Giustizia: pronto Decreto per riforma del Civile, trattative tra partiti su quella del Penale di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 9 settembre 2014 Le novità della riforma: il giudice non potrà più ordinare altre indagini. Ferie delle toghe ridotte a trenta giorni. Alcuni testi sono finalmente pronti, e hanno preso la strada di Palazzo Chigi. Il decreto legge con gli interventi sulla giustizia civile è da ieri a disposizione della presidenza del Consiglio, per essere approvato alla prima riunione del governo considerata utile. Lì dentro ci sono anche le nuove regole sulle ferie dei magistrati, portate a trenta giorni, e un quasi dimezzamento dell’interruzione estiva delle udienze ordinarie: non più dal 1° agosto al 15 settembre, bensì dal 6 al 31 agosto. Sulla riforma della giustizia penale, invece, i tecnici del Guardasigilli Orlando e di Palazzo Chigi stanno ancora lavorando con i rappresentanti "di settore" dei partiti per mettere a punto le ultime modifiche alle proposte ministeriali. Ma l’opera è quasi giunta a compimento, un disegno di legge complessivo dal titolo altisonante: "Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena". È quello che contiene ciò di cui più s’è discusso in queste settimane, dalla sospensione della decorrenza prescrizione dopo la condanna di primo grado, alla modifica del falso in bilancio, alla delega al governo per una diversa disciplina delle intercettazioni telefoniche. Ma c’è anche molto altro. Le riforme investono praticamente tutte le fasi del processo, dall’udienza preliminare fino al ricorso in Cassazione. E c’è qualcosa pure per ciò che riguarda le indagini del pubblico ministero: il rafforzamento dei "controlli preventivi e successivi sulla corretta osservanza delle disposizioni che regolano il momento dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro", mentre il potere di disporre autonomamente l’acquisizione dei tabulati telefonici viene ristretto ai soli casi d’urgenza; per il resto toccherà al giudice ordinarla, in adeguamento alle indicazioni della normativa europea. Una delle principali novità riguarda l’introduzione di un nuovo istituto, che si aggiunge al patteggiamento, a sua volta esteso fino a tre anni di pena. Si tratta della cosiddetta "condanna emessa su richiesta dell’imputato", che può essere richiesta dai rinviati a giudizio e prescinde - a differenza del patteggiamento - dall’accordo tra le parti. In sostanza, all’udienza preliminare o all’apertura del dibattimento in caso di giudizio immediato, se l’imputato ammette il fatto ne rende una confessione che consente al giudice "un accertamento pieno della colpevolezza", può chiedere una sentenza di "condanna concordata" fino a otto anni di pena. Un tetto alto, che copre reati importanti, che consentirebbe a chi ammette la colpa di ottenere un ulteriore sconto da un terzo alla metà. In caso di accoglimento della richiesta, all’imputato non sarebbe consentito di presentare appello. Altra modifica importante viene introdotta all’udienza preliminare per "evitare che si sovrapponga al vero e proprio giudizio nel merito della vicenda processuale", com’è spiegato nelle diverse relazioni che accompagnano i testi in via di definizione. Al giudice non sarà più consentito di ordinare nuove indagini al pubblico ministero, qualora le ritenga insufficienti per un suo pronunciamento; è accaduto spesso, in passato, soprattutto in Sicilia per alcuni processi sui rapporti tra mafia e politica, di fronte a imputati di concorso esterno in associazione mafiosa. La riforma prevede che, in caso di ritenuta incompletezza delle indagini, si proceda alla "indiretta censura dell’operato del pubblico ministero" attraverso la pronuncia di non luogo a procedere. Allo stesso modo, viene eliminato il "potere officioso" del giudice di assumere nuove prove prima della decisione sul rinvio a giudizio o sull’archiviazione; spetterà alle parti, eventualmente, richiederla. Un intero capitolo riguarda la riforma dei motivi dell’appello, ma è una materia sulla quale ancora si stanno mettendo a punto alcune modifiche. Anche su questo il Parlamento è chiamato ad approvare una delega al governo, e in generale si tenta di ridurre l’area dei ricorsi in modo da garantire che sia effettivamente una fase di controllo di ciò che hanno fatto i primi giudici. Il punto critico sul quale si vuole intervenire riguarda il fatto che il processo di secondo grado può diventare un nuovo giudizio di merito in assenza dell’assunzione diretta della prova che avviene nel dibattimento di primo grado. Con l’obiettivo di ridurre il carico dei processi pendenti, viene reintrodotta la possibilità di patteggiare la pena anche nella fase di appello. Giustizia: nella riforma Renzi pericolo bavaglio e nuovi modi per bloccare i processi di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 9 settembre 2014 Adesso gli annunci di Renzi & C. sono completi, almeno in tema di giustizia. È in dirittura d’arrivo anche il disegno di legge della riforma penale. Dalla lettura delle bozze che abbiamo potuto visionare si può fare un primo sommario bilancio, che dovrà essere approfondito nei prossimi giorni. Naturalmente meritano particolare attenzione le norme immediatamente operative (in realtà tali diventeranno quando i decreti e i disegni di legge diventeranno legge) perché, degli annunci, molti sono privi di contenuto concreto; altri però sono già sufficienti per preoccuparsi. Andiamo per ordine. 1 - Nel processo civile è stata introdotta una novità importante: l’esternalizzazione del processo. Se le parti sono d’accordo dal giudice non ci vanno proprio. Delegano tutto ai loro avvocati e, presumibilmente dopo molto litigare, arrivano a una transazione. Questa viene messa in bella copia dagli stessi difensori e ha valore di sentenza, il che vuol dire - tra altre cose - che è titolo esecutivo: se chi deve pagare non lo fa si può richiedere l’esecuzione forzata. Questo sistema si applica anche ai processi in corso: le parti si accordano per affidare a un avvocato terzo (cioè a uno che non ha difeso né l’uno né l’altro) la definizione della lite. E la stessa cosa si può fare nei processi di separazione e divorzio: se il processo è in corso lo si lascia perdere e ci si rivolge a un avvocato esterno; se ancora non è iniziato, i coniugi provano a mettersi d’accordo tra loro. Tutto ciò però solo se si tratta di separazione e divorzio consensuali e se non ci sono figli minori. Insomma, si cerca di diminuire il numero dei processi affidati ai giudici: meno processi, più tempo per quelli che restano; e più rapidità. L’idea non sarebbe male ma saranno pochi i litiganti che si avvarranno di questa novità: il motivo principale per cui ci sono tanti processi civili è che chi deve pagare trova più comodo pagare poco di più dopo anni e anni piuttosto che farlo subito. Che si accetti un sistema che smonta questa dilazione sistematica dei debiti, tipicamente italiana, mi pare poco realistico. 2-Sulla responsabilità civile dei magistrati per danni cagionati nell’esercizio delle loro funzioni stanno ancora litigando. Se prevale il buon senso, se cioè si mantiene il sistema in base al quale chi sostiene di aver subito un danno deve chiedere il risarcimento allo Stato che - in caso di condanna - si rivarrà sul magistrato (sistema in uso in tutti i Paesi civili), cambierà poco. Si parla di aumentare la misura massima della rivalsa alla metà dello stipendio annuo del magistrato invece che al terzo; semplice incremento del premio assicurativo. Se invece prevarranno i trinariciuti (non sono solo i berlusconiani) che vogliono che il magistrato sia citato in giudizio direttamente, si verificheranno danni gravissimi. Per i giudici non cambierebbe nulla: un semplice problema assicurativo, premi maggiorati. Ma per i processi cambierebbe moltissimo: perché il giudice non potrebbe continuare a fare un processo in cui una parte (o un imputato, il problema non cambia) è sua controparte processuale in un altro processo, quello per il risarcimento dei presunti danni da lui cagionati. Si dovrebbe astenere e passare il processo a un collega. E se anche questo venisse citato, il processo dovrebbe passare a un altro collega ancora. Insomma un modo comodo per bloccare i processi. Nel processo penale le modifiche sono più consistenti. 3 - La prescrizione. Potrebbe avere una disciplina più ragionevole, ma qualcosa è stato fatto. È passato il concetto per cui, dopo una sentenza di condanna in primo grado, ci sono apprezzabili probabilità che l’imputato sia colpevole. Siccome, prima che si riesca a celebrare il processo di appello, passa parecchio tempo (è un problema di notifiche, ci tornerò su), è sembrato ragionevole allungare la prescrizione di 2 anni; che è più o meno il tempo medio che passa tra i due gradi di giudizio. Però, se l’Appello si conclude con una sentenza di assoluzione, le probabilità che l’imputato sia colpevole sono azzerate: 1 a 1 e palla al centro. In questo caso l’allungamento della prescrizione non viene calcolato e, se anche il pm ricorre in Cassazione, i termini di prescrizione restano quelli ordinari. Il che vuol dire che magari la Cassazione darà ragione al pm ma contemporaneamente dichiarerà prescritto il reato. Se invece l’Appello conferma la sentenza di condanna del Tribunale, la prescrizione viene allungata di un altro anno e così, essendo aumentate le probabilità che l’imputato sia effettivamente colpevole, c’è più tempo per arrivare alla sentenza definitiva in Cassazione. Non è proprio il massimo, si poteva "stare al passo con i paesi più progrediti" che bloccano la prescrizione con l’inizio del processo, ma è meglio di niente. 4- Brilla per la sua assenza ogni previsione quanto al ripristino di un falso in bilancio concretamente punibile. Ma, cosa ci si può aspettare da un patto scellerato se non frutti scellerati? Convincere B. che, senza bloccare la produzione del "nero" a monte, non si potrà mai contrastare a valle corruzione e frode fiscale sarà dura. 5 - Sulle intercettazioni c’è solo il consueto bla bla. L’unica cosa buona è che, pare, non si discute più se si può combattere la delinquenza intercettando: pare che si tratti di un buon sistema che non va abbandonato. Però il problema della conoscibilità all’esterno resta. Il progetto dice solo che si dovrà trovare un sistema per garantire la privacy dei terzi e per impedire la conoscibilità di quelle non aventi rilevanza penale. Con il che pare che Renzi & C. abbiano definitivamente stabilito che le informazioni - anche non penalmente rilevanti - concernenti persone che si sobbarcano il pesante compito di governare e amministrare i cittadini non hanno rilevanza socio-etico-politica. Se sono dei farabutti sotto il profilo morale o civile nessuno lo deve sapere. 6 - Lo smantellamento della sanzione penale pare che proseguirà. Non sono bastati Cancellieri e Severino; adesso ci si mette anche Orlando. Bisognerà "semplificare" le procedure, "facilitare" il ricorso alle misure alternative al carcere, eliminare gli ostacoli che impediscono ai recidivi e ai colpevoli dei più gravi reati di "accedere ai trattamenti rieducativi". Anche gli ergastolani dovranno godere di questi benefici penitenziari. Insomma tutti fuori nel più breve tempo possibile. 7 - Non una parola sul problema più grave che affligge il processo penale: le notifiche, cioè gli avvisi che bisogna dare all’imputato per ogni attività processuale che lo riguardi. Costano più di 10 milioni all’anno. Sono la causa della maggior parte dei rinvii delle udienze e dunque dell’infinita lunghezza del processo. Sono anche la causa dello sperpero dell’attività di Polizia e Carabinieri, utilizzati per rintracciare gli imputati che non si sa dove sono finiti e che - in genere - chi amandosi Alì ben Mustafà o Radek Semeiovic, non si trovano mai. Però, se non si cercano non si possono dichiarare irreperibili e il processo non si può fare. Poi, quando lo si fa, non serve a niente perché tanto Alì e Radek a quel punto si chiamano Abdul e Serghei. Insomma, tutto lavoro buttato dalla finestra. Però il tema non è sembrato degno di nota. Insomma, non un granché come riforma. E mancano ancora tutte le leggi delegate. È probabile che, anche questa volta, non riusciremo a uscire dal buco. Giustizia: Anf; da magistrato Piercamillo Davigo attacchi strumentali contro l’avvocatura Adnkronos, 9 settembre 2014 "Sconcerta che un magistrato di grande esperienza come Pierluigi Davigo sia intervenuto pubblicamente in merito alla riforma della giustizia civile attaccando strumentalmente l’avvocatura, utilizzando la formula stanca della lobby potente che si nutre della proliferazione dei processi. È corretta l’analisi di Davigo quando afferma che nel pacchetto del Governo non c’è nulla che accorci i processi, come abbiamo detto fin da subito, ma è intollerabile che strumentalizzi questo per dire che è un cedimento alla lobby degli avvocati". Lo dichiara il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Ester Perifano, in merito all’intervento del giudice Piercamillo Davigo al Forum Ambrosetti. "La verità - continua Perifano - è invece che il Governo ha preferito interventi soft, e non ha inteso assumersi le proprie responsabilità, perché per far funzionare la macchina della giustizia su tempi europei occorrono investimenti, sia logistici che di personale, di cui purtroppo nei testi governativi non c’è traccia. Altrettanto intollerabile è che, strumentalmente, si facciano le pulci ad una categoria che versa oggigiorno in difficoltà economiche, specie quanto agli avvocati più giovani, e si ignorino, sempre strumentalmente, tutte le manchevolezze degli altri operatori del processo, che pure ci sono e che tutti gli addetti ai lavori conoscono bene". "Il Governo - prosegue Perifano - avrebbe dovuto intervenire con decisione anche su altri temi, ma è del tutto evidente che qualcuno lo ha frenato. E di certo non sono stati gli avvocati". "Anzichè proporre misure così blande, oggettivamente a rischio flop, se l’obiettivo è, come più volte dichiarato, la riduzione dell’arretrato, bene avrebbe fatto il Governo - aggiunge il segretario Anf - a proporre sin da subito alcune delle misure già contenute nel progetto della commissione Berruti, verso le quali gli avvocati si sono espressi positivamente. Non così la magistratura, che è rimasta piuttosto fredda, forse perché le misure proposte impongono cambio di mentalità e ritmi profondamente diversi dagli attuali, con grande attenzione alla qualità delle prestazioni. Rimane comunque incomprensibile la ontologica diversità tra i provvedimenti proposti, perché è indubbio che con il Dl il Governo va in una direzione, mentre con il ddl di modifica del cpc va in direzione decisamente opposta". "A questo punto occorre superare le resistenze, da qualunque parte esse provengano, poiché si rischia di vanificare un buon lavoro che, ci auguriamo, non faccia la fine del progetto Vaccarella accantonato subito senza essere stato mai utilizzato. Questo significherebbe - conclude Perifano - ridurre nuovamente il dibattito sulla riforma della giustizia a vecchi schemi che non permetteranno di fare il salto di qualità necessario". Giustizia: Pannella; obiettivi amnistia e indulto indicati da Presidente Repubblica e Onu Ansa, 9 settembre 2014 "Amnistia e indulto sono due obiettivi che noi portiamo avanti e che sono stati indicati a livello tecnico anche dal massimo magistrato italiano, il presidente della Repubblica, dalla giurisdizione interna oltre che da quella internazionale". Lo ha detto il leader storico dei radicali, Marco Pannella, che oggi ha partecipato a Foggia ad un convegno per "una politica di governo del Territorio". Questi obiettivi che noi perseguiamo da anni - ha detto ancora - sono stati indicati anche dalla Corte Europea e da una delegazione dell’Onu che ha fatto un’ispezione "dalla quale viene fuori esattamente, qualcosa di più di quello che noi radicali denunciamo come una condizione criminale del nostro stato". Radicali organizzino difesa diritti Provenzano Marco Pannella chiederà ai al partito radicale di battersi per la tutela dei "diritti di difesa" di Bernardo Provenzano. "Intendo proporre al Partito nelle prossime ore che i diritti umani dei familiari dei detenuti vengano in quanto tali difesi. In concreto rispetto alla situazione che abbiamo evocato dell’82enne Bernardo Provenzano che ben tre procure della repubblica hanno dichiarato incapace di intendere e volere, come partito e galassia Radicale dovremo offrire e organizzare i diritti di difesa violati di Provenzano, dei suoi parenti, dei figli, che per il 41bis non possono vedere il padre". "Oggi come partito - ha detto Pannella - dovremo aiutare il diritto a prendere corpo e dobbiamo quindi decidere qui ed ora come offrire ai figli e ai familiari la tutela dei loro diritti. Si difendono i diritti umani e dello stato di diritto contro le miserevoli ragion di stato che rendono i territori ciechi. Ci abbiamo messo un po’ di tempo, di torture, di morti, di disperazione". Giustizia: addio alle semplici manette e via… in Italia arriva l’arresto "all’americana" www.affaritaliani.it, 9 settembre 2014 Nominare un legale, avere un interprete, avvalersi della facoltà di non rispondere, accedere agli atti, informare i familiari, accedere all’assistenza medica, essere interrogato da un magistrato, impugnare il provvedimento. Sono tutti i diritti di chi viene raggiunto da custodia cautelare. Con la legge svuota-carceri ritoccato l’articolo 293 del codice di procedura penale. Addio alle semplici manette e via, ora l’arresto diventa "all’americana", sempre più simile a quelli che siamo abituati a vedere in film e telefilm made in Usa. Anche in Italia arriva infatti, come riporta giustiziami, una tipologia di presa in custodia cautelare più simile a quello americano, con norme più simili al classico "Miranda warning" a stelle e strisce. Finora l’articolo 293 prevedeva solo l’obbligo per chi eseguiva l’ordinanza di comunicare al sospettato la facoltà di nominare un difensore di fiducia. Ora l’articolo 293 del codice di procedura penale, ritoccato dalla legge sulle carceri in vigore dal 16 agosto, stabilisce infatti che le forze dell’ordine debbano consegnare un provvedimento scritto in cui informano l’indagato di tutta una serie di diritti (quelli scritti sopra). Informazioni che, in assenza di un provvedimento scritto, dovranno obbligatoriamente essere trasmesse oralmente. Le forze dell’ordine dovranno dunque imparare la formula soprattutto per quanto riguarda gli arresti in flagrante. Torino: trovato morto segretario del Garante dei detenuti, ipotesi è il suicidio di Erica Di Blasi e Diego Longhin La Repubblica, 9 settembre 2014 La vittima si sarebbe lanciata dal sottotetto, da una ventina di metri. Anche il sindaco si reca negli uffici comunali in cui è stata scoperta la tragedia. Annullato il consiglio comunale. Lo hanno trovato morto ieri mattina nell’ex palazzo di giustizia che ora ospita uffici del Comune, in via Corte d’Appello 16. La vittima è Marco Colturato, 49 anni, sposato, padre di tre figli e impiegato amministrativo del Comune di Torino. È precipitato dal sottotetto, da una ventina di metri d’altezza. Quando i medici del 118 sono arrivati l’uomo era già morto. L’edificio è stato chiuso al pubblico e sono in corso gli accertamenti da parte dei carabinieri. In principio non si escludeva nessuna ipotesi: dal suicidio all’omicidio. Anche il sindaco Piero Fassino si è recato nel luogo in cui è stata scoperta la tragedia. La morte risale a pochi minuti dopo le 8, quando i colleghi della vittima raccontano di aver sentito un forte botto. L’impiegato non lavorava negli uffici di via Corte d’Appello, ma in quelli di via Milano 3, a Palazzo Civico, nella segreteria del garante dei detenuti, dove stamattina alle 7,56 aveva regolarmente timbrato il cartellino. I carabinieri stanno ascoltando parenti e amici. Il giallo è nato dalla posizione anomala del corpo, troppo avanti rispetto a un ipotetico punto di caduta senza spinta. Per ricostruire la dinamica sono stati chiamati i vigili del fuoco e gli uomini del nucleo speleologico alpino e fluviale. Un altro elemento che in primo tempo aveva accreditato l’ipotesi dell’omicidio è che la vittima stringeva ancora il telefonino in mano quando è stato trovato. Colturato è descritto dai suoi colleghi e conoscenti come "una persona sempre allegra e soprattutto dedita alla famiglia", le sue foto di vacanza postate su Facebook non descrivono certo una situazione depressiva. Era rientrato dalle ferie il 22 agosto e questa mattina aveva timbrato regolarmente il cartellino poco prima delle 8. Aveva in mano il proprio telefonino quando è stato trovato senza vita. Il sindaco della città, Piero Fassino, si è precipitato sul luogo della tragedia e, durante una conferenza stampa al teatro Regio, il primo cittadino ha chiesto un minuto di silenzio per il lutto e ha annunciato l’annullamento del Consiglio comunale previsto per oggi. Sassari: detenuto morto, incarico per l’autopsia. Inchiesta della Procura, sigillata la cella La Nuova Sardegna, 9 settembre 2014 È stata sigillata la cella del carcere di Bancali dove sabato sera è stato trovato privo di vita Francesco Saverio Russo, il detenuto algherese di 34 anni, che si sarebbe tolto la vita impiccandosi con le lenzuola alla finestra del bagno. La prima morte per suicidio nel nuovo penitenziario che ha mandato definitivamente in pensione San Sebastiano è ora al centro di una inchiesta della procura della Repubblica: il magistrato Cristina Carunchio ha disposto l’autopsia e l’incarico sarà conferito oggi al medico legale Francesco Lubino. I familiari hanno affidato la rappresentanza legale agli avvocati Paolo Spano ed Elias Vacca. La perizia è un atto fondamentale per spazzare via ogni possibile dubbio, anche se dai primi accertamenti espletati e dall’acquisizione dei video del sistema di sorveglianza interno del carcere, sarebbero arrivate conferme alla ricostruzione lineare fornita dalla polizia penitenziaria. Francesco Saverio Russo era solo in cella, una esigenza personale dettata dal fatto che era un non fumatore e tra l’altro sofferente di asma. Quindi la coabitazione con altri detenuti era problematica. L’uomo non aveva dato alcun segnale che potesse fare pensare a un gesto tragico, anche se non aveva preso benissimo la decisione della revoca del beneficio dell’articolo 21 che gli consentiva (fino ad agosto) di uscire quotidianamente dal carcere per andare a lavorare in un attività gestita dal fratello. Tutti i giorni arrivava a prenderlo la madre e la sera lo riportava. Poi alcune infrazioni avevano portato alla sospensione. E a novembre era in programma l’udienza davanti al Riesame per chiedere il ripristino della possibilità del lavoro all’aperto. Per i familiari e i conoscenti non c’erano motivi evidenti perché Francesco Saverio Russo arrivasse a compiere un gesto estremo. E, in verità, anche tra il personale della polizia penitenziaria e gli altri operatori del carcere, c’è sconcerto per l’accaduto. "Non se l’aspettava nessuno", hanno commentato, "non c’erano stati segnali di alcun genere". Ieri è stata smentita anche l’indiscrezione che il detenuto avesse lasciato un biglietto in cella. Non è stato trovato alcun messaggio. Dalla visione dei filmati del sistema di videosorveglianza, risulta che gli unici a entrare nella cella di Francesco Saverio Russo, contemporaneamente, sono gli infermieri e gli agenti della polizia penitenziaria che li accompagnavano. Erano andati per somministrare la terapia, come altre volte. Il detenuto era già morto. Inutili, purtroppo i soccorsi prestati immediatamente. Una azione - quella di Russo - messa in pratica in pochi minuti: era stato, infatti, controllato poco prima dagli agenti che non avevano notato alcun elemento sospetto. L’uomo, tra l’altro, non era segnalato tra i detenuti a rischio e quindi bisognosi di una vigilanza più attenta. La continua vicinanza dei familiari rappresentava un sostegno forte, e anche la possibilità di poter tornare a lavorare fuori dal carcere era più che una speranza per il detenuto. Sabato sera la morte, inspiegabile, che ha sorpreso tutti. Torino: detenuto tenta di strangolarsi con un cappio, salvato dalla Polizia penitenziaria www.torinotoday.it, 9 settembre 2014 L’uomo ha tentato di suicidarsi con un cappio rudimentale. Era finito dietro le sbarre per bancarotta fraudolenta e riciclaggio. Ha tentato di impiccarsi con un cappio rudimentale nel carcere di Torino. Protagonista della vicenda un detenuto italiano di 48 anni, finito dietro le sbarre per bancarotta fraudolenta e riciclaggio. L’uomo ha tentato di suicidarsi con un cappio rudimentale, ma è stato fortunatamente salvato dal repentino intervento della polizia penitenziaria e portato all’ospedale Maria Vittoria di Torino. A denunciare l’episodio l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) il cui responsabile Leo Beneduci afferma quanto l’episodio suddetto dimostri l’assoluta inadeguatezza dell’amministrazione penitenziaria rispetto alle esigenze e all’alta professionalità degli appartenenti alla polizia penitenziaria. Enna: detenuto colto da infarto salvato dai medici e dal personale penitenziario La Sicilia, 9 settembre 2014 Salvata la vita ad un detenuto del carcere di Enna, grazie al personale medico e paramedico della casa circondariale e agli agenti della Polizia penitenziaria del Reparto di Enna. L’episodio risale a giovedì, ma è stato reso noto dopo che il detenuto è stato dichiarato fuori pericolo. Nel pomeriggio il detenuto che è siciliano ha riferito agli agenti di non sentirsi bene ed è stato immediatamente chiamato il medico di turno che si è subito reso conto che l’uomo presentava i sintomi di un infarto ed ha subito chiesto al responsabile di turno della Polizia penitenziaria di predisporre con la massima urgenza la scorta e la traduzione del detenuto al pronto soccorso dell’Umberto I. Il medico ha compreso che l’uomo stava per essere colto da un infarto la tempestività con la quale è scattata la procedura di emergenza scattata immediatamente, che hanno permesso di guadagnare minuti preziosi che hanno salvato la vita del detenuto che è stato sottoposto in tempo ai protocolli medici all’ospedale ennese. Il sindacato Ugl Polizia penitenziaria di Enna, la più rappresentativa sigla della categoria, ha espresso un "sentito plauso ai colleghi, al caso di buona sanità e alla bravura nella gestione della situazione, che nonostante le notevoli difficoltà operative e la carenza di agenti, sono riusciti a porre rimedio ad un evento critico che poteva assumere conseguenze molto gravi". Il segretario provinciale Ugl, Filippo Bellavia e la dirigenza della sigla hanno reso noto l’episodio denunciando la situazione difficili e di stress nel quale operano gli agenti per il grande carico di lavoro, che malgrado tutto si prodigano con professionalità. "Vogliamo evidenziare, che la vita salvata al detenuto, è uno dei tanti casi di efficienza che potrebbe passare inosservata dal momento che si parla sempre di eventi negativi e di morti in carcere. Riteniamo necessario - dice Bellavia - rendere noto il successo di un’altra vita salvata che, purtroppo rischia di non fa testo, perchè lo stereotipo nelle carceri è solo quello negativo e troppo raramente positivo. Attualmente ad Enna i detenuti presenti sono poco più di 130, circa il 40% in meno rispetto all’anno scorso ma temiamo che questi numeri crescano per le conseguenze dovute alla chiusura delle carceri di Mistretta e Nicosia che fungevano da meccanismo di smistamento per il circondario ennese. Vogliamo fortemente che si parli della Polizia penitenziaria anche per le azioni di alto senso del dovere e di pura professionalità, mentre lo Stato blocca gli stipendi e non rinnova i contratti. Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica e la classe politica, sulla carenza solo in Sicilia, di circa 1000 agenti, e sul fatto che tra mille sacrifici continuiamo a prodigarci". Per la fine di settembre è prevista una manifestazione di protesta di tutte le sigle sindacali contro il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici. Brescia: carcere di Canton Mombello, l’emergenza non è finita di Davide Vitacca Brescia Oggi, 9 settembre 2014 La situazione è migliorata dopo il trasferimento dei detenuti a Cremona. Ma restano molti problemi strutturali da risolvere. Da qualche mese Canton Mombello non è più una bomba a orologeria, non rischia più di esplodere sotto il peso del sovraffollamento. Da quando, a dicembre, 140 detenuti sono stati trasferiti in una nuova ala del carcere di Cremona la struttura penitenziaria di via Spalti San Marco è tornata a respirare. Sebbene sia lontano il record negativo di 600 presenze registrato pochi anni fa, la struttura penitenziaria ha ancora criticità irrisolte e legate alla mancanza di spazi ricreativi e di socialità, all’inadeguatezza dei servizi igienici delle celle, alla generale vetustà dell’edificio, le cui mura erette negli ultimi anni dell’Ottocento furono inaugurate esattamente un secolo fa. Le difficili condizioni di vivibilità sperimentate quotidianamente dai reclusi e dagli agenti di sorveglianza sono state toccate con mano ieri mattina da una delegazione parlamentare del Pd composta dall’onorevole Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, dai deputati bresciani Afredo Bazoli e Miriam Cominelli e dal senatore Paolo Corsini. Accompagnati nella visita dalla direttrice della casa circondariale Francesca Gioieni, che da tempo chiede a Governo centrale e amministrazione comunale un serio piano d’intervento per l’ampliamento del carcere di Verziano, i quattro politici hanno potuto riscontrare un miglioramento delle condizioni di reclusione rispetto al fosco scenario passato, definendo però pur sempre "anomala" una capienza attuale di 296 detenuti a fronte di una capienza massima di 288, e di uno spazio concepito a norma per 188. "Abbiamo notato l’eliminazione dei letti a castello, il rispetto di un numero massimo di 6 detenuti per cella e della legge che impone una superficie minima di 3 metri per 3, ma le recenti ristrutturazioni hanno riguardato soltanto le zone adibite a uffici per il personale, mentre servizi igienici, pavimenti e nicchie per la cottura dei cibi sono da rinnovare totalmente" ha osservato Corsini. Notando l’avanzato stato di usura dei rubinetti dei lavandini, corrosi dalla ruggine, Manconi ha lanciato un appello alla generosità degli imprenditori locali affinché siano disposti a intervenire con un’opera di filantropia: messaggio rivolto soprattutto ad Aldo Bonomi, che giusto sabato ha inaugurato alla presenza del premier i il nuovo stabilimento a Gussago. Corsini e colleghi non si sono comunque limitati a visitare i locali, hanno anche incontrato gli agenti di polizia penitenziaria, attualmente sotto organico di 30 unità, e i detenuti per ascoltare dalla loro voce testimonianze relative alle condizioni di reclusione. "Al di là delle già citate mancanze strutturali, nessuno ha mai lamentato violazioni dei propri diritti o ha denunciato maltrattamenti da parte del personale. Nei limiti del contesto posso dire che l’accoglienza è stata rispettosa da parte di tutti" ha spiegato Corsini. Sebbene dei passi in avanti siano stati compiuti e i numeri non possano più far parlare di situazione al limite, Canton Mombello domanda a gran voce al governo cittadino e nazionale un’azione risolutiva. I quatto parlamentari si sono detti pronti a riferire al Ministro della Giustizia Orlando e a domandare alla giunta del Bono di studiare una variante al Pgt per Verziano. Intanto la direttrice Gioieni spera che una seria opera di ristrutturazione possa mettere fine alle continue riparazioni effettuate in estrema economia. "Chiediamo soltanto di raggiungere un livello di civiltà adeguato al 2014 e al territorio in cui siamo inseriti - dice -. Per questo è importante è non smettere mai di parlarne". Parma: visita del M5S in via Burla "più rispetto delle condizioni umane che altrove…" www.ilmattinodiparma.it, 9 settembre 2014 "Oggi siamo stati in visita ispettiva al carcere di Parma. Un carcere che a differenza di altri in Emilia Romagna, è più rispettoso delle condizioni umane, a dimostrazione del fatto che è possibile far applicare la legge rispettando contemporaneamente i diritti umani". È questo il commento di Andrea Defranceschi, capogruppo Movimento 5 Stelle Regione Emilia-Romagna, Vittorio Ferraresi, deputato M5s alla Camera e Capogruppo M5s della Commissione Giustizia, Giulia Sarti, deputata M5s alla Camera e membro della Commissione Giustizia e Antimafia e Marco Vagnozzi, vicepresidente del Consiglio di Parma dopo la visita effettuata presso il carcere di via Burla. Al termine, pur sottolineando il parere positivo, gli esponenti M5S hanno ribadito come permanga il problema del "reinserimento sociale effettivo, così come della carenza di risorse, insufficiente a gestire un tale carico". "Abbiamo parlato con la polizia penitenziaria, la vicedirettrice dell’istituto e con i detenuti, molti dei quali in regime di 41 bis, ovvero detenuti per reati gravissimi, per lo più di stampo mafioso. Tra i quali, primo fra tutti, Totò Riina - proseguono i quattro in una nota - Reati testimonianza del grande problema del nostro paese così come della regione. Questa visita ha infatti anche un valore simbolico: per ricordare che la mafia, la camorra e l’ndrangheta, al di là delle persone recluse nel carcere di Parma, esistono in Emilia Romagna esattamente come in altre regioni. La mafia non ha la coppola: la mafia ha amicizie che trovano nelle alleanze politiche il loro fertile terreno. Fa specie pensare che il governo stia portando avanti l’intenzione di riformare il nostro paese con un partito fondato da tre condannati, uno dei quali abbiamo avuto il "piacere" di vedere oggi: Marcello Dell’Utri. In Italia non è frequente vedere un politico finire agli arresti per i suoi reati. Di solito, restano in Parlamento e tentano di riformare la nostra Costituzione. Ma la presenza del M5S sta facendo saltare i loro giochini di potere: saremo sempre vigili in Parlamento così come in questa Regione, portando alla luce i loro accordi sottobanco". Lucera (Fg): "L’Atelier dell’Ausilio", i detenuti rimettono a nuovo carrozzine e protesi Redattore Sociale, 9 settembre 2014 È il progetto d’inclusione lavorativa "L’Atelier dell’Ausilio", finanziato dalla Fondazione con il Sud: coinvolge numerosi partner pubblici e privati. La presentazione venerdì 12 settembre nel carcere di Lucera (Puglia). Carrozzine e protesi per disabili rimesse a posto e pronte a funzionare o ri-funzionare perfettamente grazie al lavoro dei detenuti della casa circondariale di Lucera, in provincia di Foggia. È il senso del progetto "L’Atelier dell’Ausilio" che verrà presentato venerdì 12 settembre a Lucera, finanziato dalla Fondazione con il Sud e che coinvolge numerosi partner pubblici e privati per l’Iniziativa Carceri 2013. Capofila del progetto la cooperativa sociale "L’obiettivo" in partenariato con Escoop, l’Istituto Ortopedico Reha srl, l’associazione di volontariato Lavori in Corso. Partner pubblici del progetto sono l’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Puglia, l’Uepe, Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia, la casa circondariale di Lucera, la Asl di Foggia e gli Ambiti territoriali di Cerignola e di Lucera. Il progetto prevede la sperimentazione di un modello di inclusione socio-lavorativa di persone in esecuzione penale negli Ambiti territoriali di Cerignola e dell’Appennino Dauno Settentrionale, attraverso la costituzione, start up e sviluppo di una impresa sociale che gestirà una struttura produttiva nel settore dei Servizi di ritiro, riparazione e manutenzione, ricondizionamento e sanificazione degli ausili protesici per disabili. L’impresa avrà due bracci operativi: la bottega e l’officina. La "Bottega dell’ausilio" sarà ubicata nella Casa circondariale di Lucera, grazie all’adeguamento funzionale di un intero piano e si occuperà di smontare e rimontare pezzi di ausili ancora funzionanti, per nuovi assemblaggi; l’Officina dell’ausilio avrà invece sede a Cerignola e si occuperà del ritiro degli ausili obsoleti o dismessi e del processo di sanificazione, ricondizionamento e rigenerazione. Dieci in totale le persone in restrizione della libertà personale coinvolte, tra detenuti della casa circondariale di Lucera e persone in esecuzione penale esterna in carico all’Ufficio di esecuzione penale esterna di Foggia e che lavoreranno prevalentemente nell’Officina dell’Ausilio o che si occuperanno di installare gli ausili presso il domicilio delle persone disabili. L’iniziativa, finanziata con 350 mila euro, sarà presentata ufficialmente alla stampa venerdì 12 settembre, alle ore 10.30, nell’aula consiliare del Comune di Lucera, in corso Garibaldi. Alla presentazione parteciperanno i referenti dei vari partner coinvolti nel progetto. Forlì: ritardi su ritardi per la costruzione del nuovo carcere, se ne riparlerà a metà 2016 www.forlìtoday.it, 9 settembre 2014 Difficoltà delle imprese aggiudicatarie, burocrazia ministeriale, bonifiche belliche, reperti sotto la tutela della Soprintendenza archeologica: c’è tutto l’armamentario delle lungaggini italiane dietro l’ulteriore ritardo nella realizzazione del nuovo carcere al Quattro. Le opere, dopo i vari rinvii, sarebbero dovute essere pronte a metà 2015, ma prima del 2016 del nuovo carcere non se ne parla. Ad ora il secondo lotto, quello più importante, con le celle detentive, è stato realizzato appena per il 10 percento. È quanto viene reso noto in Parlamento dalla risposta data alla Camera dei Deputati dal Sottosegretario al Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri all’interpellanza presentata dall’ onorevole Bruno Molea di Scelta Civica. Ad ora solo il primo intervento risulta completato, per una spesa complessiva di circa 7,5 milioni di euro, che comprende la sistemazione dell’area per la realizzazione dell’Istituto penitenziario; la realizzazione della recinzione perimetrale; la realizzazione di parte degli alloggi di servizio, degli edifici tecnologici e di servizio e delle reti impiantistiche. Il secondo, per una spesa complessiva di circa 31,5 milioni di euro - comprende la realizzazione del muro di cinta; della caserma agenti; degli edifici detentivi e logistici. I lavori sono in fase di esecuzione e la loro completa realizzazione era prevista per il 3 marzo 2015. "Sennonché - riporta la risposta del Ministero - diverse sopravvenienze hanno comportato rallentamenti nell’esecuzione delle opere. Nel corso degli scavi propedeutici - condotti sotto la vigilanza archeologica della competente Soprintendenza - sono state, difatti, rinvenute preesistenze archeologiche, che necessitano di rilievi e successive rimozioni prima della prosecuzione delle operazioni sino alle quote di imposta delle fondazioni. Ulteriori ritardi sono stati determinati da vicende societarie che hanno investito le ditte appaltatrici attualmente in concordato. L’iniziale progetto, inoltre, è stato interessato da varianti per fare fronte alla necessità, rappresentata dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, di incrementare la recettività della Casa Circondariale". Inoltre "l’esecuzione delle opere è rimasta sospesa dal 22 maggio 2013 al 22 maggio 2014 a causa del rinvenimento di un ordigno bellico, e della conseguente esecuzione di operazioni di bonifica. Le opere non potranno, pertanto, essere ultimate prima del dicembre 2015. Attualmente sono in corso di esecuzione i lavori attinenti alle strutture dei vari corpi di fabbrica, e lo stato di avanzamento del lavoro si aggira intorno al 10% circa dell’importo dell’appalto". Infine "il terzo intervento, per una spesa complessiva di 20 milioni di euro, comprende il completamento dell’opera; completamento e realizzazione di nuovi alloggi; completamento e realizzazione di ulteriori edifici detentivi; completamento della sistemazione dell’area esterna. La consegna dei lavori è stata operata il 19 novembre 2013, e la data stimata di conclusione delle opere era prevista per la fine del mese di luglio 2015. Anche in questo caso stati sospesi a causa del rinvenimento di materiale bellico, con conseguente necessità di bonifica e provvedimento militare autorizzativo. L’andamento temporale dei due appalti è, dunque, pressoché analogo e, pertanto, la data di ultimazione è prevista per entrambi nel dicembre 2015". L’importo complessivo di spesa è allo stato determinato in 59 milioni di euro, mentre la consegna del nuovo Istituto non potrà essere operata prima della fine di giugno 2016. Trento: il Sinappe denuncia l’assenza di un medico e di un infermiere nelle ore notturne www.trentotoday.it, 9 settembre 2014 "Non possiamo sapere quanti detenuti hanno pagato sulla propria pelle l’assenza di un medico e di un infermiere nelle ore notturne" si legge in una nota del Sinappe, il sindacato della polizia penitenziaria che da anni denuncia una situazione che stride con la modernità della struttura. Il recente caso di suicidio nel carcere di Trento fa tornare di attualità una situazione da tempo denunciata dal Sinappe, il Sindacato della polizia penitenziaria: a Trento il medico in carcere c’è solamente di giorno. I poliziotti penitenziari non sono preparati dal punto di vista medico, spiega una nota del Sindacato, e 10 ore (quelle notturne, le più rischiose) su 24 si trovano a dover valutare, senza ovviamente averne le competenze, se e quando richiedere l’intervento di un medico esterno, una lacuna che mette a rischio il diritto alla salute dei detenuti, vanificando gli sforzi fatti dalla Provincia di Trento per la costruzione di una struttura all’avanguardia. La decisione spetta al Ministero della Giustizia che gestisce la casa circondariale in ogni aspetto. Siracusa: detenuti del carcere di Augusta rendono nuovamente fruibile Castello Svevo www.siracusanews.it, 9 settembre 2014 Riapre, sia pur in maniera del tutto straordinaria, il Castello Svevo di Augusta per una iniziativa dall’alto valore simbolico. Il progetto "Ritorno al Castello Svevo" promosso dalla Casa di Reclusione di Brucoli e la Commissione Comunale per il piano di studi di Storia Patria rientra nell’ambito delle iniziative di giustizia riparativa periodicamente attuate presso l’istituto penitenziario con l’apporto in questo caso e la collaborazione del Comune di Augusta di numerose realtà associative del territorio, Lega ambiente, l’inner Whell circolo di Augusta, l’Associazione Buon Samaritano di Augusta, la Guardia costiera ausiliaria, l’Associazione Ian (Innovative Art Network). "Questo progetto - spiega il direttore della Casa di reclusione Antonio Gelardi - si concretizza grazie alla sensibilità della, Sovrintendenza ai beni culturali Siracusa che ha autorizzato l’apertura del Castello sia pur limitatamente al piazzale antistante la cosiddetta "Torre Bugnata". Da mercoledì scorso un gruppo di detenuti è impegnato nella pulizia e il diserbamento dell’area interessata per accogliere la cittadinanza all’evento programmato per sabato 13 settembre. Questa nuova iniziativa va ad aggiungersi al ricco cartellone che ormai da qualche tempo distingue l’istituto penitenziario di Augusta". La collaborazione fra la casa di reclusione ed la Commissione comunale per gli studi di storia patria è nata in occasione dell’altra apertura straordinaria del Castello avvenuta lo scorso febbraio in occasione della visita del Corpo di S. Maria Goretti il cui uccisore fu rinchiuso per qualche tempo proprio nel carcere di Augusta. Recentemente ha preso avvio questa nuova iniziativa portata avanti grazie anche alla sintonia con la Sovrintendenza di Siracusa. L’evento del 13 settembre è in effetti un momento per riaccendere i riflettori su un monumento simbolico per la città. "Un monumento di indubbio valore storico e architettonico - precisa Il presidente la commissione storia patria Giuseppe Carrabino - e nel contempo esempio ben conservato di archeologia carceraria. Per tale motivo - come abbiamo avuto modo di condividere con il dott. Gelardi - il progetto di recupero e la memoria legata al monumento non può non tener conto della destinazione carceraria che ha comunque permesso al Castello di sopravvivere per altri cento anni. Cosa ne sarebbe stato del Castello se non veniva destinato a struttura carceraria?". Intanto grazie alla sinergia del citato gruppo di associazioni sarà possibile il 13 settembre dalle ore 19.00 accedere nel cortile del Castello ed assistere ad ad un momento di intrattenimento di parole e musica a cura della Corale "Swing Brucoli’s Brothers Band" composta da un gruppo di detenuti con la direzione di Maria Grazia Morello. Il nome dell’evento nasce da un precedente storico, poiché nel vecchio reclusorio, che aveva un rapporto profondo con la città, si recava, in occasione della festa patronale, la banda cittadina, che si esibiva nel cortile esterno del carcere ed i detenuti ascoltavano i brani da dietro le sbarre; questo era un omaggio della cittadinanza ai reclusi. Lo stesso cortile adesso, ripulito e risistemato con l’attività dei detenuti verrebbe, in attesa del restauro del castello, reso fruibile per la cittadinanza con una manifestazione volta ad una rievocazione storica, all’interno della quale poi i detenuti della corale dell’istituto, fruendo, come già in altre occasioni, d’intesa con la Magistratura di sorveglianza, di permessi, eseguirebbero, simbolicamente, alcuni brani. Durante la serata l’associazione il Buon Samaritano avvierà una raccolta fondi destinata all’acquisto di beni per la pulizia personale per i detenuti indigenti. Imperia: Uil-Pa; allarme sovraffollamento, i detenuti sono 94 per una capienza di 69 di Fabrizio Tenerelli www.riviera24.it, 9 settembre 2014 A lanciare il grido di allarme è il segretario regionale della Uil-Pa Penitenziari Liguria, Fabio Pagani, secondo il quale il carcere potrebbe, prima o poi, collassare. "Il carcere di Imperia è in piena emergenza, con un sovraffollamento pari al 60 per cento". A lanciare il grido di allarme è il segretario regionale della Uil-Pa Penitenziari Liguria, Fabio Pagani, secondo il quale il carcere potrebbe, prima o poi, collassare. Pagani, inoltre, ritiene la polizia penitenziaria sarebbe ormai ridotta all’osso, costretta a turni strazianti, dovuti appunto al sovraffollamento della struttura, con 94 detenuti presenti - su una capienza regolamentare di 69 detenuti - a cui si aggiunge il degrado della struttura. "Non solo - avverte Pagani - la chiusura del Tribunale di Sanremo, purtroppo, ha peggiorato tremendamente la situazione. Gli arrestati vengono tutti assegnati alla Casa Circondariale di Imperia e le maggiori difficoltà si hanno di notte, quando a sorvegliare l’intero Istituto Penitenziario, troviamo al massimo 4 poliziotti e proprio sabato notte un ricovero d’urgenza ha rischiato di bloccare il sistema". ancora il sindacalista: "È solo grazie alla professionalità dei poliziotti di Imperia resisi disponibili a fare il doppio turno, sedici ore di lavoro continuativo, anche di notte, che si è impedito il "black out". Trento: Valcanover (Ri); in carcere stessa situazione di un anno fa, serve un cambiamento Ansa, 9 settembre 2014 Presenti per circa il 50% stranieri, il 40% dei detenuti sono legati alla Fini Giovanardi (legge sulla droga), assenza di un vero direttore, stante la pendenza di un contenzioso giudiziario, riverbero di tale assenza sul personale della polizia penitenziaria e lontananza dal provveditorato, che si trova in Veneto. Sono le segnalazioni che un anno fa erano venute da Fabio Valcanover, avvocato di Trento e radicale, che le riporta ora in una nota e aggiunge: "Dopo la visita ispettiva di circa un anno fa in carcere a Trento (e anche a Bolzano) effettuata con il senatore Francesco Palermo segnalavo (e poi riversavo ai pochi interlocutori) alcuni appunti e nulla a distanza di una anno è cambiato. Valcanover parla della necessità di rivendicare, in nome della distanza e dell’autonomia, un provveditorato in loco, di calcolare il personale, che definisce insufficiente, sottraendo dal numero quanto sono addetti all’amministrazione, alle traduzioni e trasferte. Poi sottolinea "la cessazione, un anno fa, degli stanziamenti provinciali per manutenzioni e riscaldamento, l’assenza di contratti di lavoro ex legge Smuraglia, la riduzione al minimo del lavoro su commissione da soggetti istituzionali esterni, l’impossibilità di verificare la presenza effettiva di sostanze strane, la necessità di affrontare l’eventuale ostruzionismo politico e dare il via a un garante della popolazione carceraria regionale, in nome di un rivendicato ampliamento (a cui credo) delle competenze regionali in materia di giustizia, infine la questione della lingua e dell’istruzione e l’attuazione del precetto che vuole che la pena sia scontata vicino alle famiglie in maniera che alla sanzione per chi ha sbagliato non sia aggiunga una sanzione non prevista dalla legge per il condannato e per la di lui famiglia". Cagliari: Sdr; dopo sei 6 mesi detenuti trasferiti da Buoncammino ancora senza bagagli Ristretti Orizzonti, 9 settembre 2014 "Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria continua a celebrare feste di nozze con i fichi secchi. Alcuni detenuti trasferiti da Buoncammino per volontà del Dap con un ridottissimo corredo personale in strutture della Penisola aspettano da 6 mesi il bagaglio custodito nel magazzino con gravi disagi soprattutto per chi deve affrontare un incipiente freddo autunno nel Nord d’Italia. Si tratta di un inaccettabile ritardo dovuto alla mancanza di idonei fondi". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo ricevuto alcune segnalazioni da cittadini privati della libertà o da loro familiari. "All’inizio della primavera - ricorda - nella prospettiva di inaugurare a giugno 2014 i caseggiati del Villaggio Penitenziario di Uta, il Dipartimento ha disposto il trasferimento dei ristretti di Buoncammino in regime di alta sicurezza in altre Case di Reclusione. Alcuni hanno trovato posto in Sardegna, a Tempio e/o Oristano, molti altri invece hanno preso la strada della Penisola. Da allora sono passati 6 mesi e, non solo non sono state aperte le sezioni di Uta, ma gli scatoloni dei detenuti continuano a restare bloccati a Buoncammino". "Le norme - sottolinea la presidente di SDR - sono molto chiare e prevedono che il trasferimento dei bagagli al seguito del ristretto deve avvenire, con una certa sollecitudine, a carico dell’amministrazione quando lo spostamento di sede è voluto dal Dap. Non sempre però questo accade. Spesso mancano i fondi necessari. Alcuni detenuti, con disponibilità economiche, hanno provveduto infatti da subito a pagare le spese dei pacchi. Altri invece privi di mezzi e talvolta senza familiari sono costretti ad aspettare. La situazione diventa paradossale se le spese dello Stato sono sostenute da volontari o dal cappellano del carcere il cui compito non è sicuramente quello di aiutare il Ministero della Giustizia". "È urgente - conclude Caligaris - un intervento del Dap affinché le persone che hanno dovuto lasciare Buoncammino possano tornare il possesso del bagaglio anche perché si tratta di ingombri che occupano spazio prezioso in un Istituto ormai in dismissione". Savona: il Ministro Orlando a Cairo Montenotte, sit-in di protesta Polizia penitenziaria www.savonanews.it, 9 settembre 2014 "Savona necessita di un nuovo carcere. Chiediamo l’istituzione del nucleo regionale antidroga, utile per fronteggiare i vari tentativi di introduzione di sostanze stupefacenti specialmente nell’istituto di Marassi". L’annunciata presenza del Ministro della Giustizia Andrea Orlando il prossimo 15 settembre nella scuola Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte, è l’occasione giusta per rappresentargli le nostre rivendicazioni mediante un sit in di protesta - questo è quanto afferma la segreteria regionale del Sappe il maggior sindacato di categoria della Polizia Penitenziaria. "Più volte - afferma il segretario Lorenzo - abbiamo cercato di interessare il Ministro Orlando sulle problematiche liguri che devono essere trattate e risolte dall’organo politico quale lui è come, ad esempio l’assenza di stanziamenti economici per i nostri mezzi che oltre insicuri, sono a secco di carburante vecchi e con parecchi chilometri, Anche dal punto di vista gestionale siamo abbandonati, oggi la Liguria è retta dal Provveditore della Toscana solo per un giorno alla settimana e questo comporta, per noi sindacato, gravi disagi e mancanza di dialogo. La fatiscenza del carcere di Savona che non necessita di ristrutturazione ma di un carcere nuovo. Chiediamo l’istituzione del nucleo regionale antidroga, utile per fronteggiare i vari tentativi di introduzione di sostanze stupefacenti specialmente nell’istituto di Marassi". Le rivendicazioni del Sappe, sono state raccolte in un volantino che sarà distribuito ai cittadini ed agli invitati alla Scuola di Polizia di Cairo. Rivendicazioni che possono essere rappresentate al Ministro se accetterà di incontrare il Sappe. La presenza del Ministro Orlando a Cairo Montenotte da l’opportunità di portare la protesta di tutte le forze di polizia che hanno annunciato, per la prima volta nella storia, lo sciopero del comparto sicurezza, quindi anche la consulta sicurezza ligure (Sap polizia di Stato - Sappe polizia Penitenziaria - Sapaf Forestale e Conapo vigili del fuoco) aderirà al sit-in di protesta chiedendo al Ministro Orlando, quale rappresentante del Governo, certezze e non promesse, e comprendere le intenzioni del Governo verso le forze di Polizia: più di 5 anni senza contratto, senza adeguamenti economici e con la carriera bloccata. Il Governo ripaga chi tutela il cittadino e rischia per assicurare la sicurezza pubblica bloccando la loro carriera ed il loro stipendio. A questo si aggiunge l’assenza di risorse economiche e di presidi sanitari per i poliziotti a contatto con soggetti affetti da patologie infettive. Aderirà al sit-in di protesta anche una folta rappresentanza di poliziotti penitenziari del Piemonte capeggiati dal segretario Nicola Sette. Abbiamo anche invitato al sit-in di protesta, - conclude Lorenzo - i politici della Liguria per capire chi di loro sosterrà gli operatori della sicurezza e chi invece no! Un invito anche alla cittadinanza a manifestare la loro solidarietà nei confronti di chi ogni giorno è impegnato per la loro sicurezza. In un momento dove il Paese chiede maggiore sicurezza, il Governo agisce in maniera opposta. Milano: Fp-Cgil; continua lo stato di agitazione al Carcere minorile "Beccaria" www.rassegna.it, 9 settembre 2014 La Fp Cgil Milano Polizia Penitenziaria denuncia "la carenza ormai cronica di organico, aggravata dal fatto che alcuni agenti di polizia penitenziaria, in servizio all’istituto, vengono impiegati al Centro di Prima Accoglienza, la struttura in cui vengono trattenuti i minorenni fino all’eventuale convalida dell’arresto". Ne dà notizia il periodico della Fp Cgil Lombardia "PubblicAzione", con un articolo firmato da Angela Amarante. Ma il Cpa, continua la nota sindacale, è "un centro autonomo, e come tale dovrebbe avere un proprio organico. Al momento ci lavorano 2 agenti del Beccaria, e il turno di notte viene coperto da uno solo di loro. Quando possibile i colleghi forniscono supporto sugli altri turni". Secondo la Fp Cgil, la carenza di personale "è così grave che, per garantire il buon funzionamento del carcere, gli agenti sono spesso costretti a svolgere compiti che esulano dalle proprie competenze. Oltre a garantire la sicurezza, la custodia e la vigilanza dei detenuti, li accompagnano in comunità, o presso il Tribunale per i minorenni di Brescia, aggiornano le banche dati, svolgono attività di segreteria. Ma in queste condizioni, vengono compromesse la sicurezza e il benessere lavorativo degli agenti". Genova: 26enne denuncia di aver ricevuto botte dopo l’arresto, Procura apre un’inchiesta Agi, 9 settembre 2014 "Per arrestarmi mi hanno puntato la pistola addosso. Poi mi hanno picchiato. Hanno pestato anche la mia ragazza, che non c’entrava nulla. Ho preso botte anche da una poliziotta che avevo investito anni prima". Lo ha riferito il 26enne arrestato il 12 agosto scorso dopo la rapina di un’auto messa a segno nel parcheggio dell’Ipercoop di via Romairone, a Genova. Il ventiseienne, appena uscito da carcere per avere forzato un posto di blocco e investito una poliziotta nella fuga in auto, aveva derubato una donna, obbligandola anche a consegnargli l’auto. Con questa si era dato alla fuga, inseguito dalla polizia. Accanto a lui sedeva la sua ragazza. La fuga era terminata con un incidente. Secondo quanto riferito dal giovane, gli agenti che lo hanno arrestato lo avrebbero anche picchiato. Non solo: lo avrebbero consegnato alla poliziotta che aveva investito quattro anni prima, che lo avrebbe preso a calci e pugni. Ora, in base alle sue dichiarazioni e a un referto medico rilasciato all’ingresso in carcere, a Marassi, il pm Biagio Mazzeo ha aperto un fascicolo di indagine, a carico di ignoti. Il magistrato ipotizza i reati di lesioni e abuso su persona detenuta. Il pm è intenzionato a disporre una perizia per verificare l’origine delle lesioni riportate dal giovane, che potrebbero essere compatibili anche con l’incidente stradale. Qualora sia accertato che il pestaggio non c’è stato, il ventiseienne rischia un’incriminazione per calunnia. Roma: nasce "Atletico Diritti", squadra calcio composta da migranti, detenuti e studenti Ristretti Orizzonti, 9 settembre 2014 A Roma in campo in nome dell’integrazione, dell’anti-razzismo e dei diritti per tutti. Atletico Diritti è una squadra composta da immigrati, detenuti o ex detenuti, studenti universitari. Atletico Diritti vuole essere una squadra di calcio a tutti gli effetti. Se il Brasile ha perso 7 a 1 nella semifinale dei mondiali organizzati a casa propria, noi potremo mai far di peggio? Certamente no. La Società Polisportiva "Atletico Diritti" nasce dalle associazioni Progetto Diritti e Antigone con il patrocinio dell’Università Roma Tre. La nostra squadra di calcio è stata iscritta per la prima volta al campionato di terza categoria. Le magliette dei giocatori saranno griffate Made in Jail. Le partite casalinghe saranno disputate nel campo più suggestivo di Roma, quello della Polisportiva Quadraro Cinecittà che nasce all’ombra dell’acquedotto romano, grazie all’ospitalità di Fabio Betulli, presidente della Polisportiva, e al sostegno del Municipio Roma 7. Atletico Diritti è una realtà totalmente autofinanziata. Tuttavia i costi sono tanti: l’iscrizione al campionato costa; il tesseramento dei giocatori costa; il magazzino, i palloni, le divise, i biglietti dell’autobus per le trasferte costano. Per questo, per portare avanti questo progetto, c’è bisogno di tutti. Abbiamo così lanciato un crowd-funding sulla piattaforma indiegogo (http://igg.me/at/atleticodiritti), accompagnato da un video realizzato dai ragazzi dell’Angelo Mai (https://www.youtube.com/watch?v=7JspFMES2S0). Oltre al crow-funding è possibile sostenerci attraverso il conto corrente bancario di Progetto Diritti Onlus - Iban IT76 V056 9603 2000 0000 6623 X37 - Causale: Atletico Diritti. Siamo in campo in nome dell’integrazione, dell’anti-razzismo e dei diritti per tutti, in nome dello sport quale strumento di coesione e di coinvolgimento. Dateci una mano. Portateci diritti alla vittoria. Cinema: al Milano Film Festival, "Comandante", il documentario di Enrico Maisto www.fattitaliani.it, 9 settembre 2014 Nel Concorso Lungometraggi del Milano Film Festival (fino al 14 settembre) ci sono 10 film, tra cui per la prima volta i due italiani "Le sedie di Dio" di Jérôme Walter Gueguen e "Comandante" di Enrico Maisto (scheda). Quest’ultima pellicola ripercorre i ricordi del padre giudice di sorveglianza a San Vittore negli anni di piombo e di Felice, da sempre un comunista, ex-militante di Lotta Continua, in un documentario intimo e sincero, che parla di amicizia e di urgenza politica. Fattitaliani ha intervistato il giovane regista milanese. In quattro anni di lavorazione di "Comandante" è cambiato qualcosa nell’idea e nella realizzazione del film? In quattro anni le trasformazioni rispetto al progetto iniziale, e non solo, sono state continue. Direi che la lavorazione è stata caratterizzata da riscritture, resistenze e cambi di rotta, alcuni dei quali hanno lasciato delle piccole cicatrici nel corpo del film, che però sono un segno della sua storia produttiva. Il progetto era nato come esperimento per tentare di filmare Felice, quale personaggio romanzesco della mia infanzia. Poi è intervenuta la questione della Lotta Armata e il racconto sul progetto terrorista di uccidere mio padre. A quel punto mi sono trovato di fronte all’inevitabile ingresso di un nuovo personaggio nel progetto, ma ho fatto molta fatica ad accettare questa cosa. Dopo un primo tentativo di filmarlo ho abbandonato l’idea, per poi ritornarci solo nell’ultimissima fase delle riprese quest’inverno. Nel frattempo è cambiato anche molto il mio rapporto con la forma documentaria che all’inizio del lavoro era una perfetta sconosciuta. Poi ho cominciato a scavare, studiando, leggendo, guardando film, e piano piano è maturata anche una maggiore coscienza di questa modalità del cinema. Un giovane come te che idea si è fatto della storia e della storia d’Italia? Della Storia in generale non saprei. Per quanto riguarda la storia di quegli anni ho avuto la sensazione che si tratti di una ferita ancora aperta, di una stagione con cui si fatica a chiudere i conti, perché molti fatti hanno ancora rilevanza penale e fin tanto che penderà questa spada di Damocle, le persone avranno delle riserve a raccontare tutto della loro esperienza. Quello che percepivo è che rimanessero sempre delle zone d’ombra, che non si dicesse mai veramente tutto. Il problema è complesso e io, francamente, non credo di avere le competenze per affrontarlo, ma penso che non si riuscirà a fare completamente luce finché non si ricucirà lo strappo, la ferita, attraverso una qualche forma di riconciliazione, che richieda uno sforzo a tutti i soggetti toccati da quella stagione difficile. Facile parlare di storia attraverso la storia di due personaggi? Parlare di Storia attraverso la storia di due personaggi era per me inevitabile, o quanto meno caldamente raccomandabile, nel senso che non avendo io avuto esperienza diretta di quel periodo e non avendo neanche gli strumenti di un approccio storico-scientifico, l’unica soluzione praticabile poteva essere quella di partire da una vicenda personale, familiare, molto circoscritta. Il piano storico in questo modo interseca quello umano che è, poi, il vero oggetto d’interesse della mia ricerca. Umanamente parlando, in che cosa ti ha personalmente arricchito girare il documentario? Beh, è stato un percorso importante per me, una continua analisi delle motivazioni che ti portano a lavorare su un progetto in cui sono coinvolte delle persone con cui c’è un legame affettivo molto forte. Il rapporto con queste persone comincia a passare anche attraverso il lavoro che si sta facendo insieme e questo rappresenta sia un modo nuovo di conoscerle e di guardarle, sia una gabbia della quale ad un certo punto ti vuoi liberare. Il documentario non perdona quanto alla necessità di individuare la tua posizione rispetto ai personaggi con cui interagisci, e a volte si scoprono anche cose sgradevoli rispetto alle proprie intenzioni. C’è un grosso lavoro su stessi. Anche sui propri limiti. In certi momenti è davvero dura. L’altro dovrebbe rimanere sempre un fine e mai un mezzo. Detto ciò, con questo film ho avuto modo di visitare luoghi, di viaggiare e di conoscere delle realtà che all’inizio non avrei lontanamente immaginato. Gli studi che hai fatto in che maniera ti aiutano nel tuo lavoro e nelle tue aspirazioni di film maker? La filosofia è sicuramente un territorio affascinante, che offre tantissimi spunti tematici: basti pensare alle biografie dei vari pensatori. Si aprono molti orizzonti e la lezione fondamentale per quanto mi riguarda è quella che porta a rinnovare continuamente l’interrogativo sul senso di quello che si sta facendo, a problematizzare. Detto questo lo sforzo più importante dopo quel tipo di studi è quello di metterli da parte nel momento in cui si cerca di fare un film. Possono interferire in modo fastidioso e incontrollato con il rischio di nascondersi dietro castelli concettuali, che non producono immagini. È un bagaglio prezioso, uno dei tanti approcci possibili per raccontare il mondo circostante, come la letteratura, la poesia, la matematica, che sono altri generi possibili. Giovanni Zambito. Cinema: "Court", un viaggio nel tribunale delle ingiustizie di Elfi Reiter Il Manifesto, 9 settembre 2014 A Venezia 71 - sezione Orizzonti - il film di Chaitanya Tamhane ambientato in India, ha ottenuto il Leone del Futuro come migliore opera prima. Il Leone del futuro, Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentis, è andato a Court (Tribunale) di Chaitanya Tamhane, unico film indiano a Venezia 71, nella sezione Orizzonti, dove ha vinto anche come miglior film. Che cosa avrà affascinato le due giurie? Forse il duplice piano di finzione e documentario uniti in uno sguardo contemporaneo, a tratti fugace, a favore di una storia semplice, ambientata in un universo plurilingue, pluriculturale, pluriclassista. Con leggi che si rifanno in parte all’invecchiato spirito occidentale dettato dal British Commonwealth, che per oltre un secolo aveva cercato di dominare quell’enorme colonia, e in parte alle antiche tradizioni di un sistema sociale suddiviso in caste. Al centro della storia c’è l’arresto di Narayan Kamble, cantautore indiano, 65 anni, insegnante a tempo perso: nel mezzo di un concerto in una piazza di periferia (potrebbe essere ovunque nel mondo), alcuni poliziotti salgono sul palco per portarlo via. L’accusa è di aver istigato al suicidio un operaio che lavorava alle pulizie delle fogne. Kamble viene arrestato e portato davanti a un tribunale. La sua colpa? Lo spirito critico che canta in uno degli slum sovraffollati dove si vive nelle più misere condizioni dal punto di vista igienico. Assistiamo a un interminabile iter giudiziario, dove si rinvia di seduta in seduta il verdetto, e gli interminabili soliloqui in "avvocatese" rendono quel mondo estraneo e rallentato. Aspetto evidenziato da inquadrature lunghe anche soltanto sulla corte affollata, tutti in attesa, mentre l’obiettivo puntato sul corridoio dove passa strascicando i piedi un’anziana guardiana. "Partecipando ad alcuni processi nella città in cui abito, Bombay, ho notato la potenza da spettacolo e quel linguaggio tecnico ostico ai più, e mi era sembrato un ottimo punto di partenza per scrivere questo film", ha detto il regista, nato nel 1987 nella metropoli più occidentalizzata e più british dell’India. Tra i numerosi festival internazionali toccati col suo primo corto, Six Strands, quattro anni fa, c’era stato anche quello di Rotterdam, al cui Fondo Hubert Bals che finanzia opere indipendenti dal sud del mondo si è rivolto per un contributo a questo primo lungometraggio. "La giustizia non viene negata, piuttosto è procrastinata" ‚aggiunge Tamhane È un meccanismo che purtroppo ritroviamo anche in altri campi e comune a tanti altri paesi". Il "fuori campo" del film rinvia al mondo "fuori" da quella corte e ci introduce nelle sfere private dei protagonisti, attraverso domande del tipo: "come vive l’avvocato?". Oppure: "Che uomo è il giudice? Come se la passa l’accusato in prigione? Chi era la persona morta in quelle misteriose circostanze?" "Sono tutti vittime del sistema, o meglio di quelle che per me sono umiliazioni perenni, su tutti i fronti . Nel lavoro di scrittura un riferimento molto importante è stato il cortometraggio di Kieslowski, The office. Ma anche alcuni documentari indiani sul sistema giudiziario, e gli articoli sui giornali che riferiscono sempre più frequentemente di arresti degli artisti di strada", racconta e ribadisce ancora Tamhane, che firma anche la sceneggiatura del film. Filo rosso della narrazione infatti, è la domanda che viene posta subito in modo molto netto: era o non era suicidio? Può una canzone spingere a un atto simile? La ricerca di una possibile risposta costruisce una trama complessa, in cui si ritrovano i molteplici aspetti di una società altrettanto sfaccettata come quella indiana anzi: "di Bombay, essendo l’India composta da tante realtà, culture e lingue diverse che ognuna meriterebbe un film a parte" precisa il regista. Court segue una struttura orizzontale, in cui le varie situazioni che si presentano, affrontate una per una, aprono squarci profondi di analisi socio-politiche e personal. E questo suo svolgersi è come uno schiaffo (nel vero senso della parola, e quindi quale metafora migliore per esprimere l’autorità tout court?), lo stesso che pone fine al fastidio inferto da un gruppetto di bambini "giocosi" al giudice il quale voleva godersi un attimo di riposo su una panchina in mezzo al verde, un po’ appartato rispetto alla festa tra parenti e amici, dopo aver chiacchierato e consigliato a un parente di rifarsi alla filosofia buddhista onde risolvere un conflitto interpersonale. Allo stesso tempo quel gesto autoritario, non autorevole, pone fine al film. "Stiamo assistendo a tanti crolli di sistemi sociali, sarebbe stato troppo facile suddividere buoni e cattivi, presunti, in nette categorie distinte. Ho voluto raccontare a favore di una catarsi che va a formarsi nella mente dello spettatore, affinché sia il pubblico stesso a trarre le sue conclusioni, non condizionato però da personaggi costruiti secondo i canoni classici di giustizia da una parte e ingiustizia dall’altra. Sarebbe noioso!", spiega Tamhane. Nell’osservare gli aspetti ritratti nel film, verrebbe da dire che c’è un discorso critico nei confronti di un paese moderno alle prese con un sistema giuridico e di tradizioni culturali che lo imprigiona. "Rappresento la realtà che viviamo tutti i giorni, creando una sorta di tessuto socio-culturale della metropoli più violenta del nostro enorme paese, travalicata dalla modernità che si scontra con valori tradizionali". Un conflitto che si percepisce anche nella musica, che non agisce come tappeto dei sentimenti precotti, ma come un fraseggio emozionale a un film lucido e commuovente. India: oggi arriva la sentenza definitiva per Tomaso e Elisabetta, rischiano l’ergastolo Corriere della Sera, 9 settembre 2014 I due ragazzi sono nel carcere di Varanasi da quattro anni, accusati di aver ucciso il loro compagno di viaggio. Rischiano l’ergastolo. Un documentario racconterà la loro storia. Reclusi da quattro anni nel carcere di Varanasi, accusati di omicidio, rischiano l’ergastolo i due giovani italiani Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni. Una tremenda storia, la loro, assai confusa a livello processuale e che ha sempre avuto un risvolto mediatico inferiore rispetto a quello dei due marò. Ma che, a differenza della vicenda di Latorre e Girone, sta per arrivare a un epilogo: è infatti attesa per martedì 9 settembre la sentenza definitiva dell’alta corte indiana che dovrebbe decidere se confermare o meno la pena. In questi giorni di attesa Tomaso ha ricevuto la visita dei genitori e di una troupe cinematografica guidata da Adriano Sforzi, regista bolognese che ha deciso di girare un film sulla vicenda. Sforzi è amico di vecchia data di Tomaso: "Ci siamo conosciuti all’oratorio di Albenga quando eravamo piccoli: ero il suo allenatore. Ci siamo ritrovati a Bologna, qualche anno dopo. Io andavo all’università, lui lavorava. Era un ragazzo normale, la sua famiglia è benestante, il suo futuro era tracciato: un piccolo borghese che faceva l’alternativo, con gli orecchini e tutto il resto. Ribelle e in fuga, continuamente. Piazza Maggiore non gli bastava. Fece i bagagli e andò a Londra, ma non trovò se stesso. Così decise di cercarsi nell’Uttar Pradesh, in India settentrionale". Pinotti si "dimentica" dei ragazzi A riaccendere i riflettori sulla vicenda di Tomaso e Elisabetta, sempre negli scorsi giorni, la mancata visita del Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, volata in India per sincerarsi di persona delle condizioni dei marò, senza però fare visita ai ragazzi detenuti a Varanasi. I genitori di Tomaso hanno comunque incontrato più volte l’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, che segue da vicino la vicenda: ai ragazzi è stato affidato lo stesso studio legale indiano di Latorre e Girone. Ma cosa succederà martedì? Nel caso la Corte Suprema di Delhi decida per l’assoluzione i ragazzi potranno tornare a casa. Se sarà confermerà la condanna, verrà chiesta l’applicazione dell’accordo siglato nel 2012 tra Italia e India sul trasferimento delle persone condannate: i due potranno quindi scontare la pena in Italia. Per i giudici è omicidio passionale La storia di Bruno, ligure di Albenga, e Boncompagni, torinese, è un susseguirsi di sentenze raffazzonate e poco chiare. Ricapitoliamo i fatti: accusati di omicidio per la morte di Francesco Montis (i tre amici erano insieme in India), dal 7 febbraio 2010 i ragazzi sono detenuti in carcere a Varanasi a scontare l’ergastolo. Sono accusati di un delitto passionale: Francesco era il fidanzato di Elisabetta; i due lo avrebbero ucciso per potere stare insieme. In hotel a Varanasi, dove erano di passaggio, i tre ragazzi fanno uso di droga, come verrà successivamente ammesso anche da Tomaso in una puntata della trasmissione tv "Le Iene". Francesco si sente male, i due lo portano in ospedale, qui viene dichiarata la morte e i ragazzi sono arrestati per omicidio. Inizialmente Tomaso e Elisabetta dovevano essere impiccati, poi la pena, confermata in appello, è stata commutata in ergastolo. Nel passaggio chiave della sentenza di primo grado che li condanna per lo strangolamento volontario dell’amico, il giudice riporta: "Il movente che ha spinto i due accusati ad uccidere Francesco Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove, tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita". L’esame dell’accusa si basa su un’autopsia condotta da un oculista; in più, il corpo di Francesco è stato rapidamente cremato perché l’ospedale dove era conservato era invaso dai topi e questo non ha reso possibile una seconda perizia. A nulla è valsa una lettera della madre di Francesco, che scagionava i due ragazzi: il figlio avrebbe avuto problemi di salute. Gli avvocati difensori hanno sempre sostenuto che mancano le prove e il movente, ma per i giudici indiani il fatto che una ragazza dormisse con due uomini è sufficiente ad avvallare l’ipotesi di una relazione illecita e il conseguente delitto. I ragazzi sono detenuti in carcere dal momento dell’arresto, non hanno mai avuto un permesso e hanno potuto ricevere solo poche visite. Non possono telefonare ma solo scrivere lettere. Un film per testimoniare Si chiama Più libero di prima (www.piuliberodiprima.it) il progetto di Sforzi per raccontare la vicenda di Elisabetta e Tomaso, che avrà però un’attenzione maggiore per le sorti del ragazzo. Il documentario segue da vicino anche i genitori di Tomaso che ora sono in India, in attesa della sentenza definitiva. "Ma il vero protagonista è lui. Il punto di vista sarà quello di Tomaso, anche se sarà il grande assente: mi servirò dell’animazione per ricostruire la sua vita senza telefono, senza computer, in una baracca con altre 150 persone. Useremo il materiale d’archivio, le fotografie, le riprese anche amatoriali", spiega il regista, che lavora al progetto da un anno. Già vincitore di un David di Donatello per il miglior cortometraggio nel 2011 e aiuto regista di Ermanno Olmi per Cento chiodi, Sforzi lavora alla Cineteca di Bologna. Il progetto si è autofinanziato grazie a una campagna di crowd-funding. India: governo sul caso marò; non ci opporremo a rientro di Latorre, ma decide tribunale Corriere della Sera, 9 settembre 2014 Ma per il ministro degli Esteri ci deve essere prima il sì del tribunale. L’udienza sul rimpatrio rinviata al 12 settembre. Se la Corte Suprema concederà l’autorizzazione al rientro in Italia (di Massimiliano Latorre) per ragioni umanitarie "noi non ci opporremo". Lo ha dichiarato oggi a New Delhi il ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj. Rispondendo ad una domanda dell’agenzia Ansa, il ministro ha ribadito "non faremo opposizione ad una decisione della Corte". Si apre quindi uno spiraglio di un possibile rientro in patria di uno dei due marò trattenuti in India da oltre due anni in attesa di processo con l’accusa di aver ucciso il 15 febbraio 2012 due pescatori indiani al largo del Kerala. Massimiliano Latorre è stato colpito alcuni giorni fa da un’ischemia. Intanto, come previsto, la corte suprema indiana, ha rinviato al 12 settembre l’udienza sul rimpatrio. La buona notizia arriva dopo che nella giornata odierna era arrivata una nuova accusa nei confronti dei due fucilieri di marina, questa volta dai media indiani. Secondo l’Hindustan Times Massimiliano Latorre e Salvatore Girone avrebbero fatto pressioni sul capitano della Enrica Lexie, Umberto Vitelli, chiedendogli di fornire una versione diversa da ciò che quel giorno accadde. Secondo quanto scrive il quotidiano indiano, i due marò "cercarono presumibilmente di coprire il loro operato spingendo il capitano della petroliera Enrica Lexie a inviare un rapporto in cui si sosteneva che i pescatori erano armati e che questo fu alla base della decisione di sparare". L’Hindustan Times cita una fonte del ministero dell’Interno indiano che avrebbe richiesto l’anonimato. Secondo questa fonte , "il capitano della Enrica Lexie generò un rapporto via e-mail in cui si sosteneva che sei dei pescatori a bordo del peschereccio St. Antony erano armati mentre gli investigatori indiani verificarono che tutti gli undici pescatori a bordo erano disarmati. Non c’erano armi sul peschereccio". La email fu mandata ad una organizzazione per la sicurezza marittima che la avrebbe poi inoltrata all’International Maritime Organisation, agenzia dell’Onu per il rafforzamento della sicurezza marittima. Sempre secondo il quotidiano, l’Agenzia nazionale per la sicurezza (Nia) indiana interrogò il capitano della Enrica Lexie che negò di essere stato testimone dell’incidente e della sparatoria, dichiarando di aver redatto la email sotto la pressione dei fucilieri di Marina accusati. "L’obiettivo era quello di presentare i pescatori come pirati". Nessuna decisione, come detto, da parte della corte suprema indiana che esaminava oggi l’istanza presentata dalla difesa di Massimiliano Latorre per il suo rimpatrio in Italia per motivi di salute dopo l’attacco ischemico. Chiamato in causa il governo indiano al quale viene chiesto un parere e aggiornata l’udienza al 12 settembre. Carlo Sica, avvocato dello Stato che segue il caso dei Marò dal 2012, aveva anticipato che "difficilmente l’udienza sarebbe stata risolutiva ipotizzando un tempo di due o tre settimane" per un nuovo pronunciamento. Una cosa è stata però ottenuta: Massimiliano Latorre proprio per le sue condizioni di salute, non avrà l’obbligo di firma presso il commissariato di polizia per due settimane. Domenica dalla Festa dell’Unita, il ministro della Difesa Roberta Pinotti, si era detta molto preoccupata per la vicenda dei marò: " Se la situazione fosse stata facile, l’avremmo già risolta. Mi auguro si possa aprire un dialogo col nuovo governo indiano, altrimenti c’è la strada dell’internazionalizzazione con il coinvolgimento dell’Onu". Stati Uniti: Daily Telegraph; Cia torturava sospettati di terrorismo fino in punto di morte Tm News, 9 settembre 2014 La Cia ha utilizzato mezzi di tortura nei confronti di due personaggi di primo piano della rete terroristica di Al-Qaeda, fra cui il presunto ideatore degli attacchi dell’11 settembre Khalid Sheikh Mohammed, con trattamenti molto peggiori del convenzionale water-boarding già ammesso in passato dall’agenzia americana. Lo riferisce oggi in esclusiva il Daily Telegraph citando una fonte della sicurezza in vista della pubblicazione da parte del Senato di un versione declassificata di quello che è stato ribattezzato il "Torture Report", un documento di 3.600 pagine basato su milioni di documenti declassificati della Cia, che accendono una luce sui metodi di interrogatorio degli agenti americani. "Non si limitavano a versare acqua sulle loro teste o sui vestiti. Li tenevano con la testa sott’acqua fino quasi al punto di morte, con un dottore presente ad assicurarsi che non esagerassero", ha riferito la fonte del Telegraph. Anche una seconda fonte citata dal giornale ha riferito delle torture subite da Mohamed, detenuto a Guantánamo, aggiungendo che il trattamento fu inflitto anche al presunto attentatore della USS Cole, Abd al Rahim al-Nashiri, anche lui detenuto nel campo di prigioni dell’isola di Cuba. "Gli hanno riservato un trattamento medioevale, molto al di là di quello che la gente potrebbe pensare", ha aggiunto la fonte. Afghanistan: sette uomini condannati a morte per rapimento e stupro di 4 donne Tm News, 9 settembre 2014 Sette cittadini afgani sono stati condannati a morte per avere partecipato allo stupro di gruppo di quattro donne, brutale episodio di violenza che ha provocato proteste in tutto il paese centro-asiatico. I sette imputati, tutti in aula, sono stati dichiarati colpevoli del rapimento e dell’aggressione delle donne che rientravano in auto a Kabul il 23 agosto scorso, dopo un matrimonio alla periferia della capitale afgana. Gli aggressori con indosso uniformi da poliziotti e armati di fucili hanno fatto scendere le vittime dall’auto, le hanno rapite, picchiate e violentate: "Siamo andate a Paghman con le nostre famiglie. Sulla strada del ritorno, degli uomini ci hanno fermate, uno di loro ha puntato il fucile alla mia testa, un altro mi ha rubato tutti i gioielli e il resto della gang ha fatto ciò che è noto", ha affermato al tribunale una delle donne, che indossava il burqa, nel corso del processo lampo trasmesso in diretta tv. Alcuni manifestanti si sono radunati fuori dalla corte per chiedere la pena di morte contro i 7 uomini e hanno fragorosamente applaudito quando il capo della polizia di Kabul Zahir Zahir ha chiesto che gli imputati siano impiccati. "Vogliamo che siano impiccati in pubblico, ciò servirà da lezione agli altri", ha dichiarato Zahir, ricordando che gli stupratori hanno confessato il loro crimine due ore dopo l’arresto. La giustizia afgana ha precisato che i sette imputati possono ancora ricorrere in appello. Norvegia: carceri sovraffollate, Oslo affitta posti-letto nelle prigioni olandesi Agi, 9 settembre 2014 Le carceri non sono sovraffollate solo in Italia. La Norvegia si appresta ad affittare le prigioni olandesi dove "ospitare" 1.300 detenuti in attesa di giudizio in attesa che siano completati i lavori di ristrutturazione da 700 milioni di euro di alcune strutture locali. Lo ha annunciato il ministero della Giustizia di Oslo, ricordando che l’Olanda "ha già affittato celle al Belgio per diversi anni". Olanda, che ha più celle che detenuti: al 2012 si contavano solo 11.160 carcerati, in continuo calo dal 2008. Francia: nel penitenziario di Nancy-Maxéville detenuto prende in ostaggio un guardiano Ansa, 9 settembre 2014 Un detenuto "probabilmente armato di un coltello" ha preso in ostaggio un guardiano del penitenziario di Nancy-Maxéville, in Francia: è quanto riferiscono fonti sindacali. Sul posto, sono giunte le squadre di pronto intervento e sicurezza di Strasburgo, nonché il procuratore di Nancy. Secondo l’amministrazione penitenziaria, il guardiano è stato preso in ostaggio intorno alle 13:15 di ieri.