Giustizia: la riforma di Orlando? un elenco di sconfortanti ovvietà di Maurizio Tortorella Panorama, 5 settembre 2014 Per carità, l’idea lanciata dal premier Matteo Renzi di ridurre le ferie dei magistrati non è di per sé negativa, anzi. Nell’estate 2014 i tribunali sono restati chiusi (e lo resteranno ancora) per la bellezza di 45 giorni, dal 1° agosto al 15 settembre. Ma Renzi non può cavarsela con l’ennesima battuta demagogica: perché non è con queste bagatelle che si risolve il massacro della giustizia italiana. Proprio in questi giorni la politica torna a discutere e ad accapigliarsi sulla giustizia, ma lo fa su una serie di parole d’ordine vuote. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando in giugno aveva lanciato un piano di riforma in 12 punti, che purtroppo (anche alla luce delle più dettagliate schede su cui si sta lavorando) continua a sembrare un elenco di sconfortanti ovvietà: ridurre i tempi dei processi, dimezzamento dell’arretrato, informatizzazione del sistema giudiziario... Tutte cose giuste, per carità, delle quali però si ciancia da decenni senza alcuna concretezza. Il problema è che la giustizia penale non è né di destra, né di sinistra: al contrario, una giustizia funzionante e celere, ma garantista verso gli autori come verso le vittime dei reati, serve a tutti. Invece i tribunali sono intasati da centinaia di migliaia di processi inutili, perché relativi a reati di poco conto e spesso inesorabilmente destinati alla prescrizione. Per questo è necessario procedere alla depenalizzazione di una serie di reati minori, quelli meno dannosi per la comunità e più difficilmente perseguibili. Ma di questo non si parla, nei dibattiti politici. Lo stesso principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale viene spesso usato come alibi per coprire lentezze e mancanze dell’attività giudiziaria: ci sono reati che non vengono quasi più trattati, come le truffe, eppure causano grave danno e allarme sociale. Una soluzione pienamente rispettosa dell’autonomia della magistratura potrebbe essere quella di affidare ai procuratori generali presso ogni Corte d’appello una più puntuale e consapevole funzione d’indirizzo all’inizio di ogni anno. Ma anche il Parlamento potrebbe utilmente indicare priorità e obiettivi annuali dell’attività giudiziaria. La lentezza dei procedimenti è effettivamente un problema gravissimo, tant’è che l’Italia è da anni stabilmente al primo posto in Europa per numero di condanne subite dalla Corte dei diritti dell’uomo, a Strasburgo. Vanno stabilite regole più puntuali sull’organizzazione degli uffici giudiziari, per arginare il tempo di trattazione dei fascicoli. I presidenti di tribunali e corti d’appello devono essere pienamente responsabilizzati. Deve diventare un dovere prevenire e porre rimedio ai ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati, prevedendo che eventuali violazioni possano incidere negativamente sulla loro carriera. Al centro del processo penale va comunque riportato il dibattimento. Troppe volte la gogna mediatica si impadronisce dei procedimenti, alterandone anticipatamente il corso e distruggendo la vita d’indagati e imputati. Al termine delle indagini preliminari gli atti giudiziari e le intercettazioni, il cui utilizzo avrebbe peraltro limiti puntualmente descritti nei codici, debordano sui mass media senza alcun controllo e senza possibilità di contraddittorio. Sarebbe giusto ipotizzare un temperamento alla totale pubblicità degli atti stabilendo limiti più chiari, responsabilizzando i capi delle procure e prevedendo sanzioni disciplinari. La custodia cautelare non può essere uno strumento per estorcere confessioni o patteggiamenti di pena e deve tornare nell’alveo delle prescrizioni del codice, che in proposito indica tre limiti ben precisi: il rischio di reiterazione del reato, dell’inquinamento probatorio, della fuga dell’indagato. Bisogna contrastare ogni abuso, stabilendo sanzioni disciplinari anche gravi per magistrati e giudici che dispongano l’arresto preventivo (soprattutto quello in carcere) in assenza di una giustificazione più che concreta. L’abuso della custodia cautelare ha come effetto anche il disastroso sovraffollamento delle carceri, dove in questo momento più di 4 detenuti su 10 sono in attesa di giudizio. L’appiattimento dei giudici preliminari sulle richieste presentate dal pubblico ministero è un dato statisticamente rilevante: per questo, un altro strumento capace di attenuare gli eccessi della custodia cautelare in carcere potrebbe venire dalla collegialità del giudice incaricato della sua applicazione. La responsabilità civile dei magistrati introdotta dal referendum del 1987, che venne approvato dall’80,2% degli elettori e fu poi tradito dal legislatore, deve smettere di essere una formula vuota. Il magistrato che compie errori con dolo andrebbe non soltanto punito, bensì allontanato dall’ordine giudiziario. Ma anche il magistrato il quale avvia azioni giudiziarie che in 9 casi su 10 finiscono in un non luogo a procedere (ce ne sono, ce ne sono...) dovrebbe pagare per la sua inadeguatezza. Andrebbe rivisto soprattutto il ruolo dei pubblici ministeri, allo scopo di riportarne le funzioni nell’alveo d’indirizzo delle altre grandi democrazie occidentali. Ma questo dovrebbe essere fatto senza togliere alcuno strumento a chi voglia efficacemente aggredire l’ampia area d’illegalità presente nella società italiana. Per questo è necessario passare attraverso una riforma del Consiglio superiore della magistratura che, tenendo fermi i principi contenuti negli articoli 104, 105 e 111 della Costituzione, distingua il trattamento delle carriere e dei procedimenti disciplinari dei pubblici ministeri da quello dei magistrati giudicanti. Nel Csm va anche drasticamente ridimensionato il ruolo ormai preponderante della correnti organizzate della magistratura: trasformatesi praticamente in partiti, le correnti procedono ormai da anni a una lottizzazione strisciante degli uffici direttivi, con criteri raramente indirizzati all’efficienza. Sul merito quasi sempre prevale lo scambio, e troppo spesso gli stessi procedimenti disciplinari si risolvono in nulla a causa di veti incrociati. Vanno individuati diversi criteri di nomina dei consiglieri: c’è chi ha proposto perfino l’estrazione a sorte dei loro nomi, ma basterebbe rivedere i meccanismi elettorali per accedere al Csm (per esempio: no al voto su liste bloccate). Per garantire il principio costituzionale della separazione dei poteri, va anche stabilito il rigido divieto di rientrare nei ranghi della magistratura per giudici e pubblici ministeri che si siano candidati a elezioni di ogni tipo. Allo stesso modo, devono anche rientrare nei ranghi della magistratura gli oltre 200 magistrati attualmente fuori ruolo e impiegati presso le amministrazioni dei ministeri. Giustizia: il Senato boccia la responsabilità civile dei magistrati, riforma nel ddl Orlando di Alessandro Galimberti Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2014 Mentre il commissario europeo Martine Reicherts - che a Roma sta "bissando" i colloqui di mercoledì a Bruxelles con il ministro Andrea Orlando - rinnova l’apprezzamento per l’approccio alla riforma del processo civile, in patria riesplode il contrasto politico sui magistrati, dal tema della responsabilità civile a quello dell’interruzione feriale dei termini processuali. Tanto che il decreto legge, che appunto tocca anche le ferie delle toghe, è ancora fermo a Palazzo Chigi in attesa di essere trasmesso per l’esame e la firma al capo dello Stato. Lo stesso premier Matteo Renzi, che si è espresso pubblicamente in più occasioni sulla sospensione dei termini feriali, terrebbe molto anche a un ridimensionamento dei giorni di ferie concessi alle toghe, oggi 36. Molto probabilmente il testo del di sarà trasmesso al Quirinale non prima di lunedì, perché si attende il rientro del premier dal vertice Nato di Newport, proprio per risolvere la questione. La riduzione della sospensione dei termini feriali - cioè del periodo in cui i tribunali e le procure funzionano a regime ridotto, assicurando le urgenze e sospendendo le udienze ordinarie - è già entrata nel testo del decreto: il periodo di pausa passa dal quello attuale, 1° agosto -15 settembre, a 3 - 31 agosto, con un dimezzamento. Sarebbe però stata prevista anche una norma transitoria per posticiparne l’efficacia al 2015 ed evitare l’impatto sul periodo feriale ancora in corso. E a una norma transitoria per spostare tutto al 2015 si starebbe pensando anche per le ferie dei magistrati, puntando a inserire la nuova misura nel provvedimento, ma sempre con efficacia posticipata. Il tema è però delicato, sia sotto un profilo tecnico (bisogna giustificare la presenza di una norma transitoria in un decreto legge) sia nel merito, per i rapporti con l’Anm, che già aveva espresso perplessità sul taglio dei termini feriali temendo un intervento "di facciata" che in realtà poco inciderebbe sulla durata dei procedimenti e sui tempi della giustizia, come aveva detto nei giorni scorsi il presidente Rodolfo Sabelli. Altro tema di conflitto in corso è la normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, "esodata" dalla legge comunitaria. La commissione Politiche Ue del Senato ha soppresso dal testo l’articolo della Camera introdotto da un emendamento della Lega su cui il governo, a giugno, era stato battuto. L’emendamento Pini consacrava quello che è da sempre un cavallo di battaglia del centrodestra, prevedendo che "chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue finzioni, ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato e contro il soggetto riconosciuto colpevole per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale". La norma scritta nel ddl di riforma della giustizia, invece, ha tra l’altro eliminato l’azione diretta contro i magistrati, considerandola "un’intimidazione". Sintesi che scatena la protesta dell’emendatore Gianluca Pini, che parla di un "Senatino di pavidi". Giustizia: il premier Renzi insiste con il taglio delle ferie ai magistrati, dubbi di Orlando di Silvia Barocci Il Messaggero, 5 settembre 2014 Dibattito aperto, il decreto a Palazzo Chigi in attesa di essere inviato al Colle. Via Arenula: in corso approfondimenti tecnici. La riforma della giustizia civile? Su quella "tutti concordano". È stato il refrain delle lunghe settimane di consultazione estiva del ministro Orlando con maggioranza e opposizione. Eppure, a una settimana dal varo in consiglio dei ministri del pacchetto giustizia, è proprio il decreto legge per abbattere l’arretrato civile a non essere stato ancora trasmesso al Quirinale per la firma del Capo dello Stato e la successiva la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il motivo? Le ferie dei magistrati. Che il premier Renzi in persona intende tagliare da 45 a 36 giorni l’anno. Dopo aver preteso e ottenuto che nel decreto sul civile fosse inserita la norma che riduce da 45 a 25 giorni (6-31 agosto dal 2015) la sospensione feriale dei tribunali, il premier ha puntato dritto anche alle vacanze estive dei magistrati: "Quarantacinque giorni? Troppo lunghe". La convinzione del presidente del Consiglio è che, anche a costo di aprire un nuovo fronte di scontro, la riduzione sia un passaggio necessario per contribuire alla velocizzazione dei processi e allo smaltimento degli arretrati. Tema non facile da affrontare per decreto legge, sia politicamente che tecnicamente. Chi mai in passato ha osato toccare l’ordinamento giudiziario del 1942 addirittura con un provvedimento d’urgenza e senza consultare prima l’Associazione nazionale magistrati? L’Anm, peraltro, ha già altre ragioni di malcontento e non le ha nascoste. Il sindacato delle toghe ha per esempio storto il naso a proposito del ddl governativo sulla responsabilità civile che va sì a sostituire il testo punitivo del leghista Pini agganciato alla Comunitaria (ieri l’emendamento è stato soppresso al Senato). Ma dovrà comunque fare i conti con l’abolizione dei filtri ai ricorsi dei cittadini che si ritengono vittime di errori giudiziari e con l’obbligo di rivalsa dello Stato sul magistrato fino al 50 per cento del suo stipendio. Nel rimpallo tra gli uffici di via Arenula e quelli del Dagl, vale a dire il Dipartimento affari legislativi di Palazzo Chigi retto da Antonella Manzione, il ministero della Giustizia fa laconicamente sapere che "sono in corso approfondimenti tecnici". Probabilmente sarà necessaria una norma transitoria che faccia valere i tagli di ferie dal 2015, così da salvare quelle già maturate dalle toghe nell’anno in corso. O, più realisticamente, Orlando dovrà fare i conti con le obiezioni che già qualche giorno fa, quando era cominciata a circolare la voce della precisa indicazione di Renzi, il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli aveva sollevato: "Inefficienze e ritardi della giustizia non dipendono dalle ferie dei magistrati ma dall’inadeguatezza della normativa processuale e da un problema di risorse". Il nodo potrebbe sciogliersi tra oggi e domani, prima che il testo venga inviato al Colle. Non è questa, però, l’unica questione aperta. Se i problemi ci sono anche sul testo che sembrava essere il più blindato di tutti, figuriamoci su quelli che riguardano gli spinosissimi temi del falso in bilancio, dell’auto-riciclaggio e di altre norme penali. Sul falso in bilancio (reclusione da 2 a 6 anni con la procedibilità a querela solo per le aziende che non raggiungono i requisiti minimi per essere assoggettate a procedura fallimentare), il Ministero dello Sviluppo economico ha sollevato obiezioni sul rischio di ledere l’attività delle piccole aziende. Critiche condivise da Ncd e, ancor di più, da Forza Italia. Anche la formulazione dell’auto-riciclaggio (da 3 a 8 anni di carcere) è in fase di riscrittura, con l’obiettivo di circoscrivere i casi di punibilità a chi abbia operato in modo tale da ostacolare l’identificazione del provenienza delittuosa del denaro. Infine, la delega al governo per riscrivere le norme sulle impugnazioni potrebbe essere limitata al divieto di ricorso in Cassazione delle sentenze di doppia conforme in caso di assoluzione (e non anche di condanna).Mai testi del penale avranno bisogno di ulteriori limature. Il primo scoglio, ora, è quello delle ferie dei magistrati. Giustizia: Berlusconi -Renzi… un "Nazareno bis" su riforma Csm e Corte Costituzionale di Mario Ajello Il Messaggero, 5 settembre 2014 Il patto bis del Nazareno, quello sulla giustizia, ancora non è stato messo nero su bianco, ma il canovaccio si inizia a intravedere. Anche per rispondere, sulla giustizia in generale e sull’elezione dei membri del Csm e della Consulta in particolare, alla fretta che il presidente Napolitano sta mettendo ai partiti. Silvio Berlusconi non fa che ripetere, tra Palazzo Grazioli e Villa San Martino: "Il Paese non ha bisogno di barricate e io non ne faccio e non ne farò su nulla". Significa che c’è già un accordo vero con Renzi? Questo ancora no. Ma siamo al work in progress. Il 10 settembre, mercoledì prossimo, difficilmente in Parlamento ci sarà la rappresentazione plastica dell’accordo, riassunta dall’elezione bipartisan degli otto componenti del Csm e dei due della Consulta. I nomi girano. Le candidature e le autocandidature fioccano. Ma Renzi e Berlusconi, nella loro conversazione telefonica, si sono detti che non prima del 15 settembre si potranno vedere, e soltanto in quella occasione - guardandosi negli occhi - potranno siglare il nuovo capitolo del patto del Nazareno. Per ora, si odorano a distanza, e tramite Denis Verdini di cui Berlusconi dice "ormai funge da vice-premier" e su cui Delrio ironizza: "Conta più di me". Verdini, non in esclusiva, ha in mano anche il dossier giustizia, oltre a quello dell’Italicum. E i due leader, odorandosi, stanno anche azionando la bilancia. Esempio. A Berlusconi i suoi consiglieri vanno dicendo in queste ore: "Per la Corte costituzionale ci conviene la coppia Violante-Catricalà?". E avanzano questo ragionamento, che l’ex Cavaliere - convinto da sempre che la Consulta sia di sinistra e vada bilanciata meglio - accoglie con un certo interesse: "Violante è un politico-politico. Catricalà, persona di primissimo livello, è un tecnico. Non bisogna fare regali a Renzi, e al Pd". L’eventuale coppia formata da Calvi (avvocato ed ex senatore dei Ds) e Catricalà (per il Pd più gradito di Donato Bruno, ed è anche amico di Gianni Letta il che per buona parte della sinistra è un merito) c’è chi la considera nell’entourage berlusconiano più equilibrata. Se per Berlusconi, alla Consulta, il tandem Violante-Catricalà alla fine sarà digeribilissimo, vedere Massimo Brutti vice-presidente del Csm al posto del centrista Michele Vietti sarebbe quasi un oltraggio. Un comunista alla guida del Csm, come se a Palazzo dei Marescialli non ce ne fossero già tanti? Così ragionerebbe il Berlusconi classico. Ma adesso, in cambio di modifiche profonde alla riforma della giustizia - per esempio sul falso in bilancio - o davanti a scelte condivise e non di sinistra per la guida di importanti uffici giudiziari (tra cui Milano cioè la bestia nera, anzi rossa, del berlusconismo fin dalla sua fondazione e Napoli dove l’ex Cavaliere è a processo), Berlusconi è pronto a concessioni sostanziose. Brutti, che ha una storia di sinistra-sinistra ma da Ghedini è stimato e ha un profilo garantista doc, è tra i 4 nomi che spettano al Pd. Insieme a Giovanni Fiandaca, già candidato da Renzi alle europee in Sicilia, ben visto da Napolitano e del quale il centrodestra ha cominciato da tempo ad apprezzare le prese di posizione non ideologiche o dietrologiche sulla presunta trattativa Stato-mafia. La trattativa è aperta. Qualche fumata nera ancora potrebbe esserci. Poi il momento di coagulo sarà nell’incontro Renzi-Berlusconi. Quest’ultimo fa di tutto per non perdere il suo profilo "aperturista". La scelta su Csm e Consulta s’intreccia con la partita della riforma della giustizia alla quale l’ex Cavaliere si accinge con questo mood: "Mi sforzerò di dire più sì possibili". Giustizia: Rita Bernardini (Radicali); politica sorda sulla certezza del diritto Ansa, 5 settembre 2014 È la mancanza della legalità, di certezza del diritto che porta l’Italia tra i Paesi con cattiva giustizia. E la politica sembra sorda a risolvere questo problema, nonostante le reiterate condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo". Lo ha detto Rita Bernardini al termine della visita nel carcere di Arghillà, a Reggio Calabria, fatta insieme al leader dei radicali, Marco Pannella. "Per quel che riguarda l’amministrazione della giustizia - ha aggiunto - siamo al 144/mo posto al mondo. Oggi siamo venuti ad Arghillà, un carcere nuovo, la cui realizzazione è durata circa trent’anni e non si sa quanti soldi spesi. Voglio sottolineare che qui c’è una direttrice, la dottoressa Longo, veramente capace. Qui è molto carente l’assistenza sanitaria. Un detenuto oggi ci ha fatto vedere una grossa escrescenza al braccio, una probabile ciste, e da sei mesi, attende ancora di sapere di cosa si tratti. Voglio inoltre ricordare che sui 99 morti in carcere quest’anno, ventinove sono stati i suicidi. Nelle carceri calabresi il problema sanitario è molto serio e l’Asp di Reggio non ha ancora preso in carico questo nuovo istituto. L’altro problema sottopostoci dalla dottoressa Longo è la bassa utilizzazione lavorativa dei detenuti di Arghillà". "Il lavoro - ha proseguito Bernardini - è una delle caratteristiche, una delle poche attività che può recuperare il detenuto e reinserirlo nel mondo del lavoro. Recuperare per molti di loro trecento euro al mese significa poter dare un minimo di assistenza. Molte persone detenute ad Arghillà appartengono alle fasce sociali più deboli, tossicodipendenti, ma che vivono comunque condizioni molte disagiate che possono spingere all’errore. Molte di loro sono riconosciute innocenti all’esito del processo e spesso capita anche alle persone più deboli che scontano lunghi tempi di custodia cautelare, anni di galera ingiustamente". Pannella: interrompiamo processo putrefazione diritto "La putrefazione ha tempi lunghi, ma se supera un certo grado, si rischia l’irreparabile". Lo ha detto il leader radicale, Marco Pannella, uscendo dal carcere di Arghillà, a Reggio Calabria, dove ha incontrato i detenuti insieme a Rita Bernardini e ad una delegazione composta dal deputato del Pd, Brunello Censore, dall’avvocato Giampaolo Catanzariti, e da Antonio Castorina, responsabile Legalità dei giovani del Pd. "Continuiamo dunque a lottare - ha proseguito Pannella - e a sollecitare la nostra umanità a trarre le sue energie migliori per interrompere questo processo di putrefazione del diritto, come sta accadendo, o si finirà per ammazzare la democrazia". "Vogliano arrestare - ha continuato il leader radicale - questo disastro antropologico perché dove c’è strage di legalità, lì c’è strage di persone". Pannella, inoltre, con riferimento alla Calabria, ha detto che "qui, più che altrove, occorre essere speranza piuttosto che averne. Gli averi, e papa Francesco se ne rende conto, si corrompono e corrompono, mentre essere speranza vuol dire costruire l’avvenire proprio e degli altri". Censore (Pd): ad Arghillà mancano tanti servizi essenziali "Arghillà è una struttura moderna come poche in Italia, anche se mancano tanti servizi essenziali, soprattutto sul versante sanitario. C’è da dire, comunque, che, in generale, le condizioni sono soddisfacenti". Lo ha detto il deputato del Pd Brunello Censore al termine della visita che ha effettuato nel carcere di Arghillà insieme a Marco Pannella a Rita Bernardini. "La nostra - ha aggiunto Censore - è stata una visita anche di conforto a chi si trova ad espiare una giusta pena per come previsto dalla nostra Costituzione. Da tempo condivido e seguo le campagne dei radicali, che ritengo giuste e doverose per un Paese civile". Giustizia: al Dap gare d’appalto truccate con una passata di bianchetto di Paolo Signorelli www.lultimaribattuta.it, 5 settembre 2014 Una passata di bianchetto può cancellare trent’anni di imbrogli? Probabilmente no. Però è stata sicuramente utile quando c’era da truccare, grossolanamente, le gare d’appalto per la gestione dei servizi della Polizia penitenziaria e del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Anni di silenzi colpevoli. Anni di favori omertosi. Anni di dirigenti potenti convinti di restare impuniti. Ma non si può, però, pensare di farla franca vita natural durante. La notizia è ormai trapelata e sta facendo scalpore: Claudia Greco, la donna che per oltre trent’anni ha ricoperto il ruolo di direttrice del centro amministrativo Giuseppe Altavista è indagata per associazione a delinquere e turbativa d’asta. L’Altavista è il polo amministrativo-contabile del Dap. Si occupa sostanzialmente di provvedere alla gestione amministrativa del personale di polizia penitenziaria in servizio a Roma, alla fornitura di beni e servizi e alla manutenzione degli immobili del Dipartimento. Un luogo, questo centro, dove neanche a dirlo, girano parecchi soldi. Ma facciamo un passo indietro. Nel settembre del 2011, l’allora ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, evidentemente insospettito su come il denaro pubblico venisse speso nel Centro Altavista, decise di vederci chiaro ed ordinò un’ispezione negli uffici dello staff della Greco. Quello che venne scoperto fu sconcertante: dei documenti relativi alle gare d’appalto, nonché della loro assegnazione, non esistevano gli originali. Solo fotocopie. E, cosa gravissima e insolita, manomissioni. Le più evidenti erano le cancellature con il bianchetto, falsi grossolani su documenti ufficiali per favorire le società "amiche". Una tecnica infantile, scolastica, usata per cancellare la verità o per utilizzarla ai propri fini. Una cornice che ricorda un pò le malefatte del corrotto direttore del carcere, Norton, nel film "Le ali della libertà", che coinvolgeva con la forza il detenuto (innocente) Dufresne, nelle sue pratiche illecite. Gli imbrogli, che ora vedono indagata la dirigente del Dap, riguarderebbero (il condizionale è d’obbligo visto che ancora non vi è stata condanna) gare d’appalto al di sotto del milione di euro. Cioé le meno soggette a controlli. Possibile che in trent’anni di direzione della Greco non siano mai state fatte altre verifiche? Eppure, di soldi ne giravano molti. Le ipotesi di reato per Claudia Greco (che significativamente si è avvalsa della facoltà di non rispondere, sottraendosi così alle domande del Pubblico Ministero) sono, come si è detto, pesanti come macigni: associazione per delinquere e turbativa d’asta. Già nel giugno del 2012, il generale Enrico Ragosa, fino a pochi mesi prima direttore generale risorse materiali, beni e servizi del Dipartimento amministrazione penitenziaria, fu iscritto nel registro degli indagati per peculato, truffa e abuso d’ufficio. Avrebbe usato le risorse del Dap, gestite insieme con la direzione del centro Giuseppe Altavista a capo della Greco, come fossero le proprie: auto di servizio, autisti come maggiordomi, tutti impegnati nei suoi affari personali, ma pagati dallo Stato. Un generale sperpero di denaro pubblico che sarebbe potuto e dovuto servire per migliorare i servizi penitenziari. Neppure servirebbe ribadire il vergognoso stato in cui versano le carceri italiane. Sovraffollamento, condizioni medico-sanitarie ai limiti della decenza e suicidi quasi all’ordine del giorno. E per questi motivi, il nostro Paese è stato più volte condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per "trattamento inumano e degradante dei detenuti". D’altronde, delle carceri, si parla poco. Ogni tanto una fiammata legata all’attualità di un fatto specifico, poi il silenzio. Troppo spesso i carcerati sono di oggetto di feroci pregiudizi. Questo perché costringono al confronto con aspetti della vita che, ipocritamente, è più facile ignorare: l’errore, la colpa, la violenza, l’espiazione, il male. Ma i detenuti sono anche esseri umani e questo, con troppa frequenza, lo si dimentica. Esiste una soluzione? Trovarla è indiscutibilmente compito di un Governo che quotidianamente si riempie la bocca di obiettivi a breve, medio e lungo periodo. Di sicuro deve essere un monito ciò che è avvenuto in questi anni al Centro Giuseppe Altavista. Un monito che deve servire allo Stato per preservare se stesso e le proprie risorse, evitando che queste vengano sperperate o utilizzate per interessi privati. Non può essere una riga di bianchetto a cancellare diritti e risorse destinate ai detenuti. Già da troppo tempo considerati cittadini di serie b. Giustizia: Fp-Cgil; nella nomina del nuovo Capo del Dap serve discontinuità Agi, 5 settembre 2014 "In considerazione del momento delicato per il mondo del carcere e in vista dell’attuazione dei processi di riforma, crediamo che questa sia l’occasione giusta per segnare una discontinuità rispetto al passato, sia per quanto riguarda il profilo professionale che per la cultura rappresentata dal futuro capo". Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale Fp-Cgil commenta così le indiscrezioni giornalistiche degli ultimi giorni in merito alla nomina del nuovo responsabile del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "Non abbiamo bisogno di una figura burocratica - sottolinea Chiaramonte - nè, tanto meno, di un rappresentante di una categoria, per quanto autorevole possa essere. Abbiamo bisogno di una persona che accanto a incontestabili qualità professionali possegga il profondo senso della missione che - così pensiamo - chiunque sarà chiamato a tale incarico dovrà avere: ripristinare condizioni di buon funzionamento della amministrazione penitenziaria e, al tempo stesso, restituire umanità e rispetto della dignità personale a chi è e sarà soggetto alla pena". Giustizia: Osapp; contro lo "stop" alle retribuzioni siamo pronti a bloccare le carceri Agi, 5 settembre 2014 Il blocco dei salari pubblici è "indecoroso", il blocco delle retribuzioni di forze armate e polizia "indecente": se serve, "bloccheremo le carceri". Ad affermarlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziari (Osapp), secondo cui "appare assolutamente inverosimile che un governo che si dice proiettato verso le riforme e il progresso del Paese cristallizzi al contratto del 2009 gli stipendi delle migliaia di donne e uomini impegnati nelle zone più calde dei conflitti internazionali, come nelle operazioni "Mare nostrum" o nei Cie, o nella quotidiana lotta contro le mafie e per la sicurezza delle istituzioni". "A fronte dell’ulteriore e indecoroso blocco delle retribuzioni per il 2015, preannunciato dal ministro Marianna Madia e che porterebbe a 5 gli anni di interruzione dei salari nel pubblico impiego - ricorda il rappresentante dell’Osapp - un blocco delle retribuzioni anche nei confronti di forze armate e di polizia porterebbe addirittura a 6 gli anni in cui alle donne e agli uomini in uniforme non verrebbe riconosciuto il rischio, spesso della vita stessa, al servizio dei cittadini e dello Stato". "Per quanto riguarda nello specifico la polizia penitenziaria - sottolinea Beneduci - dal 25 al 40% del lavoro svolto in un sistema penitenziario disorganizzato, fatiscente, sovraffollato è rappresentato da prestazioni straordinarie spesso non del tutto remunerate per mancanza di fondi". "Per tali ragioni - conclude - dopo avere atteso e anche richiesto per iscritto chiarimenti agli organi del governo, non ci resta che far sentire la voce dei nostri legittimi diritti attraverso le forme delle più tangibile protesta e per la quale stiamo organizzando assemblee ed incontri tra colleghi in ogni carcere del territorio nazionale, se necessario finalizzati anche alla realizzazione del completo blocco del sistema penitenziario italiano". Sappe: "Sono dei bugiardi e ora vedranno..." (Il Tempo) Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria. Non ve l’aspettavate? "No, e stiamo reagendo. Abbiamo concordato, insieme ai sindacati del comparto sicurezza, lo stato di agitazione delle forze di polizia. In più metteremo in campo altre forme di protesta eclatanti. Hanno sbugiardato i ministri Pinotti e Alfano, che ci avevano promesso la restituzione degli assegni di funzione e gli scatti d’anzianità". A che iniziative eclatanti pensate? "Metteremo in atto una sorta di "sciopero bianco" negli istituti di pena, con l’applicazione fiscale dell’ordinamento che avrà ricadute sui processi, sui colloqui del detenuto e su tutte le altre attività". Cosa comporta la decisione del governo? "Uno scoramento da parte del personale che attendeva tutt’altro. Ma perché non utilizzano il Fondo Unico Giustizia, così da trattarci come gli insegnanti a cui si riconoscono gli scatti d’anzianità del 2011 e 2012? E a noi che rischiamo la vita ogni giorno? Non è sopportabile un blocco salariale di cinque anni". Dove dovrebbero tagliare? "Ci sono tanti dirigenti, al ministero della Giustizia, dell’Interno e in tutti gli altri ministeri, con inquadramento economico, appunto, da dirigente, che però non svolgono quelle funzioni. Perché non tagliano là?". Giustizia: intervista a Emma Bonino "sull’immigrazione l’Europa ha fallito" di Carlo Lania Il Manifesto, 5 settembre 2014 L’ex ministro degli Esteri. Emma Bonino: "Su Frontex plus sono ancora troppi gli aspetti poco chiari. Serve subito un commissario europeo per il Mediterraneo". "A poche centinaia di chilometri da casa nostra c’è un nuovo mondo, molto complesso e di cruciale importanza per l’Europa. Malgrado la situazione di conflitto in cui è piombata l’Ucraina, ritengo fondamentale che l’attenzione dell’Unione europea si focalizzi d’urgenza sulla sponda Sud del Mediterraneo. Ciò di cui abbiamo bisogno è una strategia totalmente nuova". Negli ultimi mesi Emma Bonino ha viaggiato molto in Medio oriente, studiando da vicino le crisi politiche che l’attraversano. "Credo che sia arrivato il momento di prendere atto del fallimento della politica europea di vicinato rispetto a questa regione", dice l’ex ministro degli Esteri. Un fallimento che comprende anche il modo in cui fino a oggi l’Europa ha affrontato l’emergenza immigrazione. "Dobbiamo dire chiaramente - prosegue - che non esiste una politica comunitaria sull’immigrazione, ma che tutto è basato su azioni degli Stati membri su base volontaria". Come giudica l’accordo raggiunto a Bruxelles per avviare la missione Frontex Plus? Prima di giudicare quell’accordo è bene ricordare quanto l’Italia ha fatto fino ad oggi. Dall’inizio dell’anno Mare nostrum ha salvato la vita a più di 75.000 persone, per la maggioranza famiglie in fuga da guerre e dittature in Africa e Asia tramite un paese fuori controllo, la Libia. Il giudizio su Frontex plus potrà essere positivo solo se l’operazione europea - che da quanto annunciato stamani (ieri, ndr) al parlamento europeo si chiamerà "Triton" - potrà fare almeno quanto fatto dagli italiani finora. Purtroppo, i dettagli condivisi ad oggi dalla Commissione non ci garantiscono ancora che questo sarà il caso. Rimangono, infatti, alcune importanti zone d’ombra: quanti stati europei, uomini e navi parteciperanno all’operazione? Per ora solo una manciata di stati ha dato la propria disponibilità per un’azione che è stata proposta come volontaria. Quanto durerà l’operazione? Il budget allocato a Triton pare essere di 3 milioni al mese e non si sa per quanto. Mare nostrum costa 9,5 milioni al mese. L’unica cosa che sembra certa è che la linea di pattugliamento delle navi di Triton sarà meno avanzata di quella Italiana, per evitare il cosiddetto "pull factor". Insomma, coprirebbe prettamente le acque territoriali italiane. Ma con 2.000 morti in mare dall’inizio dell’anno e 110.000 persone sbarcate in Italia c’è da chiedersi se davvero possiamo permetterci di fare queste distinzioni. Per intenderci, 2.000 morti in nove mesi sono tanti quanti le vittime dell’offensiva israeliana su Gaza. Le Nazioni unite parlano di 5.500 vittime civili di Isis nei primi sei mesi del 2014. Nel Mediterraneo è in atto una crisi umanitaria senza precedenti, e un impegno solo volontario dell’Europa e limitato alle acque territoriali pare inadeguato. Infine, rimane da chiarire dove Triton sbarcherà le persone intercettate in mare. Tutte in Italia? Il ministro Alfano ha più volte sottolineato soprattutto le difficoltà economiche alle quali l’Italia deve far fronte per mantenere in piedi Mare nostrum, come se fosse solo una questione di soldi... Il costo di Mare nostrum è senz’altro alto, ma possiamo fare i conti sulla pelle di 100.000 persone? Per una volta il nostro Paese può finalmente vantarsi di avere fatto meglio e di più del resto d’Europa. Dovremmo andarne fieri e cercare di convincere l’Europa a promettere di più. La questione finanziaria non può certo essere ignorata, ma per aggirarla ci vogliono migliori risposte politiche. L’immigrazione non è più solo economica. Abbiamo di fronte milioni di persone che fuggono dalle guerre. Finora l’Italia ha risposto con Mare nostrum riuscendo a salvare più di 100 mila persone in dieci mesi. Ora si cambia. L’Europa torna a chiudere le sue frontiere? Non direi che l’Europa torna a chiudere le sue frontiere, ma senz’altro quanto abbiamo sentito ad oggi su Frontex Plus non ci garantisce che il livello di apertura dimostrato dall’Italia nei confronti dei richiedenti asilo sia mantenuto. L’Europa deve al più presto risolvere un nodo fondamentale, quello dei canali sicuri di accesso alla protezione internazionale. È possibile che chi fugge da una guerra debba attraversare il mare in tempesta per depositare una domanda d’asilo? Se gli ebrei d’Europa nel 1939 avessero dovuto attraversare l’Atlantico in nave per raggiungere gli Stati uniti, quante persone sarebbero sopravvissute? È necessario pensare a un sistema di tutela in loco, alla cosiddetta "protezione regionale" nei paesi confinanti, ma soprattutto a canali d’accesso diversi per attivare la procedura d’asilo, per esempio tramite il potenziamento delle procedure di reinsediamento internazionale. Ma si tratta d’investire risorse finanziare e di personale nella concezione di un nuovo sistema, mantenendo nel frattempo operativo quello esistente. Su uno dei nodi veri, una revisione del regolamento di Dublino 3 che porti a una diversa suddivisione dei profughi, nessuno però vuole cedere... Nessuno vuole cedere perché il regolamento Dublino 3 è stato approvato l’anno scorso… è futile pensare che lo si possa cambiare così in fretta. Ciò detto, il nuovo regolamento lascia degli spazi a un miglioramento del sistema europeo d’asilo: per esempio, prevede procedure facilitate per la riunificazione familiare dei rifugiati, non costringendo chi ha tutta la famiglia in Svezia o in Austria a dover per forza rimanere in Italia come rifugiato. Le autorità italiane che gestiscono l’asilo devono valorizzare questa possibilità. La presidenza italiana sta inoltre perseguendo un importante obiettivo politico, ossia quello di dare ai rifugiati riconosciuti in Italia la possibilità di circolare verso altri paesi europei, in modo da evitare concentrazioni. Dobbiamo comunque tenere presente la realtà: l’Italia ha ancora meno rifugiati di Germania, Svezia, Francia e Regno Unito e li tratta molto peggio. Sa quante richieste d’asilo abbiamo avuto dall’inizio dell’anno sulle 110 000 persone sbarcate in Italia? Appena 30.000. Certo, in parte perché tra chi sbarca ci sono pure migranti puramente economici. Ma la ragione principale è la lentezza e la carenza del sistema d’asilo italiano, che va assolutamente riformato. Svezia, Francia e Germania investono sulle persone che accolgono e danno loro gli strumenti per contribuire alla propria economia, nonché alla propria fiscalità e ai sistemi pensionistici di Paesi che sono in declino demografico. L’Italia, purtroppo, finora ha relegato un gran numero di rifugiati negli slums delle grandi città - come Ponte Mammolo o il Palazzo Selam a Roma, dove vivono migliaia di persone da anni. Oppure li ha tenuti in attesa della procedura d’asilo per mesi e mesi in grandi campi d’accoglienza spersi nel nulla in mezzo alla Sicilia. Finché non saremo in grado di rendere attrattivo anche il nostro sistema d’asilo sarà difficile che l’Europa ci venga incontro sulla riforma o il miglioramento di Dublino 3, anche comprensibilmente. Tutte le persone che transitano dall’Italia, per ora, vogliono andare in altri paesi europei…e noi ce li lasciamo andare. Lei ha detto no alla proposta avanzata da Juncker di un commissario per l’immigrazione, proponendo a sua volta un commissario Ue per il Mediterraneo. Con quali compiti? E perché non la convince la proposta di Juncker? Il problema delle migrazioni nel Mediterraneo è un problema di politica estera e di sviluppo, non di altra natura. Finché l’Europa non capirà che per gestire i flussi bisogna investire di più nel partenariato allo sviluppo e nell’azione politica per isolare i dittatori nei paesi africani da cui fuggono i rifugiati, o per risolvere le crisi libiche o siriane, i flussi non cesseranno. È inutile investire milioni in tecnologie radar per gli avvistamenti e la presa d’impronte se non si agisce alla fonte. Un commissario al Mediterraneo dovrebbe poter usufruire di un’ampia paletta di strumenti politici e di competenze per risolvere le principali questioni regionali, tra cui l’immigrazione. Deve poter disporre di una struttura adeguata, capace al tempo stesso di districarsi nei meandri del bilancio europeo e di tratteggiare nuove politiche bilaterali. Dobbiamo rafforzare il sostegno a quei Paesi che vogliono salvarsi, come Marocco, Tunisia, Giordania e Libano, e che apparentemente non attirano il minimo nostro interesse. L’Europa deve inoltre riprendere con urgenza il processo di adesione della Turchia. È inutile pensare che l’Europa possa applicare la stessa politica di vicinato all’Ucraina e al Maghreb e Mashreck. I problemi sono diversi e per gestirli ci vogliono due commissari distinti. Giustizia: inchiesta Mose; l’ex assessore Chisso sconvolto dal suicidio del vicino di cella di Davide Tamiello Corriere del Veneto, 5 settembre 2014 Inchiesta Mose. L’ex assessore regionale alle Infrastrutture è in carcere a Pisa da tre mesi. Il detenuto si è impiccato lunedì. Chiesto per il politico il sostegno di uno psicologo. In tre mesi si erano incrociati più volte. Certo, l’ambiente non è tra i più stimolanti per la conoscenza e la conversazione ma quando si è in carcere si instaurano legami complessi, connessi alla parità di condizioni. Quell’uomo che lunedì mattina si è impiccato nel bagno della sua cella si trovava a Pisa, nello stesso penitenziario in cui Renato Chisso è detenuto dal 4 di giugno, in seguito agli arresti contro il sistema di tangenti legate al Mose. L’ex assessore regionale quell’uomo, un 46enne straniero, lo conosceva bene. "Era il suo vicino di cella - spiega il legale di Chisso, l’avvocato Antonio Forza - questa storia l’ha sconvolto, siamo tutti molto preoccupati per lui". Una preoccupazione che avrebbe spinto a chiedere degli incontri con uno psichiatra, per monitorare lo stato psicofisico dell’ex assessore. "In questi casi c’è sempre un rischio emulazione - continua Forza - disgrazie come queste non fanno certo bene all’umore. Quell’uomo lo conosceva bene, le loro celle erano a una distanza di cinque o sei metri, è rimasto molto impressionato dalla sua morte. In più va considerato che la condizione carceraria è molto differente per un condannato in via definitiva e un detenuto per custodia cautelare. Chi sa che deve scontare una pena ha un certo tipo di aspettative, ma chi è in custodia vive una condizione di ansia continua, non sa se potrà tornare a casa, quanto durerà il processo, non sa come potrà finire. Questo stato di cose, ovviamente, dal punto di vista emotivo aggrava la situazione". Il suicidio del 46enne è stato reso noto da Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria. "Sulla carta - afferma il sindacato in una nota - il sovraffollamento penitenziario in Toscana non sarebbe in condizioni critiche, a differenza di altre sedi, visto che per i 3.246 detenuti presenti sarebbero 3.345 i posti della capienza regolamentare e, addirittura, 4.916 i posti della capienza tollerabile. Nel carcere di Pisa a fronte di una capienza regolamentare di 288 posti sono presenti 261 detenuti. Oggi a Pisa sono altre le cause, probabilmente, insite in un sistema e in una organizzazione che al di là dei numeri produce comunque disagio e sofferenza nell’utenza come nel personale". Per Renato Chisso, intanto, i giorni passano in attesa del 25 settembre, data in cui la Cassazione discuterà la trattazione del ricorso per la remissione in libertà. L’avvocato Forza, intanto, aspetta l’esito degli esami clinici e cardiologici dell’ex assessore. "La situazione non è buona - spiega il legale - ha problemi di pressione, con minime molto alte. E alcune questioni che si trascina dopo l’infarto dell’estate scorsa non sono ancora superate: una delle coronarie è quasi completamente ostruita". Se gli esami proveranno che le condizioni dell’ex assessore non sono compatibili con la detenzione in carcere, verrà presentata una nuova istanza di scarcerazione per motivi di salute. È tornata in libertà invece per scadenza dei termini cautelari Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato alle Acque di Venezia, che si trovava ai domiciliari dopo un primo periodo di carcere. Finita la custodia preventiva per altri tre indagati che si trovavano da tempo ai domiciliari: Vincenzo Manganaro, Luigi Dal Borgo, e Alessandro Cicero, accusati di millantato credito, tornati a loro volta in libertà. Il gip Antonio Liguori deciderà nelle prossime ore se liberare, per gli stessi motivi, anche il capo della segreteria di Chisso, Enzo Casarin. Giustizia: Cassazione; Cosentino resti in carcere, per indagine Dda sugli affari di famiglia di Marilù Musto Il Mattino, 5 settembre 2014 Niente da fare, l’ex sottosegretario ed ex coordinatore campano di Forza Italia, Nicola Cosentino, resta in carcere per le accuse contenute nell’inchiesta sul monopolio della distribuzione dei carburanti in provincia di Caserta. L’ultima spiaggia per l’ex sottosegretario all’Economia del governo Berlusconi era la Suprema Corte di Cassazione che ieri sera, però, ha rigettato la richiesta dei legali Stefano Montone e Agostino De Caro di annullare l’ordinanza del tribunale del Riesame di Napoli che tre mesi fa aveva confermato la misura di arresto emessa dal gip Isabella Iaselli ad aprile. L’accusa per Cosentino, già coinvolto in due indagini dell’Antimafia, è quella di aver fatto pressione sul prefetto di Caserta, Maria Elena Stasi e sul sindaco di Villa Di Briano, Raffaele Zippo, per evitare che un concorrente della società di distribuzione di carburanti dei fratelli di Cosentino, Luigi Gallo, aprisse un distributore a pochi passi dall’area di servizio (della Statale Nola-Villa Literno) gestita da Giovanni e Antonio Cosentino. La sentenza della Cassazione è stata emessa anche nei confronti di Giovanni Adamiano e Bruno Sorrentino, dipendenti della Kuwait Pefroleum Italia. Tra i ricorrenti c’era, infine, Enrico Reccia per un tentativo che sarebbe stato messo in atto da Giovanni Cosentino per screditare Gallo. Dunque, per gli ermellini di Piazza Cavour le esigenze cautelali sussistono: Cosentino resterà nel carcere di Secondigliano probabilmente, a questo punto, fino alla fine del processo Eco4. Processo che è a metà della sua trattazione, dopo oltre tre anni di udienze. L’inchiesta del pm della Dda Antonello Ardituro aveva squarciato il velo su possibili "interventi" su organi istituzionali dell’ex sottosegretario che avrebbero portato poi al fallimento della ditta di Gallo e alla "scalata" imprenditoriale dell’azienda di famiglia. Tra gli indagati, infatti, c’è anche l’ex prefetto Stasi. E i prefetti, nella vicenda Cosentino, hanno avuto non pochi ruoli. Perché il successore della Stasi, Ezio Monaco, avrebbe ceduto le chiavi di un cancello secondario del giardino della reggia Vanvitelliana all’ex sottosegretario. Un atto di "cortesia" scoperto dalla magistratura e dai carabinieri di Caserta durante la perquisizione nella casa di via Tescione di Cosentino. Puglia: accordo tra Regione e Prap; lavoro e agricoltura… come può cambiare un carcere www.barilive.it, 5 settembre 2014 Un protocollo per il reinserimento dei detenuti e un progetto di agricoltura idroponica nella carcere di Bari. La presentazione con Vendola, Sasso e Nardoni. Verdi filari di pomodori e di cetrioli che attraversano il carcere, colorandone gli spazi grigi e soffocanti. Siamo all’interno della Casa Circondariale di Bari, dove ieri è stata presentata la sperimentazione di una idea differente della detenzione e dei detenuti. Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola , insieme con gli assessori al Diritto allo studio e Formazione, Alba Sasso e alle Risorse agroalimentari, Fabrizio Nardoni, ha infatti illustrato non solo il progetto che si chiama " Orto in carcere" ma anche il protocollo innovativo e sperimentale, siglato con la direzione del carcere, in materia di inclusione e reinserimento sociale. "Dal momento in cui abbiamo istituito la figura del garante dei diritti dei detenuti - ha detto Vendola parlando con i giornalisti - abbiamo cominciato a immaginare come poter spezzare la separatezza del carcere rispetto alla società e come realizzare quei principi costituzionali che prevedono nel carcere percorsi di rieducazione. Abbiamo un’esperienza d’avanguardia in Puglia quale è quella di Made in carcere: la diffusione del tessile, della possibilità di recupero dei materiali tessili per fare nuova economia. Oggi qui sperimentiamo gli orti in istituti penitenziari che dispongono di spazi sterminati e a volte del tutto inutilizzati. Quella di Bari è un’esperienza pilota che pensiamo di esportare rapidamente in tutti gli istituti penitenziari pugliesi. Insomma, il tempo vuoto del carcere va riempito di speranza e di percorsi concreti di formazione e di lavoro". "Ho visto questa mattina - ha concluso Vendola - come si può cambiare un carcere e, ribadisco, la mia speranza è che l’esperienza di oggi possa diventare l’esperienza di tutte le carceri pugliesi. Penso che sia una buona notizia se il carcere oggi cominci ad essere spezzato nella sua durezza e ritorni ad essere, come dice la nostra Costituzione, un luogo di rieducazione e di reinserimento". Il protocollo ha come obiettivo primario quello di promuovere la realizzazione di "un nuovo sistema sperimentale integrato", destinato a detenuti di bassa pericolosità sociale e con pena contenuta. Un modello penale inclusivo e anticipatore del principio della giustizia riparativa, attraverso l’impiego di tali detenuti in lavori di pubblica utilità, orientato ad una dimensione di "carcere aperto", alternativo e territoriale. Sulla scia delle più avanzate esperienze europee, si punterà a offrire concrete possibilità di reinserimento sociale, anche attraverso l’orientamento e il sostegno all’inserimento lavorativo, scolastico e della formazione professionale e culturale, nell’ambito della affermazione e del rilancio di una cultura della legalità. Al protocollo seguirà un bando, rivolto a quei soggetti che operano nel terzo settore e specializzati nel recupero delle persone in regime di detenzione Il progetto "Orto in carcere" prevede il diretto coinvolgimento dei detenuti ai quali è affidata la cura quotidiana dell’orto e la raccolta dei prodotti della terra. Gli ortaggi saranno distribuiti, in parte, alla Caritas di Bari. Nardoni si è impegnato ad avviare, sempre con la casa Circondariale di Bari, un altro progetto sperimentale sugli "orti verticali" da allestire all’interno delle celle. Padova: nuovo scandalo in carcere, scoperti cellulari e droga in possesso dei detenuti Il Gazzettino, 5 settembre 2014 A due mesi dal bliz che smantellò lo smercio di benefit e droga all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, che vide coinvolte anche 6 guardie penitenziarie, ancora uno scandalo: 4 cellulari e 5 pasticche di droga sintetica sono stati trovati in possesso di alcuni detenuti. Continuano gli scandali nel carcere Due Palazzi di Padova, dove l’11 agosto scorso ci fu il suicidio di un agente della polizia penitenziaria, coinvolto in un’inchiesta di droga. Le guardie carcerarie hanno infatti trovato quattro cellulari in due giorni e 5 pasticche di droga sintetica in possesso di alcuni detenuti, benché solo due mesi fa un bliz della squadra Mobile di Padova, denominato "Apache", volto a smantellare lo smercio di benefit - tra cui stupefacenti - all’interno del penitenziario, avesse portato all’arresto di 15 persone, tra cui 6 agenti di polizia penitenziaria. Il nuovo scandalo, preoccupa e allarma Donato Capece, il segretario del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), che ha commenta così l’accaduto: "È un episodio inquietante, quattro telefoni cellulari in soli due giorni: un arco temporale assai ristretto. Queste situazioni dovrebbero far riflettere l’amministrazione circa la vulnerabilità del nostro sistema penitenziario: eppure, poco o nulla viene fatto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria". Il sospetto è che il giro di droga e di altre irregolarità non sia stato estirpato completamente. Capece auspica tuttavia il ricorso a misure rapide ed efficaci, come ad esempio la possibilità di schermare gli istituti penitenziari per impedire che al loro interno vengano introdotti mezzi di comunicazione non consentiti, e ancor meno sostanze stupefacenti. Il comunicato del Sappe I poliziotti penitenziari della Casa di Reclusione di Padova hanno trovato negli ultimi due giorni, in diverse celle occupate da detenuti stranieri e italiani, 4 telefoni cellulari perfettamente funzionanti e, addosso ad un ristretto italiano, un involucro contenente 5 pastiglie di droga sintetica. A darne notizia è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. "È un episodio inquietante, quattro telefoni cellulari in soli due giorni: un arco temporale assai ristretto", aggiunge il leader dei Baschi Azzurri del Sappe. "Tali situazioni dovrebbero far riflettere la nostra Amministrazione circa la vulnerabilità del nostro sistema penitenziario: eppure, poco o nulla viene fatto dal Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Basti pensare ad alcune soluzioni rapide ed efficaci, come la possibilità di schermare gli istituti penitenziari per neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e la possibilità di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari, che però vengono trascurati dall’attuale dirigenza del Dap" Ma il Sappe, sottolinea un altro episodio critico, ossia il sequestro di pastiglie di droga sintetica che occultava un ristretto italiano: "Questi episodi, oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del Personale di Polizia Penitenziaria in servizio nella Casa di Reclusione di Padova, ci ricordano che il primo compito della Polizia Penitenziaria è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena e impongono oggi più che mai una seria riflessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento dei detenuti. Tutti possono immaginare quali e quante conseguenze avrebbe potuto causare l’introduzione di droga in Istituto. Vi è la necessità di riformare il sistema di giustizia criminale nei confronti delle persone tossicodipendenti (e cioè affetti da una vera e propria malattia quale è la dipendenza da sostanze stupefacenti) che abbiamo commesso reati in relazione al loro stato di malattia. Questo per evitare la carcerazione attraverso interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima, di cura e riabilitazione "controllate e gestite" in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche". Trento: nel "carcere modello" di Spini di Gardolo tre detenuti morti in pochi mesi Il Trentino, 5 settembre 2014 Lo hanno trovato impiccato nella sua cella lunedì pomeriggio verso le 15 e 30 nel carcere di Spini di Gardolo. Lui era un detenuto di 38 anni, trentino, il cui fine pena era previsto per gennaio. Nonostante questo era ancora in carcere. L’uomo a differenza del detenuto che si è suicidato sempre nel carcere di Spini appena un mese fa, non ha lasciato biglietti di alcun tipo. La sua morte, però, accende i riflettori sulle condizioni di vita all’interno dell’istituto di Spini di Gardolo. Nel giro di pochi mesi, infatti, questa è la terza morte che si registra in quella che dovrebbe essere una struttura modernissima e confortevole. Alcuni mesi fa era morto un altro giovane detenuto. L’autopsia, come riportato sul giornale di ieri, ha stabilito che il giovane è stato ucciso da un mix di farmaci e di gas che avrebbe respirato volontariamente. Poi c’è stato il suicidio di un italiano trentenne che si è impiccato alla doccia e, infine, lunedì il suicidio del trentino a pochi mesi dal ritorno in libertà. Cagliari: Buoncammino resterà a Ministero di Giustizia, con Centrale operativa regionale da Socialismo Diritti Riforme Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2014 "Il futuro della Casa Circondariale di Cagliari, che domina il colle di San Lorenzo dal 1855, è e resterà nelle mani del Ministero della Giustizia. Con la realizzazione della Centrale operativa regionale (Cor) per le traduzioni e i trasferimenti dei detenuti, si allontana ulteriormente la possibilità che il bene architettonico venga dimesso e restituito alla città". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento ai programmi di utilizzo dell’Istituto Penitenziario cagliaritano dopo la chiusura delle sezioni detentive. "L’ordine tassativo di ridurre le spese dei Ministeri - sottolinea - impone il drastico taglio degli affitti con il conseguente trasferimento degli Uffici del Provveditorato regionale nelle stanze di Buoncammino, nell’ala attualmente occupata dagli impiegati dell’amministrazione, dai tecnici informatici e dagli educatori. L’utilizzo tuttavia non potrà essere immediato per i necessari adeguamenti e ristrutturazioni. L’unica zona pienamente operativa attualmente è infatti quella della COR, non ancora però inaugurata in attesa del completamento della rete di ponti radio attraverso i quali con un sistema criptato possono essere seguite tutte le operazioni di smistamento e distribuzione dei detenuti nelle diverse fasi della reclusione". "Permangono forti dubbi invece - rileva ancora la presidente di Sdr - sulla opportunità che possano trovare spazio a Buoncammino gli uffici dell’Uepe. È evidente infatti che l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna non può, per sua propria finalità insita nella definizione, essere ubicato all’interno della struttura detentiva. Sarebbe paradossale. Non si può del resto ipotizzare che possano essere abbattute mura perimetrali, anche perché sull’edificio gravano i vincoli della Soprintendenza. Senza considerare che al contrario degli Uffici del Provveditorato riservati esclusivamente agli impiegati, quelli dell’Uepe sono aperti al pubblico con un via vai di avvocati, familiari di detenuti e di operatori della Comunità di Recupero la cui presenza impone l’abbattimento delle barriere architettoniche dell’Istituto. Buoncammino infatti non dispone neppure di un montascale per consentire l’accesso a disabili e/o anziani dall’ingresso principale". "Molto probabilmente invece una parte delle celle, una volta libere, potrà essere visitata dai cittadini. Un programma di visite guidate consentirà di verificare, almeno in parte, in che modo detenuti, agenti di Polizia Penitenziaria e diversi operatori hanno condiviso gli spazi. Potranno rendersi conto dei limiti della struttura e della straordinaria posizione panoramica. Un aspetto quest’ultimo che chi ha perso la libertà - conclude Caligaris - difficilmente è in grado di cogliere anche se la cella è nei piani alti". Oristano: Pili (Unidos): nuovo carcere di Massama a rischio, boss sapevano di mia visita Agi, 5 settembre 2014 Nei quattro bracci dell’Alta Sicurezza del nuovo carcere di Massama, a Oristano, aperto poco più di un anno fa, sono reclusi 50-55 detenuti per settore, con un solo agente di polizia penitenziaria per braccio. "È una gestione scandalosa: durante la notte operano 12 guardie per 305 carcerati, 220 dei quali altamente pericolosi come boss mafiosi ed ergastolani", denuncia il deputato Mauro Pili (Unidos-Misto) dopo una visita ispettiva di quattro ore, conclusa ieri alle 21, di cui - riferisce - i detenuti appartenenti alla criminalità organizzata erano stati informati. "Ho incontrato i boss Vincenzo Sinagra, detto ‘u Tempesta, Francesco De Devita e Alfonso Caruana, i quali erano a conoscenza della mia visita e delle azioni svolte per bloccare il trasferimento di mafiosi in Sardegna", racconta Pili. "Un fatto di per sè grave che provvederò a segnalare alla magistratura per comprendere le ragioni per le quali questo tipo di detenuti dispongano di informazioni di tale natura relativamente alla mia attività parlamentare. Fatti che non mi intimidiscono e che mi inducono a proseguire nell’azione di contrasto di questa gestione dei penitenziari sardi". Secondo il parlamentare, a Massama "gli agenti penitenziari sono lasciati soli a contrastare un carcere sul quale il ministero della Giustizia con la complicità dei dirigenti del Dap ha scaricato centinaia di detenuti dello sfollamento delle carceri del Nord Italia". "Una gestione dissennata", sostiene Pili, che nei giorni scorsi ha compiuto un sopralluogo anche nel costruendo carcere di Uta (Cagliari), "che ha portato a due significative rivolte/protesta dei detenuti, sciopero della fame e battimento sulla grate, tenute nascoste. A tutto questo, si aggiunge la commistione illegale tra detenuti comuni e quelli di alta sicurezza". "Ci sono situazioni di una pericolosità inaudita, come il transito tra le celle e gli spazi d’aria", segnala il deputato. "Massama è un carcere a rischio per colpa di chi sta scaricando in Sardegna una valanga di mafiosi". Favignana (Tp): concluso con successo lo stage dei detenuti per corso di cottura cibi www.trapaniok.it, 5 settembre 2014 Ieri 4 settembre si è concluso lo stage interno - esterno di 4 detenuti frequentanti il Corso "Addetto Cottura Cibi" dell’Engim. Il Corso di Formazione il cui docente Prof. Sanfilippo Giuseppe, con esperienza trentennale nel settore, è uno dei punti di forza della formazione carceraria in quanto sono parecchi i detenuti che, una volta conseguito l’attestato riescono a trovare lavoro nel settore della ristorazione, una volta espiata la pena. "Allo stage hanno partecipato, ha dichiarato il comandante Giuseppe Romano, i detenuti Rocco Tutone, Vadalà Antonino, presso la Cucina detenuti dell’Istituto mentre i detenuti Bertolino Francesco, Caponata Rosario hanno effettuato lo stage presso due noti locali di ristorazione esterni, riscuotendo dai titolari apprezzamenti positivi per l’impegno e la professionalità dimostrata". Il prof. Sanfilippo ha espresso la propria soddisfazione e quella dell’Ente formatore per il brillante risultato e per la possibilità che almeno due dei detenuti vengano assunti al lavoro. "I corsi di formazione , ha dichiarato il direttore dott. Renato Persico, rimangono punti fermi nelle attività trattamentali in favore dei detenuti, che pur tra mille difficoltà, puntualmente vengono portati a termine grazia alla professionalità della Polizia Penitenziaria e degli Operatori dell’Area Trattamentale". Libri: autori di "Prigioniero della mia libertà" sono R. Errico, M. Turchetta e S. Pomilia rettifica a cura della Redazione Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2014 L’articolo pubblicato il 29 maggio scorso dal nostro "Notiziario" (ripreso dal quotidiano "Il Tempo" ed avente per oggetto il libro "Prigioniero della mia libertà", è da considerarsi falso e destituito di fondamento, poiché autori del libro sono i sig.ri Rosario Errico, Michela Turchetta e Stefano Pomilia, e non - come pubblicato erroneamente nel suddetto articolo, l'avv. Magno. Droghe: arriva la "marijuana di Stato", sarà prodotta a Firenze dall’Esercito di Amedeo La Mattina La Stampa, 5 settembre 2014 Via libera alla coltivazione della cannabis per uso terapeutico. La scelta è caduta sullo stabilimento chimico militare di Firenze. Lo Stato produrrà marijuana a uso terapeutico. Per un paradosso della storia, a produrla sarà l’esercito italiano: verrà coltivata dallo stabilimento chimico militare di Firenze. Le origini dell’istituto farmaceutico risalgono al 1853, quando a Torino fu istituito un deposito di Farmacia militare. Oggi lo stabilimento fiorentino, nato con l’obiettivo di produrre medicamenti per il mondo militare, ha esteso la sua attività anche al settore civile. E ora produrrà i farmaci derivati dalla cannabis attualmente importati dall’estero a costi elevati. Il via libera è stato dato dai ministri della Difesa e della Salute Roberta Pinotti e Beatrice Lorenzin, dopo varie polemiche e rallentamenti. La notizia verrà ufficializzata entro settembre. Pinotti (Pd) aveva dato da tempo il suo ok. Lorenzin (Ncd) è stata più prudente, non solo per un approccio culturale diverso: soprattutto perché le questioni che il suo ministero deve affrontare sono diverse e molto delicate dal punto di vista tecnico. Era stato istituito un tavolo di lavoro dove la questione è stata esaminata anche con l’istituto farmaceutico militare. Adesso, spiegano al dicastero della Salute, sono in via di stesura i protocolli attuativi. A questo punto, non è escluso che entro il 2015 i farmaci cannabinoidi saranno già disponibili nelle farmacie italiane. Eppure questa conclusione non sembrava così pacifica: si temeva da una parte della maggioranza che si aprissero le porte alla liberalizzazione delle droghe leggere. Ma chiarito che non è questo il caso, l’accordo è decollato. Il ministro Lorenzin ha sempre detto che "dal punto di vista farmacologico, non ci sono problemi all’uso terapeutico della cannabis: nessuno mette in dubbio gli effetti benefici, ma va trattato come un farmaco". Insomma, non si tratta di fumarsi una canna, ma di coltivazione e produzione controllata e monitorata da una struttura, addirittura militare. Il ministro della Salute, che si definisce una persona "open mind" e non chiusa in preconcetti ideologici, come ha dimostrato pure sulla fecondazione eterologa, non accetta che su questa materia si agitino battaglie culturali con l’obiettivo di liberalizzare le droghe leggere. "La mia impressione è che in questo Paese non si riesca a parlare in temi in termini laici e asettici, senza ricominciare a parlare di liberalizzazione". Diverso è il caso di agevolare l’uso della cannabis a uso terapeutico, in particolare il ricorso ai cosiddetti farmaci cannabinoidi per lenire il dolore nei pazienti oncologici o affetti da hiv e nel trattamento dei sintomi di patologie come sclerosi multipla, sla, glaucoma. Perché questo è l’obiettivo che porta la svolta di affidare a una struttura militare la coltivazione della marijuana e la produzione dei farmaci derivati. Molte diffidenze nei confronti del ministro Lorenzin erano venute da ambienti Radicali e anche del Pd. Era stato detto che la responsabile della Salute frenava, rallentava questa soluzione, che invece aveva visto la sua collega Pinotti subito d’accordo. Il senatore Luigi Manconi del Pd è stato uno dei più critici: rimane ancora diffidente perché vuole vedere se si andrà fino in fondo in questa scelta. Era stato lui a proporre una legge per consentire la coltivazione della cannabis da parte di soggetti autorizzati, come appunto lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. "In condizioni, quindi, di assoluta sicurezza, ma il ministro Lorenzin ha ritardato nel dare una risposta positiva a fronte di una dichiarazione di consenso da parte del ministro Pinotti". Adesso la risposta positiva c’è stata e nei prossime settimane verrà dato l’annuncio ufficiale. Chi in questi anni ha insistito per questa soluzione, come la radicale Rita Bernardini, ha fatto presente i costi altissimi e la difficoltà di reperire i farmaci cannabinoidi. Infatti solo 60 persone in Italia hanno avuto accesso alla cannabis per uso terapeutico attraverso le Asl. India: italiani detenuti "il ministro Pinotti ci è stata vicino già all’inizio della vicenda…" Ansa, 5 settembre 2014 "Il ministro Pinotti ci è stata vicino già all’inizio della vicenda e in occasione di ogni sua visita in Ambasciata non ha mancato di chiedere notizie di Tomaso ed Elisabetta". Lo dice da Varanasi Marina Maurizio, mamma di Tomaso Bruno, rispondendo alle polemiche sollevate dal Capogruppo di Forza Italia in Comune ad Albenga, Ciangherotti, che aveva sottolineato come il ministro fosse volata subito in India per sincerarsi delle condizioni del marò Latorre colto da malore, ma non avesse avuto tempo per andare a trovare in carcere i due ragazzi, accusati della morte di un loro compagno di viaggio e condannati per questo all’ergastolo. I due sono in attesa del processo davanti alla Corte suprema (la cassazione italiana). Insieme al marito Euro e al papà di Elisabetta Boncompagni, Romano, è arrivata a Varanasi dove domani andranno a trovare in carcere i due ragazzi. "Alla luce di quanto abbiamo letto sullo scarso interessamento dei ministri Mogherini e Pinotti, ci teniamo a precisare che, grazie all’onorevole Franco Vazio, l’interessamento c’è sempre stato ed è continuo e costante. A mia volta spero di poter dare presto buone notizie", conclude Marina Maurizio. Stati Uniti: per Lockett iniezione mal piazzata, lenzuolo impedì a medico di vedere vena Ansa, 5 settembre 2014 In omaggio al comune senso del pudore e "per proteggere la dignità del condannato a morte", una agente di custodia dell’Oklahoma coprì con un panno i genitali di Clayton Lockett di modo che il medico incaricato del posizionamento dell’iniezione letale non vide il punto esatto dell’inguine dove avrebbe conficcato l’ago. È l’incredibile conclusione del rapporto sull’Oklahoma Department of Public Safety diffuso oggi. Il rapporto ha confermato che ci furono problemi nella somministrazione dell’iniezione. Lockett è morto il 29 aprile dopo un’agonia di 43 minuti che ha riproposto negli Usa i dubbi sulla pena di morte: oggi, partendo dalla liberazione di un condannato a morte in North Carolina scagionato per non aver commesso il fatto, il New York Times è tornato con forza a chiedere lo stop alle esecuzioni. L’autopsia sul cadavere di Lockett ha confermato che l’uomo è morto di veleni, non di infarto come era stato detto a caldo. È stato solo dopo che la seconda e la terza sostanza del cocktail killer erano state somministrate che il medico si è accorto che qualcosa stava andando storto. Dal rapporto si apprende che il medico tentò per 51 minuti di trovare una vena adatta per piazzare l’iniezione e alla fine si convinse che l’area destra dell’inguine avrebbe funzionato. Il panno posto dalla agente di custodia Anita Trammell gli impedì invece la visuale, col risultato che i liquidi fuoriuscirono dalla vena provocando un rigonfiamento "più piccolo di una palla da tennis ma più grande di una pallina da golf". Il medico, oltretutto, "avrebbe preferito un ago più lungo ma il carcere non l’aveva: fu così che decise di usare quel che era a disposizione". Se il medico avesse potuto vedere il punto dove era stata inserita l’endovena il problema avrebbe potuto essere corretto più rapidamente. Invece il medico, incerto di quanto di ciascuna sostanza era stato iniettato o se era abbastanza per provocare la morte, tentò senza successo di inserire l’ago nell’altra arteria femorale di Lockett. Intanto, mentre il battito cardiaco dell’uomo cominciava a abbassarsi, cominciarono a scarseggiare i farmaci: se effettivamente non fosse stata data al condannato una dose sufficiente di veleni, lo stato non ne avrebbe avuto abbastanza per somministragli un "extra". L’esecuzione fu sospesa, ma Lockett morì ugualmente sul lettino. Stati Uniti: libero dopo 31 anni nel braccio della morte "non provo nessuna rabbia" Agi, 5 settembre 2014 Dopo 31 anni di prigione, nel braccio della morte della prigione del North Carolina, in Usa, nonostante fosse innocente, Henry Lee McCollum è tornato finalmente in libertà. L’uomo, oggi 50enne, ha trascorso 31 anni in carcere per un delitto che non ha mai commesso; e come lui, il fratellastro, Leon Brown, 46 anni. "Ringrazio Dio per avermi tirato fuori di prigione. Voglio mangiare, voglio dormire e voglio svegliarmi domani sapendo che è vero", ha detto all’uscita dal carcere, raccontando che negli ultimi giorni non è riuscito a dormire per l’emozione. "Ho atteso per anni questo momento", ha aggiunto abbracciando il padre, secondo il New York Times; e quando qualcuno gli ha chiesto se nutrisse rabbia per l’errore giudiziario, ha risposto con oce ferma: "No,no. Nessuna rabbia". McCollum era stata condannato insieme al fratellastro per lo stupro e l’omicidio di un ragazzina di undici, ma un test del Dna li ha scagionati entrambi. Con un quoziente intellettivo al di sotto della media (Brown si è fermato a 51 di Q.I.), i due ragazzi afroamericani (che avevano 19 e 15 anni al momento dell’arresto) sono sempre stati difesi dalla loro famiglia. Abitavano in un villaggio di 4mila persone a sud dello Stato quando, la notte del 28 settembre 1983, furono sottoposti a un interrogatorio, senza avvocato, nel quale alla fine McCollum, stremato dalla pressione della polizia, ammise che, insieme ad altre tre persone, aveva commesso il delitto. "Mi inventai una storia perché potessi tornarmene a casa", ha raccontato successivamente. All’uscita dal carcere, McCollum ha comunque voluto ricordare i 152 ex compagni che sono ancora in attesa della pena capitale, nella prigione dello Stato. "Ci sono ancora persone innocenti là dentro. Ci sono persone che non meritano la pena di morte. Non è giusto. Bisogna fare qualcosa per loro". Adesso dovrà abituarsi alla nuova vita: nei 30 anni di vita in prigione non gli è stato concesso di aprire una porta, nè di accendere una luce o usare una lampo. Non sa usare il cellulare ed è trasecolato quando -ha raccontato alla matrigna- qualche giorno fa ha aperto Internet e, con Google Map, ha visto la sua casa. E mercoledì quando è salito nell’auto di famiglia, qualcuno gli ha dovuto far vedere come allacciarsi la cintura di sicurezza. Stati Uniti: nuovi tafferugli nel carcere minorile di Nashville dopo fuga 20 ragazzi La Presse, 5 settembre 2014 Tafferugli sono scoppiati a Woodland Hills, lo stesso riformatorio di Nashville, in Tennessee, dal quale nei giorni scorsi erano fuggiti 32 ragazzi. La notte scorsa circa 20 giovani, tra cui alcuni di quelli scappati e successivamente catturati, hanno girovagato per il centro, rifiutando di tornare nei dormitori, ha riferito Rob Johnson, portavoce del dipartimento dei Servizi per i minori del Tennessee. I poliziotti hanno formato un cerchio intorno alla recinzione della struttura e nessuno degli adolescenti è scappato. I disordini sono iniziati ieri sera tardi e ancora stamattina gli agenti cercavano a convincere i ragazzi a tornare nelle loro camere. I membri del personale del riformatorio, ha riferito Johnson, sono all’interno della struttura e stanno bene. Nella notte tra lunedì e martedì 32 detenuti erano scappati passando sotto un buco formato nella recinzione che circondava il cortile interno. Sei di loro restano latitanti. Il centro di Woodland Hills ha una lunga storia di violenze, presunti abusi sessuali e tentativi di fuga.