Lettere fra "uomini ombra" delle carceri di San Gimignano e Padova di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2014 Quasi tutti i giorni, mi sento un uomo ombra e un fantasma. Oggi, invece, mi sono sentito un padre e un nonno perché mi sono venuti a trovare mia figlia e i miei due nipotini Lorenzo e Michael con la loro madre Erika. É stato il primo colloquio che ho fatto nell’area verde del carcere con i miei due nipotini. Prima mi era vietato perché Lorenzo e Michael erano colpevoli di essere nipoti di un nonno detenuto in "Alta Sicurezza". Per qualche ora mi sono sentito sereno e felice a giocare con i miei due nipotini. Mi hanno fatto venire anche il fiatone perché non ci ero più abituato a giocare con i bambini all’aria aperta. (Fonte: diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). Da quando la redazione di "Ristretti Orizzonti" ha lanciato la campagna per "liberalizzare" le telefonate e consentire i colloqui riservati delle persone detenute con i propri famigliari, come già avviene in molti Paesi, molti prigionieri hanno iniziato a scriversi. Come una volta. Fra un carcere a l’altro per raccogliere le firme da inserire nel sito www.ristretti.org. E grazie a questa iniziativa hanno iniziato a scriversi anche gli uomini ombra (come si chiamano fra loro gli ergastolani). Rendo pubblica la lettera di Salvatore dal carcere di Sulmona. Caro Carmelo, ho raccolto tutte le firme della mia sezione e le ho spedite a Ornella Favero nella sede esterna di Ristretti Orizzonti, via Citolo da Perugia, 35, 35138 Padova. Questa iniziativa mi ha fatto venire in mente un episodio di tanti anni fa quando ero detenuto nel carcere di Palermo. Avevo mia moglie incinta. E mentre dietro al bancone la consolavo per darle conforto in maniera affettuosa toccandole la pancia per sentire muoversi il bambino la guardia mi aveva richiamato a stare giù con le mani. E lo aveva fatto ad alta voce ed in maniera brusca, facendo capire chissà che cosa a tutte le altre persone presenti nella sala colloquio. Ci siamo sentiti osservati. E mia moglie era diventata rossa ed anch’io mi ero vergognato (persino per la creatura che doveva nascere) e non ci ho più visto. Alla guardia, gliene ho detto di tutti i colori. E l’ho mandata pure a quel paese. Mi hanno sospeso il colloquio. Poi mi hanno punito con il regime di sorveglianza particolare. E come se non bastasse mi hanno trasferito in un carcere della Sardegna dove per ovvii motivi di distanza e finanziari non ho più visto mia moglie ed il bambino che nel frattempo era nato. Silvio l’ho visto solo quando aveva già compiuto un anno. E tutto per colpa di un gesto affettuoso d’amore scambiato fra poco più che adolescenti in attesa di un bambino. Adesso mio figlio ha appena compiuto venti anni e proprio l’altro giorno gli ho raccontato questo episodio. Ti saluto. E spero che finalmente anche in Italia fanno una legge per stare con la propria famiglia in un ambiente riservato. Salvatore. Giustizia: il Governo non nomina il Capo del Dap, carceri da cinque mesi senza guida di Carmine Gazzanni www.lanotiziagiornale.it, 23 settembre 2014 Niente da fare. Nonostante la storica sentenza della Corte Europea che ci concede solo un anno per metterci in regola sul sovraffollamento delle carceri, pare proprio che l’Italia faccia di tutto per essere sanzionata. Da ben cinque mesi, infatti, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria manca di un direttore. È maggio quando il ministro della Giustizia Andrea Orlando revoca l’incarico a Giovanni Tamburino, un "tecnico" non a caso nominato dal governo di Mario Monti. Cinque mesi in cui nessuno in via Arenula, né tantomeno a Palazzo Chigi, ha pensato all’esigenza di provvedere al vuoto istituzionale. Ma le responsabilità del governo non finiscono mica qui. La legge, infatti, stabilisce che, alla scadenza del mandato, il capo del Dap rimanga in carica altri 90 giorni, durante i quali il governo ha la possibilità o di rinnovare il mandato o di trovare un sostituto. Un sistema concepito appunto per evitare che ci sia un solo giorno di vacatio. E invece niente: in 3 mesi dalla scadenza dell’incarico di Tamburino (marzo 2014) nessuno ha fatto nulla, non provvedendo né ad un’eventuale riconferma né ad una sostituzione. A conti fatti, in totale sono ben 8 i mesi durante i quali il governo Renzi ha preferito dormire sonni profondi. Un letargo che non trova giustificazione, considerando la situazione carceraria italiana. Come detto abbiamo un anno per cercare di risolvere il problema sovraffollamento. La soluzione del problema però è ancora lontana. Gli ultimi dati pubblicati dal ministero, infatti, parlano di 54.252 detenuti a fronte di una capienza di 49.397 unità. Il problema, peraltro, è acuito dal fatto che, dinanzi ad un numero elevato di carcerati, la polizia penitenziaria vive una realtà diametralmente opposta, "condannata" ad un organico ridotto. Anche qui sono i dati a parlare. Secondo l’ultimo rapporto disponibile (2013) riguardante la dotazione organica ed effettiva della Polizia penitenziaria, emerge che dei 12 dirigenti previsti, nessuno è in carica; delle 503 unità di ruoli direttivi (colonnelli, capitani, tenenti) ne mancano all’appello 103. E più si scende di gerarchia e peggio è. Per quanto riguarda ispettori e marescialli tra organico potenziale ed effettivo c’è una distanza di 1.771 unità. Infine, gli agenti semplici: meno tremila rispetto a quanto si dovrebbe. La situazione, insomma, non è delle migliori. Né promette bene per il nostro Paese. Accanto al ricorso-pilota presentato da Mino Torreggiani che è costato, come detto, al nostro Paese la condanna Ue, ce ne sono altri 6.829, tutti depositati tra il 2009 e il 2013 per motivi analoghi. E, secondo quanto denunciato anche dall’associazione Antigone, se il nostro Paese non dovesse risolvere i problemi carcerari entro l’anno, si tratterebbe di una multa da 100milioni. Giustizia: detenuti 41-bis; Cassazione annulla disposizione sui colloqui con figli minorenni www.dirittoegiustizia.it, 23 settembre 2014 Non può essere aggirata in alcun modo la disposizione che prevede l’allontanamento dei familiari del minore durante l’incontro diretto tra il detenuto e il figlio senza vetro divisorio. Lo stabilisce la Cassazione con sentenza 28250/14. Il Magistrato di sorveglianza di Roma, con ordinanza, accoglieva il reclamo proposto dal detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41 bis O.P. e disponeva l’immediata disapplicazione delle circolari ministeriali vigenti in materia nella parte in cui prevedevano l’allontanamento dei familiari per la durata del colloquio fruito senza vetro divisorio dal detenuto con il figlio o il nipote minore di anni 12. Il giudice riteneva che l’esclusione della presenza della madre o di altre figure tutorie del minore nell’incontro diretto tra detenuto e figlio (o nipote) fosse una precauzione sproporzionata rispetto ai fini di prevenzione del regime speciale di detenzione, tenuto conto, anche, della integrale registrazione audio e video dei colloqui stessi. Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia chiedendone l’annullamento per violazione di legge. Il Ministero ricorrente lamentava l’inesistenza di un diritto soggettivo in capo al detenuto a che il colloquio con il figlio o il nipote minore degli anni 12 dovesse avvenire anche in presenza di familiari del minore, in quanto sussistevano esigenze di sicurezza, tesa ad impedire ogni tipo di contatto diretto tra il detenuto e i suoi familiari, contenute nell’art. 41 bis, comma 2-quater, lettera b), il quale dispone che i colloqui con i familiari avvengano in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. La Corte E.D.U. ha ripetutamente affermato (sentenza Schiavone/Italia in data 13.11.07, ricorso n. 65039/01) che le restrizioni previste dall’art. 41 bis O.P. non violano l’art. 8 Cedu, il quale prevede che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza e che non può aversi interferenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per la prevenzione dei reati e per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri. Non può, quindi, dubitarsi che la predisposizione di un vetro divisorio tra detenuto e familiari, adottato per impedire che nel corso del colloquio vi possa essere un passaggio di oggetti, e la videoregistrazione del colloquio, per controllare il contenuto dello stesso, siano conformi al dettato dell’art. 8 Cedu, poiché trattasi di precauzioni previste espressamente dalla legge al fine di salvaguardare la sicurezza pubblica e prevenire la commissione di reati. L’amministrazione penitenziaria, con apprezzabile apertura nei confronti delle esigenze dei minori, ha previsto che questi ultimi, in caso di stretto legame parentale con il detenuto, possano, negli ultimi 10 minuti del colloquio, avere un contatto diretto con costui, senza la barriera costituita dal vetro divisorio, mantenendo però la precauzione della registrazione del colloquio ed impedendo agli altri familiari di partecipare a quest’ultima parte del colloquio. Secondo quanto disposto nell’ordinanza impugnata, appare ingiustificato l’allontanamento dei congiunti per la durata del colloquio detenuto-minore senza vetro divisorio, in quanto il minore potrebbe subire traumi e disagio in un incontro con un genitore (o con un nonno) con il quale non ha un rapporto assiduo senza il sostegno e la presenza di altri familiari. La Corte di Cassazione ritiene, invece, che le esigenze del minore possano essere tutelate con una gradualità dei contatti con il proprio congiunto detenuto, ma ribadisce che mai per le esigenze del minore possono essere eliminate le esigenze di sicurezza previste dalla legge. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara l’ordinanza impugnata illegittima, perché contraria ad una precisa disposizione di legge, e l’annulla senza rinvio. Giustizia: "Protocollo farfalla", nero su bianco il testo dell’accordo Dap-Sisde sui detenuti di Giuseppe Pipitone Il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2014 L’esistenza dell’appunto è sempre stata negata, ma adesso il patto datato 2004 tra i Servizi, allora guidati da Mario Mori, e l’amministrazione penitenziaria è in possesso dei pm palermitani ed è inserito nel fascicolo aperto dopo le ammissioni del pentito Flamia. Allegato anche un elenco di una decina di detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali che in quel momento si trovavano quasi tutti al 41 bis. Sono sei pagine, nessuna firma, nessuna intestazione e solo la dicitura "riservato" stampata in cima al primo foglio: è fatto così il Protocollo Farfalla, l’accordo segreto stipulato tra i Servizi e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria per gestire le informazioni provenienti dai penitenziari di massima sicurezza. Il documento, insieme ad altri allegati che recano la generica intestazione di "appunto", è stato acquisito dai pm della procura di Palermo che indagano sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra e inserito nel fascicolo aperto dopo le ammissioni del pentito Sergio Flamia. L’uomo d’onore di Bagheria, che per anni ha avuto rapporti con i servizi, ha ammesso di avere ricevuto le visite in carcere di importanti agenti dell’intelligence anche dopo aver deciso di collaborare con la magistratura. I pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene hanno quindi aperto un nuovo fascicolo d’indagine a carico d’ignoti per omissione di atti d’ufficio: al vaglio, oltre alla natura dei colloqui tra gli 007 e Flamia, ci sono soprattutto i rapporti borderline tra l’intelligence e i detenuti in regime di 41 bis. Rapporti regolati da un accordo tra Dap e Sisde, che lasciano traccia in quel documento di sei pagine senza intestazione e firma. Appunto datato maggio 2004 (quando il direttore del Sisde era Mario Mori mentre Giovanni Tinebra dirigeva il Dap), in cui per la prima volta si mette nero su bianco "l’attività d’intelligence convenzionalmente denominata Farfalla". Un nome in codice che i servizi prendono probabilmente in prestito da Papillon, il romanzo di Herni Charriére ambientato nella prigione dell’Isola del Diavolo: riferimento perfetto per l’operazione che punta a monopolizzare il flusso informativo proveniente dai penitenziari di massima sicurezza. Il nodo cruciale del Protocollo Farfalla è tutto qui: in pratica, qualsiasi notizia proveniente dai detenuti in regime di 41 bis, sarebbe stata girata dall’amministrazione penitenziaria direttamente agli 007, senza informare i pm competenti, come invece previsto dalla legge. Ma c’è di più: nella documentazione acquisita dai pm è allegato persino un elenco di una decina di detenuti appartenenti a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, che sono in quel momento quasi tutti in regime di 41 bis. È su quei detenuti che i servizi nel maggio 2004 intendono estendere l’operazione Farfalla, già probabilmente pianificata e messa in azione in precedenza: stando ad alcuni appunti, i rapporti borderline tra Sisde e carceri risalirebbero addirittura all’inizio del 2003, e quindi già prima della stesura formale del documento. Nel Protocollo si fa esplicitamente cenno alla clausola di "esclusività e riservatezza" di ogni dato emerso dall’operazione: le informazioni rivelate dai principali boss di Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta sarebbero finite all’intelligence e non invece all’autorità giudiziaria. È per un caso molto simile che a Roma sono finiti sotto processo il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano e il magistrato Salvatore Leopardi. Tra il 2005 e il 2006 il camorrista Antonio Cutolo, detenuto nel carcere di Sulmona, manifesta l’intenzione di collaborare, raccontando anche diverse vicende inedite sulla sua cosca: Siciliano, che dirigeva il penitenziario abruzzese, non avrebbe però avvertito l’autorità giudiziaria, limitandosi a girare quei verbali a Leopardi, all’epoca capo del servizio ispettivo del Dap. Secondo l’accusa neanche Leopardi avrebbe avvertito la competente Procura di Napoli, riferendo invece i contenuti di quei verbali al colonnello Pasquale Angelosanto, in forza al Sisde: per questo motivo i due sono finiti a processo per falso e omissione. Secondo la Commissione Antimafia nel 2007 vengono emanate nuove norme per regolamentare i rapporti tra Dap e Servizi: le operazioni borderline degli 007 nelle carceri sarebbero però continuate fino ad oggi. È per questo che i pm palermitani continuano ad indagare sulla reale identità di Alberto Lorusso, l’uomo cimice che tra maggio e novembre 2013 riesce ad accattivarsi la fiducia di Totò Riina, raccogliendo il racconto dell’orrore del capomafia corleonese, denso di rivelazioni e rivendicazioni. A catalizzare l’attenzione dei pm è la profonda consapevolezza dimostrata da Lorusso su fatti di cronaca giudiziaria (come lo stesso Protocollo Farfalla), la conoscenza d’informazioni note soltanto agli stessi pm della procura e la spiccata capacità nell’utilizzo dei codici cifrati: caratteristiche che per un detenuto in regime di 41 bis sono più uniche che rare. Giustizia: snobbati i penalisti… i giornali prendono ordini dalle procure di Piero Sansonetti Il Garantista, 23 settembre 2014 A Venezia nei giorni scorsi si è svolta una discussione molto seria su tutti i problemi della Giustizia, alla quale hanno partecipato centinaia di avvocati. Voi che leggete il Garantista questa cosa la sapete, ma se non leggeste il Garantista sareste all’oscuro di tutto. I giornali italiani non si sono occupati né punto né poco (per restare nel toscanissimo dialetto di regime…) della faccenda, che ritengono trascurabile (si sono distinti esclusivamente il Sole e il Messaggero che hanno pubblicato dei piccoli articoli). Faccio il giornalista da tanti anni, so - più o meno - come si riconosce una notizia, e nessuno può dirmi che un congresso nazionale delle Camere penali - al quale partecipa per altro sia il capo della magistratura (Sabelli Fioretti) sia il ministro della Giustizia (Orlando) e durante il quale discute la parte più impegnata dell’intellettualità giuridica italiana - che ha come tema fondamentale la riforma della Giustizia, cioè uno degli argomenti caldi della battaglia politica di questi giorni, e che avanza proposte, idee, analisi, e che contesta aspramente il governo, lo Stato, la linea dell’Anm, eccetera eccetera eccetera, beh nessuno può dirmi che tutto ciò non costituisca notizia giornalistica. E invece a Venezia non si è vista l’ombra di un giornalista. Per dirne una: dove sta Liana Milella, che in fondo intervista quasi tutti i giorni Sabelli, e avrebbe potuto almeno prender spunto dal suo intervento a Venezia per prendergli al volo una intervista nuova? Non c’è, e Repubblica, giornale giudiziario per eccellenza, non ha trovato gli spiccioli per mandare neppure un inviato. Neanche il Corriere ha trovato gli spiccioli, né la Stampa, né tantomeno il Fatto, organo ufficiale dell’ala militante della magistratura, che - diciamo la verità - di questioni giudiziarie è di solito abbastanza ghiotto. Mi era capitato molto raramente di partecipare a un congresso con quasi 400 delegati e neppure un giornalista delle grandi testate. Penso che persino il mio amico Marco Ferrando, se tiene il congresso del suo partito comunista dei lavoratori, un po’ di giornalisti li raggruppa. E allora c’è una sola spiegazione. Si chiama così: boicottaggio. I giornali italiani hanno boicottato il congresso. E perché lo hanno fatto? Ve lo dico: a un congresso di avvocati si mandano i giornalisti della giudiziaria, ma - da circa 20 anni - i giornalisti giudiziari italiani sono - praticamente al gran completo - alle dipendenze dirette dalle Procure. Si iscrivono alla Procura territoriale, come una volta ci si iscriveva alla sezione di un partito. E da quella Procura prendono ordini, in modo militare, blindato. Ma le Procure, si sa, non gradiscono che i loro giornalisti seguano un congresso degli avvocati penalisti, perché le Procure non sopportano gli avvocati penalisti, e pensano che vadano messi in condizione di non nuocere. E i direttori dei giornali - e gli editori stessi - in gran parte dipendono dai loro giornalisti giudiziari - con un singolare rovesciamento delle gerarchie tradizionali - da loro prendono ordini e non sono in grado di darne. In nessun altro campo dell’informazione è così: certo non nella politica, o negli esteri, ma neppure nell’economia dove in fondo le cordate sono tante, sono tante le lobby, e nessuna - come nel caso della magistratura - è in grado di controllare tutti i giornali. Il risultato - che appare chiarissimo, plastico in queste giornate veneziane - è molto drammatico: l’Italia è l’unico paese dell’Occidente dove non esiste piena libertà di stampa. Noi ci preoccupavamo - giustamente - del conflitto di interessi e di Berlusconi. Ma Berlusconi è riuscito a condizionare solo una parte piccola della stampa italiana. L’Anm, il partito dei giudici, la controlla tutta. Tutta, come ai tempi del fascismo. Mi dispiace l’asprezza di questo paragone, ma è l’unico paragone possibile e reale. Giustizia: sulla Consulta oggi si attende un altro flop… per superare Violante di Domenico Cirillo Il Manifesto, 23 settembre 2014 Oggi l’ennesima votazione delle camere riunite per eleggere due giudici costituzionali e due consiglieri del Csm. Il forzista Bruno aspetta l’avviso di garanzia e potrebbe ritirarsi, il candidato del Pd ne seguirebbe la sorte. Il lungo fine settimana è trascorso invano. All’appuntamento di oggi a mezzogiorno con un’altra laboriosa votazione segreta per eleggere due giudici costituzionali e due consiglieri del Csm, Pd e Forza Italia si ritrovano come si erano lasciati giovedì scorso. Senza nessuna certezza di riuscire a eleggere i due eterni candidati alla Consulta, Luciano Violante e Donato Bruno, anzi con la sensazione netta che questa coppia sia ormai da accantonare. Eppure le camere in seduta comune andranno avanti allo stesso modo, e ancora una volta ai parlamentari della maggioranza "del Nazareno" - quella allargata a Forza Italia - saranno distribuiti i soliti foglietti e sms con l’indicazione di Violante e Bruno. Serve un’ennesima fumata nera per cambiare finalmente schema, ma servirà anche un’altra pausa di riflessione. A complicare ulteriormente la scalata alla Consulta di Violante è stato l’incidente giudiziario in cui è capitato Bruno, che sarebbe indagato per una vicenda legata al fallimento di una grossa azienda tessile di Isernia e sostiene di averlo appreso dal Fatto quotidiano. "Ad oggi ribadisco di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia - ha detto ieri sera il senatore forzista, assai vicino a Cesare Previti - resta evidente che qualora ci fosse un provvedimento di rinvio a giudizio non avrei nessuna remora a prendere le opportune decisioni". Non è esattamente un passo indietro, dal momento che il rinvio a giudizio potrebbe eventualmente arrivare solo al termine delle indagini, ma dovrebbe bastare la presa d’atto del problema a fermare la corsa del senatore. Impossibile allora che Violante possa proseguire da solo, essendo peraltro in campo da prima di Bruno. Un cambio si imporrebbe e se nel Pd non mancano i candidati - Augusto Barbera in testa - la carta di Forza Italia potrebbe forse essere quella semi nascosta di Nicolò Zanon. Difficile allora che in queste condizioni un numero sufficiente di forzisti si convinca a votare per Violante, né che cambino improvvisamente idea i parlamentari Pd che stanno facendo opposizione al patto del Nazareno. Anche perché la diplomazia parallela di Berlusconi con la Lega e del vicesegretario Pd Guerini con Sel non ha prodotto risultati certi. I leghisti sembrano orientati a votare scheda bianca anche per il Csm, non appoggiando il candidato di Fi Zanettin. I vendoliani invece confluirebbero su Violante, in cambio dell’appoggio a Paola Balducci per il Csm, ma non vuoteranno Bruno. La novità di ieri è che il Movimento 5 Stelle sta tentando di rientrare in gioco, probabilmente perché ha visto sfumare la possibilità di eleggere il proprio candidato (Zaccaria), destinato nei piani del Pd a essere sostituito dalla candidata di Sel. Senza arrivare a offrire i loro voti a eventuali nuovi candidati di Renzi e Berlusconi, i parlamentari grillini hanno comunque scritto una lettera aperta a Violante e Bruno chiedendo loro un passo indietro, ritirarsi "per togliere il parlamento dall’impasse in cui si trova dall’inizio di settembre". Dopo di che sarà interesse di Pd e Forza Italia cercare di conquistare i voti dei 5 stelle con nuove proposte. Per tutte queste manovre servirà altro tempo. Tempo che per il Csm è abbondantemente scaduto. A differenza della Consulta, che può lavorare anche con due giudici in meno, l’organo di autogoverno della magistratura è bloccato e in "prorogatio" da luglio. Ma non sarà facile eleggere i due consiglieri mancanti senza un accordo complessivo, dunque anche sulla Corte Costituzionale. Giustizia: Consulta Sicurezza; avanti astensione, da governo sono arrivate solo promesse Adnkronos, 23 settembre 2014 "Abbiamo deciso di andare comunque avanti con l’astensione di due ore, prevista per domani. Non sarà un vero sciopero: chiederemo due ore di assemblea in tutte le carceri italiane per spiegare a tutti quale è la situazione attuale". Così Donato Capece, segretario del Sap, Sindacato autonomo di Polizia, spiega all’Adnkronos la scelta di proseguire sul fronte della protesta per il blocco del tetto salariale ed i tagli al comparto sicurezza. La "Consulta sicurezza", che mette insieme Sap, Sappe, Sapaf e Conapo Vigili del fuoco, prende quindi ulteriormente le distanze dal fronte "morbido", rappresentato dal resto dei sindacati. "Il nostro percorso non ha nulla a che vedere - chiarisce Gianni Tonelli, segretario del sindacato di polizia Sap - con le sigle sindacali che si sono rimangiate tutti i propositi bellicosi. Le parole del governo sono poco più di una dichiarazione d’intenti e se qualcuno dopo la boutade dello sciopero ha voluto dar credito alle promesse, faccia pure". Se i sindacati del fronte "possibilista" si sono smarcati da questa mobilitazione, "vorrà dire - spiega Antonio Brizzi, segretario del Conapo Vigili del Fuoco - che si sentono soddisfatti dalle promesse del governo. Per noi, invece, mancano le coperture: sono fondi ministeriali che, con i tagli lineari degli scorsi anni, basteranno solo per il 2015. Non sono misure strutturali. Noi comunque, a differenza loro, non abbiamo mai parlato di sciopero: faremo delle assemblee garantendo comunque il funzionamento delle misure di sicurezza". Giustizia: caso Cucchi; oggi al via il processo d’appello per la sua morte al "Pertini" Ansa, 23 settembre 2014 In primo grado condannati medici, assolti infermieri e agenti. Inizia oggi, davanti alla Prima Corte d’assise d’appello di Roma, il processo di secondo grado per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e deceduto una settimana dopo all’ ospedale "Sandro Pertini" della capitale. A presiedere il collegio sarà Mario Lucio D’Andria, con giudice a latere la consigliera Tiziana Gualtieri; per la definizione del giudizio saranno necessarie alcune udienze. Spetterà loro decidere la sorte processuale: del primario del "Pertini" Aldo Fierro e dei medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo (tutti condannati in primo grado per omicidio colposo) e Rosita Caponnetti (condannata per falso ideologico); nonché degli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe (tutti assolti in primo grado) e degli agenti della Penitenziaria, Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici (anche loro assolti in primo grado). In attesa della fissazione del processo d’appello, la vicenda ha registrato una novità importante: la famiglia Cucchi, infatti, si è accordata con l’ospedale per un risarcimento di un milione e 340mila euro. Cosa, questa, che nel processo di secondo grado porterà come conseguenza il fatto che la famiglia (padre, madre, sorella e nipoti di Stefano) non sarà presente come parte civile nei confronti di medici e infermieri. Resta, però, la costituzione nei confronti degli agenti della penitenziaria assolti in primo grado. Secondo l’accusa, Stefano Cucchi sarebbe stato pestato nelle celle del Palazzo di Giustizia poco prima dell’udienza di convalida del suo arresto, e abbandonato da medici e infermieri che lo ebbero in cura nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini. Per i giudici di primo grado, però, Stefano morì di malnutrizione e l’attività dei medici fu segnata "da trascuratezza e sciatteria"; non condivise poi le argomentazioni secondo le quali il decesso si sarebbe verificato per le lesioni vertebrali. Giustizia: la Corte di Strasburgo gela Berlusconi "ricorso non ancora preso in esame" di Marco Zatterin La Stampa, 23 settembre 2014 Sentenza Mediaset, il legale Longo aveva annunciato: è stato ammesso. Poche righe, secche e decise. "Nessuno dei ricorsi presentati da Silvio Berlusconi alla Corte europea dei diritti dell’uomo è stato sinora oggetto di una decisione sull’ammissibilità", afferma una nota del tribunale di Strasburgo, con un tono gelido che cela a malapena l’irritazione. Venerdì scorso l’avvocato Pietro Longo, che segue da sempre il capo dell’opposizione, aveva annunciato il via libera sull’esame dell’azione legale avviata "contro l’Italia" per la presunta illegittimità della sentenza di quattro anni comminata al termine del processo Mediaset. La reazione nel campo di Forza Italia era stata euforica: "Tornerò leader a tempo pieno", aveva annunciato l’ex premier. Sempre possibile, ma non subito, a vedere la reazione dei magistrati alsaziani. Hanno ragionato per due giorni sulle "informazioni pubblicate di recente sulla stampa italiana", quelli della Cedu, finché hanno ritenuto non fosse più il caso di restare in silenzio. "Notizie di positiva drammaticità", le aveva chiamate sabato "il Mattinale" di forzisti della Camera. Non esatte, si scopre adesso, e sfruttate da Berlusconi per ridare speranza ai suoi, chiedere un risarcimento e far balenare l’idea di una revisione del processo. La Corte dice che dovrà aspettare. Una ricostruzione è che Longo abbia avuto notizia da una fonte amica dell’accoglimento formale di uno o più ricorsi. Quella che, spiega una fonte, "è la certificazione del fatto che la domanda è stata compilata correttamente". Passato questo ostacolo procedurale, la regola prevede che ci si muova verso il secondo stadio, in cui si ragiona sull’ammissibilità effettiva del ricorso. È qui che non siamo ancora arrivati. è questo che richiederà ancora molti mesi. Il comunicato della Cedu ricorda che sono tre i ricorsi di Berlusconi pendenti davanti alla Corte. "Il primo, che concerne l’applicabilità della legge Severino, è stato registrato il 7 ottobre con il numero 58428/13. Il secondo, registrato il 15 aprile di quest’anno con il numero 8683/14, riguarda la condanna per frode fiscale. Il terzo, registrato il 10 aprile 2014 col numero 23554/14, concerne la procedura civile per danni e interessi sul Lodo Mondadori". Nessuno, precisa la Cedu, è ancora entrato nella fase di analisi in vista di un verdetto. La facoltà di rivolgersi ala Corte è l’ultima ultima istanza quando tutti i livelli giudiziari nazionali non hanno soddisfatto il cittadini. Il caso della legge Severino, fa notare una fonte europea, è pertanto quello che rischia di più, perché la Strasburgo non può deliberare sul contenuto delle leggi, bensì sui loro effetti. A sentire le voci europee, comunque, non sembra esserci grande fretta. L’elevata politicizzazione del caso consiglia grande prudenza ai magistrati. La nota della Corte "è apprezzabile" in quanto "aiuta a fare chiarezza rispetto alle notizie uscite sulla stampa", reagisce Forza Italia, che svela anche una "comunicazione ufficiale inviata dalla Corte" ai legali di Berlusconi: "Il presente ricorso (diritti tv) sarà portato all’esame quanto prima possibile sulla base dei documenti e delle informazioni da Lei forniti". Sugli altri nulla. Magli uomini di Silvio sono andati avanti lo stesso. Giustizia: caso Yara, vacilla la prova del Dna…. potrebbe non essere di Bossetti Il Garantista, 23 settembre 2014 Nella perizia dei Ris di Parma si ricorda come "purtroppo non è semplice valutare né riprodurre sperimentalmente - con assoluto rigore scientifico - quanto la degradazione del materiale biologico su questi reperti possa aver influenzato, e in quale misura, l’attendibilità dei test effettuati…", ma si evidenzia anche come "si escluda ragionevolmente" che il risultato della traccia di Ignoto 1 corrispondente al profilo genetico di Bossetti "sia dovuto a contaminazioni, soprattutto recenti, dovute a semplice contatto manuale o ad imprudente approccio al reperto da parte del personale operante". Riflessioni a cui se ne aggiunge una ulteriore: "non è ancora possibile datare con attendibilità scientifica una traccia biologica, specialmente in un ristretto range temporale, come in questo caso". Alla luce delle affermazioni dei Ris relativamente alla traccia biologica riconducile all’indagato, per la difesa di Bossetti, questo non è, seppur considerata la "pistola fumante" della procura, "un elemento così scevro da dubbi, tanto da essere individuato sempre dai medesimi Ris come "quantomeno discutibile". Inoltre, sempre i legali che mercoledì presenteranno istanza al riesame, "in buona sostanza a parere della difesa, le enunciate certezze scientifiche paiono espresse secondo un criterio di ragionevolezza, principio più tipico del disquisire giuridico che dell’argomentare scientifico". La difesa rappresentata da Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni sottolinea come, anche in caso di corrispondenza tra il Dna trovato sul corpo della vittima e quello del proprio assistito non basta da solo a dimostrare la colpevolezza - "anche se la traccia fosse dell’indagato non si potrebbe certo inferire la colpevolezza dell’indagato", e annuncia, contattata dall’Adnkronos, che chiederà di "ripetere l’intera procedura" assistita dai propri consulenti, "a partire dall’estrazione della traccia che è la parte più delicata" dell’intero processo. Lettere: risposta a Franco Corleone riguardo al nuovo carcere di Bolzano di Marco Girardello* Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2014 Leggo con stupore, ed un po’ di delusione per essere onesto, le dichiarazioni (o presunte tali) del garante Corleone rispetto alle supposte opacità riferite al percorso che porterebbe alla costruzione della nuova Casa Circondariale di Bolzano. Un passo indietro, dovuto, innanzitutto. Mi occupo di carcere da oltre 15 anni, lo faccio per passione, per scelta civile, per lavoro. Mi sono laureato in diritto penitenziario, volevo fare il direttore di un carcere, purtroppo laureandomi nel 2000 era appena passato l’ultimo concorso per vicedirettori del 1996.. da allora la classe dirigente Penitenziaria non ha promosso altri momenti di reclutamento. L’attrazione per il mondo delle galere era così forte da spingermi comunque ad occuparmene. Mi occupo di formazione professionale, di sviluppo di attività di impresa, cercando di mettere insieme brandelli di welfare per il reinserimento sociale dei detenuti, ho la fortuna di partecipare ai lavori di networks tematici europei dove si tenta di far circolare esperienze, progettualità modelli di intervento efficaci in grado di sostenere davvero le persone con problemi di Giustizia. Questo per dire che credo di avere un background sufficientemente solido per poter argomentare in relazione a quanto sto per affermare. Tra le dichiarazioni riportate dal quotidiano "Alto Adige" quello che più mi ha toccato, disturbandomi ad onore del vero, è il qualunquismo e l’approssimazione diffusi tra le affermazioni del garante rispetto a Bolzano: qualunquismo relativo al fatto che laddove vi sia un’apertura verso privati allora lì e lì solo si annidino malaffare e interessi sospetti, argomento questo che davvero è inascoltabile declinato in questi termini .. approssimazione nella misura in cui da una figura come il garante Corleone ci si aspetterebbe un livello di conoscenza della materia più adeguato, derivante dall’aver letto, almeno una volta, il bando di gara per la costruzione della Casa Circondariale di Bolzano. La domanda retorica sui diritti dei detenuti e sulla tipologia di regole che vigeranno nella nuova struttura davvero non ci sta, perché mira a sviare ideologicamente il dibattito sulla possibilità o meno di sperimentare formule di gestione innovativa degli istituti di pena. La risposta alla domanda del dott. Corleone è infatti presto data: all’interno della nuova CC di Bolzano vigerà l’ordinamento penitenziario ed il suo regolamento di esecuzione... e tutte le disposizioni disposte dall’Amministrazione Penitenziaria. Vigerà pieno controllo della Magistratura di Sorveglianza come prescritto dalla 354/75 senza alcuna difformità rispetto a quanto accadrebbe in qualsiasi altra struttura penitenziaria presente sul territorio nazionale. Quello che il garante ha omesso di riportare, e che ad onore del vero in molti hanno omesso di specificare, riguarda la natura complessa dell’operazione che a Bolzano si sta cercando di sperimentare: la conduzione di un istituto di pena mediante un modello di gestione di partenariato pubblico privato. E qui il discorso si fa più tecnico. Affermare che la nuova CC di Bolzano sarà un istituto di pena gestito da privati non è infatti corretto. La gestione dell’istituto resterà invero in tutto e per tutto nelle mani dell’Amministrazione Penitenziaria, del suo staff e della polizia penitenziaria per quanto attengono alle funzioni proprie al loro corpo. La differenza tra un istituto tradizionale e Bolzano sta nel concetto di "gestione mista" o appunto di partenariato Pubblico privato. Da questo punto di vista i cugini francesi hanno ormai consolidato un’esperienza vecchia di oltre 20 anni, con risultati consolidati che meriterebbero di essere conosciuti e analizzati in modo serio da persone in grado di comprenderne appieno il valore. Nella gestione mista le prerogative di conduzione dell’istituto restano infatti in modo completo in capo al soggetto Pubblico delegando al privato la semplice gestione di una serie di servizi riguardanti la vita dell’istituto. Lo spartiacque che deve essere ben chiarito riguarda il fatto la che gestione mista non ha nulla a che vedere con la privatizzazione degli istituti realizzata tanto negli Stati Uniti quanto nel Regno Unito dove il paradigma gestionale adottato in questi casi prevede sì una delega ampia ai soggetti privati. La sfida coraggiosa lanciata da Bolzano riguarda, a mio giudizio, il tentativo concreto di provare a perseguire una modalità di gestione innovativa, ispirata a criteri di maggiore efficacia ed efficienza, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi erogati, ed in ultima analisi, la qualità della vita e delle opportunità a disposizione delle persone detenute. Una gestione in cui l’Amministrazione Penitenziaria si occupa delle prerogative "nobili" legate alla funzione custodiale e di reinserimento, delegando a privati competenti la gestione delle funzioni e dei servizi legati alla vita dell’istituto (cucina, lavanderia, manutenzione immobile, power supply, attività sportive, formazione professionale etc..). Verrebbe da dire, ad ognuno il suo campo di specificità. Detto questo , davvero non capisco che tipo di obiettivo abbiamo le critiche o le perplessità pregiudiziali mosse dal garante Corleone, se non quello di sparare al bersaglio grosso, assestando colpi generici a qualcosa che non si conosce se non in modo indiretto e grossolano. Lo scorso anno proprio in questo periodo, eravamo ad ottobre, una delegazione del Provveditorato dell’A.P. del Piemonte effettuava una visita di studio in due istituti di pena francesi in cui è adottato il modello di gestione che si vorrebbe testare a Bolzano. Inviterei gli scettici a mettersi in contatto con chi ha visto, con chi si è confrontato con questo modello, per uno scambio di opinioni nel merito e senza pregiudiziali ideologiche. Concludendo, mi chiedo per quale ragione il problema oggi debba essere Bolzano, e non possa invece essere considerata come un’opportunità... opportunità per sperimentare davvero il nuovo.. opportunità per capire se esistono altri modi di fare possibili... opportunità di capire se fino ad oggi abbiamo fatto errori... oppure no Il fatto di impedire al cambiamento di declinarsi in qualcosa di concreto e misurabile consente, indubbiamente, al bilanciamento attuale di taluni interessi di potersi mantenere inalterato e senza tema di raffronto. Posso dire di aver conosciuto operatori impegnati in istituti di pena francesi, sia privati, che dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria .. ho avuto modo di incontrare anche detenuti francesi, che hanno potuto sperimentare tanto la qualità dei servizi erogati sotto l’egida della gestione tradizionale, quanto la qualità di quelli promossi dalla gestione mista. Il mio giudizio positivo sulla gestione mista è legato a quello che ho visto e quello che ho verificato... confrontandomi con gli attori di quel sistema. Un solo dato quantitativo per dare un’idea di numeri e interessi veri sottesi da questa vicenda. In Francia il sistema penitenziario custodisce una popolazione numericamente assimilabile alla nostra .. tra le 58. e 65.000 unità... sempre in Francia presso gli istituti dove vige la gestione mista circa la 1/3 degli ospiti degli istituti lavorano in attività remunerate, gli istituti sono ben tenuti ed i servizi efficienti… il patrimonio immobiliare francese è pienamente valorizzato, gli immobili dopo 20 anni di utilizzo sono come nuovi, perfettamente efficienti. In Francia operano circa 26.000 addetti al controllo e alla sicurezza. in Italia.. dove sappiamo quale sia la condizione dell’accesso al lavoro, al di là di quello alle dipendenze dell’A.P... dove la condizione standard di manutenzione degli istituti è difficilmente definibile... dove non esiste un sistema di controllo e di governo del patrimonio immobiliare in gestione all’Amministrazione e dove dopo 20 anni gli istituti sono frequentemente in condizioni critiche... gli operatori deputati alla gestione del controllo sono oltre 36.000 e dire che c’è chi ancora asseconda l’argomento delle carenze di organico. Mi verrebbe da chiedere: siamo proprio sicuri che dietro alle critiche ideologiche e pretestuose verso questo modello gestionale non si nasconda più semplicemente della paura? *Prison economy specialist Cooperativa sociale Divieto di Sosta Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri Onlus Toscana: al via "Puliamo il mondo", anche detenuti coinvolti in iniziativa di Legambiente Ansa, 23 settembre 2014 Sono l’inclusione sociale e le periferie, il verde urbano e le coste pulite i temi della 22ma edizione di "Puliamo il mondo", iniziativa di volontariato ambientale organizzata da Legambiente che in Toscana si terrà nel week end dal 26 al 28 settembre. La manifestazione a livello regionale è stata presentata oggi a Firenze dal presidente di Legambiente Toscana Fausto Ferruzza e coinvolgerà numerosi comuni e territori. Tra i principali appuntamenti, il 26 settembre è prevista una "edizione speciale" della manifestazione dal titolo "Puliamo il mondo dalle discriminazioni", che vedrà impegnati alcuni detenuti del carcere di Massa Carrara che spenderanno uno dei loro permessi per partecipare alla campagna in collaborazione con i bambini delle scuole. Analoga iniziativa si terrà anche a Pistoia, coinvolgendo cinque detenuti in permesso premio. Altra iniziativa speciale è prevista domenica a Viareggio con una rimozione delle lenze abbandonate nella zona del porto. "Ventidue anni di Pim, la nostra campagna più popolare e radicata sui territori - ha detto Ferruzza - vogliono dire perseveranza e tenacia nel perseguimento degli obiettivi statutari della nostra associazione. Decoro, pulizia, inclusione sociale, promozione del riciclo della materia e riduzione quindi dei rifiuti (urbani e speciali). Anche quest’anno, tenendo pur conto della crisi che morde duramente i bilanci dei nostri enti locali, siamo riusciti a spuntare numeri e adesioni record". Nell’ambito della manifestazione, il 25 settembre, saranno premiati i comuni vincitori del concorso "Riprodotti e Riacquistati" per aver acquistato elementi di arredo urbano in plastica riciclata di provenienza toscana. Parma: i Garanti; preoccupa contenuto registrazioni presunte violenze, seguiremo vicenda Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2014 Desi Bruno e Roberto Cavalieri, rispettivamente Garante regionale e Garante del Comune di Parma dei detenuti, esprimono le seguenti valutazioni in merito alle notizie apparse sulla stampa a proposito di eventuali violenze commesse all’interno del penitenziario parmense fra il 2010 e il 2011. "Esprimiamo preoccupazione circa il contenuto delle registrazioni diffuse dalla stampa e realizzate, per come viene riferito, all’interno del penitenziario di Parma da parte di un detenuto. Tali contenuti, qualora confermati nella loro veridicità e completezza, farebbero emergere che all’epoca dei fatti, e cioè negli anni 2010-2011, si sarebbe verificata una situazione di subordinazione delle questioni di salute e incolumità dei detenuti alle pratiche della custodia anche quando queste si sono manifestate, secondo le accuse, in modo illegittimo attraverso l’uso della violenza. Seguiremo con attenzione l’evolversi della situazione attendendo per una valutazione l’esito del lavoro della magistratura e la conoscenza dell’intero materiale probatorio nonché di conoscere i motivi per i quali tali registrazioni non siano state messe immediatamente a disposizione dell’autorità giudiziaria a tutela dell’intera popolazione detenuta e degli operatori penitenziari. Nel confermare che non è mai giunta ai nostri Uffici alcuna evidenza o segnalazione circa pratiche sistematiche di violenza all’interno del penitenziario di Parma nel periodo relativo ai mandati in essere, ribadiamo che sono invece imponenti le segnalazioni da parte dei detenuti relative alla presunta mancanza e/o ritardi nel ricevere appropriate cure sanitarie, questione che i Garanti, nell’ambito della loro funzione di tutela dei diritti delle persone recluse, hanno ripetutamente posto all’attenzione dell’amministrazione penitenziaria e alla dirigenza sanitaria per le rispettive competenze, senza che ad oggi ci sia stata una risposta soddisfacente. L’esistenza del Cdt, della sezione paraplegici, l’invio ripetuto di persone affette da gravissime patologie proprio in ragione del centro ospedaliero e del personale medico dedicato, la presenza di un numero altissimo di persone gravemente malate, spesso, se non prevalentemente in regime di alta sicurezza, impone che la questione sanitaria nel carcere di Parma venga affrontata nella sua specificità con urgenza. La tutela piena del diritto alla salute all’interno degli istituti penitenziari della città presuppone poi l’autonomia decisionale del comparto sanità da quello della sicurezza, così come già indicato dal Comitato nazionale per la bioetica e come imposto dal passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale con la riforma del 2008". Sassari: a dicembre bando su lavori a San Sebastiano, priorità a progetto riqualificazione Ansa, 23 settembre 2014 Passi in avanti per la ristrutturazione e la nuova destinazione del carcere di San Sebastiano a Sassari dopo il trasferimento dei detenuti a Bancali. Con una comunicazione inviata ai senatori del Pd Silvio Lai e Giuseppe Luigi Cucca, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri ha infatti reso noto che il progetto di riqualificazione è prioritario per il ministero. Il bando potrebbe essere avviato entro dicembre. "Un’ottima notizia - commentano Lai e Cucca - anche perché oltre all’approvazione del progetto è stata prevista una sorta di corsia preferenziale che consentirà di inserire l’intervento all’interno della programmazione triennale delle opere pubbliche. Questo significa che, secondo i tempi ipotizzati dal governo, a partire dal prossimo mese di dicembre sarà presumibilmente possibile appaltare le opere per realizzare un nuovo polo degli uffici giudiziari cittadini". I due senatori ricordano che "l’iniziativa, che aveva avuto il consenso del comune di Sassari già dal 2013, potrà portare benefici a tutti coloro che usufruiscono dei servizi giudiziari in tutto il nord Sardegna e agli operatori che ne sono protagonisti e garantirà importanti risparmi economici alla collettività anche solo per la cancellazione di contratti di affitto di sedi per l’attività dei giudici di pace e della corte d’appello, per la quale siamo impegnati a garantirne la permanenza nella nostra città e la sua trasformazione in Corte d’appello autonoma". L’opera consentirà inoltre di garantire la memoria storica dell’ex carcere con la creazione di un centro museale fruibile da visitatori e cittadini. Il finanziamento totale dovrebbe aggirarsi intorno ai 12 milioni di euro e i lavori dovrebbero durare circa due anni. Rimini: problemi al carcere Casetti; Sarti (M5S) in visita, Arlotti (Pd) interroga il Ministro www.newsrimini.it, 23 settembre 2014 Dopo l’allarme delle guardie carcerarie, i problemi della casa circondariale riminese finiscono a Roma. Giulia Sarti, parlamentare riminese del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Giustizia, accompagnata dai consiglieri Comunali , Luigi Camporesi e Gianluca Tamburini ha potuto parlare con gli agenti di Polizia Penitenziaria e, da sola, ho potuto visitare i reparti. "Devo purtroppo constatare - commenta la Sarti - che anche i Casetti sono vittima delle carenze di sistema che ho rilevato nelle altre strutture. Nonostante il personale addetto faccia di tutto e di più per garantire il minimo di decoro e dignità ai reclusi, mi sono trovata di fronte a problemi che sarebbero facilmente risolvibili senza l’ignavia delle istituzioni. Lo scarica barile statale ha prodotto un direttore del carcere a mezzo servizio che, per quanto valido sia, deve dividere la sua efficacia su due strutture, Modena e Rimini. Questa situazione non è nient’altro che la riproposizione della latitanza della politica anche sui vertici dell’Amministrazione Penitenziaria, il Dap. Da mesi si attende la nomina di un direttore che attualmente non esiste, figuriamoci se riescono ad assegnare un dirigente in pianta stabile a Rimini". La Sarti ha trovato una situazione dove di sei sezioni ne funzionano quattro, una è completamente ristrutturata e a norma, "manca solo il collaudo che non arriva e così i detenuti sono costretti a scontare la loro pena in celle fatiscenti con evidenti problemi di infiltrazione di acqua piovana. Il cortile ricreativo è un campo di cemento completamente esposto al sole, nonostante di fianco ci sia un’area completamente attrezzata con dei gazebo e delle sedie dove sostare, che non possono però essere utilizzati perché i lavori di manutenzione richiesti al perimetro non sono stati ancora autorizzati. Le attività ricreative sono ridotte al minimo per non parlare di quelle lavorative, essenziali per un reinserimento ed una rieducazione effettiva al rientro nella società. Mancano le risorse per le operazioni più banali come la pulizia della cella, affidata agli stessi detenuti, per la quale difettano di scope e spugne". La Sarti sottolinea anche una mancanza per la quale richiama l’Amministrazione Comunale di Rimini: "Molti dei 44 condannati in via definitiva, potrebbero accedere a misure alternative, ma manca loro l’assistenza di un Garante che potrebbe interagire con l’unico Magistrato di Sorveglianza competente a valutare le richieste per Rimini e altre numerose carceri . La nostra città ha da tempo deciso che debba essere istituita questa figura di mediazione, ma i tre nomi che hanno partecipato al bando sono in attesa di non si sa cosa. Possibile che a fronte di una situazione così grave non si riesca a decidere fra tre opzioni tutte egualmente praticabili?". La Sarti ricorda anche il piano carceri alternativo presentato nel 2013 e richiama il collega Tiziano Arlotti a sollecitare il suo partito. E lo stesso Tiziano Arlotti fa sapere di avere interrogato sul carcere riminese il Ministro alla Giustizia Andrea Orlando. Il parlamentare del Pd sottolinea la necessità di adeguare l’organico della casa circondariale di Rimini non solo alle previsioni normative, ma anche alle peculiarità del territorio e ai flussi estivi. "Nell’istituto penitenziario di Rimini sono reclusi ad oggi 120 detenuti di cui il 65% stranieri - ricorda Arlotti - e il personale di polizia penitenziaria secondo le previsioni del Decreto ministeriale del marzo 2013 risulta sotto organico rispettivamente di 7 unità nel ruolo agenti/assistenti, di 9 unità nel ruolo dei sovrintendenti e 7 nel ruolo degli ispettori. I numeri non tengono tra l’altro conto della struttura, che essendo suddivisa in numerose sezioni richiede un maggiore impiego di personale rispetto ad istituti con analogo numero di detenuti ma con un numero inferiore di sezioni". Arlotti ricorda anche le caratteristiche di un territorio che in estate porta 15 milioni di presenze con punte di oltre 4,5 milioni a luglio e agosto con conseguente aumento della delittuosità: "nei mesi estivi: quest’anno nei soli luglio e agosto si sono registrati più di 120 ingressi e altrettante scarcerazioni". Il parlamentare sottolinea come in risposta alla sua interrogazione sui rinforzi estivi di polizia, già il Ministero dell’Interno abbia riconosciuto l’esigenza di servizi di ordine e sicurezza pubblica in aggiunta a quelli ordinari a Rimini e nelle località turistiche della provincia. Arlotti nell’interrogazione al ministro Orlando chiede quindi di intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, attingendo anche alle nuove assunzioni previste, del personale amministrativo e degli educatori, e se non ritenga indispensabile inserire nella previsione di rinforzi estivi per le forze delle forze nel territorio riminese anche il rinforzo estivo del personale di polizia penitenziaria. Rimini: Sarti (M5S); la situazione nel carcere riminese dei Casetti è allarmante di Tommaso Torri www.riminitoday.it, 23 settembre 2014 L’onorevole grillina: "Lo scarica barile statale ha prodotto un direttore del carcere a mezzo servizio che, per quanto valido sia, deve dividere la sua efficacia su due strutture, Modena e Rimini. Questa situazione non è nient’altro che la riproposizione della latitanza della politica anche sui vertici dell’Amministrazione Penitenziaria". Il carcere di Rimini si segnala per il proprio indice di sovraffollamento (specie d’estate a causa dei pendolari del divertimento e dello sballo che vengono un po’ da tutta Italia) nel quadro della già non rosea situazione che caratterizza tutta l’Emilia Romagna. In particolare, presso la casa circondariale I Casetti, di Rimini, ci sono attualmente 164 detenuti su una capienza massima di 139, con un sovraffollamento del 118%. Di questi 164, il 51,8%, cioè 85 detenuti, sono di origine straniera. Una situazione che ha voluto toccare con mano Giulia Sarti, l’onorevole riminese del M5S, che nella giornata del 22 settembre ha vistato i Casetti in seguito alle notizie, definite allarmanti, apprese dalla stampa. "Facendo parte della Commissione Giustizia - ha spiegato la Sarti - mi occupo frequentemente della situazione delle carceri italiane e mi piace ricordare che come Movimento 5 Stelle abbiamo presentato, all’ex Ministro Cancellieri e al Presidente della Repubblica, nel luglio 2013, un piano carceri alternativo a quello attuale, per la riqualificazione delle strutture già esistenti e per il risparmio di gestione. Piano carceri serio di cui avrebbe bisogno giustappunto la struttura di Rimini. Accompagnata dai consiglieri Comunali, Luigi Camporesi e Gianluca Tamburini, ho potuto parlare con gli agenti di Polizia Penitenziaria e, da sola, ho potuto visitare i reparti. Devo purtroppo constatare che anche i Casetti sono vittima delle carenze di sistema che ho rilevato nelle altre strutture. Nonostante il personale addetto faccia di tutto e di più per garantire il minimo di decoro e dignità ai reclusi, mi sono trovata di fronte a problemi che sarebbero facilmente risolvibili senza l’ignavia delle istituzioni. Lo scarica barile statale ha prodotto un direttore del carcere a mezzo servizio che, per quanto valido sia, deve dividere la sua efficacia su due strutture, Modena e Rimini. Questa situazione non è nient’altro che la riproposizione della latitanza della politica anche sui vertici dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap). Da mesi si attende la nomina di un direttore che attualmente non esiste, figuriamoci se riescono ad assegnare un dirigente in pianta stabile a Rimini". "Dalla mia visita - ha aggiunto - ho potuto rilevare che: di 6 sezioni ne funzionano solo 4, una è completamente ristrutturata e a norma, manca solo il collaudo che non arriva e così i detenuti sono costretti a scontare la loro pena in celle fatiscenti con evidenti problemi di infiltrazione di acqua piovana. Il cortile ricreativo è un campo di cemento completamente esposto al sole, nonostante di fianco ci sia un’area completamente attrezzata con dei gazebo e delle sedie dove sostare, che non possono però essere utilizzati perché i lavori di manutenzione richiesti al perimetro non sono stati ancora autorizzati. Le attività ricreative sono ridotte al minimo per non parlare di quelle lavorative, essenziali per un reinserimento ed una rieducazione effettiva al rientro nella società. Mancano le risorse per le operazioni più banali come la pulizia della cella, affidata agli stessi detenuti, per la quale difettano di scope e spugne. A parte questa e tante altre situazioni, tengo però particolarmente a sottolineare una grave mancanza a cui l’Amministrazione delle stessa Rimini potrebbe porre rimedio in breve tempo. Molti dei 44 condannati in via definitiva, potrebbero accedere a misure alternative, ma manca loro l’assistenza di un Garante che potrebbe interagire con l’unico Magistrato di Sorveglianza competente a valutare le richieste per Rimini e altre numerose carceri . La nostra città ha da tempo deciso che debba essere istituita questa figura di mediazione, ma i tre nomi che hanno partecipato al bando sono in attesa di non si sa cosa. Possibile che a fronte di una situazione così grave non si riesca a decidere fra tre opzioni tutte egualmente praticabili? Un messaggio al caro collega Arlotti che sappiamo informato di questa mia visita. Si risparmi la nota sui quotidiani e partecipi a risolvere la situazione con veri stimoli al suo partito di maggioranza". Bologna: il lavoro delle detenute della Dozza… per trasformare la creatività in reddito di Erika Bertossi www.bolognatoday.it, 23 settembre 2014 È in via del Gomito (l’indirizzo della Dozza) e si lavora "gomito a gomito", strette in un piccolo spazio: ecco il progetto che coinvolge le detenute della Dozza Si chiama "Gomito a Gomito" ed è il laboratorio sartoriale del carcere della Dozza nel quale lavorano le detenute della sezione femminile: un progetto che da l’opportunità di acquisire una nuova dimensione professionale e un lavoro dignitoso e retribuito, con la speranza che questa esperienza di formazione e di lavoro possa essere sfruttata una volta tornate ad uno stato di piena libertà. A raccontarcelo bene in un’intervista è Enrica Morandi davanti a decine di bellissime borse realizzate proprio dalle detenute bolognesi e in vendita in occasione di un mercatino (per conoscere i vari appuntamenti basta seguire la pagina Facebook di "Gomito a Gomito"). "Come stabilito anche dall’art. 27 della Costituzione, riteniamo che per le persone detenute sia importante poter impiegare il tempo in modo costruttivo e sperimentare la propria creatività e manualità, per riacquisire fiducia in se stessi; condividere entusiasmo e gioia nel lavorare assieme per raggiungere i risultati prefissati". E di creatività ce ne mettono molta le detenute della Dozza, che a giudicare dalle bellissime borse che realizzano, sono dotate anche di tanto buon gusto. Il laboratorio sartoriale "Gomito a Gomito" viene aperto nella sezione femminile del carcere Dozza di Bologna nel dicembre del 2010. Amministrazione penitenziaria e Cooperativa ‘Siamo Qua le parti coinvolte nello studio prima e poi nella realizzazione del progetto, con la presenza in tutte le fasi della Garante dei diritti dei detenuti, e del suo ufficio. Il nome "Gomito a Gomito" oltre alla dislocazione geografica (il carcere di Bologna si trova in via Del Gomito) fa riferimento allo spazio "ristretto" e l’affollamento vengono superati dalla contiguità quotidiana di chi entra tutti i giorni in laboratorio e anche da quelli che coadiuvano dall’esterno, in comunione di intenti. Tutti i prodotti confezionati sono legati dallo stesso filo conduttore: recuperare, attraverso idee originali e sempre nuove, materiali considerati di scarto, dandogli una seconda vita. "Tutto quello che utilizziamo - spiegano i membri dell’associazione - ci viene donato da aziende, associazioni, negozi o cittadini sensibili all’iniziativa, che in questo modo ci sostengono e ci permettono di ridurre al minimo le spese di acquisto, per concentrare il ricavato esclusivamente negli stipendi delle lavoratrici. L’attenzione che si riserva al "non spreco" e all’utilizzo di materiali non più commerciabili non è comunque una mera ricerca di risparmio, ma una politica che si vuole perseguire per tutta la conduzione del laboratorio". Busto Arsizio: presentato ieri il libro "Ecoscandagli", a cura del Gruppo Angelo www.varesenews.it, 23 settembre 2014 È stato presentato il frutto di un laboratorio di scrittura svolto all’interno del carcere e curato dall’Azienda sanitaria. Il lavoro è pubblicato dal Gruppo Angelo, che raggruppa alcuni tossicodipendenti attualmente detenuti. È stato presentato ieri mattina, lunedì 22 settembre, nella Casa circondariale di Busto il libro "Ecoscandagli" a cura del Gruppo Angelo. Si tratta di una raccolta di racconti scritti dai detenuti nel corso di un progetto di pre-comunità per persone tossicodipendenti. Il Gruppo Angelo è composto da persone detenute che hanno problemi di tossicodipendenza, una dipendenza che è all’origine della loro pena detentiva. Nel corso di quest’anno 2014, il Gruppo ha svolto un laboratorio di scrittura, voluto dalla Direzione dell’Istituto, dall’Area Trattamentale, dagli Agenti di Rete, e curato nel suo sviluppo dagli operatori del Dipartimento Dipendenze dell’ASL della Provincia di Varese. Ed è proprio durante questa attività che sono stati realizzati dai detenuti alcuni racconti. Uno in particolare è stato scritto a più mani, da tutti i componenti del gruppo. L’attività laboratoriale parte dal presupposto che il riconoscimento delle proprie responsabilità è passaggio fondamentale nel progetto riabilitativo individuale e di gruppo. La lettura e la scrittura sono strumenti per parlare di sé e delle proprie emozioni. Inserire la lettura e la scrittura in percorsi educativi e creativi vuol dire porre le condizioni migliori perché le persone che hanno ricchezza di problematicità e di potenzialità siano autori inediti della propria vita. Rinforzare coi fatti ciò che ci si attende dai programmi di innovazione, apre il carcere al territorio, e mette in circolo le risorse professionali degli enti, dei servizi, delle associazioni, dei privati, nonché dei giovani studenti. L’obiettivo del progetto di pre-comunità è la messa alla prova di un’efficace progettualità coordinata ed integrata. Il Dott. Silvio Aparo, editore della Casa Editrice Melino Nerella e lo scrittore Patrizio Pacioni, coinvolti direttamente nell’esperienza, hanno favorito la stampa del libro "Ecoscandagli" e curato la scrittura della sceneggiatura dal titolo "Il Lettore", oggetto di un medio metraggio, da realizzare all’interno della casa circondariale di Busto Arsizio entro la fine del corrente anno, interpretato dai detenuti del Gruppo, con il contributo professionale di una giovane regista del Dams, in collaborazione con l’Università di Bologna. Alla presentazione del libro sono intervenuti il Direttore della Casa Circondariale Dott. Sorrentini, l’Assessore ai servizi sociali del Comune di Busto Dott Cislaghi, il Direttore Generale Asl Dott.ssa Lattuada, il Direttore Sociale dell’Asl Dott. Gutierrez, il Direttore del Dipartimento Dipendenze Asl Dott. Marino, l’editore Aparo, l’autore Pacioni, I bibliotecari della rete provinciale, i professionisti dei Servizi SerT dell’Area trattamentale della Casa Circondariale, gli Agenti di Rete. Ecoscandagli racconta la vita dei detenuti per droga (www.prealpina.it) Un libro di racconti che scioglie le catene. E permette a chi sta fuori di leggere nel cuore di chi sta dentro. S’intitola Ecoscandagli il volume curato dal Gruppo Angelo, opera scritta da alcuni detenuti del carcere di Busto Arsizio, sotto la supervisione dell’autore Patrizio Pacioni e dell’editore Silvio Aparo della "Melino Nerella". Il Gruppo Angelo è composto da persone detenute che hanno problemi di tossicodipendenza, quale elemento determinante degli atti devianti, per cui stanno scontando la pena detentiva. Nell’anno 2014, il Gruppo Angelo ha svolto un laboratorio di scrittura, voluto dalla direzione dell’istituto di pena, dall’Area trattamentale, dagli agenti di rete, e curato nel suo sviluppo dagli operatori del Dipartimento dipendenze dell’Asl di Varese. Da questa attività è derivata una pubblicazione di racconti scritti dai singoli detenuti e uno in particolare è stato scritto a più mani, da tutti i componenti del gruppo. Del resto, riconoscere le proprie responsabilità è il passaggio fondamentale nel progetto riabilitativo individuale e di gruppo. La lettura e la scrittura sono strumenti per parlare di sé e delle proprie emozioni. In molti momenti della quotidianità carceraria, si può leggere un libro o un articolo di giornale, scrivere una lettera o una poesia, o dettagliare delle richieste personali. Inserire la lettura e la scrittura in percorsi educativi e creativi vuol dire porre le condizioni migliori perché le persone che hanno ricchezza di problematicità e di potenzialità siano autori inediti della propria vita. Soprattutto quando, ristretti in carcere, possono riprenderla in mano e riprogettare il loro domani. Il tempo dell’attesa così pregnante in carcere può trasformarsi in un tempo per la crescita e l’apprendimento, anche di nuove modalità espressive. Rinforzare coi fatti ciò che ci si attende dai programmi di innovazione, apre il carcere al territorio, e mette in circolo le risorse professionali degli enti, dei servizi, delle associazioni, dei privati, nonché dei giovani studenti. L’obiettivo del progetto di pre-comunità è la messa alla prova di un’efficace progettualità coordinata e integrata. Silvio Aparo, editore della casa editrice Melino Nerella e lo scrittore Patrizio Pacioni, coinvolti direttamente nell’esperienza, si sono resi disponibili alla stampa del libro Ecoscandagli e alla scrittura della sceneggiatura dal titolo Il Lettore, oggetto di un medio metraggio, da realizzare all’interno della casa circondariale di Busto Arsizio entro la fine del 2014, interpretato dai detenuti del Gruppo, con il contributo professionale di una giovane regista del Dams, in collaborazione con l’Università di Bologna. Ravenna: Dante entra in carcere, sabato una serata speciale alla Casa circondariale Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2014 La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, sabato sera, ha assistito alla rappresentazione messa in scena dal regista Beppe Aurilia presso il cortile passeggi della Casa Circondariale di Ravenna, "Dante entra in carcere - L’Amore", nell’ambito delle celebrazioni di "Ravenna per Dante", con il coinvolgimento dei detenuti della Casa Circondariale, gli studenti del Liceo Classico "Dante Alighieri" di Ravenna, il coro di voci bianche "Ludus Vocalis" ed il gruppo gospel "Bless the lord". È il terzo anno che, grazie all’iniziativa e all’impegno della direttrice Carmela De Lorenzo, ed alla sinergica collaborazione di tutto lo staff dell’istituto, con spettacoli in cui i detenuti sono nella veste di protagonisti, il carcere si apre alla comunità cittadina. L’esperimento risulta più che riuscito, peraltro migliorando di edizione in edizione. Importante la risposta del pubblico che ha partecipato numeroso all’evento, con una decisa vicinanza da parte del mondo istituzionale (tra gli altri, il sindaco, il prefetto, il presidente del consiglio provinciale, assessori e consiglieri comunali), ed anche con i familiari dei detenuti-attori nella platea. Hanno recitato sullo stesso palco detenuti, studenti del liceo e bambini, creando un’atmosfera particolarmente gradevole e coinvolgente. Roma: l’omosessualità femminile per la prima volta nella sezione trans di un carcere Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2014 Oggi, 23 settembre, a Rebibbia proiezione del docufilm "L’altra altra metà del cielo", di Maria Laura Annibali, presidente dell’Associazione DìGay Project. L’Associazione DìGay Project (Dgp) sarà per la prima volta nella sezione trans di un carcere con il documentario realizzato dalla presidente Maria Laura Annibali, con la regia di Laura Valle, "L’altra altra metà del cielo", in cui l’autrice intervista se stessa e altre donne omosessuali. La proiezione, unica nel suo genere, nasce grazie al lavoro pregresso e presente di molte persone: capo Dipartimento dell’ormai scomparso Ministero per le Pari opportunità, la consigliera Patrizia De Rose, il direttore generale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino e il garante dei detenuti del Lazio, l’avvocato Angiolo Marroni - firmatari nel 2012 di uno specifico protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto della violenza e discriminazione nei confronti delle persone lgbt in regime di detenzione. Alla proiezione interverranno la presidente Dgp e autrice del docufilm Maria Laura Annibali, Imma Battaglia, consigliera Sel di Roma Capitale, Antonella Montano, psicoterapeuta, direttrice Istituto T. Beck, ed Edda Billi, presidente onoraria Associazione Federativa Femminista Internazionale. "Sono già due gli incontri che ho fatto nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, rispettivamente il 7 novembre ed il 3 dicembre 2013, cui si aggiunge quello per la prima volta nel carcere maschile, lo scorso 9 maggio - dichiara l’autrice, Maria Laura Annibali - e portare questo documentario in una casa circondariale è per me un successo: ma farlo per la prima volta in una sezione trans è un piccolo atto di coraggio. Indica che un percorso importante è stato avviato, grazie al lavoro di associazioni come la nostra e grazie soprattutto alla sensibilità delle tante figure che hanno sostenuto e permesso questa iniziativa. Da persona profondamente cristiana e da attivista volontaria per i diritti, voglio essere vicina a chi soffre col mio umile contributo di documentarista lgbt. Questa, unita alle precedenti occasioni, è certamente una delle più belle esperienze umane della mia vita, che mi commuove e allarga il cuore, seguendo quel filo sottile - come direbbe Edda Billi - che separa le nostre fragili libertà da quelle infrante dei detenuti. Perché parlare di lesbismo in un carcere? Per restituire a queste persone l’immagine della realtà di un mondo - il nostro - spesso sconosciuto anche fuori dal carcere e per questo carico di pregiudizi, che noi con queste iniziative vogliamo contribuire a dissipare, con l’auspicio, nel tempo, di riuscire a costruire una realtà più inclusiva rispetto a tutte le forme in cui possono declinarsi l’identità e la diversità". Riferimenti stampa: Micaela Clemente, 3460292128. Cinema: "Comandante", il film di Enrico Maisto visto da un Magistrato di Sorveglianza di Roberta Cossia Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2014 Domenica scorsa ero un po’ stanca, reduce da uno di quei matrimoni senza fine, ma alla fine sono stata contenta di aver trovato la forza di andare allo Spazio Oberdan di Milano a vedere Comandante, il documentario-film di Enrico Maisto, figlio ventiseienne del collega Franco. Avevo già letto qualcosa sulla trama del film, mi aveva attirato Franco quando mi aveva scritto che in parte era stato girato a Cuba, dove sono stata quest’estate, viaggione di tre settimane con la famiglia su cui ancora devo raccogliere le idee. Le prime immagini in effetti sono girate a Cuba, in un interno, ma finché il regista non ha spiegato bene la genesi del film, appaiono scollegate con il resto della storia. Del film mi ha colpito la narrazione che si svolge su tre piani diversi e complementari: la relazione padre-figlio, la relazione amicale tra il Magistrato e Felice e la narrazione dell’esperienza di magistrato di sorveglianza; vi è anche un cenno alla relazione Enrico bambino-Felice, ma più sfumato. Mi ha colpito, innanzitutto, la scelta di girare un film intervistando il proprio padre, mi ha colpito la leggerezza dei 26 anni del regista e nello stesso tempo la fatica di porsi delle domande che riguardano un genitore di cui non si comprendono appieno le scelte di vita, mi ha colpito il fatto che una storia che doveva essere raccontata in tutt’altra direzione è poi divenuta un’occasione per scavare nella vita del proprio papà, con quello stile " un po’ inquisitorio" che alla fine lo stesso figlio-regista rifiuta, perché lo vede come insoddisfacente. Mi ha colpito anche la grande umanità con cui il magistrato, il papà, l’amico di Felice, uno con l’aria di quei reduci che si incontrano a Cuba, ha raccontato il mestiere del Magistrato di Sorveglianza, ha rivendicato il valore e la dignità di un lavoro che è al confine del diritto, un mestiere che ha come obiettivo e come principio base quello di intercettare i profili della personalità dei condannati e di cercare di trovare, nella maglie della legge, quel trattamento individualizzato di cui parla l’ordinamento penitenziario, che dovrebbe portare a restituirli alla società come persone migliori. Mi ha colpito perché anch’io sono Magistrato di sorveglianza, ormai da 11 anni e tante volte nel mio ufficio al settimo piano del Palazzo di Giustizia di Milano mi sono sentita sola e impotente, quando si cerca un’interpretazione della legge che sia meno penalizzante per i condannati, quando si va a fare un giro per le celle di San Vittore o per il Centro Clinico di Opera o per il Conps o per il reparto protetti e ci si sente in grave difetto per non aver fatto niente, per non aver fatto di più. Mi ha colpito la rivendicazione del diritto-dovere del magistrato di Sorveglianza di interpretare la legge e non solo di applicarla, parole che non si sentono più da anni, perlomeno nel mondo giudiziario. Ho sentito molto vicina la difficoltà di svolgere un mestiere come questo in un’epoca come la nostra, dove tutto si consuma in tempi brevissimi, comprese le relazioni umane e dove non è rimasto tempo per provare a capire, provare ad andare al di là di quello che sembra, di quello che emerge dalle carte: una difficoltà che è accentuata anche dal fatto che, nel mondo giudiziario, il nostro è un lavoro totalmente ignorato, per non dire disprezzato perché considerato molto distante dal puro diritto e più assimilato ad una sorta di attività di assistenza sociale. Mi ha colpito la grande difficoltà del figlio che si interroga sulla figura del padre, sulla relazione tra due, ormai, adulti che si conoscono ma non si conoscono fino in fondo, una difficoltà che il figlio-regista riconosce chiaramente, ma che non sa compiutamente affrontare. Mi ha colpito, infine, la dolcezza del rapporto di amicizia che lega il Magistrato e Felice, due uomini che hanno fatto scelte radicalmente diverse ma in fondo in fondo uguali, animati come sono, entrambi, da un profondo senso di giustizia, legati da un’amicizia che non si interroga e che non ha dubbi, perché questo è un amico, uno a cui si parla in modo diretto senza chiedersi troppo il senso delle parole, uno su cui si può contare in modo incondizionato ed in qualunque situazione, uno che forse , in passato, ti ha anche salvato la vita, senza nemmeno fartelo pesare. E proprio l’intreccio di queste tre relazioni affettivo-amicali mi è parsa la forza della narrazione e del film più in generale, perché di tutt’e tre queste relazioni il regista ha saputo rendere la grande dolcezza di fondo e la grande profondità. Alla fine del film ho pensato ai miei figli , ho pensato che, spendere delle energie, per un figlio, per girare un film sul proprio padre significa averne assimilato l’essenza, il messaggio ed aver imparato ad averne rispetto, un po’ quello che ho vissuto io con mio padre e che spero di riuscirgli a trasmettere. Radio: Joseph Stiglitz, il sovraffollamento delle carceri e il profitto "costituzionale" di Marco Valerio Lo Prete Il Foglio, 23 settembre 2014 Oggi la terza puntata, su Radio Radicale, di "Oikonomìa, alle radici del dibattito economico contemporaneo", mini rubrica in pillole. Sul blog pubblicherò il testo di ogni puntata. Sono ben accetti idee, consigli e critiche (scrivere a loprete@ilfoglio.it). La situazione delle carceri italiane può essere analizzata da diversi punti di vista. Il primo ovviamente è quello per cui la violazione della legalità e dello stato di diritto, da parte e all’interno del nostro sistema giudiziario, genera diverse conseguenze negative tra cui il sovraffollamento degli istituti penitenziari. C’è poi un approccio meramente umanitario che guarda alle condizioni dei detenuti. Infine, indicazioni utili possono venire dall’applicazione dei principi dell’economia di mercato all’universo carcerario. E quest’ultimo è un approccio finora sottovalutato. Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, già consigliere economico del presidente democratico degli Stati Uniti Bill Clinton, scrive tra l’altro: "Le economie di mercato forniscono informazioni e incentivi attraverso i prezzi, i profitti e i diritti di proprietà". I prezzi forniscono informazioni circa la scarsità relativa dei diversi beni. Il sistema dei prezzi assicura che i beni siano attribuiti a quegli individui o a quelle imprese che ne hanno maggior desiderio, e che sono maggiormente in grado di pagare per essi. I prezzi quindi convogliano verso le imprese le informazioni relative a quanto gli individui valutano i diversi beni. Poi il desiderio di realizzare profitti induce le imprese a rispondere alle informazioni che arrivano dai prezzi. Esse rendono massimi i profitti se riescono a produrre ciò che i consumatori desiderano e se riescono a farlo nel modo più efficiente. Allo stesso modo anche i consumatori rispondono ai prezzi. Comprano per esempio i beni che sono più costosi soltanto nella misura in cui questi beni comportano benefici proporzionalmente maggiori. "Affinché però la motivazione del profitto sia efficace - scrive Stiglitz - dev’essere possibile per le imprese trattenere almeno una parte di quei profitti. Per le famiglie d’altro canto deve essere possibile ottenere almeno una parte di ciò che hanno guadagnato o ricevuto come rendimento dei loro investimenti. In altre parole devono esistere la proprietà privata e i diritti di proprietà a essa connessi". Ecco cosa intende Stiglitz quando dice che "le economie di mercato forniscono informazioni e incentivi attraverso i prezzi, i profitti e i diritti di proprietà". Poi ovviamente esistono dei vincoli che limitano le scelte. Parliamo, nella nostra vita quotidiana, di vincoli di bilancio e vincoli di tempo. questi vincoli valgono anche per le imprese, ne definiscono le "possibilità di produzione". Questi princìpi piuttosto basilari si applicano anche al mondo carcerario, almeno lì dove agli operatori di mercato è consentito muoversi. Quindi non ancora in Italia, ma sì negli Stati Uniti, dove da anni gli operatori privati possono concorrere, attraverso bandi pubblici, alla costruzione e alla gestione degli istituti penitenziari. Per questo è da lì che la scorsa settimana è venuta un’indicazione interessante, riportata dal Wall Street Journal. In particolare le parole di Damon Hininger, amministratore delegato di Corrections Corporation of America (Cca). Corrections Corporation of America è la più grande società privata che si occupa di istituti penitenziaria: gestisce 60 carceri, ha 15mila dipendenti e sotto la sua responsabilità ha 70mila detenuti. 70 mila detenuti su oltre 2 milioni di detenuti in tutti gli Stati Uniti, ma una cifra comunque considerevole visto che in Italia i detenuti sono appena sotto le 60mila persone. Hininger in questa intervista ha spiegato che dagli Stati con cui la sua società ha stipulato dei contratti arrivano negli ultimi anni due indicazioni: la richiesta di risparmiare i soldi del contribuente e quella di diminuire il sovraffollamento. Per l’operatore privato compaiono dunque vincoli di bilancio e operativi. Lui risponde - e questo è interessante - che il modo più efficiente per andare incontro a queste richieste è aggredire la recidiva. (In diritto penale, la ricaduta nel reato di una persona già in precedenza condannata con sentenza o decreto irrevocabile). La recidiva è un problema in Italia ma anche negli Stati Uniti. Infatti uno studio del Dipartimento di Giustizia, su dati che vanno dal 2005 al 2010, dimostra che su ogni 4 detenuti che escono da un carcere americano, 3 sono reincarnerai nel giro di 5 anni. Hininger sostiene che aggredire la recidiva si può fare in un unico modo: incrementando le possibilità di formazione e di lavoro per i detenuti, non solo all’interno degli istituti. Il Wall Street Journal in proposito cita uno studio della Rand Corporation sul tema. Secondo il think tank, spendere 140mila-174mila dollari su programmi educativi per 100 ipotetici detenuti farebbe risparmiare 1 milione di dollari in tre anni per i mancati costi di re-incarcerazione. È interessante il fatto che un operatore privato, ragionando in base ai meccanismi visti prima - cioè prezzi, profitti, diritti di proprietà, con l’aggiunta di vincoli dall’esterno - arriva di fatto a una soluzione che collima quasi alla lettera con il dettato costituzionale sulla "rieducazione" del condannato. L’articolo 27 della Costituzione italiana recita infatti che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". E la rieducazione del condannato è esattamente la soluzione che il più grande gestore privato di carceri negli Stati Uniti intende adottare per rispondere alle esigenze di finanza pubblica e di rispetto dei diritti umani di quel Paese. India: ambasciata chiede anticipo udienza per Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni Ansa, 23 settembre 2014 Bisognerà attendere fino al prossimo 28 ottobre e non è detto che il processo alla Corte Suprema di Nuova Delhi, abbia inizio. Per Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, da quattro anni e mezzo in carcere a Varanasi, condannati all’ergastolo nei primi due gradi di giudizio, perché accusati della morte di un compagno di viaggio, l’odissea non è ancora finita. "La data fissata dalla Suprema Corte per la prossima udienza è martedì 28 ottobre. Tuttavia i legali, dietro le nostre pressioni e dell’Ambasciatore a Delhi Daniele Mancini, presenteranno una richiesta affinché il caso sia messo in elenco già martedì 14 ottobre, ultima data utile prima delle festività indiane del Diwali", ha detto la mamma di Tomaso Bruno, Marina Maurizio, ancora in India col marito Euro Bruno. "Purtroppo questa storia - aggiunge la madre del ragazzo di Albenga - è un’odissea senza fine. Per fortuna Tomaso conosce bene la giustizia indiana, sempre incerta nei tempi. La speranza è comunque quella che il processo possa iniziare ora e non subire magari rinvii in vista della festività che qui spesso durano anche diverse settimane". Norvegia: carceri sovraffollate, il Governo vuole trasferire 1.300 detenuti nei Paesi Bassi www.ilpost.it, 23 settembre 2014 I due Paesi stanno valutando una soluzione provvisoria per affrontare il sovraffollamento delle carceri da una parte e la sovrabbondanza di spazi dall’altra. Nelle scorse settimane, per tentare di trovare una soluzione al problema del sovraffollamento delle sue carceri, il ministero della Giustizia della Norvegia ha presentato un piano per il trasferimento di alcune centinaia di detenuti norvegesi in carceri olandesi - il tutto dopo aver ricevuto la disponibilità da parte dei Paesi Bassi, dove invece ci sono più guardie e dipendenti dei penitenziari che detenuti. Attualmente in Norvegia ci sono circa 1.300 condannati a una pena detentiva per reati di vario genere per i quali non ci sono posti letto nelle carceri che dovrebbero ospitarli. "Sono stati condannati in tribunale ma non abbiamo posti in carcere, quindi sono in attesa e continuano a vivere nelle loro case e a camminare per le strade, ed è una cosa molto difficile per noi da accettare", ha detto Vidar Brein-Karlsen, un segretario di stato del ministero della Giustizia. I detenuti trasferiti nei Paesi Bassi sarebbero sorvegliati da guardie norvegesi, ha detto Vidar Brein-Karlsen, che ha anche risposto a chi ritiene che sarebbe molto più complicato per i norvegesi andare a visitare i propri familiari detenuti nei Paesi Bassi. "La Norvegia è un paese molto grande, e qualche volta capita che persone condannate nel sud vengano poi incarcerate nel nord. La distanza da Oslo ai Paesi Bassi è inferiore". Il piano proposto dal ministero della Giustizia deve ancora essere votato dal parlamento norvegese; in caso di approvazione, i trasferimenti potrebbero cominciare all’inizio del 2015. Il trasferimento fa parte di un grande investimento della Norvegia, di circa 537 milioni di euro, per il rinnovo e il miglioramento delle strutture carcerarie. Tra i detenuti interessati da questa iniziativa - quelli con pene uguali o superiori ai due anni di carcere - ci sono persone condannate per aggressione e violenza sessuale, mentre i prigionieri ritenuti ad alto rischio - come Anders Behring Breivik, che nel 2011 uccise 77 persone nelle stragi di Oslo e Utøya - resterebbero invece in carceri norvegesi. Anche i Paesi Bassi - che già ospitano 550 detenuti belgi, secondo un piano del 2009 simile a questo della Norvegia - trarrebbero benefici da questa iniziativa. "In Norvegia hanno un problema di capienza con le carceri, e noi, ora come ora, di sovrabbondanza di spazi", ha detto il ministro della Giustizia dei Paesi Bassi, Fred Teeven, specificando che questo piano permetterebbe di salvare 700 posti di lavoro. La popolazione carceraria nei Paesi Bassi era di poco più di 11 mila detenuti alla fine del 2012, ed è diminuita progressivamente fin dal 2008: 19 strutture carcerarie rischiano per questo di essere chiuse. Per ospitare i detenuti belgi - che si trovano in un carcere vicino al confine con il Belgio - i Paesi Bassi ricevono circa 40 milioni di euro all’anno. Il sovraffollamento delle carceri in Norvegia, secondo gran parte dei commentatori, è in parte dovuto alla necessità di maggior tempo per costruire carceri migliori e più spaziose. Gli investimenti norvegesi recenti per l’ammodernamento delle strutture penitenziarie - "le più umane al mondo", secondo TIME - hanno portato la Norvegia ad avere uno dei tassi di recidività più bassi al mondo, come spiegato in un articolo su Businessweek. Slovacchia: ergastolani trasferiti in carceri meno rigide, a contatto con gli altri detenuti Buongiorno Slovacchia, 23 settembre 2014 In seguito alle raccomandazioni formulate dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti, che si occupa dei diritti dei detenuti nei paesi dell’Ue, la Slovacchia ha deciso di ampliare la gamma di strutture carcerarie che possono ospitare i condannati all’ergastolo. Fino ad oggi i prigionieri incarcerati a vita possono scontare la pena solo a Leopoldov (nella regione di Trnava) e a Ilava (nella regione di Trencin). Ma d’ora in poi i condannati potranno essere inviati anche nei carceri di massima sicurezza di Banska Bystrica e Ruzomberok (nella regione di Zilina), che già soddisfano tutti gli standard per imprigionare gli ergastolani. Una caratteristiche che eviterebbe adeguamenti costosi e spese supplementari. Inoltre, secondo il Comitato questi prigionieri dovrebbero progressivamente essere mescolati con detenuti che hanno commesso reati meno gravi. Secondo le informazioni raccolte dal quotidiano Pravda, già dall’inizio di quest’anno un certo numero di detenuti condannati per crimini violenti sono stati trasferiti a Banska Bystrica da altre carceri di massima sicurezza, altri starebbero arrivando. Oggi sono 41 i detenuti condannati all’ergastolo ospitati nelle carceri di Ilava e Leopoldov. Egitto: 105 Fratelli musulmani a giudizio, tra loro il leader del gruppo, Mohamed Badie Aki, 23 settembre 2014 La Procura della Repubblica egiziana ha rinviato a giudizio 105 esponenti dei Fratelli Musulmani, tra cui il leader del gruppo Mohamed Badie, per incitamento alla violenza e all’omicidio durante le manifestazioni seguite alla rimozione dell’ex presidente islamico Mohammed Morsi lo scorso 3 luglio. Ne dà notizia l’agenzia di stampa Mena spiegando che gli imputati sono accusati di aver commesso atti violenti nella provincia di Ismailia sul Canale di Suez che portò all’uccisione di tre cittadini. Badie, che è in carcere da un anno, era stato in precedenza condannato a morte con accuse simili, ma il Grand Mufti ha rifiutato l’esecuzione della pena per assenza di prove. Il leader islamico è stato anche condannato a 25 anni di carcere la scorsa settimana. Cina: condannato all’ergastolo l’intellettuale uiguro Ilham Tohti Adnkronos, 23 settembre 2014 È stato condannato all’ergastolo l’intellettuale uiguro messo sotto processo in Cina con l’accusa di aver incitato la popolazione al separatismo. Lo ha reso noto il difensore di Ilham Tohti, l’avvocato Liu Fangping al termine del processo, durato appena due giorni, in un tribunale della regione dello Xinjiang, la provincia cinese dove risiede una forte comunità uigura. La polizia ha arrestato Tohti, di 44 anni, lo scorso gennaio nel suo appartamento di Pechino dove era docente di economia all’Università centrale nazionale, e poi lo ha trasferito in un carcere nello Xinjiang, dove è nato. Era stato rifiutato l’appello presentato dai suoi avvocati per far trasferire il suo caso a Pechino. Insieme a Tohti a gennaio sono stati arrestati anche sei suoi studenti che, si ritiene, siano ancora in prigione. Il caso ha attirato l’attenzione e le critiche di governi occidentali e gruppi per la difesa dei diritti umani, che hanno ricordato che il professore sia un moderato impegnato a promuovere un miglioramento delle relazioni tra la comunità uigura e le autorità cinesi. Questo processo "servirà solo a far crescere la percezione di una discriminazione contro gli uiguri", aveva denunciato Human Rights Watch in occasione dell’inizio del processo.