Giustizia: in ddl rifoma penale revisione sistema carceri, dalla rieducazione all'ergastolo Public Policy, 2 settembre 2014 Semplificazione delle procedure per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono l’individualizzazione del trattamento rieducativo dei detenuti. Sono alcune delle norme previste dalla bozza di ddl sulla riforma del codice penale, di cui Public Policy è in possesso, approvata dal Consiglio dei ministri del 29 agosto che delega il governo a riformare il procedimento penitenziario. Secondo quanto viene riferito, la bozza non dovrebbe aver subito modifiche durante l’esame in Cdm. Il testo però è stato approvato "salve intese" e quindi potrebbe essere cambiato durante la trasmissione al Parlamento. Il ddl delega il governo a "semplificare" le procedure, "anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale", per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza. E ancora: i decreti legislativi dell’esecutivo dovranno rivedere i presupposti di accesso alle misure alternative, "sia con riferimento ai presupposti soggettivi che con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse" e "la revisione della disciplina di preclusione ai benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo". Inoltre dovranno essere previste "attività di giustizia riparativa" quali "momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario che in misura alternativa". E ancora: la bozza di ddl delega chiede maggiore valorizzazione del lavoro "quale strumento di responsabilizzazione individuale e di reinserimento sociale dei condannati" e "un più ampio ricorso al volontariato sia all’interno del carcere, sia in collaborazione con gli Uffici di esecuzione penale esterna". Sospensione prescrizione con condanna primo grado Dal deposito della sentenza di primo grado, in caso di condanna, si prevede la sospensione del corso della prescrizione e la necessità di arrivare all’appello entro due anni. Sempre sul fronte della prescrizione, la bozza prevede che questa ricomincerà a correre, recuperando anche il tempo della sospensione, nel caso in cui la sentenza di appello (quindi il secondo grado) sia di assoluzione. Le nuove regole varranno soltanto per le sentenze di primo grado emesse dopo l’entrata in vigore della legge. Inoltre, viene prevista una sospensione di un anno dopo la sentenza di appello in attesa del giudizio di Cassazione. Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento, del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei seguenti casi, già previsti dal codice penale ma che ora la bozza di ddl riscrive: - Dal provvedimento con cui il pubblico ministero presenta la richiesta di autorizzazione a procedere, sino al giorno in cui, ed è questa una delle novità, l’autorità competente accoglie la richiesta; - Dal provvedimento di deferimento della questione ad altro giudizio, sino al giorno in cui viene definito il giudizio cui è stata deferita la questione; - Dal provvedimento che dispone una rogatoria internazionale, sino al giorno in cui l’autorità richiedente riceve la documentazione richiesta, o comunque decorsi sei mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria; - Nei casi di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento. Modifiche a giudizio abbreviato "Quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive". È quanto prevede la bozza di ddl che modifica l’articolo 438 del codice di procedura penale che al momento prevede che sulla richiesta di giudizio abbreviato "a il giudice provvede con ordinanza". Il nuovo articolo stabilisce anche che l’imputato possa revocare la richiesta. Quest’ultima è "proposta in udienza preliminare" e "determina la sanatoria delle nullità, sempre che non assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salvo quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice". Delega per divieto intercettazioni non indagati Garantire il rispetto della privacy delle persone non indagate. Per questo il governo potrà emanare, entro un anno, decreti legislativi che prevedano "prescrizioni" sull’utilizzo di intercettazioni di "persone occasionalmente coinvolte nel procedimento e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale". Nella delega - si legge nella bozza - il governo dovrà "prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità al principio costituzionale dell’articolo 15 Costituzione, attraverso prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale all’udienza di selezione del materiale intercettativo, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale". Inoltre, la bozza delega il governo a prevedere, nei futuri provvedimenti, "limiti" e modalità di "estensione" dell’utilizzo delle intercettazioni "ai procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e delle disposizioni in materia di procedimenti di criminalità organizzata sulle condizioni di ammissibilità". E ancora: dovrà essere prevista "la garanzia giurisdizionale per l’acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico, telematico e informatico, e il potere d’intervento d’urgenza del pubblico ministero, in conformità alla disciplina prevista per le intercettazioni di comunicazione e conversazioni telefoniche". Estinzione reato querela con riparazione del danno Estinzione del reato se l’imputato ripara il danno nei casi di querela. "Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato", si legge nel testo che introduce l’articolo 162 bis al codice di procedura penale. Se l’imputato dimostra di non aver potuto adempiere alla riparazione del danno nel termine fissato, "l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore ad un anno, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento". L’estinzione del reato per condotte riparatorie può intervenire anche in caso di furto, introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e uccisione e danneggiamento di animali altrui. L’estinzione può essere applicata anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge e "il giudice dichiara l’estinzione pur quando le condotte riparatorie siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado". L’imputato, nella prima udienza, fatta eccezione di quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della legge, "può chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento - si legge ancora nel testo - e all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato". Giustizia: depenalizzazione e detenzioni domiciliari per svuotare le carceri sovraffollate di Maurizio De Tilla Specchio Economico, 2 settembre 2014 I tempi sono ravvicinati. Fra 18 mesi saranno approvati i decreti delegati tesi a deflazionare l’eccessivo numero dei processi e consentire modifiche al sistema sanzionatorio con l’introduzione di una nuova tipologia di pena principale - la pena domiciliare - così da riservare alla pena detentiva carceraria il ruolo di rimedio estremo dell’ordinamento. Nella depenalizzazione, tra le novità più significative figura la trasformazione in illecito amministrativo di tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa e dell’ammenda, ad eccezione di alcune fattispecie ad esempio in materia di edilizia e di urbanistica. Diventano, inoltre, illeciti amministrativi alcuni reati quali atti osceni, omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, reato di clandestinità. In alcuni casi - ingiuria e danneggiamenti punibile a querela - si ha una vera "abolitio criminis". È un’ossessione quella di abbreviare i tempi della Giustizia. A Napoli in un processo penale si è deciso che la parola alla difesa non può durare più di 5 minuti. È accaduto in un’udienza preliminare nei confronti di 75 imputati che si celebra davanti alla 23esima Sezione dell’Ufficio Gip. L’avvicinarsi della prescrizione e il numero delle persone coinvolte hanno indotto ad emanare l’ordinanza che concede agli avvocati appena 300 secondi di tempo per la discussione. Vi sono state fondate critiche. Il Giudice si è difeso affermando che è stata concessa la possibilità di depositare memorie scritte. La scelta si è resa necessaria per l’incombente prescrizione, dopo mesi e mesi di ritardo per le notifiche e il conseguimento dell’attività giudiziaria. Al punto che il presidente del Tribunale Carlo Alemi ha diramato la direttiva che riorganizza le udienze penali. Il provvedimento individua come processi "a trattazione prioritaria" quelli per reati caratterizzati da "particolare allarme sociale". Dovranno essere trattati con precedenza i procedimenti con detenuti, poi quelli con parti civili costituite. Quindi i procedimenti per violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, stalking, bancarotta con danno patrimoniale di rilevante gravità, procedimenti per delitti in materia di risparmio e credito sanzionati con almeno 4 anni di reclusione, estorsioni e rapine, procedimenti in cui sia imputato un pubblico ufficiale, quelli per reati legati a colpa medica, infortuni sul lavoro, omicidi colposi derivanti da violazione delle norme sulla circolazione stradale, procedimenti in materia di ambiente e paesaggio. I processi relativi a reati di minore impatto sociale e riguardanti casi diversi da quelli indicati come prioritari potranno essere fissati oltre la maturazione della prescrizione se, al momento dell’udienza di smistamento, il termine si compirà entro due anni e mezzo, o se la prescrizione massima maturerà entro 15 mesi dalla "presumibile" assunzione della decisione. Intanto l’Europa sta per promuovere l’Italia nel sovraffollamento carcerario che è diminuito e si avvia alla normalizzazione. Il risultato è stato raggiunto con una serie di leggi volte ad escludere forme di detenzione inutilmente afflittive, preservando però la sicurezza sociale da un indiscriminato svuotamento degli istituti carcerari. Altri provvedimenti deflattivi: abolizione del fenomeno delle cosiddette porte-girevoli (entrate-uscite dal carcere nell’arco di 1-3 giorni), innalzamento dei termini per godere dei domiciliari da 12 a 17 mesi, estensione dei limiti per l’affidamento in prova ai servizi sociali, ampliamento della scarcerazione anticipata, introduzione della messa in prova per i maggiorenni. A ciò si aggiungeranno depenalizzazione e pene detentive non carcerarie. Si afferma in un articolo di Donatella Stasio e Daniele Terlizzese che "il carcere aperto aumenta la sicurezza", l’asserzione è importante ma non va equivocata. Si riferisce infatti a una ricerca dell’Università di Essex e dell’Einaudi Institute for Economics Finance, secondo cui a parità di pena da scontare nelle galere, chi ha trascorso più tempo in un carcere aperto ha una recidiva inferiore di chi invece è stato detenuto più a lungo in un carcere chiuso. Il modello individuato è il carcere di Milano Bollate, prototipo di carcere aperto inaugurato nel 2000: celle aperte tutto il giorno, nessun sovraffollamento, giornate di lavoro, studio, formazione professionale, attività ricreative e sportive, affettività e progressivo reinserimento nella società attraverso benefici carcerari e misure alternative. Il discorso è valido, ma bisogna fare i conti con la natura dei reati commessi, isolando i detenuti più pericolosi che non possono usufruire del carcere aperto. Come svuotare le carceri italiane? Con la messa alla prova e gli arresti domiciliari. È stato presentato il disegno di legge che delega il Governo a depenalizzare una nutrita serie di contravvenzioni tra cui l’immigrazione clandestina, introdurre la detenzione presso l’abitazione come pena principale per i reati puniti al massimo con 3 anni e come pena facoltativa per quelli tra i 3 e i 5 anni, estendendo agli adulti, nei delitti puniti fino a 4 anni, la sospensione del processo con messa alla prova. Se l’esito del programma, che prevede anche lavoro di pubblica utilità, è positivo, il reato si estingue. Provvedimenti particolarmente significativi che presuppongono però una giustizia celere. Si è scritto che per i domiciliari e per i braccialetti elettronici i controlli sono inesistenti. Pochi agenti e verifiche ogni 17 giorni. Dopo la riforma del 2010, 14.039 detenuti hanno lasciato il carcere per i domiciliari. Alcuni detenuti ai domiciliari hanno compiuto furti e rapine. Il fenomeno è increscioso, ma non numericamente rilevante. Se la politica legislativa tende a diminuire la presenza in carcere e ad aumentare le pene domiciliari, bisogna attrezzarsi sulla vigilanza. Il rimedio dei "braccialetti" si è rivelato insufficiente. Giustizia: i penalisti dell’Unione Camere Penali "Mauro Palma nome giusto per il Dap" Il Manifesto, 2 settembre 2014 L’Unione Camere Penali prende posizione: l’ex presidente del Cpt è una "figura di grande spessore e di sicura competenza". In lizza anche i magistrati Salvi, Melillo e Consolo. E Orlando rinvia. "Il mondo del carcere, e non solo, è in attesa da tempo di conoscere il nome del nuovo direttore del Dap", il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dopo Giovanni Tamburino, non confermato dal governo Renzi. Il consiglio dei ministri del 29 è andato a vuoto, e l’Unione delle camere penali italiane "si augura che l’attesa possa essere foriera di cambiamenti, peraltro in un settore che vive problemi enormi e che, pertanto, necessita di un cambiamento radicale". "Il primo cambiamento che viene in mente - sottolineano i penalisti - è anche quello più ovvio, ossia la scelta di affidare quella carica ad una persona che non sia un magistrato. E ciò, oltre che per iniziare ad invertire, concretamente, la tendenza in ordine ai troppi magistrati fuori ruolo, anche per scegliere secondo le reali competenze: cosa che certamente non indirizza verso una categoria che, com’è noto e come è ammesso dai suoi stessi rappresentanti, conosce poco o niente il carcere, tanto che si va affacciando l’idea di farne argomento del tirocinio". "La nostra società vive due paradossi - spiegano - il primo è che i titolari del potere coercitivo non sanno cosa sia la galera, il secondo è che vengono per giunta nominati capo del Dap. Lo sanno bene gli agenti di custodia, che invece il carcere lo vivono dal di dentro e che tramite il sindacato Sappe hanno proposto una figura di grande spessore e sicura competenza come il prof. Mauro Palma. Richiesta cui l’Unione non può che associarsi". L’ipotesi Palma - già presidente del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa e presidente della commissione carcere del ministero della Giustizia - è stata lanciata dall’associazione Antigone, che difende i diritti dei detenuti. Accanto al nome di Palma, circolano quelli di Giovanni Salvi, procuratore di Catania; di Giovanni Melillo, già procuratore aggiunto di Napoli e ora capo di gabinetto del ministero della Giustizia; e di Santi Consolo, che è stato vice capo del Dap e attualmente è procuratore generale di Caltanissetta. Giustizia: Mauro Palma a capo del Dap? arriva l’outsider... e i magistrati tremano Secolo d’Italia, 2 settembre 2014 Sarebbe una svolta storica. Perché quella poltrona, ambitissima e desideratissima, che vale, solo di indennità, 500mila euro l’anno, fonte di vere e proprie guerre fratricide tra le correnti della magistratura, è stata sempre appannaggio delle toghe. Una legge non scritta. Ma è un fatto. Da Nicolò Amato fino a Giovanni Tamburino, passando per Caselli, Coiro, Tinebra, Ferrara e tanti altri, l’incarico dirigenziale di capo del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che si occupa di carceri e che ha, sotto di sé, la Polizia penitenziaria, è sempre e solo stato riservato ai magistrati. Ma, forse, stavolta, non sarà così. Perché dalla polizia penitenziaria ai penalisti, alle associazioni dei detenuti, si sta formando un fronte comune per portare, su quella poltrona, un outsider, Mauro Palma, in contrapposizione ai nomi di tre magistrati che sono in pole position: Giovanni Salvi, procuratore di Catania, Giovanni Melillo, già procuratore aggiunto di Napoli e ora capo di gabinetto del ministero della Giustizia e Santi Consolo, che è stato vice capo del Dap e attualmente è procuratore generale di Caltanissetta. Una nomina, quella del capo del Dap, che da mesi viene tenuta in sospeso. Tanto che l’Unione delle Camere Penali annota "il mondo del carcere, e non solo, è in attesa da tempo di conoscere il nome del nuovo direttore del Dap" prima di schierarsi apertamente con gli agenti di custodia a favore del nome di Palma quale nuovo capo del Dap: "si augura che l’attesa possa essere foriera di cambiamenti, peraltro in un settore che vive problemi enormi e che, pertanto, necessita più di ogni altro di un cambiamento radicale. Il primo cambiamento che viene in mente - sottolineano i penalisti - è anche quello più ovvio, ossia la scelta di affidare quella carica ad una persona che non sia un magistrato. E ciò, oltre che per iniziare ad invertire, concretamente, la tendenza in ordine ai troppi magistrati fuori ruolo, anche per scegliere secondo le reali competenze: cosa che certamente non indirizza verso una categoria che, com’è noto e come è ammesso dai suoi stessi rappresentanti, conosce poco o niente il carcere, tanto che si va affacciando l’idea di farne argomento del tirocinio". Di qui il nome di Palma "sposato" in pieno dai penalisti attraverso un attacco dialettico frontale alla magistratura: "La nostra società vive due paradossi: il primo è che i titolari del potere coercitivo non sanno cosa sia la galera, il secondo è che vengono per giunta nominati capo del Dap. Lo sanno bene gli agenti di custodia, che invece il carcere lo vivono dal di dentro e che tramite il sindacato Sappe hanno proposto una figura di grande spessore e sicura competenza come il professor Mauro Palma. Richiesta cui l’Unione - conclude i penalisti - non può che associarsi". La polemica è di vecchia data. E i sindacati degli agenti di custodia non hanno mai mancato di dire come la pensavano rispetto alle "imposizioni" di magistrati alla guida del Dap: "continuiamo a subire la nomina di Capi Dipartimento che non hanno alcuna cognizione di che cosa significhi comandare un Corpo di polizia né alcuna esperienza manageriale in senso stretto", disse la polizia penitenziaria quando arrivò la nomina dell’ultimo, recente, capo del Dipartimento, quel Giovanni Tamburino che ora deve essere sostituito. "Sono anni, forse decenni, che continuiamo a lanciare sos sulla necessità che a capo del Dap sia nominato un manager, esperto di organizzazione e, soprattutto, di gestione delle risorse umane", rincararono, all’epoca, la dose gli agenti secondo i quali "per colpa della stramaledetta indennità di 500.000 euro all’anno la poltrona di capo del Dap è uno degli incarichi dirigenziali più ambiti e desiderati dello stato italiano". Indennità che ha una particolarità, ben spiegata dagli stessi agenti di polizia penitenziaria: "il diritto alla indennità di cinquecentomila euro si acquisisce contestualmente e immediatamente al conferimento dell’incarico di Capo Dap e si mantiene per sempre - anche dopo aver lasciato l’incarico - anche sulla pensione che si percepirà dopo aver lasciato il lavoro". Forse così si comprende meglio perché la magistratura sgomita per avere quell’incarico. Che, stavolta, potrebbe sfuggirgli di mano. Giustizia: Orlando; ritardo su riforma del sistema penale? osservazione infondata La Presse, 2 settembre 2014 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando definisce "infondata" la critica mossa al governo Renzi sul fatto che la riforma della Giustizia penale proceda più lentamente rispetto a quella civile. "Il fatto che potessimo essere più veloci sul penale - ha spiegato Orlando - è una osservazione infondata" e "che mi sorprende". Nel corso di un dibattito alla Festa dell’Unità organizzata dal Pd milanese a Sesto San Giovanni, Orlando, intervistato da Piero Colaprico, ha ammesso che trovare una intesa con l’Ncd sulla riforma della Giustizia penale è più complesso perché "falso in bilancio e auto-riciclaggio non erano nel programma dei nostri alleati" ed è stato "più semplice trovare un’intesa sulla responsabilità civile dei magistrati". "Che sia stato più facile ottenere un’intesa con i nostri alleati sul civile, piuttosto che sul penale, è assolutamente vero - ha spiegato Orlando - e sarei un alieno se me ne meravigliassi. Avevamo programmi diversi ma non è assolutamente vero che abbiamo ritardato. Abbiamo scelto il veicolo più rapido consentito dalla Costituzione". "Quello che potevamo fare per decreto lo abbiamo fatto, ovvero il civile, quello che potevamo fare per disegno di legge lo abbiamo previsto - ha aggiunto - quello che è rimasto sfumato sono solo quei due punti" delle intercettazioni e riforma degli appelli, in particolare del ricorso in Cassazione, "dove ci sono oggettivamente dei nodi da sciogliere" sia a livello politico che con magistrati e avvocati, ha concluso il ministro. Giustizia: intervista a Carlo Federico Grosso "la riforma? o la va a lo spacca…" di Pietro Vernizzi Italia Oggi, 2 settembre 2014 Il tema delle intercettazioni contenute nella riforma della giustizia spacca Pd e Nuovo Centro Destra. A riconoscerlo è stato il Guardasigilli, Andrea Orlando, che dopo l’incontro della maggioranza per fare il punto sulla riforma ha osservato che "sono emerse delle differenze di approccio, anche sulle priorità". Come sottolineato da Gaetano Quagliariello, ex ministro per le Riforme istituzionali del Nuovo Centro Destra, "ci sono questioni non negoziabili in quanto fanno parte della civiltà giuridica". Accanto al nodo intercettazioni c’è quello sulla durata della prescrizione. Ne abbiamo parlato con Carlo Federico Grosso, avvocato, professore di Diritto penale all’Università di Torino, ex vicepresidente del Csm ed ex difensore tra l’altro di Annamaria Franzoni nel processo di Cogne. D.. Professore, che cosa accadrà una volta che il nodo intercettazioni approderà in Parlamento? R.. Non ho la sfera di cristallo, ma la cosa più probabile è che la maggioranza si trovi a dover affrontare una serie di obiezioni in Parlamento, anche se la vera questione è quale possa essere il punto di equilibrio per prospettare un accordo tra Ncd e Pd. D. Qual è il valore politico della contrapposizione tra Pd da un lato e Forza Italia e Ncd dall’altra sulle intercettazioni? R. Al fondo c’è un modo profondamente diverso di intendere e regolare il potere dell’autorità giudiziaria. Se si circoscrive in modo netto la possibilità di usare le intercettazioni e si precludono ai magistrati inquirenti i margini di spazio per ricorrervi nella grande maggioranza dei casi, le indagini diventano automaticamente meno incisive. Questo è stato da sempre un obiettivo della linea politica di Forza Italia, mentre il Pd ha avuto e continua ad avere una posizione più vicina ai magistrati e quindi difende l’utilizzabilità più ampia possibile di questo strumento d’indagine. D. Secondo lei si riuscirà a trovare un accordo? R. Per quanto riguarda il tema della privacy il divario politico è più facilmente componibile, mentre sul terreno dell’utilizzo delle intercettazioni come strumento d’indagine la posizione del Pd è piuttosto rigida. Però, sulla riforma del Senato Berlusconi e Renzi sono riusciti a dialogare. D. Sulle intercettazioni invece c’è la possibilità che la mediazione salti? R. Se le posizioni si irrigidiscono, su un tema come le intercettazioni la mediazione può facilmente saltare perché le divergenze sono più forti. D. Renzi, alla fi ne, riuscirà davvero a fare la riforma della giustizia? R. Il fatto che Renzi abbia posto la giustizia tra i primi temi di riforma da affrontare è stato un atto di coraggio ma anche di "incoscienza". Il tema della giustizia porta con sé posizioni da sempre molto antagoniste fra le forze politiche, e quindi molto difficili da superare sul terreno di una linea di compromesso. Sono rimasto molto stupito per il fatto che Renzi abbia voluto porre sul tappeto una riforma della giustizia ad ampio raggio. Sarebbe stato molto più agevole individuare alcune priorità, quale il processo civile, e alcuni aspetti molto specifici del processo penale senza però andare ad affrontare i temi più caldi. D. Come vede invece le posizioni politiche sul tema della prescrizione? R. Forza Italia e i governi di centrodestra avevano realizzato una drastica riduzione dei tempi di prescrizione con la cosiddetta legge ex-Cirielli. Per alcuni reati, il tempo necessario per la prescrizione si è addirittura dimezzato: in materia di corruzione si è passati per esempio da 15 a sette anni e mezzo. Ciò è avvenuto però senza predisporre adeguatamente degli strumenti di riforma sul piano dell’organizzazione del lavoro dei magistrati, tali da garantire un’effettiva accelerazione dei processi. In particolare per i reati di corruzione o attinenti alla criminalità economica, si è quindi verificata una discrasia tra i tempi di prescrizione e quelli ragionevolmente necessari per portare il processo a conclusione. Giustizia: la riforma e i suoi nemici. Giachetti (Pd): i magistrati? non cambiano mai…" di Nicola Mirenzi Europa, 2 settembre 2014 Ci sono cose che non cambiano mai: "La resistenza della categorie dei magistrati, come quella esposta puntualmente dall’Anm, è la posizione di chi alza le barricate a prescindere, qualunque sia l’ambito che viene messo in discussione". E un Roberto Giachetti molto netto quello che parla con Europa della riforma della giustizia proposta dal ministro Orlando e dei suoi agguerriti nemici. Pur appassionato, il vicepresidente della camera e deputato del Pd non perde la voglia di scherzare: "Mi stupisce che non abbiano ancora sollevato la questione dell’indipendenza del potere giudiziario". In realtà sbaglia: hanno sollevato anche quella. Nino Di Matteo, magistrato della procura di Palermo, il 19 luglio scorso: "Non si può assistere in silenzio ai tanti tentativi in atto di ridurre l’indipendenza della magistratura a vuota enunciazione formale con lo scopo di comprimere e annullare l’autonomia del singolo pm". Giachetti non si sorprende. Torna al punto. "Che si parli di questioni di grande rilievo, o altre di minore importanza, la reazione è sempre la stessa: una levata di scudi. Non è solo un problema di ferie estive. Qualcuno provi ad andare in un tribunale di pomeriggio, e vedrà chi trova. Dopo anni e anni in cui si è parlato incessantemente di riforme, è arrivato il momento di prendere delle decisioni". Sulla responsabilità civile dei giudici per esempio, che è il tema più discusso e criticato del progetto Orlando. "Sulla carta, esiste già" ricorda Giachetti. "Ma si contano sulle dita di una mano i magistrati che sono stati chiamati a rispondere dei loro errori. Sull’argomento c’è stato invece un referendum conclusosi con un plebiscito a favore. Per non parlare dei ripetuti richiami della Corte europea. In più nella proposta del governo è stata accantonata la responsabilità diretta. Mi sembra davvero il minimo indispensabile". Ecco: Piercamillo Davigo accusa il disegno Orlando di occuparsi "sostanzialmente di cose inutili". Giachetti lo segue. "Mi rendo conto benissimo che andrebbe affrontato il tema della separazione delle carriere, quello della carcerazione preventiva, dell’obbligatorietà dell’azione penale. Mi domando solo come reagirebbe l’Associazione nazionale magistrati...". Non è un buon motivo per tirarsi indietro, però, l’ostilità dell’associazione togata. È piuttosto il senso di realtà che consiglia prudenza. "Avanzo queste proposte da una vita, ma non bisogna dimenticarsi qual è la natura della maggioranza, nata da elezioni perse. In vent’anni, nemmeno i governi più blindati in parlamento hanno prodotto alcunché, nonostante le riforme siano state strombazzate. Ora si stanno mettendo le mani sul capitolo della giustizia civile. A me sembra un dato di straordinaria importanza. Non vi pare?". Giustizia: la responsabilità civile… dei politici di Massimo Villone Il Manifesto, 2 settembre 2014 Non si può applicare al giudice il modello utilizzato per il privato cittadino, o anche in generale per il funzionario pubblico. Il tribunale dei minori di Roma ha concesso a una coppia di donne l’adozione del figlio di una delle due, nato con fecondazione eterologa praticata all’estero. Una pronuncia storica per alcuni, eversiva per altri. In ogni caso, un precedente di rilievo, in specie dopo la sentenza Corte Cost. 162/2014 sull’eterologa. È un’occasione per riflettere sulla riforma della giustizia. In Italia, da lungo tempo diritti e libertà non fanno passi avanti nella legislazione. L’avanzamento viene dai giudici. È un giudice che autorizza il distacco della spina per Eluana Englaro; che riconosce la coppia omosessuale come ambiente non presuntivamente inidoneo per il minore; che ordina la trascrizione del matrimonio tra omosessuali contratto all’estero; che definisce come fondamentale il diritto di due omosessuali di formare una coppia. E ancora molti giudici concorrono a smantellare i profili più oscurantisti della legge sulla fecondazione assistita. Il tribunale dei minori di Roma è solo l’ultimo in ordine di tempo. Il legislatore, invece, prono ai potenti di turno (falso in bilancio, corruzione, prescrizione, lodi), è stato inerte o apertamente ostile verso i diritti. Si è visto con Welby ed Englaro, il testamento biologico, la fecondazione assistita, le unioni civili. Anche oggi, quel che accade in parlamento ci ricorda Troisi e il miracolo-miracolo. Perché due del medesimo sesso hanno diritto a essere coppia, ma non a un matrimonio in senso stretto. Quasi, simile, praticamente uguale, ma matrimonio-matrimonio no. È la parola che ancor ci offende. Siamo abituati a vedere il giudice in campo - pur con esito vario - contro i potenti di turno. Non tutti e non sempre percepiamo il giudice come innovatore. Ma qui incrociamo la riforma. Viene incluso tra i casi di responsabilità "l’errore manifesto" sulla regola giuridica. Un caso non previsto dalla c.d. legge Vassalli (117/1988). Da tempo è una bandiera della destra, che ha più volte cercato di introdurlo. Ne vediamo la causa prossima nei tanti processi eccellenti. Lo troviamo oggi tra gli obiettivi fondamentali Ncd in tema di giustizia. E anche nelle linee-guida del ministro Orlando, per essere poi tradotto nella riforma, a quanto si dice nei termini di una responsabilità dello Stato, senza filtro sull’ammissibilità e con rivalsa automatica sul giudice. Sgombriamo subito il campo dai falsi: che ce lo chieda l’Europa, o si voglia uniformare l’Italia agli altri stati europei. Sul primo punto, la corte di giustizia Ue (in specie, 30.09.2003, C-224/01; 24.11.2011, C. 379-10) ha affermato dover essere prevista la responsabilità del (solo) Stato anche per la violazione manifesta del (solo) diritto Ue che risulti da una interpretazione di norme. La corte non si occupa di responsabilità dei giudici nell’ordinamento italiano, e tanto meno di risarcimenti, rivalse o automatismi. Quanto al secondo punto, la responsabilità dei giudici è variamente disciplinata, non mancando nemmeno casi in cui non si prevede alcuna forma di responsabilità o di rivalsa. Quando c’è l’errore, ancor più manifesto? Nell’interpretazione e applicazione della regola giuridica c’è una insopprimibile fluidità. Tra i vari gradi di giudizio tutto può cambiare, con letture diverse della stessa norma, o con l’applicazione di altra norma. Accade fisiologicamente in qualunque sistema giuridico. Darebbe questo luogo a un danno risarcibile? Certo no, in principio. Ma la richiesta di risarcimento potrebbe diventare di routine, con aumento esponenziale delle richieste di risarcimento e ulteriore ingolfamento di una macchina già al collasso. Cosa farà chi vince in appello sul punto di diritto? E se la suprema corte cassa affermando un diverso o contrapposto principio? E se un altro giudice non si attiene alla sentenza interpretativa di rigetto della corte costituzionale, che per unanime lettura vincola all’interpretazione data solo il giudice che ha sollevato la questione? Più i temi sono controversi e difficili, più le pronunce sono innovative, più si rischia una palude di richieste di risarcimento e rivalse. Chi sbaglia paga - dice Renzi - e vale per tutti. Ma non allo stesso modo. Anche per la corte costituzionale particolari cautele si richiedono per la responsabilità del giudice, a tutela dell’autonomia e indipendenza (sent. 2/1968, 18/1989). Non si può applicare al giudice il modello utilizzato per il privato cittadino, o anche in generale per il funzionario pubblico. È grande il pericolo di un troppo prudente - e magari ossequiente - conformismo giudiziario. Perché un giudice, che non sia un eroe, dovrebbe scegliere una strada rischiosa per il portafogli e la carriera, potendo fare diversamente? Meglio allinearsi. Questo è il sottile veleno che da tempo si cerca di iniettare nella funzione giudiziale, per evitare scossoni a una politica torpida, autoreferenziale, di casta. Poco importa che ciò sia per la mutazione genetica di quella che un tempo fu la sinistra, o per il prezzo di larghe intese presuntivamente necessarie a salvare il paese. Quanto ai diritti, è davvero fastidiosa la pretesa di esercitarli tutti a casa propria. Forse è meglio andare in Svizzera per morire con dignità, negli Stati Uniti per una madre-ospite, in Francia per un matrimonio gay, e in Spagna per una fecondazione eterologa. Siamo o no un popolo di navigatori? Magari bacchettoni. Giustizia: battaglia annunciata sulle ferie dei giudici e sulle intercettazioni di Eva Bosco La Sicilia, 2 settembre 2014 Orlando: entro l’anno i provvedimenti saranno legge Sabelli (Anm): non è così che si combattono i ritardi. Passata in Consiglio dei ministri la riforma della giustizia, il confronto si sposta in Parlamento, con l’esame dei testi da parte delle commissioni competenti. E non sarà una passeggiata. "L’orizzonte - afferma però il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, - è un orizzonte rapido. Io credo che entro la fine dell’anno dobbiamo arrivare a trasformare questi provvedimenti in legge". Se le due componenti della maggioranza, Pd e Ncd, hanno per ora trovato un’intesa, bisognerà vedere come si posizionerà Forza Italia e cosa faranno i Cinque Stelle e le altre forze di opposizione. Inoltre, molte parti della riforma vanno ancora definite. A partire dalle intercettazioni, dove si è disegnata una cornice che va riempita di contenuti, per stabilire quale strada seguire per tutelare la privacy dei non indagati: l’udienza stralcio per "filtrare" le intercettazioni rilevanti o la trascrizione per riassunto dei colloqui negli atti allegati alle ordinanze cautelari. Questo delicato capitolo, inoltre, sarà oggetto di confronto serrato con i penalisti ("anziché sanzionare chi pubblica le intercettazioni si estende il segreto anche ai difensori, che dovrebbero andare ad ascoltarsi negli uffici di procure centinaia di ore di registrazioni nei tempi ristretti dettati dalla carcera- zione preventiva", fa notare il loro presidente, Valeria Spigarelli); e naturalmente con l’Anm, già delusa dalle misure sulla prescrizione e preoccupata da quelle sulla responsabilità civile dei magistrati. Su quest’ultimo tema, l’Anm avrebbe voluto un’analisi approfondita della giurisprudenza sul filtro di ammissibilità dei ricorsi, ma il filtro è stato eliminato. E avrebbe voluto meccanismi dissuasivi delle azioni palesemente infondate. "Quello varato dal Governo - sottolinea da parte sua il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri - non è un provvedimento punitivo nei confronti dei magistrati. E un testo equilibrato perché è stato salvato il principio dell’azione indiretta che tutela l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e conferma l’imparzialità e l’autonomia del giudice". Ma prima ancora che torni alla ribalta il dibattito su questi contenuti, a far discutere è anche un altro passaggio della riforma, caldeggiato dallo stesso premier Matteo Renzi: il dimezzamento della sospensione feriale dei procedimenti. L’idea che si imprime è quella delle vacanze dimezzate per i magistrati. Ma non è esattamente così. "Quando si discute di giustizia, c’è il rischio di un approccio superficiale. La sospensione feriale - spiega il numero uno dell’Anm, Rodolfo Sabelli - non consiste nelle ferie e non comporta la chiusura di Procure e Tribunali, che non chiudono mai. Inefficienze e ritardi della giustizia non dipendono da questo, ma dall’adeguatezza della normativa processuale e da un problema di risorse. Certo, è più facile ridurre i termini feriali che aumentare le risorse". Durante il periodo di sospensione non si tengono le udienze ordinarie, "ma tutto ciò che è urgente, che significa detenuti e criminalità organizzata. Né si sospende il deposito degli atti, dovuti entro quei termini, da parte dei magistrati". La sospensione, inoltre, è pensata anche in funzione degli studi legali più piccoli o individuali. E proprio il presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, Nicola Marino, è scettico sul taglio: "Non è questa la via per ridurre davvero i tempi della giustizia". E si vuole davvero dimezzare l’arretrato civile bisogna eliminare quello che è un vero e proprio collo di bottiglia e introdurre per i magistrati dei termini da rispettare tra la chiusura della fase istruttoria e l’udienza di precisazione delle conclusioni", cioè tra l’inizio e la fine dell’iter processuale. Termini che "ora non ci sono, per cui accade che il magistrato oberato di lavoro, rinvii di uno, due, anche tre anni la fissazione". Lettere: perché in Italia il cittadino vittima di errore giudiziario non viene risarcito… di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2014 L’Italia, è l’unico paese in Europa, dove di fatto il cittadino vittima di un errore giudiziario, non viene risarcito né dal magistrato che sbaglia, né dallo Stato. Il decreto legge, approvato dal consiglio dei ministri di venerdì scorso, sul pacchetto giustizia prevede un cambiamento sulla responsabilità civile dei giudici. Si allarga la possibilità di poter richiedere questo risarcimento alle persone vittime di errori giudiziari. Con la legge attuale, dal 1987 ad oggi, su circa 150mila errori giudiziari solo 4, dicasi 4 magistrati, sono stati riconosciuti colpevoli di errore per dolo e colpa grave. È una cosa incredibile, che spero con obiettività il segretario dell’Associazione nazionale magistrati riconosca tale. Il tutto nasce dal fatto che i magistrati giudicano se stessi e si autoassolvono sempre. Questo è il vero punto che va riformato e spero che qualche parlamentare, nel corso della discussione, abbia il coraggio di presentare un emendamento in tal senso. Essendo una domanda risarcitoria che il cittadino vittima di ingiusta detenzione indirizza al governo, il governo non può affidare la decisione a una corte di magistrati, ma costituire una commissione composta da docenti di giurisprudenza che stabiliscano se il magistrato ha sbagliato o meno. Solo così si può ristabilire l’imparzialità e se non c’ è questo punto nulla cambierà. Tutto sarà come prima, ci sarà più accessibilità per presentare le domande, ma non cambierà nulla. La triste considerazione è che x il cittadino vittima di un errore giudiziario, al di là della rivalsa sul magistrato che non ottiene mai, ma non ottiene quasi mai neanche la riparazione x ingiusta detenzione, dove nell’articolo di legge 314 c.p., nel primo comma c’è una clausola, quella del dolo e colpa grave che è palesemente anticostituzionale, in quanto vieta il risarcimento alle persone assolte se hanno avuto cattive frequentazioni. Questo ha significato l’introduzione del giudizio morale nel nostro ordinamento giudiziario, incompatibile con i valori della Costituzione. Pisa: suicidio in carcere, si è impiccato un detenuto originario della Repubblica Ceca Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2014 "È di poche ore fa la triste notizia della morte per suicidio di un detenuto nella Casa Circondariale di Pisa. Ieri mattina tra le 5,30 e le 06,00 si è impiccato un detenuto originario della Repubblica Ceca, che aveva un fine pena 2018 e si trovava in regime aperto e con un altro compagno nella cella. Verso le 5,30, il collega della Polizia penitenziaria addetto alla sezione, durante un giro di controllo, lo ha visto sulla branda, dopo di che si è recato di sentinella dando il cambio ad altro collega. Quest’ultimo è arrivato nella sezione dopo circa una mezz’ora e nel corso del giro di controllo non ha visto il suddetto ristretto sulla branda. Insospettito ha svegliato l’altro detenuto che lo ha trovato appeso, con delle lenzuola, alla finestra del bagno. Nulla ha fatto presagire l’insano gesto del detenuto, anche in virtù del comportamento corretto dello stesso, sia nei confronti della restante popolazione detenuta che nei confronti del personale di Polizia Penitenziaria. Purtroppo, nonostante il prezioso e costante lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria, con le criticità che l’affliggono, non si è riusciti ad evitare tempestivamente ciò che il detenuto ha posto in essere nella propria cella". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. Il sindacalista del Sappe sottolinea che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". Capece torna a sottolineare le criticità del sistema penitenziario: "Manca il personale di Polizia Penitenziaria e ogni giorno c’è una nuova criticità. L’Amministrazione Penitenziaria è ormai da diversi mesi senza un Capo Dipartimento e l’organico dei Baschi Azzurri è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira ormai sui 40 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo. Nonostante le affrettate rassicurazioni di chi va in giro a dire che i problemi delle carceri sono (quasi) risolti e non c’è più un’emergenza, i drammi umani restano, eccome, ed è quindi sbagliata la scelta del Ministero della Giustizia di cancellare i presidi di sicurezza penitenziaria in cinque importanti regioni come Calabria, Liguria, Umbria, Marche e Basilicata". "Non è pensabile chiudere strutture importanti di raccordo tra carcere, istituzioni e territorio come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria di Calabria, Liguria, Umbria, Marche e Basilicata" conclude Capece "a meno che non si voglia paralizzare il sistema ed avere del carcere l’esclusiva concezione custodiale che lo ha caratterizzato fino ad oggi. Vuole il Governo Renzi essere ricordato per questo attacco ai presidi di sicurezza del Paese?". Osapp: in Italia è il 28esimo dall’inizio dell’anno "Un detenuto di 46 anni ristretto nel carcere di Pisa si è impiccato questa mattina nel bagno della cella che condivideva con un altro detenuto" a darne notizia in una nota è Leo Beneduci. segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). Secondo il sindacato: "sulla carta il sovraffollamento penitenziario la Toscana non sarebbe in condizioni critiche, a differenza di altre sedi, atteso che per i 3.246 detenuti presenti sarebbero 3.345 i posti della capienza c.d. "regolamentare" e, addirittura, 4.916 posti della capienza c.d. "tollerabile", mentre nel carcere di Pisa a fronte di una capienza "regolamentare" di 288 posti sono presenti 261 detenuti, per cui è da ritene3re che le cause che hanno portato ai gravi eventi di Firenze-Sollicciano, Porto Azzurro nei giorni scorsi e oggi a Pisa hanno altre cause, probabilmente, insite in un sistema e in una organizzazione che al di là dei numeri produce comunque disagio e sofferenza nell’utenza come nel personale.", "Peraltro - prosegue il leader dell’Osapp - l’episodio ingenera ulteriori e gravi dubbi anche rispetto ai criteri di gestione del lavoro in uso negli istituti di pena e riguardo alla considerazione istituzionale in cui è tenuta l’Amministrazione penitenziaria, in ambito nazionale e periferico, se da un lato risulterebbero contemporaneamente assenti per ferie il direttore e il comandante di reparto di Pisa nonché il Provveditore Regionale, mentre nell’assoluta discrezionalità che compete all’autorità giudiziaria le indagini di rito a Pisa sono state comunque affidate ai militari dell’Arma dei Carabinieri e non agli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria benché colà in servizio. "È, pertanto, non solo urgente ma di vitale importanza - conclude Beneduci - che il Governo inserisca nella riforma della Giustizia anche la completa riorganizzazione dell’Amministrazione penitenziaria e, ad oltre 24 anni dalla prima, una nuova riforma della Polizia Penitenziaria". Radicali: suicidio dimostra inadeguatezza sistema penitenziario "Ieri mattina si è suicidato nella sua cella del carcere di Pisa un detenuto cecoslovacco: é il 28º caso di suicidio nelle carceri italiane, il 3º nelle carceri toscane dall’inizio del 2014". La segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, e Maurizio Buzzegoli, segretario dell’Associazione "Andrea Tamburi" di Firenze, sottolineano che "i proclami del Governo Renzi che ritengono di aver risolto il problema carcerario vengono sconfessati quotidianamente dalle tragedie che avvengono negli istituti penitenziari italiani: la morte per pena é una triste realtà che testimonia l’illegalità e l’inadeguatezza del nostro sistema penitenziario". Lo scorso 30 giugno Rita Bernardini, insieme a Marco Pannella e a centinaia di cittadini, ha intrapreso uno sciopero della fame, durato 43 giorni, con l’obiettivo, tra gli altri, di scongiurare le morti violente in carcere. "A più riprese, siamo stati obbligati da parte delle giurisdizioni internazionali a ristabilire la legalità e lo Stato di Diritto all’interno delle patrie galere -proseguono Bernardini e Buzzegoli - ma ad oggi si continuano ad ignorare le uniche due soluzioni in grado di risolvere immediatamente il problema, così come auspicato anche dal Presidente Napolitano: i provvedimenti di amnistia e indulto". I due esponenti radicali lanciano un appello al Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: "Le carceri toscane sopravvivono nella continua emergenza: auspichiamo che, quanto prima, si riesca a convocare sul tema una seduta straordinaria del Consiglio regionale". Cagliari: Sdr: il Dap è principale responsabile aggressione al direttore di Buoncammino Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2014 "Esprimiamo solidarietà al Direttore di Buoncammino Gianfranco Pala e agli Agenti per il grave episodio di aggressione verificatosi, ma la principale responsabilità di quanto accaduto è del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Roman Antonov è affetto dalla sindrome di Asperger, una grave malattia mentale, deve essere trasferito in una struttura ospedaliera per detenuti. La richiesta giace da mesi senza risposta". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione cagliaritana "Socialismo Diritti Riforme", spiegando che "si tratta di un cittadino disabile in regime di alta sicurezza con diverse problematiche sanitarie non facilmente gestibili in un centro diagnostico come quello cagliaritano ormai peraltro in dismissione". "Il detenuto nepalese, apolide, affetto anche da una rara forma di talassemia, si trova ristretto - sottolinea Caligaris - impropriamente nel Centro Diagnostico Terapeutico del carcere di Buoncammino a Cagliari. L’uomo a causa delle problematiche psichiatriche genera gravi problemi di piantonamento e monitoraggio. In Italia esistono strutture ospedaliere idonee ad affrontare con strumenti adeguati casi sanitari complessi. Tra gli altri il "Sandro Pertini" di Roma, il "San Paolo" di Milano o l’ospedale "Belcolle" di Viterbo. Finora però il Dap ha pensato bene di ignorare il problema relegandolo e tenendolo in Sardegna". Roman Antonov, dopo un lungo periodo trascorso a Buoncammino, era stato trasferito nell’Istituto Penitenziario di Milano Opera ma per volontà del Dap, all’inizio dello scorso mese di giugno, ha fatto ritorno nella Casa Circondariale di Cagliari. Da subito forti perplessità erano state espresse dal coordinatore sanitario del Cdt Antonio Piras. Adesso però la situazione è divenuta intollerabile - conclude la presidente di Sdr - rendendo improcrastinabile l’intervento del Dap. Sanremo (Im): detenuto si barrica in cella armato di cocci e lamette e minaccia il suicidio www.riviera24.it, 2 settembre 2014 A quel punto si è barricato nella cella, urlando al personale di non avvicinarsi e chiedendo di essere trasferito di carcere. Alla fine, dopo una lunga e scrupolosa opera di persuasione, gli agenti della penitenziaria lo hanno riportato alla calma. Un giovane detenuto magrebino che si è barricato in cella, per circa due ore, minacciando il suicidio, armato di cocci e lamette, è stato salvato, verso le 13.30, dagli agenti della penitenziaria, al carcere di valle Armea, a Sanremo. Lo comunica il sindacato della polizia penitenziaria Sappe. L’uomo, soggetto già noto agli agenti, ritenuto particolarmente violento, ha distrutto la propria cella, armandosi con i vetri in frantumi del televisore (in dotazione) e alcune lamette da barba. A quel punto si è barricato nella cella, urlando al personale di non avvicinarsi e chiedendo di essere trasferito di carcere. Alla fine, dopo una lunga e scrupolosa opera di persuasione, gli agenti sono riusciti a dissuadere il giovane, che già era stato trasferito da altre sedi a Sanremo, sempre lo stesso motivo. "Comunque quest’oggi - avvertono dal Sappe - in un istituto privo di Direttore e Comandante , la Polizia Penitenziaria sotto la direzione del Vice Comandante funzionario del Corpo Dr.ssa Nadia Giordano e dell’Ispettore coordinatore nonché del capo reparto e altro personale presente , è riuscito a persuadere il detenuto in questione e a ricondurlo ad una apparente ragione vincendo l’atto di forza, in parte consumato, nello spazio di circa due ore di attività mirata e concentrata sudando davvero le cosiddette "sette camice". "Auspichiamo che vengano prese in seria considerazione le attività di servizio svolte e che al personale partecipante venga dato il dovuto riconoscimento essendo sempre più scarso invece quello economico che da anni resta fermo senza nessun interessamento da parte dell’attuale esecutivo di governo". Venezia: progetto teatrale Passi Sospesi; Gabriele Salvatores al carcere della Giudecca Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2014 Prosegue anche quest’anno la collaborazione di Balamòs Teatro con la Mostra del Cinema di Venezia, nell’ambito del progetto teatrale "Passi Sospesi" attivo negli Istituti Penitenziari di Venezia dal 2006. La collaborazione con la Mostra di Venezia ha avuto inizio nel 2008 con la presentazione dei documentari di Marco Valentini relativi alle attività teatrali svolte sotto la direzione di Michalis Traitsis, regista e pedagogo di Balamòs Teatro. Da allora ogni anno Traitsis invita un regista o un attore ospite della Mostra per un incontro con i detenuti e le detenute degli Istituti Penitenziari veneziani, preceduti dalla presentazione dei film più rappresentativi dei registi o attori invitati. In questi ultimi anni hanno visitato le carceri veneziani Abdellatif Kechiche, Fatih Akin, Mira Nair, Gianni Amelio e Antonio Albanese. Quest’anno visiterà la Casa di Reclusione Femminile di Giudecca il regista Gabriele Salvatores, ospite della Mostra di Venezia con il film "Italy in a day - Un giorno da italiani" prodotto da Indiana Production con Rai Cinema in associazione con Scott Free. L’incontro è previsto per Giovedì 4 Settembre alle ore 16.00 ed è riservato agli autorizzati. Gabriele Salvatores è nato a Napoli nel 1950 ma si è trasferito giovanissimo a Milano dove si è diplomato al Liceo Beccaria. La sua formazione è avvenuta in ambito teatrale, prima all’Accademia d’Arte Drammatica del Piccolo Teatro e in seguito nel 1972 ha fondato il Teatro dell’Elfo, dove ha diretto molti spettacoli d’avanguardia, lavorando insieme tra gli altri anche con Paolo Rossi, Claudio Bisio, Silvio Orlando. La sua avventura cinematografica ebbe inizio timidamente nel 1983 con i film "Sogno di una notte d’estate" e in seguito "Kamikazen - Ultima notte a Milano" e nel 1989 è passato definitivamente al cinema con il film "Marrakech Express". L’anno successivo ha girato "Turné", ma il grande successo è arrivato subito dopo con il film "Mediterraneo", con il quale si è aggiudicato l’Oscar per il miglior film straniero e numerosissimi altri riconoscimenti. In seguito ha diretto tanti altri film come "Puerto Escondido", "Sud", "Nirvana", "Denti", "Amnésia", "Io non ho paura", "Quo vadis, Baby?", "Come Dio comanda", "Happy Family" "Educazione siberiana", video clip, ha collaborato con attori come Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Laura Morante, Sergio Rubini, Francesca Neri, Paolo Villaggio, Christopher Lambert, Ugo Conti ecc, con scrittori come Pino Cacucci, Nicolò Ammaniti, Grazia Verasani, Nicolai Lilin, e musicisti come Fabrizio De André, Angela Baraldi. La collaborazione di Balamòs Teatro con gli Istituti Penitenziari di Venezia e la Mostra del Cinema ha come obiettivo quello di ampliare, intensificare e diffondere la cultura dentro e fuori gli Istituti Penitenziari ed è inserita all’interno di una rete di collaborazioni che comprende anche il Coordinamento Nazionale di Teatro in Carcere, il Teatro Stabile del Veneto, il Centro Teatro Universitario di Ferrara e la Regione del Veneto. Per il progetto teatrale "Passi Sospesi", Michalis Traitsis ha ricevuto nell’Aprile del 2013 l’encomio da parte della Presidenza della Repubblica e nel Novembre del 2013 il Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Libri: premio Leonardo Sciascia a "Malerba", di Carmelo Sardo e Giuseppe Grassonelli Italpress, 2 settembre 2014 Carmelo Sardo con "Malerba" è il vincitore della XXVI edizione del Premio letterario Racalmare - Leonardo Sciascia, città di Grotte. Il libro scritto a quattro mani insieme Giuseppe Grassonelli è stato il più votato dalla giuria popolare, malgrado le polemiche scatenate nei giorni scorsi da uno dei componenti della giuria di qualità, alla quale è affidato il compito di selezionare i tre libri finalisti, che si è dimesso perché in disaccordo sulla scelta di "Malerba". La giuria popolare di Grotte, paese dell’agrigentino che ospita l’evento, ha premiato a scrutinio segreto il racconto autobiografico dell’ergastolano Grassonelli, un killer di mafia entrato in carcere negli anni Novanta e oggi laureato in Filosofia, raccolta dal giornalista Carmelo Sardo. "Malerba", che ha ricevuto 13 voti, ha superato per un solo voto "È così lieve il tuo bacio sulla fronte" di Caterina Chinnici, figlia del magistrato Rocco ucciso dalla mafia nel 1983, che a sua volta ha staccato di un altro voto ancora "Piccola Atene" di Salvatore Falzone. "È un momento di grande orgoglio - dice Carmelo Sardo - perché sono stati giorni faticosi, è inutile negare che anch’io sono stato condizionato da quello che è stato detto e scritto dalla stampa. Oggi il riscatto arriva dai lettori che hanno compreso, mi auguro, il messaggio del libro e cioè: chi sbaglia paga, ma chi sbaglia può e deve essere recuperato e in qualche modo restituito alla società. Mi piace rimarcare - prosegue Sardo - non tanto e non solo il mio successo, ma quanto il successo di questa edizione del Premio Racalmare. Perché se è vero come è vero che i tre finalisti sono stati separati l’uno dall’altro di un voto, il successo è di tutti. Ed in particolar modo del Presidente Savatteri che ha voluto affrontare, per la prima volta in ventisei anni di vita del Premio, un tema scottante come quello della mafia e dell’antimafia". Non solo mafia il tema di quest’ultima edizione ma anche etica, responsabilità, condanna, sentimento e riflessione sui misteri siciliani. Nel corso della manifestazione nella piazza di Grotte, un toccante momento ha visto il pubblico in piedi ad applaudire le vittime della strage del 29 luglio 1983 - Rocco Chinnici, Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi. "Un’edizione - commenta Gaetano Savatteri, presidente del Racalmare - particolarmente significativa, non tanto per le polemiche che l’hanno preceduta ma per i temi sollevati dai tre libri finalisti: tre modi diversi di raccontare la Sicilia e i suoi mali nello spirito dell’opera letteraria e di impegno civile di Leonardo Sciascia. Lo stesso esito della votazione dimostra che i libri sono stati valutati con serenità e attenzione e l’intera cerimonia è stata dedicata alle vittime della mafia". Libri: il Premio Sciascia vinto dal mafioso; da Papillon a Cutolo, esiste l’arte criminale? di Dino Messina Corriere della Sera, 2 settembre 2014 Le polemiche, il riconoscimento e ancora altre polemiche soprattutto perché il testo del condannato per mafia ha superato quello scritto dalla figlia del giudice ucciso dalla mafia. Il "Premio Racalmare-Leonardo Sciascia" è stato assegnato a "Malerba", il libro scritto da Giuseppe Grassonelli, killer condannato all’ergastolo, insieme con il giornalista del Tg5 Carmelo Sardo. Così ha deciso la giuria popolare attribuendogli tredici voti. Più di quelli presi da "È così lieve il tuo bacio sulla fronte" di Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco, ucciso da Cosa nostra e "Piccola Atene" di Salvatore Falzone. "Sono orgoglioso di questo premio che condivido con tutti coloro che credono nel riscatto anche di chi ha sbagliato - ha scritto Sardo su Facebook. E sappiamo che anche Sciascia ci credeva". "Malerba", l’epopea malavitosa di Giuseppe Grassonelli, forse sarà ricordata solo per le polemiche nate dalla vittoria del Racalmare, il premio ideato da Leonardo Sciascia. Le confessioni dell’ex killer di mafia (e le scuse ai concittadini di Porto Empedocle) probabilmente non hanno la forza di grandi casi letterari nati nelle colonie penali: Papillon di Henri Charrière, che nel 1967, dopo l’incendio del suo night in Venezuela, decise di raccontare le peripezie di condannato nella Guyana Francese (con nove tentativi di fuga in dodici anni di detenzione). Un racconto affascinante con qualche concessione alla fantasia che regalò a Charrière, scomparso nel 1973, fama duratura, anche grazie al film con Steve McQueen e Dustin Hoffman. Un caso letterario (e umano) ancora più dirompente, per le implicazioni della lotta contro la pena di morte, quello di Caryl Chessman, già ladruncolo abituale (e forse omicida) arrestato a 27 anni con l’accusa di aver rapinato e stuprato alcune donne. Chessman negò sempre di aver commesso quei delitti e in opere come Cella 2455 braccio della morte e Quel ragazzo è un killer regalò dei veri cammei alla letteratura di genere. Il valore letterario e le battaglie civili di Chessman non gli evitarono di finire sulla sedia elettrica, il 2 maggio 1960, nel carcere di San Quintino. Qualche interesse per la storia del nostro costume ce lo offrono Luciano Lutring, detto "il solista del mitra" perché nascondeva l’arma in una custodia di violino. Nemico pubblico numero uno in Francia e in Italia, autore di rapine con un "fatturato" complessivo di trenta miliardi di lire degli anni Sessanta, Lutring faceva le cose in grande: fu graziato sia dal presidente Georges Pompidou, sia dall’italiano Giovanni Leone. Così poté dedicarsi alla pittura e alla scrittura (naturalmente autobiografica): "Il solista del mitra" venne pubblicato nel 1966, lo stesso anno, guarda caso, dell’uscita del film di Carlo Lizzani, Svegliati e uccidi. Meno affascinanti ci appaiono le conversioni letterarie del fondatore della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo, che nonostante il titolo di "o professore" ha firmato versi ben mediocri, come "polvere bianca ti odio". O quella di Vincenzo Andraous, conosciuto nei primi anni Ottanta come il killer delle carceri italiane ("vivo tra mille rimorsi ma la poesia mi ha cambiato" confidava nel 1993 al cronista del Corriere Stefano Lorenzetto). Tuttavia una storia umana interessante dove la letteratura è medicina. Un percorso simile in fondo a quello di Grassonelli, che si affranca da una storia di mafia attraverso la riflessione e la scrittura. Niente a che vedere questa storia con il romanticismo delle vite sbagliate di Charrière e Lutring. O con il fascino sulfureo di grandi poeti che conobbero la galera e forse anche la forca: primo fra tutti François Villon (1431-1463), ladro e assassino, condannato a morte, autore di alcuni testi fondamentali della letteratura francese, come La ballata degli impiccati, e poi di drammaturghi maledetti come Jean Genet. La letteratura può avere un potere salvifico: a patto che si ammettano i propri delitti e si sia disposti a renderne conto. È stato così per Edward Bunker, scrittore di talento dal passato criminale che ispirò James Ellroy e Quentin Tarantino. E per un "maledetto" in sedicesimo come Bruno Brancher, ultimo cantore della vecchia mala milanese. Non è così per Cesare Battisti, l’ex terrorista diventato romanziere che non ha voluto mai pagare per i suoi errori. Cinema: Goli Otok e la società della paura di Rodolfo Toè www.balcanicaucaso.org, 2 settembre 2014 "Goli" è la storia di una famiglia e la storia di uno dei crimini peggiori della Jugoslavia titina ed ha recentemente vinto la sezione documentari del Festival di Sarajevo. Un’intervista alla regista Tiha Gudac Goli, il tuo documentario più recente, parla di una storia molto personale, quella di tuo nonno Marijan, e dell’impatto della sua detenzione a Goli Otok sulla tua famiglia. Come e perché è nata l’idea di realizzare questo lavoro? È un film nato quasi per caso, sei anni fa, quando alcuni ex detenuti hanno scritto al settimanale Globus per protestare pubblicamente contro le dichiarazioni di un ex membro del Partito comunista croato che minimizzava le torture subite dai detenuti a Goli Otok. Per mia grande sorpresa tra questi ex detenuti vi erano anche due amici di famiglia di vecchia data, che noi chiamavamo "zia" Vera e "zio" Pal... Ho iniziato ad interrogarmi sulla storia della mia famiglia e sui legami molto stretti tra i miei nonni e Vera e Pal. Da piccola andavo in spiaggia con mio nonno e ricordo il suo corpo pieno di cicatrici. Ma era vietato chiedere il perché. Nella mia famiglia si utilizzava costantemente l’espressione "Quando il nonno era via...". Ma dove? Ho quindi iniziato a fare delle ricerche. Il testo è tratto da AestOvest, percorso multimediale realizzato da Osservatorio Balcani e Caucaso. Nell’ambito del progetto AestOvest, OBc ha realizzato anche il video "L’Isola" con testi tratti dal libro "L’Isola nuda" di Dunja Badnjevic. È stato difficile? Si e no. Le mie ricerche sono state molto... spontanee. Innanzitutto sono andata a trovare lo zio Pal. Mi sono portata la telecamera, senza sapere poi cosa me ne sarei fatto ed ho iniziato a riprendere. Pal era stato detenuto a Goli Otok assieme a mio nonno. La loro amicizia è nata sull’isola anche se si incontravano raramente. Scoprire il suo passato e il passato di mio nonno è stato appassionante. Ma non ero che all’inizio di un lungo viaggio. Ho impiegato poi sei anni - e molti sforzi - a finire il mio lavoro e scoprire i segreti della mia famiglia. Metti in rilievo il silenzio che circonda gli ex prigionieri di Goli Otok. Ma non si parla dell’esistenza di questo ex-gulag nel dibattito pubblico croato? Goli Otok è stata una questione tabù durante tutto il periodo comunista. Il dibattito su questo campo è iniziato negli anni 80 quando alcuni quotidiani come ad esempio Borba hanno iniziato a parlarne. Attualmente direi si tratti di una questione retorica nell’immaginario collettivo croato. Goli Otok è stata un carcere per detenuti politici dal 1949 al 1956. Poi è stata utilizzata per criminali comuni, sino alla fine degli anni ‘80. Questo ha fatto sì che la gente credesse che, dopotutto, le condizioni non fossero così estreme e inoltre che, se qualcuno era rinchiuso a Goli, in fondo se lo meritava. Vi sono frasi che i miei compatrioti pronunciano spesso: "Occorrerebbe riaprire Goli", "Quella gente là [i politici] dovrebbero essere rinchiusi a Goli". È orribile, perché tutto ciò banalizza le violazioni di diritti fondamentali che vi sono state per anni. Immagino tu sia contraria al progetto del governo croato di privatizzare l’isola. Cosa si dovrebbe fare di Goli Otok oggi? Lo statuto di Goli Otok è fluido. L’isola è abbandonata a se stessa. Per il governo, non è mai esistita. Lo scopo è di renderla invisibile. E la decisione di inserirla tra le 100 proprietà che lo stato ha messo in vendita è disgustosa. Non capisco proprio che tipo di turismo vi si possa sviluppare. Secondo alcuni la questione rischia d’essere politicizzata e di divenire ostaggio di un dibattito sterile tra destra e sinistra sul passato della Croazia. D’altro canto è stata proprio la sinistra a decidere di vendere ai privati uno dei simboli delle persecuzioni politiche del comunismo... Il rischio di politicizzazione esiste. Ma il problema non è la divisione tra destra e sinistra. Al contrario. Per me Goli Otok è il miglior esempio della fluidità del sistema e dell’attuazione della transizione in Croazia. A nessuno conviene ricordare Goli Otok, né a destra e neppure a sinistra. Tutti quelli che si ritrovano oggi al potere in un modo o nell’altro facevano parte del Partito comunista. Ora raccolgono i benefici di posizioni che occupavano durante il regime. È la loro ricompensa per aver fatto un buon lavoro. Penso siano anche loro responsabili di quanto avvenuto. Goli Otok è la dimostrazione del fatto che il sistema jugoslavo si fondava sulla paura. E cosa pensi della Jugoslavia? Molti si dichiarano jugonostalgici, come se quell’epoca fosse stata un paradiso... Certo, la Jugoslavia aveva degli aspetti positivi. Durante il socialismo si viveva bene e insisto su questo punto nel mio documentario. Ciascuno di noi ha le sue ragioni per avere nostalgia di un periodo passato... Per me la Jugoslavia ha però fallito. Non è riuscita a portarci nel "resto del mondo", in Europa. Abbiamo creato il movimento dei non allineati. Ma si è ben visto, dopo la morte di Tito, quale fosse il valore effettivo di quel sistema diplomatico. È affondato immediatamente e ci siamo ritrovati isolati. Ai giorni nostri l’eredità più evidente della Jugoslavia risiede nel modo in cui i cittadini della Croazia percepiscono lo stato e la loro comunità. La maggior parte delle persone hanno paura: temono di perdere il loro lavoro, di non avere abbastanza soldi, di rimanere isolati... Questo clima favorisce la piccola corruzione, il compromesso a tutti i costi. Non aiuta certo lo sviluppo di un dibattito politico sano. Si è visto quando si è discusso di matrimonio tra omosessuali e dell’uso del cirillico a Vukovar. Non si riesce mai a discuterne in modo civile. Si deve sempre sostenere che la ragione è dalla propria parte e non da quella del "nemico".... Per me è ciò che abbiamo ereditato da Goli Otok, dal sistema che Goli Otok rappresenta. Vi è anche un’altra eredità di Goli Otok e riguarda la vita privata degli ex detenuti... È una cosa che ho scoperto parlando con le persone durante le mie ricerche: una disgrazia che molte famiglie hanno dovuto sopportare. Chi era passato per Goli Otok doveva tacere su quanto aveva subito. E questo ha creato inevitabilmente un’atmosfera terribile nelle relazioni umane. Tutte le famiglie che hanno avuto qualcuno rinchiuso a Goli Otok sono crollate. I figli, come mia madre, sono cresciuti con numerosi complessi, hanno quasi sempre divorziato. Questa situazione l’ho ritrovata in tutte le famiglie vittime della repressione che ho incontrato. 16.000 persone sono passate per il gulag. Ma la tragedia continua tre generazioni dopo. All’inizio volevo conoscere i fatti, rispondere a questioni rimaste un tabù per tutta la mia vita. Poi ho finito per interrogarmi sia sulla storia che sulle tragedie della mia famiglia: le due dimensioni sono complementari. Goli Otok "Goli Otok è una piccola isola della Croazia, situata nell’Adriatico settentrionale, nota per aver ospitato una prigione per oppositori politici del regime comunista jugoslavo. Il suo nome, che significa isola calva o isola nuda, deriva dalla pressoché totale assenza di vegetazione che la caratterizza. Già durante la Prima guerra mondiale era stata adibita a carcere per i prigionieri di guerra russi catturati dall’esercito austroungarico sul fronte orientale. A partire dal 1949, dopo la rottura con Stalin, Tito la trasformò in luogo di detenzione per dissidenti e vi fece internare molti comunisti ritenuti vicini all’Unione Sovietica. Tra questi, molti di quei cittadini italiani che si erano trasferiti in Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale per partecipare all’ "edificazione del socialismo". Sull’isola vennero rinchiusi anche anticomunisti e criminali comuni. Le migliaia di prigionieri politici internati a Goli Otok erano costretti ai lavori forzati spesso in dure condizioni atmosferiche, con caldo torrido durante l’estate e vento di bora in inverno. Di questi, almeno quattromila morirono a seguito di torture o di stenti. Come emerge dalle testimonianze dei sopravvissuti, l’isola era soprattutto un luogo destinato all’annientamento psicologico dei detenuti sistematicamente interrogati, picchiati e torturati. Goli Otok cessò di essere un carcere politico nel 1956 con la normalizzazione dei rapporti tra Jugoslavia e URSS, seguita alla morte di Stalin. Convertita in carcere per detenuti comuni, la colonia penale fu chiusa definitivamente solo nel 1988. Oggi l’isola è completamente disabitata, visitata solo da turisti occasionali e periodicamente raggiunta da pastori provenienti dalla vicina isola di Rab con le loro greggi. Gli edifici che costituivano l’ex carcere sono abbandonati e in rovina". Mondo: italiani detenuti all’estero, quanti sono, dove sono e perché sono in cella... L’Huffington Post, 2 settembre 2014 Luigi Manconi concludeva così l’articolo sulla detenzione cubana di Giulio Brusadelli e degli altri 3012 italiani detenuti all’estero: "qui non interessa in primo luogo che il reato attribuito a quei detenuti sia stato effettivamente commesso. Non è un dettaglio trascurabile, ovviamente, ma ciò che voglio segnalare va oltre. Qui interessano piuttosto le garanzie assicurate durante i processi, il rispetto dei diritti della difesa, l’entità della pena, la sua proporzionalità e, in particolare, le condizioni della detenzione. Spesso orribili. Le organizzazioni umanitarie operano per sanare le ingiustizie, garantire la difesa a chi ne è privo e limitare gli abusi; il ministero degli esteri italiano fa quel poco che le relazioni internazionali (e governi talvolta autoritari o totalitari) permettono di fare: e noi? Quasi nulla è nel nostro potere. Ma possiamo ricordare questo pezzo di umanità dolente spesso penalizzata ben al di là di quanto i loro errori o i loro crimini esigono. E, poi, una modestissima proposta: chi volesse far sentire la propria vicinanza, in termini esclusivamente umani (e umanitari), almeno a queste persone delle quali qui abbiamo tratteggiato sommariamente le vicende può scrivere a questo indirizzo: italianidetenutiallestero@huffintonpost.it. Si provvederà a far giungere questi messaggi ai diretti interessati e qualora non fosse possibile, ai loro familiari. Un piccolo gesto, ma forse non inutile". India: caso marò; Massimiliano Latorre ricoverato d’urgenza per un’ischemia celebrale di Giampaolo Cadalanu La Repubblica, 2 settembre 2014 Il marò in attesa di processo da due anni e mezzo colpito da un malore. Scoppiano le polemiche. Mogherini: "Riportarli a casa priorità del governo". Non fa davvero bene alla salute restare per due anni e mezzo con un’accusa di omicidio sulla testa, senza chiarezza sul futuro né reale possibilità di difendersi. Ed è ancora peggio se si vive in una condizione di semi-prigionia, in un paese straniero, lontani dalle famiglie. Domenica il carico di stress ha raggiunto il limite: Massimiliano Latorre ha accusato un malore, e ha dovuto ricoverarsi nel reparto di Neurologia di un ospedale di New Delhi, dove i sanitari hanno stabilito di tenerlo in osservazione. Le sue condizioni non sono gravi, i medici hanno parlato di attacco ischemico, senza pericolo di vita. Alla notizia del malore, Roberta Pinotti ha deciso di non lasciar solo il fuciliere di Marina ammalato: dopo una rapida consultazione con Palazzo Chigi, il ministro della Difesa ha immediatamente richiesto un aereo di Stato per poter verificare di persona le condizioni del militare, portando con sé anche alcuni medici italiani, che seguiranno gli sviluppi della malattia. Latorre aveva già avuto qualche problema cardiaco due anni fa, ma meno serio dell’attacco subito domenica. A New Delhi la Pinotti ha trovato il militare italiano sveglio, un po’ abbacchiato ma in grado anche di comunicare con i familiari e gli amici più stretti. "Ha chiamato mio papà e dice che mi ama", ha scritto sulla sua pagina Facebook la figlia del militare, Giulia, scusandosi per non poter rispondere personalmente ai tanti messaggi di solidarietà. A Roma le prime notizie del malore avevano dato fiato a voci incontrollabili, fra cui anche l’ipotesi che la pressione psicologica avesse finito per far cedere il sistema nervoso del militare, spingendolo a quelli che vengono definiti "gesti inconsulti". Ma gli amici di Latorre escludono anche la più remota possibilità di una scelta del genere: "Massimiliano è una persona solare, positiva, sempre sorridente, sempre a schiena dritta. È un uomo solido, molto motivato". E qualcuno ricorda che "i Fucilieri di Marina si mettono in ginocchio solo per sparare". La Pinotti ha ricordato che "riportare in Italia i due Fucilieri è una priorità del governo", e a lei si è unita anche Federica Mogherini, appena nominata responsabile della Politica estera e di sicurezza europea. I due militari italiani sono trattenuti in India dal febbraio 2012. Massimiliano Latorre e il commilitone Salvatore Girone sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani credendoli pirati che assalivano la petroliera "Enrica Lexie". Una qualche schiarita era attesa dopo il responso delle urne in India: in una parte della Federazione il tema dei militari era stato utilizzato per colpire Sonia Gandhi e il suo partito, assieme agli scandali per controverse forniture militari che coinvolgevano un’industria italiana. Dopo le elezioni, la vittoria del nazionalista Narendra Modi sembrava aver aperto la strada per un accordo in grado di far rientrare in Italia i due militari. Una volta insediato, il premier indiano non aveva più interesse a esasperare l’atteggiamento anti-italiano. All’inizio di agosto, Modi ha avuto una lunga e apparentemente cordiale conversazione telefonica con il presidente del Consiglio Matteo Renzi: i due hanno sottolineato "l’importanza di un rilancio dei rapporti bilaterali tra le due democrazie, sia per gli scambi, sia per la cooperazione internazionale, e nel quadro della Ue". In altre parole, il momento della tensione dovrebbe essere superato, la strada del rientro con un possibile processo in Italia potrebbe essere spianata da un momento all’altro. Ma nel frattempo l’attesa e lo stress esigono un prezzo pesante. Usa: celle in rovina e detenuti invecchiati, a Guantánamo tramonta la promessa di Obama di Vittorio Zucconi La Repubblica, 2 settembre 2014 Guantánamo. I pavimenti sprofondano nella sabbia, la giungla si riprende il "Gulag tropicale" ma il carcere per i super-jihadisti resta aperto Un monumento alla fallita Guerra al Terrore Corrotto dal tempo, dalla politica e dal clima tropicale, tra pavimenti di truciolato che sprofondano nella sabbia e ratti che rosicchiano le pareti, Guantánamo resiste ancora, monumento alle mancate promesse di Barack Obama e al fallimento morale della "Guerra al Terrore" di George W. Bush. Settantaquattro uomini vi restano detenuti, senza futuro, vestiti in quelle tute arancione che oggi sono divenute la bandiera simbolica degli orrori perpetrati dai macellai del Califfato dell’Is. Guantánamo vive e lotta per loro. Dodici anni di inettitudine e di palleggio di responsabilità burocratiche, hanno lasciato il "Gulag Tropicale", come fu definito da Amnesty International, in uno stato di decomposizione materiale che rappresenta perfettamente il disastro di una strategia che ha prodotto un nemico ancora più feroce, e molto più organizzato, di Al Qaeda. Gli inviati del New York Times lo hanno visitato e hanno trovato "una colonia penale fatiscente che costa 443 milioni di dollari all’anno ai contribuenti", senza chiusura in vista. Eppure "chiudere Guantánamo", una sconfitta morale e d’immagine che, insieme con le foto di Abu Grahib, gli interrogatori "avanzati" e la consegna di prigionieri ad altre nazioni per torture segrete, è costata all’America più di una battaglia perduta, era stata una delle promesse fatte da Barack Obama nel 2008. Un impegno preso senza fare i conti con l’oste, in questo caso quel Parlamento americano e quei Governatori degli Stati che respinsero, e ancora respingono, l’idea di accogliere sul territorio degli Stati Uniti e nei penitenziari di massima sicurezza i resti di quei 779 "combattenti nemici" che, dall’apertura nel gennaio del 2002, vi sono passati. Sei anni dopo quell’impegno, e nell’imminenza del ritiro definitivo anche dall’Afghanistan entro il 2016, la semplice realtà è che nessuno, non la Casa Bianca, non il Pentagono, dal quale dipende la base navale nel territorio cubano, non la Cia, non il Dipartimento di Stato e non il Congresso sanno che fare di "Gitmo", come divenne conosciuto. Milioni di dollari sono stati rovesciati sui resti del gulag tropicale, come acqua nella sabbia. Il più famigerato dei campi, "Camp X-Ray" è stato chiuso e il Tropico se lo è ripreso, invadendolo di vegetazione, sabbia, iguana e robusti "topi delle banane". Non c’è un ospedale, un centro medico attrezzato per emergenza né per cure di lungo periodo, perché il Congresso ha bloccato nuovi fondi per Gitmo. Paramedici militari provvedono al nutrimento forzato dei detenuti che periodicamente lanciano scioperi della fame e il Pentagono ha designato un numero di medici generalisti e di specialisti negli Stati Uniti a disposizione 24 ore su 24 per essere trasportati nella base. Un processo che comunque richiederebbe molte ore, probabilmente troppe, in casi di urgenze, progressivamente più probabili in una popolazione carceraria che sta invecchiando: l’età media dei detenuti è ormai oltre i 40 anni, con qualche anziano vicino ai 70. Il governo tenta di negoziare trasferimenti verso nazioni disposte ad accoglierli promettendo, per quel che valgono queste promesse, di tenerli sotto controllo. Il vice presidente Joe Biden aveva personalmente negoziato con il presidente uruguayano Josè Mujica l’invio di sei prigionieri in agosto e un cargo militare era atterrato per caricarli. Ma all’ultimo momento, Mujica, inquieto per l’effetto della notizia sulla sue possibilità di rielezione, ha rinnegato la promessa. Il C17 della Air Force è ripartito vuoto. La Corte Suprema degli Stati Uniti, attraverso il giudice Stephen Breyer, uno degli ultimi magistrati "liberal" nominato da Clinton 20 anni or sono, ha dato segni di inquietudine e di agitazione, per la continua, evidente violazione del principio fondamentale del diritto anglo-americano, lo "Habeas Corpus", il divieto di detenere segretamente persone senza incriminazione e senza accesso legale. Ma ancora la Suprema Corte, dopo avere riconosciuto ai sequestrati di Gitmo almeno il diritto alla rappresentazione legale, non ha sciolto la matassa di sentenze, appelli, ricorsi, petizione ingarbugliati da 12 anni di incertezze. I difensori del Gulag nella sabbia fanno notare come una dozzina dei detenuti liberati si siano rituffati in pieno nella guerra e siano ricomparsi in Afghanistan, in Libia, in Siria tra le file delle nuove organizzazioni terroristiche. Gli oppositori rispondono che proprio quel campo di concentramento è un formidabile strumento di propaganda e di reclutamento per i gruppi del fanatismo anti occidentale e il possibile ritorno di qualche ex detenuto nelle file del terrorismo è ben poca cosa rispetto alle schiere crescenti della jihad violenta. I campi ancora in funzione, tre sui cinque iniziali, hanno visto introdurre condizioni più umane, per coloro che si comportino bene per un periodo di 90 giorni. Sono state formate zone comuni, nelle quali possono incontrarsi, parlare, pregare insieme. Un monitor di PC protetto da una gabbietta di ferro e collegato in Rete permette di comunicare via Skype con famiglie e amici lontani, ma il numero di suicidi, già tre in questo 2014, resta alto. Come altissime sono le richieste di trasferimento dei Marines - Gitmo è una base della US Navy - costretti a fare da carcerieri, spesso in condizioni materiali non molto migliori di quelle dei loro sorvegliati. "Sei in una piccola stanza", dice uno di loro ai giornalisti. "Non ci siamo arruolati per fare la guardie carcerarie" Obama e il suo ministro della Giustiza, Holder, promettono e si contraddicono, anche loro condizionati dalla imminenza di elezioni, con sondaggi che danno una maggioranza schiacciante, il 70%, di americani favorevoli a lasciare in funzione Guantánamo. Dunque Gitmo rimane, intrappolato da dodici anni in quella zona crepuscolare, in quella equivoca Twilight Zone legale e morale che la Costituzione americana, e il buon senso, dovrebbero avere chiuso da tempo. Trasferimento detenuto Guantánamo in Uruguay improbabile prima del voto Il Presidente José Mujica, all’inizio di quest’anno ha accettato la richiesta di prendere una mezza dozzina di detenuti dal centro utilizzato per imprigionare persone detenute dopo l’11 settembre 2001, gli attacchi contro gli Stati Uniti, ma almeno un sondaggio ha mostrato il movimento di essere impopolare tra uruguaiani . "Non credo che il processo sarà completato nei prossimi due o tre mesi," Diego Canepa, vice segretario della presidenza, ha detto a Reuters. Guantánamo è stato criticato dai gruppi per i diritti umani, con alcuni dei suoi prigionieri detenuti per un decennio o più a lungo senza essere accusato o dato una prova. Il presidente George W. Bush nel 2002 per tenere sospetti terroristi arrotondato all’estero, Guantánamo è diventato un simbolo degli eccessi della sua "guerra al terrore". Mauritania: Ong lancia appello di solidarietà per detenuti salafiti in sciopero della fame Nova, 2 settembre 2014 La Ong mauritana per "i Diritti e la Giustizia" ha lanciato un appello in solidarietà con i detenuti salafiti in sciopero della fame nel carcere di Nouakchott. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa mauritana "Ani", la Ong denuncia il deteriorarsi delle condizioni di salute dei detenuti che hanno inscenato questa protesta per chiedere migliori condizioni di vita in carcere, chiedendo un intervento immediato delle autorità che finora hanno ignorato la protesta. Libano: intesa con al Nusra, saranno liberati 15 estremisti in cambio dei militari rapiti Nova, 2 settembre 2014 Il governo libanese avrebbe raggiunto un accordo con il Fronte al Nusra per arrivare alla liberazione dei militari rapiti nelle scorse settimane lungo il confine con la Siria e ancora in mano ai jihadisti. Secondo quanto riferisce il quotidiano libanese "al Bana", l’accordo è stato siglato solo grazie alla mediazione del Qatar e prevede la liberazione di 15 estremisti islamici detenuti in Libano. In cambio, i jihadisti procederanno alla liberazione dei militari rapiti a gruppi di sei. Già cinque ostaggi erano stati restituite alle famiglie nella serata di sabato. Iran: ex primo vice presidente Ahmadinejad condannato a carcere Asca, 2 settembre 2014 Mohammad Reza Rahimi, primo vice presidente all’epoca di Mahmoud Ahmadinejad, è stato condannato a una pena detentiva e al pagamento di un’ammenda. Lo ha indicato un portavoce, citato dall’agenzia di stampa Isna, senza precisare le accuse mosse nei suoi confronti. "Non posso svelare i dettagli perché la condanna non è definitiva, ma comporta una pena detentiva e una multa", ha affermato Gholamhossein Mohseni-Ejeie, portavoce e numero due del potere giudiziario. L’ex vice presidente, 65 anni, è sotto processo per vicende di corruzione secondo gli organi di informazione iraniani; deputati lo hanno accusato di essere a capo di un’organizzazione specializzata in truffe. In libertà su cauzione dal dicembre 2013, Rahimi è stato nominato primo vice presidente nel 2009 dopo la controversa vittoria elettorale dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. È la prima volta che un collaboratore di Ahmadinejad è condannato a una pena detentiva. Corea del Nord: "liberateci"… l’appello a Obama di tre cittadini americani in carcere Ansa, 2 settembre 2014 I tre cittadini americani detenuti in Corea del Nord hanno lanciato un appello all’amministrazione Obama perché invii un alto rappresentante a Pyongyang e avvii negoziati per le loro liberazione. Nel corso di alcune interviste ai media Usa autorizzate dal regime nordcoreano e condotte in stanze separate sotto stretta sorveglianza di funzionari del regime, Jeffrey Fowle, Mathew Miller e Kenneth Bae hanno ripercorso la loro vicenda. Fowle, 55 anni, e Miller, 24 anni, sono due turisti di fede cristiana arrestati lo scorso aprile con l’accusa di fare proselitismo. Hanno spiegato che a breve saranno processati senza ancora conoscere i capi di accusa e le pene a cui eventualmente andranno incontro. Bae, il missionario di 46 anni condannato a 15 anni di prigionia e detenuto dal novembre 2012, ha confermato il suo cattivo stato di salute, nonostante il quale è stato di recente reinternato in un campo di lavoro, dopo alcune settimane passate in ospedale. "L’unica speranza che abbiamo è che qualcuno venga dagli Stati Uniti. Ma finora - lamenta Bae - non c’è stata risposta. Credo che qui i funzionari si aspettino ciò". In passato gli ex presidenti Jimmy Carter e Bill Clinton hanno compiuto delle missioni in Corea del Nord per ottenere la liberazione di alcuni detenuti americani.