Amare è necessario… la galera un po’ meno di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2014 Grazie di volermi bene perché è difficile volere bene ad un uomo che è diventato un’ombra. (da "Diario di un ergastolano", di Carmelo Musumeci). La Redazione di "Ristretti Orizzonti" sta portando avanti un’altra battaglia. Un’altra ancora. E questa volta di cuore. Sta tentando di portare un po’ d’amore in carcere. E i detenuti della redazione hanno mandato in giro per le carceri in tutta Italia diversi moduli per raccogliere le adesioni con scritto: Se pensi che sia importante chiedere che in carcere siano "liberalizzate" le telefonate e consentiti i colloqui riservati con i propri famigliari, come già avviene in molti Paesi, firma e fai firmare questo documento e spedisci le firme raccolte alla redazione di "Ristretti Orizzonti", sede esterna: Via Citolo da Perugia, 35, 35138 Padova. Le adesioni saranno inserite anche nel sito www.ristretti.org Ci sono già arrivate migliaia di firme dei detenuti, ma l’altro giorno sono arrivate personalmente a me alcune firme delle detenute della sezione del carcere di Bergamo con nome, cognome, data e luogo di nascita, carcere, da quanto sei in carcere, firma e data di Rossana, Johanna, Deila, Cessa, Giovanna, Romina, Sanar, Darisa, Alketa, Jessica, Morena, Vincenza, Estefani, Diana, Maria, Ramona, Girolama e Veronica. E alcune di queste donne in una lettera collettiva mi hanno scritto personalmente queste parole: - Carmelo, ho letto il tuo libro "Zanna Blu". Vorrei anch’io trovare un lupo che mi ami come tu ami "Lupa Bella". L’introduzione della normativa riguardante l’affettività e la sessualità in carcere sarebbe molto importante: ci sarebbe restituita una parte di noi che nulla ha che fare con la privazione della libertà e con la sicurezza sociale. Ti mando un bacio. - Caro Carmelo, io sono siciliana come te ed ho letto "L’Urlo di un uomo ombra", il racconto che mi è piaciuto più di tutti è stato "La Belva della cella 154". L’amore in carcere è molto importante in quanto in tanti anni di detenzione ho visto dividersi molte coppie. Basta pensare che se in carcere dai un bacio in più al tuo compagno o l’abbracci le guardiane ti ordinano di stare seduto e se non ubbidisci ti sospendono il colloquio e ti denunciano. Ti abbraccio. - Ciao Carmelo, io sono sola ed ho ormai una certa età e non m’interessa più fare l’amore, ma mi piacerebbe avere un po’ d’intimità con i miei figli e i miei nipotini per cucinare e mangiare con loro. Ti mando un bacio. - Caro Carmelo, ti ho visto alla televisione, al TG2, sei bellissimo e dimostri meno degli anni che hai. Io ho la famiglia in Brasile e non faccio mai colloqui, ma mi piacerebbe tanto telefonare tutti i giorni per sentire le mie figlie. Mi puoi mandare la richiesta per presentare la liberazione anticipata speciale. Ciao. - Caro Carmelo, mi potresti mandare tutti i libri che hai scritto perché non ho soldi per comprarmeli. Se vuoi mi puoi scrivere in privato. Io sono libera (si fa per dire). E non ricevo mai posta. Sono seria. Dovrei uscire presto. E se vuoi ti vengo a trovare. Ti mando un bacione. P.S. Posso fare a meno della libertà, ma non potrò mai fare a meno dell’amore. Salutami Ornella. - Carmelo, il mio uomo è dentro anche lui, se approvano la legge poi come possiamo incontrarci per fare l’amore se non siamo nello stesso carcere. Me la puoi fare una domanda di trasferimento dove sta lui? E mi puoi mandare anche qualche poesia. Ho scritto ad alcune detenute mie amiche a Rebibbia. Appena mi mandano le firme te le spedisco subito. Bacio triplo. Forse qualcuno potrà sorridere con ironia leggendo queste parole ma io ci trovo tanta umanità. E non capirò mai perché l’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) ha così paura che i suoi prigionieri continuino ad amare chi li ama. Due uomini ombra si scrivono e lottano di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2014 Nessuno s’è mai domandato perché gli uomini del sud trovano uno sfogo nel crimine. (da "L’Assassino dei Sogni", di Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro). Caro Carmelo, spero di non sottrarre tempo al tuo ufficio di corrispondenza che prevedo abbia un’interessantissima attività. Ho bisogno che tu mi scriva al computer un piccolo breve documento che vorremmo poi corredare di firme e dati anagrafici inviare al Dap, al magistrato di Sorveglianza e alla Direzione di Sulmona. Nel merito, qualora tu lo trovassi di un qualche interesse, puoi elaborarlo per poi estenderlo agli altri compagni detenuti negli altri carceri. Lo scopo che qui ci siamo prefissi è quello di procedere con una campagna di richieste per stimolare il Ministero di Giustizia e il parlamento a mutare il senso cimiteriale della pena detentiva. Vogliamo ricordare a Lor Signori che siamo una popolazione viva, con idee e affetti vivi, che siamo in carcere perché ci siamo dovuti confrontare con una Società incompleta sotto gli aspetti educativi, culturali, occupazionali e ambientali. Non siamo quindi criminali nel dentro come vorrebbero far credere al pubblico, abbiamo semmai commesso errori nel reagire a una realtà matrigna e avversa alla nostra normale sopravvivenza. Questo è più o meno il pensiero che forse rozzamente mi sono costruito dalla mia esperienza di moltissimi altri nati nelle trincee meridionali. Il testo è il seguente (...) I detenuti condannati a lunghe pene o all’ergastolo esclusi (ex art.4 bis O.P.) dai benefici mitigatori della pena, ovvero: permessi e licenze premio, semilibertà e liberazione condizionale, esclusi (senza titolo) dalla regolare fruizione dei colloqui carcerari (che costituiscono il mezzo fondamentale per il mantenimento degli affetti) a causa di destinazioni carcerarie distanti migliaia di chilometri dalle residenze dei propri nuclei famigliari, rappresentano la propria condizione di forte disagio biologico, psicologico e spesso anche psichiatrico che, di fatto, non consente loro di condividere con altri detenuti l’alloggio restrittivo; pertanto chiedono alle Autorità competenti sopra indicate di essere allocati nel tempo più breve in celle singole e in carceri prossimi alle residenze d’origine (...) Aggiungi tu quel che meglio ritieni, in modo da comporre un testo unico da proporre a chi vive gli stessi nostri disagi, che, aggiunti alla pena senza fine, compongono un mix a dir poco infernale. Se la "Giustizia" ha deciso di seppellirci, facendoci pagare tutti i peccati di questo mondo, non possiamo fare altro che chiedere un loculo singolo come è uso e legge nella società civili. Scusami i toni un tantino funerari, ma non vedo altro interesse in coloro che governano il "sistema". Non ti rubo altro tempo e con l’occasione ti rinnovo la mia sincera stima. E una grande buona fortuna. Alfio. Sulmona Caro Alfio, inizio a risponderti dalla fine della tua lettera, tu non mi rubi mai tempo (ne ho semmai fin troppo) ma piuttosto mi dai speranza che c’è ancora qualche uomo ombra vivo con la voglia di lottare per cambiare se stessi e il mondo che li circonda. Lo so nelle nostre lotte ci sono ombre e luci ma non dimentichiamo che prima c’era solo il buio. Dobbiamo imparare a lottare con tutte le forze perché possiamo perdere la speranza di uscire ma non dovremmo mai perdere la speranza di lottare. L’ergastolano se continua a ragionare da prigioniero morirà prigioniero, per questo non possiamo continuare ad avere gli occhi chiusi dobbiamo aprirli se vogliamo tentare di vedere l’orizzonte. La vita dell’ergastolano è una schiavitù di tutti i giorni della settimana e di tutti gli anni della nostra vita. Per uscire non si può sperare sull’educatore, sull’insegnante, sul magistrato di sorveglianza, sul direttore del carcere, sul politico, sui mass media, sulla fortuna, sul caso, ma bisogna contare solo sugli ergastolani, solo su di noi e sui nostri familiari. Un abbraccio fra le sbarre. Carmelo. Padova Il libro "L’Assassino dei Sogni" appena uscito e già esaurito di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2014 "Io scrivo perché scrivendo il duol si disacerba, perché ho bisogno di scrivere, e s’io non scrivo non vivo". (Luigi Settembrini) Il libretto "L’Assassino dei Sogni", sottotitolo "Lettere fra un filosofo e un ergastolano" di Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro, a cura della giornalista Francesca De Carolis, Ed. Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri pag. 64 - anno 2014, prezzo: 1,00, Isbn: 978-88-6222-417-8 appena uscito è già esaurito (è già in stampa una seconda edizione). E mi è venuto il dubbio se lo stanno comprando perché è interessante o perché costa solo un euro sic! Una cosa è certa, sta andando a ruba fra gli uomini e donne di fede. Le suore di clausura di Lagrimone mi hanno scritto: Suor Daniela (…) Il libretto con il carteggio fra te e il filosofo Giuseppe Ferraro è molto bello ed è ricco di spunti e provocazioni. Il tuo nipotino aveva 3 anni quando ti ha portato la foglia? Stupendo quell’episodio. Ne abbiamo presi 55 e li abbiamo già distribuiti nel giro di pochi giorni. Ottima l’idea di venderlo ad un euro (…) Suor Marta (…) Appena abbiamo ricevuto il libretto "L’Assassino dei Sogni" (Lettere fra un filosofo ed un ergastolano) l’ho letto in giornata. Sono già capitate alcune persone a cui abbiamo dato il libretto e abbiamo in mente di darlo ad altre e ad alcuni preti che lavorano con adolescenti e giovani. Io l’ho trovato uno strumento didattico eccellente con motivi di riflessioni e confronti interessanti. Suor Lilia (non è una suora di clausura come le altre due): "Che dire del filosofo Giuseppe Ferraro? Sei davvero fortunato d’averlo conosciuto; ora, con gioia, posso affermare che anch’io, grazie a te, ho conosciuto un uomo saggio, che va per la sua strada e non teme di rilevare il suo pensiero senza modificarlo minimamente. Per me questo professore è un uomo che ama la vita; l’ho capito, soprattutto nella lettera in cui spiega il delicato argomento del suicidio". In questi giorni ho scritto all’editore che ha avuto il coraggio di pubblicare "L’Assassino dei Sogni": "Marcello, continua a pubblicare i nostri pensieri, solo così puoi continuare a farci esistere. E a farci sentire ancora umani. Lo sappiamo, sono pochi gli editori che si sporcano le mani pubblicando i pensieri degli avanzi di galera come noi. E ti confido che a volte penso che molti ci vedano cattivi perché loro lo sono più di noi, perché come si fa a murare viva una persona per tutta l’esistenza, senza l’umanità di ammazzarla prima? Marcello, credo che a volte i cattivi provino rimorsi o compassione molto più dei buoni. Aiutami a farlo sapere alle persone perbene con la fedina penale pulita, ma con forse la coscienza più sporca dei galeotti. E dammi una mano anche a fare sapere che il carcere non cambia le persone in meglio. Piuttosto le distrugge. Marcello scrivere di e in carcere è pericoloso. Non ti puoi immaginare quanto. So però che anche fuori ci vuole tanto coraggio a dare voce ai prigionieri. Grazie di avere questo coraggio che non hanno la stragrande maggioranza delle case editrici, che preferiscono pubblicare le ricette di cucina per guadagnare tanti soldi ed evitare critiche e guai. Marcello continua a pubblicare le nostre parole per far sapere che molti di noi sono nati colpevoli, anche se poi hanno fatto di tutto per diventarlo". Giustizia: carceri affollate, così si chiedono i danni di Fabio Fiorentin Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2014 L’indennizzo è ammesso se lo spazio per persona è inferiore a tre metri quadri includendo i letti ma non gli arredi fissi. Istanze a magistrato di sorveglianza e giudice civile. Domande da presentare entro l’anno per gli ex detenuti. Otto punti chiave di cui tenere conto per chiedere il risarcimento del danno subito per il sovraffollamento delle carceri. Con la nuova possibilità - regolata dall’articolo 35-ter della legge 354/75, introdotto dal Dl 92/2014, convertito dalla legge 117/2014 - sono partite le richieste dei detenuti in condizioni inumane o degradanti e dei loro avvocati. Ma, in mancanza di precise indicazioni operative nel Dl 92, è elevato il rischio di presentare un’istanza che non può essere accolta. In attesa che la giurisprudenza chiarisca i dettagli, ecco le prime indicazioni per la formulazione dell’istanza. L’azione per il risarcimento del danno per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non richiede particolari formalità, e può essere formulata personalmente dall’interessato o tramite il difensore, che deve essere munito di procura speciale. Competente a decidere è il magistrato di sorveglianza del luogo in cui il soggetto si trova detenuto, se l’interessato lamenta un pregiudizio "attuale" ai propri diritti Il tribunale civile del capoluogo del distretto nel cui territorio l’attore è residente è, invece, competente nel caso di: custodia cautelare non computabile ai fini della determinazione della pena da espiare; cessazione della pena detentiva (ad esempio, per i detenuti ammessi alla liberazione condizionale o all’affidamento in prova al servizio sociale); detenzione pregressa non più in esecuzione al momento della proposizione della domanda; o, in generale, pregiudizio non più attuale. L’azione civile va proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Decadono dal ricorso anche coloro che, terminata la pena detentiva o la custodia cautelare in carcere, non propongono l’azione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del Dl 92/14, avvenuta il 28 giugno. Deve presentare l’istanza negli stessi termini, a pena di decadenza, anche chi ha proposto ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, sempre che la Cedu non abbia già deciso sulla ricevibilità del ricorso. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, che decorrono dal verificarsi del fatto illecito. Mentre l’azione civile è regolata dagli articoli 737 e seguenti del Codice di procedura civile è dubbia, nel silenzio della legge, la procedura da seguire davanti al giudice di sorveglianza: è possibile applicare la disciplina del procedimento in camera di consiglio partecipato, regolato dagli articoli 127, 666, 667 e 678 del Codice di procedura penale, o la procedura camerale semplificata, prevista dall’articolo 69-bis, legge 354/75. La violazione dell’articolo 3 della Cedu scatta quando non si rispetta la "soglia critica" di 3 metri quadrati per detenuto. Per verificarla, dal computo della superficie delle camere di detenzione si esclude quella dei servizi igienici interni alle celle, oltre agli spazi degli arredi fissi (armadi guardaroba, stipetti, pensili). Vanno incluse, invece, le superfici occupate da tavoli, sedie, sgabelli, perché non sono arredi fissi e sono utilizzabili dai detenuti per le attività quotidiane. Nel calcolo dei 3 metri quadrati entrano anche i letti e gli eventuali spazi usati come cucina. Nel ricorso vanno precisati tutti gli elementi dai quali inferire la sussistenza del pregiudizio sofferto, precisando i periodi detentivi cui si riferisce il danno e gli elementi di fatto dai quali desumerne la sussistenza. L’istruttoria avviene d’ufficio, ma le parti possono chiedere l’assunzione di prove. In particolare, può essere disposta l’acquisizione delle relazioni dell’Asl sulle condizioni dei locali di detenzione e la documentazione degli organi penitenziari sul trattamento applicato al detenuto. Il magistrato di sorveglianza decide con ordinanza, comunicata al Pm e notificata alle parti. Il giudice civile si esprime con decreto motivato. Se accoglie l’istanza, il giudice di sorveglianza, se il pregiudizio sofferto non è inferiore a 15 giorni, riduce proporzionalmente la pena detentiva da espiare (un giorno di pena ogni dieci di pregiudizio). Quando la pena ancora da eseguire non consente la detrazione dell’intera misura o se il pregiudizio sofferto non raggiunge 15 giorni, viene disposto il risarcimento monetario (8 euro per ogni giorno di detenzione in condizioni inumane). Davanti al giudice civile, il risarcimento del danno è sempre monetario. La decisione del magistrato di sorveglianza è reclamabile davanti al tribunale di sorveglianza, che procede nelle forme dell’udienza camerale in presenza delle parti, e la decisione è soggetta a ricorso per Cassazione. Il decreto del tribunale civile in composizione monocratica non è, invece, soggetto ad alcun reclamo. Legittimati e domanda Sono legittimati a proporre l’azione di risarcimento del danno per restrizione in carcere in condizioni contrarie all’articolo 3 della Cedu coloro che sono sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere, i detenuti in espiazione di pena a titolo definitivo o internati per l’esecuzione di una misura di sicurezza detentiva, se ristretti in condizioni inumane o degradanti. La domanda può essere formulata personalmente o a mezzo del difensore munito di procura speciale. Competenza funzionale La competenza a decidere i ricorsi è distribuita tra il magistrato di sorveglianza e il giudice civile. Il primo è competente nel caso di pregiudizio "attuale", cioè se la detenzione in condizioni inumane sussiste al momento dell’istanza. È, invece, competente il tribunale civile in caso di pregiudizio sofferto in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella pena da espiare; per chi ha già espiato la pena detentiva in carcere; e in tutti i casi di pregiudizio non più attuale. Competenza territoriale Se è competente il magistrato di sorveglianza, l’istanza va depositata presso la cancelleria dell’ufficio di sorveglianza individuato in base all’articolo 677 del Codice di procedura penale, cioè in relazione all’istituto di pena dove l’interessato si trova al momento del ricorso, anche se il pregiudizio si riferisce alla detenzione sofferta presso un altro istituto. Se è competente il giudice civile, il procedimento si incardina presso il tribunale del capoluogo del distretto di residenza dell’interessato. Decadenza e prescrizione L’azione per il risarcimento del danno davanti al tribunale civile deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Il diritto al risarcimento del danno è soggetto al termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall’articolo 2947 del Codice civile. Il termine di prescrizione decorre dal momento in cui si verifica il fatto illecito. Contenuto dell’istanza Nel ricorso occorre precisare gli elementi dai quali si possa ricavare l’esistenza del pregiudizio, indicando i periodi di detenzione a cui si riferisce il danno. Dato che la violazione dell’articolo 3 della Cedu scatta quando non si rispetta la soglia di 3 metri quadrati per detenuto, vanno precisati elementi come la dimensione della cella. il numero di occupanti, la durata della detenzione, la composizione degli arredi, le condizioni igieniche, l’areazione e l’illuminazione dei locali. Inammissibilità e istruttoria Se l’istanza al magistrato di sorveglianza segue il procedimento camerale partecipato, si applica l’articolo 666, comma 2, che prevede l’inammissibilità della domanda che sia mera riproposizione di una precedente istanza già respinta, o sia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge. Il magistrato di sorveglianza svolge d’ufficio l’istruttoria, ma le parti possono chiedere di assumere le prove rilevanti. Impugnazioni e spese L’ordinanza del magistrato di sorveglianza è reclamabile davanti al tribunale di sorveglianza e la decisione di quest’ultimo è soggetta a ricorso per Cassazione. Il decreto del tribunale civile in composizione monocratica non è, invece, soggetto a reclamo. Per le spese del giudizio, in mancanza di specifiche indicazioni nel decreto legge 92/2014, sembrano applicabili gli articoli 91 e seguenti del Codice di procedura civile. Norme transitorie Chi, al 28 giugno scorso, data di entrata in vigore del Dl 92/2014, ha cessato di espiare la pena detentiva o non si trova più in custodia cautelare in carcere, può agire davanti al giudice civile entro sei mesi, cioè entro il 27 dicembre. Entro la stessa data, chi ha già fatto ricorso alla Cedu può proporre l’istanza introdotta dal Dl 92 se la Corte non ha ancora deciso sulla ricevibilità del ricorso. La domanda deve indicare, a pena di inammissibilità, la data del ricorso alla Cedu. Giustizia: perché a dirigere il Dap deve esserci per forza un magistrato? di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2014 Alla Festa del Fatto Quotidiano, Nicola Gratteri ha detto che se fosse stato nel ministro avrebbe fatto una rivoluzione - anche economica - abolendo la Dia e pure il Dap. Cos’è quest’ultimo? È il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che gestisce la complessa macchina carceraria. Ha una mission costituzionale impressa nell’articolo 27 della nostra Carta, il quale prevede in modo inequivoco che le pene non debbano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che debbano tendere alla rieducazione. È una delle poche amministrazioni dello Stato rimasta fortemente centralizzata. Da essa dipende il destino di circa 50.000 dipendenti (poliziotti penitenziari, direttori, educatori, assistenti sociali) e di altrettanti detenuti. Se consideriamo anche i familiari di questi ultimi, i volontari, gli avvocati, scopriamo che le decisioni del Dap incidono direttamente su oltre mezzo milione di persone. Una grande responsabilità, che richiede una grande competenza specifica, una conoscenza del complesso mondo delle carceri italiane, nonché una vocazione manageriale e una condivisione espressa delle finalità costituzionali. Tale responsabilità è da sempre stata affidata a un magistrato, molto spesso a un pubblico ministero. La scelta non sempre è avvenuta tenendo conto delle premesse sopra ricordate. Le correnti dell’Anm hanno spesso inserito tale incarico tra i tanti da spartire. Si tratta di un ruolo di grande prestigio, con prerogative finanziarie e previdenziali che lo equiparano a quello del capo della Polizia. Così, nel tempo è accaduto che figure prive di un’idea progettuale abbiano gestito il Dap e le 205 carceri italiane in modo burocratico o addirittura anti-costituzionale. A fine maggio, il governo non ha rinnovato l’incarico al precedente capo del Dipartimento. Da allora il posto è vacante. Immagino che ciò accada anche perché il ministro della Giustizia Andrea Orlando, cui spetta la proposta di nomina, non abbia assecondato le pressioni delle correnti contrapposte. L’Italia carceraria è tuttora sotto osservazione da parte del Consiglio d’Europa. Lo sarà fino al maggio 2015. Abbiamo subito, nel gennaio del 2013, l’onta di una condanna generalizzata per trattamenti inumani e degradanti. Il nostro sistema è stato messo sotto accusa per la mancanza di dignità con la quale nei decenni precedenti abbiamo trattato le persone recluse: spazi insufficienti, carenza di cure mediche, ozio forzato, violenza strutturale. La colpa non è di chi gestiva il Dap nel gennaio del 2013 ma di tutti coloro che nel tempo hanno contribuito a creare quelle condizioni, molti dei quali al Dap non hanno dato buona prova di sé. Non si vede perché debba essere obbligatoriamente un magistrato, e ancora più specificatamente un Pm, a gestire una macchina amministrativa così complessa. Si tratta allora di partire da un progetto per poi capire chi sia in grado di amministrarlo. Il progetto non può che essere quello coerente con le raccomandazioni europee. Su questo è già vivo un dibattito, portato avanti non solo da associazioni come la nostra ma anche da altri soggetti, quali la Cgil Funzione Pubblica o sindacati di Polizia Penitenziaria. Rivolgo quindi un appello alle correnti più sensibili della magistratura affinché facciano saltare il tavolo e vogliano orientare anche loro le scelte del governo nel nome della competenza e della piena coerenza professionale con i contenuti delle leggi italiane e delle sentenze europee. Altrimenti resterà il dubbio di un lucroso patto di spartizione. Giustizia: il pm Davigo "ma quali crimini di strada?... l’emergenza forte è la corruzione" di Fabrizio Massaro Corriere della Sera, 8 settembre 2014 Il pm di Mani Pulite e la lentezza delle cause: troppi avvocati, serve il numero chiuso. Tocca a Piercamillo Davigo, magistrato di Cassazione e memoria storica di Mani Pulite, scuotere il forum Ambrosetti con il richiamo a una grande emergenza del Paese, più trascurata nel dibattito sulle riforme: la criminalità. Ma non quella comune - molto più ridotta di quanto non sia percepito anche per l’enfasi dei media sui fatti di sangue - ma quella organizzata e quella dei reati economici come corruzione, falso in bilancio e riciclaggio. E anche l’altro magistrato presente a Villa d’Este, Raffaele Cantone, presidente dell’Authority anticorruzione, non è tenero: "Gli imprenditori corrotti vanno trattati come i collusi con la mafia, Confindustria deve cacciarli via". "La vera anomalia, oltre alla criminalità organizzata, è la massiccia devianza delle classi dirigenti", denuncia Davigo. Sono d’accordo i due magistrati in prima linea oggi come ieri: serve un salto culturale nella percezione del pericolo e dei danni della corruzione. "Non c’è biasimo della società, non c’è un costo reputazionale nel commettere reati finanziari", spiega Davigo. "Quando Calisto Tanzi fu condannato, si meravigliò: "Ma come, mi tocca andare in carcere?". In Usa per il falso in bilancio ti danno 10-20 anni, invece da noi c’è una sorta di amnistia per questi reati". C’è un altro punto dolente: l’inadeguatezza delle norme penali e processuali, che fa sì che la quota di detenuti per reati finanziari sia dello 0,4% contro una media europea del 4,1%. E questo nonostante i danni siano molto più grandi rispetto a quelli provocati dalla criminalità predatoria da strada: le 45 mila parti civili nell’aggiotaggio Parmalat erano 45mila vittime che chiedevano di essere risarcite. E spesso avevano investito i risparmi di una vita, mentre nello scippo perdi al massimo la pensione appena intascata. Anche Cantone è duro: dagli anni 90 per la lotta alla corruzione "non si è fatto nulla. Si è fatto finta che fosse stata eliminata con le indagini". E la situazione è peggiorata con l’eliminazione del falso in bilancio e con la riforma costituzionale del titolo V (il federalismo): "È stato un danno enorme perché ha moltiplicato i centri di spesa ed eliminato ogni sistema di controllo sulla pubblica amministrazione", e da ultimo con la legge Severino che ha modificato le norme sulla corruzione. Eppure la preoccupazione degli italiani sembra essere ancora la criminalità comune, nonostante il numero totale dei reati in Italia sia del 4,89% rispetto alla popolazione, meno che in Spagna (5,14%), Francia (5,52%), Germania (7 ,65 %) , Regno Unito (8,78%). Anche gli omicidi sono calati a quota 650, e molti sono commessi all’interno della cerchia familiare. Anche sul numero di detenuti Davigo prova a fare chiarezza: in Italia ce ne sono 112,6 ogni centomila abitanti, contro una media Ue di 127,7: "Non sono troppi. Ciò che è intollerabile è la gravissima insufficienza dei posti disponibili, appena 45.700, il numero più basso d’Europa". I dubbi dell’alto magistrato sono anche sulla riforma del processo civile: la promessa di definire in un anno i procedimenti grazie all’arbitrato potrebbe non avere successo perché molte cause sono liti temerarie promosse da chi non ha interesse a chiuderle presto. E la colpa - sostiene - è anche dei "troppi avvocati. A Giurisprudenza servirebbe il numero chiuso, come a Medicina". Giustizia: si tratta a oltranza su Csm e Consulta, intesa Fi-Pd ancora incerta Adnkronos, 8 settembre 2014 Consulta e Csm, si tratta a oltranza. mai come questa volta, assicurano in Transatlantico, a Montecitorio, i giochi saranno aperti fino all’ultimo momento utile e non si escludono sorprese. La partita è tutta politica. Ed è legata a doppio filo con la riforma della giustizia, dove Silvio Berlusconi vuole svolgere un ruolo da protagonista, visto che il suo destino processuale non è ancora definito e l’organo di autogoverno della magistratura dovrà nominare i capi di varie procure sensibili: si tratta dei responsabili di uffici giudiziari, di membri di Cassazione e delle Corti d’Appello, che si ritroveranno tra le mani le carte di alcuni processi del Cavaliere. Il leader azzurro, dunque, raccontano, seguirà la pratica con molta attenzione e avrebbe dato indicazione ai suoi di ottenere da Matteo Renzi garanzie sui nomi. I tempi sono stretti e il pressing del Colle resta forte. Il 2 settembre scorso, Giorgio Napolitano, ha sollecitato le Camere a provvedere al più presto per l’elezione degli otto membri laici del Consiglio superiore della magistratura e dei due giudici costituzionali che mancano all’appello. "Ci troviamo di fronte ad adempimenti non ulteriormente differibili", ha avvertito il presidente della Repubblica. Un monito subito recepito dai presidenti di Montecitorio e palazzo Madama, Pietro Grasso e Laura Boldrini, ma che rischia di cadere nel vuoto. L’accordo tra Forza Italia e Pd, infatti, riferiscono fonti parlamentari, sembrerebbe ancora lontano. Tra metà giugno e fine luglio il Parlamento si è riunito più volte in seduta comune, ma l’esito è sempre stato negativo e anche la nuova convocazione, fissata per il 10 settembre, salvo cambiamento di programma dell’ultima ora, potrebbe concludersi con una fumata nera. Non è la prima volta che il Colle fa la voce grossa. Già il 2 aprile scorso Napolitano, nell’indire le elezioni del membri togati del Csm, aveva chiesto anche il voto degli 8 laici. Tre mesi e mezzo dopo, il 15 luglio il presidente della Repubblica ha un faccia a faccia con Matteo Renzi in vista del Consiglio europeo. E forse anche in quell’occasione il capo dello Stato sarebbe tornato a ricordare le scadenze legate alla Corte costituzionale e al Csm. Dopo due settimane, la situazione non cambia e il 31 luglio, il Quirinale torna a farsi sentire con una nota dove "prende atto" che i nuovi membri laici non sono stati eletti e il Csm è prorogato di diritto. Da allora, le convergenze invocate da Napolitano, sono mancate. Per ora, insomma, niente "Patto del Nazareno bis". I pontieri sono al lavoro per mantenere quel clima di pacificazione sulla giustizia (fatto di equilibri delicatissimi) ottenuto sul fronte delle riforme istituzionali. In questi giorni si sprecano i contatti e gli incontri. La griglia dei papabili sarebbe sui tavoli di Arcore e palazzo Chigi. Qualcuno, tra gli azzurri, dice che dai renziani ancora non è arrivata un’indicazione precisa sui possibili candidati graditi al Pd. E questo renderebbe più complicate le cose. Intanto, il totonomine non si ferma. Per la Consulta resterebbero in pista l’ex presidente della Camera Luciano Violante e il senatore azzurro Donato Bruno, anche se alcuni assicurano che Berlusconi (perplesso sul nome dell’esponente Pd) punterebbe ancora sulla carta Niccolò Ghedini (nonostante il parlamentar forzista continui a smentire categoricamente l’indiscrezione). Nelle ultime ore sarebbe tornata in campo la candidatura di Antonio Catricalà, sponsorizzata da Gianni Letta. Per la vice presidenza del Consiglio superiore della magistratura, invece, in campo ci sarebbero l’ex senatore Pd Massimo Brutti (considerato favorito), l’ex ministro della Giustizia, Paola Severino e il giurista Giovanni Fiandaca. La partita, assicurano fonti parlamentari, è apertissima, perchè non è facile riempire i tasselli di un mosaico tutto politico. I nomi, anche quelli più credibili e quotati, potrebbero essere sfilati dalla rosa all’ultimo momento. Quanto alla composizione dell’organo di autogoverno della magistratura, che nei prossimi mesi sarà chiamato a nominare i vertici di parecchie procure calde, secondo gli ultimi boatos, Forza Italia avrebbe indicato la senatrice Elisabetta Maria Casellati, perchè donna capace ed esperta, ma tutto potrebbe cambiare. È circolato anche il nome dell’esponente di Fdi Ignazio La Russa, ma l’ex ministro potrebbe dare la sua disponibilità per la Consulta. Giustizia: giudici pace in stato di agitazione, avviata procedura per sciopero Ansa, 8 settembre 2014 I giudici di pace hanno proclamato lo stato di agitazione permanente a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del ddl di riforma della magistratura onoraria presentato dal ministro Andrea Orlando. E nel frattempo è stata avviata la procedura per la proclamazione dello sciopero nazionale. "Il ministro - afferma l’Unione Nazionale Giudici di Pace - non ha accolto nessuna delle nostre richieste e, peraltro, ha disatteso le sue stesse linee programmatiche pubblicate sul sito istituzionale della Giustizia". "Di fatto il disegno Orlando mira ad accorpare l’organizzazione degli uffici del Giudice di Pace e del Tribunale, sottoponendo - rileva l’Unione dei Giudici di Pace - i giudici di pace a sfruttamento intensivo, anche all’interno del Tribunale, ma senza riconoscere alcun diritto, con compensi irrisori ed incerti, nessuna tutela previdenziale, nessuna garanzia per il futuro". Giustizia: caso Mose "sta male, scarceratelo", Gianfranco Bettin difende il rivale Chisso di Antonio Ricchio Corriere della Sera, 8 settembre 2014 L’uomo che per quindici anni si è occupato di infrastrutture in Veneto sta male. Qualcosa è cambiato nella testa di Renato Chisso, il potente ex assessore regionale finito in manette il 4 giugno con l’accusa di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, che dalla cella del carcere di Pisa (dotato di un centro ospedaliero) dove si trova rinchiuso ha confidato al suo avvocato di non guardare con ottimismo al futuro. Il legale di Chisso, Antonio Forza, è allarmato dai risultati di un nuovo esame clinico che si è reso necessario dopo l’infarto che lo ha colpito qualche mese prima dell’arresto. "La scintigrafia miocardiaca alla quale si è sottoposto conferma che il mio assistito ha un’ischemia in atto. Domani (oggi ndr) presenterò istanza al gip per la scarcerazione immediata". Ma a preoccupare di più è lo stato psicofisico dell’ex assessore. Aggravatosi dopo che qualche giorno fa il suo vicino di cella si è suicidato. Dalla politica finora solo silenzi. L’unico a prendere posizione è Gianfranco Bettin, storico esponente dei Verdi e già assessore all’Ambiente nella giunta comunale di Venezia. E già questa sarebbe una notizia, considerata la distanza che c’è sempre stata tra i due. Renato Chisso è un socialista di lungo corso approdato, come molti, dopo la diaspora del Psi, alla corte di Forza Italia e di Galan. Bettin con i Verdi è arrivato in consiglio regionale e poi in Parlamento. Nel corso di questi anni è stato tra i più convinti oppositori in Veneto dell’alleanza Fi-Lega. "Al di là della vicenda giudiziaria - spiega adesso Bettin - risulta evidente che, alla luce delle risultanze mediche, Chisso va curato adeguatamente fuori dal carcere". E a chi gli fa notare che l’interessamento per le sorti di uno storico avversario politico rischia di apparire determinato dal timore che l’ex assessore regionale possa, con le sue rivelazioni, mettere nei guai altre persone, Bettin risponde: "La magistratura veneziana, che ha il merito storico di aver scoperchiato uno scandaloso sistema politico-affaristico sul quale i processi faranno chiarezza definitiva, sa bene cosa fare e ci si può affidare ad essa con fiducia". Questo non significa dimenticare le contrapposizioni, pure aspre, che ci sono state negli anni: "Quando Chisso era potente tutti correvano da lui per omaggiarlo. Ora tutti sembrano aver dimenticato e fanno finta di niente". Per l’esponente di Fi, intanto, i giorni passano in attesa del 25 settembre, data in cui la Cassazione discuterà la trattazione del ricorso per la remissione in libertà. Lettere: In Italia chi è stato arrestato e poi assolto rimane sempre… un colpevole di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2014 Leggo oggi la notizia sottostante che si commenta da sola. Negli Stati Uniti, una corte federale riconosce il risarcimento per ingiusta detenzione a cinque persone e l’ammontare della somma è di 41 milioni di dollari, equivalenti all’incirca a 36 milioni di euro. In Italia, il disegno di legge approvato una settimana fa nel consiglio dei ministri, prevede sulla responsabilità civile dei giudici, nell’art. 4, una copertura finanziaria di 135mila euro per il 2014 e 540mila euro per il 2015. Cinque persone risarcite negli Stati Uniti, equivalgono secondo a chi fa le stesse leggi in Italia a una copertura complessiva per tutti gli errori giudiziari in Italia per quindici anni. Senza parole. Questo dimostra che nella cultura italiana, l’innocenza non esiste, chi è stato arrestato e poi assolto rimane sempre un colpevole. I dati che affermo sono riscontrabili nel sito del Ministero della giustizia. Io seguiterò sempre a battermi contro questa ingiustizia. L’inviolabilità della libertà personale è un diritto basilare, fondamentale. Quando viene violata il risarcimento è il minimo. Stati Uniti: a New York risarcimento 41 mln $ per 5 accusati ingiustamente di stupro Si è concluso con un mega risarcimento di 41 milioni di dollari il caso dei "Central Park Five", i cinque ragazzi afroamericani e ispanici che furono ingiustamente condannati per il brutale stupro di una ragazza bianca che faceva jogging nel parco di New York la sera del 19 aprile 1989. I cinque furono scagionati nel 2002 dopo la confessione di uno stupratore seriale già in carcere, supportata dalla prova del Dna. L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg si era sempre opposto al risarcimento, che è stato invece una delle promesse del suo successore, il democratico Bill De Blasio. L’accordo di risarcimento è stato sanzionato da un tribunale federale: Antron McCray, Kevin Richardson, Yusef Salaam e Raymond Santana riceveranno ciascuno 7,125 milioni di dollari e Kharey Wise ne otterrà 12,25. I primi quattro hanno trascorso fra i sei e sette anni in carcere, mentre Wise è stato detenuto per 13 anni. I cinque avevano fra i 14 e i 16 anni quando furono arrestati per lo stupro. Secondo il loro ricrso, furono costretti a rilasciare false confessioni dopo botte e minacce da parte della polizia, mentre la prova del Dna che li avrebbe scagionati fu deliberatamente ignorata. La vittima della violenza, una 28enne impiegata in una banca d’investimenti, fu trovata incosciente nel parco e rimase a lungo fra la vita e la morte, senza poi ricordare nulla di quanto era accaduto. Lettere: nelle carceri una carenza cronica di posti determinata da scelte politiche di Enea Berardi Corriere della Sera, 8 settembre 2014 Nel 2012 l’Italia aveva un indice di affollamento di 145 detenuti per 100 posti, appena dietro la Serbia (147, il più alto d’Europa). Passando ai numeri, nel 2013, i detenuti erano ancora 64.000, a fronte di circa 45.000 posti. Tenete conto che per ottenere questo indecoroso risultato, l’Italia in sostanza "ha barato": è ricorsa massicciamente ad amnistie ed indulti, per molti reati gravi sono da noi previste pene relativamente miti, prescrizioni brevi annullano la possibilità di punire, la recidiva non viene punita più di tanto e, di fatto, molti reati comuni non vengono perseguiti. L’indulgenza italiana è palese, confrontando i tassi di detenzione per 100 mila abitanti: 112,6 in Italia, 127,7 la media europea, 156 nel mondo (e 150 in Gran Bretagna, a cui potremmo confrontarci per popolazione). Questo preambolo dovrebbe far capire come il sistema carcerario italiano sia insufficiente ed inadeguato in maniera addirittura patetica. Ora, viene comunemente fatta passare l’idea che "mancano le carceri", l’equivalente di "Dio lo vuole": siamo in Italia, le carceri sono costose, ci vorrebbero decenni a costruirle e così via. Banalmente: non è vero. Come articoli ed inchieste hanno chiarito (il Corriere, Report) non mancano carceri, ce ne sono di nuove, vuote. E per tanti rei sarebbe sufficiente una caserma dismessa, purché con personale di sorveglianza: che manca. Non solo mancano le guardie per eventuali nuove prigioni, ma sono gravemente sotto organico nelle carceri esistenti. Manca personale anche per le eventuali pene alternative o rieducative, nel qual caso servirebbe pure personale specializzato. Una cronica carenza determinata da scelte politiche: ci sono sempre state altre priorità. Generalizzando, in passato si è preferito per assurdo assumere dipendenti in soprannumero in enti inutili, per poi prepensionarli (e vanteranno "diritti acquisiti" degni di Eroi del Lavoro). Si è preferito avere una classe politica e di burocrati, pagata molto di più che la media europea, e più numerosa. Esempi concreti: si è preferito pagare le multe per le quote latte (almeno 4.50 miliardi) o spendere (fonte La7) 6.5 miliardi di euro dal 2008 ad oggi per il salvataggio Alitalia, ripianare i deficit di regioni e città poco virtuose (per esempio Roma, con i suoi 62.000 dipendenti comunali). Peraltro, i soldi risparmiati non assumendo guardie carcerarie, non sono serviti a potenziare le varie polizie (queste sì son sinergie), non sono stati utilizzati per adeguare sismicamente scuole e ospedali, per fare le manutenzioni ordinarie di strade ed edifici pubblici, per potenziare la sanità pubblica od il trasporto locale ed urbano, per migliorare scuola, università e ricerca, per valorizzare il turismo, e così via. La condanna europea ha posto il governo italiano di fronte alle proprie responsabilità di paese civile. A cui si è risposto con il decreto svuota-carceri. Liberando delinquenti, depenalizzando di fatto molti reati. Trasferendo ai cittadini il peso economico dei reati subiti e le spese per la difesa dai medesimi. Rinunciando a proteggere i deboli, le donne, gli anziani, da una serie di reati odiosi (furti, truffe, prepotenze), ponendo le basi per paura, odio sociale e razziale. Ogni riforma della giustizia dovrebbe partire da qui, da un sistema penitenziario adeguato e civile, altrimenti sarà vuoto parlare. Sassari: detenuto si suicida a Bancali, inutili i soccorsi di polizia penitenziaria e infermieri di Pinuccio Saba La Nuova Sardegna, 8 settembre 2014 Il dramma si è consumato in pochi minuti, fra le 19,30 e le 19,40 di sabato, in una cella del nuovo carcere di Bancali. In quei dieci minuti Francesco Saverio Russo, 34 anni di Alghero, si è legato al collo un cappio fatto con le lenzuola e si è ucciso. Stava scontando un "cumulo di pena" per una serie di reati che andavano dal furto alle lesioni. Inutili i soccorsi degli uomini della polizia penitenziaria e di due infermieri. Sull’episodio, nonostante sia lineare nella ricostruzione fornita dalle autorità carcerarie, dovrà fare luce l’inchiesta già avviata dalla procura della Repubblica del tribunale di Sassari. Sabato sera, come sempre, gli uomini della polizia penitenziaria hanno effettuato il solito giro di controllo. I detenuti erano rientrati da poco nelle celle e gli agenti stavano effettuando la cosiddetta "conta". Un normale giro di controllo, come tante altre sere. Anche Francesco Saverio Russo era nella propria cella. Dove era solo. Non andava d’accordo con gli altri detenuti forse anche a causa della suo carattere. Scontroso, poco incline alla fraternizzazione con gli altri compagni di reclusione, tanto che aveva preferito stare in cella da solo. Nessun problema psichico o psicologico, come accade a tanti detenuti dopo un periodo più o meno lungo di carcerazione. Francesco Saverio Russo sembrava aver reagito bene anche alla revoca del permesso di poter lavorare fuori dal carcere (articolo 21 dell’ordinamento penitenziario), permesso che gli era stato revocato dopo le contestazioni di alcune infrazioni al regolamento carcerario. Niente di rilevante, tanto che gli avvocati difensori Paolo Spano ed Elias Vacca avevano chiesto la revoca del provvedimento, in attesa dell’udienza al tribunale di sorveglianza che a novembre doveva decidere sulla concessione della semilibertà. Era contrariato e abbattuto, Russo. Questo sì. Quelle poche ore fuori dal carcere, in un negozio di informatica, per lui significavano molto, ma niente sembrava far presagire il dramma di sabato pomeriggio. Tanto che Francesco Saverio Russo non era stato inserito fra i detenuti a rischio o fra quelli che necessitano di un trattamento psico-farmacologico. Solo un antistaminico per una leggera forma d’asma. Avantieri, appena terminato il giro di controllo, agli uomini della polizia penitenziaria si è aggiunto un infermiere. Stavolta per la quotidiana distribuzione delle medicine: da quelle per patologie fisiologiche, ai trattamenti con gli psicofarmaci. A Francesco Saverio Russo doveva essere somministrato un antistaminico, ma quando l’infermiere lo ha invitato ad affacciarsi sulla porta della cella (che era aperta) non ha ricevuto alcuna risposta. Accompagnato da un agente, l’infermiere è entrato nella cella e solo allora ha scorto, all’interno del bagno, il corpo di Francesco Saverio Russo. Mentre scattava l’allarme, l’infermiere ha adagiato il corpo dell’uomo sul pavimento della cella e ha provato a soccorrerlo con le tecniche di rianimazione cardiopolmonare. È intervenuto anche un secondo infermiere, ma è stato tutto inutile: Francesco Saverio Russo era già morto. La notizia del suicidio è stata comunicata alla famiglia del detenuto che ha reagito con disperazione e sgomento. Dell’episodio è stato immediatamente informato anche il sostituto procuratore di turno che, probabilmente oggi, disporrà l’autopsia prima di decidere se e come proseguire gli accertamenti. Quello di Francesco Saverio Russo è il primo suicidio che si registra nel nuovo carcere di Bancali, anche se non sono mancati episodi di autolesionismo e tentativi di togliersi la vita soprattutto da parte di detenuti stranieri. Tentativi andati a vuoto grazie all’intervento del personale di sorveglianza. Cremona: Fp-Cgil; i detenuti si "ribellano", rivendicando più educatori di Angela Amarante www.fpcgil.it, 8 settembre 2014 Si sono rifiutati di rientrare nelle celle, dando vita a una protesta durata diverse ore, in alcuni casi brandendo pezzi di vetro. Sono i circa 30 detenuti che pochi giorni fa hanno messo a ferro e fuoco il carcere di Cremona, placati dopo molte ore dai pochi poliziotti presenti. Nessuno si è fatto male, ma la casa circondariale continua ad essere una "bomba a orologeria". "Questa rivolta è solo la punta dell’iceberg - afferma la segretaria Fp-Cgil Cremona Maria Teresa Perin. Certo è un episodio eclatante, ma i detenuti lamentano da tempo la scarsa attenzione nei loro confronti. A volte anche con gesti estremi". Non si tratta, stavolta, di un problema di sovraffollamento. I 340 carcerati non superano il limite dei posti disponibili. "Quello che i detenuti ribelli hanno rivendicato è una presenza più attiva e fattiva degli educatori, che ad oggi sono 3, tra cui uno che svolge solo mansioni d’ufficio - spiega la segretaria. I detenuti hanno bisogno di loro per consulenze psicologiche, per poter usufruire di un maggior numero di permessi premio e di più ore per vedere i familiari e gli amici. Ma questo non è possibile a causa della carenza di queste figure e della poco efficiente organizzazione del lavoro". I problemi del carcere sono ben conosciuti, anche dagli ispettori del Dipartimento amministrazione penitenziaria, che hanno più volte verificato le condizioni di vita e di lavoro dell’Istituto penitenziario. Ma chi deve intervenire per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori e dei detenuti, non ha quasi mai agito. "Il Dap ha creato importanti progetti sul benessere lavorativo, ma nella pratica ben poco è stato fatto. Come si possono garantire così la salute e la sicurezza?", dice Perin, lamentando anche le pessime relazioni sindacali con la direttrice dell’Istituto. Palmi (Rc): interrogazione On. Lacquaniti "ripristinare condizioni sicurezza" Ansa, 8 settembre 2014 "La difficile situazione del sistema penitenziario in Calabria è legata alla patologica carenza di organico, dove si vivono oltre ai problemi di adeguamento delle strutture alle recenti normative, anche quelli legati ad una gravissima situazione di organico". È quanto afferma, in un comunicato, il deputato Luigi Lacquaniti di Led (Libertà e diritti) che, lo scorso 15 agosto, ha compiuto un’ispezione nel carcere di Palmi. Alla luce di quanto emerso dalla visita, il parlamentare ha presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e della Salute in relazione alla situazione della sicurezza nell’istituto penitenziario. "Ci sono strutture carcerarie - afferma Lacquaniti - in cui gli agenti di Polizia penitenziaria non fruiscono del previsto riposo settimanale, e il personale è costretto oramai da troppo tempo ad effettuare circa 50 ore di straordinario mensile per sopperire alle serie carenze di organico. In Calabria, dove la legalità ed il rispetto delle regole devono valere per tutti prima di tutto, si vive un paradosso: un’amministrazione penitenziaria, che a causa della seria carenza di organico, registra la crisi di un sistema che deve rivendicare la legalità come l’unico valore in grado di costituire un modello contro la ‘ndrangheta. Su tali presupposti ho presentato un’interrogazione parlamentare al Ministero della Giustizia congiuntamente a quello della Sanità, poiché ritengo che le condizioni di sicurezza del carcere di Palmi, vista la presenza al suo interno di detenuti riconducibili a famiglie e clan mafiosi, siano urgentemente da ristabilire, sia per i detenuti che per il personale, ma anche per la cittadinanza che abita nei dintorni della struttura". "L’articolo 27 - sostiene ancora il parlamentare - prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Prevedere percorsi di reinserimento, offrire alternative di vita e di modelli possibili all’illegalità, è questa la missione che gli istituti di pena nel nostro ordinamento giuridico dovrebbero perseguire, e i diritti delle persone detenute e del personale di Polizia penitenziaria è per tutti quelli che affermano la legalità come valore assoluto, l’unico capace di ridare dignità ad una terra devastata da sistemi corrotti e illegali. La Casa circondariale di Palmi è strutturalmente in buone condizione, la manutenzione effettuata è sufficiente. Tuttavia a seguito di un guasto nel 2010, le attrezzature biomedicali e diagnostiche sono state danneggiate e finora non ne è stato ripristinato appieno il funzionamento: lo studio dentistico e l’ambulatorio funzionano in modo ridotto, mentre il laboratorio radiologico e oculistico non funzionano, obbligando, in caso di necessità, il detenuto e il personale di sorveglianza a onerosi e rischiosi trasferimenti. Onerosi per tutta la cittadinanza e rischiosi poiché è statisticamente più semplice programmare un’evasione durante i trasferimenti, che non dalla struttura stessa della Casa circondariale". Il testo completo dell’interrogazione parlamentare Il 15 agosto, approfittando della pausa estiva, ho visitato la Casa circondariale di Palmi, mia città d’origine, in provincia di Reggio Calabria, accompagnato dalla Dott.ssa Domenica Sprizzi. Ho riscontrato grande disponibilità da parte della direzione e del personale carcerario, pure gravemente sottorganico. La Casa circondariale di Palmi conta una trentina di detenuti in sovrannumero, ma ciò che preoccupa è l’importante mancanza di personale di guardia, cosa che ha facilitato, non molto tempo addietro, l’evasione di un detenuto poi ritrovato. Qualche tempo fa, a Rossano (CS) un assistente capo della Polizia penitenziaria si è suicidato nella caserma del carcere utilizzando la pistola d’ordinanza. E qualche tempo prima nello stesso carcere calabrese un altro agente della Polizia era salito sul tetto per protestare contro l’Amministrazione penitenziaria. La difficile situazione del sistema penitenziario in Calabria è legata alla patologica carenza di organico, dove si vivono oltre ai problemi di adeguamento delle strutture alle recenti normative, anche quelli legati ad una gravissima situazione di organico. Ci sono strutture carcerarie in cui gli agenti di Polizia penitenziaria non fruiscono del previsto riposo settimanale, e il personale è costretto oramai da troppo tempo ad effettuare circa 50 ore di straordinario mensile per sopperire alle serie carenze di organico. In Calabria, dove la legalità ed il rispetto delle regole devono valere per tutti prima di tutto, si vive un paradosso: un’Amministrazione Penitenziaria, che a causa della seria carenza di organico, registra la crisi di un sistema che deve rivendicare la legalità come l’unico valore in grado di costituire un modello contro la ‘ndrangheta. Su tali presupposti ho presentato un’interrogazione parlamentare al Ministero della Giustizia congiuntamente a quello della Sanità, poiché ritengo che le condizioni di sicurezza del carcere di Palmi, vista la presenza al suo interno di detenuti riconducibili a famiglie e clan mafiosi, siano urgentemente da ristabilire, sia per i detenuti che per il personale, ma anche per la cittadinanza che abita nei dintorni della struttura. L’articolo 27 prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Prevedere percorsi di reinserimento, offrire alternative di vita e di modelli possibili all’illegalità, è questa la missione che gli Istituti di pena nel nostro Ordinamento giuridico dovrebbero perseguire, e i diritti delle persone detenute e del personale di Polizia penitenziaria è per tutti quelli che affermano la legalità come valore assoluto, l’unico capace di ridare dignità ad una terra devastata da sistemi corrotti e illegali. La Casa circondariale di Palmi è strutturalmente in buone condizione, la manutenzione effettuata è sufficiente. Tuttavia a seguito di un guasto nel 2010, le attrezzature biomedicali e diagnostiche sono state danneggiate e finora non ne è stato ripristinato appieno il funzionamento: lo studio dentistico e l’ambulatorio funzionano in modo ridotto, mentre il laboratorio radiologico e oculistico non funzionano, obbligando, in caso di necessità, il detenuto e il personale di sorveglianza a onerosi e rischiosi trasferimenti. Onerosi per tutta la cittadinanza e rischiosi poiché è statisticamente più semplice programmare un’evasione durante i trasferimenti, che non dalla struttura stessa della Casa circondariale. Un detenuto rieducato è un investimento verso tutta la società, che domani si troverà ad avere un cittadino, capace di contribuire alla crescita economica, sociale e culturale del Paese, anziché un recidivo incapace di agire nella società stessa, se non con strumenti prevaricatori e contrari alla legge. In Italia abbiamo ancora molto lavoro da fare in questo ambito, sia a livello legislativo che culturale ed io mi impegnerò affinché il rispetto della nostra Carta Costituzionale guidi ogni azione parlamentare e governativa indirizzate al miglioramento del nostro sistema detentivo. Alessandria: detenuti per risanare le aiuole, Ovada apre la strada di Bruno Mattana Il Secolo XIX, 8 settembre 2014 Scontare modeste pene in alternativa al carcere facendo lavori di manutenzione pubblica potrebbe essere la soluzione per risolvere vari problemi dei Comuni. Ovada ci ha già provato con successo. I lavori di manutenzione sono tanti, le emergenze si susseguono, ma i cantonieri comunali sono pochi e il loro numero tende al ribasso. Il "lamento" dell’assessore ai lavori Pubblici, Sergio Capello, mette in evidenza una situazione veramente problematica. "Non sappiamo come fare - dice - a eseguire a tutti i lavori che dovrebbero essere fatti in tempi relativamente brevi e che invece vengono rinviati. Cerchiamo di fare anche l’impossibile ma oltre certi limiti non si può andare e, per i costi, non è possibile demandare parte della manutenzione a imprese private". Ad esempio le fontane cittadine, nei parchi come negli spazi verdi della città, costituiscono un problema irrisolto. come nell’area verde prospiciente la scuola media Pertini, piuttosto che quella tra piazza XX Settembre ed il Lung’Orba Mazzini, pensando anche all’area giochi di corso Saracco, all’incrocio con via Dania. E non dimenticando naturalmente quella che potrebbe essere la bella fontana del parco comunale Pertini. Invece ancora melma sul fondo, zampilli negati, fogliame e rifiuti all’interno. La foto della fontana del Pertini sembra abbastanza eloquente sulla nuova emergenza. L’unica fontana storica che funzionava, dopo l’importante restyling realizzato recentemente, era ancora quella di piazzetta Cappuccini, tra la chiesa e il convento, con la statua in bronzo di San Francesco al centro, e sui quattro lati, altrettante antiche e preziose, artisticamente e storicamente parlando, tartarughe in bronzo dalla cui bocca usciva lo zampillo dell’acqua. Più volte oggetto di furti e fortunatamente poi ritrovate (anche grazie agli appelli popolari), ora sono state totalmente rimosse dal Comune che ha la manutenzione della fontana, eliminando il problema furti, ma "spegnendo" in pratica la bella fontana che ora, senz’acqua all’interno, diventa ricettacolo di rifiuti. Una possibile soluzione potrebbe essere di affidare piccoli interventi di manutenzione a coloro che devono scontare brevi periodi di pena in carcere, e chiedono di essere sottoposti a pena alternativa impegnandosi in lavori di manutenzione. Il Comune di Ovada ci ha provato. Uno di questi soggetti, come conferma l’assessore ai Lavori Pubblici, Sergio Capello, è stato recentemente impegnato nella pulizia dell’alta vegetazione spontanea nata attorno ai tigli del viale Vittorio Veneto, al punto da ricoprire il transito pedonale rendendolo inagibile. "Posso dire che l’esperienza - chiarisce l’assessore Capello - è stata veramente positiva. Quel soggetto, doveva scontare un mese di carcere per una questione credo tributaria. Ha lavorato in modo egregio e nel caso di via Vittorio Veneto con lui abbiamo risolto in quel modo un problema di peso. Bisognerebbe che queste situazioni diventassero più frequenti e accessibili". Chiavari mette alla prova i detenuti, di Debora Badinelli (Il Secolo XIX) Cura del decoro urbano, manutenzione del verde e dei corsi d’acqua, pulizia di strade e spiagge. Lavori di pubblica utilità che diversi Comuni affidano a detenuti. Interventi a costo zero che favoriscono l’inclusione sociale dei reclusi e aiutano, in un periodo di ristrettezze economiche e carenza di personale, gli enti pubblici. I lavori di pubblica utilità sono alternativi alla pena, devono essere concordati con il tribunale e regolamentati da convenzioni. Chiavari (capofila del distretto socio sanitario 15), nel 2015 ospiterà il progetto pilota in Liguria dedicato al nuovo istituto della "messa alla prova" previsto dall’articolo 168 bis del codice penale e introdotto dalla legge delega 67 del 28 aprile scorso. La città non è nuova a interventi con persone chiamate dalla legge a rispondere dei reati commessi. All’inizio dell’anno, infatti, il Comune ha sottoscritto due protocolli d’intesa con la casa di reclusione cittadina: il primo prevede, attraverso l’accesso a borse lavoro, l’impiego di detenuti in espiazione di pena in attività di manutenzione ordinaria; il secondo protocollo (il solo a essere stato attuato) si basa su un percorso di sensibilizzazione all’educazione ambientale, non prevede contributi per i detenuti coinvolti e ha permesso, grazie al lavoro di quattro persone, di pulire, tra febbraio e marzo, la spiaggia del Lido. Parma: teatro-terapia, una nuova possibilità per malati e detenuti Gazzetta di Parma, 8 settembre 2014 La proverbiale lampadina si è accesa quasi tre anni e mezzo fa. Sandro Capatti, fotoreporter di 47 anni originario di Ravenna, collaboratore della Gazzetta di Parma e di alcune agenzie di stampa tra le quali l’Ansa, si trovava Chernobyl per testimoniare le conseguenze del terribile disastro nucleare del 1986. Un disastro che ancora oggi rende difficilissima la vita di persone che continuano a nascere con gravi problemi fisici. "Mi trovavo in una struttura, una specie di orfanotrofio, con bambini con disabilità celebrali che stavano facendo teatro con una compagnia" racconta, spiegando come ad ogni flash la sua mente era già pronta per una nuova esperienza. Il nome? "Teatro 360°: educare, riabilitare, essere". L’idea di Capatti è quella di girare per carceri di ogni genere, compresi quelli femminili e minorili, oltre a strutture per malati psichiatrici e disabili, per raccontare come in realtà poco conosciute dalla gente comune come queste, la teatro-terapia riesca a ridare fiducia e una possibilità di riscatto a tante persone. "Mi sono informato: è un progetto unico in tutta Europa" spiega il fotografo romagnolo, che dopo aver chiesto la collaborazione e il nullaosta ai ministeri di Giustizia e Salute, ha cominciato a girare l’Italia raccogliendo migliaia di immagini. Parma, Palermo, Bologna, Volterra, Napoli, Pontremoli: sono tante le città nelle quali si è fermato Sandro Capatti dall’inizio di un viaggio non ancora terminato e che si completerà la prossima primavera negli istituti minorili di Palermo e Nisida, nel Golfo di Napoli. "A dicembre sulla rivista del Coordinamento Carceri dell’Emilia Romagna uscirà un articolo dedicato al progetto -annuncia l’autore-, mentre una volta terminata la parte fotografica, ci sarà un libro, in collaborazione coi due ministeri e le diverse realtà con cui ho collaborato, come associazioni e compagnie che operano nelle carceri, con le mie foto in bianco e nero". Nel frattempo, dopo un convegno a Parma con esperti in ambito sanitario e legale (come l’avvocato Maria Rosaria Nicoletti), Capatti è stato già ospite in Bielorussia ("Dove temi di questo tipo sono un vero e proprio tabù") per un’anteprima del suo lavoro, magari già pensando al futuro e a qualcosa di simile in giro per l’Europa. E non è da escludere. "Mi ha colpito molto vedere bambini, persino autistici, e persone che dovranno rimanere in carcere anche per sempre, impegnarsi al massimo per mettere in scena semplicemente uno spettacolo teatrale - conclude Capatti: il progetto mi sta trasmettendo grandi emozioni e mi sta facendo conoscere storie straordinarie che spero siano colte dal pubblico, che magari ignora cosa accade in certe strutture". Padova: "Allah colpirà gli infedeli…", jihad in carcere, indagato un detenuto di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 8 settembre 2014 Tunisino sotto inchiesta per istigazione a delinquere. Si sospetta il reclutamento al Due Palazzi dopo la scoperta di foto con scritte inneggianti alla guerra santa. "Allah è grande, colpirà i miscredenti". Ecco l’inno alla guerra santa. Poi all’odio e alla violenza contro gli "infedeli". Frasi farneticanti, in parte estrapolate dal Corano, quelle vergate a mano sulle due fotografie ritagliate dalla stampa e affisse alla parete di un’anonima cella della casa circondariale Due Palazzi da un detenuto tunisino, classe 1989. Oltre alla prima già nota - un "fermo immagine" che ritrae il boia di James Foley con pugnale in mano e lo sfortunato reporter Usa inginocchiato accanto, qualche istante prima della decapitazione - la seconda immortala un gruppo guerriglieri arabi in uno sconosciuto paese mediorientale. Ora la procura di Padova ha aperto un’inchiesta sull’inquietante ritrovamento nella struttura penitenziaria della città del Santo di quei due ritagli di giornale appesi al muro come poster da ammirare e, forse, come materiale di propaganda da distribuire e mostrare a connazionali detenuti. C’è un sospetto inquietante tutto da chiarire: l’arruolamento di miliziani, destinati a ingrossare le fila dell’esercito islamico, passa anche per le carceri italiane dove, a migliaia, sono rinchiusi cittadini arabi e di religione musulmana? L’indagine è coordinata dal pm di turno Sergio Dini con la supervisione del procuratore della Repubblica Matteo Stuccilli, specializzato in reati "politici". Procuratore che preferisce non commentare l’accaduto, all’insegna della prudenza. L’ipotesi di reato è istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo, disciplinata dall’articolo 414 del codice penale. Articolo che stabilisce come "chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione con la reclusione da uno a cinque anni... se l’istigazione o l’apologia riguarda delitti di terrorismo... la pena è aumentata della metà". Ovviamente nel registro degli indagati è finito il detenuto tunisino. Qualche dettaglio più preciso su di lui: si tratta di un venticinquenne di religione musulmana che, alle spalle, ha diversi precedenti penali legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e a delitti contro il patrimonio. La Digos padovana, guidata dal vicequestore aggiunto Stefano Fonsi, sta avviando le prime verifiche su incarico dell’autorità giudiziaria. Chi è davvero quel detenuto che osanna alla jihad? Quali legami coltiva (o ha coltivato) in città? E quando è arrivato a Padova e in Italia, di certo da clandestino? Ancora limitate le notizie sul suo conto. È già stato accertato, comunque, che i primi di agosto viene arrestato (e non è la prima volta) per spaccio di droga: è tra le fila dei magrebini, senza casa o lavoro, che vivono di traffici legati allo smercio di stupefacenti e altri reati. Un paio di giorni in cella, poi l’interrogatorio di convalida e la scarcerazione con la misura cautelare del divieto di dimora in città. Divieto carta-straccia. Pochi giorni più tardi, intorno alla metà di agosto, durante un controllo delle forze dell’ordine il tunisino viene ancora individuato a Padova e scatta un altro arresto per violazione del provvedimento cautelare. Ennesimo trasferimento nella casa circondariale dove si trova rinchiuso senza mai attirare l’attenzione. Fino alla "sorpresa" di venerdì, intorno alle 11, quando durante un’ispezione di routine nelle celle, gli agenti di polizia penitenziaria si accorgono delle due immagini con scritte in arabo fatte a penna. Viene disposta una traduzione sommaria che svela l’apologia della guerra santa. Follia o adesione personale con l’obiettivo di far proseliti?. Libri: "Malerba", scritto da un cronista e un ergastolano, diventa docu-film Ansa, 8 settembre 2014 "Lo ricordo bene. Era già allora d’intelligenza superiore e per questo credo che sia stato il primo a rendersi conto che "La Stidda" non è mai stata una vera organizzazione mafiosa, ma uno strumento di Cosa Nostra che la utilizzava per regolare faide interne e sanare conti in sospeso; almeno all’inizio di quella cruenta guerra di mafia che comincia nell’agrigentino nel 1989". Così, nel docufilm tratto dal libro "Malerba" scritto dal giornalista Carmelo Sardo e dal killer di mafia Giuseppe Grassonelli, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi intervistato dal cronista ricorda alcuni passaggi che portarono all’arresto del boss, nel 1992. All’epoca Teresi era magistrato di punta della Dda di Palermo con competenza territoriale in provincia di Agrigento e fece arrestare e condannare all’ergastolo Grassonelli e tutti i killer della sua organizzazione. Il libro "Malerba" (Mondadori) ha recentemente vinto il premio Leonardo Sciascia-Racalmare, sollevando polemiche in seguito alla dimissione del presidente della giuria, Gaspare Agnello, per protesta contro l’inclusione tra i finalisti del libro, che è una autobiografia del mafioso Giuseppe Grassonelli, di Porto Empedocle, condannato all’ergastolo per diversi omicidi. Il docufilm, di cui l’Ansa anticipa un estratto, è in lavorazione: l’uscita è prevista entro fine anno. Il lavoro, la cui la regia è affidata a Toni Trupia, è una rivisitazione del cronista Sardo che torna sui luoghi scenario della guerra di mafia scatenata da Grassonelli e dai suoi accoliti confluiti in una organizzazione criminale ribattezzata da Cosa Nostra la "Stidda". Il documentario ripercorre quel tempo anche attraverso testimonianze di magistrati, politici e persone coinvolte a vario titolo nella guerra di mafia scoppiata nell’agrigentino. È girato in Sicilia, tranne la parte della lunga intervista allo stesso Grassonelli, raccolta nella sua cella singola nel carcere di Sulmona. Oggi alle 18 a Palermo, nella libreria Mondadori, Carmelo Sardo, alla presenza anche del procuratore aggiunto Vittorio Teresi e della giornalista Margherita Gigliotta, presenterà il libro "Malerba" e parti del docufilm. Stati Uniti: libro di memorie ex avvocato della Cia "vi dico che un po’ di tortura ci vuole" di Annalisa Chirico Panorama, 8 settembre 2014 Sveglia alle cinque, caffè e jogging per le strade di Georgetown a Washington. Ogni mattina, per 34 anni, John Rizzo ha iniziato così le sue giornate prima di oltrepassare in auto il Potomac per raggiungere l’ufficio al settimo piano del quartier generale della Cia a Langley, in Virginia. Ora che di anni ne ha 66, Rizzo, in pensione dal 2009, ha condensato in un memoir dal titolo "Company Man" la lunga carriera di avvocato della principale agenzia di spionaggio americana. Rizzo giustifica interrogatori "rafforzati" e detenzioni clandestine contro i capi di al Qaeda: "Da un uomo morto non si raccoglie niente". "Mio padre era un muratore napoletano emigrato oltreoceano negli anni Venti, sesto di otto figli. Ha vissuto il sogno americano diventando un manager affermato e dando a me e alle mie sorelle la possibilità di studiare. È morto nel 1996 a 83 anni senza mai dimenticare le sue umili origini". Ugualmente inarrestabile la scalata del figlio ai vertici dell’ufficio legale della Cia, dove è arrivato a 28 anni spinto "da un atto di fede". Nei successivi 34 "sono riuscito a salire più in alto di qualsiasi altro avvocato dell’agenzia". L’autostima non manca all’elegante professionista con un debole per l’alta moda ("Adoro Giorgio Armani, Ermenegildo Zegna e Ralph Lauren"). In ogni apparizione pubblica, quando gli vengono rinfacciate le pratiche di water-boarding contro i detenuti di Guantanamo o le prigioni segrete denominate black sites, Rizzo risponde serafico. È un osso duro. Non è difficile, gli dico, far parlare di sé con un libro che difende la tortura. "Io non difendo la tortura. La Cia diede il via libera al programma potenziato di interrogatori soltanto dopo che io ottenni per iscritto dal dipartimento Giustizia la garanzia della sua totale compatibilità con il divieto di tortura. Io difendo il duro lavoro dei professionisti dell’agenzia, che hanno dovuto assumere decisioni rischiose per proteggere la patria in un periodo di crisi nazionale e paura". Secondo diverse fonti, i terroristi dell’Isis avrebbero praticato il water-boarding sul reporter americano James Foley prima di decapitarlo. Al Baghdadi, leader del cosiddetto Califfato, è stato detenuto a Guantánamo. "Gli attentati dell’11 settembre sono avvenuti prima che qualunque operazione di water-boarding da parte del governo Usa avesse luogo. L’inasprimento dei nostri di interrogatorio è stato una conseguenza di quell’attacco". Nel 2009 Barack Obama, che Rizzo dichiara di aver votato due volte, interrompe il controverso programma della Cia. "Essendo ben noto il ruolo da me ricoperto nell’Eip, ho ritenuto opportuno andare in pensione lo stesso anno". Secondo la New America Foundation, rispetto all’amministrazione Bush jr gli attacchi con droni sono quintuplicati sotto il comando di Obama. "La missione principale della Cia è la human intelligence, ovvero la raccolta di informazioni da persone vive. Un programma che si limita a uccidere piuttosto che a catturare e a interrogare non aiuta a svelare piani e intenzioni dei terroristi". Perché le organizzazioni per i diritti umani che hanno montato una massiccia campagna contro gli interrogatori "rafforzati" non osteggiano con ugual vigore l’uso obamiano dei droni? "È una palese contraddizione. Come se fosse più morale e umano braccare un terrorista e annientarlo, magari colpendo anche degli astanti innocenti, piuttosto che catturarlo e interrogarlo in modo aggressivo". L’eliminazione di Osama Bin Laden ad Abbottabad nel 2011 sarebbe stata possibile senza gli interrogatori brutali della Cia? "Se si tornasse indietro al post 11 settembre, prenderei le stesse decisioni. Non potevo permettere una seconda ondata di attacchi sul suolo americano. Abu Zubaydah, catturato nel 2002, e Khalid Sheikh Mohammed, fermato l’anno dopo, si sono rivelati molto produttivi. A piegare il secondo, architetto dell’11 settembre, non fu tanto l’annegamento quanto la privazione del sonno". Mr Rizzo, gli occidentali hanno compreso l’entità della minaccia rappresentata dal terrorismo islamico? "I cittadini americani hanno ben chiara la posta in gioco. Il problema è che, man mano che il ricordo dell’11 settembre si allontana nel tempo, certi politici e commentatori sottovalutano il pericolo". Lei sembra un uomo senza rimorsi. "Ne ho uno soltanto. All’indomani dell’11 settembre avrei dovuto pretendere con più forza dalla Cia e dalla Casa Bianca che informassero un maggior numero di parlamentari del programma potenziato. Tenerlo segreto a così tante persone per un lungo lasso di tempo così è stato un errore". Obama dichiara di non avere una strategia contro l’Isis in Siria. Che succede? "Eccezion fatta per la coraggiosa operazione letale contro Bin Laden, a oggi Obama è parso incapace di formulare una strategia coerente negli affari esteri e di sicurezza nazionale. A mio avviso, non è assistito da un team all’altezza: quelle attorno a lui sono perlopiù persone poco scaltre oppure agenti operativi inesperti che devono a lui la propria carriera. Noto con rammarico che alcuni capi di governo europei e mediorientali sembrano avere una capacità di comprendere e affrontare le nuove minacce superiore a quella del mio governo". La mano destra ripone il sigaro ormai spento. "Se per lei va bene, mi congederei. Ho promesso a mia moglie di accompagnarla a fare commissioni". Vietnam: detenuto racconta "le mie prigioni" da Tan Lap, aperta inchiesta Agi, 8 settembre 2014 Le autorità vietnamite hanno aperto un’inchiesta per cercare di spiegare come un detenuto sia riuscito a documentare la sua vita in carcere su una pagina Facebook. Ngyuyen Duc Hung, che sconta una pena nella prigione di Tan Lap, nella provincia di Phu Tho, in Vietnam del Nord, è riuscito a pubblicare una serie di foto sue, nella tipica casacca a strisce in bianco nero: in una si ritrae con quello che definisce una droga e la didascalia, "Prendere droga in carcere". Un giornale vietnamita, Dan Tri, ha raccontato che i secondini lo avevano ‘pizzicato’ mentre usava uno smartphone e comunicava con la moglie via Internet. In altri profili Facebook, si vedono i detenuti che bevono thè o anche che ‘chattano’ tra di loro; e in uno dei profili, quello Sat Thu Tran, la sua fidanzata scherza sottolineando che dovrebbe rimanere in carcere a vita perchè si sta "cosi’ bene". Corea del Nord: annunciato processo a cittadino Usa detenuto da sei mesi Adnkronos, 8 settembre 2014 Il cittadino americano Matthew Miller sarà processato il 14 settembre in Corea del nord. Lo riferisce l’agenzia ufficiale di Pyongyang, Kcna, senza precisare le accuse contro l’uomo, detenuto da sei mesi. Miller, californiano 24enne, avrebbe strappato il suo visto turistico in aprile dopo essere arrivato in Corea del nord con un viaggio organizzato. È uno dei tre americani attualmente detenuti in Corea del Nord. Tutti e tre hanno chiesto al governo americano di aiutarli a tornare in libertà in interviste concesse alla Cnn, in quella che è apparsa una manovra del governo di Pyongyang per far pressione sugli Stati Uniti per ottenere la ripresa dei negoziati bilaterali sul nucleare e altre questioni. Gli altri detenuti sono Jeffrey Fowle, 56 anni, arrestato per aver lasciato una Bibbia in albergo, e Kenneth Bae, un missionario condannato a 15 di campo di lavoro nel 2013. In luglio è stata annunciata la futura apertura di un processo contro Fowle, che però non ha avuto luogo.