Giustizia: Renzi riforma le carceri, spariranno Dap e Polizia penitenziaria di Lirio Abbate L’Espresso, 26 settembre 2014 Palazzo Chigi affida lo studio della riforma penitenziaria a un comitato guidato da Nicola Gratteri, con Davigo e Ardita. Con proposte radicali, che però potrebbero scontrarsi con quelle elaborate dai tecnici del ministero guidato da Andrea Orlando. La Polizia penitenziaria verrà spazzata via e al suo posto nascerà una "police" della giustizia, con compiti e ruoli ampi anche sul territorio e non solo nelle carceri. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sarà cancellato, sostituendolo con una struttura più snella e un risparmio di centinaia di milioni di euro. C’è anche l’idea di eliminare i tour giudiziari dei detenuti di mafia e farli partecipare ai loro processi in video conferenza, come è già previsto per quelli sottoposti al carcere duro, con un risparmio di 70 milioni di euro all’anno. Insomma, una rivoluzione che sta venendo messa a punto da una commissione voluta da Matteo Renzi: una squadra di super-esperti coordinata da Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che ha accettato l’incarico a titolo gratuito. Da luglio assieme a lui si riuniscono magistrati di grande prestigio come Piercamillo Davigo, Sebastiano Ardita e Alberto Macchia. Con l’incarico di riformare aspetti chiave della malandata macchina giudiziaria: la semplificazione delle norme, delle misure di prevenzione, del sistema penitenziario e dei reati ambientali. Allo stesso tempo però negli uffici di via Arenula del ministero della Giustizia vi sono altri gruppi di lavoro che stanno studiando come rivitalizzare il settore sotto la guida del guardasigilli Andrea Orlando. Una situazione paradossale, con progetti paralleli ma velocità e determinazione diversi. Tanto che alla fine potrebbero rischiare di annullarsi. Da alcuni mesi premier e ministro sono apparsi poco in sintonia su come mettere mano alla materia, individuata come uno degli snodi per il rilancio del Paese. Una distanza anche di metodo, con Renzi che domanda soluzioni rapide mentre Orlando si muove cercando la mediazione con tutte le categorie. E adesso questa differenza di visione pare tradursi nello sdoppiamento dei comitati di studio. I tecnici di Palazzo Chigi partono da alcuni spunti molto concreti. Ad esempio da una nuova disciplina della video conferenza che si vuole estendere "obbligatoriamente" ai circa ottomila mafiosi detenuti mentre ora vale solo per i settecento boss sottoposti al 41 bis. Questa modifica, come evidenzia la commissione, gioverebbe molto alla sicurezza perché eviterebbe il pendolarismo dei mafiosi detenuti fra le carceri del Nord in cui sono rinchiusi, e quelle del meridione dove si celebrano i processi e dove più forte è la presenza della criminalità organizzata. Un vantaggio ci sarebbe anche per gli avvocati perché la norma conterrebbe anche la facoltà per i difensori di partecipare ai dibattimenti in video collegamento dai propri studi legali. I benefici sarebbero plurimi. Si risparmierebbero 70 milioni di euro l’anno, la spesa sostenuta per i trasferimenti dei reclusi sotto scorta. E si potrebbe accelerare i processi, eliminando i tempi delle trasferte di imputati e difensori. Ma sulla video conferenza si lavora pure nelle stanze del ministero, con una procedura più soft. Ovviamente, ci si preoccupa di adeguare le strutture tecnologiche dei penitenziari per consentire i collegamenti. Ma si cerca anche di costruire un confronto con l’avvocatura sulla novità: fonti del dicastero spiegano che sono già stati avviati sondaggi. E, anche per questo, non si vorrebbe rendere obbligatoria la norma. Dalla Commissione di Palazzo Chigi viene fuori anche un pacchetto di riforme che riguarda le misure di prevenzione e la semplificazione processuale, per consentire ai processi di mafia di giungere in modo efficace alla conclusione senza arenarsi nelle secche di regole procedurali bizantine, che finiscono per favorire i criminali. Gratteri ha affidato la materia a Piercamillo Davigo, al quale ha chiesto di "individuare e tagliare i rami secchi del processo che, senza produrre effetti deflattivi, determinano benefici e sconti di pena gratuiti a chi delinque". Anche su questo punto via Arenula procede su una strada diversa, riprendendo norme elaborate dalla vecchia commissione guidata quindici anni fa dal giurista Giovanni Fiandaca, che adesso il ministero sta cercando di perfezionare. Il pool del premier ha già redatto una bozza su uno dei temi più discussi degli ultimi anni, con proposte severe per punire l’auto-riciclaggio, raddoppiando anche le pene per l’associazione mafiosa e per il voto di scambio politico-mafioso. Quello che farà più discutere è il progetto di Gratteri di riforma della polizia penitenziaria per trasformarla in un modello di "polizia della giustizia". Agli agenti dovrebbero essere attribuiti compiti di primo piano a differenza della situazione attuale che li vede confinati alla funzione di custodia dei detenuti. L’idea è quella di creare una forza di polizia presente anche sul territorio, arricchendola di nuove competenze: "eseguire gli ordini di arresto per gli imputati con condanne definitive, ricercare latitanti, controllare gli arrestati domiciliari e i soggetti sottoposti alle misure alternative, proteggere i collaboratori di giustizia, i tribunali e i magistrati". I nuclei operativi del servizio di protezione dei "pentiti" potrebbero subire modifiche e gli agenti incaricati di questa missione transiterebbero sotto un’unica polizia, quella della giustizia. Su questo progetto sta lavorando Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Messina, che ha alle spalle una lunga esperienza di direttore generale al Dap. Ardita punta a fare della polizia penitenziaria un corpo ad alta qualificazione con le funzioni dei "probation office" e dei Marshall statunitensi. Pure gli assistenti sociali, che oggi operano solo all’interno delle carceri, verrebbero trasferiti nei "probation office", per seguire il percorso di reinserimento dei condannati anche fuori dalle prigioni. L’idea complessiva della commissione coordinata da Gratteri è quella di attrezzarsi per riservare il carcere ai criminali più pericolosi, mafiosi in testa, e di allargare il più possibile l’area delle pene alternative "in modo da dare effettività alla pena, che invece tra indulti, e amnistie rischia di diventare una farsa per i criminali ed una vera tragedia per i diseredati". Le misure diverse dal carcere, che oscillano dalla detenzione domiciliare ai lavori di pubblica utilità, oggi secondo i tecnici di Palazzo Chigi non risultano per niente affidabili e per questo motivo se ne fa uno scarso utilizzo. Nel nostro paese vi sono circa ventimila persone affidate in prova rispetto alle 250 mila dell’Inghilterra e le carceri sono di conseguenza sovraffollate. Per la commissione voluta dal premier Renzi "con pochi accorgimenti tecnologici e impiegando i nuovi agenti, si potrebbero avere in esecuzione pena fuori dal carcere 200 mila persone". Ancora più radicale, l’ipotesi di abolire il Dap, eliminando le 15 posizioni di dirigente generale esistenti oggi nel Dipartimento che sovrintende a tutto il mondo delle carceri. In una nuova struttura i dirigenti verrebbero reclutati direttamente tra gli attuali commissari della polizia penitenziaria, mentre i direttori andrebbero in un ruolo ad esaurimento. Il progetto impone poi lo stop a incarichi strapagati, sprechi e stipendi milionari per i vertici. L’obiettivo è tagliare i costi e ottenere maggiore efficienza. Anche in questo caso, esiste pure un piano del ministro Orlando, che mira a una rimodulazione del Dipartimento secondo linee meno drastiche. Un disegno che verrà presentato alla presidenza del Consiglio entro il 15 ottobre. Poi toccherà al governo decidere quale strada seguire. Nella speranza che la duplicazione degli studi non si trasformi in paralisi, proprio nel settore che ha bisogno di risposte urgenti: le condizioni delle carceri infatti restano nel mirino delle corti europee. E la giustizia sta ancora male. Giustizia: "piano carceri" promosso a Strasburgo, al vaglio modifiche legislative del 2014 di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2014 In campo misure preventive e risarcitorie a tutela dei detenuti che possono rivolgersi al giudice dell’esecuzione. Il piano carceri messo in atto dall’Italia supera il vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo che, con due decisioni del 16 settembre, diffuse ieri da Strasburgo (Stella e altri contro Italia), ha dichiarato irricevibili i ricorsi di 18 detenuti. Questi ultimi si erano rivolti alla Corte sostenendo che l’Italia aveva violato l’articolo 3 della Convenzione europea che vieta i trattamenti disumani e degradanti Costretti in celle anguste e senza riscaldamento si erano rivolti ai giudici internazionali nel 2009 e nel 2010. Tuttavia, la Corte ha dichiarato i ricorsi irricevibili ritenendo che i ricorrenti non avessero rispettato il requisito del previo esaurimento dei ricorsi interni. In passato, la Corte aveva sempre effettuato la verifica del previo esaurimento dei ricorsi interni in relazione ai rimedi esistenti nell’ordinamento nazionale nel momento della presentazione del ricorso a Strasburgo. In quest’occasione, invece, la Corte imbocca un’altra strada, a vantaggio dell’Italia, ritenendo che il rispetto della condizione deve essere effettuato tenendo conto delle modifiche legislative introdotte in Italia dopo la sentenza pilota dell’8 gennaio 2013 sul caso Torreggiani e, in particolare, con la legge n. 10, n. 92 e n. 117 del 2014. L’Italia - osserva Strasburgo - ha messo in campo nuovi mezzi a tutela dei detenuti, con misure preventive e risarcitorie. I detenuti, infatti, possono rivolgersi al giudice dell’esecuzione contestando gli spazi limitati e le condizioni di vita disumane, chiedendo il rispetto della Convenzione. Rispetto al precedente sistema previsto dall’articolo 35 della legge penitenziaria, il nuovo meccanismo assicura l’effettiva applicazione della decisione presa dal giudice che impone un termine per l’esecuzione. Non solo. Con le modifiche post-Torreggiani, i detenuti che subiscono un trattamento disumano a causa del sovraffollamento possono ottenere uno sconto di pena o una riparazione. Di qui l’obbligo di attivare prima i rimedi interni e poi di rivolgersi a Strasburgo tanto più che - osserva la Corte - non ci sono prove che i nuovi strumenti non consentano un’adeguata riparazione alle vittime. In questo modo, i giudici internazionali bloccano l’esame di 3.500 ricorsi già pendenti. Giustizia: sovraffollamento delle carceri, da Strasburgo primo stop ai ricorsi dei detenuti www.online-news.it, 26 settembre 2014 La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso oggi di respingere 19 ricorsi presentati da altrettanti detenuti contro il sovraffollamento delle carceri dopo che l’Italia ha adottato lo scorso giugno il decreto legge sul "rimedio compensativo". Un pronunciamento accolto come una "notizia positiva" dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, secondo il quale la Corte ha così "apprezzato i progressi fatti" dall’Italia su questo fronte. La decisione presa oggi a Strasburgo rappresenta in effetti una vittoria per il governo, che in un colpo solo ha ottenuto tre risultati. Innanzitutto si è liberato dalla preoccupazione di essere costantemente condannato per trattamento inumano e degradante dei carcerati costretti in spazi troppo angusti, come successe nel 2013 con la sentenza Torreggiani. Inoltre, vede in prospettiva ridursi l’ammontare dei risarcimenti che dovrà pagare ai detenuti di cui ha violato i diritti, poiché con le condanne a Strasburgo sarebbe stato molto più alto. Infine, il governo riuscirà a far diminuire anche il numero di ricorsi pendenti a Strasburgo, perchè la Corte - secondo quanto si è appreso - ha deciso di applicare lo stesso metodo utilizzato oggi anche ai restanti 3.500 e più ricorsi che ha ricevuto dalle carceri italiane. L’Italia potrà così finalmente perdere il poco invidiabile primato di primo paese per numero di fascicoli aperti alla Corte. La sentenza di oggi indica anche che l’Italia è riuscita a convincere i giudici di Strasburgo sull’efficacia e la congruità delle misure messe in atto per fronteggiare il fenomeno del sovraffollamento. Il rigetto dei due ricorsi avvenuto oggi è infatti dovuto al fatto che la Corte, dopo aver analizzato le leggi introdotte nell’arco dell’ultimo anno, ha deciso non solo che il rischio di sovraffollamento nelle carceri italiane sta diminuendo, ma anche che chi dovesse subirne gli effetti può ora ottenere giustizia direttamente in Italia. E questo vale anche per chi si è già rivolto a Strasburgo. La Corte infatti ha detto che non ha prove per ritenere che il rimedio preventivo e quello compensativo introdotti dal governo con i decreti legge 146/2013 e 92/2014, non funzionino. Come sembra dimostrare anche la notizia di un carcerato che ha ottenuto a Padova 4.808 euro e 10 giorni di detrazione della pena sui 100 che ancora gli restavano da scontare per i 601 giorni di detenzione vissuti in condizioni inumane di sovraffollamento carcerario. Un risarcimento che però è stato già bollato come "abominio immondo" dal deputato leghista Nicola Molteni, capogruppo in commissione giustizia, e che il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, ha chiesto a Orlando di bloccare. I detenuti che hanno fatto ricorso a Strasburgo ora hanno due possibilità. Se sono ancora in carcere possono rivolgersi al giudice di sorveglianza, che non solo deve far cessare la loro situazione di sovraffollamento, ma deve eventualmente risarcirli o con giorni di pena in meno o con denaro, o entrambe. Coloro che invece sono già in libertà possono rivolgersi al giudice civile per ottenere un risarcimento. Per farlo hanno tempo fino al 28 dicembre e, affinché la richiesta sia valida devono indicare la data in cui hanno presentato il ricorso a Strasburgo. Giustizia: la triste e umiliante condizione dei penitenziari... intervista a Susanna Marietti di Diletta Aurora Della Rocca www.articolo21.org, 26 settembre 2014 Con 146 detenuti ogni 100 posti letto l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è allarmante. Il punto cardine del nostro sistema penitenziario è sintetizzato nell’ Articolo 27 Comma 3 della Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono garantire la rieducazione del detenuto". Ma cosa succede nelle carceri italiane? Il sovraffollamento provoca situazioni indescrivibili, al punto che i detenuti sono costretti a vivere in celle di pochi metri dove non c’è la possibilità di muoversi agevolmente, dove per mangiare bisogna fare i turni e per andare in bagno non c’è nessuna privacy. Spesso c’è una promiscuità tale che i detenuti sono costretti a condividere le celle con persone malate di Aids, tubercolosi o altre patologie gravi. Per comprendere meglio come stanno davvero le cose, ho sentito Susanna Marietti, responsabile dell’Osservatorio sulle carceri e Coordinatrice nazionale associazione Antigone, che da anni si batte in difesa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale italiano. Dottoressa Marietti, dopo la sentenza Torreggiani nelle carceri italiane è cambiato qualcosa? Sicuramente sono diminuiti i numeri, basta guardare le statistiche. Sono stati presi una serie di provvedimenti che in realtà erano cominciati già prima della sentenza Torreggiani, pensiamo al disegno di legge del Ministro della Giustizia Alfano di qualche anno fa che prevedeva la detenzione domiciliare per tutte le pene non superiori a un anno. Poi il Ministro Annamaria Cancellieri con i suoi provvedimenti ha continuato a lavorare sulla misura cautelare fino all’ultimo decreto che prevedeva sconti di pena per buona condotta. C’è il bisogno di una forte riforma organica che non c’è mai stata, anche se oggi i detenuti non vivono più in celle sotto i tre metri quadrati. Dal punto di vista degli spazi la situazione è migliorata, anche se credo che il carcere non sia solo spazio. Se mi dai più di tre metri quadri ma non mi curi se sono malato, c’è qualcosa che non va. L’associazione Antigone è da anni impegnata in difesa della realtà carceraria, sensibilizzando l’opinione pubblica su questo problema. Quanto è presente la politica nella vostra attività? Nelle forze politiche abbiamo incontrato persone sensibili su questo tema e con cui portiamo avanti le nostre battaglie. Il Senatore Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, è uno dei tanti politici che ci aiutano nelle nostre lotte. Con gli amici radicali condividiamo tante battaglie, ma abbiamo idee diverse su molti punti. Non credo che l’amnistia e l’indulto possano risolvere tutti i problemi, noi di Antigone puntiamo a migliorare il sovraffollamento dei penitenziari che al momento è l’intervento più urgente. Il Decreto Legge n° 10 del 21.6.2014 ha come obiettivo quello di risolvere una volta per tutte questo problema, permettendo la riduzione delle pene inflitte e l’ampliamento delle misure alternative al carcere. Il provvedimento ha la funzione di adempiere alla direttiva Europea che prevede il pagamento di somme ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e contrari all’art. 27 della Costituzione. Ma nel costruire questo decreto, il Ministro Orlando si è avvalso dell’aiuto di Mauro Palma, fondatore della nostra associazione e già consulente personale del Ministro Anna Maria Cancellieri. Posso dire che siamo in sintonia su buona parte dei lavori svolti. Per mesi si è sostenuto che i dati sulla capienza dei vari penitenziari mancassero di chiarezza. Oggi sono attendibili? Il Ministero della Giustizia ha pubblicato on line i dati relativi alla capienza dei vari penitenziari aggiornata al 30 giugno 2014, dai quali viene fuori che il numero totale di detenuti smistati nei 205 penitenziari è di 58.092 ma la capienza regolamentare è di 49.461. I dati sono ufficiali e fedeli per quanto riguarda le presenze, mentre c’è un po’ più di polemica tra noi di Antigone e il Ministero della Giustizia sulle capienze. Alcuni anni fa ci fu pubblicamente una querelle con l’amministrazione penitenziaria, tanto che il ministro Annamaria Cancellieri dette ragione a noi di Antigone sui dati delle capienze. Grazie al nostro osservatorio sulle carceri, ci siamo resi conto di come tantissime sezioni delle carceri erano chiuse perché mancavano i soldi per la manutenzione. Capitava che si rompevano i riscaldamenti ma non si poteva sistemare il danno, quindi si chiudeva quella sezione e i detenuti presenti lì erano spostati in un altro settore. Ovviamente in questo modo si creava sovraffollamento più del dovuto e quell’ala restava vuota, ma i posti erano conteggiati lo stesso. Circa diecimila posti calcolati dal Dap erano inesistenti e quindi il sovraffollamento era molto più alto rispetto i dati ufficiali. Quali sono le proposte di Antigone per migliorare la realtà del carcere? Bisogna riformare il Codice Penale tanto nella parte generale quanto nella parte speciale. Non possiamo pensare di punire tutti i colpevoli e tutti i reati con il carcere. Tra le tante proposte, siamo stati noi a mutuare dai paesi scandinavi la figura del "Garante dei diritti dei detenuti" scrivendo il primo testo sulla figura nazione del garante che adesso è una realtà. Un altro strumento che ci auguriamo venga adottato è l’introduzione delle liste di attesa. Si entra in carcere quando c’è posto per scontare la pena, se non c’è spazio non si entra a meno che la persona abbia commesso reati gravi e ci sia la possibilità di pericolo. È qualcosa che già esiste in alcuni paesi tipo la Norvegia mentre nel nostro paese ancora no. Il prossimo appuntamento per l’Italia sarà nel giugno del 2015, quando il comitato europeo alla luce dei provvedimenti adottati, analizzerà di nuovo la condizione dei penitenziari italiani. Giustizia: interrogazione di Melilla (Sel) al ministro su riorganizzazione dei Provveditorati Tm News, 26 settembre 2014 Al Ministro della giustizia. Per sapere, premesso che: è ormai prossima la scadenza per l’emanazione del "Regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della giustizia" (per la cui adozione è stato nuovamente prorogato il termine entro il 15 ottobre); un primo schema venne presentato alle organizzazioni sindacali nel mese di febbraio 2014: in esso i provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria venivano ridotti da 16 a 12, prevedendosi che il provveditorato dell’Abruzzo permanesse ed accorpasse in sé quello dello Marche, che sarebbe stato quindi soppresso; successivamente il 15 luglio 2014, è stato trasmesso alla funzione pubblica lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in cui, tra gli interventi necessari in attuazione della cosiddetta spending review, rilevava la riduzione dei provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria dagli attuali 16 ad 11; Tra questi, il Prap di Pescara permaneva attivo, accorpandosi in esso anche la limitrofa struttura regionale delle Marche; con decreto del 12 agosto, poi, il Ministro della giustizia ha istitutivo dei gruppi di lavoro atti a procedere ad una rivisitazione dello schema precitato; all’esito dei lavori dei gruppi di cui sopra, sembrerebbe sia stato predisposto un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel quale i provveditorati regionali saranno ridotti in numero di 10 e che il provveditorato per l’Abruzzo ed il Molise con sede in Pescara sarà accorpato in quello delle Puglie; il provveditorato regionale dell’Abruzzo svolge una funzione essenziale di coordinamento degli istituti penitenziari e servizi della regione, grazie alla diretta conoscenza delle realtà periferiche, ed è per questo un essenziale organo di prossimità. Esso assicura qualificanti attività a livello territoriale - destinate al soddisfacimento di primari interessi pubblici - che verrebbero, se accorpato, sensibilmente ridotte se non del tutto compromesse da un siffatto progetto di riorganizzazione; Il provveditorato regionale opera in rilevante sinergia inter-istituzionale (in ottemperanza alla legge n. 354 del 1975; al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 e nel decreto del Presidente della Repubblica n. 444 del 1992) con l’ente regione Abruzzo, nelle materie del lavoro, formazione professionale, sanità e politiche sociali a favore dell’utenza detenuta, formalizzata in accordi e protocolli operativi, in tavoli tecnici, commissioni, gruppi di lavoro ed in organi paritetici (esempio tavolo tecnico per l’inclusione lavorativa, osservatorio per la sanità penitenziaria). Parimenti preziose sono le intese inter-istituzionali con le amministrazioni comunali; il mantenimento della locale articolazione regionale dell’amministrazione penitenziaria di Pescara non comporterebbero aggravio di spesa, atteso che la sede del Prap Abruzzo è in uno stabile di proprietà della stessa amministrazione penitenziaria; la soppressione del provveditorato dell’Abruzzo, con conseguente accorpamento delle sue funzioni in altra struttura multi-regionale, comporterebbe un progressivo scollamento con il territorio con compromissione del principio di sussidiarietà (per mancanza di referenti locali vicino al territorio, conoscitori delle relative problematiche ed in grado pertanto di poter intervenire tempestivamente); Peraltro l’accorpamento con il Prap Puglia con sede a Bari comporterà disfunzionalità e un aumento di spese connesse alla mobilità di personale e mezzi; non è da sottovalutare, poi, come la soppressione di questa importante articolazione periferica dello Stato spoglierebbe del tutto la città di Pescara vieppiù trattandosi di un presidio di sicurezza e legalità sul territorio abruzzese: se non ritenga necessario prevedere l’accorpamento del provvedimento regionale dell’amministrazione penitenziaria dell’Abruzzo con quello delle Marche con sede a Pescara. Giustizia: a Padova detenuto viene risarcito per "trattamento inumano", la Lega protesta Agi, 26 settembre 2014 Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, deve spiegare ai padovani perchè, "con le loro tasse debbano pagare la buonuscita di un criminale". A chiederlo il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, dopo che l’applicazione, uno dei primi casi in Italia, del "decreto compensativo", ha stabilito un risarcimento per un detenuto di 4.808 euro e uno sconto di pena. "Una condanna a 6 anni per associazione a delinquere, prostituzione minorile, violenza privata e falsa testimonianza frutterà a un albanese, recluso nel carcere della nostra città e già rimesso in libertà, 4.808 euro. Così ha deciso un giudice, applicando la norma su "decreto compensativo" votata dal Governo Renzi. Il motivo? La cella in cui era ospitato sarebbe stata troppo piccola di 15 cm: 2 metri e 85 centimetri quadrati invece di 3 metri", attacca Bitonci. "Orlando venga a Padova e spieghi perchè i veneti devono pagare con le proprie tasse, oltre agli sprechi di Roma, anche la buonuscita di un criminale, mentre le giovani vittime delle sue azioni porteranno per tutta le vita il peso delle violenze subite, senza ricevere neanche un euro. Il Ministro blocchi il risarcimento: se non fosse irrisoria rispetto al danno subito, quella cifra dovrebbe essere donata alle vittime e non certo al carnefice", ha concluso. Molteni (Ln): risarcimento immondo abominio "Un abominio immondo". Il deputato leghista Nicola Molteni, capogruppo in commissione giustizia, commenta così il risarcimento di 4.808 euro concesso, a Padova, a un carcerato albanese condannato a sei anni per associazione a delinquere, prostituzione minorile, violenza privata e falsa testimonianza. Si tratta della prima applicazione dei cosiddetti "rimedi compensativi" al sovraffollamento. "Si cominciano a raccogliere i frutti marci del quinto svuota carceri, al quale solo la Lega Nord si è opposta, con manifestazioni di piazza e proteste in aula. Alla Camera e al Senato abbiamo sventolato simboliche banconote da otto euro che il duo Renzi-Alfano oggi regalano ai criminali per ogni giorno di permanenza in spazi ristretti". "La gente muore di fame e lo stato dà una mancia di quasi 5mila euro a un delinquente. Questo è un governo storto e deviato: dà la mancia ai delinquenti e affama i cittadini. La maggioranza - trasversale - che ha approvato questa vergogna dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza". "Solidarietà ai magistrati che respingono i ricorsi dei carcerati: è legittima difesa di fronte alle minacce di uno stato che con gli svuota-carceri si è macchiato di provvedimenti pericolosi e incivili, che oltre a liberare criminali, li risarciscono pure, a spese pubbliche. E intanto 7,4 milioni di pensionati vivono in semi-povertà, come riportato ieri da Cer-Cupla". "Il dramma di quei pensionati pesa sulle coscienze di Renzi e di Alfano". Antigone: il Sindaco Bitonci non sa cosa siano i diritti umani… "Il Sindaco di Padova ignora la legge. Non sa cosa siano i diritti umani. Non conosce le norme e le sentenze della Corte Europea dei diritti umani". Sono le prime parole di Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone, in seguito ad uno dei primi casi di applicazione del decreto che prevedeva un rimedio compensativo per i detenuti che avessero subito un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. "L’Italia ha per anni maltrattato i propri detenuti - prosegue Gonnella. Il risarcimento è d’obbligo perché lo prevede la legge e perché, suo malgrado, siamo in Europa. Solo il difensore civico di Antigone ha già presentato centinaia di ricorsi. Questa è la prima condanna. Stia tranquillo Bitonci che ne arriveranno altre". "D’altronde le colpe hanno nomi precisi molti dei quali leghisti: una menzione la meritano Bossi, la cui legge sull’immigrazione ha riempito le carceri; Castelli, che negli anni in cui era Ministro ha lasciato il sistema penitenziario nel degrado totale. La Corte dei Conti dovrebbe rivalersi su di loro" conclude il presidente di Antigone. Giustizia: Luigi De Magistris, un ex magistrato giustizialista… che non accetta le sentenze di Cesare Martinetti La Stampa, 26 settembre 2014 Le parole resistere o resistenza vanno maneggiate con molta cura. Ora, che il sindaco di Napoli parli di "resistenza" e di "lotta per la giustizia" per difendere la sua poltrona, è inaccettabile. È stato eletto sulla spinta di una popolarità ottenuta su inchieste costruite su abusi che sono stati accertati dal tribunale. È stato condannato a un anno e tre mesi. Le richieste di dimissioni sono più che legittime. Si potrà discutere all’infinito sull’effettiva decadenza legale della sua carica. Egli ha naturalmente diritto al giudizio di appello e alla sospensione della pena. Potrà fare tutti i ricorsi che vuole. Ma questo riguarda il suo destino personale. Dal punto di vista dell’interesse generale questa vicenda richiede invece una soluzione immediata. Per buon gusto, per estetica, per coerenza. Basta con capziosità e furbizie giuridiche. Abbiamo trascorso anni - non i migliori - in balia di leggi ad personam e conflitti di interesse che hanno cambiato il discorso pubblico del Paese. In Italia è ora in corso un tentativo di riforma importante, difficile, contraddittorio e naturalmente discutibile. Ma che il cambio di stagione sia completo, anche nel rapporto tra politica e giustizia. Luigi De Magistris è uno di quei personaggi la cui popolarità si deve a una distorsione tutta italiana che nasce dalla sensazione diffusa di vivere in un Paese con un tasso di ingiustizia insanabile dalla naturale fisiologia istituzionale e che richiede l’intervento di attori eccezionali che rompano la crosta dell’impunità. De Magistris questo ha fatto da pm a Catanzaro mettendo sotto inchiesta mezzo mondo politico grazie ad intercettazioni illegali ottenute con la consulenza dell’informatico Gioacchino Genchi. Una vicenda scoperta e denunciata da Guido Ruotolo su La Stampa nell’ottobre del 2007. Milioni di tabulati telefonici acquisiti illegalmente. Tra questi quelli di politici di primo piano come Prodi, Rutelli, Gozi, Pittella, Mastella. Indagini poi finite in calderoni ingestibili e inconcludenti, che però hanno lasciato tracce pesanti nelle vite e nei destini delle persone ed hanno cambiato il corso della politica. Qual è il punto? Che chi - come De Magistris - si è legittimato come giustiziere grazie alla toga di magistrato ed è poi transitato in politica beneficiando di un consenso fondato su quell’immagine, nel momento in cui un tribunale lo condanna non può proclamare la sua "resistenza" in nome della "giustizia" perché così facendo genera altra ingiustizia. Quando il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli fece il suo appello alla "resistenza" intendeva difendere la stagione di Mani Pulite, non il suo ruolo o disconoscere una sentenza del tribunale. Apriva un conflitto con la politica, ma questa è un’altra cosa. Le sentenze dei tribunali non valgono a comando. Alla politica oggi è chiesto un vero cambio: se in Emilia anche la semplice attesa di un’inchiesta cambia i connotati delle primarie, a Napoli un condannato per abuso d’ufficio non può fare il sindaco. Giustizia: De Magistris è innocente, ma deve dimettersi di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2014 Dopo la condanna in primo grado per abuso d’ufficio a 1 anno e 3 mesi, Luigi De Magistris deve lasciare la carica di sindaco di Napoli. Perché è giusto così e perché la legge Severino stabilisce la sospensione senza possibilità di scappatoie (che sarebbe anche poco decoroso imboccare, magari in attesa che il prefetto lo iberni fino all’eventuale assoluzione d’appello). Sono decine i consiglieri regionali, provinciali e comunali sospesi o rimossi per una condanna in primo grado o per una misura cautelare. E la legge è uguale per tutti, come De Magistris ben sa, avendo fatto della Costituzione il faro della sua vita professionale, prima da pm e poi da sindaco. Ciò premesso, parliamo del processo che ha originato la sentenza dell’altro ieri, di cui siamo ansiosi come non mai di leggere le motivazioni. Chi conosce i fatti alla base del processo a De Magistris e al suo consulente tecnico Gioacchino Genchi ai tempi dell’inchiesta "Why Not" a Catanzaro, poi scippata da una manovra di palazzo, non può che meravigliarsi per la condanna dei due imputati e pensare a un tragicomico errore. Purtroppo, come sempre, i fatti li conoscono in pochi, men che meno chi ne scrive. Sui giornali si leggono ricostruzioni fantascientifiche: La Stampa vaneggia addirittura di "intercettazioni illegali", "a strascico" e di un "elenco sterminato" di galantuomini spiati da Genchi con un "metodo" che sarebbe stato bocciato dalla sentenza. Balle. Il processo non riguardava l’archivio "Genchi" (perfettamente lecito: il consulente riceveva tabulati e intercettazioni da decine di procure e tribunali per "incrociarli", dare un senso ai legami che ne emergevano e smascherare autori di stragi, omicidi e altri gravissimi delitti), né fantomatiche "intercettazioni". Ma soltanto tabulati telefonici: cioè elenchi di numeri di utenze a contatto - in entrata e in uscita - con i telefoni degli indagati. Nemmeno una parola sul contenuto (che si ricava dalle intercettazioni). Nel 2007, su mandato del pm De Magistris, Genchi acquisì dalle compagnie telefoniche i dati su centinaia di tabulati, incappando - ma questo lo si scoprì solo alla fine - an - che in quelli di cellulari in uso, secondo l’accusa, a 8 parlamentari (Prodi, Mastella, Rutelli, Pisanu, Gozi, Minniti, Gentile, Pittelli). Di qui l’accusa di averli acquisiti senz’avere prima chiesto al Parlamento il permesso di usarli, violando la legge Boato e l’immunità dei suddetti. Un ingenuo domanderà: come fai a sapere che quel numero telefonico è di un onorevole? Prima acquisisci i dati dalla compagnia poi, se scopri che l’intestatario è un eletto, chiedi alle Camere il permesso di usarlo. I giudici di Roma però sono medium, o guidati dallo Spirito Santo: appena leggono un numero, intuiscono subito che è di un parlamentare. Ergo non si spiegano perché De Magistris e Genchi chiedessero a Tim e Vodafone di chi fosse questo o quel numero: dovevano saperlo prima, per scienza infusa. Purtroppo De Magistris e Genchi sono sprovvisti di virtù paranormali. E rispondono di abuso d’ufficio. Questo fra l’altro non è più reato dal 1997, salvo che produca un "danno ingiusto" o un "ingiusto vantaggio patrimoniale". E quale sarebbe il danno patito dagli 8 politici? La "conoscibilità di dati esterni di traffico relativi alle loro comunicazioni". Cioè: c’era la possibilità che si sapesse con chi telefonavano. Come se le frequentazioni con personaggi poco limpidi fossero colpa non di chi le intrattiene, ma degli inquirenti che scoprono, peraltro in un’indagine segreta. C’è pure un problema di competenza, visto che sui reati dei pm di Catanzaro è competente la Procura di Salerno, non di Roma. Però decise di occuparsene lo stesso il pm Achille Toro, già in contatto con personaggi emersi in Why Not e poi costretto a lasciare la toga perché coinvolto nello scandalo Cricca. Pazienza se, dall’accusa di abuso d’ufficio per i tabulati di Mastella, De Magistris e Genchi erano già stati inquisiti e archiviati a Salerno. Li hanno riprocessati a Roma per lo stesso reato. Ultima perla: fra le vittime del presunto abuso c’era pure Pisanu, il quale però ha detto a verbale che i tabulati che lo riguardano non sono suoi, ma della moglie. Era vittima, ma a sua insaputa. Giustizia: De Magistris condannato e il "Fatto Quotidiano" diventa garantista di Piero Sansonetti Il Garantista, 26 settembre 2014 Da ieri è un po’ cambiato il panorama dell’editoria italiana. Il Fatto Quotidiano ha cambiato radicalmente la sua linea politica abbandonando il sostegno alla magistratura e schierandosi in modo aperto e coraggioso a difesa dalla classe politica colpita dai soprusi dei giudici. Il casus belli che ha determinato la svolta (non si sa ancora se condivisa da Travaglio o se realizzata in rivolta contro Travaglio...) è stato la condanna per abuso d’ufficio di Luigi De Magistris, ex pm super moralizzatore e attuale sindaco di Napoli. La condanna è stata decisa ieri l’altro dal tribunale che ha respinto la richiesta di assoluzione avanzata dal Pm. Il reato per il quale sono stati inflitti a De Magistris un anno e tre mesi di prigione è lo stesso per il quale qualche tempo fa fu condannato il presidente della Regione Calabria Beppe Scopelliti. Ai tempi della condanna di Scopelliti però il Fatto quotidiano era ancora sulla vecchia linea legalitaria e travagliesca, e allora chiese, indignato, le dimissioni immediate. E chiese anche l’applicazione della legge Severino, la quale giudica ininfluente il fatto che la Costituzione consideri innocente chiunque non abbia ricevuto una condanna definitiva. De Magistris è stato condannato per aver ordinato decine di intercettazioni telefoniche illegali, e di screening sui tabulati di cellulari vari, tra i quali molti di deputati e persino quello del presidente del Consiglio, Prodi. De Magistris inquisì centinaia di persone, tra le quali il ministro della Giustizia, provocando la crisi di governo e la fine di Prodi (e aprendo la strada al ritorno di Berlusconi). Ieri, nell’articolo nel quale, sul Garantista davamo conto della clamorosa condanna di De Magistris, erroneamente ci dicevamo certi che II Fatto non lo avrebbe perdonato e avrebbe preteso le sue dimissioni immediate e il suo ritiro dall’attività politica. Come aveva fatto fino a poche ore prima per cose molto meno gravi: gli avvisi di garanzia per "spese pazze" (poi rientrato) per un paio di candidati alle primarie emiliane del Pd. E invece, colpo di scena, Il Fatto ci ha scavalcato a sinistra e si è mostrato ancor più garantista di noi. Giù le mani da De Magistris. Forse - osiamo dire - un po’ troppo garantista. Perché si è spinto fino all’eccesso di nascondere la notizia, non pubblicandola in prima pagina (sebbene fosse chiaramente la principale notizia della giornata politica) ma relegandola a pagina 9, in un articolo nel quale si parlava con molta dolcezza di De Magistris (e questo secondo noi è giusto, perché un imputato, il più delle volte, non è colpevole ma è vittima) e soprattutto si scatenava la furia contro i cittadini che furono indagati inutilmente da De Magistris con l’uso illegale delle intercettazioni e furono poi del tutto scagionati e assolti. Per "Il Fatto", De Magistris (condannato) resta innocente fino a prova contraria, e i suoi ex imputati (assolti dopo che la loro vita e le loro carriere erano state rovinate) restano colpevoli comunque. Ecco, diciamo che l’articolo non era proprio "garantista" ma non si può pretendere troppo a poche ore da una svolta di linea politica così drastica... Beh, non c’è molto da aggiungere. E solo la prova che la libertà di stampa è ancora una merce molto molto rara, in Italia. Detto ciò, noi restiamo convinti delle nostre idee e speriamo che nessuno chieda le dimissioni di De Magistris, che è stato eletto coi voti degli elettori, e ne ha raccolti tantissimi. La Costituzione dovrebbe davvero valere per tutti, anche per chi magari la disprezza, e la legge Severino speriamo che sia cancellata al più presto, perché è un po’ un insulto alla stato di diritto. Emilia Romagna: oggi al "Festival del diritto" storie e esperienze dei garanti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 26 settembre 2014 "Partecipazione/esclusione" sono i due concetti opposti eppure strettamente collegati, a cui è dedicata l’edizione 2014 del Festival del Diritto di Piacenza. Giunto alla settima edizione, questo festival prosegue nel fare dell’esperienza della partecipazione il suo tratto distintivo, sviluppando un programma partecipato con il coinvolgimento di scuole e associazioni di volontariato. Il 26 settembre, alle 9.30, si svolgerà la tavola rotonda dal titolo "Il Garante dei diritti nei luoghi di reclusione. Storie, esperienze e riflessioni in Emilia-Romagna": un’occasione di confronto dedicato alla narrazione dell’esperienza dei Garanti di questa regione impegnati nell’ambito della tutela dei diritti dei detenuti. Si tratterà, inoltre, di avanzare proposte e suggerimenti per avvicinare la città reclusa alla città libera, favorendo reali processi di inclusione. Desi Bruno, Garante della Regione Emilia-Romagna, coordinerà il dibattito tra i Garanti dei detenuti presenti a livello territoriale: Roberto Cavalieri di Parma, Alberto Gromi di Piacenza e Marcello Marighelli di Ferrara. L’evento è stato accreditato dall’ordine forense di Piacenza. Sempre venerdì 26 settembre, si svolgeranno altre due iniziative. La prima, alle 11, ha per titolo "Contro l’esclusione: la musica e lo spirito", con la partecipazione di Pietro Buffa, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, e Franco Mussida, musicista e artista visivo. La seconda, alle 15.00, - "La pena partecipata: crescere nel confronto. Esperienze d’incontro tra scuole, città e carcere" - è organizzata dall’associazione onlus Verso Itaca. Napoli: carcere di Poggioreale, è qui il lager.. i racconti choc dei malati di Claudia Sparavigna Roma, 26 settembre 2014 Il padiglione San Paolo, destinato ai detenuti affetti da gravi patologie, finisce nella bufera. Pochi giorni fa fece scalpore il tragico caso di Luigi Moscato. All’interno del carcere di Poggioreale c’è un padiglione speciale, diverso dagli altri. È il padiglione San Paolo, il Centro Diagnostico Terapeutico, l’ospedale del carcere. È qui che, all’interno delle celle, si trovano i detenuti ammalati. Ogni cella ne ospita tre o quattro, con problemi e patologie differenti. Le storie che si sviluppano all’interno di questo padiglione del carcere di Poggioreale sono prepotentemente balzate agli onori della cronaca negli ultimi anni. Molte persone che sono uscite da Poggioreale hanno denunciato l’inefficienza di questo padiglione in cui tutte le malattie vengono curate con una sola pillola bianca, soprannominata dai detenuti "la pillola di padre Pio". Negli ultimi giorni, sono venute alla luce altre situazioni drammatiche e le ha raccontate Luigi Moscato, il detenuto ammalato di cancro ai polmoni che, dopo peripezie, manifestazioni e appelli è riuscito a ottenere gli arresti domiciliari per poter curare il suo male. "Luigi mi ha raccontato cose agghiaccianti -spiega Pietro loia, presidente dell’associazione Ex Don che è andato a trovare Luigi Moscato ai domiciliari - di quando era al padiglione San Paolo. Dice che le celle puzzavano di sangue e sporcizia perché gli ammalati non riescono a fare le pulizie e nessuno pulisce al posto loro. C’è gente in condizioni psicologiche molto precarie, Luigi dice che un uomo di colore ha tentato di tagliarsi la gola davanti ai suoi occhi per la disperazione. I tempi delle botte in carcere sono finiti, ma i detenuti vengono trattati ancora come bestie". Anche Lucia Buccino, moglie di Luigi Moscato, fa denunce di non poco conto: "Quando mio marito è uscito da Poggioreale -racconta la donna - sembrava morto. Aveva perso dieci chili. Aveva preso la bronchite perché, a causa della malattia, sudava ma non aveva la forza di cambiarsi la maglia da solo. Nessuno lo aiutava, non c’era assistenza. Era ammalato e non gli davano da mangiare. Una volta gli hanno dato delle fette biscottate ma dal pacchetto sono uscite le formiche". Luigi, nonostante il cancro ai polmoni, ancora non ha avuto l’autorizzazione del giudice ad uscire di casa così da potersi sottoporre ai cicli di chemioterapia: "Non mi hanno fatto stare con lui nemmeno quando ha fatto la prima chemio - conclude Lucia - me lo hanno fatto vedere solo dopo 15 giorni dal ricovero. Io non ero nessuno, hanno deciso loro della vita di mio marito. Chi sbaglia deve pagare, ma deve essere trattato in maniera umana, non da animale". La scorsa settimana, proprio per portare alla pubblica attenzione il caso di Luigi Moscato, loia, i Radicali italiani e l’onorevole Ronghi avevano organizzato un presidio di protesta davanti all’ingresso del carcere di Poggioreale. In quell’occasione la moglie di Moscato si era detta pronta a un gesto estremo se la situazione non si fosse sbloccata. Rimini: interrogazione di Arlotti (Pd) al ministro sulla situazione del carcere dei Casetti Tm News, 26 settembre 2014 Al Ministro della giustizia. Per sapere - premesso che: il 24 maggio 2013 il firmatario del presente atto ha visitato la casa circondariale di Rimini e incontrato l’allora direttore della struttura penitenziaria, Palma Mercurio; in seguito alla visita l’interrogante aveva presentato una interrogazione a risposta scritta 4-00627, con sollecito in data 4 giugno 2013, tuttora senza risposta; nell’istituto penitenziario di Rimini sono reclusi ad oggi 120 detenuti di cui il 65 per cento stranieri; il personale di polizia penitenziaria secondo le previsioni del decreto ministeriale del marzo 2013 risulterà sotto organico rispettivamente di 7 unità nel ruolo agenti/assistenti, nel ruolo dei sovrintendenti di 9 unità e nel ruolo degli ispettori di 7 unità, poiché sono presenti 100 agenti/assistenti (personale amministrato) rispetto ai previsti 107, nel ruolo dei sovrintendenti 7 rispetto ai 16 previsti, nel ruolo ispettori 9 rispetto ai 16 previsti, oltre al personale distaccato in altra sede che vede 5 agenti/assistenti e 1 ispettore. I numeri non tengono però conto della struttura, che logisticamente assorbe più personale di quanto preveda il predetto decreto ministeriale essendo suddivisa in numerose sezioni che richiedono un adeguato impiego di personale rispetto ad istituti con analogo numero di detenuti ma con un numero inferiore di sezioni; la casa circondariale di Rimini si trova in un territorio a vocazione turistica, caratterizzato da un’evidente discrasia numerica tra la popolazione residente (330.000 abitanti) e quella effettivamente presente, con 15 milioni di presenze registrate e con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità; tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità, attirando nel territorio riminese un maggior numero di soggetti dediti ad attività criminose; nel rispondere alla interrogazione a risposta scritta n. 4-04478 già il Viceministro dell’interno ha riconosciuto l’esigenza di servizi di ordine e sicurezza pubblica in aggiunta a quelli ordinari a Rimini e nelle località turistiche della provincia. Nei mesi estivi il numero di ingressi alla casa circondariale di Rimini aumenta sensibilmente: quest’anno nei soli mesi di luglio e agosto si sono registrati più di 120 ingressi e altrettante scarcerazioni, con un conseguente aumento di traduzioni verso il tribunale di Rimini; aumentano gli ingressi di soggetti psichiatrici, spesso dovuti all’uso di nuove droghe chimiche, a fronte di una diminuzione delle ore del servizio interno di psichiatria, mentre il servizio medico è attivo dalle ore 8 alle ore 22 e nelle ore notturne si è spesso costretti a ricorrere all’intervento del 118 o alla guardia medica, con i conseguenti rischi in termini di sicurezza in caso si debba approntare una scorta con il personale a disposizione nelle ore notturne; anche alla luce di quanto appena esposto, il sindacato Cgil ha indetto nei giorni scorsi lo stato di agitazione degli agenti in servizio al carcere di Rimini, lamentando la carenza di organico a fronte del forte incremento del numero di ingressi, delle scarcerazioni e delle udienze. Se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre la popolazione detenuta nel carcere di Rimini entro la capienza regolamentare, così da garantire condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. Se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, attingendo anche alle nuove assunzioni previste, del personale amministrativo e degli educatori; se non ritenga indispensabile inserire nella previsione di rinforzi alle dotazioni delle forze dell’ordine durante il periodo estivo nel territorio riminese, anche il rinforzo estivo del personale di polizia penitenziaria; se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurato l’assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza; se si intenda chiudere al più presto la prima sezione assumendo iniziative per lo stanziamento a bilancio delle risorse necessarie alla sua ristrutturazione e alla programmata attività di recupero; quando verrà ristrutturata e riaperta la 2a sezione, viste la già avvenuta approvazione e il finanziamento del progetto. Nuoro: Socialismo Diritti Riforme; anche a Badu e Carros a rischio attività didattica Ctp Ristretti Orizzonti, 26 settembre 2014 "Un organico ridotto all’osso, 9 insegnanti per circa 300 scrutinati all’anno, non può più garantire un’adeguata attività didattica del Centro Territoriale Permanente di Nuoro che opera stabilmente anche nelle strutture detentive di Badu e Carros, Mamone, Macomer. Occorre un immediato intervento dei vertici istituzionali provinciali e regionali per dare promuovere l’educazione degli adulti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che "nonostante la Direzione della Casa Circondariale di Nuoro abbia indicato da poco meno di due mesi le richieste di poter frequentare le lezioni da parte dei ristretti, circa una cinquantina, non è stato possibile avviare la scuola". "Le disposizioni statali riguardanti l’educazione permanente, secondo quanto stabilito dalla più recente normativa, tendono - sottolinea Caligaris - a valorizzare i Ctp che, addirittura proprio a partire dall’anno scolastico appena avviato, devono assumere il ruolo di Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti. Un’organizzazione cioè con personalità giuridica e autonomia, dotata di dirigenza, che fornisce un servizio nel territorio e attua la formazione permanente anche nelle strutture penitenziarie non solo con corsi di primo livello per il conseguimento della terza media e di alfabetizzazione della lingua italiana ma anche per il raggiungimento del diploma con la collaborazione degli Istituti Tecnici e Professionali". "È dunque indispensabile innanzitutto incrementare l’organico dei docenti e quindi avviate le procedure per attivare il Cpia. Risulterebbe infatti assurdo che un’istituzione scolastica statale, con un proprio assetto didattico e organizzativo, non potesse operare per gravi carenze nell’organico. Inqualificabile inoltre il mancato rispetto del diritto allo studio che per i cittadini privati della libertà significa acquisizione di strumenti culturali, emancipazione e opportunità per cambiare il corso di un’esistenza - conclude la presidente di Sdr - in cui purtroppo l’ambiente umano e sociale hanno prodotto effetti negativi. Una parentesi rieducativa formidabile, attualmente garantita dal Ctp, prima di riassaporare appieno la libertà e conservarla". Airola (Bn): le carente nell’assistenza psicologica ai detenuti dell’Ipm verso la soluzione www.ntr24.tv, 26 settembre 2014 La condizione dei detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Airola è stata oggetto di un’audizione in Commissione Trasparenza, in relazione alla paventata interruzione del servizio di assistenza degli specialisti della branca psicologia segnalato nel corso del mese di agosto. Ad intervenire all’audizione convocata dalla presidente Giulia Abbate (Pd), la dirigente del Centro Regionale di Giustizia Minorile della Campania, Bruna Leonardi, ed il manager della Asl di Benevento, Michele Rossi. La cessazione dei contratti degli specialisti operanti ad Airola dall’inizio dell’estate ha evidenziato una criticità del sistema di assistenza, assicurato dalla Asl attraverso la utilizzazione di specialisti ambulatoriali operanti sul territorio, sebbene per un numero di ore dichiaratamente insufficiente per le esigenze della struttura da parte della struttura del Ministero della Giustizia rispetto ad analogo servizio assicurato ai ristretti della struttura di Nisida. L’urgenza di un intervento risolutivo è stato sollecitato dal dirigente Leonardi, soprattutto con riferimento al supporto necessario ai giovani detenuti, in relazione ad episodi di autolesionismo che si sono verificati e che hanno aumentato l’attenzione da parte degli organi di Sorveglianza della Magistratura e del Ministero. La presidente Abbate, preso atto della circostanziata relazione del rappresentante del Ministero della Giustizia ha auspicato un risolutivo intervento della ASL, soprattutto con la finalità di assicurare un supporto specialistico qualificato e con particolare esperienza nel settore della giustizia minorile. "Nel corso delle visite ispettive che la Commissione ha svolto negli Istituti penali per la verifica dei livelli assistenziali assicurati dal servizio sanitario regionale - ha dichiarato Giulia Abbat - era già emersa la situazione degli istituti minorili, cui è necessaria una attenzione particolare da parte della ASL che è già intervenuta, in via emergenziale e provvisoria, nel periodo estivo, assicurando livelli di assistenza necessari. È importante, però, che ci sia uno sforzo maggiore, teso a dare stabilità al servizio di assistenza specialistica dell’Istituto di Airola, così come dei tanti settori collegati alla giustizia minorile in genere". Il direttore generale dell’Asl di Benevento, Michele Rossi, ha dichiarato che sono allo studio interventi a breve, dopo che la situazione è stata attentamente monitorata soprattutto in funzione delle effettive attività necessarie per l’assistenza della struttura di Airola. "Le criticità emerse sono ben note all’Azienda - ha dichiarato Rossi - che, finora, ha potuto agire con interventi ed applicazione provvisori di specialisti psicologi. Il blocco dei turn over mette in seria difficoltà le Asl; tuttavia, credo ci siano le condizioni per una soluzione che risponda non solo ai bisogni dell’Ipm di Airola, ma a quelli dell’assistenza in genere". Siena: detenuti-giornalisti realizzano foglio informazione, sarà distribuito con La Nazione Ansa, 26 settembre 2014 Detenuti giornalisti a Siena. È stato presentato questa mattina nella casa circondariale di Santo Spirito il progetto "Spirito in libertà", il giornale realizzato dai detenuti in collaborazione con i giornalisti dell’edizione locale de La Nazione. "Il progetto nasce per merito dei docenti dell’istituto Ctp di Poggibonsi - ha spiegato il direttore della casa circondariale Sergio La Montagna - che hanno stimolato i detenuti ad esprimere emozioni e ricordi e poi dall’entusiasmo con cui i giornalisti de La Nazione hanno accolto il mio invito a tenere un corso di giornalismo e fotografia all’interno del carcere". Un plauso all’iniziativa è arrivato dal prefetto di Siena Renato Saccone che ha definito "indispensabile la capacità di comunicare" e "avere gli strumenti per farlo. Per superare il problema del dopo detenzione è importante costruire strumenti di comunicazione come questi". "È un lavoro fatto con il cuore, la passione e la volontà di raccontare la vita dentro il carcere" ha spiegato Tommaso Strambi, caposervizio dell’edizione locale de La Nazione. Il numero zero del giornale sarà distribuito gratuitamente nelle edicole giovedì 2 ottobre come allegato al quotidiano. Bolzano: nel carcere di via Dante concerto per i detenuti… e per i liberi cittadini Ansa, 26 settembre 2014 Nel carcere di via Dante concerto per i detenuti (e per i liberi cittadini sui prati del Talvera) domenica 28 settembre alle ore 15. È alla quarta edizione il progetto "Musica oltre le sbarre". Anche quest’anno, visto il successo e l’interesse dimostrato nelle scorse edizioni, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bolzano offre ai detenuti del carcere della Città un concerto di musica leggera; i musicisti del gruppo "The Lads" si esibiranno in concerto domenica 28 settembre. Questa iniziativa aiuta ad avvicinare la Città alla popolazione carceraria e crea una sorta di legame con chi vive "al di là del muro". Quale miglior veicolo dunque se non la musica per superare almeno idealmente barriere e steccati? Tanto che chi si troverà a passeggiare sui prati del Talvera vicino al carcere dalle ore 15 di domenica 28, avrà la possibilità di ascoltare il repertorio della band "The Lads", band formata da sei giovani ragazzi, nata quasi per caso da una finale di Uplod e che recentemente si é esibita al festival degli artisti di strada Busk. La loro musica spazia tra il rock acustico e il folk rock. Radio: questa mattina "speciale" Radio3Mondo su realtà penitenziarie in Italia e all’estero Agi, 26 settembre 2014 Il Wall Street Journal ha pubblicato di recente gli ultimi dati sul sistema detentivo americano: per ogni 140.000 dollari investiti in rieducazione il governo ne risparmia 1 milione. Meno recidività, meno detenzione meno spese per i contribuenti: un mero criterio economico potrebbe invertire la tendenza nel sistema carcerario e ispirare altre strategie anche in Europa e in Italia? Ne parleranno nello speciale di Radio3Mondo, in onda venerdì 26 settembre alle 11.00 con Rita Bernardini, segretaria dei Radicali italiani, Anna Maria Giordano e Roberto Zichittella. Si guarderà alla situazione di altri paesi europei, con Angela Lamboglia, giornalista di Euractiv.it, in particolare all’esperienza inglese con la testimonianza dell’ex cappellano cattolico del carcere di Londra, don Carmelo Di Giovanni. Non mancheranno le voci di detenuti che hanno partecipato al pellegrinaggio Assisi-Roma e dell’ex detenuto Gaetano Di Vaio, autore di un documentario sulla condizione delle donne mogli e compagne di carcerati. Infine, sarà ospite Gianni Francioni, tra i protagonisti della nuova trasmissione di Radio3, in onda da sabato 27 alle 18.00, "Dei delitti e delle pene", programma che celebra il 250 o anniversario del libro di Cesare Beccaria. Conducono Anna Maria Giordano e Roberto Zichittella. Radio: riprende "Jailhouse Rock"… suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni Ristretti Orizzonti, 26 settembre 2014 Riprende la trasmissione dalle carceri curata dall’associazione Antigone. Nella prima puntata della stagione intervengono Furio Colombo, Nicola Di Bari e Davide Van De Sfroos. I detenuti elaborano e conducono il giornale radio dalle carceri. Jailhouse Rock è una trasmissione radiofonica musicale e di informazione ideata, curata e condotta da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (Antigone). È al via la quinta stagione del programma che, sullo sfondo di tanta grande musica e delle storie esemplari di musicisti finiti dietro le sbarre, ha saputo raccontarci giorno per giorno la vita delle nostre prigioni. Tante le interviste politiche e musicali che continueranno ad aprire le loro voci ai microfoni di Jailhouse Rock. All’interno della trasmissione i detenuti di Roma Rebibbia e di Milano Bollate curano ogni settimana il Grc (Giornale Radio dal Carcere), il Grc il primo esempio di informazione radiofonica che, senza filtri né censure, arriva direttamente dalle prigioni. Ancora da dentro il carcere di Bollate arriva la collaborazione di una grande band di musicisti, che ogni settimana partecipa a Jailhouse Rock con una cover degli artisti cui la puntata è dedicata. Ogni puntata racconta infatti la storia musicale e umana di un musicista finito in galera. Si parte da Jim Morrison. Il primo marzo del 1969, durante un concerto a Miami nel quale Jim Morrison sale già ubriaco sul palco, fa il gesto di sbottonarsi i pantaloni. Ancora non è chiaro se abbia proseguito mostrando il contenuto o si sia fermato prima. Le testimonianze divergono. Fatto sta che viene accusato di oltraggio al pudore nonché di turpiloquio e viene arrestato. Per queste contestazioni tutto sommato ben poco rilevanti la giustizia americana lo condannò a sei mesi di carcere. Non li scontò, probabilmente si trasferì a Parigi anche per questo. Qui morì dopo avere proposto appello contro la sentenza. Per quarantun anni è rimasto pendente l’ordine di arresto. Fino a quando per iniziativa del Governatore dello Stato della Florida Charlie Crist il 10 dicembre del 2010 gli viene concessa la grazia. Una grazia ormai postuma. Ospiti della prima puntata Furio Colombo (andò a trovare Joan Baez in carcere ed era a casa di Martin Luther Kink quando fu assassinato), Nicola Di Bari e Davide Van De Sfroos. Questi ultimi sono autori di due cover di Morrison. Dalle loro voci il sud e il nord di Italia raccontano l’amore per i Doors. La trasmissione va in onda ogni venerdì dalle 17.00 alle 18.00 in diretta sulla web radio Radio Articolo 1. Potete ascoltare Jailhouse Rock su Radio Popolare, sulle frequenze della Lombardia e di altre radio di Popolare Network, la domenica dalle 16.30 alle 17.30. In onda anche su Controradio (Firenze) il martedì alle 22.30, su Radio Città del Capo (Bologna) il mercoledì alle 20.00, su Radio Flash (Torino) il lunedì alle 20.30, su Radio Popolare Salento la domenica alle 16.30 e su Radio Città Aperta (Roma) il lunedì alle 13.00. Libri: autore "Malerba" parla dal carcere dopo Premio Sciascia "lo dedico a mia madre" Ansa, 26 settembre 2014 "Dedico questo premio a mia madre perché per la prima volta non dovrà vergognarsi di suo figlio". Così, questa mattina Giuseppe Grassonelli, l’ergastolano vincitore insieme al giornalista del Tg5 Carmelo Sardo, del Premio Sciascia-Racalmare nel corso dell’incontro con la stampa e con gli studenti che si è tenuto nel carcere di Sulmona dove, per la prima volta, ha parlato del suo libro autobiografico "Malerba" e della sua condizione di condannato al carcere a vita. Un incontro ricco di contenuti e a tratti drammatico. "Ai giovani dico di non fare nulla che possa determinare la privazione della libertà - ha detto Grassonelli, davanti anche a una folta rappresentanza di detenuti, che come lui, stanno scontando l’ergastolo - perché la libertà è il nostro bene più prezioso. Un detenuto vive, ma non ha un’esistenza. Vive senza la libertà di andare al mare, di uscire la sera per una pizza, di ridere con gli amici, di fare l’amore: la nostra é una vita senza esistenza. Per questo dico che una vita senza esistenza non è degna di essere vissuta". Grassonelli che negli anni 80 era a capo della Stidda di Porto Empedocle (Ag), pur non essendosi mai pentito dei tanti crimini compiuti, ha voluto evidenziare il periodo sociale in cui quei crimini sono stati commessi e il percorso intrapreso in carcere che l’ha portato a chiedere scusa dopo aver conseguito la laurea in Lettere e Filosofia. "Sono stato figlio di una società che era basata sulla violenza, che non riconosceva lo Stato e che si faceva giustizia da sé. Una società che oggi non è più la stessa così come Giuseppe Grassonelli non è più lo stesso. Non posso restituire la vita a chi l’ho tolta, ma quello che ho fatto, il male che ho fatto lo sto pagando con la mia vita, con la privazione della mia libertà". Alla domanda di come un ergastolano possa dare un senso al proprio futuro, Grassonelli ha risposto: "Bisogna evitare la ripetitività della vita detentiva e trasformarla in una sorta di studio di se stessi. Bisogna rinunciare alle consuetudini che portano alla morte psicologica di una persona. Ma attenzione: cambiamento non significa gettare via i propri valori; significa meditare e riflettere perché non tutto in quello che si fa e che si è fatto é da buttare via". Il detenuto siciliano ha poi tenuto ad evidenziare l’evoluzione e il cambiamento in atto negli ultimi anni nelle carceri italiane. "Sono orgoglioso dei miei compagni che come me hanno deciso di studiare, che si danno da fare per riscattarsi attraverso la conoscenza. Ma tanto merito va riconosciuto a chi dirige questo carcere. Una persona veramente in gamba che ci ha mostrato un volto diverso dello Stato. Uno Stato che finalmente ci sorride che ci tratta come esseri umani. Se 22 anni fa avessi conosciuto una persona del genere, probabilmente mi sarei pentito". Commentando le polemiche che hanno accompagnato l’assegnazione del premio Sciascia a un libro scritto da un ergastolano che si è macchiato di tanti crimini di mafia, Grassonelli ha replicato: "La mia storia mi ha insegnato a rispettare tutte le sentenze: sia quella con che mi ha condannato all’ergastolo, sia quella con cui una giuria popolare ha voluto la mia vittoria al premio letterario. Vincere il premio intitolato a Leonardo Sciascia è stata per me una cosa troppo grande. Non solo ho letto i suoi libri ma li ho anche studiati e il messaggio che emerge dai suoi scritti é un invito al sapere, al riscatto sociale attraverso la conoscenza. E il percorso fatto in carcere é strettamente legato all’acquisizione di un sapere e di un’apertura mentale che prima non avevo". Immigrazione: Commissione Diritti Umani "nei Cie non è garantita la dignità dell’uomo" Avvenire, 26 settembre 2014 La Commissione Diritti Umani di Palazzo Madama pubblica il secondo Dossier sui Centri di identificazione ed espulsione: sono strutture sottoutilizzate e poco efficienti. I Centri di identificazione e di espulsione sono tornati sotto la lente di ingrandimento della Commissione Diritti umani del Senato, che ha pubblicato un dossier sul suo sito. Attraverso audizioni e sopralluoghi nei centri di identificazione ed espulsione di Bari, Roma, Gradisca d’Isonzo, Trapani e Torino, "sono emerse numerose e profonde incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere, e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali" e trattenimenti "inadeguati" rispetto "alla tutela della dignità e dei diritti degli interessati". La Commissione propone al governo misure per assicurare alle persone sottoposte al trattenimento il rispetto delle garanzie nazionali e internazionali. Ma anche una serie di interventi sulle procedure che regolano il sistema con l’obiettivo di rendere il ricorso al trattenimento una misura estrema, del tutto residuale e finalizzata esclusivamente al rimpatrio, e a ridurre al minimo i tempi di permanenza in quelle strutture. La Commissione, si legge nel rapporto, ha incontrato persone che, "in presenza di un titolo di trattenimento amministrativo volto all’identificazione, all’espulsione o al rimpatrio, sono state private della libertà per prolungati periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa o formativa, in condizioni di vita precarie da un punto di vista materiale e umano". E ancora: "Il trascorrere di un "tempo vuoto" nei centri è una delle più forti criticità. La fatiscenza degli alloggi, la carenza di spazi e attività ricreative, l’insufficienza dei servizi di mediazione culturale e legale, la scarsa chiarezza nel comunicare ai trattenuti il regolamento del centro sono elementi riscontrati in tutte le strutture visitate, con poche eccezioni". Tutti i centri, viene evidenziato, ospitavano un numero di immigrati ben inferiore alla loro effettiva capienza, perché funzionavano in maniera ridotta per ragioni di sicurezza o perché molti settori erano inagibili oppure danneggiati. "Numerose proteste si sono succedute negli ultimi mesi su tutto il territorio", sottolineano i senatori. La popolazione trattenuta "appare eterogenea da un punto di vista sociale, psicologico, sanitario e giuridico, e difficilmente gestibile in centri chiusi verso l’esterno, strutturalmente afflittivi, spesso inadeguati nei servizi e con scarsi mezzi di gestione". I Cie risultano "sempre più sottoutilizzati in quanto a presenze e sempre meno incisivi in termini di espulsioni e rimpatri". I migranti rimpatriati attraverso i Cie nel 2013 sono lo 0,9% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità che si stima essere presenti in Italia (294.000). Nel 2012, solo l’1,2% del totale degli stranieri senza permesso di soggiorno presenti in Italia è stato rimpatriato dai Cie, cioè 4.015 persone su 326mila irregolari stimati. India: caso maro; Corte Suprema rinvia al 12 dicembre l’udienza sul ruolo di polizia Nia Ansa, 26 settembre 2014 L’Ufficio del Registro (Cancelleria) della Corte Suprema indiana ha disposto un aggiornamento al 12 dicembre di un’udienza legata al ricorso presentato da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Il giudice ha constatato che tre delle quattro parti indiane coinvolte non hanno presentato il loro parere sulla legittimità della polizia Nia ad operare nelle indagini sulla vicenda. Il 28 marzo la Corte Suprema aveva chiesto a quattro parti indiane (ministeri di Interni, Esteri e Giustizia, e polizia investigativa Nia) di esprimersi sull’eccezione presentata dal team del legali dei Fucilieri di Marina italiana sulla legittimità che la stessa Nia continui ad investigare nell’incidente avvenuto al largo delle coste del Kerala in assenza di leggi anti-terrorismo. Durante l’udienza odierna il ministero dell’Interno ha reso noto di aver presentato ieri il suo parere, mentre gli Esteri hanno detto di attendere l’orientamento da parte del ministro. Giustizia e Nia, invece, non si sono espressi. Il magistrato ha quindi concesso agli Esteri altre tre settimane per presentare, se lo desidera, il suo parere, ed ha deciso di ripetere le richieste di parere nel caso di Giustizia e Nia. Ed ha fissato la prossima udienza di fronte alla Cancelleria al 12 dicembre 2014. Questa situazione potrebbe incidere sui tempi dello svolgimento del ricorso dei Fucilieri pendente in Corte Suprema, poiché i giudici attenderanno presumibilmente la prossima udienza della Cancelleria prima di fissare una nuova data del processo. Sottosegretario Rossi: massima attenzione da governo "Ribadisco la massima attenzione da parte del governo e ribadisco come siano già stati compiuti atti per avviare l’arbitrato internazionale. Stiamo valutando le relazioni con il governo indiano prima di percorrere questa iniziativa". Lo sottolinea il Sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi parlando dei Marò nel corso dell’intervento in Aula al Senato durante l’esame del dl missioni. Giappone: pena di morte, c’è un fondo benefico che sostiene le spese legali dei condannati di Marco Zappa www.lettera43.it, 26 settembre 2014 Dieci milioni di yen, poco più di 70 mila euro. È questa la somma stanziata quasi 10 anni fa per istituire un fondo che aiutasse i detenuti del braccio della morte nelle carceri giapponesi a pagarsi le spese necessarie per sostenere un nuovo processo. A nove anni dalla nascita, gli amministratori del Daidoji (questo il nome del fondo) hanno dichiarato che continueranno la loro attività oltre la scadenza prevista, anche se serviranno nuovi finanziamenti. Anche perché nell’impero del Sol levante le esecuzioni continuano. Anzi, si sono fatte sempre più frequenti dall’insediamento del governo di Shinzo Abe. Vero è che la pena capitale è fortemente appoggiata da una larga fetta di opinione pubblica. Istituito nel 2005, il fondo nacque grazie alla donazione di Sachiko Daidoji, madre di un condannato e attivista per i diritti dei detenuti nel braccio della morte e scomparsa a 83 anni nel 2004. Oltre a pagare le spese legali dei condannati che chiedono un nuovo processo, il Daidoji organizza mostre con i lavori dei detenuti per sensibilizzare contro la pena di morte. L’ultima è stata allestita nella galleria Owada, nel centro culturale di Shibuya, a Tokyo. Qui sono esposte le opere collezionate in nove anni di attività. "Quando abbiamo istituito il fondo", ha spiegato Masakuni Ota, uno degli amministratori, "speravamo che la pena di morte sarebbe stata abolita nell’arco di 10 anni. Ma al momento, non vediamo segnali in questo senso e, anzi, è diventato ancora più importante per i condannati mostrarci i loro lavori". Per i detenuti con condanna confermata, ai quali non viene comunicata la data dell’esecuzione, l’arte e la letteratura costituiscono uno dei pochi modi per esprimere la propria creatività o i propri desideri in uno stato di totale reclusione. Lo dimostra il numero di opere raccolte dal fondo Daidoji. Un segno, secondo Ota, "di quanto i detenuti, attraverso i loro lavori, cerchino disperatamente un contatto con la società al di fuori del carcere, un dialogo con gli altri". Mentre in patria la pena di morte è accettata, dall’esterno arrivano pressioni sempre più pesanti per la sua abolizione. Solo il 29 agosto, l’ex ministro della giustizia Sadakazu Tanigaki ha autorizzato l’impiccagione di Mitsuhiro Kobayashi e Tsutomu Takamizawa, entrambi condannati per omicidio plurimo. Sono state rispettivamente l’11esima e la 12esima esecuzione da dicembre 2012, data dall’insediamento del governo Abe. Tanigaki ha definito la scelta "difficile", ma "doverosa", vista l’efferatezza dei crimini dei condannati. Inoltre, in risposta alle critiche delle Ong internazionali, il ministro ha affermato che in Giappone c’è un diffuso consenso sull’utilità della pena di morte. Al momento sono 126 i detenuti in attesa di esecuzione, 85 dei quali hanno fatto ricorso contro la condanna e 25 hanno presentato richiesta di amnistia. Alcune organizzazioni non governative come il Japan Innnocence and Death Penalty Information Center criticano l’intero sistema giuridico che fa troppo affidamento sulle confessioni - spesso estorte con la violenza - dei sospetti. Come nel caso di Iwao Hakamada, un ex pugile detenuto per 45 anni nel braccio della morte, condannato a causa di prove forse fabbricate ad hoc. La richiesta di un nuovo processo è stata accolta ed ora è fuori, in attesa di una nuova sentenza. Pakistan: cristiano accusato di blasfemia ucciso in carcere. I vescovi: "gesto terribile" Ansa, 26 settembre 2014 Il pastore cristiano Zafar Bhatti, in prigione da due anni con l’accusa di blasfemia, è stato ucciso oggi da un poliziotto nel carcere di Rawalpindi, in Pakistan. L’agente ha ucciso Bhatti, in attesa di processo, e ferito un altro uomo, Muhammad Asghar, condannato a morte con la stessa accusa. Lo riferisce l’agenzia vaticana Fides. Bhatti era sotto processo dopo che un leader islamico lo ha accusato nel 2012 di inviare messaggi sms offesivi verso la madre del profeta Maometto. Secondo la famiglia e i suoi avvocati, qualcuno ha cercato di incastrarlo, usando il suo telefono. Come conferma a Fides Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione Nazionale "Giustizi a Pace" dei Vescovi pakistani (Ncjp), nelle ultime settimane Bhatti aveva ricevuto minacce di morte in carcere da detenuti e guardie e aveva avvisato le autorità carcerarie. Bhatti avrebbe dovuto presentarsi davanti a un tribunale di primo grado domani. Come riferito a Fides, gli avvocati dell’Ong Claas ("Center for Legal aid Assistance and Settlement"), che seguivano il caso, erano fiduciosi nel suo rilascio. A nome della Chiesa cattolica, Chaudhry condanna "il gesto terribile" e ricorda a Fides che "vi sono molti altri accusati in carcere, in attesa di processo, innocenti. Sono in pericolo solo perché vittime di accuse di blasfemia, spesso false: il governo deve tutelare la loro vita. Chiediamo che il colpevole venga assicurato alla giustizia". Secondo il "Centro per la ricerca e gli studi sulla sicurezza", think-tank con sede a Islamabad, negli ultimi anni le accuse di blasfemia sono aumentate in modo esponenziale (un caso nel 2001, 80 nel 2011). Il vescovo di Faisalabad, Joseph Ashad, interpellato da Fides, afferma: "La legge di blasfemia legge viene abusata, le vittime sono i più deboli, cristiani e musulmani. Oggi è urgente una correzione per evitarne gli abusi". Egitto: 73 Fratelli musulmani condannati a 15 anni carcere, per attacco a stazione polizia La Presse, 26 settembre 2014 Un tribunale egiziano ha condannato 73 membri dei Fratelli musulmani a 15 anni di prigione, in relazione all’attacco a una stazione di polizia avvenuto un anno fa nella provincia di Kafr-el-Sheik, nella regione del delta del Nilo. Lo riferisce la tv di Stato egiziana, affermando che gli imputati sono stati giudicati colpevoli di violenze, sabotaggio, tentato omicidio, furto di equipaggiamenti per pubblica sicurezza e possesso di armi. Altri nove sostenitori dell’ex presidente Mohammed Morsi, appartenente ai Fratelli musulmani e la cui destituzione ha innescato le violenze, sono stati condannati a otto anni nello stesso processo. In un caso separato, un altro tribunale ha inflitto l’ergastolo e una multa di oltre 2.700 dollari ad Abdullah Barakat, esponente di spicco dei Fratelli musulmani e preside di facoltà all’università islamica per accuse simili. Nello stesso processo altri quattro islamisti sono stati condannati a 10 anni. Egitto: Obama incontra Al Sisi a New York e chiede la liberazione giornalisti arrestati Nova, 26 settembre 2014 Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha incontrato ieri l’omologo egiziano Abdel Fattah Al Sisi a New York. Nel corso dell’incontro, secondo quanto riferisce l’emittente televisiva "al Jazeera", il capo dello stato Usa ha chiesto ad al Sisi la liberazione dei giornalisti detenuti nelle carceri egiziane. Obama ha inoltre espresso "i suoi timori per il cammino politico intrapreso dall’Egitto in particolare per quanto riguarda la questione dei diritti umani". Malawi: l’eccellenza del laboratorio di "Dream" nelle carceri, per curare i malati di Aids www.santegidio.org, 26 settembre 2014 Dal mese di settembre ha preso ufficialmente il via la collaborazione tra il carcere di Blantyre (Chichiri) e il centro Dream di Mandala per la cura dei prigionieri affetti dall’Aids. Come è noto spesso nelle carceri africane le condizioni di vita sono molto difficili, c’è poco cibo, l’igiene lascia a desiderare e il sovraffollamento è un problema cronico. I detenuti sono i più poveri tra i poveri ed è difficile per loro accedere a trattamenti sanitari in particolare nel caso di patologie complesse. C’è un dibattito aperto in Malawi su come migliorare le condizioni di vita dei carcerati e realizzare un sistema di detenzione più umano, dove alla pena non si aggiunge la sofferenza inflitta dalle condizioni di estremo disagio. L’attenzione con la quale uno stato si prende cura dei più deboli, inclusi i carcerati, è la cartina di tornasole di una società che rispetta e tutela tutti i propri cittadini. La comunità di Sant’Egidio del Malawi da sempre lavora per migliorare le condizioni di vita nelle carceri ed è presente con frequenti visite, distribuzione di beni di prima necessità, (come sapone e cibo) e organizzando speciali pranzi di Natale. Ma l’aspetto più importante è soprattutto l’amicizia personale con i detenuti che restituisce la dignità di persona ad ognuno. Da questa amicizia è nata l’idea di fare qualcosa di più per i prigionieri che sono sieropositivi o già in cura con i farmaci antiretrovirali per l’Aids. L’accordo prevede che nel carcere siano eseguiti i prelievi di sangue e inviati al laboratorio di biologia molecolare di Dream per la misurazione dei CD4 e della carica virale. Con il monitoraggio delle cure è da oggi possibile assistere anche i pazienti che vivono in carcere in modo adeguato alle loro necessità. Australia: presto la firma di un accordo per mandare i richiedenti asilo in Cambogia Tm News, 26 settembre 2014 L’Australia ha annunciato la firma di un accordo per mandare i propri richiedenti asilo in Cambogia, una misura fortemente condannata dai gruppi per i diritti umani. Il ministro dell’Immigrazione australiano, Scott Morrison, sarà a Phnom Penh domani per firmare l’intesa, in base alla quale alcuni richiedenti asilo attualmente detenuti da Canberra nei centri al largo delle coste australiane potrebbero essere trasferiti nella nazione del sud-est asiatico. L’accordo viene siglato, mentre il governo australiano ha appena presentato una legge in parlamento per reintrodurre temporaneamente i visti per altri richiedenti asilo detenuti sull’Isola del Natale, territorio australiano nell’Oceano Indiano, o in strutture nell’entroterra.