Giustizia: riforma, ecco gli errori da evitare di Carlo Federico Grosso La Stampa, 27 settembre 2014 Alla cerimonia d’insediamento del nuovo Csm, il Capo dello Stato è tornato, l’altro ieri, sul tema della riforma della giustizia. Un tema di fondamentale importanza - secondo, soltanto, a quello ancora più drammatico del l’economia e del lavoro - e sul quale, giustamente, il Presidente ha voluto richiamare l’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica in un’occasione ufficiale di particolare rilevanza istituzionale. Che riformare la giustizia rappresenti una delle priorità del Paese è assolutamente incontrovertibile: lo dimostrano le lungaggini inaccettabili che si manifestano nei processi e le difficoltà nelle quali giudici e pubblici ministeri sono sovente costretti a lavorare. Lo specifico contesto nel quale ha parlato il Capo dello Stato (l’insediamento dell’organo di autogoverno della magistratura) conferisce d’altronde alle parole del Presidente un significato particolarmente pregnante. Esse costituiscono un monito alle forze politiche perché si sforzino di conseguire finalmente un risultato utile per il Paese ed un monito alla magistratura perché non ostacoli il rinnovamento ma anzi si rinnovi lei stessa. Sotto quest’ultimo profilo le parole del Presidente sono assolutamente condivisibili. Parlando davanti ai nuovi consiglieri superiori, Napolitano ha giustamente stigmatizzato, innanzitutto, il correntismo: l’organo di autogoverno, nella sua componente togata "non è un assemblaggio di correnti", per cui "sono dannosi gli estenuanti, impropri, negoziati, nella ricerca di compromessi e di malsani bilanciamenti" fra le componenti. Parole forti, che colgono nel segno censurando costumi e prassi che da anni condizionano decisioni e scelte maturate fra le mura di Palazzo dei Marescialli. Si tratta di un ammonimento che diventa d’altronde ancora più incisivo quando, coinvolgendo anche i consiglieri laici eletti dal Parlamento, il Presidente ha osservato che il Csm deve essere inteso come un servizio reso alla collettività, che dev’essere pertanto esercitato con oggettività e badando soltanto al merito delle questioni, e non operando - come invece sovente avviene - come "acritici interpreti di posizioni di gruppi politici o di singoli esponenti politici", ovvero "di gruppi dell’associazionismo giudiziario o di singoli magistrati anche solo per ragioni di appartenenza o di "debito elettorale". Il primo problema che il nuovo Csm dovrà affrontare, ha aggiunto ancora il Presidente, è il persistente ritardo nelle nomine di molti dirigenti degli uffici giudiziari, incarichi che dovranno essere affidati, ha osservato Napolitano, "sulla base di accertate professionalità" e "senza dare all’opinione pubblica l’impressione di logiche spartitorie". Parole ineccepibili anche queste, che dovrebbero essere tuttavia rivolte, prima ancora, al mondo della politica, che nello scegliere i candidati alle massime cariche istituzionali di garanzia (Csm e Corte Costituzionale), hanno offerto, nelle passate settimane, uno spettacolo tristissimo in cui la logica della spartizione e dell’appartenenza sembrava prevalere su quella della qualità morale e professionale dei candidati. Ma veniamo al tema della riforma della giustizia, sul quale il Presidente ha fortemente insistito. Al di là della specificità della materia "giustizia", il discorso concernente tale riforma coinvolge i nodi di fondo economici e sociali che devono essere affrontati dal Paese: il funzionamento corretto e spedito del sistema giudiziario - ha osservato il Presidente - "appaiono vitali al fine di dare le certezze e le garanzie di cui ha indispensabile bisogno lo sviluppo dell’attività economica e dell’occupazione", in quanto anche dall’efficienza dei Tribunali dipende "lo sviluppo di iniziative e progetti d’investimento da parte di operatori pubblici e privati, italiani e stranieri", nodo essenziale da sciogliere "per ridare dinamismo e competitività all’economia". Anche qui si tratta di parole ineccepibili. Nasce tuttavia, subito, un interrogativo: se l’ambizioso progetto di riforma della giustizia annunciato da Renzi sia davvero progetto credibile, concreto, funzionale, e pertanto in grado di risolvere i problemi che ci assillano. Le prime sensazioni non sono tranquillizzanti. Alcuni mesi fa sono stati annunciati dal Presidente del Consiglio dieci progetti di riforma e di ciascuno di essi sono state tracciate le linee guida. A fine agosto otto di tali progetti sono stati approvati dal Consiglio dei ministri (come decreti-legge, come decreti o come disegni di legge).Ad oggi i testi definitivi di molti di tali progetti non sono stati resi noti e trasmessi formalmente alle Camere (non esisterebbero ancora i testi definitivi, in quanto le forze politiche di maggioranza non avrebbero ancora trovato un accordo su un certo numero di questioni). Al di là delle questioni di forma che tale procedura suscita inevitabilmente, nella sostanza ciò che filtra all’esterno su ciò che accadendo decisamente preoccupa. Alcuni esempi: in materia di auto-riciclaggio sembra che si stiano rincorrendo testi sempre più riduttivi dell’incisività del nuovo reato; in materia di falso in bilancio sembra che, allo stesso modo, la spinta ad annacquare sia fortissima; non si è ancora capito quale sarà davvero la soluzione definitiva in tema di prescrizione; in materia di intercettazioni il silenzio è totale. Particolarmente importante, in questa situazione d’incertezza, può pertanto diventare il monito del Presidente della Repubblica a sostegno di una riforma indispensabile per la giustizia e per l’economia del Paese. Purché esso non sia, tuttavia, un monito generico ad operare, a fare comunque, ma anche un monito ad operare correttamente nei contenuti. Non è infatti detto che fare significhi automaticamente fare bene. Giustizia: due pool di esperti al lavoro sulla riforma delle carceri, si rischia il caos Libero, 27 settembre 2014 La Polizia penitenziaria verrà spazzata via e al suo posto nascerà una "police" della giustizia, con compiti e ruoli ampi anche sul territorio e non solo nelle carceri. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sarà cancellato, sostituendolo con una struttura più snella e un risparmio di centinaia di milioni di euro. C’è anche l’idea di eliminare i tour giudiziari dei detenuti di mafia e farli partecipare ai loro processi in video conferenza, come è già previsto per quelli sottoposti al carcere duro, con un risparmio di 70 milioni di euro all’anno. Insomma, una rivoluzione analizzata da "L’Espresso" che sta venendo messa a punto da una commissione voluta da Matteo Renzi: una squadra di super-esperti coordinata da Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che ha accettato l’incarico a titolo gratuito. Da luglio assieme a lui si riuniscono magistrati di grande prestigio come Piercamillo Davigo, Sebastiano Ardita e Alberto Macchia. Allo stesso tempo però negli uffici di via Arenula del ministero della Giustizia vi sono altri gruppi di lavoro che stanno studiando come rivitalizzare il settore sotto la guida del guardasigilli Andrea Orlando. Una situazione paradossale, con progetti paralleli ma velocità e determinazione diversi. Tanto che alla fine potrebbero rischiare di annullarsi. Giustizia: Unione Camere Penali; dobbiamo orientare la riforma verso la difesa del diritto di Emilia Rossi Il Garantista, 27 settembre 2014 Un’ora e un quarto di confronto serrato, seduti in poltrona l’uno davanti all’altro, Andrea Orlando da una parte e Valerio Spigarelli, presidente uscente dei penalisti italiani, dall’altra. Così è andato l’intervento del ministro della Giustizia al congresso dell’Unione delle Camere penali italiane che si è tenuto a Venezia nello scorso fine settimana: un contro esame, si può dire, su tutti i nodi della riforma della giustizia, quella che si sta facendo e quella che in realtà non si fa. Una gran bella differenza rispetto a tutti i precedenti, a tutte le occasioni in cui i ministri hanno partecipato agli incontri con il soggetto politico dei penalisti, svolgendo (talvolta) importanti relazioni ma senza proporsi alla discussione dettagliata, concreta e stringente. Una novità, insomma, che non può passare inosservata in questa stagione politica tutta volta a propositi di riforma condivisi. La si deve a due fattori essenziali che si sono combinati con quella fortunata alchimia che ogni tanto si verifica nelle cose della vita e anche della politica. Da una parte c’è l’autorevolezza raggiunta dall’Unione delle Camere penali italiane nel dibattito politico sulla giustizia che l’ha resa un interlocutore necessario: risultato di anni di elaborazione progettuale, di affinamento del dialogo con le istituzioni, di crescita esponenziale nella comunicazione con la parte del Paese che sta fuori dei palazzi e pure dei tribunali. Dall’altra, certamente, la capacità d’ascolto del ministro Orlando, la sua disponibilità a un confronto non formale e la presenza, non va dimenticato, di un viceministro come Enrico Costa, particolarmente attento per storia e matrice liberale alla tenuta delle garanzie. Due fattori che compongono il patrimonio ereditato dal nuovo presidente dei penalisti italiani Beniamino Migliucci, che l’inter-locuzione con la politica ha dichiarato di volerla e, anzi, di volerla aumentare. Certo, è un’eredità pesante, soprattutto di questi tempi nei quali si prospettano interventi riformatori che tutto sono tranne che la riforma della Giustizia, cioè la revisione del Titolo IV della Costituzione, a cominciare dalla separazione delle carriere dei magistrati. E che, nel complesso, contengono molte battute di arresto o di inversione di marcia rispetto all’impianto delle garanzie che compongono il giusto processo in uno stato di diritto: come quella modifica della prescrizione destinata soltanto ad allungare i tempi del processo a discrezione di chi lo gestisce fin dalla fase delle indagini preliminari, in cui si consuma il 70% delle prescrizioni, come ormai è noto grazie proprio alla denuncia dell’Unione delle Camere penali Italiane. E molto difficile mantenersi saldi sulle barricate degli obiettivi principali di riforma e nello stesso tempo agire all’interno delle stanze in cui si fanno le leggi per scongiurare che nel frattempo si creino danni irreversibili, come quelli dell’abolizione del divieto di reformatio in pejus o del limite al ricorso per Cassazione in caso di doppia sentenza di condanna ai soli casi di violazione di legge, che solo grazie all’alchimia di quei due fattori sopra ricordati si è riusciti ad evitare. Ma è esattamente questo il lavoro di interlocuzione che tocca ai penalisti italiani e a chi li dirige, come è stato finora e se davvero si vuole che le riforme di sistema siano condivise. E il primo banco di prova è lì, dietro la porta: nei provvedimenti sulla giustizia penale che il ministro Orlando ha annunciato in uscita nei prossimi giorni. Giustizia: commissari di Polizia penitenziaria sostituiranno i direttori delle carceri? www.contattonews.it, 27 settembre 2014 Grandi manovre a Palazzo Chigi per elaborare una riforma penitenziaria, affidata ad un comitato guidato da Nicola Gratteri, con Davigo e Ardita, chiamata ad vagliare proposte nette e radicali, forse in contrasto con quelle elaborate dai tecnici del ministero guidato da Andrea Orlando. Tra le varie ipotesi in fermento c’è l’eliminazione della Polizia Penitenziaria, sostituita da una "police" della giustizia. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sarà cancellato, sostituendolo con una struttura più snella e un risparmio di centinaia di milioni di euro. Si vaglia anche l’ipotesi di togliere i tour giudiziari dei detenuti di mafia e farli partecipare ai loro processi in video conferenza, con un risparmio di 70 milioni di euro all’anno. Un vero stravolgimento voluto da Matteo Renzi, con l’ausilio di squadra di super-esperti coordinata da Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Parallelamente, negli uffici del ministero della Giustizia, vi sono altri gruppi di lavoro che stanno studiando il settore sotto la guida del guardasigilli Andrea Orlando. Progetti paralleli che corrono il rischio di confliggere. Al vaglio anche le misure diverse dal carcere, a partire dalla detenzione domiciliare ai lavori di pubblica utilità. Nel nostro paese vi sono circa ventimila persone affidate in prova rispetto alle 250 mila dell’Inghilterra e le carceri sono di conseguenza sovraffollate. Sul tavolo della discussione anche l’ipotesi di abolire il Dap, eliminando le 15 posizioni di dirigente generale esistenti oggi nel Dipartimento che sovrintende a tutto il mondo delle carceri. In una nuova struttura i dirigenti verrebbero reclutati direttamente tra gli attuali commissari della Polizia Penitenziaria, mentre i direttori andrebbero in un ruolo ad esaurimento. L’obiettivo è tagliare i costi e ottenere maggiore efficienza. Esiste, anche in tale ambito, un piano del ministro Orlando, che mira a una rimodulazione del Dipartimento secondo linee meno radicali. Un disegno che verrà presentato alla presidenza del Consiglio entro il 15 ottobre 2014. Giustizia: Sappe; Penitenziaria è presidio di legalità e sicurezza, sarà dura "spazzarla" via Comunicato stampa, 27 settembre 2014 "Ogni ipotesi sul futuro operativo del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito di una più generale riorganizzazione del Ministero della Giustizia e dell’amministrazione penitenziaria non può prescindere da un confronto con chi rappresenta proprio coloro che, ogni giorno, svolgono questa dura e difficile professione. Il Corpo di Polizia Penitenziaria è e merita di essere considerato oggi un presidio di legalità, al servizio della giustizia penale nel suo complesso e non solo del carcere: e da questo importante assunto non si può assolutamente prescindere". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, commentando quanto pubblicato dal settimanale "L’Espresso" in un articolo di Lirio Abbate. "Non pensino sia così facile "spazzare via la Polizia Penitenziaria", come scrive L’Espresso. Noi ne difendiamo e rivendichiamo le origini storiche, l’identità, le professionalità e competenze.", aggiunge Capece. "Sono le donne e gli uomini con il Basco Azzurro del Corpo, ogni giorno nella prima linea delle carceri, che hanno permesso di superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti penitenziari. E anche per questo, il Sappe difenderà in ogni sede il patrimonio istituzionale e morale della Polizia Penitenziaria. Siamo disponibili al confronto su una nuova organizzazione operativa. Ma non si dimentichino le parole dette dal Capo dello Stato (e dai suoi predecessori) in merito alla professionalità del nostro di Corpo di Polizia, da ultimo nel corso dell’Annuale del Corpo di quest’anno: "la presenza vigile e la non comune professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria hanno consentito di mantenere l’ordine e la sicurezza negli Istituti nonostante la critica, intollerabile situazione di sovraffollamento - cui è urgente porre adeguato rimedio - e hanno contestualmente assecondato il percorso di rieducazione dei detenuti, contribuendo all’adempimento di precisi obblighi di natura costituzionale". Giustizia: Congresso Nazionale di Uil-Pa Penitenziari a Salerno, con il Ministro Orlando www.salernonotizie.it, 27 settembre 2014 Mercoledì 1 ottobre alle ore 17.00 presso il Grand Hotel di Salerno si apriranno i lavori del IV° Congresso della Uil-Pa Penitenziari, che andranno a concludersi nella mattinata del 3 ottobre. L’assise sarà aperta da una tavola rotonda sul tema : #sbarrichiamo il futuro della polizia penitenziaria, a cui parteciperanno il Provveditore Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria Contestabile, il Vice Capo Vicario del Dap Pagano, il Segretario Generale della Uil-Pa Attili, il Segretario Generale aggiunto della Uil Barbagallo e il ministro della Giustizia Orlando. L’intervento introduttivo sarà svolto da Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari. "Il nostro Congresso cade in un momento davvero particolare e delicato - dichiara Sarno - Dalla vertenza in atto con il Governo sullo sblocco del tetto salariale per il Comparto Sicurezza alle ancora persistenti criticità del sistema penitenziario. Ci sarà, quindi, materia per un dibattito molto intenso e approfondito. La nostra tavola rotonda intende rilanciare il ruolo della polizia penitenziaria nell’ambito complessivo del sistema penitenziario , proponendone una nuova organizzazione e un nuovo assetto. Premesso che nessun accorpamento ad altre forze di polizia può riguardare i baschi blu in quanto polizia dell’esecuzione penale, non possiamo non sottolineare - come meritoriamente fa spesso anche il Ministro Orlando - il merito degli e donne e degli uomini della polpen nel garantire, nonostante le immani difficoltà strutturali e logistiche, la funzionalità del sistema carcere. Crediamo - continua il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - che occorra dire con chiarezza che il Presidente Renzi, ma l’intero Governo, debba farsi carico di un progetto di sostentamento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il progetto di riorganizzazione del Dap, infatti, destruttura e indebolisce l’Amministrazione Penitenziaria e rischia di vanificare gli sforzi che hanno consentito all’Italia di superare, quasi indenne, l’esame europeo. Credo sia giusto ricordare che grazie all’impegno del Ministro Orlando, dei vertici dipartimentali e di talune OO.SS. è stato possibile evitare salatissime sanzioni economiche. Per continuare ad avere una qualche possibilità di raggiungere i parametri che ci chiede l’Europa, in materia di detenzione, serve uno sforzo sinergico ed univoco tra le varie componenti, Governo in testa. Tra l’altro anche il diminuire degli eventi critici segnalano un miglioramento della situazione generale (dall’1 gennaio al 25 settembre 2014 si sono registrati 30 suicidi, 722 tentati suicidi, e 5.186 atti di autolesionismo). Purtroppo l’unica statistica a non far registrare miglioramenti è quella che riguarda le aggressioni al personale di polizia penitenziaria da parte di detenuti (dal 1 gennaio ad oggi 303 episodi, per un totale di 124 agenti penitenziari che hanno riportato prognosi superiori ai cinque giorni). Al riguardo proporremo ai vertici del Dap di prevedere per questi detenuti violenti l’allocazione in circuiti penitenziari più stringenti rispetto a quelli di "regime aperto" o a "sorveglianza dinamica". Per quanto riguarda la vertenza dello sblocco del tetto salariale per i lavoratori del Comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico - chiude Eugenio SARNO - ci preme sottolineare il determinante contributo offerto da Andrea Orlando, unitamente ad Alfano e alla Pinotti, alla soluzione della vertenza. Il 7 Ottobre, ovviamente, risponderemo alla convocazione del Presidente Renzi a palazzo Chigi, nell’auspicio di poter annunciare la definitiva soluzione della vertenza in atto". Giustizia: se questo è un Sindaco… De Magistris non molla e attacca anche i magistrati di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 27 settembre 2014 Si inchioda alla poltrona di sindaco di Napoli malgrado le disposizioni della legge Severino, inveisce, ex magistrato d’assalto, contro una sentenza della magistratura. Luigi de Magistris resiste come un politico qualunque, come un politico che avrebbe messo volentieri ai ceppi. È il simbolo della fine di una stagione: quella del giustizialismo forcaiolo. Luigi de Magistris che si inchioda alla poltrona di sindaco malgrado le disposizioni della legge Severino, che inveisce, ex magistrato d’assalto, contro una sentenza della magistratura, che resiste sì, ma come un politico qualunque, come un politico che avrebbe messo volentieri ai ceppi, è il simbolo della fine di una stagione: quella del giustizialismo forcaiolo, arrembante, aggressivo, santificato da un’intransigenza di ispirazione giacobina. Avremmo potuto aspettarcelo da un politico tradizionale, oppure avvezzo a denunciare le intrusioni e gli sconfinamenti della magistratura "politicizzata", ma non dal Torquemada delle inchieste che volevano purificare l’Italia da ogni malaffare no. Non per un omaggio astratto alla coerenza, che pure avrebbe una sua nobiltà. Ma per il rispetto che si deve a una storia. Anche alla mitologia: alla leggenda di una Giustizia immacolata e audace destinata a liberare il popolo dal Male che ha inquinato le istituzioni. Cruciale in questa costruzione mitologica, di cui il de Magistris magistrato ha voluto essere l’estrema e più oltranzista incarnazione, è la sacralità degli atti giudiziari, e ovviamente della Legge. La legge Severino, però, sebbene invocata per il Nemico, viene liquidata come un crudele automatismo senza anima. E la stessa sentenza di condanna in primo grado, dunque appellabile come per qualsiasi altro cittadino, viene da de Magistris delegittimata alla stregua di una rappresaglia politica. È il cuore dell’ideologia giustizialista ad essere colpito. Vent’anni di ideologia che trovano la metafora del loro esaurirsi in un sindaco che si appella alla "strada" in antitesi alle istituzioni. Qualsiasi decisione verrà presa, resta il vulnus a un’immagine e a una retorica. Vent’anni e passa che non potevano finire nel modo peggiore. Emilia Romagna: la Garante Desi Bruno "poche tutele per i detenuti" di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2014 Festival del diritto di Piacenza. Focus sul sistema carcerario e sull’ingorgo delle cause in appello. La legge che prevede un risarcimento per i detenuti che hanno subito trattamenti degradanti non piace al garante dei diritti nei luoghi di reclusione dell’Emilia-Romagna. La Garante, Desi Bruno, al festival del diritto di Piacenza, boccia la norma proprio all’indomani delle decisioni con le quali la Corte europea dei diritti dell’uomo promuove invece il piano carceri varato dall’Italia. "Stanno già fioccando le pronunce di irricevibilità da parte dei giudici di sorveglianza che non accettano i ricorsi dei detenuti - dice. La procedura è farraginosa e noi garanti abbiamo seri dubbi sul fatto che gli otto euro previsti per chi è già uscito di prigione per o un giorno di sconto di pena per chi si trova ancora in stato di detenzione siano un risarcimento sufficiente". Anche per il sostituto procuratore nazionale antimafia Filippo Spiezia, a Piacenza per partecipare al confronto su diritto penale ed Europa, quanto fatto dall’Italia per i detenuti è solo una soluzione tampone per evitare le sanzioni di Strasburgo. "Credo che il legislatore sia consapevole di aver risposto all’urgenza - sottolinea Spiezia - il problema del sistema penitenziario, che era e resta "criminologico", richiede interventi più strutturali". Tante le ragioni per le quali la giustizia penale arranca, a iniziare dall’imbuto che si crea in appello. "Sono troppi i reati che si prescrivono nel corso del secondo grado, esiste una corsia preferenziale solo per i processi della criminalità organizzata - chiarisce Spiezia - ma non si possono fare solo quelli". Nella giusta direzione si va con le misure alternative e con la previsione di alzare da 5 a 8 anni il tetto per accedere alla pena concordata in caso di ammissione di responsabilità da parte dell’imputato. Attento al processo, ma questa volta amministrativo, il presidente dell’Unione nazionale degli avvocati amministrativi Umberto Fantigrossi, che spezza una lancia in favore del sistema Tar-Consiglio di Stato accusato di rappresentare un ostacolo alla crescita economica: "Il fatto che le controversie sono trattate in soli due gradi di giudizio garantisce maggiore efficienza alla giustizia amministrativa - afferma Fantigrossi - la percentuale di appelli che non supera l’8% delle sentenze di primo grado favorisce la certezza del diritto e la tutela dei cittadini e delle imprese nei confronti della cattiva amministrazione". Giudizio sostanzialmente positivo sugli interventi nel processo amministrativo contenuti nella legge Renzi Madia ma anche una sollecitazione a sbloccare i fondi dei contributi unificati da utilizzare per la copertura degli organici dei magistrati e migliorare il livello di informatizzazione. Campania: la Garante Adriana Tocco; altri due casi di malati gravi non curati in carcere Il Velino, 27 settembre 2014 La Garante dei detenuti della Campania, dottoressa Adriana Tocco, nel corso di un’intervista a Il Velino rivela altri due casi di ammalati gravi rinchiusi nelle carceri napoletane: uno a Poggioreale e l’altro a Secondigliano. Resta dunque alta l’attenzione sulla difficile situazione sanitaria negli istituti di pena dove, ha aggiunto la Garante, sono tutt’ora ravvisabili casi di tubercolosi e - fino a poco fa - perfino di scabbia. La Tocco, sulla Fini-Giovanardi, ha spiegato che la legge ha contribuito a ridurre il sovraffollamento carcerario. Poggioreale, ad esempio, dai 2.800 detenuti che ospitava fino a pochi mesi fa, ora ne ospita 1.800. "Sulle norme proposte dal governo in materia di giustizia - ha dichiarato - penso che sia positivo il tentativo di mettere un freno all’abuso della custodia cautelare, uno dei punti contenuti nelle linee guida recentemente illustrate da Renzi. Credo inoltre che la decisione di far fare l’incidente d’esecuzione a tutti quelli che erano in carcere per possesso o piccolo spaccio di droga, abbia avuto un certo effetto. Non abbiamo ancora il dato nazionale - ha aggiunto - ma in un recente coordinamento dei garanti risultava che in alcune città c’è stato un considerevole numero di detenuti che sono addirittura usciti. In altre carceri di altre città i tribunali di sorveglianza, ad esempio quando il detenuto era stato condannato a sei anni, hanno risposto negativamente sostenendo che siamo all’interno del tetto massimo ridefinito e non hanno voluto ridefinire la pena per gli stessi reati. Questo fa parte dell’autonomia della magistratura che credo vada compresa meglio; nel senso che i magistrati sono autonomi rispetto agli altri poteri dello Stato ma non possono agire, singolarmente, in maniera così diversificata. Per cui se un detenuto capita in un posto è più fortunato che altrove. Al momento non posso fornirle neppure il dato relativo alla Campania, anche se so che già sono state esaminate una serie di istanze. Aspetto di ricevere questi dati che mi sono stati promessi per capire l’effettiva incidenza di queste modifiche, scaturite dalla sentenza che decretò l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi". A Poggioreale però si muore ancora, in particolare ci si suicida, come avvenuto lo scorso 9 settembre per il detenuto Vincenzo De Matteo. Il quarto a uccidersi a Poggioreale nel 2014, un record nazionale per quest’anno. "Innanzitutto - ha proseguito la Garante - è chiaro che laddove il numero di detenuti è maggiore, la percentuale aumenta. Attendo di incontrare la figlia di De Matteo per capire i motivi di questo gesto. Ho interpellato Don Franco Esposito (il cappellano del carcere) il quale mi ha detto che questo detenuto aveva gravi problemi psichici. Parlerò col direttore e con la figlia, che non si è mai rivolta a me in passato. Questa ha però dichiarato che loro non sapevano dell’esistenza del Garante e perciò non si sono mai rivolti a me. Io ho cercato di convincere i direttori a diffondere la notizia dell’esistenza del Garante ma sono restii a farlo. Spero che col nuovo direttore di Poggioreale le cose vadano diversamente anche se, per via dei tanti detenuti che si sono già rivolti a me, in qualche modo la voce si è comunque sparsa. Magari se qualcuno è anziano o ha qualche disturbo mentale non ha recepito questa voce". A proposito di persone che si sono rivolte a lei, ci sono nuovi casi che la Garante intende portare alla conoscenza dell’opinione pubblica, pur proteggendo l’identità e la riservatezza degli interessati: "Mercoledì (24 settembre) ho ricevuto due famiglie di persone veramente gravi. La responsabilità di questa situazione non so di chi sia perché c’è un continuo rimpallo ma per queste due persone sembrerebbe dichiarata, da parte dei rispettivi carceri, l’impossibilità di poter curare le loro disabilità. Il primo si trova a Poggioreale, è un giovane che quando è entrato già camminava con i bastoni canadesi, l’ho visto molte volte e ora non cammina più, è sulla sedie a rotelle. È caduto rompendosi un braccio e non glielo hanno mai curato, dunque anche volendo non avrebbe più la forza per reggersi con le stampelle. Ha bisogno urgente di un trapianto di tendine. Si trova nel padiglione Napoli - quindi non nel centro clinico San Paolo - e chiederò conto della situazione sanitaria di questo giovane che deve avere la detenzione domiciliare perché lì non può essere curato. Riceve solo iniezioni di Voltaren per il dolore ma non è questo il modo di curarlo. Ha problemi respiratori e, per via di un’apnea, andò al Cardarelli dove fu operato al naso. Tra l’altro mi risulta che sia anche una persona con problemi di tossicodipendenza legati all’uso di cocaina. Sta male e dev’essere curato adeguatamente. La famiglia è disposta a farlo curare e la madre sa in che parte d’Italia il figlio può essere operato per salvargli il braccio. Non possiamo permettere che in carcere si debba perdere la funzionalità di un arto, questo è davvero disumano e degradante. La famiglia chiederà il risarcimento per quanto concerne la malasanità in carcere. L’altro detenuto è a Secondigliano, ricoverato tre volte al Cardarelli dove si trova tutt’ora (per essere comunque riportato in cella in quanto non scarcerato). Al Cardarelli ignorano l’esistenza del Garante, dovrò spiegare loro quali sono le mia competenze e le mie funzioni quando andrò a fargli visita. La moglie di questo detenuto, parlando con me, ha pianto tutto il tempo illustrandomi la vicenda del marito. Sarebbe stato dichiarato incompatibile con la detenzione in quanto ha una pressione a dir poco ballerina che passa da valori come la minima a 200 (valore altissimo) fino a massime incredibili. Ha inoltre una placca metallica sulla testa per cui non può fare la risonanza magnetica e la signora ha descritto situazioni di degrado, essendo il marito anche incontinente con il bisogno di pannoloni che in carcere neppure gli cambiano. Andrò a verificare di persona, ma quando ho visto questo detenuto la prima volta non ragionava proprio. Purtroppo al momento non posso fare i loro nomi per varie ragioni. Mi rivolgerò al magistrato di sorveglianza per capire se queste persone potranno andare ai domiciliari o essere ricoverate. Entrambi sono stati condannati in primo grado e aspettano l’Appello, quindi sono detenuti in attesa di giudizio". Vicende che ricordano da vicino quella di un altro detenuto in condizioni gravissime, Fabio Ferrara: "Naturalmente sto seguendo con interesse anche la vicenda di Fabio Ferrara a Secondigliano, altro detenuto disabile e con problemi psicofisici che andrò quanto prima a incontrare per verificare quest’altra situazione. Una situazione che ho comunque appreso indirettamente attraverso gli appelli della famiglia che, almeno fino ad oggi, non si è ancora rivolta in prima persona a me". Sulla possibilità di affermare che da quando la sanità penitenziaria è passata alle regioni la situazione sia peggiorata, la Tocco si è tuttavia dimostrata cauta: "Quella di riportare la sanità penitenziaria alle regioni fu salutata come una conquista - ha esordito sul punto la Garante. La sanità penitenziaria un tempo era a parte, poi ci fu un’organizzazione degli istituti che faceva in modo che si marciasse su determinati livelli ma tutto ciò era prima che diventassi garante e quindi non mi esprimo se fosse meglio o peggio. È vero che oggi ci sono 20 sanità diverse con vari problemi coi medici contrattisti e relativi ricorsi, penso che ci siano comunque delle difficoltà ma non saprei dire da dove nasca il problema perché non riusciamo a comprenderlo. L’onorevole Nicola Caputo (Pd) ha fatto visita, prima di diventare parlamentare europeo, in molte carceri campane ricevendo sempre la stessa lamentela, ovvero la mancanza di medici specialisti. Occorre una forte assunzione di responsabilità dei medici penitenziari e se questi dichiarano l’incompatibilità col carcere, il magistrato di sorveglianza deve sospendere la pena o dare i domiciliari. Ma se i medici parlano di detenuto monitorato che significa? Che lo vedono ogni giorno? Noi dobbiamo vedere se i malati sono curati e, come dissi più volte davanti alla Commissione Palma, chi ha malattie rare, è sottoposto a dialisi o soffre di altre patologie gravi non può stare in carcere. Servirebbe modificare gli artt. 46-47 (del codice penale) dove si parla di grave infermità ma qual è la grave infermità? Questo sta nella discrezionalità del magistrato. Manca un punto in cui le strade si incrociano". Con la Garante abbiamo parlato prevalentemente di detenuti ammalati nelle carceri ma è noto anche che esistono persone sane che in cella contraggono svariate malattie. Secondo Adriana Tocco: "Il carcere di per sé crea disagio e malattia psicologica oltre che fisica. Con l’abbassarsi della difesa psicologica che ognuno ha dentro di sé contro le malattie, si abbassano anche le difese immunitarie e poi c’è il contagio. Il primo detenuto di cui le ho parlato ha contratto la tubercolosi a Poggioreale. Questo è un dato, ci si ammala perché essere in una specie di gabbia come può non creare malattia, disagio, depressione? Con la depressione poi non si reagisce in maniera efficace come si fa con le malattie fisiche. Inoltre tempo addietro si diffuse perfino la scabbia e ora (sempre a conferma delle condizioni poco igieniche degli istituti di pena) la tbc. Questo è grave perché le malattie possono diffondersi anche all’esterno visto che i detenuti incontrano i parenti che poi escono dal carcere". L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla Polizia Penitenziaria, anch’essa in qualche modo vittima di una situazione che resta evidentemente difficile. Recentemente un agente è stato aggredito da un detenuto a Santa Maria Capua Vetere, mentre Poggioreale è "famosa" per i pestaggi ai danni dei detenuti, ad opera di una squadretta e più volte denunciati in passato nella cosiddetta "cella zero". Situazione che adesso sembra messa alle spalle anche grazie all’avvento del nuovo direttore. Il tutto a seguito delle reiterate denunce e di un’ispezione ministeriale che ebbe luogo durante gli ultimi giorni della gestione di Poggioreale dell’ex direttrice, Teresa Abate. Il risultato, ha spiegato la Tocco, fu lo smembramento della squadretta e la fine della "cella zero". "Sulla Polizia Penitenziaria penso che la scarsezza di personale incida molto. Fanno turni pesanti per un lavoro stressante già di per sé. Questo - ha precisato la Garante - non giustifica però gli episodi di violenza e sono stata la prima a denunciare la "cella zero" che adesso non c’è più. La squadretta, a dire il vero, è stata smembrata quando c’era ancora la vecchia direttrice ma oggi oltre al nuovo direttore Liberato Guerriero c’è un nuovo comandante, Gaetano Diglio, che provengono entrambi da Secondigliano. Non ricevo più denunce di percosse, quindi da quando ci sono Guerriero e questo comandante l’atteggiamento è diverso e i detenuti parlano di clima più dialogante perché se chi comanda ha questo atteggiamento gli altri seguono. La Polizia Penitenziaria va rimpolpata e formata seriamente, non basta una lezione che pure ogni tanto faccio alla scuola della polizia penitenziaria per far capire il loro ruolo di tutela dei diritti dei detenuti, serve piuttosto una formazione completa e significativa". Un cenno finale, ma su cui sarà necessario tornare, la Tocco lo dedica al lavoro, la cui assenza è un problema grave sia fuori che dentro il carcere: "Il lavoro è un problema serio. Sono finiti i fondi per le mercedi che attualmente, alla luce di quanto mi risulta, consentono in tutto il carcere di Poggioreale solo a tre detenuti di poter lavorare. Un dato talmente basso che mi sembra strano e che verificherò personalmente". Veneto: Zaia; il sovraffollamento carceri è un problema di civiltà, bisogna farne di nuove Ansa, 27 settembre 2014 "Il problema del sovraffollamento delle carceri è un tema che attiene alla dignità e alla civiltà". Lo ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, rilanciando la proposta di costruire nuove strutture e recuperando le caserme dismesse. "Il sovraffollamento delle carceri è un problema reale, di dignità e di civiltà - ha detto Zaia all’indomani della sentenza che ha risarcito un detenuto perché la cella era piccola a Padova - però qui il mondo si spacca in due. Tra chi dice facciamo l’indulto e scarceriamo queste persone e chi dice, invece, facciamo nuove carceri e facciamogli scontare tutta la pena". "Io appartengo alla seconda categoria - ha aggiunto Zaia - dico che se le carceri sono sovraffollate, c’è una soluzione ossia farne di nuove, recuperare le caserme dismesse che abbiamo, magari anche qualche isola visto che siamo nel Comune di Venezia e così risolviamo i problemi dell’umanità e del sovraffollamento". Roma: il Sindaco Marino; al via progetto Lavori socialmente utili con detenuti a Rebibbia Italpress, 27 settembre 2014 "Il 12 agosto mi sono recato a Rebibbia e ho parlato con i detenuti, con il direttore del carcere e con gli assistenti sociali. Abbiamo avviato proprio lo stesso giorno un progetto che vedrà la luce nelle prossime settimane e potrà dare dignità ai detenuti". Lo ha detto il sindaco di Roma Capitale Ignazio Marino a margine dell’inaugurazione di via dei Radar a chi gli chiedeva di poter far svolgere lavori socialmente utili ai detenuti del carcere di Rebibbia attualmente in esubero. "Non si tratta della possibilità di risparmiare per il comune di Roma ma di valorizzazione la dignità del detenuto: per questo abbiamo chiesto ci fosse una maggiore integrazione con i servizi sociali - ha continuato il primo cittadino di Roma Capitale. Ci sono tante aree, dalla cura del verde, alla cura del nostro ambiente nel quale può essere valorizzata la capacità lavorativa dei detenuti e questo è quello che faremo", ha concluso Ignazio Marino. Venezia: "Altro Futuro", il fare per riprogettare la vita dopo il carcere di Paolo Cacciari www.comune-info.net Un gruppo di cooperative sociali e associazioni del volontariato che operano nei carceri si ritroveranno ad "Altro Futuro" a fine mese a Venezia (www.altrofuturo.net), attorno ad una cella ricostruita in strada a scala 1:1 con gli arredi ordinari, accessibile ai passanti, per parlare di economia carceraria. Non sono solo i metri quadrati quelli che mancano ai detenuti, ma anche e soprattutto le opportunità e gli strumenti con cui poter riprogettare la propria vita. Il lavoro nelle carceri è merce rara e preziosa, capace di sottrarre le persone dall’apatia e dall’isolamento e di coltivare la speranza di un reinserimento a fine pena. Ma sarebbe ancora più efficace se fosse un lavoro interessante, vero, con cui mettere alla prova le capacità individuali creative e relazionali e a ridare fiducia a se stessi. Un lavoro di qualità, come ce ne sono pochi anche fuori. Questa la scommessa delle cooperative che esporranno a Venezia i loro brand: "Extraliberi" di Torino firma maglieria, "Banda Biscotti" di Verbania prodotti dolciari, "Lazzarelle" di Pozzuoli miscele di caffè, "Sapori Reclusi" di Ragusa e "Arcolaio" di Siracusa prodotti dolciari, "Malefatte" di Venezia borse e magliette. Ma vi sono anche altre esperienze come "Made in Carcere" di Lecce sartoria, "Pausa caffè" di Torino birra artigianale, "Sartoria San Vittore" capi alla moda. Capofila la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri (www.rioteradeipensieri.org) che festeggia, anche con una mostra fotografica, vent’anni di attività nelle carceri veneziane con orto biologico, laboratorio di prodotti cosmetici, pellettreria, serigrafia e regolare mercatino all’esterno. Liri Longo è la coordinatrice dell’equipe: "Attraverso la produzione di oggetti che hanno un senso (sostenibilità, qualità, bellezza) testimoniamo all’esterno l’impegno e il desiderio dei detenuti di lavorare per un mondo migliore. Noi li chiamiamo oggetti ambasciatori". Una specie di messaggio affinché la società si ricordi di riaccogliere chi ha voluto punire con la reclusione. Il difficile, infatti, è l’impatto con l’esterno. Per riuscirci le cooperative sociali organizzano laboratori gemelli e punti vendita dei prodotti che servono ad accompagnare per il tempo necessario chi esce dal carcere. Raffaele Levorato è il fondatore della cooperativa veneziana e il formatore di una schiera di volontari e operatori il cui principale "requisito professionale è il coinvolgimento emozionale". Rovigo: "in cella dormivo per terra…", detenuto risarcito e scarcerato in anticipo di Antonio Andreotti Corriere del Veneto, 27 settembre 2014 Liberato con 20 giorni d’anticipo e risarcito di quasi 2.700 euro per le condizioni inumane della cella del carcere di Padova in cui si era trovato ristretto dopo l’arresto. Il padovano Federico Tomasin, 33 anni, agli arresti per spaccio di droga, ha vinto il ricorso presentato al magistrato di sorveglianza di Padova Linda Arata in base al decreto 92 dello scorso 26 giugno, quello che sta facendo tanto discutere sui "rimedi risarcitori in favore dei detenuti che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo". Così, ieri pomeriggio poco dopo le 16, Tomasin è uscito dal carcere di Rovigo con 20 giorni d’anticipo. A metà ottobre avrebbe finito di scontare una condanna a 4 anni, 4 mesi e 20 giorni presa nell’autunno 2012. A Tomasin sono stati poi riconosciuti 2.696 euro come risarcimento del danno, cioè 8 euro per ognuno dei 337 giorni di detenzione che, secondo il giudice, sono stati trascorsi in condizioni degradanti. L’ordinanza del giudice Arata riguarda esclusivamente il periodo di permanenza in carcere a Padova. Tomasin, perché è finito in carcere? "Sono stato arrestato dai carabinieri di Padova il 23 luglio 2010 per spaccio di droga. Tranne un periodo in carcere a Treviso e di arresti domiciliari, sono stato rinchiuso a Padova fino al 12 maggio 2012, data del mio trasferimento a Rovigo". A Padova che condizioni ha trovato? "Ho dormito per terra per alcuni mesi, perché non c’era il posto letto visto che eravamo anche in undici in una cella del piano rialzato, che era prevista per sei persone. Non ho mai avuto a disposizione i tre metri quadrati di spazio vitale previsti dalla convenzione europea. Nell’aprile del 2012 sono stato in una cella senza bagno di un reparto del Due Palazzi, che poi è stato chiuso per inagibilità e lo è ancora oggi". Ci sono state situazioni particolarmente difficili durante quel periodo al Due Palazzi? "Ricordo di avere ceduto il mio letto a un detenuto anziano e malato, che altrimenti avrebbe dovuto accomodarsi per terra su un materasso. C’è poi da dire che nei momenti peggiori, quando c’erano dieci o anche undici detenuti per cella, si sistemavano in qualche modo dei materassi sopra ai letti a castello in modo da poter avere tutti uno spazio dove dormire. Era una situazione di grande pericolo, visto che una caduta da quell’altezza avrebbe comportato sicuramente la morte". Perché nel maggio 2012 è stato trasferito a Rovigo? "Per il sovraffollamento di Padova. Ma anche in Polesine le condizioni non sono state migliori. Ho cambiato sette celle, e mi sono sembrate sempre molto strette e comunque inferiori ai tre metri quadrati di spazio vitale. In una cella per due detenuti, per scendere dal letto dovevamo saltare sopra l’altro recluso perché non c’era altro modo". Lei ha presentato ricorso per tutto il periodo di detenzione, ma le è stato riconosciuto l’indennizzo e lo sconto di pena solo per Padova. Perché? "Non me lo spiego. Nella sua ordinanza il giudice non rileva violazioni gravi delle condizioni dei detenuti a Rovigo, ma secondo me ci sono eccome". Sa quando riceverà il denaro dell’indennizzo? "No, e se devo dire la verità non sono nemmeno sicuro che mi venga dato. Speriamo bene". Cosa la soddisfa di più, oltre al ritorno in libertà? "Il riconoscimento da parte del giudice che ho vissuto in condizioni inumane in carcere a Padova, e sapere che altri detenuti nelle mie stesse condizioni potranno prepararsi da soli il ricorso, come ho fatto io, e ottenere giustizia". Giarre (Ct): inaugurata area su misura per i bambini che incontrano un genitore detenuto di Mario Previtera La Sicilia, 27 settembre 2014 Un altro progetto che diventa realtà. Ieri, alla presenza del provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Maurizio Veneziano, è stata inaugurata l’area verde della casa circondariale di Giarre, all’interno della quale, i 79 detenuti ospiti nella struttura penitenziaria attenuata di via Foscolo, potranno coltivare i propri affetti familiari anche in carcere, incontrando figli e coniugi in uno spazio protetto, ma aperto e piacevole anche per i bambini. Proprio le famiglie che, d’ora in avanti, potranno fruire di questa importante "isola" dell’accoglienza, svolgono un ruolo fondamentale e prezioso nella risocializzazione delle persone ristrette e di rendere, nei limiti del possibile, più sereno e positivo il loro adattamento alla reclusione, anche in vista del loro futuro reinserimento. "Questi spazi all’aperto, in una struttura carceraria - rimarca il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Veneziano - consentono una detenzione più dignitosa e rispettosa della persona umana alla quale abbiamo tolto la libertà ma non sicuramente la dignità. Ma il plus valore dell’area verde è rappresentato da quella straordinaria sinergia esistente tra istituzioni e amministrazione penitenziaria e tra privato e sociale che ci consente di realizzare progetti di questo tipo". Per la realizzazione dell’isola verde, infatti, hanno partecipato in tanti. Il Comune di Giarre ha fornito il prato verde, il Serra club ha donato un’altalena, l’Ipm di Acireale ha realizzato le panche. Il direttore del carcere di Giarre, Aldo Tiralongo, si dice entusiasta di questa iniziativa "rivolta essenzialmente ai bambini perché - afferma - l’impatto con il carcere per un bambino è sicuramente pesante e può essere anche deleterio per la sua crescita. Il fatto di potere incontrare il genitore in carcere in un ambiente verde, ben curato, in un clima di assoluta serenità, certamente allevia quel disagio di ritrovarsi all’intero di un penitenziario". Dunque, un progetto che offre momenti di umanità, all’interno di uno spazio nel quale ritrovare una dimensione lontana, almeno per qualche minuto, dalle sbarre del carcere. "La città di Giarre - osserva il vice sindaco Salvo Patanè - ha progressivamente maturato un rapporto d consapevolezza e di accettazione con la struttura carceraria. La più significativa testimonianza è la sua presenza al nostro mercato del contadino con piante aromatiche provenienti dal vivaio interno". Pistoia: detenuti, boy scout e cittadini, tutti insieme per ripulire la Frazione di Spedaletto www.met.provincia.fi.it, 27 settembre 2014 L’appuntamento è per oggi, sabato 27 settembre alle 15 nella frazione montana. Da quest’anno l’iniziativa si avvale della collaborazione di sette detenuti in permesso premio. Per l’undicesimo anno a Pistoia si svolgerà l’iniziativa Puliamo il mondo, promossa da Legambiente in collaborazione con Comune e Publiambiente. Si tratta di una manifestazione internazionale di volontariato ambientale che si svolge contemporaneamente in 120 paesi del mondo. Sabato 27 settembre alle 15 è in programma un’iniziativa a Spedaletto, che si svolgerà grazie al coinvolgimento della Casa circondariale di Santa Caterina in Brana, della pro loco di Spedaletto e del gruppo Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani) di Pistoia. Il progetto prevede la pulizia dei boschi, delle strade e dei fossi grazie a una sinergia tra sette detenuti in permesso premio, i boy-scout e tutti quei cittadini che, armati di guanti e palette, vorranno prendere parte all’iniziativa. Questa si chiuderà verso le 17,30 con un momento conviviale. "Quest’anno l’appuntamento con Puliamo il mondo si carica di un’ulteriore, e più importate, valenza sociale - evidenzia l’assessore al territorio Mario Tuci -. Non si tratta soltanto di mettere insieme le forze e l’entusiasmo per ripulire una parte del territorio comunale, di riportare alla luce il senso civico dei più grandi ed educare i più piccoli al rispetto del bene comune, ma anche di attivare una nuova modalità di dialogo e di collaborazione con chi vive in carcere, ma non per questo è confinato in una posizione marginale e priva di stimoli e volontà di aprirsi alla città. Puliamo il mondo è anche l’occasione per sentirci ancor più una comunità coesa, che collabora per tutelare e migliorare il patrimonio pubblico". Puliamo il mondo è espressione di alcune tra le battaglie più importanti di Legambiente, che vanno dalla riduzione dei rifiuti a un aumento della raccolta differenziata, dalla riqualificazione delle aree urbane alla valorizzazione degli ambienti naturali e dei parchi e alla diffusione di una corretta informazione e un’adeguata educazione ambientale sin dalla prima infanzia. "L’edizione di quest’anno di Puliamo il mondo è propedeutica all’attivazione del "porta a porta" all’interno della Casa circondariale di Pistoia - sottolinea il presidente di Legambiente Pistoia Antonio Sessa. Il lavoro di Legambiente con il Santa Caterina in Brana è iniziato mesi fa con il progetto Oltre la Corte, una ristrutturazione partecipata, tra i nostri soci architetti e i detenuti, del giardino interno del carcere, che durante la bella stagione servirà per i colloqui con i familiari. Abbiamo poi proseguito con i laboratori "Reciclando si impara", dedicati ai figli dei detenuti, utili a creare un clima familiare tra i bambini e genitori in carcere". Per partecipare a Puliamo il mondo non occorre prenotarsi. Gli interessati possono presentarsi alle 14 alla Casa circondariale di Santa Caterina in Brana oppure alle 15 a Spedaletto. Per ulteriori informazioni è possibile contattare Legambiente al numero 329.0739870. Santa Maria Capua Vetere (Ce): aggressione nel carcere, Sgambato (Pd) incontra agenti www.pupia.tv, 27 settembre 2014 "Solleciterò il ministero della giustizia ad un impegno serio perché è giusto che siate messi nelle condizioni di svolgere il compito delicato a cui siete chiamati ogni giorno". Così Camilla Sgambato ha parlato stamattina agli agenti di polizia penitenziaria che, all’esterno dell’istituto di Santa Maria Capua Vetere, hanno esposto le bandiere di alcune sigle sindacali per esprimere vicinanza al collega recentemente aggredito. Alla deputata del Pd i poliziotti penitenziari hanno illustrato, numeri alla mano, le difficoltà in cui versano e hanno lamentato l’apertura di un nuovo padiglione detentivo senza integrazione di personale con conseguente aumento dei già gravosi carichi di lavoro: 1100 detenuti, di cui quasi un terzo ad alta sicurezza, per 457 agenti, di cui 120 cariche fisse. "La situazione del carcere di Santa Maria rischia di essere davvero esplosiva. La prossima settimana - ha fatto sapere la parlamentare - incontrerò la direttrice dell’istituto che, già dai primi contatti intercorsi, mi è apparsa persona competente e cordiale. Mi confronterò anche con lei per approfondire le problematiche della struttura e le risorse, umane e non, di cui ha bisogno e mi farò portatrice di tali istanze al ministero della Giustizia". "La civiltà di un popolo si misura anche per la qualità delle sue carceri: va salvaguardata la dignità e la sicurezza sia dei detenuti sia di chi, con dedizione e professionalità, ogni giorno lavora in questi istituti. Il ministro Andrea Orlando - ha concluso Camilla Sgambato - ha inaugurato una stagione di attenzione e impegno in questo campo e sono certa che non sarà indifferente alle vicende dell’istituto di Santa Maria che è certamente una delle più importanti e delicate realtà del sistema carcerario italiano". Reggio Calabria: "Da esclusi a cittadini" al via corso formazione per volontari penitenziari www.ildispaccio.it, 27 settembre 2014 Un incontro pubblico darà l’avvio al corso di formazione per volontari penitenziari "Da esclusi a cittadini" promosso dal Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari, di concerto con la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, la Caritas Diocesana, il Seac, le Direzioni delle Case circondariali della provincia di Reggio. L’incontro si terrà martedì 30 settembre alle ore 17,30 nel Salone della provincia. Il programma dei lavori prevede la presentazione del corso di formazione da Mario Nasone Presidente Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari, i saluti di Giuseppe Raffa Presidente Provincia e di Daniela De Blasio del Tavolo penitenziario. Sono previsti gli interventi di Mons. Antonino Iachino su "Come la povertà del carcere interpella la comunità cristiana?" e di Stefano Musolino, Magistrato, su "Come si può uscire dalle mafie e dalla devianza?". Maria Carmela Longo, Direttore della Caca Circondariale di Reggio Calabria, tratterà il tema del contributo del volontariato nel percorso di recupero sociale del detenuto e della sua famiglia. Dopo il dibattito Giuseppe Pericone Direttore del Csv illustrerà il programma del corso di formazione che prevede diversi incontri che si concluderanno nel mese di ottobre, al termine dei quali ai volontari saranno proposti dei programmi di lavoro e servizio nei diversi istituti penitenziari del nostro territorio. Il corso ha registrato una larga adesione di iscritti che fa ben sperare rispetto alle finalità dell’iniziativa che si prefigge di potenziare la presenza del volontariato negli istituti penitenziari e di qualificarne meglio il suo prezioso apporto per il reinserimento sociale del detenuto. Ferrara: mostra fotografica "La bellezza dentro, donne e madri nelle carceri" www.estense.com, 27 settembre 2014 Il progetto fotografico di Giampietro Corelli in mostra al Ristorante "381" della Coop "Il Germoglio". Il Ristorante "381 Storie da Gustare" è un locale speciale, non un semplice bar ristorante, ma un luogo solidale e sociale gestito dal 2009 dalla cooperativa Sociale "Il Germoglio" Onlus. La cooperativa da più di 20 anni opera nel territorio di Ferrara e Provincia dedicandosi all’inserimento lavorativo e sociale di persone svantaggiate, perchè crede che attraverso il lavoro, il poter acquistare una propria professionalità, si possa acquisire l’autonomia e la dignità. Dal 2010 la Cooperativa Sociale "Il Germoglio" gestisce anche il progetto Raee in carcere presso la Casa Circondariale di Ferrara in rete con altre cooperative della Regione Emilia Romagna. Il Progetto Raee ha l’obiettivo di promuovere l’inclusione socio-lavorativa di persone svantaggiate in esecuzione penale o reduci dal carcere, per le quali si rende necessario un accompagnamento competente e in raccordo con il territorio, che ne favorisca il pieno rientro nella legalità e nella vita civile della comunità. Proprio questa vicinanza al mondo carcerario ha stimolato l’interesse la volontà del Ristorante 381 a ospitare all’interno dei suoi locali la mostra del fotografo ravennate Giampiero Corelli che con il suo progetto fotografico "La Bellezza Dentro - donne e madri nelle carceri italiane" racconta la vita delle donne e delle madri all’interno degli istituti penitenziari femminili. Il lavoro fotografico è durato alcuni anni e ha toccato diversi Istituti Penitenziari italiani, da Messina a Trento, passando per Roma, Bologna, Forlì, Milano e tanti altri. La mostra sarà visitabile al Ristorante 381 Storie da Gustare in piazzetta Corelli 24, dal 3 ottobre al 2 novembre negli orari di apertura del locale (11-15.30/18.30-22.30). Cinema: "Oggi voglio parlare", le testimonianze dal carcere raccolte in un documentario www.estense.com, 27 settembre 2014 Racconta le storie di dieci carcerati, detenuti nelle Case circondariali di Firenze e Ferrara, il documentario dal titolo "Oggi voglio parlare" che lunedì 29 settembre alle 17 sarà proiettato nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea di Ferrara. All’incontro, aperto a tutti gli interessati, saranno presenti gli autori Gianmarco D’Agostino e Marco Vichi. Dieci storie di carcerati e di uomini che si raccontano davanti alla macchina da presa, mostrandoci tutta la loro complessità. Una riflessione sulla vita nelle celle, oltre le celle, una fuga dalla prigione più pericolosa, quella del pregiudizio. Uno dei luoghi comuni più battuti in questi ultimi anni è il tema del sovraffollamento delle carceri italiane. Il regista fiorentino Gianmarco D’Agostino, con l’aiuto dello scrittore Marco Vichi, è andato a Firenze e Ferrara per capire quali fossero i modi dei carcerati per uscire dalla noia e dalla depressione. Tra seminari musicali e i racconti di alcune vicende narrate in prima persona dai detenuti viene fuori un quadro duro delle relazioni carcerarie. Gianmarco D’Agostino, regista e sceneggiatore, è nato ad Arezzo nel 1977 e si è laureato in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha girato quattro documentari d’arte con Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, tra cui "Il Tempo di Michelangelo", dedicato alla Cappella Sistina in Vaticano e alle Cappelle Medicee nella chiesa di San Lorenzo a Firenze. Ha lavorato con alcuni detenuti delle carceri di Firenze e Ferrara a un progetto di un anno sullo storytelling, da cui è nato il documentario "Oggi voglio parlare". Ha inoltre firmato il lungometraggio "Florence, the Consul and Me" e, nel 2013, ha diretto per la Jerusalem Opera la video arte per l’allestimento del "Don Giovanni" di Mozart. Stati Uniti: i detenuti non sono le uniche vittime del complesso carcerario-industriale di Sergio D’Elia Notizie Radicali, 27 settembre 2014 La storia che vi propongo in un ampio stralcio è stata scritta da Alex Hannaford ed è uscita il 16 settembre su The Nation. Si svolge a Livingston, una cittadina di 5.000 abitanti a un’ora a nord di Houston in Texas, dove puoi trovare impiego o nell’industria del legno o in quella delle prigioni. È una storia americana, ma coincide abbastanza con quanto accade in Italia, con l’unica differenza che, certo, lì il sistema prevede di diritto la pena di morte, mentre qui il sistema riserva di fatto solo la morte per pena. Il titolo della storia: "I detenuti non sono le uniche vittime del complesso carcerario-industriale" - mi ha colpito subito, per due motivi. Primo, perché richiama quello che Marco Pannella e i Radicali sostengono da sempre sulla condizione strutturale di tortura delle carceri italiane della quale sono tutti vittime, non solo i detenuti, ma anche gli "agenti di custodia", i direttori e gli altri componenti la comunità penitenziaria, colpiti anch’essi dalla strage di diritto che connota la giustizia del nostro Paese e la sua appendice carceraria. Secondo, perché rievoca un monito analogo che si rivelò profetico, quello che il Presidente Ike Eisenhower lanciò oltre mezzo secolo fa sulla minaccia, per l’America e per il mondo, del "complesso militare-industriale congressuale", quale tremendo potere tecnologico, strutturale e fuori controllo. I media danno conto e amplificano spesso i dati sul dispotico regime cinese, dai quali la potenza asiatica sembrerebbe, in particolare, essere il primo Stato-boia e la società più "incarcerata" del mondo. La realtà è diversa, perché sulla pena di morte l’Iran è sul gradino più alto del poco invidiabile podio olimpico dei primatisti in esecuzioni, se le rapportiamo al numero di abitanti, mentre quanto a popolazione detenuta gli Stati Uniti sono più carcerieri dei carcerieri cinesi. Risulta infatti che nello "Stato-canaglia" cinese i detenuti siano 1 milione e quattrocentomila, 1 ogni 998 abitanti, mentre negli Stati Uniti sono 2 milioni e duecentomila, 1 ogni 157 abitanti… una gigantesca e inesauribile scorta di "materia prima" criminale che fa del "sistema di correzione" americano un’industria sempre in crescita e mai a rischio di disoccupazione. Dave aveva fatto il camionista per tredici anni, ma quando il suo datore di lavoro ha chiuso baracca a causa della crisi post 11 settembre, si è formato come agente penitenziario. Prendi più soldi a tagliare alberi, dice, ma le carceri offrono un’occupazione stabile. "Sono la prova che siamo in recessione." Ma far parte dell’ingranaggio di una macchina il cui fine ultimo è quello di distruggere la vita umana ha un prezzo. Dopo otto anni e mezzo di lavoro nel braccio della morte, Dave ha iniziato ad avere incubi e a soffrire di pressione alta. "Anche i ragazzi più giovani la soffrono a lavorare lì." "Mi è capitato a volte di arrivare all’ingresso della prigione, passare attraverso il metal detector e fare marcia indietro, tornare nel parcheggio e darmi malato." Allora Dave è stato trasferito dal braccio della morte. I gruppi per i diritti civili che si occupano delle prigioni tendono a concentrarsi sulla situazione dei detenuti, monitorando le condizioni di detenzione e fornendo loro assistenza legale. Non si è naturalmente portati a provare simpatia per gli esecutori di un sistema così crudele. Ma a lavorare in un ambiente opprimente dove la violenza è la norma, le guardie sono vittime tanto quanto carnefici. "La prigione funziona esattamente all’opposto di una piccola, sana famiglia o comunità", nota Frank Ochberg, uno psichiatra che ha fatto parte del gruppo di esperti chiamati a definire il cosiddetto disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) negli anni 70 e che ha stilato le sue perizie su innumerevoli condannati a morte. "Il carcere fa a un essere umano quello che uno zoo fa a un animale selvatico." Più del 25 per cento delle guardie carcerarie soffre di Ptsd rispetto al 3,5 per cento dell’intera popolazione, secondo uno studio di Desert Waters, un centro di sensibilizzazione sulle condizioni carcerarie in Colorado. Il tasso di suicidi tra i funzionari penitenziari è più del doppio di quello della popolazione normale. Sono i danni collaterali in un sistema che incarna uno degli impieghi più devastanti del potere statale. Dave racconta la storia straziante di un collega nel braccio della morte, che cinque anni fa lavorava al turno di notte presso l’Unità Polunsky. Durante una pausa, è uscito nel parcheggio, è salito in macchina, ha tirato fuori una pistola e si è ucciso. "È rimasto lì all’insaputa di tutti per un’ora, anche se era nel punto finale della prima fila del parcheggio, praticamente all’ingresso del cancello del carcere". Il Texas Department of Criminal Justice confermerà solo che il 4 dicembre 2008 "un agente di polizia penitenziaria assegnato all’Unità Polunsky è stato trovato morto all’interno di un veicolo privato per un colpo di pistola auto-inflitto". Medio Oriente: Ong; dal 2008 numero più alto di "detenuti amministrativi" in Israele Aki, 27 settembre 2014 Il numero dei palestinesi detenuti in regime amministrativo nelle carceri di Israele è il più alto dal 2008. Lo rivela il portavoce del centro palestinese di studi sui prigionieri Ahrar, Riyad al-Ashqar, denunciando che Israele ha usato la politica della detenzione amministrativa per centinaia di prigionieri dalla metà di giugno in seguito a una campagna di arresti condotti su larga scala in Cisgiordania. Nel 2008 erano 800 i palestinesi detenuti in regime amministrativo, mentre ora il numero sarebbe raddoppiato. La politica della detenzione amministrativa consente a Israele di tenere i palestinesi in carcere senza un processo e sulla base di informazioni di intelligence, quindi protette da segreto. Uzbekistan: Human Rights Watch denuncia torture e orrori contro i prigionieri politici Tm New, 27 settembre 2014 Tortura, condizioni di detenzione inumane, immotivati prolungamenti delle pene detentive: questo accade in Uzbekistan e vittime di questi abusi sono spesso prigionieri per motivi politici. Lo evidenzia un rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch, che ha diffuso oggi un pesante rapporto sul rispetto dei diritti umani nella repubblica ex sovietica dell’Asia centrale governata col pugno di ferro da Islam Karimov. Il rapporto, intitolato "Until the Very End: Politically Motivated Imprisonment in Uzbekistan", conta 121 pagine e si basa su 151 interviste. In particolare s’incentra sulle condizioni di detenzione di 34 dei principali prigionieri politici del paese. Tra questi ci sono giornalisti che languono dietro le sbarre ormai da oltre due decenni. "Il governo cerca di nascondere al mondo gli abusi che i suoi critici subiscono, fino al rischio della loro stessa vita", ha commentato Steve Swerdlow, ricercatore di Hrw per l’Asia centrale. "Con queste nuove prove - ha aggiunto - Tashkent non potrà più negare che la detenzione per motivi politici non esiste in Uzbekistan". L’Uzbekistan - afferma Hrw - deve "immediatamente e incondizionatamente rilasciare chiunque sia imprigionato sulla base di motivazioni politiche, fermare la proroga arbitraria delle pene detentive e porre termine alla tortura in prigione". Hrw descrive alcuni dei detenuti sui quali è riuscita ad avere informazioni come alcune delle figure più rimarchevoli e di talento nel paese, che hanno l’unica colpa di aver chiesto più democrazia, più libertà nell’arte, nella cultura. Alcuni di loro sono imprigionati semplicemente perché identificati dal governo come "nemici dello stato", o altri reati di vaga fattispecie come "attività anti-costituzionali" o "estremismo religioso". Talvolta si è preferito condannarli per frodi, tangenti, estorsioni. Almeno per 29 dei 34 prigionieri politici documentati da Hrw ci sono credibili prove che abbiano subito torture e maltrattamenti. Sono stati picchiati, torturati con elettroshock, hanno subito umiliazioni sessuali, sono stati soffocati con buste di plastica e maschere antigas. Alla lista degli orrori non mancano torture psicologiche, negazione di cibo e acqua, negazione di cure mediche anche in caso di gravi malattie.