Giustizia: la riforma del Civile diventa pasticciaccio, il Governo litiga su quella del Penale di Wanda Marra Il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2014 Il decreto sul civile non è ancora arrivato al quirinale: nel testo anche meno ferie per i magistrati (ma si attende l’Anm). Intanto il governo litiga sulla riforma penale. Il decreto sulla giustizia civile non è ancora arrivato al Colle. Nel perfetto stile dell’esecutivo Renzi è passata una settimana dal Cdm del 29 agosto e il provvedimento è ancora in fase di gestazione. D’altra parte, il metodo ormai è chiaro: vengono approvati "salvo intese" e poi si continua a discutere e a limare. Sulla carta. In realtà, molte cose vengono cambiate completamente e se ne introducono altre che prima non c’erano. Se invece è per i disegni di legge sulla giustizia penale (falso in bilancio, intercettazioni, prescrizione) sono ancora oggetto di trattativa nella maggioranza di governo. E come saranno alla fine è tutta un’incognita. La materia più incandescente resta il falso in bilancio. Durante il Consiglio dei ministri del 29 Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, aveva cercato di farlo derubricare. Non ci è riuscita, anche per l’opposizione di Andrea Orlando, ministro della Giustizia. Ma su come farlo, il braccio di ferro è ancora in corso. Quello che chiedono dal Mise è di quantificare le soglie della punibilità, di prevedere un trattamento diverso per le società quotate in borsa e per quelle più piccole. Ma è chiaro che il progetto è sempre quello di annacquare il più possibile il provvedimento: è dall’inizio che Forza Italia baratta alcune garanzie sul falso in bilancio con l’appoggio alle riforme. E non a caso Berlusconi in questi giorni ha di nuovo fatto presente a Renzi la sua disponibilità a discutere sull’Italicum. Il nodo non è risolto: a gestire le mediazioni "ufficiali" è il ministro della Giustizia. Ma oltre al tavolo ufficiale di trattativa, tutto corre sull’asse di ferro Verdini- Renzi. Il Guardasigilli è in una posizione scomoda: nel senso che alla fine il presidente del Consiglio potrebbe spingerlo a dover presentare testi diversi da quelli preparati da lui. Non è detto che la reazione a quel punto sarebbe delle migliori. Ma è tutto di là da venire. Per adesso, la partita è apertissima e la riforma di conseguenza lontanissima. Da via Arenula assicurano però che il decreto sulla giustizia civile arriverà al Quirinale lunedì. In questi giorni è stato il Dagl (Dipartimento affari giuridici e legislativi), guidato dalla fedelissima di Renzi, Antonella Manzione, a scriverlo, rimodulando alcune questioni. Ed è pronta una sorpresa: nel testo finale sono state introdotte le ferie dei magistrati. Che da 45 giorni passano a 28. In origine non c’erano: Orlando si era opposto, dicendo che si era confrontato con l’Anm su tutti i punti, ma non su questo. Dunque, farà un passaggio con i magistrati: loro potrebbero cercare di ottenere una mediazione, rispetto alle intenzioni di partenza del governo. A proposito di work in progress. Cambia anche la questione dell’arbitrato (per tagliare l’arretrato dei processi civili si dovrà far ricorso agli arbitri), su cui sono state sollevate una serie di perplessità. Tra le obiezioni poste con più forza: come convincere a pagare un arbitro con il rischio che questi decida di dare torto (e dunque a pagare) a chi magari sta pagando lui? E poi, in genere, chi deve pagare tende sempre a far slittare i tempi, non ad accelerarli. Nel decreto, l’arbitrato (per ora) è rimasto, se non per questioni che riguardano la Pa. Esiste un’altra questione tecnica da verificare: la sospensione feriale, ora fino al 15 settembre, e nel decreto prevista fino al 31 agosto. Se andasse in vigore prima del 15, sarebbe difficile la transizione essendo ora in un periodo di sospensione feriale. Con il rischio di veder scadere i termini di molti procedimenti. Ma è evidente che il testo prima di potersi considerare definitivo deve passare al vaglio del Quirinale e dei tecnici del Mef che ne devono verificare le coperture. Finora passaggi tutt’altro che indolori e formali. C’è poi un’altra questione nell’aria: martedì sera si riuniscono i gruppi del Pd di Camera e Senato. Si tratta di decidere da dove inizieranno i loro iter i ddl sul penale. Alla Camera la Commissione Giustizia è guidata da Donatella Ferranti (Pd), in Senato da Nitto Palma (Forza Italia). È evidente che il luogo di partenza non è indifferente. Giustizia: agroalimentare, detenuti e disabili al lavoro nei campi di 1.100 aziende Italpress, 6 settembre 2014 Non solo licenziamenti e delocalizzazioni delle attività produttive, la crisi che ha colpito duramente l’Italia ha anche moltiplicato e consolidato esperienze imprenditoriali e cooperative innovative capaci di conciliare solidarietà con il giusto reddito. Nel 2014 si stima siano almeno mille e cento le imprese e cooperative che praticano l’agricoltura sociale, attorno alla quale gravitano oggi centinaia di migliaia di rifugiati, detenuti, disabili, tossicodipendenti. È quanto è emerso all’apertura del XXXVIII Convegno Nazionale dei Consiglieri Ecclesiastici della Coldiretti a Roma "La fraternità: percorso profetico per un’economia dal volto umano" con il saluto del segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, e del presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. L’agricoltura è diventata terra di frontiera anche per l’integrazione di giovani e anziani, ed è chiamata a svolgere un ruolo attivo per il bene comune in una società a forte rischio di disgregazione. Lo dimostra la crescita record delle assunzioni in agricoltura che fa registrare un aumento nel numero di lavoratori dipendenti del 5,6 per cento nel secondo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente offrendo sbocchi anche a molti costretti ad abbandonare gli altri settori in crisi, secondo una analisi Coldiretti su dati Istat. Si stima peraltro - precisa la Coldiretti - che abbia meno di 40 anni un lavoratore dipendente su quattro assunti in agricoltura, dove si registra anche una forte presenza di lavoratori immigrati. In questo contesto si moltiplicano nelle campagne i progetti imprenditoriali dedicati esplicitamente ai soggetti più vulnerabili che devono fare i conti con la cronica carenza dei servizi alla persona che in Italia si è accentuata dall’inizio della crisi. Lungo tutta la penisola sono nate esperienze molto diversificate di agricoltura sociale che vanno dal recupero e reinserimento lavorativo di soggetti con problemi di dipendenza (droga e alcool in particolare) all’agricoltura terapeutica (ortoterapia, ippoterapia ecc.) con disabili fisici e psichici di diversa gravità, dal reinserimento sociale e lavorativo di persone emarginate (minori a rischio, disoccupati di lunga durata, ecc.) all’attività agricola volta al miglioramento del benessere e della socialità (es. orti urbani per gli anziani). Questa diversificazione - precisa la Coldiretti - si palesa con la presenza di diverse tipologie di coltivazioni e di allevamenti e di attività di servizio: agriturismo, ristorazione, punti vendita aziendali, fattorie didattiche o agriasilo. "La fraternità e la sua profezia è già presente nella vita imprenditoriale agricola che oggi ha saputo innovarsi nel servizio della persona e della comunità tutta con esperienze straordinarie in una situazione di difficoltà in cui rischia di prevalere l’egoismo e l’indifferenza", ha affermato Don Paoolo Bonetti, consigliere ecclesiastico nazionale della Coldiretti. "L’agricoltura sociale è la punta più avanzata della multifunzionalità che abbiamo fortemente sostenuto per avvicinare le imprese agricole ai cittadini e conciliare lo sviluppo economico con la sostenibilità ambientale e sociale - ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Una svolta epocale con la quale si riconosce che nei prodotti e nei servizi offerti dall’agricoltura non c’è solo il valore intrinseco ma anche un bene comune per la collettività fatto di tutela ambientale, di difesa della salute, di qualità della vita e di valorizzazione della persona. Un riconoscimento che è arrivato anche in Parlamento dove il testo già approvato in commissione agricoltura cerca di far ordine legislativo in una materia che la gran parte delle Regioni ha disciplinato in modo contraddittorio", ha concluso Moncalvo. Giustizia: Osservatorio carcere Ucpi; sgomento per sevizie a detenuti Rossano Ansa, 6 settembre 2014 "Leggiamo con grande sgomento le notizie delle sevizie che sarebbero state perpetrate contro i detenuti del carcere di Rossano". Così in una nota congiunta l’Unione Camere Penali e l'Osservatorio carcere Ucpi. "Mentre discutiamo delle nuove norme e del disegno di legge volti a umanizzare il carcere nel rispetto dei diritti umani sanciti dalle convenzioni internazionali e dal dettato costituzionale, - sottolineano i penalisti - fatti come quello denunciato da un ex detenuto di quel carcere sembrano cancellare ogni speranza. È essenziale che la magistratura faccia chiarezza in tempi rapidi su quanto accaduto - conclude la nota - individuando i responsabili e riportando la legalità in quel carcere. Noi vigileremo affinché ciò accada tenendo alta l’attenzione, anche con una visita in loco". Giustizia: intervista a Manconi "Giulio è libero, ma ora pensiamo agli altri 3.000…" di Daniel Rustici Il Garantista, 6 settembre 2014 Scarcerato il ragazzo italiano imprigionato a Cuba per pochi grammi di marijuana. Il Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato invita a non dimenticare i tanti detenuti all’estero. Giulio Brusadelli, il giovane italiano incarcerato a Cuba per essere stato trovato in possesso di pochi grammi di marijuana, è stato liberato. Anche a causa dei seri disturbi mentali di cui Brusadelli soffre da diversi anni, la condizione di reclusione si era presta rivelata insostenibile per il ragazzo che stava praticamente rischiando la vita. La notizia della liberazione è arrivata ieri, dopo che nei giorni precedenti la vicenda era saltata agli onori delle cronache grazie a un appello dei genitori e alla denuncia del senatore democratico Luigi Manconi, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani, a cui chiediamo di ripercorre le tappe principali di questa storia. Come inizia l’odissea giudiziaria di Giulio Brusadelli? Il 3 marzo scorso Giulio, che vive a Santiago de Cuba da diversi anni, viene trovato con addosso 3,5 grammi di marijuana: una quantità minima, equivalente a circa 3-4 spinelli. Ciò ha portato a una condanna abnorme a quattro anni di reclusione nella quale gli è stato contestato, senza alcun riscontro provato, il reato di traffico di stupefacenti. La sentenza prevedeva che Brusadelli fosse affidato a una comunità di recupero, ma il ragazzo è stato prima mandato in una caserma e poi è finito in carcere. Giulio soffre di una sindrome maniaco-depressiva che lo ha spinto a rifiutare il cibo e in breve tempo si è ridotto in uno stato catatonico: non ha riconosciuto nemmeno i genitori quando gli sono andati a fare visita. La vicenda da giudiziaria è così presto diventata umanitaria. Grazie a un paziente lavoro diplomatico e di pressione da parte delle nostre istituzioni ieri alle 18:30 le autorità cubane hanno alla fine deciso di liberare Giulio le cui condizioni di salute, ci tengo a precisarlo, non si sono affatto stabilizzate. Voglio aggiungere che il ministero degli Esteri ha profuso un grande impegno per raggiungere questo risultato, così come le ambasciate italiane e cubane. Quest’atto di clemenza cancella la condanna a 4 anni? Su questo punto ancora non si sa nulla, i cubani hanno notificato la notizia di scarcerazione senza fornire alcun dettaglio in merito. A parti inverse, se un cubano venisse scoperto con lo stesso quantitativo di marijuana quanto rischierebbe nel nostro Paese? Purtroppo devo dire che, almeno fino a pochissimo tempo fa, non sarebbe stato inimmaginabile un trattamento simile. La legge Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale da una sentenza della Corte Suprema, anche per il possesso di quantità minime di stupefacenti faceva facilmente slittare la fattispecie di reato verso lo spaccio. Posso approfittare per dire una cosa che mi preme evidenziare? Prego. Siamo riusciti a mettere in salvo una persona ma sono 3.390 gli italiani attualmente reclusi all’estero. Di questi 330 si trovano in paesi retti da regimi autoritari con i quali è difficile intrattenere relazioni diplomatiche. Bisogna fare in modo di tenere alta l’attenzione su queste vicende, io cerco di seguirne il più possibile anche se è difficile che i media ne diano conto ( e per questo ringrazio l’Huffington Post che ha dato molto spazio alla mia denuncia sul caso di Brusadelli). Mi piacerebbe si desse risalto anche ad altre situazioni drammatiche, come quella di Roberto Bernardi che da un anno e mezzo si trova imprigionato in Guinea Equatoriale dove è stato sottoposto a sevizie e violenze documentate. Perché queste storie spesso non fanno notizia? Gran parte dell’opinione pubblica non è particolarmente interessata al tema dei diritti dei detenuti, credo per due ragioni: una più profonda e una più superficiale. La prima è che si preferisce ignorare, rimuovere l’esistenza del carcere dato che avvertiamo che chi c’è dentro ha ceduto a pulsioni oscure che tutti quanti abbiamo e con le quali preferiamo non fare i conti. L’altra ragione è che circola la falsa credenza secondo la quale l’impunità la fa da padrona e quasi ci si rallegra quando qualcuno viene messo in cella. Giustizia: a Napoli Carabiniere spara a un 17enne. I testimoni: "Ucciso alle spalle" di Adriana Pollice Il Manifesto, 6 settembre 2014 Non si ferma all’alt. Un carabiniere spara e uccide all’istante Davide Bifolco, 17 anni. Dopo il delitto nel Rione Traiano scoppia la rivolta degli abitanti. Un testimone accusa: "Gli hanno sparato alle spalle". L’Arma si difende: "Colpo accidentale". Il militare indagato per omicidio colposo Tre ragazzi in sella a uno scooter senza casco quasi alle tre di notte di giovedì scorso, una pattuglia dei carabinieri li intercetta, intima l’alt. Non si fermano. Il più piccolo, Davide Bifolco, diciassette anni il 27 di questo mese, resta a terra morto con un solo colpo al cuore. Un inseguimento iniziato a viale Traiano e terminato nel sangue a via Cinthia, quartiere napoletano di Fuorigrotta. Questi gli unici dati su cui convergono due differenti ricostruzioni dei fatti. Secondo l’Arma, la sequenza comincia con i militari che, durante controlli di routine, riconoscono nel gruppo sul motorino Arturo Equabile, ventitreenne accusato di furto, latitante dallo scorso febbraio perché scappato dagli arresti domiciliari. I ragazzi non si fermano all’alt, l’inseguimento termina quando lo scooter urta un’aiuola. Equabile riesce a fuggire a piedi, Davide e l’amico diciottenne Salvatore Triunfo (con precedenti per furto e danneggiamento) vengono fermati. Durante l’arresto uno dei militari avrebbe "accidentalmente" esploso un colpo con la pistola d’ordinanza, che ha raggiunto al cuore Davide. Portato al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo, sarebbe deceduto lì. Nel quartiere raccontano una storia completamente diversa. In giro oltre ai tre ragazzi, c’erano due amici su un altro motorino, uno di loro - Enrico - racconta: "Non si sono fermati perché non avevano il patentino e l’assicurazione. I carabinieri hanno speronato il mezzo facendoli cadere. Uno è scappato, gli altri due li avevano fermati, doveva finire lì. Invece uno dei militari prima lo ha sparato e poi lo ha ammanettato mettendogli pure la faccia nella terra dell’aiuola". La madre viene informata da conoscenti, credeva di dover portare i documenti per risolvere un piccolo guaio, il figlio l’aveva salutata dicendole "faccio un ultimo giro e torno", invece ha trovato Davide già morto. La mattina durante i sopralluoghi della scientifica è scoppiata la rabbia del quartiere, due volanti distrutte e due gazzelle con i vetri fracassati, lancio di sampietrini e altri oggetti dalle finestre. Un centinaio di persone tenute a bada ma facendo attenzione a non far esplodere la situazione. "C’erano anche i nostri figli" urlano le donne. Le facce sono tese: "Al Rione Traiano i carabinieri non li vogliamo più". I vicini si riuniscono sotto casa della famiglia sconvolta, dello stato nessuno vuole sentire parlare. "Tutto quello che c’è da sapere - urlano - è che un ragazzo, un bravo ragazzo, è andato a fare un giro e non è tornato più a casa". In diretta Tv ieri pomeriggio su Canale 5 è arrivata anche la versione di Salvatore Triunfo (denunciato per favoreggiamento di latitante e resistenza a pubblico ufficiale): "Eravamo in tre, il motorino era senza assicurazione ed eravamo senza casco. L’auto dei carabinieri ci ha tamponato e fatti cadere, il ragazzo che guidava è scappato, io sono rimasto a terra e Davide si è alzato. Il carabiniere gli ha sparato direttamente alle spalle, non ha sparato in alto. Un solo colpo e l’ha ucciso. E con lui a terra, li ho sentiti ridere". Gli investigatori dell’Arma hanno richiesto l’invio del file video con l’intervista. Il padre di Davide era fuori Napoli, vende nei mercatini, perciò è riuscito a raggiungere la famiglia solo nel primo pomeriggio di ieri. Il fratello Tommaso, che lavora alla manutenzione degli ascensori, è furioso: "Mio fratello è stato ucciso, non inventassero scuse. Aveva solo 16 anni. Mi vergogno di essere un italiano, chi ci chiederà scusa per quello che è successo? Mio fratello era un ragazzo d’oro, non era armato, non aveva droga, mai fatto rapine. Avrebbe finito la scuola e imparato il mio stesso mestiere. Stava facendo solo un giro nel quartiere con il suo motorino e per questo a Napoli si deve essere uccisi?". Rabbia e lacrime, Tommaso continua: "L’hanno ucciso tre volte. L’hanno buttato a terra, sparato e poi ammanettato. La testa di Davide schiacciata al suolo. Quando abbiamo potuto vedere il corpo, aveva la bocca piena di terra. Se l’autore di tutto questo fossi stato io a quest’ora stavo in cella e avevano buttato la chiave. Davide forse si è spaventato, forse voleva evitare il sequestro, per questo non si è fermato". Distrutta anche la madre, Flora: "Quando gli ha sparato non l’ha visto in faccia? non ha visto che Davide era un bambino?". Il carabiniere, un ventiduenne in servizio al nucleo radiomobile, è indagato per omicidio colposo. La procura di Napoli ha avviato un’indagine "diretta a ricostruire l’accaduto senza trascurare alcuna ipotesi" spiega il procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso. L’autopsia sul corpo di Bifolco verrà effettuata non prima di lunedì prossimo. Due altri casi ricordano quello che è successo giovedì notte. Il 31 luglio scorso, a Cardito, nel napoletano, il ventisettenne Antonio Mannal, che aveva appena rapinato una coppia di fidanzati, è stato colpito a morte mentre veniva ammanettato. Ma il precedente che viene alla mente è l’uccisione di Mario Castellano, diciassettenne di Bagnoli, a poca distanza dal Rione Traiano. La notte del 21 luglio del 2000, a bordo del suo motorino, senza casco, documenti e senza assicurazione, non si ferma all’alt di una volante della polizia. Scappa per evitare l’ennesima multa. Uno dei poliziotti, Tommaso Leone, cerca di bloccarlo due volte, il ragazzo sfugge ancora. Leone alza la pistola d’ordinanza, prende la mira e spara. La famiglia ha dovuto attendere nove anni per avere la condanna definitiva. Colpo accidentale, di Marco Bascetta Napoli non è ancora Ferguson, ma forse è già nei suoi dintorni. I "colpi accidentali" rischiano di costare molto cari. In Francia le chiamano bavures, "sbavature". Il termine sta a indicare un intervento di polizia che comporta tra i suoi "effetti collaterali" vittime innocenti. Si intende che la "sbavatura" non è altro che una imperfezione tale da non mettere in discussione le modalità delle forze dell’ordine e il monopolio "legittimo" della violenza loro riconosciuto. Fatto sta che le bavures, si producono generalmente in un teatro preciso, le banlieue, e colpiscono un bersaglio ben determinato: il giovane di colore. Ricevendo in risposta estese e contagiose rivolte. In Italia, le forze di polizia, di "sbavature" ne hanno collezionate parecchie. Ma qui usiamo altre terminologie, dal "colpo accidentale" alle "mele marce", quando malgrado ogni sforzo, l’azione degli agenti appare indifendibile. Eppure, anche nei casi più evidenti di gratuita brutalità poliziesca non si sono registrate nel nostro paese estese proteste di piazza, né violente, né pacifiche. Perché? La risposta più immediata è che da noi manca, almeno nelle proporzioni conosciute dagli Usa e dalla Francia, l’elemento razziale e cioè una consistente fetta di popolazione "etnica" discriminata e mantenuta in una condizione di esclusione sociale e di diritti negati. Ma c’è un’eccezione, una città nella quale, seppur estraneo al colore della pelle, l’elemento "razziale" è culturalmente ben presente. Questa città è Napoli dove ieri è stato freddato dai carabinieri un ragazzo di 17 anni, reo di non essersi fermato all’alt, tentando la fuga insieme ad altri due giovani a cavallo del motorino su cui viaggiavano. Il colpo fatale è naturalmente "partito per accidente". E un colpo accidentale, quand’anche questa improbabile versione dovesse reggere, non può che essere stato esploso da un’arma sfoderata e con il proiettile in canna. Ma dov’è che si sfoderano le pistole e si levano le sicure? Ovviamente in un territorio ostile, popolato dal nemico, teatro di innumerevoli insidie. Dove ogni abitante è sorvegliato speciale se non direttamente sospetto. Questa è l’idea con la quale le forze dell’ordine pattugliano diversi quartieri di Napoli, non tanto diversa da quella coltivata dai Flic a Saint-Denis, o dalla polizia che setaccia i quartieri neri di Los Angeles o Ferguson. Nessuno negherebbe che questi luoghi presentino un alto tasso di criminalità nonché diffuse pratiche illegali di sopravvivenza. E tanto basta per rubricare intere popolazioni sotto la voce "classi pericolose" ed elaborare i relativi modelli di controllo e repressione. È in questo contesto che le "sbavature" tenderanno inevitabilmente a moltiplicarsi. Non c’è da stupirsi, allora, se gli abitanti di questi quartieri percepiscano le forze dell’ordine come forze d’occupazione. Di questo stato d’animo Napoli ci ha mostrato già le prime manifestazioni: gente in strada, auto della polizia distrutte, rabbia popolare contro gli uomini in divisa. Non siamo ancora a Ferguson, ma forse già nei suoi dintorni. I "colpi accidentali" rischiano di costare molto cari. Giustizia: caso di Fabrizio Corona, perché tenere un innocente in galera? di Angela Azzaro Il Garantista, 6 settembre 2014 Dopo aver sentito in tv le dichiarazioni di David Trezeguet, che di fatto lo scagionano, Fabrizio Corona nell’incontro con gli avvocati Ivano Chiesa e Gianluca Maris ha sbattuto i pugni. È per un verso sollevato, dall’altro sempre più arrabbiato per l’ingiustizia che sta subendo. Come non capirlo. "Che strana estorsione - spiega infatti Chiesa - in cui l’estorto dice di non avere subito nessuna estorsione e nessuna minaccia". Intervistato da Francesca Fagnani per il programma di La7 In Ond, il celebre calciatore ha di fatto riaperto il caso. "Si è mai sentito minacciato dall’autista che era con Fabrizio Corona?", ha chiesto la giornalista. "No, mai", è stata la risposta. "Ha mai sentito delle pressioni da parte dell’uomo che era con lui?". "No, nessuna". Fabrizio Corona aveva fotografato Trezeguet all’uscita da una una discoteca con una donna che non era sua moglie. Quelle foto, nonostante fosse solo un’amica, potevano destare scandalo. E il fotografo e agente dei vip chiese al fuoriclasse se voleva comprare lui direttamente le foto. Per il Gip non c’era reato e proscioglie Corona. Sentenza poi impugnata dalla procura di Torino: per la Cassazione il processo va fatto. Ma mentre in primo grado si becca tre anni e 4 mesi perché gli vengono riconosciute le attenuanti generiche, in Appello la sentenza è ancora più dura: 5 anni. A rendere più pesante la condanna - poi diventata definitiva - è la presenza dell’autista, che rende l’eventuale estorsione aggravata. Oggi Corona è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Opera e deve scontare un cumulo di pene per 13 anni e 8 mesi, ridotte con la continuazione a 9 anni. Ma anche questa riduzione è a rischio perché è stata impugnata. La cosa più drammatica è che per un reato che appare un non reato Corona è sottoposto al regime del 4 bis, simile al 41 bis dei mafiosi. Trattato come un pericoloso assassino, non può neanche beneficiare di sconti di pena per l’uscita anticipata. È per questa ragione che anche un puro e duro come Marco Travaglio ha lanciato sul <+corsivo>Fatto quotidiano<+tondo> una campagna per chiedere la Grazia in suo favore. Oggi, dopo le dichiarazioni di Trezeguet, questa prospettiva appare ancora più praticabile. Le assurdità di questa vicenda sono infatti numerose. Torniamo alle dichiarazioni del calciatore. Non si tratta infatti di una novità. Le stesse cose le aveva dette, durante le indagini, sia a Woodcock sia alla Procura di Torino. Trezeguet, cosa ancora più assurda, non viene mai chiamato a testimoniare durante il processo. La parte lesa, senza cui non esisterebbe il reato, viene tenuta fuori dal dibattimento e si usano le sue precedenti dichiarazioni. Le quali, comunque, non lasciano dubbi. L’estorsione non c’è stata. È qui che viene da pensare a una storia di accanimento. Ad un processo che diventa simbolico, contro un certo modo di fare e di vivere nel mondo dello spettacolo. Le vie per dimostrare le colpe di Corona sono tortuose, ma efficaci. Si contestano infatti le foto per violazione della privacy. È vero, questo il ragionamento dei giudici, che il calciatore sta fuori da una discoteca, quindi in un luogo pubblico, ma ci sta senza volerci stare. In più Corona non può avvalersi del diritto di cronaca perché non è un giornalista. Le sue foto sono un bene illecito e per questo va punito. "Faccio questo mestiere da trent’anni - commenta Chiesa - e non si può davvero parlare di estorsione. Si tratta di una palese ingiustizia a cui va posto rimedio. Ormai - continua - la gente mi ferma per strada per chiedermi di Fabrizio. Anche le persone comuni considerano assurdo quello che sta passando. La vivono come una minaccia pure nei loro confronti. "E se capitasse anche a me?", si chiedono angosciati". Intanto questo incubo lo sta attraversando Corona. Da qui la sua rabbia, anche nell’ultimo colloquio con gli avvocati. E il desiderio di avere giustizia senza essere trattato come il peggiore dei delinquenti. Se, dovesse essergli levata la continuazione che riduce il cumulo di pene da 13 anni e 4 mesi a 9 anni, Corona pagherebbe più di un assassino. Ma il punto non è neanche questo. Non è il paragone con chi ha commesso delitti più gravi. È che certe forme di "tortura" non dovrebbero essere ammesse per nessuno, men che mai per una persona che, ogni giorno di più, appare essere innocente. Almeno che non si considerino gravi colpe la spavalderia o certi atteggiamenti troppo disinvolti. Ma se non ricordiamo male di tutto ciò nel codice penale non si parla. O no? Milano: carcerati e lavori socialmente utili, intervista alla Garante, Alessandra Naldi di Chiara Rizzo Tempi, 6 settembre 2014 "Sono favorevole ai lavori di pubblica utilità, solo se fossero minimamente retribuiti. In città stiamo attivando percorsi per chi è condannato per guida in stato d’ebbrezza e nuove proposte per la messa in prova". Dopo gli allarmi esondazione che negli ultimi due mesi si sono susseguiti a Milano, il 3 settembre, con una lettera al Corriere della sera, Roberto Martinelli, segretario generale del Sappe (il sindacato autonomo della polizia penitenziaria) ha proposto di usare i detenuti per pulire "gli alvei dei fiumi, o le spiagge o i giardini pubblici, molti dei quali in pessimo stato". Secondo Martinelli "c’è un protocollo di intesa Amministrazione penitenziaria e Anci per impiegare gratuitamente proprio i detenuti in progetti di recupero ambientale delle città". Tempi ha girato questa domanda ad Alessandra Naldi, Garante dei diritti dei detenuti del comune di Milano. Naldi, dunque, perché no? Il discorso è complesso. Oggi ci sono due norme che regolano questo ambito. Una prevede la concessione dei lavori di pubblica utilità al posto delle misure detentive, per chi è condannato per il reato di guida in stato d’ebbrezza. In questo ambito il Comune di Milano ha attivato un presidio sociale presso il tribunale, che ha lo scopo proprio di identificare chi può essere proposto al giudice per lavori di pubblica utilità. Si tratta di una norma che è già abbondantemente usata (lo sportello, nell’ambito della convenzione con il solo Comune - uno degli 85 partners per quest’iniziativa con il tribunale di Milano - ha attivato questo percorso in realtà per 45 persone nell’ultimo anno, ndr). E la seconda norma? È stata estesa la possibilità di impiegare in lavori di pubblica utilità anche i detenuti che ottengono la cosiddetta "messa in prova". Quest’opzione mi trova totalmente favorevole, perché evita il passaggio dal carcere, che spesso porta più problemi alla persona detenuta che altro. Inoltre, in questo modo si evitano alla collettività i costi del carcere e si portano dei benefici: la norma è stata emessa a giugno di quest’anno, i casi sono ancora pochi e non ho a disposizione i dati. Infine, sempre nell’ambito delle attività di pubblica utilità, c’è un terzo caso: a Milano si realizza ogni anno a ferragosto, quando un gruppo di detenuti è uscito dal carcere per pulire l’Idroscalo e, contemporaneamente, ha potuto incontrare le loro famiglie. Ma non ha ancora risposto a Martinelli: perché non far lavorare i detenuti per servizi di pubblica utilità, compresa la pulizia degli alvei dei fiumi di cui proprio Milano ha bisogno? Il problema di questo impiego, a mio avviso, è che va bene se è volontariamente scelto dai detenuti o se è un modo che permette di avere uno sconto di pena. Ma a mio parere non va bene se diventasse un lavoro forzato imposto. Proprio in relazione ad attività come quella del Ferragosto a Milano, Martinelli ha attaccato: "Bisognerebbe far lavorare tutti i giorni dell’anno i detenuti, specie in lavori di pubblica utilità a favore della tutela ambientale. Farlo un solo giorno all’anno, a Ferragosto, come avvenuto in qualche città italiana, puzza di operazione propagandistica fine a se stessa". Che risponde? L’iniziativa di Ferragosto rientra nel quadro di attività di un gruppo di detenuti, che hanno già la possibilità di lavorare all’esterno del carcere con l’articolo 21. Hanno costituito un’associazione di volontariato, che si chiama appunto Articolo 21, che ha lo scopo di promuovere attività favorevole alla collettività. Molti di loro durante l’anno, e quindi non solo a ferragosto, vanno a svolgere attività di volontariato presso la casa della Carità di don Colmegna, e in questo periodo stanno svolgendo delle attività a sostegno dei profughi siriani. Quanto all’iniziativa di Ferragosto non trovo sia un’attività propagandistica perché organizzare occasioni di incontro tra la popolazione e i detenuti, permettere ai cittadini di far conoscere queste persone, consente di far superare gli steccati e i pregiudizi che spesso ci sono. Da cosa nasce cosa: l’attività di volontariato con don Colmengna è nata proprio dall’iniziativa di Ferragosto. Martinelli obietta con dei dati: "Chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4 per centro, contro il 19 per cento di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1 per cento di chi è inserito nel circolo produttivo". Non trova che abbia ragione, forse anche i detenuti preferirebbero lavorare per la collettività, anziché essere costretti a stare in una cella senza fare nulla. Il problema di far lavorare tutti i giorni o più spesso i detenuti secondo me sarebbe superato se fosse previsto un minimo di retribuzione. Un minimo ci vorrebbe, anche nel caso di lavori utili alla comunità. Obiezione: in passato, sono stati tanti i detenuti che volontariamente si sono offerti per svolgere attività di pubblica utilità proprio per il Comune di Milano, ad esempio per spalare la neve nel 2009 e 2010. Forse loro lo farebbero anche gratuitamente, pur di non rimanere chiusi in cella senza fare altro. In singole occasioni ci può stare anche che per non stare chiusi in carcere tutto il tempo, accettino di lavorare gratuitamente. Ma da Garante io non credo che sia giusto ciò diventi la "regola", se non all’interno di un percorso più complesso. Ad esempio si potrebbe pensare a far uscire dal carcere i detenuti per fare attività di volontariato, come primo passo per il reinserimento sociale: si potrebbe andare a pulire il greto del fiume all’interno di una cooperativa, anche per un mese gratuitamente, e il mese successivo poi iniziare a percepire una retribuzione, e poi man mano trasformare questo percorso in una formazione professionale vera e propria. Questo lo trovo molto sensato. E crede che si possa fare realisticamente qualcosa? Io penso di sì. Ma di concreto ancora non c’è nulla? Che io sappia non per la pulizia degli alvei dei fiumi, mentre sono in azione molte attività di volontariato, con i detenuti in articolo 21. Vorrei inoltre sviluppare le attività che Comune e associazioni di volontariato offrono alle persone, per realizzare la "messa in prova" del detenuto. Se questi dimostrerà di portare a termine con successo il percorso che gli viene assegnato, con lavori di pubblica utilità, allora la pena verrà estinta: ciò che sto facendo in particolare è allargare il ventaglio di iniziative da proporre al giudice, in maniera tale che si possa valutare la messa in prova in modo specifico alla singola persona. Trento: la presidente dell’Ordine degli avvocati "il sistema penitenziario ha fallito…" Il Trentino, 6 settembre 2014 "Siamo di fronte al fallimento di una politica penitenziaria. Di fronte a tre morti in pochi mesi, dobbiamo chiederci se tutto ha funzionato nel migliore dei modi". La presidente dell’Ordine degli avvocati Patrizia Corona non usa mezzi termini nel giudicare quanto è successo nel nuovo carcere di Spini di Gardolo: "Probabilmente, si tratta di tre episodi isolati nei quali ha giocato molto il disagio personale, ma il carcere ha il compito di rieducare i detenuti e, in questi casi, tutto il sistema ha fallito. Nel primo anno di vita del carcere avevamo ricevuto alcune segnalazioni su una particolare afflittività della detenzione per la mancanza di spazi di socializzazione, ma poi queste segnalazioni". La presidente ne ha anche per il Tribunale di Sorveglianza che è competente nel concedere misure alternative: "Sicuramente in via generale il Tribunale di Sorveglianza di Trento è molto severo e concede misure alternative con il contagocce". Infine una stoccata alla politica: "Ci eravamo battuti per istituire il garante dei detenuti, ma il progetto di legge naufragato. Capisco che non sia una cosa che porti vantaggi elettorali". Bologna: la Garante; Dozza ancora sovraffollata, igiene scarsa e manca anche il sapone di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 6 settembre 2014 Nella relazione della Garante comunale dei detenuti nota negativa anche sul cibo. "E il Pratello è un continuo cantiere". "Nelle celle mancano in quantità sufficiente la carta igienica, il sapone, il dentifricio, i prodotti per l’igiene personale e le pulizie". Al carcere della Dozza la popolazione detenuta è scesa di centinaia di unità, andando sotto quota 660, grazie a decreti e nuove disposizioni legislative. Ma nell’istituto di via del Gomito, che rimane sovraffollato rispetto ai posti massimi previsti sulla carta, restano piccoli e grandi problemi. A confermarlo è la relazione della garante comunale per le persone private della libertà, Elisabetta Laganà, un corposo documento diffuso da Palazzo d’Accursio. La paladina dei detenuti, contestata e messa in discussione dalle associazioni Papillon e Chico Mendes e di recente confermata dal Consiglio di Stato, tratteggia una foto in chiaroscuro dell’istituto, elencando situazioni positive e criticità. Il cibo, tra le tante. I reclusi, fa sapere, hanno ripetutamente espresso giudizi negativi sulla qualità del vitto e su pesce e carne in particolare. E sono tornati a segnalare il prezzo elevato dei generi alimentari venduti al sopravvitto, lo spaccio interno. Il dossier dà grande evidenza alle attività scolastiche, ma omette le ultime doglianze dei detenuti-studenti universitari: anche a loro è stato chiesto di pagare la quota prevista per i test di ammissione alle facoltà a numero chiuso, a fronte di sconti e borse di studio previsti dalla convenzione con l’Alma mater e dalle scelte delle Regione. Lo stato delle docce comuni, altro problema, è sempre pessimo. Quanto all’assistenza sanitaria, oggetto di un capitolo del dossier, c’è da aggiungere un tema che per la macchina del carcere può essere piccolo, ma non lo è per gli interessati: i medici Ausl, la stessa Dozza lo conferma, non effettuano le visite per il rinnovo della patente e il documento, se non viene prorogato entro scadenze accettabili, è da rifare da capo, esami di teoria e guida compresi. La Garante riserva molte pagine anche al Pratello, commentando positivamente il calo delle presenze e aprendo la riflessione sull’arrivo di ragazzi tra i 21 e i 25 anni, novità di recente introduzione. "Se la situazione generale rileva un indubbio miglioramento - scrive Laganà - permangono i problemi della struttura in sé. La situazione continua a configurarsi alla stregua di una tela di Penelope: appena rifatte le tinteggiature, si apre una altra falla derivata dalle infiltrazioni. E il minorile è un continuo cantiere interno ed esterno". Rimini: Marcantoni (Papillon Onlus); il carcere scoppia, ora si cambi www.nqnews.it, 6 settembre 2014 Dopo le ultime aggressioni agli agenti, l’associazione Papillon in difesa dei carcerati rilancia l’allarme. "Gli ultimi fatti successi ai Casetti sono purtroppo il segno evidente della grave situazione in cui versa il carcere riminese". Claudio Marcantoni, presidente di Papillon Onlus, un’associazione presente in molte zone d’Italia che si occupa del sostegno ai detenuti e del loro reinserimento nella società, interviene dopo l’aggressione fisica subita nei giorni scorsi da due poliziotti penitenziari ma anche il tentativo di suicidio, sventato appena in tempo da un agente, di un carcerato. "Esprimiamo naturalmente tutta la nostra solidarietà alle guardie carcerarie riminesi - afferma Marcantoni - che oltre a essere professionalmente ineccepibili hanno uno spessore umano straordinario e davvero mettono tutto loro stesse nello svolgimento quotidiano del loro lavoro. Un lavoro faticosissimo per la particolare realtà in cui si muovono ma anche per il numero spropositato di ore che sono costretti a fare proprio per far fronte a quello che è lo storico problema dei Casetti: il numero sufficiente di agenti operativi in una struttura - lo ricordiamo - che soffre di un cronico problema di sovraffollamento. L’aggressione di alcuni giorni fa in fondo è legata anche a questo: come può un agente da solo tenere sotto controllo trenta-quaranta detenuti alla volta? Ricordiamo che anche a Rimini è in vigore ormai da tempo il sistema delle celle aperte (i detenuti possono restare all’esterno della camera detentiva fino a nove ore al giorno, ndr). Sistema che noi sinceramente non condividiamo, considerando preferibile invece offrire ai detenuti, anche per il loro stesso bene, un altro tipo di opportunità: quella di poter svolgere un lavoro all’interno di un’impresa". Il problema principale del penitenziario riminese rimane però sempre quello del sovraffollamento. I detenuti sono circa 180 per numero di posti di 123 posti. "È vero che la situazione nell’ultimo periodo è un po’ migliorata - sottolinea Marcantoni - ma parliamo pur sempre di una situazione grave con celle che arrivano anche ad ospitare fino a quattro-cinque persone ciascuna. Una condizione di forte disagio che potrebbe peraltro non essere estranea ai tentativi di suicidio che di cui ogni tanto - e l’ultimo caso è proprio di pochi giorni fa - giunge purtroppo notizia". Nonostante tutto però secondo l’associazione Papillon si sono aperti negli ultimi mesi concreti spiragli per un miglioramento significativo della situazione. "Siamo molto soddisfatti del lavoro che sta facendo come direttrice, seppur provvisoria, della struttura la dottoressa Rosa Alba Casella, una dirigente capace e dalle indiscutibili doti umane. La nostra speranza è che ora possa essere confermata in maniera definitiva per dare continuità appunto all’opera intrapresa in questi mesi. Confidiamo molto poi anche nella nuova figura del garante per i detenuti che dovrebbe essere nominata nelle prossime settimane. Il bando promosso dal Comune si è chiuso proprio pochi giorni fa". Padova: l’Is recluta militanti nel carcere Due Palazzi? di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 6 settembre 2014 In cella al Due Palazzi poster con la foto dell’uccisione di Foley e frasi che incitano all’odio religioso. Il pm Dini apre un’inchiesta. Il tam-tam che punta al reclutamento in massa degli jihadisti passa anche di cella in cella fra gli arabi in carcere? È più che un sospetto dopo la scoperta di ieri mattina nella casa circondariale due Palazzi di Padova, la struttura penitenziaria per i detenuti in attesa di giudizio. Nella cella di un detenuto trentacinquenne di origine marocchina, musulmano praticante, è stata sequestrata una foto con alcune scritte a mano in arabo (alcune copiate da pagine del Corano). Era appesa alla parete con altri poster: si tratta di un "fermo immagine" del video relativo all’uccisione del giornalista statunitense James Foley diffuso il 19 agosto scorso in rete, in primo piano il boia incappucciato con il macabro coltello in una mano, nell’altra il colletto della tuta arancione che indossava la vittima qualche istante prima della decapitazione. Inquietante il significato delle frasi che inneggiavano all’unico Dio implacabile contro gli infedeli e a concetti analoghi, un’apologia a 360 gradi nei confronti della "guerra santa, almeno stando alla prima e sommaria traduzione affidata a una persona di lingua araba dal personale del Due Palazzi. Sulla vicenda il pubblico ministero padovano di turno, Sergio Dini, ha aperto un’inchiesta. La macabra fotografia è stata notata ieri, a metà mattina, durante il consueto controllo di routine messo a punto dagli agenti di polizia penitenziaria a sorpresa nelle diverse celle dove si trovano rinchiusi gli ospiti. Non è sfuggito quel "poster" con le frasi in arabo vergate a mano probabilmente dal detenuto, almeno in base alle prime indiscrezioni. Gli agenti si sono subito preoccupati di informare la direzione della struttura penitenziaria che ha ordinato una traduzione sommaria per comprendere il senso dello scritto. È stata informata senza indugio la procura che ha disposto il sequestro del foglio. Al momento non sono contestate ipotesi di reato e sarebbero state messe a punto verifiche sulla rete di rapporti del detenuto marocchino ancora in attesa di giudizio. Non è dato di sapere, sempre per ora, il motivo per cui il trentacinquenne si trovi rinchiuso nella casa circondariale: sembra che nella cella fosse da solo ma il particolare non è stato confermato. A questo punto sorgono spontanei una serie di inquietanti interrogativi: la ricerca di "soldati" per rimpolpare le fila dei miliziani dell’Isis (lo Stato Islamico di Siria e Iraq) da spedire nella regione della "grande Mesopotamia", com’è nei disegni del vertice del califfato, avviene pure tra gli arabi rinchiusi nelle carceri italiane? Per quali vie? E come è arrivata quella foto nelle mani del detenuto? È stato lui stesso a scaricarla da Internet, frequentando la biblioteca della casa circondariale, oppure l’ha ritagliata da qualche giornale o, ancora, gli è stata consegnata da qualcuno? O forse è tutto più semplice: siamo solo di fronte a un detenuto che ha scaricato la propria rabbia e il proprio malessere mentale "scarabocchiando" sconcertanti frasi in arabo sulla foto dell’assassinio di Foley, nutrito da notizie di cronaca in grado di colpire l’immaginario collettivo e da sviluppi giudiziari "locali" come l’indagine veneziana sugli arruolamenti jihadisti nella nostra Regione? Di certo entro oggi sarà pronta una traduzione più precisa di quei versetti sospetti e un dettagliato rapporto sul detenuto con simpatie jihadiste. Roma: Sappe; tentati suicidi al carcere di Civitavecchia, salvate due persone www.romatoday.it, 6 settembre 2014 Due tentati suicidi nel carcere di Civitavecchia. Questi i numeri della sola scorsa settimana. A renderli noti il segretario generale del sindacato autonomo di polizia Sappe Donato Capece. L’ultimo a tentare di farla finita è stato un detenuto campano appena arrivato nel nuovo complesso penitenziario citavecchiese che "ha tentato di uccidersi nella sua cella realizzando un rudimentale cappio con le lenzuola della cella". Un tentato suicidio non andato a buon fine: "Per fortuna l’insano gesto non è stato consumato per il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari, ma l’ennesimo episodio accaduto in carcere a Civitavecchia è sintomatico di quali e quanti disagi caratterizzano la quotidianità penitenziaria - denuncia Donato Capece, che esprime ai poliziotti che hanno salvato la vita al detenuto - apprezzamento e l’auspicio che venga loro concessa una ricompensa ministeriale". Il sindacalista sottolinea che "anche lo scorso 30 agosto, un altro detenuto di Civitavecchia, italiano di 34 anni, ha tentato il suicidio mediante impiccamento ma anche in questo caso l’hanno salvato i Baschi Azzurri. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". "La situazione nelle carceri resta allarmante. Altro che emergenza superata - aggiunge Capece. Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere - come a Civitavecchia - con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri laziali e del Paese tutto". Ancona: lezione dagli artigiani Cna, corsi per detenuti di Montacuto e Barcaglione www.anconatoday.it, 6 settembre 2014 La Cna di Ancona ha programmato due corsi con lo scopo di insegnare ai detenuti un mestiere che li aiuti a reinserirsi correttamente nella società, una volta scontata la pena. Partenza martedì 9 settembre. Conto alla rovescia per l’avvio di corsi di formazione organizzati dalla Cna di Ancona per i detenuti di Barcaglione e di Montacuto. "Grazie all’Ambito territoriale sociale XI di Ancona - spiega Andrea Riccardi segretario della Cna dorica - che riceve uno stanziamento specifico dalla Regione Marche, abbiamo organizzato presso gli Istituti penitenziari di Ancona due corsi di formazione: uno per elettricista e uno per idraulico. A tenere le docenze saranno gli artigiani ed i professionisti del territorio, che insegneranno ai detenuti un mestiere, anche attraverso dimostrazioni pratiche e focalizzando l’attenzione sulle buone prassi da tenere per lavorare in sicurezza". "Il Comune di Ancona realizza gli interventi nell’area penitenziaria e post-penitenziaria, attraverso i contributi che la Regione Marche eroga annualmente agli Ambiti Territoriali Sociali, oltre che da fonti proprie del Bilancio Comunale - dichiara l’Assessore ai Servizi Sociali Emma Capogrossi - Le politiche regionali relative al settore penitenziario sono orientate a sostenere sul territorio marchigiano la programmazione concertata di interventi tra enti, istituzioni e servizi per la realizzazione di progetti nello specifico settore. La programmazione si realizza attraverso una rete di relazioni importanti tra Regione Marche, Ente locale, Dipartimento della Giustizia, Asur, Amministrazione penitenziaria e Terzo settore che sul territorio hanno dimostrato la capacità di fare sistema per un fine comune. Tra i diversi progetti che l’Amministrazione sostiene, quelli di carattere formativo, come quelli promossi dalla Cna, hanno una particolare rilevanza in quanto oltre a migliorare le condizioni di vita all’interno del carcere promuovono l’apprendimento di competenze e abilità professionali utili al reinserimento sociale una volta terminato il periodo di detenzione". Il Comune di Ancona e la Cna hanno così avviato un progetto che vuole offrire una formazione pratica e una teorica ai detenuti, con l’obiettivo di migliorare il loro bagaglio culturale e consentirgli, nel momento del reinserimento nella società, di spendere un’esperienza positiva che potrebbe aiutarli a trovare un lavoro. "Con questo progetto - conclude Riccardi - si intende garantire con il corso per elettricista una specializzazione nella domotica e nell’istallazione e manutenzione di impianti fotovoltaici e per il corso di idraulico una conoscenza nell’istallazione e manutenzione di impianti idraulici". Cna ha coinvolto gli artigiani del territorio che meglio di chiunque altro possono insegnare quello che realmente è richiesto dal complesso mercato del lavoro. Pesaro: domani i detenuti di Villa Fastiggi ripuliscono Baia Flaminia www.fanoinforma.it, 6 settembre 2014 "Una Baia tutta pulita". Anche quest’anno è in programma la pulizia della spiaggia di Baia Flaminia con la raccolta (differenziata) dei rifiuti, dal fiume Foglia al monte San Bartolo. Quest’anno, la novità è costituita dalla partecipazione all’iniziativa dei detenuti della casa Circondariale di Villa Fastiggi di Pesaro. L’iniziativa, che si svolgerà domenica 7 settembre, a partire dalle ore 9.30 - è infatti organizzata dal quartiere 9/Porto-soria, Comune di Pesaro (assessorati ai Quartieri e ambiente), Ente Parco San Bartolo, Agesci (parrocchia Sacro Cuore di Soria) e dalla casa circondariale, in collaborazione con Wwf, Legambiente, Lupus in Fabula, Italia Nostra e naturalmente e tutti i cittadini volontari che vorranno aderire. Trani: detenuti nei lavori di pubblica utilità, firmata ufficialmente la convenzione Giornale di Trani, 6 settembre 2014 Ieri mattina, a palazzo di Città, il sindaco di Trani, Luigi Riserbato, e il direttore reggente degli istituti penitenziari di Trani, Angela Anna Bruna Piarulli, hanno firmato un protocollo d’intesa in materia di lavoro di pubblica utilità a titolo volontario e gratuito per i detenuti. Nello specifico, come già anticipato recentemente, il Comune di Trani metterà a disposizione dei detenuti degli istituti penitenziari cittadini attività di manutenzione e pulizia di aree cittadine pubbliche o di edifici del patrimonio comunale nonché ulteriori attività di manovalanza. Il progetto parte da lontano, da una delibera di giunta comunale del 2013 in cui l’Ente aveva manifestato la disponibilità ad avviare un percorso finalizzato a rendere maggiormente concreto il processo di integrazione socio territoriale dell’istituzione penitenziaria, processo già avviato con il conferimento agli istituti tranesi della cittadinanza onoraria. In base al protocollo d’intesa sottoscritto, il Comune assicurerà lo svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei detenuti individuati dalla direzione carceraria, assumendosi l’onere della copertura assicurativa del detenuto. Le concrete modalità esecutive dell’attività all’esterno saranno preventivamente concertate dalla direzione penitenziaria che curerà nel tempo l’individuazione dei detenuti e degli internati idonei e disponibili sulla base delle mansioni lavorative offerte. Il protocollo d’intesa è stato sottoscritto in presenza di Elisabetta Pellegrini (responsabile dell’area trattamentale degli istituti penali di Trani). Lecce: lenzuola utilizzate per fare ginnastica, detenuto sotto processo per danneggiamento di Francesco Oliva www.corrieresalentino.it, 6 settembre 2014 La vita in carcere è difficile e sfiancante e agenti di polizia penitenziaria e detenuti spesso danno vita ad episodi che finiscono sulle pagine di cronaca. Nonostante i molteplici disagi (scarso personale e sovraffollamento) nel penitenziario di Borgo "San Nicola" si verificano casi che sfociano in un’aula di tribunale con detenuti già coinvolti in altri processi. Come nel caso di Samuele Natali, 23enne di Gallipoli, il quale dovrà comparire dinanzi al Tribunale di Lecce il prossimo 3 novembre per aver danneggiato un lenzuolo rendendolo inservibile della cella in cui si trova recluso. Danneggiamento aggravato l’accusa perché si tratta di beni di proprietà dell’Amministrazione Penitenziaria esistenti in edifici pubblici. Il sostituto procuratore Emilio Arnesano ha emesso il decreto di citazione a giudizio in cui il Ministero della Giustizia compare come persona offesa e che potrebbe anche decidere di costituirsi parte civile. L’8 agosto di un anno fa presso il reparto R1 venne eseguita una perquisizione di routine all’interno della quarta sezione del reparto C2 occupata da Natali e da altri due reclusi. Nel corso del controllo vennero ritrovati pezzi di lenzuola dell’Amministrazione utilizzati come tendina applicata al di sopra delle lancette ed ulteriori pezzi posti su di un bastone in legno utilizzati con ogni probabilità per appendervi degli oggetti in bagno. Immediatamente si sarebbe assunto ogni responsabilità il solo detenuto Natali che escluse categoricamente il coinvolgimento dei suoi due compagni di cella affermando di aver danneggiato il lenzuolo dell’Amministrazione per utilizzarlo in occasione di attività ginnica all’interno della cella dando la sua disponibilità a risarcire il danno. Da qui la segnalazione presso la direzione centrale e l’apertura di un procedimento a carico di Natali. Foggia: lo scrittore Maurizio De Giovanni in carcere, grande partecipazione dei detenuti Ristretti Orizzonti, 6 settembre 2014 Grande e sentita la partecipazione dei detenuti della Casa Circondariale di Foggia alla presentazione del libro "In fondo al tuo cuore. Inferno per il commissario Ricciardi" del noto giallista napoletano Maurizio De Giovanni. Lo scrittore, a Foggia per inaugurare "Questioni Meridionali", il festival ideato da SpazioBaol, in collaborazione con la Fondazione Banca del Monte e Ubik, ha accettato l’invito di Libera. Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie e del Presidente del Ce.Se.Vo.Ca. (Centro Servizi per il Volontariato di Capitanata), Pasquale Marchese a tenere nella stessa giornata un incontro anche all’interno dell’Istituto Penitenziario, con il supporto della libreria. Nel teatro della Casa Circondariale, oltre 70 detenuti delle Sezioni AS (Alta Sicurezza) e "Comuni" Nuovo Complesso hanno ascoltato con grande attenzione lo scrittore, che ha spiegato la genesi del suo romanzo e letto e interpretato due racconti. De Giovanni è stato introdotto dal Direttore del carcere di Foggia, Mariella Affatato, che ha sottolineato l’importanza del momento e il valore della presenza dello scrittore in carcere e da Daniela Marcone di Libera - accompagnata dai volontari Sasy Spinelli e Giuseppe De Pellegrino - che ha spiegato il significato e la mission dell’associazione. L’incontro nell’Istituto Penitenziario è stato realizzato nell’ambito di un protocollo d’intesa sottoscritto da Ce.Se.Vo.Ca, Casa Circondariale e Uepe Foggia (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) e rientra nelle attività previste dal "Tavolo Carcere e Volontariato", cui siedono gli stessi soggetti e gli altri due Istituti Penitenziari di Capitanata (Lucera e San Severo), al fine di promuovere la collaborazione tra le realtà del Terzo Settore e quella penitenziaria. Nel corso del pomeriggio, il Ce.Se.Vo.Ca. - come ha spiegato il direttore, Roberto Lavanna - con il sostegno della Fondazione Banca del Monte di Foggia, ha donato 10 copie del libro, autografate da De Giovanni, che andranno ad arricchire la biblioteca del Carcere. Il Centro Servizi per il Volontariato di Capitanata ha già iniziato, nel maggio scorso, un percorso di letture con i detenuti della sezione AS, attraverso il Progetto "Innocenti Evasioni: nel corso di sei incontri, Michele Paglia, Presidente del Centro Studi Diomede di Castelluccio dei Sauri e Annalisa Graziano, responsabile dell’Area Comunicazione e Promozione del Volontariato del Ce.Se.Vo.Ca. hanno incontrato i detenuti per discutere insieme di due libri precedentemente acquistati e donati a ciascuno dei partecipanti. Un’esperienza che si ripeterà a breve, con l’inizio delle attività di "Innocenti Evasioni II". "È la prima tappa di un viaggio verso la cultura - sottolineano gli organizzatori - che speriamo possa ripetersi nel tempo. Il nostro obiettivo, grazie al supporto di Michele Trecca e Alessandro Galano di Ubik, è quello di replicare esperienze di questo tipo, favorendo anche nell’ambiente carcerario la promozione della lettura". Ce.Se.Vo.Ca. Libera - Associazioni, Nomi e numeri contro le Mafie Roma: conferenza stampa nomina Capo Dap, Garante Nazionale dei Detenuti e Capo Dpa Ristretti Orizzonti, 6 settembre 2014 Dopo molti mesi ancora si attendono le nomine del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, del Garante dei Detenuti Nazionale e del Capo del Dipartimento per le Politiche Antidroga. A questo proposito Antigone, Società della Ragione, Forum Droghe e Cnca, hanno indetto per martedì 9 settembre alle ore 11.30 una conferenza stampa per presentare le proprie posizioni in merito a queste nomine. La stessa si terrà presso la sala conferenza della Camera dei Deputati (via della Missione 4). Parteciperanno: Susanna Marietti (Associazione Antigone), Stefano Anastasia (Società della Ragione), Franco Corleone (Garante dei Detenuti della Toscana), Stefano Regio (Cnca), Maria Stagnitta (Forum Droghe). Per i giornalisti non accreditati presso la Camera dei Deputati è necessario mandare conferma della propria partecipazione entro domenica 7 settembre, specificando anche se si utilizzeranno fotocamere o videocamere, all’indirizzo: ufficiostampa@associazioneantigone.it. Per gli uomini è obbligatoria la giacca. Bologna: "Cucinare in massima sicurezza", mostra sul difficile recupero della normalità www.gamberorosso.it, 6 settembre 2014 Lacci di scarpe, manici di scopa e vecchi sgabelli: strumenti quanto mai utili per cucinare. Almeno per i detenuti nelle sezioni di Alta Sicurezza delle carceri italiane. Dove la cucina diventa una valvola di sfogo, ma solo l’ingegno permette di sfruttare le poche risorse disponibili. Il libro di Matteo Guidi e le illustrazioni di Mario Trudu raccontano questa storia; in mostra alla (galleria+) oltredimore. Dal 18 al 21 settembre Bologna sarà la capitale dei libri che raccontano la storia dell’arte; un’occasione per parlare di valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano attraverso la buona lettura. Testi d’intrattenimento, didattici e saggi d’approfondimento e molti appuntamenti dislocati in città per raccontare una "terra di tesori". La galleria + oltredimore, vivace realtà artistica bolognese, ospiterà la decima tappa di Cucinare in massima sicurezza, una mostra itinerante (per la curatela di Gino Gianuizzi) con disegni di Mario Trudu che traggono ispirazione dal libro di Matteo Guidi, non un semplice ricettario, ma la storia di una vita in prigione, testimonianza in presa diretta dello scorrere del tempo dietro le sbarre. Al centro dell’interesse di autore e illustratore del libro i difficili compromessi adottati dai detenuti per recuperare una normalità interrotta dalla reclusione, anche attraverso la valvola di sfogo della cucina. Ma testi e disegni, raccolti a contatto con detenuti nelle sezioni di Alta Sicurezza delle carceri italiane, spiegano soprattutto utensili e metodi alternativi escogitati all’interno delle celle per cucinare con le poche risorse disponibili; così ogni ricetta, prima ancora della lista degli ingredienti, è accompagnata dall’elenco degli strumenti necessari per realizzarla, descritti sin dall’ingegnosa ideazione e nelle fasi di realizzazione. Si tratta spesso di oggetti semplici, che acquistano nuove funzioni: lacci delle scarpe come spago da cucina, manici di scopa per stendere la pasta, il tepore del televisore che facilita la lievitazione del pane. I disegni, realizzati a penna nera su carta, accompagnano la narrazione e sono stati realizzati da chi vive sulla propria pelle da 35 anni la detenzione in carcere di massima sicurezza: Mario Trudu, allevatore sardo, è ancora oggi detenuto nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di San Gimignano. Cinema: c’è voglia di raccontarsi dietro le sbarre, due esempi da Bollate e da Padova Ansa, 6 settembre 2014 I detenuti del carcere di massima sicurezza di Bollate si sono auto-filmati per "Italy in a day" di Gabriele Salvatores, quelli della Casa circondariale di Padova hanno fatto un corso di cinema per raccontarsi. C’è voglia di aprirsi, mostrare lo scorrere della vita "ristretta", trovare il modo di sensibilizzare sul tema della detenzione. È il cinema dietro le sbarre, colto alla Mostra del cinema di Venezia. Per Italy in a day, "c’è stato un accordo con il ministero di Grazia e Giustizia, siamo andati lì dentro e spiegato ad alcuni di loro come realizzare il video. Gli abbiamo lasciato le videocamere e si sono raccontati. Penso - dice Lorenzo Gangarossa tra i produttori - sia giusto rappresentarli". Il caso di Padova è diverso, più interessante ancora. Un vero e proprio viaggio, delicato e autentico, in una realtà umana e sociale poco nota: quella della casa circondariale, dove sono detenute le persone in attesa di giudizio, in condizioni psicologiche e logistiche molto più dure di quelle del carcere. La produzione - la padovana Jengafilm - ha scelto anche la strada del crowd-funding, operazione che ha permesso anche di avere un riscontro della sensibilità delle persone sul tema delicato della detenzione. Una mini troupe è entrata nella casa circondariale di Padova per vivere a contatto con i detenuti e realizzare, con loro, un cortometraggio, "Coffee, Sugar and Cigarettes", e un documentario, "A tempo debito", un doppio progetto che ha coinvolto 15 detenuti della casa circondariale Due Palazzi con la disponibilità decisiva della direttrice della struttura Antonella Reale e l’aiuto della psicologa Alessia Colzada. Il documentario racconta il dietro le quinte di questa produzione e l’incontro tra questi ragazzi e il cinema attraverso 5 mesi di vita dietro le sbarre. Il gruppo di lavoro, composto da 15 detenuti provenienti da 7 paesi, ha frequentato un corso di sceneggiatura e recitazione due volte a settimana a partire da ottobre: una vera full immersion nel mondo del cinema che ha dato loro un momento di distrazione, ma anche una formazione che potrebbe tornare utile per tornare ad inserirsi nella società. Il lavoro di scrittura è stato effettuato con la supervisione degli educatori e degli psicologi del carcere in modo da adeguare il lavoro alla personalità di ciascun detenuto. Dice Christian Cinetto, regista del documentario e del corto: "Per qualsiasi persona portare a termine un’impresa, anche piccola, rappresenta una sfida. In una casa di reclusione, terminare un percorso, ha il sapore della conquista. Non importa il valore del risultato, ma importa la costanza, il non cedere, il riuscire a dimostrare a se stessi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, che ce la si può fare. Guardarsi indietro e sapere di avere concluso un percorso settimana dopo settimana, dà speranza." Il documentario "A tempo debito" è il making of del corto. Al centro c’è la vita del gruppo di detenuti che cresce lezione dopo lezione. La telecamera racconta i momenti più divertenti, quelli più significativi, ma anche quelli più critici quando la realizzazione del corto sembrava una chimera. Il percorso segue le storie dei detenuti, la loro testimonianza da attori e da uomini. Con loro ci sono gli educatori che lavorano con loro e poi ci sono gli ospiti, non sempre abituati al carcere, che scoprono la gioia di condividere una mini esperienza con i detenuti, dimenticando subito di far lezione in carcere, perché quando inizia la lezione l’aula è sempre e solo l’aula. Immigrazione: rivolta al Cie di Ponte Galeria; detenuti sul tetto, fumo nero Corriere della Sera, 6 settembre 2014 Alcuni immigrati rinchiusi nel centro di identificazione ed espulsione si sono ribellati per protesta contro i lunghi tempi di detenzione e le condizioni di vita nel Cie. Nuova rivolta al centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, alle porte della Capitale. Nel Cie alcuni dei migranti presenti hanno dato fuoco a materassi, si è sprigionato del fumo e - secondo quanto raccontato a radio Onda rossa dai presenti - sono state aperte le celle, cosa che ha consentito ad alcuni immigrati della sezione maschile di potere uscire, mentre altri sono saliti sul tetto. Le forze dell’ordine intorno al Cie in assetto anti sommossa sono pronte a intervenire. La rivolta è stata scatenata dai lunghi periodi di permanenza cui sarebbero costretti i migranti e dalle condizioni disagevoli del centro. Già nei giorni scorsi il Garante per i detenuti del Lazio Angiolo Marroni aveva denunciato la situazione di estrema tensione nel centro, dove un irregolare recluso era in sciopero della fame e parziale sciopero della sete da due settimane. Si tratta di un cittadino di origine nigeriana, trattenuto al Centro di Identificazione dallo scorso 13 giugno, che a"vrebbe già perso 14 kg. L’uomo, D.M., ha una moglie e due figli minori regolarmente residenti in Francia, ed ha avviato la sua protesta perché intende ricongiungersi con la propria famiglia. "È sconfortante - sottolinea Marroni - continuare ad assistere a proteste di questo genere che, oltre a mettere a rischio la vita dei singoli, generano un clima di tensione all’interno del Cie, dove gli equilibri sono sempre molto precari". Condanna per la gestione dei Cie anche da Marta Bonafoni, vice capo gruppo Per il Lazio: "La notizia dell’ennesimo gesto estremo messo in atto da un cittadino di origini nigeriane recluso nel Cie di Ponte Galeria sottolinea - semmai fosse necessario - l’inutilità nonché la pericolosità sociale di strutture come i Cie. Istituzioni totali, adibite a `carceri di passaggio´ dove ai cittadini immigrati sono sospesi arbitrariamente tutti i diritti civili ed anche umani". E Bonafoni conclude: "I centri di detenzione temporanea vanno chiusi, così come richiesto in una mozione presentata nei mesi scorsi in Consiglio regionale, superando così il paradosso della normativa italiana e comunitaria in tema d’immigrazione". Droghe: la cannabis medicinale sarà prodotta dallo Stato, è la fine di un tabù di Luigi Manconi e Antonella Soldo Il Manifesto, 6 settembre 2014 Finalmente una buona notizia. O almeno così sembra. Sarebbe prossimo, cioè, il parere favorevole del ministero della Salute per l’avvio di una produzione di cannabis medicinale presso lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Se davvero così fosse, dovremmo esserne soddisfatti. Innanzitutto perché questa misura potrebbe introdurre una rilevante cesura nei processi di stigmatizzazione della cannabis come droga letale: una convinzione così pervicacemente impressa (e con effetti così perniciosi) tanto nella mentalità diffusa quanto nel senso comune di molte categorie: medici e operatori sociali, legislatori e opinion leaders. Una interdizione morale e ideologica, che ha finito con l’assumere nel corso del tempo il peso di un vero e proprio tabù. Il che ha prodotto profonde conseguenze sia sul piano della ricerca scientifica che su quello dell’organizzazione sanitaria e, infine, nella sfera delle politiche pubbliche. Ora, sembra che si sia arrivati a un passaggio cruciale: è in via di formulazione e di definitiva stesura un protocollo tra i ministeri della Difesa e della Salute, frutto di una discussione che ha coinvolto esperti e tecnici dei due ministeri e l’Istituto superiore di sanità. E si va verso la decisione di affidare allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze l’incarico di preparare farmaci cannabinoidi. È esattamente quanto abbiamo proposto a partire dal gennaio del 2014 attraverso un disegno di legge, una conferenza stampa, alcuni convegni e numerosi articoli (anche su queste stesse colonne). Accanto al diritto, davvero intangibile, all’auto-coltivazione per uso medico personale da parte dei pazienti, va assicurata una produzione industriale, magari pubblica, dal momento che finora non una sola azienda farmaceutica italiana ha chiesto la relativa licenza. Ebbene, quello Stabilimento di Firenze, dipendente dal ministero della Difesa, ci è sembrata la sede più adeguata per una coltivazione controllata e garantita. La proposta, che aveva sollecitato l’interesse della direzione dell’istituto, era stata accolta con il massimo favore da parte del ministro della Difesa, Roberta Pinotti. E fu proprio il sottosegretario di quel ministero, Domenico Rossi a illustrare - durante il convegno "La cannabis fa bene, la cannabis fa male" organizzato da "A buon Diritto" e dall’Associazione Luca Coscioni - la "capacità tecnica dello Stabilimento, con uno spettro che potrebbe andare dalla coltivazione al confezionamento", sottolineando, tuttavia, l’esigenza di raggiungere un accordo con il ministero della Salute. Quell’intesa oggi sembra a portata di mano. La tragedia è che ci sono voluti sette anni e tante sofferenze inascoltate perché si arrivasse a questo primo risultato. Risale, infatti, al 2007 il decreto ministeriale firmato da Livia Turco che inserisce il Thc e altri due farmaci analoghi di origine sintetica (il Dronabinol e il Nabilone) nella tabella delle sostanze psicotrope con attività farmacologica, riconoscendone così la legittimità dell’utilizzo in ambito medico. Nel 2013 un ulteriore decreto, emanato dal ministro della Salute Renato Balduzzi, sancisce l’efficacia farmacologica dell’intera pianta della cannabis. Nel frattempo undici regioni (Puglia, Toscana, Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Sicilia, Umbria, Basilicata, Emilia Romagna) hanno approvato leggi sulla cannabis medicinale. Questi provvedimenti, sebbene disomogenei tra loro, convergono tutti nel prevedere l’erogazione di quei farmaci con spese a carico dei rispettivi servizi sanitari regionali. Nonostante questi dispositivi, però, i numeri raccontano tutt’altro: solo 40 pazienti nel 2013 hanno avuto accesso a quella terapia. Gli ostacoli sono in primo luogo di natura culturale: il personale sanitario non è adeguatamente informato e medici e farmacisti il più delle volte sono riluttanti a fornire i cannabinoidi. A ciò si aggiunge un iter burocratico complesso e farraginoso. Al presente, questa la procedura: medico curante, azienda sanitaria, ministero della Salute, mercato estero, importazione, farmacia ospedaliera e infine paziente. Ciò porta il costo del prodotto a livelli altissimi, così che un mese di assunzione del farmaco può comportare una spesa di molte centinaia di euro. L’esito è che ancora oggi troppi pazienti si riforniscono al mercato nero. In conclusione, si può dire che questa vicenda, e il suo probabile risultato positivo, sono sommamente istruttivi: se anche l’uso terapeutico della cannabis è tuttora gravato da un tabù così pesante da impedirne la piena utilizzazione, si può ben capire perché una ragionevole legalizzazione per uso ricreativo incontri tanti ostacoli. Non è un caso che nel momento stesso in cui sembra accertato il consenso del ministro della Salute alla produzione di cannabis medica, il primo interesse di Beatrice Lorenzin sembra quello di affermare la sua irresistibile, impermeabile e inossidabile opposizione a ciò che ella chiama "liberalizzazione". Ci cascano le braccia. È da quarant’anni che gli antiproibizionisti insistono su un punto cruciale: quello vigente oggi in Italia è propriamente un regime di liberalizzazione. Ovvero un sistema che permette a chiunque, a qualunque ora del giorno e della notte, in qualsiasi via o piazza di qualunque città, di acquistare una qualsivoglia sostanza stupefacente presso un’estesa rete di esercizi commerciali: gli spacciatori. Come si vede, un vero e proprio regime di liberalizzazione (illegale). All’opposto, ciò che vorremmo è una normativa di regolamentazione uguale a quella adottata per altre sostanze perfettamente legali e il cui abuso produce danni assai maggiori di quelli determinati dall’abuso di derivati della cannabis. Dunque, produzione, distribuzione e commercializzazione a carico dello Stato, con adeguata tassazione, e con limiti e vincoli. Ma è davvero così difficile intenderlo? Cuba: liberato Giulio Brusadelli, era detenuto per possesso di 3 grammi di erba Ansa, 6 settembre 2014 La notizia arriva da Luigi Manconi. "Questa mattina alle 3:40 ho ricevuto un sms da Cuba: Patrizia e Paolo Brusadelli mi scrivevano che il loro figlio, Giulio, 34 anni, era finalmente stato liberato. Il giovane uomo il 3 marzo scorso era stato arrestato perché trovato in possesso di 3,5 grammi di marijuana e condannato a 4 anni di carcere per traffico". Brusadelli - ricorda Manconi - soffre da quasi vent’anni di una grave sindrome maniaco-depressiva che, una volta recluso nel carcere di Santiago, è precipitata fino a ridurlo in uno stato catatonico. "Dimagrito in maniera spaventosa, da settimane si sottrae al cibo, alle cure, a qualunque comunicazione verbale. Così che la sua stessa incolumità fisica è in grave pericolo. Questo ha fatto sì che un caso giudiziario si sia trasformato in una drammatica vicenda umanitaria. Grazie all’intelligente tenacia dei suoi genitori, dell’avvocato Grazia Volo, del sottosegretario agli Esteri Mario Giro, di tutto il personale dell’ambasciata italiana a Cuba, e alla grande disponibilità dell’ambasciata cubana a Roma, la vicenda si è infine conclusa positivamente. Ora c’è solo da augurarsi che Giulio Brusadelli possa rapidamente veder migliorare le proprie condizioni generali di salute". India: un film del regista bolognese Adriano Sforzi sulla storia del giovane italiano recluso Dire, 6 settembre 2014 "Ci siamo conosciuti all’oratorio di Albenga quando eravamo piccoli: ero il suo allenatore, lui è più giovane di me. Ci siamo ritrovati a Bologna, qualche anno dopo. Io andavo all’Università, lui lavorava. Era un ragazzo normale, la sua famiglia è benestante, il suo futuro era tracciato: un piccolo borghese che faceva l’alternativo, con gli orecchini e tutto il resto. Ribelle e in fuga, continuamente. Piazza Maggiore non gli bastava. Fece i bagagli e andò a Londra, ma non trovò se stesso. Così, decise di cercarsi nell’Uttar Pradesh, India settentrionale. Sono passati quattro anni". Adriano Sforzi, giovane regista bolognese riassume così il tratto di vita che lo lega all’amico Tomaso Bruni. La storia di Bruni è nota: accusato di omicidio con Elisabetta Boncompagni per la morte di Francesco Montis (i tre amici erano insieme in India), dal 7 febbraio 2010 è in carcere a Varanasi a scontare l’ergastolo. Martedì prossimo, il 9 settembre, la Corte Suprema si pronuncerà per confermare o meno la pena. Per lui, per restituirgli lo spazio che gli è stato levato, Sforzi oggi pomeriggio volerà a Nuova Delhi: da tempo, infatti, sta lavorando a ‘Più libero di primà (www.piuliberodiprima.it). Un documentario, non un film di denuncia: i tre giorni dei genitori prima della sentenza definitiva. "È il film che mai avrei voluto fare. Il punto di vista sarà quello di Tomaso, ma lui, lui sarà il grande assente: senza telefono, senza computer, in una baracca con altre 150 persone. Non ci sarà fisicamente, ma attraverso l’animazione mostrerò quello che fa in carcere, come sta, chi incontra. Useremo il materiale d’archivio, le fotografie, le riprese anche amatoriali. Ci riuscirò perchè tutta la sua vita è descritta in quello che io chiamo il suo romanzo di formazione". Tomaso, infatti, scrive: lettere, rigorosamente a mano, che arrivano ai destinatari dopo un iter complicato (lui le manda all’avvocato che le porta alla mamma la quale le scansiona e le fa avere ai diretti interessati): "Nelle prime, sognava la Playstation3, primo regalo che si sarebbe fatto appena tornato. Nelle ultime scrive "ero un ragazzo in cerca di me stesso, oggi non provo nessun rancore nei confronti di chi ha reso possibile questa ingiustizia. Un bel cambiamento, no?". Sforzi racconta che le sue lettere sono sempre divise in tre parti: nella prima racconta le sue giornate, poi chiede di stare tranquilli perchè tutto finirà presto e in chiusura commenta la Serie A, scrive di Inter, soprattutto: "Sul muro della cella ha disegnato la classifica. Ogni mese, sua mamma gli spedisce tutti i numeri della Gazzetta dello Sport e lui la aggiorna. Io lo so perchè lo fa: da piccoli, l’unico modo per vedere i gol della domenica era andare al baretto a vedere 90esimo minuto. In realtà, era soprattutto una scusa per stare insieme. Seguendo il calcio, si sente a casa". Il primo viaggio per avere il permesso per il film, Sforzi l’ha fatto lo scorso anno, con il direttore della fotografia Marco Ferri: la bolognese Articolture e la torinese Ouvert hanno dato l’appoggio produttivo a scatola chiusa. "Non mi ci sarei messo se Tomaso non avesse voluto. Per entrare in carcere, la polizia ci ha controllato tutto, dalle scarpe alle orecchie. Quando gliel’ho proposto, mi ha detto: "Nesci, se non lo fai tu. È il mio modo per aiutarlo". Oggi, con lui ci saranno Ferri e Camilla, la sorella di Tomaso. Ad attenderli, i genitori: "Negli ultimi tempi lo Stato si è molto stretto alla famiglia. L’ambasciatore italiano in India è sempre stato con loro, anche la scorsa udienza: ora sua madre e suo padre si sentono accompagnati e protetti. Non solo: da un anno a questa parte è stato dato loro lo stesso avvocato dei marò Latorre e Girone. Le due vicende sono evidentemente molto legate". Tomaso "è innocente: l’autopsia l’ha fatta un oculista e il corpo di Francesco è stato prima mangiato dai topi, poi bruciato", racconta Sforzi, un’infanzia in giro per l’Italia con la sua famiglia circense e una laurea al Dams di Bologna. Già vincitore di un David di Donatello per il miglior cortometraggio con "Jody delle giostre" (2011) e aiuto regista di Ermanno Olmi per "Cento chiodi", in Cineteca insegna cinema ai bambini. Ora, tutta le forze sono concentrate sull’amico, in un progetto reso possibile anche grazie a una campagna di crowd-funding, che in pochi giorni ha già raccolto più di 4 mila euro. E il finale del film? Esiste già? "Certo. Sono le immagini di Tomaso che scende la scaletta dell’aereo a Milano, finalmente tornato libero". Canada: detenuto posta foto mentre fuma sigari e beve cognac da 250 dollari a bottiglia www.news.you-ng.it, 6 settembre 2014 Bordeaux, il famigerato carcere di Montreal, si rifiuta di commentare l’episodio che ha coinvolto un suo detenuto che ha postato su Facebook le foto di se stesso con del buon cognac in una mano e un sigaro nell’altra. Il titolo della foto, proveniente da una cella nell’area nord-est della prigione e postata dal giovane detenuto Michael Simoneau-Meunier è "Xo e bella vita in prigione." Per chi non lo sapesse Xo si riferisce alla bottiglia di cognac che nella foto tiene in mano, del valore di circa 250 dollari. Simoneau-Meunierè in attesa di una sentenza per una rapina compiuta a fine agosto. Nel frattempo, oltre a pubblicare questa foto, ne ha pubblicate altre di se stesso e di altri detenuti, mettendo in mostra il proprio fisico. Ha inoltre scambiato messaggi con gli amici su Facebook, tenendoli aggiornati su eventuali date della sua sentenza e della libertà vigilata. Il dipartimento della Pubblica Sicurezza del Quebec ha rifiutato di commentare l’episodio e ha confermato la linea di tolleranza zero per alcol, droghe, tabacco o cellulari in prigione. Una fonte interna alla prigione di Bordeaux ha fatto sapere che i detenuti sono soliti fare affari con contrabbando di cellulari e sono così veloci che le guardie non fanno in tempo a confiscarli che già ne hanno altri. India: carceri piene, fuori chi è senza processo da troppo tempo Agi, 6 settembre 2014 La Corte Suprema indiana ha ordinato alle carceri del Paese, notoriamente sovraffollate, di liberare tutti i detenuti che siano rimasti rinchiusi almeno metà del periodo massimo di pena, pur senza processo: una sentenza clamorosa destinata ad avere conseguenze per centinaia di migliaia di detenuti. Più di due terzi dei quasi quattro milioni di detenuti rinchiusi nelle carceri indiane sono in attesa di processo, sostiene Amnesty International, e molti di loro hanno già trascorso anni in prigione. La legge indiana prevede che i detenuti in attesa di giudizio debbano essere rilasciati una volta che abbiano scontato metà della pena massima che avrebbero ricevuto se giudicati colpevoli; ma quella legge è raramente applicata. Adesso il giudice dell’Alta Corte RM Lodha ha stabilito che tutte le prigioni debbano rispettare la legge e ordinato a giudici e magistrati di sorvegliare le varie situazioni giudiziarie. "Gli ufficiali giudiziari debbono identificare i prigionieri che abbiano completato metà del massimo periodo di detenzione previsto per i reati di cui sono accusati", ha detto; "e dopo aver completato la procedura, dovranno trasmettere ordini adeguati alle carceri per il rilascio dei prigionieri in attesa del processo". Iraq: deputato annuncia; presto libero Tareq Aziz, l’ex braccio destro di Saddam Hussein Aki, 6 settembre 2014 Il deputato iracheno Izzat Shabandar ha annunciato in un’intervista al quotidiano pan-arabo "al-Sharq al-Awsat" che l’ex braccio destro di Saddam Hussein, Tareq Aziz, sarà scarcerato a breve. Secondo Shabandar, parlamentare indipendente, la scarcerazione di Aziz e dell’ex ministro della Difesa di Saddam, Sultan Hashim, è una delle richieste avanzate dalla Coalizione delle Forze Nazionaliste, il blocco parlamentare sunnita, al premier incaricato Haider al-Abadi. "È una richiesta accolta con favore - ha detto il parlamentare. Credo che saranno rilasciati presto. Questo atteggiamento (del premiere incaricato, ndr) porta speranza e un approccio di tipo nuovo rispetto a quello del premier uscente Nuri al Maliki". Il 78enne cristiano Aziz, le cui condizioni di salute sarebbero gravi, è detenuto dal 2003 e sconta una condanna a 15 anni di carcere. Siria: Organizzazioni Non Governative chiedono rilascio di tre attivisti in carcere da 2012 Aki, 6 settembre 2014 Sono 79 le organizzazioni non governative che in un comunicato congiunto hanno chiesto il rilascio immediato di tre noti attivisti per i diritti umani siriani, tra cui il giornalista Mazen Darwish in carcere dal febbraio 2012. "Il governo siriano deve rilasciare immediatamente e senza condizioni il difensore dei diritti umani Mazen Darwish detenuto in modo arbitrario" e i suoi colleghi Hussein Ghreir e Hani Zaitani, recita il comunicato firmato da 79 gruppi tra cui Human Rights Watch, Amnesty International e Reporters Without Borders. I tre lavoravano per il Syrian Center for Media and Freedom of Expression (Scm) e sono in carcere da quando le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nell’ufficio del gruppo a Damasco più di due anni e mezzo fa. Le accuse nei loro confronti sono di "diffusione di atti terroristi" in base alla legge siriana contro il terrorismo. I tre non sono stati rilasciati nemmeno nell’ambito dell’amnistia annunciata lo scorso 9 giugno da Bashar al-Assad. Marocco: detenuti salafiti uniti nel prendere le distanze da Stato islamico Nova, 6 settembre 2014 Per la prima volta i detenuti salafiti marocchini hanno unito le loro penne scrivendo una serie di comunicati che condannano l’operato dello Stato islamico in Siria e Iraq. Secondo il sito informativo marocchino "Hespress", è iniziata una gara definita "sospetta" tra i capi dei detenuti salafiti nel prendere le distanze dalla formazione di al Baghdadi. Secondo i salafiti marocchini lo Stato islamico "è un gruppo infiltrato dall’Iran e sostenuto dall’Occidente". Il primo ad esprimersi lo scorso mese è stato Nureddin Nafia seguito dal capo dei volontari marocchini in Afghanistan Omar Maruf.