Giustizia: voci dal carcere in Mp3… centinaia le ore di registrazione, indagini in corso di Eleonora Martini Il Manifesto, 20 settembre 2014 Violenze. Nell’istituto di Parma un detenuto registra le conversazioni con agenti e operatori. "Centinaia di ore di registrazione che sono lo spaccato della condizione carceraria". Indagine interna del Dap "nel rispetto della magistratura". Ma l’inchiesta della procura non decolla. "Centinaia di ore di conversazioni registrate nel carcere di Parma, ma anche in quello di Prato dove è stato recluso il mio assistito. Le ho fatte analizzare da un consulente. Sono più di una testimonianza, è una bomba: è uno spaccato di vita carceraria". L’avvocato Fabio Anselmo non nega un certo tempismo nell’aver reso pubbliche le trenta registrazioni contenute in tre Mp3 che Rashid Assarag - 40 anni, detenuto per stupro e sequestro di persona - ha realizzato di nascosto mentre parlava con agenti, medici, psicologi e altri operatori penitenziari dei pestaggi avvenuti e, a suo dire, subiti tra le mura del carcere. Il resoconto è stato pubblicato ieri sul sito e sul numero di edicola de L’Espresso, a pochi giorni dall’inizio del processo d’Appello sulla morte di Stefano Cucchi, dove Anselmo rappresenterà la famiglia del giovane detenuto romano. "Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu", sembra ammettere nelle registrazioni uno dei 390 agenti del carcere di Parma rispondendo alle domande insistenti di Rashid, che allora era uno dei circa 700 detenuti di quell’istituto. E in un’altra conversazione, secondo L’Espresso: "Comandiamo noi, né avvocati né giudici - afferma un’altra guardia. Come ti porto, ti posso far sotterrare. Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io". Assarag cerca in ogni modo di far parlare i funzionari: "Perché tutta quella violenza?", chiede. "Perché ti devi comportare bene", è la risposta. E ancora, su una chiazza di sangue che "è ancora lì, non ho pulito da quel giorno, lo vedi?", incalza il detenuto. "Sì, ho visto", è la apparente conferma. Correva l’anno 2011 e in quel carcere c’erano stati già altri episodi di violenza tanto che l’allora comandante degli agenti, Augusto Zaccariello, prima di andare via a metà 2011, aveva sentito puzza di bruciato sulla rottura di un timpano di un altro detenuto, Aldo Cagna, e aveva denunciato tutto in procura. I poliziotti ritenuti responsabili sono stati condannati a 14 mesi di reclusione. Nelle celle di Parma, Rashid Assarag ha registrato a lungo, grazie a un piccolo apparecchio che sua moglie, Emanuela d’Arcangeli, è riuscita a fargli avere. "Ma evidentemente non eravamo soli - racconta la signora - perché gli operatori in carcere non sono tutti brutti e cattivi: c’era anche chi era nauseato da ciò che vedeva, pur nella difficoltà di rompere il muro di omertà". La donna sostiene di essersi rivolta subito al Dap e di aver portato la denuncia in procura a Parma, senza però aver mai avuto alcun riscontro. Viceversa Assarag risulta più volte indagato e in un caso perfino già sotto processo in seguito alle decine di informative presentate contro di lui per oltraggio e resistenza al personale penitenziario. Dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (ancora senza un capo, dal 27 maggio), il vicario Luigi Pagano ha fatto sapere di aver aperto un’inchiesta interna e di aver inviato a Parma una visita ispettiva, pur assicurando di non voler "interferire con il lavoro della magistratura". Nulla di più facile, sembrerebbe. L’inchiesta interna del Dap è stata accolta "con favore" dal sindacato Sappe che, insieme al Cnpp, raccoglie il maggior numero di aderenti tra gli agenti penitenziari di Parma. Ma non senza una punta di risentimento: "Considerati i controlli serrati, è strano che un registratore fosse finito nelle mani di un detenuto - ha detto il leader del Sappe Donato Capece - ho il sospetto che il fatto sia strumentale o usato ad arte per denigrare l’operato dei baschi azzurri, proprio nel momento in cui si sta definendo con esito positivo la vertenza per lo sblocco dei tetti salariali delle forze dell’ordine". Un carcere, quello di Parma, in cui è "critica" anche la situazione sanitaria, secondo quanto denunciato ieri dal Garante regionale dei detenuti, Desi Bruni. Il centro clinico interno, gestito dall’Ausl, che dovrebbe operare da pronto soccorso, sarebbe sovraffollato anche per il ricovero di reclusi provenienti da altri istituti. Inoltre, "intere sezioni ordinarie - ha detto Bruni - sono occupate da detenuti affetti da gravi patologie, nell’attesa di essere ricoverati nel centro clinico". Un tassello in più per capire la vita da reclusi. "Mio marito ha sbagliato e il suo posto è il carcere - dice la signora D’Arcangeli - ma in questi anni nessuno lo ha aiutato nel "recupero". Anzi, ha pagato caro ogni sua denuncia contro le violenze. Siamo andati avanti per spingere gli altri detenuti ad avere più coraggio. Perché non voglio che a casa torni un uomo peggiore di quello che è entrato. Il carcere sì, ma quello della Costituzione". Giustizia: Orlando; amnistia? un tema "indigeribile" elettoralmente e anche politicamente Agi, 20 settembre 2014 "Se non vogliamo che sia la fiera dell’ipocrisia, dobbiamo dire che è un tema elettoralmente indigeribile e spesso anche politicamente". Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, durante il congresso dell’Unione Camere Penali Italiane, ha risposto a una domanda sulla fattibilità di un provvedimento di amnistia. "Da quando è stato deciso che per votarlo serve una maggioranza dei 2/3 - ha poi aggiunto - è diventata un’ipotesi di scuola. Non riusciamo a mettere assieme una maggioranza dei 2/3 sul superamento del bicameralismo, figuriamoci su amnistia e indulto", ha concluso. Orlando ha anche rivendicato i risultati ottenuti sulla diminuzione della popolazione carcerari. "In questo momento abbiamo 54mila detenuti e abbiamo avuto una forbice fra posti disponibili e carcerati che aveva raggiunto anche i 20mila detenuti e che ora si è molto ristretta", ha chiosato. In questo senso, per il ministro della Giustizia, "hanno fatto di più il sovraffollamento e la condanna di Strasburgo che tutte le tabule rase fatte in passato". "Oggi, grazie allo stimolo esterno, abbiamo conquistato alcuni obiettivi che sono acquisiti una volta per tutte" e questo traguardo è stato "realizzato contro corrente rispetto al senso comune della società", ha concluso. Spigarelli (Ucpi): chiedere scusa a Napolitano Sarebbe opportuno chiedere scusa al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per come è stato trattato "in certi passaggi, in certe trasmissioni televisive, su certi giornali, a proposito della vicenda del "processo trattativa" (fra lo Stato e la mafia, ndr) e anche perché, nonostante i suoi ammonimenti sul tema della condizione di vita dei detenuti nelle carceri, non si è riusciti a fare nulla per "recuperare la dignità perduta con la sentenza di condanna della Corte europea dei diritti". A sostenerlo, nel suo discorso al XV congresso dell’Unione Camere Penali Italiane, il presidente, Valerio Spigarelli. "In questi anni il presidente Napolitano ha svolto un ruolo fondamentale per non far tracimare il sistema giustizia ancor di più - ha continuato Spigarelli - chiedendo prima di tutto il rispetto del principio di separazione dei poteri, alla politica ed anche alla magistratura. Egli ha costantemente ammonito il Parlamento a operare una riforma complessiva e strutturale, ha inutilmente mandato messaggi per far trovare alle forze politiche quel coraggio e quell’orgoglio nazionale che avrebbe potuto, con un provvedimento di amnistia per i detenuti, farci recuperare la dignità perduta con la sentenza di condanna della Corte Europea dei diritti che ci aveva, sic et simpliciter, dichiarato nazione che tratta in maniera disumana, dicesi disumana, le persone che tiene in carcere". Sul processo sulla trattativa Stato Mafia, poi, Spigarelli ha aggiunto che a Napolitano sono stati rivolti "insulti e maldicenze talmente velenose da spezzare il cuore a uno dei suoi collaboratori più vicini" (Loris D’Ambrosio, ndr). Giustizia: l’Unione delle Camere penali boccia la riforma "non affronta questioni nodali" Italia Oggi, 20 settembre 2014 Una pseudo-riforma. Non piace ai penalisti la riforma della giustizia approvata dal governo "perché non tocca la Costituzione e accanto a cose buone inserisce una serie di previsioni discutibili assieme ad altre francamente inaccettabili". Il presidente dell’Unione delle Camere penali, Valerio Spigarelli, apre il XV congresso della sua organizzazione ribadendo le critiche alla riforma del governo; soprattutto perché non affronta questioni nodali, a cominciare dalla separazione delle carriere in magistratura. E chiede perciò di migliorarla. Il leader dei penalisti esprime soddisfazione solo per quello che grazie a loro è stato evitato. Attraverso il dialogo con il ministro della giustizia Andrea Orlando e il suo vice Enrico Costa l’Ucpi ha "incassato" l’abbandono di alcune scelte definite "molto negative" (come l’innalzamento a 8 anni della prescrizione per tutti i reati e la cancellazione del divieto di inasprire una condanna quando a impugnarla è il solo imputato); ma soprattutto ha ottenuto l’inserimento nel pacchetto della riforma della responsabilità civile dei magistrati, che "costituiva un tabù, oggi caduto". Il Consiglio nazionale forense, per bocca del suo segretario Andrea Mascherin, promuove a metà il disegno di legge di riforma del processo penale. "L’obiettivo del disegno di legge", ha detto Mascherin, "è quello giusto ed è declinato nella corretta priorità: rafforzare le garanzie difensive e assicurare la ragionevole durata del processo penale". Tuttavia, "serie criticità" riguardano invece la riforma del giudizio abbreviato, delle impugnazioni e soprattutto dell’appello; così come "altri profili critici" attengono alla sentenza di condanna su richiesta dell’imputato e alla prescrizione. Giustizia: Associazione Giovani Avvocati; riformare il sistema, ma guardando all’Europa Asca, 20 settembre 2014 Una riforma della giustizia, e con essa dell’Avvocatura, che "vada oltre titoli e slogan e che metta in campo scelte concrete in nome di una maggiore efficienza del sistema e di un servizio vero al cittadino". Una riforma capace "di rompere gli schemi, che guardi all’Europa come scrigno di buone prassi e di soluzioni concrete, un’Europa come nuovo spazio per le professioni e non come realtà dalla quale difendersi". Si discuterà di questo al Congresso straordinario dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga), convocato a Foggia per venerdì 26 e sabato 27 settembre, dal titolo "Direzione Europa: riformare fuori dagli schemi". In programma anche un confronto con il ministro della giustizia, Andrea Orlando. "Tante volte, nella storia del nostro Paese - spiega la presidente di Aiga Nicoletta Giorgi - si è parlato di riforma del Paese, di svolte epocali, di cambi di rotta. Oggi è tempo di agire, di mettere in campo una serie di azioni concrete e condivise, anche guardando ai tanti modelli di giustizia efficiente che l’Europa ci offre". L’obiettivo: prendere in esame l’attuazione della legge di riforma dell’avvocatura da un lato e la riforma del processo dall’altro per comprendere se davvero il sistema giustizia italiano si sta preparando per competere ad armi pari in Europa. "Le riforme richiedono il coraggio di abbandonare vecchi schemi, di guardare all’efficienza, abbandonando inutili corporativismi e miopi visioni conservatrici. In questo progetto la collaborazione del governo, il sostegno del parlamento, e il confronto con avvocatura e magistratura sono ingredienti indispensabili. Da Foggia diremo il nostro sì al cambiamento, attendendoci altrettanto da tutte le altre forze in campo". Sono quattro le sessioni in cui saranno suddivisi i lavori congressuali. La prima, la mattina di venerdì 26 settembre, sarà dedicata alle trasformazioni dei regolamenti della Legge professionale, con un confronto con le altre avvocature europee. Il pomeriggio del venerdì sarà invece interamente dedicato - con la seconda sessione - al Pacchetto Giustizia: oltre al Ministro della Giustizia Andrea Orlando, sono stati invitati alcuni rappresentanti delle principali forze politiche: il sottosegretario alle Riforme Ivan Scalfarotto (Pd), il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Francesco Paolo Sisto (Fi), l’europarlamentare Nicola Caputo (Pd) e i componenti della Commissione Giustizia della Camera Andrea Colletti (M5S) e Alessia Morani (Pd) e del Senato Nico D’Ascola (Ncd) ed Erika Stefani (Lega). La terza sessione, in programma per la mattinata del sabato, sarà dedicata a un confronto sulla nuova governance dell’avvocatura, con la partecipazione del presidente dell’Oua Nicola Marino, del presidente di Cassa Forense Nunzio Luciano, del componente del Cnf Andrea Pasqualin, della presidente dell’Anf Ester Perifano, del presidente dell’Uncc Renzo Menoni e della presidente di Aiga Nicoletta Giorgi. La quarta sessione sarà invece dedicata al dibattito congressuale. Giustizia: Consulta, botti finali di una crisi dagli esiti imprevedibili di Andrea Colombo Il Manifesto, 20 settembre 2014 Donato Bruno, il forzista che tenta la strada della Corte costituzionale, sarebbe indagato a Isernia. Manca ancora parecchio a martedì prossimo, ed è ovvio che una classe politica abituata a vivere alla giornata tiri il fiato. Ma tutti si rendono conto che quella sarà una data fatidica, l’ultima chance per sbloccare l’impasse delle nomine per la Consulta e il Csm senza precipitare in una crisi dagli esiti imprevedibili. Perché se anche il ticket Bruno-Violante dovesse cadere, dopo quello Catricalà-Violante, difficilmente le truppe dei candidati sconfitti farebbero passare altri al loro posto. E il capo dello stato, finito nel vuoto il suo appello, sta perdendo la pazienza e potrebbe prendere in considerazione interventi più drastici. La strada non è in discesa. Anzi. Il fatto nuovo è la notizia dell’avviso di garanzia ai danni di Donato Bruno, il papabile forzista. Sarebbe stato raggiunto dall’avviso a Isernia, per il fallimento della Ittierre nel 2009. Possibile imputazione pesante: "Interesse privato del curatore negli atti del fallimento". Mica scherzi. Comunque la si metta, è una storiaccia. La notizia è stata data dal Fatto, il diretto interessato smentisce e annuncia querela ai danni del direttore del quotidiano giustizialista. Ma, essendo improbabile che i togati abbiano passato una bufala al "loro" giornale, è inevitabile sospettare che la poco lieta novella sia stata fatta pervenire al giornale ancora prima che all’interessato. Forza Italia fa quadrato e conferma la candidatura. Il Pd annaspa nell’imbarazzo. La vice Serracchiani si limita a confermare che "il nostro candidato è Violante". Però, senza impegnarsi troppo, ripete anche la lezioncina del maestro Matteo, per cui "l’avviso serve all’indagato, per fare chiarezza". Chiacchiere. Il fattaccio sarebbe una grana coi fiocchi anche in condizioni normali, figurarsi in quelle disastrose in cui versano le nomine in questione. Una parte del Pd già proprio non ce la faceva a supportare Bruno, considerato il pargolo di Cesarone Previti. Con l’avviso di mezzo non se ne parlerà proprio. Sel aveva accettato di votare Violante (con parecchi mal di pancia) in cambio della nomina al Csm della sua candidata Paola Balducci, ma su Bruno non si era mossa di un dito. Quanto al più volte colpito ma non ancora affondato Luciano Violante, anche lì il voto di martedì sarebbe comunque a massimo rischio. Berlusconi prosegue nella trattativa con la Lega per strappare la determinante trentina di voti necessari ma i plenipotenziari di Salvini esigono in cambio un candidato forzista come targa, ma per tutto il resto gradito al Carroccio. Non è facile trovarlo ed è molto più difficile imporlo alla riottosa massa di parlamentari incontrollabili. Dunque anche senza l’intervento a gamba tesa di Isernia e del Fatto, la partita sarebbe stata complicata. Con l’avviso, se confermato, diluvierà sul fradicio. Buona parte della truppa azzurra ha già dimostrato di tenere in poco conto gli ordini di scuderia al momento di votare Violante. Una volta abbattuto Bruno, i reprobi potrebbero moltiplicarsi. In una vicenda gestita nel peggiore dei modi, la conferma della paralisi sulla Consulta, martedì, si porterebbe dietro anche quella del Csm, dove la faccenda è per certi versi più delicata perché mentre la Consulta può comunque lavorare, fino alle nomine e oltre l’organo di autogoverno della magistratura è in panne. Per il già furibondo Napolitano potrebbe essere la goccia finale (anche se parecchi in Parlamento addebitano proprio alla sua insistenza su Violante il guaio). Sopporterebbe una definitiva fumata nera se il ricambio fosse già pronto, ma così non è. La caduta del ticket lascerebbe Consulta e Csm nel caos. Creando così una situazione pericolosa, perché se Renzi e Berlusconi si accorderanno davvero su una legge elettorale che, assegnando alla lista il premio di maggioranza, falcidierebbe i partiti minori, le camere si riempiranno all’istante di deputati e senatori pronti a cogliere ogni occasione per far saltare il tavolo e votare subito. Con una legge elettorale molto più favorevole di quella che incombe dietro l’angolo. Giustizia: Nitto Palma (Fi); non sono il regista occulto dello stallo su Consulta e Csm Adnkronos, 20 settembre 2014 "Non sono il regista occulto dello stallo elettorale per la Consulta ed il Csm". L’ex guardasigilli Nitto Francesco Palma, oggi presidente della commissione Giustizia del Senato, risponde così, in una intervista a Il Mattino, a chi lo accusa di aver messo in campo grandi manovre alle spalle del partito. Nitto Palma respinge l’idea che una parte di Forza Italia in Campania stia votando contro le indicazioni di Berlusconi. "Assolutamente no. I parlamentari campani di Forza Italia - risponde - sono totalmente allineati alle posizioni del presidente Berlusconi. Ho l’impressione che tale voce sia alimentata da chi, volendo celare il proprio agire, non esita a fornire una fasulla rappresentazione di quello che sta accadendo". L’impasse che ha bloccato l’elezione, sottolinea Nitto Palma, non è riconducibile ad una questione di nomi: "per quanto riguarda Forza Italia no. E la dimostrazione è che, fin da subito, i candidati della maggioranza sono stati eletti, mentre noi abbiamo dovuto attendere diverse votazioni per l’elezione della senatrice Casellati e, a tutt’oggi, non registriamo l’elezione del senatore Zanettin il quale, giova ricordarlo, ha sostituito l’onorevole Vitali non voluto dal Pd. Per il resto, come è percepibile in Transatlantico, l’elezione alla Consulta è bloccata da una fronda Pd. Se così non fosse, sia Violante che Bruno sarebbero già stati eletti", conclude Nitto Palma. Giustizia: trattativa Stato-mafia, si indaga sugli 007 in carcere di Salvo Palazzolo La Repubblica, 20 settembre 2014 Una domanda sta lacerando i palazzi dell’antimafia. C’è un suggeritore dietro Sergio Flamia, l’ultimo pentito di Cosa nostra che ha seminato dubbi sul processo Stato-mafia? Il procuratore generale Roberto Scarpinato e i pm del pool trattativa indagano sul ruolo svolto da un agente segreto dell’Aisi, che dal 2008 ha raccolto le confidenze dell’ex boss di Bagheria. In questi ultimi anni, le soffiate di Flamia hanno consentito un centinaio di arresti, ricompensati dai Servizi con 150mila euro. Poi, nei mesi scorsi, all’improvviso, il boss è uscito allo scoperto ed è diventato un collaboratore di giustizia. Ora, fra le cose che sta mettendo a verbale, ce ne sono alcune che potrebbero scagionare definitivamente il generale Mario Mori, già assolto in primo grado dall’accusa di aver favorito la latitanza del capomafia Provenzano. L’indagine sulle nuove dichiarazioni è scattata perché nella sua lunga confessione Flamia non aveva fatto alcun accenno ai rapporti con l’intelligence. Ma negli archivi della procura c’erano delle vecchie intercettazioni al proposito: i pm Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi le hanno contestate al neo pentito. Nel 2009, durante un colloquio in carcere con il figlio, il boss parlava chiaramente di un suo contatto nei servizi segreti. E avrebbe detto pure dell’altro, che rimane misterioso. Flamia accennava ad alcuni "problemi" del suo contatto. Quali erano i "problemi" dello 007? Sarà solo una coincidenza, ma in quei giorni il pentito Spatuzza parlava del personaggio rimasto senza nome che incontrò nel garage dove si caricava l’autobomba per il procuratore Borsellino. I pm di Palermo hanno chiesto spiegazioni a Flamia. Lui ha ammesso di aver avuto frequentazioni con i Servizi, ma ha minimizzato sui colloqui col figlio. In queste ultime settimane, è stata una corsa contro il tempo per Scarpinato e per il suo sostituto Luigi Patronaggio: il 26 settembre, inizierà il processo d’appello per Mori, e l’accusa vuole smentire il nuovo testimone Flamia, sostenendo che sia il frutto di un’operazione a tavolino, architettata non si sa da chi. Di certo, il caso ha rilanciato anche le indagini dei pm dell’inchiesta trattativa sulle visite dei Servizi nelle carceri. Il neo pentito ammette di avere incontrato il suo contatto anche nel periodo in cui era detenuto. I magistrati hanno convocato Giovanni Tamburino, l’ex capo del dipartimento delle carceri, e gli hanno chiesto notizie dei rapporti con gli 007: l’audizione è arrivata presto al "Protocollo farfalla", che prevede quei contatti. "Mi sono state chieste informazioni su tre detenuti", ha messo a verbale Tamburino. Nel 2012, i Servizi volevano avere notizie su Rosario Cattafi, che pochi giorni prima aveva chiesto di parlare con i pm della trattativa. Un’altra coincidenza. Tamburino ha consegnato ai pm il protocollo (su cui peraltro nei giorni scorsi Renzi ha tolto il segreto di Stato). Ha spiegato però che "non gli risulta" di incontri fra agenti e boss al 41 bis. "Ma non posso escluderlo", ha aggiunto. C’è da fugare il dubbio che qualche 007, con la scusa di carpire notizie, possa aver coperto esponenti di Cosa nostra. Oppure, trattato con loro. Giustizia: ex boss mafia pagato dai Servizi segreti, i Pm indagano sul "Protocollo farfalla" www.affaritaliani.it, 20 settembre 2014 Mafia, servizi, trattative, omicidi, depistaggi. Sono questi gli ingredienti di tanti segreti italiani degli ultimi decenni. La Procura di Palermo indaga su un nuovo inquietante capitolo sul capomafia di Bagheria, Sergio Flamia. L’ex boss, da tempo collaboratore di giustizia, ha ammesso di aver preso soldi dagli 007. Aveva smentito il teste-chiave sui fatti del ‘92-’93, Luigi Ilardo. Il sospetto è che sia stato indottrinato e utilizzare per depistare. E i pm di Palermo ritrovano il fantomatico "Protocollo Farfalla" che contiene l’accordo segreto Servizi-Dap. Riemergono vecchie ombre inquietanti sulle indagini della Procura di Palermo. Aperto un fascicolo su Sergio Flamia, l’ex boss di Bagherìa. Sono emersi rapporti sotterranei tra Flamia e i Servizi Segreti. Come riporta Repubblica, Flamia "ha ammesso di avere preso soldi dagli 007, circa 150 mila euro. Ha raccontato di essersi consultato con loro in un momento determinante della sua carriera criminale, la "punciuta" rituale. In quell’occasione, un esponente dell’intelligence lo avrebbe invitato ad intensificare la sua partecipazione in Cosa nostra" e "persino dopo l’inizio della sua collaborazione con i magistrati. Un episodio strano, perché durante i sei mesi previsti dalla legge per le dichiarazioni del neo pentito, solo la magistratura può avere contatti con i mafiosi che decidono di passare dalla parte dello Stato". Il sospetto è Flamia sia stato utilizzato per screditare il testimone cardine sulla vicenda della trattativa, vale a dire Luigi Ilardo. Si tratta di un vecchio gioco, quello del pentito ammaestrato in grado di screditare testimoni e depistare indagini. Ammaestrati da Cosa Nostra e, talvolta, persino dai Servizi. E la grande, grandissima novità, è che il "Protocollo farfalla" non è più un protocollo fantasma. La Procura di Palermo, che ha aperto un’inchiesta, ha rinvenuto il documento che conterrebbe un accordo tra il Sisde e il Dap (Dipartimento per gli affari penitenziari), che risalirebbe al 2004, attraverso cui i servizi di sicurezza potevano "operare" in segreto all’interno delle carceri senza alcun tipo di autorizzazione formale. Del "protocollo" si è sempre parlato, fino ad ora però si è trattato solo di voci. Ma i magistrati della Procura di Palermo che indagano sulla trattativa tra Stato e mafia sono riusciti a scovare a Roma il documento acquisendolo al fascicolo. L’indagine condotta dai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene ha preso spunto dai contatti tra i servizi segreti e il collaboratore di giustizia Sergio Flamia, contatti "ammessi" dallo stesso pentito. Le dichiarazioni sono state trasmesse alla Procura generale per essere inserite nel dibattimento d’appello contro il generale dei carabinieri Mario Mori, accusato di favoreggiamento per la mancata cattura di Provenzano (ma assolto in primo grado). A sollecitare alla Procura la nuova indagine è stato il procuratore generale Roberto Scarpinato che, assieme al sostituto Luigi Patronaggio, sostiene l’accusa contro Mori. I pm stanno indagando a 360 gradi: dal caso Flamia, al ‘Protocollo farfallà alle dichiarazioni fiume di Totò Riina al suo compagno Alberto Lorusso, detenuto al 41 bis, eppure informato di molti fatti con cui spesso sollecita la memoria dell’anziano boss corleonese. Il documento di cui i magistrati sono entrati in possesso non è stato sottoscritto. Sarebbe datato 2004: all’epoca il Dap era guidato da Giovanni Tinebra (dal 1992 al 2001 capo della procura di Caltanissetta che seguì le indagini sulle stragi del 1992; attuale Pg a Catania) mentre Mori era al vertice del Sisde, il servizio segreto civile. Successivamente - dal 2007 - furono introdotte alcune norme per "regolamentare" l’attività degli 007 nelle carceri imponendo, ad esempio per i colloqui con i detenuti, l’autorizzazione da parte della presidenza del consiglio. Ma, a quanto pare, grazie al "Protocollo farfalla", almeno per il caso Flamia, le norme sarebbero state aggirate. Nei primi giorni di settembre il Pg Scarpinato ha ricevuto una lettera di minacce, poggiata sul tavolo del suo ufficio, al primo piano, del piano di giustizia, uno dei palazzi più blindati d’Italia, ma in cui, "ignoti" e ben informati sarebbero penetrati, approfittando di alcune "falle" della sicurezza. Un "invito a fermarsi", diretto a Scarpinato che arriva proprio mentre i magistrati indagano sui rapporti tra servizi segreti, mafia, massoneria e terrorismo nero. Giustizia: ricorso a Corte di Strasburgo, per il condannato Berlusconi una vittoria morale di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 20 settembre 2014 Se la Corte europea deputata a giudicare sulla tutela dei diritti dell’uomo ammette il ricorso di Berlusconi sulla sentenza di condanna per frode fiscale, non significa che Berlusconi sia innocente, ma che non erano manifestamente infondate le sue doglianze sui modi con cui si era arrivati alla sentenza. Per il condannato Berlusconi è indubbiamente una vittoria morale. Non ammetterlo non sarebbe onesto. Come sarebbe poco onesto non riconoscere che per la giustizia italiana si è scritta in Europa una brutta pagina. Una giustizia orgogliosa e sicura di sé non dovrebbe nemmeno essere sfiorata dal sospetto di aver anche solo marginalmente violato i diritti di un suo cittadino. Invece può accadere che quel sospetto sia avanzato. Con un passaggio giuridico sorprendente per tutti, forse anche per la stessa difesa dell’imputato Berlusconi. Sorprendente certamente per chi ha considerato il ricorso dei legali di Berlusconi come l’ennesimo espediente dilatorio, come l’ennesima manovra platealmente "ostruzionistica" per impedire di giungere alla parola fine di una vicenda giudiziaria che si era conclusa con una sentenza di condanna definitiva dopo il verdetto della Cassazione, nell’agosto del 2013. Per questo oggi appare meno limpido il tono perentorio con cui si è decisa la decadenza di Berlusconi dal Senato in applicazione restrittiva della legge Severino. Sulla non applicabilità retroattiva di quella legge si erano espressi un anno fa molti giuristi, anche non vicini allo schieramento berlusconiano: a cominciare proprio da quel Luciano Violante, ironia della storia, la cui candidatura alla Corte costituzionale viene in questi giorni sabotata dai franchi tiratori in Parlamento. Ma le forze politiche favorevoli alla decadenza hanno voluto bruciare i tempi, liquidando il ricorso di Berlusconi alla Corte dei diritti dell’uomo come un escamotage palesemente infondato. A Strasburgo dicono che però non fosse poi così infondato, o comunque immeritevole di essere esaminato più approfonditamente. Dunque non la colpevolezza o l’innocenza di Berlusconi devono essere riesaminate. Ma la correttezza delle procedure nel corso dell’iter che ha portato alla condanna. Per questo la pagina di Strasburgo non è una buona notizia per lo standard "civile" della nostra giustizia. Per questo non bisognerebbe mai più sottovalutare gli argomenti di chi si considera vittima di un sopruso giudiziario. Anche se poi un verdetto finale dovesse dar torto a Berlusconi. Una storia infinita, ma piena di insegnamenti. Abruzzo: Uil-Pa; videoconferenza per tutti i processi, bene la proposta di Gratteri www.primadanoi.it, 20 settembre 2014 Meno spostamenti per detenuti e agenti penitenziari e un risparmio di 70 milioni di euro. Di diverso vi è soltanto la stima dei milioni che si risparmierebbero qualora tutti i processi venissero svolti in video conferenza: 70 milioni di euro. La Uil-Pa Penitenziari Abruzzo apprezza e non poco l’intervento del procuratore Nicola Gratteri, attuale presidente della commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta alla criminalità organizzata, il quale si è così espresso nel momento in cui è stato chiamato a dare un contributo sul tema delle videoconferenze: "videoconferenza per tutti i soggetti detenuti, a qualsiasi titolo. Se un detenuto è a Tolmezzo e il processo è in Calabria ci vogliono 5 uomini di scorta, 6 biglietti aerei da Verona o da Venezia fino a Reggio Calabria e in più la scorta col furgone da Tolmezzo a Verona. Bisogna dare la possibilità anche all’avvocato di poter stare in udienza dal suo studio in videoconferenza. Così facendo noi risparmiamo 70 milioni di euro". Effettuare videoconferenze significherebbe per il mondo penitenziario abruzzese effettuare un minor numero di spostamenti con conseguenti minori rischi derivanti dall’utilizzo di mezzi che gli agenti definiscono "obsoleti ed alquanto pericolosi". Ma soprattutto, fa notare il sindaco, maggiori risparmi che potrebbero essere utilizzati per favorire lo sblocco dei contratti ed un conseguente miglioramento delle condizioni economiche dei poliziotti. "Se così si facesse, infatti", spiega il vice segretario Mauro Nardella, "i poliziotti non sarebbero costretti ad effettuare a volte fino a 20 ore consecutive di lavoro per poter racimolare qualche euro in più rispetto ai 1300 euro rappresentanti il loro stipendio normale rischiando, così come già accaduto per i 5 colleghi vittime dell’incidente di Melfi, di rimetterci la vita. Oltre ad avere qualche soldo in più inoltre i colleghi operanti all’interno del contesto penitenziario disporrebbero positivamente della loro presenza in carcere per cui più sopportabile diverrebbe il carico di lavoro al quale attualmente sono costretti a sottostare. Per effettuare una traduzione infatti si ha bisogno di una scorta formata almeno da 4 persone. Per una videoconferenza ne basterebbe una". Sardegna: Sdr; sanità penitenziaria, un appello all’Assessore regionale Luigi Arru Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2014 "La medicina penitenziaria anche in Sardegna è parte integrante dei servizi garantiti dalla Regione a tutti i cittadini. Il passaggio tuttavia non è stato facile e indolore. La riforma del 2008 è arrivata al traguardo nel 2011 con strascichi polemici e inadempienze. A tutt’oggi però Sdr riceve continue segnalazioni - non solo da Cagliari ma anche da Sassari e da Oristano - di inefficienze e carenze". Lo sostiene in un’articolata lettera inviata all’assessore regionale della Sanità Luigi Arru, la presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" Maria Grazia Caligaris, invitandolo a "un personale approfondimento su un tema troppo a lungo trascurato al punto che non è mai stato attivato con continuità, l’Osservatorio della Sanità Penitenziaria, inaugurato tuttavia nel 2012". "C’è un serio problema di assistenza - sottolinea Caligaris - per quanto riguarda per esempio l’odontoiatria. È irrisolto nelle diverse Asl l’uso delle attrezzature. Gli aspetti più problematici sono però legati al sistema di garanzie rispetto ai livelli essenziali di assistenza. L’organizzazione è molto carente innanzitutto perché i ristretti non possono far riferimento a un "medico di base". "Si rileva un via vai di Sanitari ciascuno dei quali propone una cura diversa e/o prescrive medicinali e/o esami che un altro - osserva la presidente di Sdr - annulla in quanto li ritiene superflui. L’unico luogo in cui i detenuti hanno riferimenti certi è il Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino dove però non mancano i disagi". "Ci sono poi le problematiche dei tossicodipendenti, dei malati psichiatrici e di quelli con doppia diagnosi. I gesti autolesionistici sono all’ordine del giorno e le situazioni non possono essere risolte soltanto con psicofarmaci e/o ricoveri nel Servizio Psichiatrico. Il ricorso agli specialisti esterni e agli strumenti diagnostici è viziato da tempi biblici che non permettono interventi tempestivi. Spesso le visite nelle strutture ospedaliere slittano di mese in mese determinando situazioni di alta criticità, non sempre poi senza pesanti conseguenze". "È fondamentale la collaborazione con le strutture esterne pubbliche e/o private. Attualmente la situazione risulta irrazionale. La pletora di personale medico e infermieristico non è supportata da linee guida ben definite e il Centro Clinico di Cagliari è ormai un reparto di geriatria con persone addirittura di 76, 83 e 85 anni. Osservare la situazione dentro le strutture penitenziarie significa per la Regione trovare un modo per rendere più umana la permanenza di chi deve scontare una pena ma anche individuare strutture alternative. Indispensabile è istituire tetti di spesa specifici per detenuti in modo che possano accedere a residenze sanitarie, comunità e/o case famiglia". "Il nuovo Piano Sanitario - osserva ancora Caligaris - suggerisce una sua visita nel carcere di Buoncammino, nelle strutture di Bancali, Massama e Tempio nonché nel nuovo Villaggio Penitenziario di Uta per verificare di persona le oggettive condizioni logistiche e predisporre le opportune indicazioni organizzative. Non si tratta - a nostro modesto avviso - di incrementare il numero dei Sanitari in servizio - ma di fare in modo che sia stabilito un ruolo esclusivo per chi opera all’interno della struttura detentiva in modo da garantire continuità terapeutica. È inoltre indispensabile, nel caso di Uta, che l’ambulanza del 118 vi permanga stabilmente. Il progetto di utilizzare il presidio di stanza a Teulada non sembra poter essere utilmente impiegato in caso di emergenza. Il servizio sanitario regionale - conclude - ha ormai assunto un compito che non può più derogare anche sul piano della formazione di tutti gli operatori. La crescita culturale impone il riconoscimento dei diritti, unico strumento per riabilitare coloro che hanno sbagliato. Occorre quindi più umanità. Parma: la visita della Garante regionale Bruno "situazione critica per il Centro diagnosi" www.parmatoday, 20 settembre 2014 Sarebbero ancora critiche le condizioni del centro diagnostico del carcere di via Burla secondo quanto dichiarato a seguito di una visita dalla garante regionale dei detenuti Desi Bruno. L’altro ieri 18 settembre, la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, e il Garante di Parma, Roberto Cavalieri, hanno incontrato agli Istituti penitenziari di Parma il direttore reggente in missione, Mario Antonio Galati, e il dirigente medico referente dell’Ausl di Parma per la sanità penitenziaria, Francesco Ciusa. Nella struttura carceraria, al 18 settembre risultano 531 detenuti presenti (la capienza regolamentare è di 385 posti, quella "tollerata" di 652), di cui 399 condannati in via definitiva (132 gli imputati), 80 ergastolani, 61 in regime di 41bis, 276 detenuti comuni, 11 ammessi al lavoro all’esterno, 178 stranieri; 28 i ricoverati al Centro diagnostico e terapeutico (Cdt), 8 nella sezione per tetraparaplegici. Del circuito dell’alta sicurezza, fanno parte 192 detenuti. Dalla visita effettuata - secondo quanto reso noto in un comunicato diffuso, emerge la permanenza della criticità relativa alla situazione sanitaria, con particolare riferimento al Cdt gestito dall’Ausl all’interno della struttura, dove vengono assegnati i detenuti per il trattamento di patologie in fase acuta o cronica. Per disposizione dipartimentale, continuano a essere inviati a Parma detenuti malati da altri istituti di pena, ben oltre il numero dei posti di ricovero disponibili, con la risultante, sottolinea l’Ufficio del Garante regionale, "che intere sezioni ordinarie sono occupate da detenuti affetti da gravi patologie, nell’attesa di essere ricoverati nel centro clinico". Tale criticità è stata da tempo segnalata dalla Garante alle autorità competenti, in particolare al ministro della Giustizia e ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), chiedendo una razionalizzazione delle assegnazioni al centro clinico di Parma, da effettuare solo a condizione della possibilità di un’effettiva presa in carico. Allo stato, "non risulta sia stata invertita la tendenza in atto, anzi si registra un aumento delle assegnazioni, con detenuti che giungono a Parma in ragione di sfollamenti di altri centri clinici nazionali". Si segnalano ulteriori recenti investimenti da parte dell’Ausl di Parma, relativi all’acquisto di macchinari medici che consentiranno di effettuare esami specialistici all’interno della struttura penitenziaria, incidendo positivamente sul carico di lavoro della Polizia penitenziaria di cui è nota la difficoltà a garantire gli accompagnamenti all’esterno dei detenuti. Infine, persiste la mancanza di un medico specialista in urologia. Si è appreso che esiste un progetto per provvedere all’arredo degli spazi detentivi della Sezione Iride, destinata ai detenuti in isolamento disciplinare, sanitario e giudiziario, anche in linea con quanto segnalato dalla Garante regionale e dal Garante di Parma che, con apposita nota, avevano chiesto al Provveditorato regionale di modificare in maniera sostanziale le condizioni dell’isolamento, per tutelare l’equilibrio psico-fisico delle persone. Al momento, sono sospesi i lavori relativi alla costruzione del nuovo padiglione. Una recente disposizione legislativa ha stabilito la decadenza dall’incarico del Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie, adottato dal ministro della Giustizia, di concerto con il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, che definirà le misure necessarie per assicurare la continuità e il raccordo delle attività già svolte nell’ambito del cosiddetto Piano carceri, ossia il piano di intervento per realizzare nuove infrastrutture carcerarie, per l’adeguamento e il potenziamento di quelle esistenti. La Garante regionale e il Garante comunale hanno effettuato colloqui con i detenuti. Le principali segnalazioni riguardano la materia sanitaria e la territorialità della pena, con la richiesta di favorire il trasferimento in istituti penitenziari più vicini al luogo di residenza della famiglia; inoltre, i detenuti del circuito differenziato dell’alta sicurezza chiedono, anche in ragione dei lunghi periodi detentivi che li riguardano, un potenziamento delle opportunità trattamentali, con particolare riguardo allo studio e al lavoro. Parma: denuncia de "l’Espresso", il Dap apre un’inchiesta sui presunti pestaggi in carcere Adnkronos, 20 settembre 2014 "Sui fatti di Parma abbiamo aperto un’inchiesta interna, affidata a un nostro dirigente generale. Stiamo inviando nel carcere una visita ispettiva". Lo dice all’Adnkronos Luigi Pagano, reggente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in merito a un servizio de "l’Espresso" su presunte violenze nelle carceri di Parma. Nell’articolo, si riportano le parole di una guardia carceraria dello stesso penitenziario, registrata di nascosto da un detenuto, la quale confessava: "Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu". "Non interferiamo con il lavoro della magistratura - precisa Pagano - ribadendo la piena fiducia nell’operato degli inquirenti, offriamo la più ampia collaborazione perché si faccia luce su questa vicenda. È altrettanto necessario che da parte nostra ci sia un esame delle dinamiche interne", rimarca il reggente del Dap. "Il nostro obiettivo è la trasparenza - scandisce Pagano - abbiamo tutto l’interesse a fare piena chiarezza, come abbiamo sempre fatto anche in altri casi, perché venga affermata sempre e comunque la legalità, a tutela di tutti, e vengano rispettati i diritti dei detenuti ma anche l’assoluta professionalità dei nostri agenti di polizia penitenziaria da cui vogliamo allontanare ogni minimo sospetto". In questo quadro di trasparenza, annuncia Pagano, "la prossima settimana, il Dap pubblicherà un report su quanti interventi hanno fatto i baschi azzurri sventando tentativi di suicidi di detenuti, atti di autolesionismo". "E questo - conclude il reggente del Dap - oltre ai tanti compiti che gli agenti di polizia penitenziaria ogni giorno sono chiamati ad assolvere, con responsabilità". Sappe: bene inchiesta Dap su presunti pestaggi a parma "Accogliamo con favore l’inchiesta interna disposta dal Dap nel carcere di Parma. La polizia penitenziaria non ha nulla da temere: ogni giorno i baschi azzurri salvano la vita a decine di detenuti pur lavorando in una situazione di carenza di organico e senza risorse finanziarie". Lo dice all’Adnkronos Donato Capece, leader del Sappe, in merito alle presunte violenze nel carcere di Parma. "È strano, però, che fosse finito un registratore nelle mani di un detenuto -spiega Capece - considerati i controlli serrati che avvengono negli istituti di pena. Secondo le nostre ricostruzioni, inoltre, il fatto risalirebbe ad alcuni fa. Ho il sospetto che sia strumentale o usato ad arte per denigrare l’operato dei baschi azzurri". "E questo - fa notare il leader del Sappe - proprio nel momento in cui si sta definendo con esito positivo la vertenza per lo sblocco dei tetti salariali alle forze di polizia. Il carcere - conclude Capece - è, e deve essere, una casa trasparente, dove tutti possono vedere e non aver dubbi sull’operato della polizia penitenziaria". Ugl: attendiamo esito indagini su presunte violenze "Manifestiamo piena fiducia nell’operato degli inquirenti ed auspichiamo che sia fatta presto chiarezza sulla vicenda delle presunte violenze nel carcere di Parma. Non si può però mettere in discussione l’immagine di un’intera categoria che da quasi 200 anni svolge un ruolo di alto contenuto sociale". Così in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, commenta l’articolo pubblicato oggi da l’Espresso, aggiungendo che "ci sorprende il tempismo con cui è stata diffusa la registrazione delle conversazioni tra un detenuto ed alcuni operatori di Polizia Penitenziaria su presunti pestaggi, sia perché risalenti al 2010, sia perché riguardanti una delle strutture più sicure ed efficienti d’Italia, dove i sistemi di controllo degli accessi non consentono agevolmente di introdurre supporti tecnologici". "Auspichiamo che anche l’inchiesta interna avviata dal Dap contribuisca ad accertare l’integrità morale ed istituzionale degli agenti. Qualora invece fossero accertate oggettive responsabilità personali - conclude il sindacalista - riteniamo che ciò non possa comunque ripercuotersi sulle oltre 38mila unità che con professionalità, senso di appartenenza allo Stato e profonda abnegazione, operano quotidianamente tra enormi difficoltà per garantire la sicurezza negli istituti penitenziari del nostro Paese". Cagliari: da carcerati a lavoratori in Tribunale, quando il riscatto passa dall’istruzione www.sardegnaoggi.it, 20 settembre 2014 Il carcere non solo come pena ma anche rieducazione: seppure coi limiti di spazio e finanziamenti, la casa circondariale di Buoncammino tenta di offrire una possibilità ai propri detenuti. E tra questi c’è anche chi ce la fa, andando a lavorare in Tribunale. "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". È scritto all’articolo 27 della Costituzione italiana e questo è quanto provano a fare nella casa circondariale di Buoncammino. In attesa del trasferimento nella struttura più ampia di Uta, tra formazione e lavoro, ecco cosa possono fare i detenuti. "Esistono due diverse modalità di lavoro disponibili per i 355 - il numero varia tra le 350 e le 360 unità- detenuti nel carcere cittadino" spiega Monica Cardone, una delle responsabili dell’Area educativa, "intra ed extra murario. All’interno dell’istituto ci sono attività soggette a turnazione come la pulizia dei reparti e il passaggio del vitto, che occupano circa 12-14 persone. Sono mansioni che ruotano ogni mese in modo tale che tutti i detenuti abbiano la possibilità di lavorare più facilmente, anche perché, a parte qualche autorizzazione da richiedere, non sono necessarie particolari esperienze. Oltre a questi esistono anche impieghi più stabili, dei lavori di competenza, come all’interno del magazzino, in cucina, nella caserma degli agenti, attività di manutenzione ordinaria dei fabbricati". Una delle pecche più grandi del vecchio carcere che domina la città sono le aree troppo piccole. "Purtroppo a Cagliari ci sono poche possibilità" continua Cardone," vorremmo attuare corsi di formazione di preparazione al lavoro ma non abbiamo gli spazi idonei. A Uta, con finanziamenti adeguati, potremo fare tanto". Oltre al lavoro all’interno della struttura ci sono una ventina di carcerati, i cosiddetti "art.21" - non una misura alternativa, ma un modo diverso di espiare la pena - che possono abbandonare Buoncammino per svolgere un’attività lavorativa al di fuori. "Ci sono dodici persone che lavorano per l’amministrazione penitenziaria nel carcere di Uta, due occupate presso la Scuola di formazione penitenziaria di Monastir, tre che hanno una attività propria" spiega la responsabile. "Abbiamo inoltre quattro detenuti che partecipano ad un progetto di dematerializzazione di fascicoli processuali in fase di indagine preliminare, ideato dal procuratore Mauro Mura e nato dalla collaborazione tra noi, la comunità La collina e il Tribunale di Cagliari. È un lavoro iniziato il 4 marzo 2013 e dovrebbe terminare il 28 febbraio prossimo, ma esiste una buona probabilità che venga prorogato". Dal carcere al Tribunale, per lavoro, grazie ai corsi d’informatica organizzati all’interno della struttura penitenziaria. "Uno dei corsi più richiesti è quello di informatica" spiega Giuseppina Pani, altra responsabile dell’Area educativa, "il carcere possiede un’aula apposita dove, in collaborazione con docenti esterni, si tengono le lezioni. Nel corso degli anni ci sono stati corsi anche di alto livello in cui alunni particolarmente bravi si sono distinti, andando a lavorare al progetto del dottor Mura. Un riscatto che passa attraverso l’istruzione". A Buoncammino è possibile anche frequentare la scuola: sono attivi un corso per il conseguimento della licenza media e uno di alfabetizzazione seguito non solo da stranieri ma anche da italiani che, come spiega Pani, "una volta usciti dall’imbarazzo che questa situazione gli crea, manifestano la volontà di imparare e migliorare attraverso l’istruzione". Una piccola oasi nel grigiore del carcere è rappresentata dalla ricca biblioteca dove si possono prendere in prestito i libri, dove vengono organizzati reading, l’ultimo dedicato ad Ada Merini, in cui sono state portate in scena le rappresentazioni finali dei diversi laboratori teatrali degli ultimi anni. Teatro ma non solo, a Buoncammino si può evadere (con la mente) anche liberando le proprie emozioni attraverso il laboratorio di scrittura artistica, creando piccoli capolavori partendo da un ricamo a filet, plasmando la ceramica, fotografando. Perché, se è vero che gli errori vanno puniti, bisogna dare a queste persone anche la possibilità di non ripeterli. Bologna: Circolo Chico Mendes e Papillon-Rebibbia "due detenuti in 10 metri quadrati" La Repubblica, 20 settembre 2014 Contro il sovraffollamento alla Dozza le proposte del Circolo Chico Mendes e dell’associazione Papillon-Rebibbia. Ristrutturare il penitenziario della Dozza rendendolo vivibile; trasformare il carcere minorile del Pratello in un centro di accoglienza; permettere l’elezione del garante del carcere da parte delle persone e non attraverso una nomina politica. Sono alcune delle proposte avanzate dal circolo Chico Mendes e dall’associazione Papillon-Rebibbia in riferimento all’ultimo rapporto dall’Ausl sulla situazione delle carceri sotto le Due Torri. A spiegare le proposte sono Vito Totire, portavoce del circolo, e Valerio Guizzardi, dell’associazione attiva nella difesa dei diritti dei detenuti. "Vivere in due in 10 metri quadrati usando il bagno come deposito degli alimenti - ha detto Totire - non è pensabile. Per non parlare della mancanza totale di privacy". Questo è quanto emerge dal report in cui oltre al sovraffollamento si parla anche di tracce di umidità nelle cucine, la presenza di blatte morte nei corridoi interni e sterpaglie nelle aree verdi con il rischio di proliferazione d’insetti. Molti dei problemi fotografati dall’Ausl si riferiscono al carcere della Dozza, a partire dal numero degli stessi detenuti. Pur avendo ridotto la presenza di persone nella struttura, erano 892 nel precedente rapporto, esiste ancora un problema di soprannumero. Sono 789 in tutto i detenuti che si trovano rinchiusi, su una capacità di accoglienza massima di 483. Il dramma maggiore si riscontra però nel carcere giudiziario maschile, dove a essere reclusi sono in 624 su 339 posti. "In questa situazione generale è impensabile che una pena abbia una funzione rieducativa - ha commentato Totire - qui si viola la stessa Costituzione. Crescono le tensioni e questo non va bene anche in vista del reinserimento in società". A preoccupare sono anche i rischi legati alla salute e alla capacità di intervenire rapidamente in caso di necessità. "Pur essendoci un’infermeria - dice Guizzardi - ci vuole del tempo perché venga utilizzata nel caso un detenuto abbia un malore. A oggi quella stanza viene utilizzata come cella". Decisamente meglio la situazione del carcere minorile del Pratello, almeno per quello che riguarda il numero di ragazzi presenti. Sono 13, su una capienza 44 posti massimo. "In questo caso pensiamo che questa struttura vada trasformata in un centro di accoglienza. In questo modo si riesce a facilitare il recupero dei ragazzi superando il concetto della carcerazione minorile". Brescia: carcere di Canton Mombello meno pieno, ma restano tanti problemi da risolvere www.ecodellevalli.tv, 20 settembre 2014 Il problema del sovraffollamento sembra essere risolto: 140 detenuti del carcere bresciano sono stati trasferiti in una nuova ala del carcere di Cremona ed ora i detenuti sono 296, a fronte di una capienza massima di 288. Tuttavia le criticità da risolvere sono ancora molte e le soluzioni sembrano essere ancora lontane: nella struttura penitenziaria di via Spalti San Marco non vi sono adeguati spazi ricreativi e di socializzazione per i detenuti, gli allestimenti delle celle sono obsoleti, i servizi igienici inadeguati, l’edificio è vecchio, troppo vecchio, e le condizioni di vivibilità sono critiche, sebbene i detenuti non lamentino violazioni dei loro diritti. E se "il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni" (Dostoevskij, Memorie da una casa di morti), non si può di certo dire che Brescia, e più in generale l’Italia, possa essere considerata come società virtuosa in tal senso. La Corte Europea di Strasburgo ha condannato l’Italia: pur non potendo determinare la politica penale degli Stati membri, ha invitato l’Italia a trovare soluzione al problema del sovraffollamento degli istituti di pena per la riconosciuta incompatibilità del sistema carcerario italiano con l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in riferimento alla proibizione di trattamenti inumani e degradanti. Nei giorni scorsi una delegazione parlamentare del Pd ha fatto visita al carcere bresciano. Accompagnati dalla direttrice della casa circondariale Francesca Gioieni, che da tempo chiede al Governo di intervenire per ampliare il carcere di Verziano al fine di trovare soluzione alle attuali criticità di Canton Mombello, l’onorevole Luigi Manconi, il senatore Paolo Corsini e i deputati Alfredo Bazoli e Miariam Cominetti hanno fatto ingresso nella struttura. Dopo la visita hanno sottolineato l’esigenza di intervenire per migliorare i servizi igienici, i pavimenti e le nicchie per la cottura dei cibi, pur avendo appreso di buon grado le migliorie in quanto ad affollamento delle celle. Sono infatti stati eliminati i letti a castello ed in ogni cella ci sono al massimo 6 detenuti. Si rende comunque necessario, al fine di evitare che il problema del sovraffollamento si ripresenti, un ripensamento del sistema penitenziario e sanzionatorio. Le complessità delle problematiche sottese continua a ritardare gli interventi governativi e ad ora poco si è fatto in tal senso. Un’altra nota dolente del carcere bresciano è rappresentata dall’organico, essendo gli agenti di polizia penitenziaria attualmente al di sotto di trenta unità. Le finanze pubbliche e la speding review attualmente in atto sembrano non consentire altre soluzioni. Per Canton Mombello si rende necessaria, con una certa urgenza, un’azione risolutiva, più volte sollecitata dalla direttrice. I parlamentari del Pd riferiranno al Ministro della Giustizia e intendono chiedere all’amministrazione comunale di Brescia di studiare una variante al Pgt di Verziano. Basta riparazioni in economia, basta violazione dei diritti umani dei detenuti. Basta condizioni di detenzione al limite dell’umano. Trani: il Garante dei detenuti effettua prima visita in carcere "non mancano le criticità" di Luigi Lupo www.traniviva.it, 20 settembre 2014 Mancano mezzi per il Nucleo di Traduzione, le celle hanno il bagno a vista e non c’è traccia di una fermata dei mezzi pubblici. Sono alcune delle criticità sollevate dalla visita nel carcere di Trani del professor, Piero Rossi, garante regionale dei detenuti: ad accompagnarlo anche la dottoressa Bruna Piarulli, direttrice del penitenziario e il consigliere regionale, Franco Pastore. Per il garante si è trattato della prima visita formale ed istituzionale nel carcere maschile della città. "Il professor Rossi - ha commentato il consigliere Pastore - ha chiesto che lo accompagnassi riconoscendo il mio impegno civile, ancor prima di quello politico, sui temi legati al mondo carcerario e alle sue emergenze. Nel corso dell’incontro sono emerse le criticità di quella "comunità", come la definisce il Garante. Una comunità nella quale il benessere di uno dei soggetti che la compongono, ha espresso ancora Rossi, è strettamente legato a quello di tutti gli altri, perché in un carcere si è tutti nella stessa barca". Una barca, però, che ha bisogno di interventi per far sì che navighi nella miglior direzione: "Fra i problemi più sentiti - come elencati da Franco Pastore - sono stati segnalati: la mancanza dei mezzi necessari in dotazione al Nucleo di traduzione, che potrebbe apparire una questione non strettamente legata alle prerogative e alle competenze del Garante ma che, al contrario, lo è, nella misura in cui un detenuto ha tutto l’interesse a prendere parte al processo e se non può farlo esso rischia di essere sospeso, con quanto ne consegue; l’esistenza di celle che hanno il bagno a vista, una situazione degradante per tutti e lesiva della dignità dei detenuti, per risolvere la quale è stato proposto che quella parte di sezione, in attesa che sia soppressa, sia svuotata e i detenuti vengano spostati a rotazione in altre carceri". È emersa anche la mancanza di una fermata per i mezzi pubblici davanti all’istituto: "La più vicina dista 500 metri, ma si tratta di una strada priva di marciapiede e a percorrenza veloce, troppo pericolosa per i pedoni, soprattutto se ci sono bambini". E qui non manca una bacchettata all’amministrazione comunale: "La sensazione è che il comune faccia finta che il carcere non ci sia. Così, mentre da una parte compie operazioni plateali quali conferire la cittadinanza onoraria ai due carceri di Trani, come rammendato con il Garante, dall’altra a tali operazioni non fa seguire azioni concrete che facciano capire il reale interesse dell’amministrazione comunale a considerare quella comunità, parte della comunità tranese". E non è un periodo facile per chi opera all’interno della struttura dopo l’aggressione, avvenuta nei giorni scorsi, che ha colpito un agente della polizia penitenziaria: "Vorrei chiudere - ha spiegato Franco Pastore - in pieno accordo con il professor Rossi, aggiungendo che nell’elenco delle criticità emerse, alcuno, né agenti della polizia penitenziaria, né la direzione, ha fatto il benché minimo riferimento alla aggressione avvenuta nel reparto del carcere in cui vige la vigilanza dinamica. Questo vuol dire che siamo di fronte a una comunità penitenziaria matura. La vigilanza dinamica, la misura in sé e l’idea che la sottende, non sono in alcun modo in discussione". Palermo: ergastolano in fuga, cinque agenti penitenziari indagati per "procurata evasione" La Repubblica, 20 settembre 2014 La procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Pagliarelli per la fuga dell’ergastolano albanese Valentin Frokkaj, di 36 anni, di cui non si hanno più notizie. Il reato ipotizzato è procurata evasione. L’inchiesta è coordinata dai sostituti procuratori Daniele Paci e Caterina Malagoli. Bisogna capire se quel 7 maggio scorso la fuga dal carcere avvenne per un distrazione involontaria o per un accordo tra il detenuto e chi doveva vigilare. Non si esclude l’iscrizione nel registro degli indagati di altre persone. Il 7 maggio Frrokkaj è scappato dal Pagliarelli durante l’ora d’aria. L’albanese, che stava scontando una condanna a vita per aver ucciso un suo connazionale nel 2007 a Brescia e non nuovo alle evasioni, ha raggiunto il muro di cinta del penitenziario sul lato di viale Regione Siciliana e, con una corda fatta con dei lenzuoli, ha agganciato un palo della luce e scavalcato la doppia recinzione. Poi è sparito nel nulla. Per acciuffarlo era partita una clamorosa caccia all’uomo con centinaia di agenti in strada ed elicotteri, ma non c’è stato nulla da fare. Sassari: processo su spaccio di droga in carcere, per la difesa "il testimone è inattendibile" La Nuova Sardegna, 20 settembre 2014 Le domande dell’avvocato Luigi Esposito sono incalzanti. Tiene tra le mani i fogli dove sono annotate le dichiarazioni di Giuseppe Bigella, quelle che hanno messo nei guai detenuti dell’ex carcere di San Sebastiano e anche agenti di polizia penitenziaria. Ma, soprattutto, il legale ha davanti agli occhi proprio il superteste. Bigella ieri è comparso per il secondo giorno consecutivo nell’aula della corte d’assise dove si sta celebrando il processo per il traffico di sostanze stupefacenti a San Sebastiano. Secondo l’avvocato Esposito le contraddizioni nel suo racconto sono evidenti. "Giuseppe Bigella non è attendibile. Subito dopo i fatti di cui riferisce, scrive di aver avuto conferma di determinati episodi da qualcun altro, mentre nell’interrogatorio sostenuto racconta quelle stesse vicende come testimone oculare, collocandole in diversi periodi dell’anno". È solo una delle incongruenze che il legale avrebbe rilevato durante il controesame del testimone chiave. E prima di lui dubbi sull’attendibilità di Bigella erano stati sollevati anche dal collega Elias Vacca. La maxi inchiesta "Casanza" sulla droga che sarebbe circolata nel carcere di San Sebastiano fino al 2008 ha finito per mettere sotto accusa quarantacinque persone, soprattutto detenuti ed ex reclusi. Molti di loro imputati per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, altri per singoli episodi di cessione di stupefacente. E poi c’erano i tre agenti imputati di concorso esterno. Il pubblico ministero Giovanni Porcheddu attribuisce a Bigella un ruolo centrale in questo processo e in quello, parallelo, relativo alla morte in carcere di Marco Erittu, che si è concluso a inizio estate con l’assoluzione dei cinque imputati, tra i quali Pino Vandi, figura chiave anche in questa inchiesta. Bigella sostiene infatti che fosse uno dei boss nella "struttura ramificata" che si era creata all’interno di San Sebastiano e attraverso la quale la droga circolava liberamente nelle celle. Ma oggi, davanti al collegio presieduto da Salvatore Marinaro, la difesa ha fatto vacillare le certezze del teste in più di qualche occasione. Prossima udienza il 7 ottobre. Avellino: detenuti di Ariano al Castello Sforzesco di Milano, per riflettere sulla legalità www.cittadiariano.it, 20 settembre 2014 Il Sindaco e l’Amministrazione Comunale sono orgogliosi nel condividere con la Città lo straordinario riscontro positivo raggiunto dal Collettivo D:N:A-Incontri di Fotografia, nell’ambito delle attività di volontariato svolte all’interno della Casa Circondariale di Ariano Irpino. Nel Castello Sforzesco di Milano Il 26 e il 27 settembre verranno esposti gli scatti del progetto "L’ora di luce" realizzato con i detenuti del carcere, dove sono state prodotte delle opere fotografiche significative, con le quali l’Associazione Culturale Miscellanea - Collettivo D:N:A, ha deciso di partecipare a questo concorso denominato "Infiltrazioni di Legalità". L’ora di luce, progetto realizzato grazie alla grande disponibilità del Direttore della Casa Circondariale di Arino Irpino e alla passione, professionalità ed impegno dei volontari Annibale Sepe, Federico Iadarola, Luca Lombardi, Simona Spinazzola, si rivolge ai detenuti della Casa Circondariale di Ariano Irpino con l’intento di far affiorare la realtà carceraria vista dall’interno, con gli occhi del recluso; al contempo, vuole dar vita concreta all’idea che una pena efficace non può che basarsi sulla socializzazione e sull’educazione. La scelta di realizzare autoritratti vuole regalare la possibilità di vedersi con occhi diversi, di potersi raccontare in maniera personale e dire "sono e posso essere altro da ciò che la vita mi ha portato ad essere". Il ritratto permette di lavorare di lavorare su se stessi, raccontando tanto la dura consapevolezza della situazione attuale quanto la volontà di mostrarsi in modo diverso a chi c’è intorno, per cercare di andare oltre il cliché del "carcerato". Fiorisce così uno spazio dedicato a progetti e desideri, proiettati nell’autoritratto, che si trasforma anche in veicolo del messaggio da traghettare "fuori". I detenuti hanno raccolto la sfida e si sono raccontati con successo tanto da essere selezionati da "Mostrami", tra i vari progetti pervenuti solo 5 potranno essere sposti al Castello Sforzesco, L’ora di Luce è uno di questi. Sinergia tra Istituzioni e Terzo Settore che, nel mettere insieme le proprie forze, raggiungono migliori risultati. Infatti l’evento organizzato dall’Associazione "Mostrami" parla di legalità, in una mostra che si terrà nel Castello Sforzesco il 26 e il 27 settembre 2014, dove si ritiene che l’arte contemporanea possa coinvolgere il pubblico e suscitare la riflessione su importanti temi sociali come quello della legalità. Idee e interventi innovativi del Sud a confronto con le esperienze del Paese per tracciare un percorso comune Le aree tematiche: legalità, ambiente, istruzione e sviluppo 26 e 27 settembre a Milano, Castello Sforzesco. La manifestazione annuale di Fondazione "Con il Sud", promossa insieme a Fondazione Cariplo. Idee ed esperienze di buone pratiche al centro del dibattito con esperti di spicco, tra cui Raffaele Cantone e Romano Prodi. Ivra (To): l’agopuntura per aiutare i detenuti ad uscire dalla dipendenza del tabacco di Rita Cola La Sentinella, 20 settembre 2014 Agopuntura in carcere, grazie alla generosità di un medico. Obiettivo: offrire ai detenuti un trattamento per uscire dalla dipendenza del tabacco, ma in un modo non passivo. Offrire un servizio, ma dall’altra parte chiedere un impegno e la capacità di mettersi in gioco. Il fumo, va detto, in carcere assume dei tratti ossessivi visto lo stato di inerzia in cui si trovano i detenuti, costretti, da questa dipendenza, anche a sostenere costi che non si possono permettere. Quella dell’agopuntura in carcere è solo una tra le piccole proposte concrete introdotte nella casa circondariale di Ivrea sostenute da Armando Michelizza, dal 2013 garante per i diritti dei detenuti, nominato dal consiglio comunale di Ivrea. Michelizza racconterà nei dettagli i suoi primi 14 mesi di attività lunedì pomeriggio, nella sala del consiglio comunale, alle 17, nel corso di un evento aperto alla città promossa in collaborazione con la presidenza del consiglio comunale, proprio per parlare (e meglio conoscere) la casa circondariale di Ivrea. Il garante, da marzo 2013 a maggio 2014, ha parlato con 121 detenuti (tutti coloro che glielo hanno chiesto). Ha interpretato il suo ruolo con passione e fantasia e cerca di far comprendere la complessità del carcere, pezzo importante, che piaccia o meno, della comunità. Quali le richieste e i problemi? La maggior parte, 24, ha evidenziato problemi di salute, 21 questioni legate ai diritti di soggiorno sul territorio nazionale, 13 hanno chiesto un lavoro. C’è chi ha bisogno di informazioni di carattere previdenziale o legale (11) e chi denuncia un forte malessere psicologico (8) o disinteresse dell’avvocato (8) o comportamenti non corretti da parte del personale (6). Nel top delle richieste al garante emergono, però, prevalentemente i problemi legati alla salute. Michelizza è tranchant: "Se per salute si intende non solo la mancanza di malattia, ma una condizione di complessivo benessere, è palese che questo diritto in carcere non è realizzato e forse non realizzabile compiutamente". Il passaggio delle competenze al servizio sanitario nazionale (se ne occupa l’Asl/To4) per il garante ha rappresentato un miglioramento sostanziale anche sul piano concettuale, ma molto resta da fare. "La percezione che le persone detenute hanno - aggiunge - rispetto alle prestazioni ottenute, è in genere negativa fatto salvo un apprezzamento per gli operatori. E i tempi di attesa rispetto a visite, esami e interventi sono considerati inaccettabili". È vero, però, che c’è un approccio particolare: "C’è una propensione - sottolinea Michelizza - a chiedere ai servizi sanitari la soluzione ai propri malesseri attraverso un intervento magico: la pastiglia, un intervento. Molto meno viene richiesto l’aiuto a cambiare comportamenti, stili di vita, abitudini". Michelizza (e chi lo conosce lo sa) non è un uomo che asseconda. E di fronte alla tendenza alla passività che, inevitabilmente, colpisce chi è detenuto, reagisce con forza. La sua sfida di puntare al coinvolgimento dei detenuti legato alla salute comprende anche il sostegno a un corso offerto gratuitamente da un’associazione di shiatsu doshin. Certo, poi ci sono le malattie gravi, croniche, i problemi. "Dalla collaborazione fra volontari, servizio sanitario interno e professionisti generosi - dice - è nata una parziale risposta a un problema che affligge una parte considerevole di persone nel nostro carcere: dentature compromesse fino alla completa assenza". Cinema: recensione di "Comandante", vincitore Premio Aprile al "Milano Film Festival" di Oscar Magi www.questionegiustizia.it, 20 settembre 2014 Una recensione del film di Enrico Maisto vincitore del premio Aprile al "Milano Film Festival". Qualche giorno fa per la rassegna "Milano film festival" ho visto "Comandante" film scritto e diretto da Enrico Maisto, figlio di Franco Maisto e di Anna Conforti. Sono rimasto veramente stupito, emozionato e coinvolto: vedere e sentire la storia dei "nostri" anni 70 raccontata attraverso gli occhi di un ragazzo di soli 26 anni (che si ha avuto la fortuna e l’occasione di conoscere) è stato un vero privilegio ed una sorpresa bellissima. Il film è raccontato in prima persona da Enrico che, sempre fuori campo, insegue con la cinepresa un antico amico di famiglia, Felice, vecchio comunista, e suo padre Franco, in una sorta di continuo botta e risposta su cosa è accaduto molti anni prima che egli nascesse, in una Milano percorsa dalle violenze e dalle rivolte degli anni 70; in particolare Felice, meccanico e militante comunista, racconta la storia delle vite " difficili" di quegli anni, anni in cui si rischiava di venire arrestati solo per aver dato accoglienza a qualcuno, anni in cui molti scelsero la lotta armata "perché se tu chiedi una cosa giusta e nessuno ti risponde, e tu la chiedi una seconda volta ed una terza ed una quarta, alla fine c’è sempre qualcuno che...". Felice non si nasconde dietro le parole e, sebbene affermi di non aver fatto sua quel tipo di scelta, fa capire di aver ben conosciuto il clima che si respirava in quegli anni e di averne, in qualche modo fatto parte. Franco Maisto, incalzato dalle domande di Enrico, spiega il suo lavoro di magistrato di sorveglianza "di frontiera", racconta il suo essere un giudice " eretico", spiega cosa voleva dire far rispettare la Costituzione ed i diritti che dalla stessa nascevano in anni in cui molti facevano finta di non sentire o di non capire. Franco e Felice erano (e sono ancora) amici e, forse , fu in virtù di questa amicizia nata in una zona di confine tra la legalità e la rivolta, che Franco evitò di subire anche lui un attentato terrorista: forse, perché, per una sorta di rigurgito di pudore, né Franco, né Felice ne parlano in modo aperto, ma solo per allusione. Poi Franco parla della morte di Guido Galli, un "uomo con la u maiuscola", e del significato che la stessa ha avuto per lui e per la generazione di giovani magistrati di cui faceva parte. Io credo che Enrico, con la sua profonda semplicità e con una energia insospettata, abbia fatto una cosa bellissima, di cui tutti noi (e parlo di "quelli degli anni 70") dobbiamo essergli grati: ha avuto il coraggio di fare delle domande, con una gentile implacabilità che è pari solo alla loro drammatica importanza; perché non sono solo le belle risposte di Franco e di Felice a fare il film, ma sono soprattutto le sue domande "come hai fatto a...". Perché....". Come è possibile che...". Senza le domande, senza la voglia di Enrico di capire veramente, di prendere a metaforiche martellate il piedistallo di bronzo paterno, le risposte sarebbero state supponenti, saccenti, poco credibili. Ma le domande le hanno rese chiare, semplici, importanti. E siamo stati tutti trasportati su quella linea di confine che tanti di noi, in quegli anni, hanno frequentato, rischiando di prendere pallottole (e non solo figurate) sia da un lato che dall’altro, ma (come dice Franco in un momento cruciale del film) "rischiando", cercando anche noi delle risposte, ma non accontentandoci di quelle semplificatorie che vedevano tutto il bianco da una parte e tutto il nero dall’altra. Un film, una storia, sul confine di noi stessi. Un film, una storia, bellissima. Immigrazione: Onu; no impunità "omicidio massa" Mediterraneo, indagare su trafficanti Ansa, 20 settembre 2014 No all’impunità dei trafficanti di esseri umani che avrebbero deliberatamente affondato un barca causando la morte di 300- 500 rifugiati e migranti nel Mediterraneo la scorsa settimana. Lo afferma il neo-Alto Commissario Onu per i diritti umani Zeid Ràad Al Hussein esortando l’Egitto, altri del Nord Africa e Stati europei, tra cui l’Italia, a compiere uno sforzo concertato per assicurare alla giustizia tali trafficanti. "Se i resoconti dei superstiti sono veri - e sembrano fin troppo credibili - siamo di fronte un omicidio di massa nel Mediterraneo", denuncia Zeid in un comunicato reso noto oggi a Ginevra. L’Alto Commissario esorta le autorità greche, maltesi e italiane in particolare a condividere le informazioni sull’identità dei contrabbandieri con le autorità egiziane, le quali - si auspica - dovrebbero avviare immediatamente un’indagine completa e approfondita. Per Zeid, "l’atto spietato di speronare deliberatamente una barca piena di centinaia di persone inermi è un crimine che non può restare impunito". India: sono in attesa di sentenza, come i marò... ma di Elisabetta e Tomaso non si parla di Fabio Polese www.lettera43.it, 20 settembre 2014 Non solo marò. Purtroppo. Alla complessa vicenda dei due marò Massimiliano Girone e Salvatore Latorre - l'odissea s'è arricchita di una nuova puntata con il rientro temporaneo di quest’ultimo in Italia per curare l'ischemia - bisogna aggiungere il dramma dimenticato di altri due italiani detenuti in India per circostanze non chiare. I due sono Tomaso Bruno, 31 anni di Albenga, ed Elisabetta Boncompagni, 42 anni di Torino, sono infatti rinchiusi a Varanasi, nel Nord del Paese, dopo la condanna in primo e secondo grado all’ergastolo, accusati di essere gli assassini dell'amico e compagno di viaggio Francesco Montis. Così come la storia dei 3.422 italiani imprigionati lontani da casa (secondo i dati della Farnesina aggiornati a giugno 2014, 2.625 sono detenuti in Paesi nell'Unione europea, 161 nei Paesi extra Ue, 490 nelle Americhe, 59 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 12 nell’Africa subsahariana e 75 in Asia e Oceania) quella di Bruno e Boncompagni è meno nota della vicenda dei due fucilieri, ma non per questo poco problematica. I due aspettavano con fiducia la sentenza definitiva prima il 9 settembre e poi martedì 16 settembre. Ma per l’ennesima volta è stata rinviata. "Gli slittamenti sono dovuti al fatto che in questo ultimo anno ci sono sempre state molte altre cause da trattare prima della nostra", spiega a Lettera43.it Marina Maurizio, mamma di Tomaso Bruno che si trova in India assieme al marito per seguire le ultime fasi del processo. "Martedì 9 settembre, invece, il primo caso della giornata era molto complesso e ha richiesto tutto il tempo della sessione". Poi l'ultimo rinvio, che la donna preferisce non commentare, attendendo un confronto con i legali. Eppure il 16 settembre c’era grande attesa per mettere la parola fine a quella che Bruno e Boncompagni hanno sempre definito un "madornale errore giudiziario". Ma gli avvocati della difesa non si sono presentati ed è dunque stato impossibile discutere del caso ed emettere un giudizio definitivo. Ora serve attendere almeno quattro settimane quando è prevista la prossima udienza. Per capire la vicenda che ha coinvolto Bruno e Boncompagni, però, serve fare qualche passo indietro, quando, per festeggiare il Capodanno 2010, la 42enne e il compagno, Montis, decisero di raggiungere degli amici in India, nell’Uttar Pradesh. Fu proprio l'uomo a chiedere a Bruno di aggiungersi a loro nel viaggio. La mattina del 4 febbraio, nell’albergo Buddha di Chentgani alla periferia di Varanasi, i due che sono poi stati condannati per omicidio in due gradi di giudizio dalla magistratura indiana trovarono Montis in agonia sul letto: chiamarono subito i soccorsi, ma arrivati in ospedale un medico constatò il decesso dell'uomo. Il 7 febbraio Bruno e Boncompagni vennero arrestati con l’accusa di aver strangolato Montis. A incastrarli fu un esame post-mortem realizzato da un medico oculista sulla vittima: secondo il dottore, infatti, il decesso era avvenuto per asfissia da strangolamento. I giudici indiani hanno "ipotizzato" che tra i due vi fosse una relazione sentimentale e che quindi avrebbero organizzato l’omicidio. Ma proprio su questo punto la vicenda si è tinta di giallo. Perché "per insufficienza di prove", il movente è assente dal verdetto di condanna. In un passaggio della sentenza di primo grado che ha condannato Bruno e Boncompagni all’ergastolo è stato scritto: "Il movente che ha spinto i due accusati a uccidere Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove, tuttavia si può comunque ipotizzare che i due avessero una relazione intima illecita". Nonostante tutto questo la sentenza è stata poi confermata anche in appello. Bruno e Boncompagni furono quindi costretti a rimanere in carcere, in attesa dell'ultimo giudizio. La vita in prigione è difficile in ogni angolo del mondo, tanto più in India. Qui - come in Italia - le carceri sono super affollate (secondo gli ultimi dati disponibili, che risalgono alla fine del 2012, il numero totale dei detenuti nel Paese era di oltre 385mila, su una capacità totale di circa 340mila posti), in condizioni igieniche pessime (tra il 2002 e il 2007, stando al rapporto stilato dal Comitato popolare di vigilanza per i diritti umani, sono morte in prigione 7.468 persone) e il clima torrido ed umido che d’estate arriva anche a 50 gradi di certo non aiuta. "La cosa cui maggiormente si sono dovuti abituare", dice la mamma di Bruno, "è la mancanza di privacy": "Nel barak (lo stanzone del carcere, ndr) di Tomaso ci sono attualmente circa 150 detenuti e la popolazione carceraria è di 2 mila persone in una struttura, quella del District Jail di Varanasi, che ne potrebbe ospitare circa 1.400". La donna, però, assicura che il figlio e la 42enne stanno bene: "Si sono integrati nella vita del carcere e, per fortuna, non hanno mai avuto problemi particolari". Ora i due attendono, ma se la condanna rimanesse quella del primo e del secondo grado di giudizio? "Se la sentenza diventasse definitiva non ci rimarrebbe altra strada che quella dell’applicazione della convenzione stipulata tra Italia e India nel 2012 e cioè la richiesta dello sconto di pena in Italia". Grazie all'Accordo bilaterale tra Roma e New Delhi, infatti, c'è la possibilità di trasferire in Italia le persone già condannate in India. Sempre che si riesca ad arrivare alla decisione finale. Corea Nord: americano "voleva" andare in carcere per denunciare situazione diritti umani Ansa, 20 settembre 2014 Matthew Todd Miller, il cittadino americano condannato una settimana fa in Corea del Nord a sei anni di lavori forzati, "voleva finire in prigione" per poter rivelare al mondo le condizioni dei diritti umani del paese comunista attraverso la richiesta di asilo politico e fingendo di avere informazioni segrete sul governo americano. È la spiegazione che fornisce la Kcna, l’agenzia del regime, secondo cui Miller ha avuto l’idea "sciocca" di voler osservare condizioni e diritti umani "vivendo in carcere" dopo aver allo scopo commesso appositi crimini. Un piano complesso che avrebbe dovuto includere, negli schemi originari, la liberazione di Kenneth Bae, missionario americano di origine coreana, arrestato a fine 2012 e condannato a 15 anni di lavori forzati per reati indefiniti contro lo Stato. Il terzo americano detenuto è Jeffrey Edward Fowle, entrato nel Nord a fine aprile e da allora detenuto per aver lasciato una Bibbia in un albergo. Miller, invece, era stato incriminato per aver commesso atti ostili contro la Corea del Nord dopo aver strappato il suo visto turistico e richiesto asilo politico. La mossa di Pyongyang sul "caso Miller" è maturata dopo che Washington ha accusato il regime di cercare di "usare questi cittadini come pedine per perseguire la sua agenda politica". I media nordcoreani hanno anche riportato che Miller aveva preparato in anticipo un memoriale in cui dichiarava "la sua missione", menzionando il possesso di dispositivi elettronici portatili che, secondo la Kcna, "contenevano a suo dire dati importanti sulle basi militari Usa in Corea del Sud". Israele: dopo tre mesi di disordini le carceri sono affollate di giovani palestinesi Nova, 20 settembre 2014 Centinaia di giovani arabi palestinesi di età inferiore ai 18 anni sono stati arrestati a Gerusalemme Est dall’inizio dell’ultima ondata di disordini, circa tre mesi fa. I residenti accusano le autorità di abbandono e la polizia di violazione dei diritti umani e di maltrattamenti sui minori. "Stanno trasformando i bambini in terroristi", sostengono i rappresentanti legali di decine di giovani a Gerusalemme Est, che denunciano anche il trattamento "duro, vendicativo e discriminatorio" riservato ai loro assistiti. Il coinvolgimento di minori in episodi di violenza a Gerusalemme Est non è una novità, ma dallo scoppio dei disordini di quest’estate "ha raggiunto proporzioni senza precedenti", scrive il quotidiano israeliano "Haaretz". Nelle ultime settimane 260 minori sono stati arrestati e anche i bambini più piccoli hanno iniziato a prendere attivamente parte ai disordini. Brasile: le detenute del carcere femminile di San Paolo a scuola di cucina dai grandi chef di Andrea Torrente Io Donna, 20 settembre 2014 Il top chef Alex Atala e il cuoco visionario David Hertz organizzano corsi nel carcere femminile di San Paolo. Per aiutare le donne a imparare un mestiere e ricostruirsi una vita. Cominciando dai fornelli. Dopo cinque anni e quattro mesi passati in carcere, il compito più arduo per Lucimara Agenor non è stato quello di riabituarsi alla vita fuori dalla cella, ma riuscire a riconquistare la fiducia dei suoi familiari. Molto, racconta, lo deve al progetto "Gastronomia in carcere" che dalla fine del 2013 promuove corsi di culinaria all’interno della casa di detenzione femminile di San Paolo. Dopo una gioventù sprecata nella droga, oggi la 37enne, madre di due figli di 16 e 18 anni, sta provando a ricostruirsi faticosamente una vita: "C’è stato un periodo in cui pensavo che la droga fosse tutto, poi ho provato sulla mia pelle le sofferenze che provoca. Oggi ho rimesso la mia vita in carreggiata, ho mostrato alla mia famiglia che sono una persona migliore e ho ritrovato l’affetto dei miei cari" spiega a Io Donna non senza un pizzico di emozione. L’idea di portare l’arte culinaria tra le detenute è nata dalla collaborazione tra il giudice Jayme Garcia dos Santos, il top chef Alex Atala - il suo ristorante D.O.M. nel 2012 ha conquistato il quarto posto nella classifica The 50 World’s Best Restaurants - e il cuoco visionario David Hertz che dal 2006 organizza corsi gratuiti per i giovani delle favelas di San Paolo, Rio de Janeiro e Salvador. Imparare a cucinare non è l’unico obiettivo del programma. Accanto alle lezioni su tecniche culinarie, gastronomia sostenibile e formazione professionale, le studentesse imparano anche come migliorare l’igiene personale e nozioni di educazione civica. "Non si tratta di un semplice corso, ma di restituire un orizzonte a queste detenute, spiega Atala. "Le alunne di oggi non saranno solo delle lavoratrici, ma saranno le cittadine di domani", sottolinea Hertz. Il corso è diviso in due fasi: la prima, della durata di un mese, si svolge all’interno del carcere dove sono stati inaugurati lo Spazio Gastronomia e un orticello a disposizione delle alunne. La seconda dura quattro mesi e le lezioni si tengono all’università Anhembi Morumbi, partner del progetto. Tra il dicembre scorso e l’agosto di quest’anno, 60 detenute e tre funzionarie del carcere hanno concluso il corso. Nove di loro, che nel frattempo hanno ottenuto la libertà o la semilibertà, hanno proseguito gli studi. Tre di queste hanno già trovato un lavoro, mentre le altre sono ancora in attesa di un’opportunità. Lucimara oggi collabora al progetto e vuole offrire alle altre detenute la stessa possibilità che hanno dato a lei. "Il mio obiettivo è aiutare altre donne che stanno vivendo quello che ho vissuto. Anche chi si è distrutto la vita deve poter ricominciare da capo".