce una gestione complessiva e continuata e questo penalizza molto l'andamento generale". Sarno ha evidenziato che "è una Casa circondariale (deputata ad ospitare detenuti in attesa di sentenza definitiva) ma l'80% (64 su 80) dei detenuti ha una posizione giuridica di definitivo (sentenza definitiva). Ha una ricettività di circa 130 posti ma ospita solo 80 detenuti distribuiti nelle cinque sezioni detentive. È un istituto che presenta criticità operative conseguenti alla sua struttura architettonica a T, ma si distingue per pulizia e decoro; è vigente un regime di custodia a "cancelli chiusi". Pertanto per garantire i servizi minimi essenziali il personale di polizia è costretto ad effettuare turni di servizio con ricorso a "straordinario programmato" (turni di otto ore)". Secondo Sarno, "si può parlare di Matera come un istituto fortemente penalizzato rispetto alle proprie potenzialità. Questa mattina erano presenti 80 detenuti. L'organico di polizia penitenziaria è fissato in 120 unità ma ne sono presenti solo 95, di cui 42 ultracinquantenni. Al 30 giugno - ha concluso il segretario della Uilpa Penitenziari - il locale Nucleo Traduzioni e Piantonamenti della Polizia Penitenziaria ha effettuato 239 servizi di traduzione movimentando complessivamente 288 detenuti". Pisa: detenuta 27enne si impicca in cella, era in carcere da due settimane Ansa, 16 agosto 2015 Una detenuta italiana di 27 anni si è impiccata ieri pomeriggio nella sua cella nella sezione femminile del carcere Don Bosco di Pisa. La giovane donna, secondo quanto appreso, si trovava reclusa dal 31 luglio per maltrattamenti familiari dopo una precedente detenzione domiciliare per stalking nei confronti della compagna. Sull'episodio ha aperto un'indagine la polizia penitenziaria, dopo che i rilievi della scientifica sono stati effettuati dai carabinieri. La 27enne, secondo quanto si è appreso, era detenuta con "regime aperto", ovvero con 8 ore quotidiane di socialità. Divideva la cella insieme ad altre donne: avrebbe evidentemente approfittato di un momento in cui si è trovata da sola per togliersi la vita, utilizzando un lenzuolo per impiccarsi. Stando a quanto riferito dalla direzione della casa circondariale, la ventisettenne in queste due settimane di detenzione a Pisa non aveva mai avuto particolari problemi né con gli agenti né con le altre recluse. Secondo l'Osservatorio sul carcere dell'associazione Ristretti Orizzonti quello di oggi, di una giovane di 27 anni a Pisa, è il ventinovesimo suicidio in cella dall'inizio dell'anno. Il ventottesimo suicidio era avvenuto ieri ad Alba dove alle grate della sua cella si era impiccato un uomo, romeno di 30 anni. Una ricerca di Ristretti Orizzonti rileva che circa un terzo dei suicidi tra i detenuti riguarda persone di età compresa tra i 20 e i 30 anni e, più di un quarto, un'età compresa tra i 30 e i 40. In queste due fasce d'età il totale dei detenuti sono, rispettivamente, il 36% e il 27%. Il Comunicato del Sappe Una donna di 27 anni, originaria di Massa Marittima, detenuta nel carcere di Pisa dopo la revoca degli arresti domiciliari per il reato di maltrattamenti in famiglia verso madre e nonna, si è tolta la vita in cella il giorno prima di Ferragosto. A nulla è valso il pur tempestivo delle poliziotte penitenziarie. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che giudica "triste e sconcertante la ferale notizia", giunta per altro a poche ore dal suicidio di un altro detenuto, nel carcere di Alba. Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria sottolinea come permangano le criticità e le problematiche nelle carceri toscane: "I detenuti complessivamente presenti nelle carceri regionali della Toscana erano, il 30 luglio scorso, 3.223 Circa 150 in meno di quelli che c'erano un anno fa quando, nello stesso giorno del 2014, erano 3.371. A non calare, però, sono gli eventi e gli episodi critici nelle celle", sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sappe. "Per il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria le condizioni di vita dei detenuti, in linea con le prescrizioni dettate dalla sentenza Torreggiani, sono migliorate in Italia. Non si dice, però, che le tensioni del sistema penitenziario italiano continuano a scaricarsi sulle donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, quotidianamente impegnati a contrastare le tensioni e le violenze che avvengono nelle nostre carceri vedono spesso i nostri Agenti, Sovrintendenti, Ispettori picchiati e feriti dalle violenze ingiustificate di una consistente fetta di detenuti che evidentemente si sentono intoccabili", aggiunge il leader nazionale del Sappe. "I dati sono gravi e sconcertanti e sono utili a comprenderli organicamente la situazione delle prigioni del nostro Paese: ometterli è operazione mistificatoria", prosegue Capece con il Segretario regionale Sappe della Toscana Pasquale Salemme. "Dal 1 gennaio al 30 giugno 2015 nelle 18 carceri toscane si sono infatti contati il suicidio di 2 detenuti in cella, 3 tentativi sventati in tempo dagli uomini della Polizia Penitenziaria e ben 501 atti di autolesionismo (il numero più alto in tutta Italia!) posti in essere da detenuti. Ancora più gravi i numeri delle violenze contro i nostri poliziotti penitenziari: parliamo di 213 colluttazioni e 39 ferimenti. Ogni giorno, insomma, le turbolenti carceri toscane ed italiane vedono le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria fronteggiare pericoli e tensioni e per i poliziotti penitenziari in servizio le condizioni di lavoro restano pericolose e stressanti". "Ma il Dap queste cose non le dice", denunciano infine Capece e Salemme: "l'unica preoccupazione, per i solerti dirigenti ministeriali, è evidentemente quella di migliorare la vita in cella ai detenuti. I poliziotti possono continuare a prendere sberle e pugni, a salvare la vita ai detenuti che tentato il suicidio nel silenzio e nell'indifferenza dell'Amministrazione penitenziaria". Il Sottosegretario Ferri: cercheremo di fare di più "La situazione delle carceri sta migliorando grazie all'impegno ed al lavoro del governo. Una giovane donna che compie l'estremo gesto del togliersi la vita merita massima attenzione. L'impegno del governo nel monitorare e offrire supporto alle strutture detentive è costante. Cercheremo di fare ancora di più affinché le carceri assolvano al difficile ma essenziale compito della rieducazione di chi delinque prevista dalla Costituzione". Così in una nota il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri dopo aver visitato oggi la casa circondariale Don Bosco di Pisa dove ieri, nella sezione femminile, si è tolta la vita una detenuta di 27 anni. "Occorre potenziare - afferma ancora Ferri - le strutture sanitarie all'interno degli istituti, in tal senso stiamo attivando protocolli d'intesa con le aziende Usl per trovare rimedi più efficaci e maggior attenzione nei confronti delle persone detenute". Pordenone: giovane morto in carcere, il caso va in Parlamento di Rosario Padovano La Nuova Venezia, 16 agosto 2015 Il deputato Andrea Martella (Pd) presenterà un'interrogazione. Il pm Matteo Campagnaro andrà oggi in sopralluogo nel carcere di Pordenone. Il caso di Stefano Borriello finisce in Parlamento. Una settimana fa il 29enne accusato di rapina è morto nel carcere del Castello di Pordenone. Non si danno pace i familiari e gli amici, che vogliono vederci chiaro e capire se la morte di Stefano avrebbe potuto essere evitata. E le stesse domande che si fanno i genitori, verranno fatte anche in parlamento. Nel dettaglio sono stati alcuni deputati a muoversi, anche sulla scorta di un'inchiesta sulle condizioni delle carceri italiane pubblicata dal Manifesto. La documentazione relativa al decesso di Stefano Borriello è finita sul tavolo dei parlamentari Andrea Martella, di Portogruaro e vicepresidente del gruppo del Partito Democratico alla Camera, e dei due vicepresidenti della Camera, il democratico Roberto Giachetti, e Simone Baldelli di Forza Italia, da tempo sensibile alla questione delle carceri italiane. Martella, con la collaborazione dei due colleghi deputati, sta preparando un'interrogazione parlamentare con cui chiedere approfondimenti sulla morte di Borriello. Intanto don Andrea Ruzzene, sacerdote della Beata Maria Vergine Regina di Portogruaro, ha deciso di abbassare i riflettori sulla vicenda, dopo le perplessità espresse nei giorni scorsi. "Non parlo più, me lo ha imposto la famiglia del ragazzo e io rispetto questa loro decisione. Non voglio parlare", ha chiarito il parroco. "Ma io non ho mai parlato di caso Cucchi, riferendomi a Stefano". Don Ruzzene aveva agitato qualche ombra sull'operato delle guardie carcerarie e sulla prontezza di riflessi di chi avrebbe dovuto intervenire. Conosceva Stefano Borriello, e sostiene che nonostante questo gli sia stato impedito di incontrarlo. "Stava male da giorni, l'hanno portato in ospedale quando ormai stava morendo. Se l'avessero fatto qualche giorno prima, magari", è stato lo sfogo del sacerdote nei giorni scorsi. Dubbi, quelli espressi dal parroco, che ora richiedono delle risposte. Oggi il pm Matteo Campagnaro eseguirà un sopralluogo nel carcere di Pordenone, per raccogliere ulteriori elementi che possano contribuire a fare luce sulle ombre gettate sulla morte del giovane. Intanto si allungano i tempo per l'ultimo saluto al 29enne. Il nulla osta alla celebrazione delle esequie non è ancora stato concesso, e quasi certamente si andrà dopo ferragosto. Il funerale comunque dovrebbe essere celebrato nella di San Nicolò. Caserta: oltre le porte dell'Opg di Aversa, che accoglie ancora 58 ricoverati di Giampiero De Luca La Repubblica, 16 agosto 2015 L'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa avrebbe dovuto chiudere il 31 marzo scorso. Ma a distanza di cinque mesi dalla svolta epocale, resta incerta la data per la chiusura definitiva. Attualmente sono in 58 ad essere ricoverati e gli ospiti del famigerato Opg continueranno ad essere rinchiusi nell'edificio più antico d'Italia, fino a quando non saranno ultimate le Rems, ovvero le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, gestiti dai dipartimenti di salute mentale. Ma la preoccupazione maggiore è che il provvisorio nel nostro paese possa diventare definitivo. Per le nuove strutture in grado di accogliere gli internati bisognerà attendere ancora del tempo. Impossibile dare una data certa. Dunque in attesa del provvedimento un senatore della commissione igiene e salute, Lucio Romano, ha fatto visita all'interno dell'Opg per verificare le condizioni dei detenuti. Intanto si pensa al futuro, aspettando il presente. C'è un progetto presentato al ministero di Grazie e Giustizia che prevede per il Filippo Saporito la conversione in un istituto di reclusione da 150, 200 posti. Crotone: Ferragosto in carcere per l'onorevole Nicodemo Oliverio ilcrotonese.it, 16 agosto 2015 "Il carcere italiano deve tornare a svolgere la funzione che gli è propria, in un'ottica europea, trattando i detenuti con umanità e comprensione, proprio come accade a Crotone". Lo ha detto l'onorevole Nicodemo Oliverio che ha approfittato della giornata di ferragosto per recarsi in visita alla casa circondariale di Crotone. Oliverio, che era accompagnato dalla dottoressa Pina De Novara, presidente del Rotary club di Cirò Marina, è stato ricevuto comandante Giuseppe Laforgia e dagli operatori di Polizia penitenziaria. "Qui a Crotone - ha aggiunto il parlamentare del Partito democratico - molti passi avanti sono stati fatti, e questi sforzi vanno sostenuti e incoraggiati, perché la misura della civiltà di una nazione, passa anche dalle gestione e dalla funzione delle carceri. Ho sperimentato un clima sereno e costruttivo con gli ospiti della Casa che vivono in una struttura che valorizza il principio costituzionale della pena che educa per poi garantire il rientro in società e per non tornare a delinquere". Oliverio si è complimentato con il comandante Laforgia per la "struttura modernissima e ottimamente gestita, con due nuove sezioni che possono ospitare fino a cento detenuti". Ed ha avuto parole di elogio per "la politica penitenziaria dell'attuale governo Renzi" che "anche in questo ambito - ha dichiarato - mostra un vero cambio di verso". "Noi come Rotary - ha aggiunto la dottoressa Novara, che collabora nel settore penitenziario con il parlamentare - siamo orgogliosi che nel nostro territorio esistano realtà così positive per il percorso di ritorno ad una vita normale". Roma: l'assessore Danese; per il Giubileo un progetto speciale con i detenuti romani online-news.it, 16 agosto 2015 "Anche il carcere insiste sul territorio romano e siccome il giubileo sarà diffuso in tutti i territori faremo un progetto speciale con i detenuti". Così l'assessore alle politiche sociali del comune di Roma, Francesca Danese, che dopo aver ricevuto, lo scorso 28 luglio, la delega ai Rapporti con il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, ha annunciato l'elaborazione di un progetto per il coinvolgimento dei detenuti romani nel prossimo Giubileo. Lo stesso assessore, che questa mattina ha visitato la Casa Circondariale femminile di Rebibbia, dove ha incontrato anche otto bambini ospiti del penitenziario insieme alle loro madri, ha poi affermato che "entro natale" i piccoli andranno a vivere in una villa confiscata alla mafia, nell'ambito di un progetto di reinserimento sociale. "Ho voluto far vedere ai bambini la foto della villa che sarà destinata a loro - ha spiegato Danese - Gli otto bambini che porteremo fuori dal carcere avranno una casa e non sentiranno più il rumore delle sbarre. Finalmente daremo a loro la possibilità di vedere di nuovo il cielo". Porto Azzurro (Li): il sottosegretario Cosimo Ferri "meno detenuti e più lavoro" di Luca Centini Il Tirreno, 16 agosto 2015 Visita del sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri: "Ci sono le condizioni per farne un esempio nazionale". L'obiettivo è chiaro, dichiarato ormai da tempo. Far ripartire il carcere di Porto Azzurro e le sue attività lavorative ormai ridotte all'osso, migliorando così la qualità della vita dei detenuti. E, al tempo stesso, riavvicinare Porto Azzurro alla vita della realtà carceraria, ormai da troppi anni marginalizzata, ridotta a una sorta di corpo estraneo. "Lo avevamo detto anche un anno fa, l'ultima volta che ho visitato questa struttura, ma ora si può partire davvero. Abbiamo una squadra, c'è finalmente un direttore stabile e la figura del garante dei detenuti. Porto Azzurro può tornare la struttura di pregio che era fino ad alcuni anni fa". Il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri non ha nascosto l'ottimismo, nel corso della visita all'istituto penitenziario, davanti al nuovo direttore Francesco D'Anselmo, al sindaco di Porto Azzurro Luca Simoni, alla comandante Giuliana Perrini e al nuovo garante dei detenuti Nunzio Marotti. Stop al sovraffollamento. Dopo anni di gravi difficoltà il numero dei detenuti del carcere di Porto Azzurro è tornato in linea con lo standard. Attualmente sono 270 i detenuti ospiti della struttura, a cui si aggiungono i 30 di Pianosa, con un mix di tipologia di pene (dagli ergastolani fino a pene di 5-6 anni). La riduzione del numero dei detenuti ha comportato un miglioramento della qualità della vita all'interno del carcere, molto complicate fino allo scorso anno (220 detenuti hanno richiesto dei risarcimenti per le condizioni disumane all'interno del carcere). La situazione, tuttavia, non è certo rosa e fiori. Ad oggi i problemi maggiori riguardano i locali del Terzo reparto, per i quali l'amministrazione penitenziaria ha già approvato un progetto di rifacimento finanziato con i fondi della Cassa delle ammende (i lavori partiranno a settembre). A questo progetto se ne aggiungono altri, necessari per riqualificare il carcere dal punto di vista strutturale: con la Cassa delle ammende sono già stati finanziati i lavori di pulizia dell'area detentiva interna ed esterna e il rifacimento della sala colloqui. Per i tre progetti saranno impiegati circa 16 detenuti. Un altro progetto strutturale, particolarmente atteso dai detenuti, consiste nel miglioramento delle strutture detentive, tra cui è compresa la realizzazione di una palestra in quella che sarà un'area dedicata alle attività trattamentali. Il lavoro. Ma è il lavoro la vera chiave per rilanciare la casa di reclusione, fino ad alcuni anni fa considerata un fiore all'occhiello tra i penitenziari italiani. "In passato c'era una sinergia forte tra la vita di Porto Azzurro e quella del carcere - racconta Luca Simoni - mi ricordo che, nell'area del carcere venivamo pure al cinema. Occorre ricreare quel tipo di rapporto". Negli anni le attività lavorative all'interno del carcere si sono progressivamente svuotate, basti pensare che - ad oggi - lavorano solo 15 detenuti, a cui si aggiungono i 30 di Pianosa. "Vogliamo arrivare ad occupare circa 60 detenuti, Pianosa esclusa - racconta il direttore Francesco D'Anselmo - Intendiamo recuperare spazi all'interno del carcere e far ripartire le attività, in parte con le nostre forze, in parte con l'aiuto di soggetti esterni e volontari. Ce la possiamo fare". "L'agricoltura deve tornare ad essere importante per questo carcere - spiega il sottosegretario Cosimo Ferri - l'idea è quella di tornare a produrre prodotti tipici, riattivando il mercatino e il vecchio punto vendita situato all'esterno. In questo modo ciò che si ottiene dalla vendita può essere reinvestito per altre attività". Padova: "alloggi fatiscenti", gli agenti in rivolta scrivono una lettera al ministero di Carlo Bellotto Il Mattino di Padova, 16 agosto 2015 Alloggi fatiscenti con infiltrazioni d'acqua, muri da ridipingere, sanitari scrostati. Pagare per queste stanze, piccole e anguste è davvero troppo e 77 agenti di Polizia Penitenziaria hanno deciso di far conoscere tutta la loro contrarietà al ministro della Giustizia e per conoscenza al direttore del carcere, Salvatore Pirruccio. Assistiti dall'avvocato Fabio Targa, al quale si sono rivolti, hanno firmato una lettera dove denunciano la situazione degli alloggi riservati agli agenti della Casa di Reclusione. Hanno deciso di non pagare più per l'occupazione di queste stanze, si tratta di camere senza cucina con bagno, la singola misura 12 metri quadri, è più piccola di una cella. Questi locali sono dislocati nei nove piani del palazzo a fianco di quella che ospita i detenuti. La singola costa 37 euro al mese, la doppia 64 e la tripla 76: si tratta di una cifra non alta, ma gli agenti ne fanno una questione di principio e soprattutto di igiene. "Un sopralluogo dell'Usl le dichiarerebbe inagibili, le guardie accettano di pagare, ma vogliono un minimo decoro, che vengano risanate" assicura l'avvocato Fabio Targa "I letti sono vecchi, i comodini in ferro, molte piastrelle sono rotte e i sanitari malridotti". Qualche agente volenteroso ha ridipinto a sue spese la camera e provveduto a far qualche miglioria: l'amministrazione penitenziaria non ha soldi. Nel mese di giugno l'ascensore è rimasto fuori uso un mese e chi era al nono piano è stata una sfacchinata. In quel periodo un agente è morto ed è stato portato al piano terra in un sacco. Le uniche stanze rimodernate sono quelle del decimo piano che però sono riservate per gli agenti che vengono da fuori per delle scorte. La decisione di far pagare questi alloggi (che restano gratuiti solo per gli alti gradi) è maturata nel 2006. Il ministero ha deciso un obolo fisso per coprire le spese di energia e consumi vari e l'affitto varia dalla metratura. Ora gli agenti, almeno i 77 firmatari della lettera, dicono basta. Non pagano e sfidano l'ente in un braccio di ferro dall'esito incerto. Pagheranno quando le condizioni saranno accettabili. Cosenza: Radicali; poco personale, Uepe al collasso, ci sono 4 assistenti sociali su 22 di Emilio Quintieri Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2015 L'Ufficio per l'Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Cosenza è al collasso. Non c'è personale ed a farne le spese sono soprattutto i detenuti per i quali diventa sempre più difficile ottenere i benefici e le altre misure alternative alla detenzione previste dall'Ordinamento Penitenziario che, al momento, per tanti cittadini restano solo sulla carta. Lo dichiara Emilio Quintieri, esponente dei Radicali Italiani, che da anni segue tenacemente i problemi di tutta la comunità penitenziaria calabrese anche collaborando con diversi Deputati e Senatori in attività di sindacato ispettivo all'interno delle strutture penitenziarie. L'Uepe di Cosenza, Ufficio periferico del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap) del Ministero della Giustizia, diretto da Emilio Molinari, soffre di una gravissima carenza di personale di servizio sociale pari all'80% della scopertura. Infatti, al momento - prosegue Quintieri - vi sono in servizio solo 4 Assistenti Sociali su una pianta organica che ne prevede ben 22. E, tra qualche giorno, la situazione continuerà ad aggravarsi poiché uno di questi Funzionari che, tra l'altro, attualmente, ricopre l'incarico di Responsabile dell'Area di Segreteria, andrà in pensione per sopraggiunti limiti d'età. Inoltre, all'Ufficio di Cosenza, non è mai stato assegnato il funzionario dell'organizzazione e delle relazioni, pur essendo previsto nella pianta organica ed il Direttore Molinari, da alcuni anni, è costretto a svolgere servizio in missione anche presso l'Ufficio Territoriale di Catanzaro. Da circa un anno, continua l'esponente del Partito Radicale, una dipendente del Ministero della Giustizia, in servizio presso la Casa Circondariale "Ugo Caridi" di Catanzaro ma distaccata all'Uepe di Cosenza, avendo i requisiti culturali e professionali richiesti, ha chiesto alla competente Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dap, il passaggio dal profilo di funzionario informatico a quello di funzionario dell'organizzazione e delle relazioni. L'istanza è stata trasmessa, con parere favorevole del Direttore dell'Ufficio, al Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria di Catanzaro per quanto di competenza. La nomina della suddetta dipendente, che negli anni passati ha già svolto le funzioni di Coordinatrice dell'Area di Segreteria, risolverebbe ed in maniera definitiva, la problematica evitando di attribuire tale incarico ad altro funzionario di servizio sociale che verrebbe inevitabilmente sottratto dal proprio compito istituzionale che è quello di seguire i condannati ristretti negli Istituti Penitenziaria o sottoposti ad altre misure restrittive della libertà. Come al solito, prosegue il Radicale Quintieri, nessuno, né il Provveditorato Regionale né il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria si è degnato di rispondere all'istanza e comunque di assumere le dovute determinazioni per risolvere la situazione venutasi a creare. Non è possibile che un Ufficio importante come quello dell'Uepe di Cosenza che ha competenza su 4 Istituti Penitenziari, 3 Case Circondariali (Cosenza, Paola e Castrovillari) ed 1 Casa di Reclusione (Rossano) e su tanti altri cittadini sottoposti a misure alternative alla detenzione intramoenia, possa svolgere le numerose funzioni assegnategli dall'Ordinamento Penitenziario : tra le tante, quelle di svolgere, su richiesta della Magistratura, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza; di svolgere le indagini socio-familiari per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati; di proporre all'Autorità Giudiziaria il programma di trattamento da applicare agli imputati ed ai condannati che chiedono di essere messi alla prova, affidati al servizio sociale e/o sottoposti alla detenzione domiciliare; di controllare l'esecuzione dei programmi, da parte degli ammessi alle misure alternative, e di riferirne all'Autorità Giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca; di prestare consulenza, su richiesta delle Direzioni degli Istituti Penitenziari, per favorire il buon esito del trattamento penitenziario e tantissime altre funzioni nei confronti dei detenuti ristretti in carcere e dei loro familiari. Il Governo ed il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria pare che abbiano completamente dimenticato la Calabria, aggiunge ancora l'esponente radicale Emilio Quintieri. Nella nostra Regione, ormai da 5 anni, dopo il suicidio di Paolo Quattrone, manca un Provveditore Regionale in pianta stabile. C'è il Dirigente Generale Salvatore Acerra, in missione, poiché è Provveditore Regionale in Basilicata con sede a Potenza. Ci auguriamo che l'Amministrazione Penitenziaria, in tempi brevi, provveda a dotare l'Uepe di Cosenza dei mezzi e delle risorse umane necessari, assicurando la copertura dei posti di servizio previsti dalla pianta organica, attualmente vacanti, al fin di rendere più efficace l'attività istituzionale cui è preposto, contribuendo, altresì, alla crescita del livello di sicurezza sociale e, contestualmente, che proceda alla nomina del Provveditore Regionale della Calabria, revocando l'incarico di missione attribuito al Provveditore della Basilicata. Milano: i detenuti di Bollate "l'Expo ci ha aiutato a riabituarci alla vita" di Fiammetta Cupellaro Il Tirreno, 16 agosto 2015 Parlano i "volontari" del carcere di Milano che hanno potuto lavorare nei padiglioni dell'esposizione universale. Expo festeggia il Ferragosto entrando nel carcere di Bollate, i cui detenuti lavorano come volontari tra i padiglioni, un'esperienza importante perché li ha fatti tornare in mezzo alla gente. L'ingresso del carcere è proprio davanti ad uno dei varchi dell'Esposizione. I detenuti-lavoratori sono circa una cinquantina, tutti vicini alla fine della pena, stanno seguendo un processo di reinserimento lavorativo. Escono dalla cella la mattina indossando la divisa dell'Expo, attraversano la strada e dopo i controlli entrano. Alle 18 rientrano in cella. "La pena non si sconta con le porte chiuse". Con questo slogan, diventato una vera e propria filosofia, l'ex direttrice del carcere di Bollate Lucia Castellano ha dato vita ad uno degli istituti di pena più all'avanguardia in un paese condannato dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo per "trattamento inumano e degradante". Un lavoro, il suo, continuato dall'attuale direttore Massimo Parisi che, nell'ottica di "dare un senso alla pena", ha stretto una collaborazione con Expo concedendo ai detenuti di poter uscire di giorno e lavorare come volontari. Si occupano soprattutto di viabilità. "Siete i nostri vicini e oggi siamo qui per dirvi grazie per il contributo che date all'esposizione" così Roberto Arditi, responsabile delle relazioni istituzionali ha salutato un gruppo di ospiti all'interno dell'istituto di pena. L'occasione era quella di festeggiare il Ferragosto consegnando personalmente i gelati offerti da Algida, partner di Expo. E ad Algida i detenuti di Bollate hanno chiesto ufficialmente la possibilità di aprire un "varco" lavorativo per ex detenuti. Sono 1.200 i definitivi, un braccio maschile e uno femminile, porte delle celle che si chiudono solo la sera. Nell'ottica della "custodia attenuta" i detenuti che hanno alle spalle condanne anche pesanti (ci sono anche ergastolani) si occupano di una scuderia di cavalli, laboratori di pasticceria e falegnameria, una piccola impresa di catering e adesso Expo. Daniele che finirà di scontare la pena il prossimo anno ha raccontato cosa abbia significato lavorare nell'Esposizione di Milano: "Quando la prima volta ci siamo trovati tra i padiglioni siamo rimasti frastornati. Dopo tanti anni di silenzio, abbiamo ricominciato a sentire i rumori, vedere le persone passeggiare, chiacchierare, mangiare un gelato camminare. Expo ci ha aiutato a riabituarci alla normalità. Alla vita". Milano: dal Padiglione Expo di Algida 1.100 gelati in dono al carcere di Bollate Ansa, 16 agosto 2015 Una giornata particolare al carcere di Bollate: l'ha organizzata il padiglione dell'Algida, che ha recapitato ai detenuti dell'istituto penale 1.100 gelati, in occasione del Ferragosto, e continuerà a farlo, settimanalmente, fino alla fine dell'esposizione. È stato un regalo molto gradito tanto che, dopo la consegna effettuata ieri sera, questa mattina, quando una piccola delegazione di Expo, guidata dal direttore responsabile di ExpoNet, Roberto Arditti, ha fatto visita al carcere, i gelati erano già tutti finiti. "È bello che Expo abbia pensato anche ai suoi vicini di casa del carcere di Bollate - ha detto il responsabile dell'area educativa, Roberto Bezzi - perché Expo è cibo, esposizione, ma anche solidarietà. Il fatto che chi vive in contesti diversi dal carcere si interessi a ciò che c'è oltre questo muro è sempre un passo avanti, perché entrambe le parti vogliono la stessa cosa: un mondo più sicuro". Un muro che è già stato in parte abbattuto, a Expo, grazie al coinvolgimento di 100 volontari provenienti dall'Istituto penale di Bollate, che ogni settimana accolgono i visitatori dell'Esposizione. "I volontari sono rinati con l'esperienza straordinaria del volontariato - ha aggiunto Bezzi. Incontrano persone di tutto il mondo, vivono nel rumore, nel caos, in un contesto che è il contrario del carcere". "Ã una bella iniziativa - ha commentato un detenuto - ma sarebbe bello che avesse un seguito anche nel futuro. Visto che l'Algida è una multinazionale, perché non aprire le porte a chi beneficia dell'articolo 21 del diritto penitenziario o è appena uscito dal carcere e vuole lavorare?". "Faremo questa segnalazione con molto piacere - ha risposto Arditti -. Expo serve a creare opportunità". Droghe: morte di Ilaria Boemi, altri due indagati di Gaetano Mineo Il Tempo, 16 agosto 2015 Messina: salgono a cinque gli indagati per la morte della 16enne sulla spiaggia. Nella città dello Stretto si registrano nuovi sviluppi sulle indagini per la morte di Ilaria Boemi. Infatti, ci sarebbero altre due 16enni indagati per il decesso della coetanea, trovata senza vita in una spiaggia di Messina. Due indagati che, a questo punto, si aggiungono ai tre ragazzi, due maggiorenni e una 16enne già sotto inchiesta. Le indagini della polizia, in pratica, avrebbero accertato che la dose di Mdma, una versione dell'ecstasy composta da cristalli liquidi, è stata data ad Ilaria in piazza Duomo a Messina. La ragazza poi, insieme ai due amici, l'avrebbe versata in una birra e bevuta. Poco dopo, Ilaria si sarebbe sentita male, quindi sarebbe stata accompagnata fino al lungomare del Ringo dove si è accasciata e poi è morta. Nel sangue della 16enne i medici hanno trovato tracce di metamfetamine e alcol. Ma ora si dovrà attendere il risultato delle analisi tossicologiche per avere piena conferma sulle cause del decesso. A portare la pasticca a Messina sarebbe stata una ragazza di 18 anni, sotto inchiesta, dopo averla ricevuta da una 16enne di Villafranca Tirrena, piccolo comune limitrofo. Le indagini proseguono a ritmo serrato. La polizia è anche sulle tracce del pusher, che avrebbe tra i 20 e i 25 anni. Sarebbe stata la 16enne di Villafranca Tirrena a fornire un nome e un identikit agli investigatori che in queste ore stanno setacciando il territorio per dare un volto allo spacciatore. Roma: evade durante visita medica, detenuto portato in ospedale per dei controlli tusciaweb.eu, 16 agosto 2015 Il ventenne, in carcere dal 2014 per rapina e lesioni, è stato portato in ospedale per dei controlli di routine. Intorno alle 17 di ieri il ventenne avrebbe aggredito le guardie che lo avevano in custodia e avrebbe fatto perdere le sue tracce. La notizia è stata diffusa dal sindacato della penitenziaria Fns Cisl Lazio, secondo cui le ricerche dell'evaso sarebbero ancora in corso. Per il sindacato "per evitare che si ripetano episodi come questi "necessariamente occorre rivedere le procedure di invio all'esterno per cure di detenuti, ampliando ulteriormente i servizi sanitari interni agli istituti penitenziari oppure costruendo opportune strutture esterne tipo reparti detentivi, già in uso nel Lazio". Nella regione reparti del genere sono presenti all'ospedale Belcolle di Viterbo o nello stesso Pertini, dove però vengono ricoverati solo detenuti con determinate tipologie di malattie. Stati Uniti: Chico Forti "da 16 anni in carcere innocente per una inchiesta su Versace" di Alessandro Dell'Orto Libero, 16 agosto 2015 Chico Forti è in carcere a Miami da quasi 16 anni con l'accusa di omicidio. Ma si dice innocente. Secondo l'accusa nel 1998 avrebbe ucciso Dale Pike, figlio di Anthony Pike (dal quale stava acquistando il "Pikes Hotel" a Ibiza), e per questo è stato condannato all'ergastolo. Dietro a questa clamorosa e drammatica vicenda, però, potrebbe esserci anche l'ombra dell'omicidio Versace: Chico, pochi mesi prima dell'arresto, aveva girato un documentario-inchiesta (Il sorriso della Medusa) all'interno della casa galleggiante in cui viveva e in cui si sarebbe suicidato Andrew Cunanan, il presunto killer dello stilista italiano. E aveva messo in dubbio le conclusioni della polizia di Miami dando inizio così, secondo molti, ai suoi guai. Ora Chico, rinchiuso al "Dade Correctional Institution", lotta tutti i giorni per dimostrare la verità, per tornare un uomo libero. E dalla prigione, per la prima volta, racconta e si racconta. Come vive, cosa pensa, cosa sogna, quanto soffre, perché è in quell'inferno. Il telefono squilla alle 23.54 italiane, la voce è calda e pacata. Mette i brividi. Emoziona. Chico, come sta? "Bene, molto bene. Grazie". Sempre ottimista e positivo dopo tanti anni di carcere. Dove trova la forza? "Sono le persone che mi sostengono a darmi la carica e le motivazioni per resistere. In attesa di tornare da voi in Italia". Nel frattempo ci porti con lei in carcere, ci faccia capire come si sta lì. Come è vestito? Dove è? "Indosso un paio di pantaloncini corti, una maglietta e delle scarpe tipo Crocs. Sono in una cabina e di fronte a me ho una parete blu con il telefono blu con dei quadrettini argento con scritti i numeri. Dietro ho una parete fredda, anche d'estate, una parete triste, brutta. A destra una porta chiusa, a sinistra una guardia dietro un vetro. Ci saranno 50 gradi". Chiuda gli occhi: c'è un odore o un profumo che descrive il carcere? "Provo. Ecco, l'odore è di una miscela di bustine di thè riciclato, pezzi di scacchi bruciati, sapone da doccia: un mix che qui si fumano 24 ore al giorno". C'è invece un profumo che le manca? Magari di un cibo che non mangia più? "Gli asparagi che preparava mamma. E la polenta". Sedici anni di carcere. Una cella. Orari rigidi. Sempre sotto controllo. Esistono piccoli attimi di libertà anche nella prigionia? "La libertà è in quei momenti che trovi dentro di te quando nessuno riesce a intromettersi nei tuoi pensieri. Qui non è facile, però". Come è la giornata tipo? "Sveglia alle 4.45. Poi si lavora: io sono nel dipartimento di educazione per i progetti speciali. Insegnare mi aiuta a passare il tempo in modo dignitoso. Rientro verso le 17.30, quindi dopo più di 12 ore". E cosa fa? "Chiamo mia madre se riesco a tornare prima di mezzanotte ora italiana, cioè le 18 di qui. Le do la buona notte e le faccio sapere che sto bene. Quando posso, anche se non è facile, chiamo gli amici più cari. Poi leggo la posta della gente che mi scrive. E rispondo". A che ora andate a letto? "Dopo vari conteggi, in cui viene verificato che non ci siano assenze ingiustificate, alle 22.30 vengono spente le luci. Gli altri dormono, io invece medito fino all'una e poi, per almeno due ore, mi sintonizzo sulla radio inglese per ascoltare le notizie dal mondo". Dorme pochissimo! "Due ore a notte. Ho imparato a concentrare il riposo del corpo e della mente in pochi minuti. Per la maggioranza delle persone qui il tempo non passa mai: per me invece ogni minuto, anzi ogni secondo, è importante". Come lo impegna? "Rifletto sul passato, ma soprattutto mi chiedo il perché di questa abominevole ingiustizia. Sedici anni di reclusione con restrizioni assurde rischiano di trasformarti in zombie. L'unico rimedio è riuscire a trovare se stessi all'interno di se stessi e trovare una ragione per vivere. Nel mio caso è dimostrare la mia innocenza totale". Si affida mai a Dio? "Sì. Sono sempre stato credente, anche se amante della scienza. Papa Francesco mi piace. Pensi che invece, nel 1982, ho avuto la benedizione di Papa Wojtyla per lo sport della vela". Come è il suo rapporto con gli altri carcerati? "La detenzione non mi ha cambiato, faccio amicizia molto facilmente. La gente tendenzialmente mi vuole bene perché do una mano a chiunque. Sa, qui non è facile chiedere aiuto, è un segno di debolezza soprattutto per chi non sa leggere, non sa scrivere e non sa dove è un paese nel mondo. Quando insegno aiuto tutti". E lei chi l'aiuta, quando ha bisogno di qualcosa? "Gli amici più cari e centinaia e migliaia di italiani che non mi hanno mai abbandonato". Ha mai subìto violenze? "Grazie a Dio mai fisicamente. A livello morale e psicologico è una cosa quotidiana". I momenti più duri in questi 16 anni? "Tanti. La morte di mio padre, innanzitutto. Se ne è andato nel 2001 senza che potessi stargli vicino e dirgli "Ti voglio bene" e "Grazie per quanto mi hai insegnato con l'esempio". Poi la lontananza dai miei tre figli. E gli abusi senza possibilità di replica: ho visto gente perdere la vita per cambiare il canale della tv. E ancora, il fatto di non poter vedere l'alba o il tramonto, o di sentire il vento sul viso e non poterlo cavalcare". Chico, parliamo del processo e della condanna all'ergastolo. Cosa l'ha fregata? "Per prima cosa l'uso di un informatore che ha barattato una sua possibile sentenza all'ergastolo per falsa testimonianza davanti al Grand jury, che è l'organo giudiziario che ha permesso e autorizzato il mio arresto. Poi una serie di bugie non ritrattabili dei vari responsabili della polizia del gruppo che mi ha arrestato. Se avessi saputo di andare incontro a un processo interamente basato su colpi sotto la cintura, avrei affrontato la situazione in modo diverso". E come? "Avrei dedicato io personalmente molto più tempo alla mia difesa, anziché fidarmi di gente che pensavo fosse preparata e invece non lo era. Avrei cercato di evitare un processo con giurati che erano stati inquinati dal giudice". In che modo? "Il messaggio subliminale che il giudice ha dato è stato: "Se voi avete pensato che Chico Forti è innocente, io vi posso dire che non lo è". Da quel giorno nessun giurato mi ha più rivolto lo sguardo. Tranne uno, un tecnico responsabile del reparto di radiologia dell'ospedale Mount Sinai che aveva detto che il processo era per frode e non per omicidio. Aveva detto anche che era convinto della mia non colpevolezza e la conseguenza è stata che lo hanno eliminato. Gli altri giurati avevano parlato tra di loro del mio caso, sostenendo la mia innocenza: il Prosecutor li ha sentiti e ha chiesto al giudice di fare un richiamo ufficiale ad ognuno di loro". Il fatto di essere italiano potrebbe aver condizionato la sua condanna? "A Miami esistono sciocchi stereotipi che associano l'italiano facoltoso a organizzazione malavitosa. Nel mio caso, sapendo che la frase non sarebbe mai stata riportata, i poliziotti me l'hanno detto in faccia dopo aver sputato sulla foto dei miei figli e averla stracciata". È possibile riaprire il processo? "Sono sicuro di sì. Non ho mai dubitato del fatto che io riottenga la libertà. L'unico problema sono i tempi e la voglia di farlo. Mi piace ricordare una frase di Steve Jobs: " Se ti cimenti in un lavoro fallo con passione, altrimenti non farlo"". Chico, lei si aggiorna costantemente su ciò che accade nel mondo. Cinque mesi fa Amanda Knox, rientrata negli Usa, è stata assolta definitivamente per l'omicidio di Meredith Kercher. Mai sperato in uno scambio? "No. Sperare in uno scambio significava la sua condanna. Io non ho mai augurato alla Knox di essere condannata per poi essere merce di scambio. Certo, se lei lo avesse richiesto lo avrei accettato. Io non auguro a nessuno quello che sto vivendo". E dei marò italiani sotto processo in India che pensa? "Sono solidale con i due fucilieri della Marina detenuti ingiustamente come me. Spero che la stessa determinazione del governo italiano nell'affrontare l'aggressività degli avvocati indiani venga usata anche nel mio caso per riportarmi in Italia. Tutte le carte processuali dimostrano che è stata fatta un'ingiustizia gigantesca. Sono in carcere senza prove". A proposito del governo, Renzi è in vacanza a New York. "Da New York a Miami sono tre ore di aereo. Se vuole venirmi a trovare in carcere per sapere davvero come è la mia situazione, lo attendo". Cosa gli direbbe? "Presidente, la prego di dedicare 30 minuti al mio caso, le chiedo di incontrare i miei rappresentanti in Italia. Lei capirà e saprà valutare. Grazie". Chico. Se lo sarà chiesto chissà quante volte: perché tutto questo proprio a lei? "A fine agosto del ‘97 ho fatto uno speciale di due pagine su Repubblica con Vittorio Zucconi, che era venuto a visitare la house boat in cui si era suicidato Andrew Cunanan, presunto assassino di Versace". Già, perché lei aveva realizzato il documentario-inchiesta ("Il sorriso della Medusa") all'interno della casa galleggiante. "Quando, finito di girare il filmato, ho visto che le reazioni erano forse un po' più forti di quello che immaginavo, ho subito pensato che avrei rischiato qualcosa. Quello che mi è successo non è stata una sorpresa: non è che da un momento all'altro hanno scelto me tra mille, così a caso. Il mio rompere le scatole, il mio andare a cercare la verità in un momento in cui tutti volevano metterla sotto il tappeto è stato determinante. È stata una vendetta". Chico, ultima domanda. Guardiamo avanti. Lei cosa vede? "Il futuro non è lontano. Ogni secondo, ogni minuto, ogni attimo ho la sensazione di un imminente risveglio da questo incubo. E mi vedo finalmente mentre riabbraccio le persone a me care e le tante che mi stanno aiutando". Stati Uniti: no a scarcerazione detenuto di Guantánamo per ragioni salute Agi, 16 agosto 2015 Il Dipartimento di Giustizia americano si è opposto alla richiesta di scarcerazione per ragioni di salute di un detenuto di Guantánamo che da otto anni conduce uno sciopero della fame. Tariq Ba Odah, yemenita, 36 anni, pesa ormai solo 33 kg e il suo caso è diventato uno dei banchi di prova della promesse di Barack Obama, che s'impegnò per il trasferimento di tutti i detenuti e per lo smantellamento della struttura prima di lasciare la presidenza. Egitto: difesa del deposto presidente Morsi presenta appello contro condanna a morte Agi, 16 agosto 2015 I legali d'ufficio del deposto presidente egiziano Mohamed Morsi hanno presentato oggi un appello alla Corte suprema contro la condanna a morte emessa in giugno. Il ricorso riguarda anche la condanna all'ergastolo che con la stessa sente la Corte penale del Cairo aveva inflitto a Morsi, ritenuto responsabile di un'evasione di massa durante la rivolta contro Mubarak nel 2011. Con l'ex presidente erano stati condannati alla pena capitale il leader spirituale dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, e altri quattro alti dirigenti del movimento islamico, tutti detenuti come Morsi. Più di altri 90 esponenti dei Fratelli Musulmani, tra cui l'influente religioso Youssef al-Qaradawi, sono stati pure condannati a morte, ma in contumacia. Morsi, che ha rifiutato di riconoscere la giurisdizione della Corte penale, sostenendo di essere tuttora il legittimo presidente del Paese, non ha mai nominato un legale di sua fiducia.