Giustizia: premier Renzi; la riforma per cancellare violento scontro ideologico del passato Adnkronos, 17 settembre 2014 La riforma della giustizia "deve cancellare il violento scontro ideologico del passato". Lo ha affermato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, parlando alla Camera. "Sono dalla parte - ha proseguito il premier - di coloro che garantiscono e lottano per la indipendenza della magistratura, elemento costitutivo per la libertà di una nazione". Chi si opporrebbe ad essa "troverebbe in noi i più seri ostacoli a questo progetto". Proprio per questo Renzi ha rivendicato di essere stato "il primo governo a dire a viso aperto che noi non accettiamo che uno strumento a difesa dell’indagato, l’avviso di garanzia, possa costituire un vulnus all’esperienza politica o imprenditoriale di una persona". "Vorrei ringraziare - ha affermato ancora il premier riferendosi alla riforma - quei magistrati che si sono messi a disposizione per tentare di risolvere i problemi atavici della giustizia. Non è la sospensione delle ferie del magistrato il problema, ma non c’è nessuno qui fuori che pensi che sia giusto che ci siano 45 giorni di sospensione feriale, guardare in faccia la realtà non può essere la negazione di un dato di fatto". Giustizia: Orlando; emergenza superata, presto "Stati Generali" sul sistema penitenziario Adnkronos, 17 settembre 2014 "Il modo migliore per celebrare Beccaria è dare spazio alla riflessione sul carcere. Nella riforma della giustizia c’è un tema schiacciato da altri, quello della delega per la riforma del sistema penitenziario. Io vorrei che l’esercizio della delega fosse preceduto dalla convocazione degli Stati Generali del sistema penitenziario italiano, con la partecipazione non solo degli operatori del settore ma anche dal variegato mondo di volontari che in questi è riuscito a far reggere il sistema nonostante le criticità". Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel corso della presentazione della festa di Radio3 in programma a Matera, in cui è stato illustrato il nuovo programma che trae spunto dal trattato "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria. "Oggi abbiamo superato l’emergenza numerica ma non abbiamo ancora un sistema che onori la tradizione di Beccaria - ha aggiunto il ministro. Per questo è importante far seguire alla discussione culturale quella politica e amministrativa che coinvolga tutti gli operatori". Favi (Pd): bene Orlando su Stati Generali Dichiarazione di Sandro Favi, Responsabile nazionale Carceri del Pd: "Ottima l’idea del Ministro Andrea Orlando di convocare una sorta di "Stati generali del sistema penitenziario" aperti alla dirigenza penitenziaria, come alla Polizia penitenziaria, agli educatori e al volontariato, che potrà consentire di convogliare energie ed idee innovative per una profonda trasformazione delle carceri e dell’esecuzione penale esterna, superando resistenze e rendite di posizione di un apparato ormai anacronistico e sclerotizzato. Crediamo, altresì, che in quella sede sia importante dare uno spazio alla politica che possa impegnarsi nel garantire e stimolare il percorso di rinnovamento. A questo proposito auspichiamo che il ministro Orlando possa imprimere una spinta decisiva alla riorganizzazione del sistema, a partire dalla scelta della figura e del progetto di un nuovo Capo del Dipartimento, per un coerente assetto dell’Amministrazione penitenziaria, al centro come sul territorio, per una valorizzazione delle professionalità penitenziarie, per una politica delle risorse umane, strumentali e finanziarie, funzionali agli obiettivi delineati e volti al recupero di un profilo di civiltà della pena, della dignità del lavoro, sia sul delicato fronte delle carceri come su quello delle misure alternative volte al favorire il reinserimento sociale". Giustizia: Ugl; bene Stati Generali, Polizia penitenziaria sia coinvolta in riforma sistema Adnkronos, 17 settembre 2014 "Prendiamo atto con soddisfazione della volontà del ministro della Giustizia di convocare gli Stati generali dell’amministrazione penitenziaria in vista di una riforma complessiva del sistema, auspicando però che nei soggetti interessati Orlando comprenda anche i rappresentanti dei lavoratori della Polizia penitenziaria verso i quali, purtroppo, fino ad oggi ha mostrato disattenzione". Così il segretario nazionale dell’Ugl, unione generale dei lavoratori della Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, commenta quanto dichiarato oggi dal Guardasigilli nel corso della presentazione del progetto di Rai Radio 3 "Dei delitti e delle pene". Per il sindacalista "in vista dell’esercizio della delega contenuta nella riforma della giustizia, il ministro Orlando non può continuare a tralasciare le istanze di chi rappresenta il fulcro del funzionamento del sistema carcerario e continua a svolgere quotidianamente le proprie mansioni nonostante l’amministrazione penitenziaria sia commissariata e senza guida da ben 112 giorni". "Una vera riforma del sistema penitenziario - aggiunge Moretti - passa attraverso il riconoscimento delle professionalità che vi operano e che oggi si trovano senza una chiara direzione organizzativa e prive di tutele, a partire dall’ipotesi di mancato sblocco degli automatismi contrattuali fino al mancato riallineamento dei funzionari del Corpo alle altre Forze dell’Ordine. Pertanto - conclude il sindacalista - vorremmo che il ministro Orlando si facesse finalmente portavoce delle ragioni degli agenti di Polizia Penitenziaria presso il Governo di cui fa parte". Giustizia: lite Renzi-Anm "un’indagine non può danneggiare un’azienda…" di Tommaso Ciriaco La Repubblica, 17 settembre 2014 Il premier difende l’Eni. L’ad Descalzi: "Noi sempre corretti". Le toghe: "Nessuna interferenza. E il taglio delle ferie non serve". Ormai è sfida alla magistratura. Aperta, svelata, durissima. "L’Eni - scandisce Matteo Renzi durante il suo intervento alla Camera - è stata raggiunta da uno scoop e poi da un avviso di garanzia. Noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a un avviso di garanzia di cambiare la politica aziendale di questo Paese". Il detonatore è sempre l’iscrizione nel registro degli indagati del numero uno del colosso energetico Claudio Descalzi, ma la battaglia si allarga presto all’intero dossier giustizia. Neanche mezz’ora, però, e arriva la replica dell’Anm: "Dai magistrati nessuna interferenza sulle aziende". Il braccio di ferro tra Renzi e i giudici è un crescendo di battute, stoccate, affondi. Un’arena nella quale batte un colpo anche l’amministratore delegato dell’Eni, provando a rassicurare l’azienda con una lettera ai dipendenti: "Ci siamo comportati correttamente ed eticamente - scrive - come sempre facciamo. Voglio che voi sappiate con certezza che l’acquisto del blocco Ops 245 è stato condotto correttamente e nel rispetto di ogni normativa da parte di tutti coloro che ci hanno lavorato, a cominciare da me". La sfida di Renzi è ormai lanciata. E davanti ai deputati il premier allarga il ragionamento a uno dei temi più delicati nel rapporto tra politica e magistratura: "Rispetto delle regole - sottolinea - significa dire che chi è indagato è innocente fino a sentenza passata in giudicato. Non accettiamo che uno strumento a difesa di un indagato, l’avviso di garanzia, costituisca un vulnus all’esperienza politica e imprenditoriale di una persona". Ma, ha aggiunto ricordando il caso del deputato pd Francantonio Genovese, "se in Parlamento viene richiesto un arresto senza fumus persecutionis, siamo in condizione di votare sì perché prima viene la Costituzione e poi le proteste ideologiche". L’origine del conflitto tra Palazzo Chigi e le toghe, a dire il vero, si rintraccia nel recente annuncio della riforma della giustizia, promessa dal governo e sgradita ai giudici. "Dobbiamo cancellare - è il progetto del presidente del Consiglio - il violento scontro ideologico del passato". Pochi minuti e l’Anm sceglie di replicare. Duramente: "Respingiamo fermamente l’idea che la magistratura intenda interferire nella politica economica di un’azienda. Così come l’idea di una sua responsabilità nell’eventuale strumentalizzazione di atti che sono imposti dalla legge e la cui omissione costituirebbe un illecito". È un attacco a tutto campo, quello del Presidente Rodolfo Sabelli: "Deve essere chiaro a tutti - scandisce - che l’iscrizione nel registro degli indagati e l’informazione di garanzia sono atti dovuti per legge, al punto che la loro omissione da parte dei magistrati costituirebbe un illecito. Peraltro sono atti a garanzia dell’indagato e che non costituiscono alcuna anticipazione di giudizio". Insomma, ribadisce, la magistratura con i suoi atti "non determina né interferenze né strumentalizzazioni; l’idea opposta la rifiutiamo con estrema fermezza". Il conflitto però si allarga. E coinvolge anche l’ipotesi di tagliare le ferie delle toghe, avanzata dall’esecutivo e osteggiata dai giudici. "La questione vera - è il paletto fissato dall’Anm - sono le riforme vere, che devono essere efficaci. E purtroppo quello che abbiamo visto sinora è molto deludente. Non servono né slogan, né dichiarazioni di intenti". Chi gongola, intanto, è Silvio Berlusconi. Gradisce parecchio l’approccio del premier e in privato non manca di commentare la "svolta" renziana: "Ascolto Matteo e mi sembra di vivere in un Paese normale, peccato che finora non sia stato così...". Giustizia: il ministro Orlando; l’intervento sulle ferie dei magistrati non è determinante Italpress, 17 settembre 2014 "No, assolutamente. È uno dei punti che cerchiamo di affrontare, perché nel momento in cui intervenendo su un meccanismo si cerca di aggiustare diversi ingranaggi c’è anche questa questione ma non la farei diventare il centro dell’attenzione. Noi chiediamo ai magistrati, come abbiamo chiesto ad altri ambiti della nostra macchina statale, un’assunzione di responsabilità, un impegno per far funzionare meglio il sistema, ma non riteniamo che quel singolo intervento sia risolutivo o determinante. È un piccolo passo avanti che può contribuire a far funzionare meglio il tutto". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ai microfoni di "Non stop news", su Rtl 102.5, parlando delle ferie dei magistrati. "Devo anche dire che i magistrati lamentano il fatto che questo intervento è stato fatto un po’ fuori da un confronto che avevamo sviluppato, pongono una questione di eccessiva enfasi è stata data a questo aspetto rispetto ad altri, spiegano che le ferie sono un momento in cui, specialmente in alcuni ambiti, si riesce a recuperare il lavoro che si è accumulato nel corso dell’anno - ha proseguito Orlando. Ci sono quindi anche degli elementi che caratterizzano questa posizione, dopo di che è chiaro che nessuno ha grande piacere nel vedere modificate delle abitudini che si sono consolidate nel tempo, cosa che io credo bisogni comunque fare. Lo dico avendo dato la disponibilità a discutere del come, in che misura, ad approfondire il punto e a riconoscere le specificità di questo settore, però l’obiettivo deve essere questo perché se non si fa qualche piccolo passo avanti su ogni fronte è impossibile farlo complessivamente". Giustizia: Italia-Brasile, Porta (Pd) relatore accordo bilaterale per trasferimento detenuti 9Colonne, 17 settembre 2014 "Un altro importante accordo bilaterale tra l’Italia ed il Brasile sta per essere approvato dal Parlamento italiano". Così si legge in una nota di Fabio Porta, parlamentare del Pd eletto in America Meridionale. Il parlamentare è intervenuto in aula nel corso della discussione generale mentre nei prossimi giorni è prevista l’approvazione da parte del Parlamento italiano. "Si tratta in questo caso - continua la nota - di una ratifica particolarmente importante ed attesa: quella relativa all’accordo - siglato nel 2008 tra i due Paesi - che permetterà finalmente il trasferimento nel Paese di residenza dei detenuti condannati; sono circa 150 gli italiani detenuti in Brasile e 350 i brasiliani in Italia. Oltre all’indubbio valore politico sarà notevole infatti la ricaduta in termini di costi per lo Stato italiano dell’applicazione di tale accordo, in funzione delle spese per l’assistenza consolare dei nostri detenuti in Brasile e per la permanenza dei detenuti brasiliani presso i penitenziari italiani". Porta era più volte intervenuto sollecitando il governo sull’urgenza di questa ratifica. Anche Renata Bueno (Misto), recentemente, si era fatta promotrice di un relativo progetto di legge, oggi recepito da quello presentato dal governo e illustrato in aula dal relatore. Lettere: il retaggio medievale della carcerazione preventiva di Alfonso Papa Il Garantista, 17 settembre 2014 Quelli del Garantista sono dei veri pazzi. Nonostante da quel che leggo come lettore, il loro direttore continui ad essere addirittura minacciato da autorevoli procuratori della Repubblica, e nonostante l’argomento dei diritti civili sia ormai scomparso dall’agenda politica del Paese (e del suo presidente del Consiglio), continuano a soffermarsi su temi desueti quali gli abusi della carcerazione preventiva, il fatto che circa il 40 per cento dei detenuti delle carceri italiane sia in attesa di giudizio, il dato statistico che la metà di questi viene poi assolta già in primo grado e la totale mancanza nel nostro ordinamento di un sistema che sanzioni la responsabilità civile di chi eccede confusamente nel ricorso a tali strumenti. Quelli del Garantista dimenticano che lo Stato italiano ha addirittura previsto un risarcimento di ben 8 euro al giorno per coloro i quali siano stati vittime di ingiusta detenzione, alla semplice condizione che tale detenzione si sia svolta in condizioni di vita peggiori di quelle indicate dalla convenzione Onu sulla tortura per il trattamento dei prigionieri. Al di là dell’ironia appare quindi evidente come lo Stato italiano non abbia dimostrato finora sufficiente sensibilità a questi temi, sui quali continuano a soffermarsi unicamente figure che appaiono quasi marziani, come il presidente della Repubblica e Papa Francesco o Marco Pan-nella, che osano continuare a chiedersi che fine abbiano fatto i temi del sovraffollamento carcerario e della amnistia, fino ad arrivare all’ineffabile Sansonetti, che osa addirittura dirigere di questi tempi un giornale che si chiama "Il Garantista". Chi scrive, mente di una associazione segreta denominata P4, che la magistratura ha accertato non esistere, ma che l’immaginario giornalistico continua e continuerà a coltivare, legge in questi giorni di importanti e significative vicende giudiziarie sfuggite all’epoca al potere di fatto discrezionale di chi indagava e recuperate oggi da altri organi inquirenti. Ma il sottoscritto è consapevole che in quel tempo come in tempi più recenti si era più impegnati a costruire richieste di custodia in carcere che non ad accertare fatti. E allora si può comprendere come l’istituto della carcerazione preventiva sia e resti il vero retaggio medioevale di quello strumento di coercizione che passava sotto il nome di tortura. Tali considerazioni sono state recentemente avanzate, in maniera per la verità pacata e timida, dallo stesso viceministro alla Giustizia Costa e coerentemente l’accoglienza che hanno ricevuto è stata la assoluta indifferenza nel mondo politico e giornalistico. È chiaro quindi al sottoscritto che questi temi, come tutti i temi dei diritti degli ultimi, siano ormai scaduti per desuetudine dall’agenda democratica del Paese, dove lo spazio riservato alle riforme è solo quello destinato a quelle autoreferenziali e di autoconservazione di un potere politico non più consociativo ma del tutto "uguagliato" secondo la profezia pasoliniana. Lo scrivente resta orgogliosamente un uomo dello Stato, che ha creduto e crede alla lentezza ma inesorabilità della emersione della giustizia e della verità, nonostante l’imbarbarimento del tessuto sociale che tale Stato dovrebbe rappresentare. Ma resta lo spazio per la sorpresa e lo stupore. Essi sono rappresentati dalla umanità e dalla solidarietà degli ultimi veri, vale a dire la popolazione dei detenuti, capace di dare calore e forza di vivere anche ad un ex privilegiato istigato al suicidio proprio dalle istituzioni. Ed altrettanto stupore provocano agenti e operatori penitenziari che quasi insubordinando alle regole, tentano di umanizzare il meapo infernale che è oggi il carcere italiano. Forse sono questi ultimi e reietti gli unici in grado di comprendere gli appelli del Papa e del presidente della Repubblica, anche per questo così lontani dalla giovane e al tempo stesso ricchissima classe politica attualmente rampante. La giustizia e la verità come dicevo arrivano, arrivano sempre. Il problema è solo un dato di sopravvivenza. Lettere: l’inammissibilità del giudizio d’appello, tutti i pregi e i difetti di Bruno Ferraro (Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione) Libero, 17 settembre 2014 Con il decreto sullo sviluppo dell’ottobre 2012 il governo Monti ha introdotto nel codice di procedura civile il nuovo articolo 348bis, che ha inserito nel processo d’appello un "filtro" per consentire ai giudici di dichiarare inammissibile l’appello stesso qualora appaia infondato: il tutto con un’ordinanza pronunziata da una Sezione Speciale della Corte, sulla base di un principio di discrezionalità legata alla "non ragionevole probabilità di accoglimento". Evidente è l’intento di scoraggiare la proposizione di appello meramente pretestuoso, e così di liberare preziose energie intellettuali per decidere, in tempi ragionevoli, controversie più delicate e importanti. L’obiettivo è apprezzabile, in linea con l’art. Ili Costituzione, con le aspettative di celerità dei cittadini e con l’esperienza di evitare la mannaia della legge Pinto in virtù della quale il termine ragionevole di durata del procedimento è di due anni per l’appello (allo stato ne occorrono più del doppio a Roma per ottenere la fissazione della prima udienza!) e di un anno in Cassazione (che risulta particolarmente oberata di ricorsi certo di non eccelso profilo). Detto questo, c’è da fare i conti con i principi sul cosiddetto processo giusto, che impone di conciliare celerità e rispetto dei diritti di difesa. Si spiegano, quindi, le posizioni critiche del ceto forense e della massima parte dei processualisti italiani. Va infatti considerato che la Sezione Speciale incaricata di usare il "filtro" non deve farlo sulla base di aspetti formali legate all’ammissibilità dell’appello, e dunque operando non sulla base di rigorosi criteri giuridici ma discrezionalmente. É facile dunque prevedere una diversità di orientamento tra Corte e Corte - con quanto rispetto per il canone della certezza del diritto è facile immaginare. Va considerato altresì che, pronunziata l’ordinanza di inammissibilità, il soggetto rimasto soccombente in primo grado è legittimato a proporre ricorso in Cassazione. É agevole immaginare le conseguenze: intasamento totale del giudice di ultima istanza (che aveva un arretrato di 100mila cause alla fine del 2011); applicazione della legge Pinto per la lentezza del giudizio di Cassazione; snaturamento di quest’ultima dal ruolo che la legge le assegna. Un rimedio perciò che rischia di essere peggiore del male che intende correggere. Un azzardo, peraltro, è anche l’abolizione del giudizio di appello. É possibile sul piano costituzionale perché la Costituzione non garantisce il doppio grado di giudizio, ma ho l’impressione che, venuta meno nel 1999 la collegialità del giudizio di primo grado, i cittadini non possano fidarsi della decisione emessa da un giudice singolo in un quadro di incertezza dell’interpretazione, e per giunta oberato di un carico di controversie pesanti. E allora meglio insistere su altre percorsi riformatori. Abolire le Corti di Appello che non hanno un carico adeguato di contenziosi e un numero adeguato (tre?) di Tribunali. Stabilire (si può) che il procedimento di appello va deciso alla prima udienza (fatta eccezione per i rarissimi casi di riapertura dell’istruttoria), magari previa concessione di un breve turnover alle parti per la presentazione di una succinta memora conclusione e di replica. Stabilire che alla sentenza di secondo grado si estende il principio della motivazione breve, già da tempo previsto per la sentenza di primo grado. Agire ulteriormente sul contributo unificato a carico dell’impugnante, visto che l’accesso alla giurisdizione è in Italia meno esteso che in altri Paesi. Rivedere seriamente la disciplina della mediazione. Come si vede, non c’è bisogno di inventare nulla, ma di migliorare l’esistente. Abruzzo: Consiglio regionale approva risoluzione a sostegno del Satyagraha di Pannella www.certastampa.it, 17 settembre 2014 È stata approvata dal Consiglio regionale d’Abruzzo la risoluzione urgente presentata dal consigliere del Pd Luciano Monticelli e firmata anche da Pierpaolo Petrucci a sostegno del Satyagrah di Marco Pannella per l’amnistia e per stimolare il Parlamento italiano ad approvare provvedimenti di legge obbligatori per ripristinare la legalità delle carceri. Votata favorevolmente da centrodestra e centrosinistra (ad eccezione di Lucrezio Paolini dell’IdV) e bocciata invece dal Movimento 5 Stelle ad eccezione di Leonardo Bracco, con tale risoluzione il Consiglio regionale esprime dunque il proprio sostegno a Pannella e ai cittadini abruzzesi che con lui lottano la nonviolenza dello sciopero della fame per l’affermazione dei diritti degli ultimi e invita i vertici del Governo italiano ad adottare provvedimenti di amnistia e indulto, il cui ambito di applicazione sarà definito dal Parlamento stesso in considerazione della gravità dei reati. "È la nostra battaglia per i diritti civili - commenta in merito Monticelli - Sono soddisfatto che il Consiglio, e non solo la maggioranza di cui faccio parte, abbia recepito favorevolmente quanto proposto, appoggiando il digiuno di dialogo del leader radicale a favore del ripristino della legalità in tutte le carceri italiane. Auspichiamo a questo punto un’azione da parte del Parlamento che, magari attraverso un provvedimento di clemenza, di amnistia e indulto, aiuti da una parte i magistrati a liberarsi delle scartoffie dei processi e dall’altra i detenuti a uscire da carceri sovraffollate e indegne di un paese civile". Il provvedimento sarà ora inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, mentre si attende a breve una visita da parte dello stesso Monticelli tra le mura delle carceri abruzzesi. Ancona: gli artigiani insegnano un mestiere ai detenuti di Montacuto e del Barcaglione www.anconatoday.it, 17 settembre 2014 Dopo il corso per elettricisti che la Cna ha avviato presso il carcere di Montacuto, giovedì 18 settembre parte a Barcaglione il corso di 60 ore per idraulici. Ha preso il via oggi il corso di formazione Cna di sessanta ore per elettricisti presso il carcere di Montacuto, dove una quindicina di detenuti si sono iscritti con grande voglia di imparare. "Gli artigiani a cui abbiamo proposto la docenza - spiega Andrea Riccardi Segretario della Cna dorica - sono entusiasti e hanno accettato di sedere in cattedra per insegnare, con lezioni pratiche e teoriche, il mestiere di elettricista e di idraulico ai detenuti degli istituti penitenziari del capoluogo. L’esperienza ha lo scopo di aiutare queste persone nella ricerca di un lavoro non appena avranno scontato la propria pena". "Tra i diversi progetti sostenuti dall’Amministrazione - ha già ricordato l’Assessore ai Servizi Sociali Emma Capogrossi - sono quelli a carattere formativo, come quelli promossi dalla Cna, ad essere maggiormente rilevanti. Questo perché, oltre a migliorare le condizioni di vita all’interno del carcere, promuovono l’apprendimento di competenze e abilità professionali utili al reinserimento sociale una volta terminato il periodo di detenzione". I corsi per elettricista garantiranno ai detenuti una specializzazione nella demotica e nell’istallazione e manutenzione di impianti fotovoltaici, mentre quelli da idraulico forniranno le conoscenze utili per l’installazione e la manutenzione degli impianti. Siracusa: detenuto tenta il suicidio in carcere, salvato dai poliziotti penitenziari Comunicato stampa, 17 settembre 2014 Ha tentato di uccidersi nel carcere di Siracusa, nel cortile utilizzato dai detenuti per passeggiare durante l’ora d’aria, realizzando un rudimentale cappio con la corda dei teli che coprono il calciobalilla in uso. Protagonista, pochi minuti fa, un detenuto straniero, di nazionalità marocchina, imputato per il reato di spaccio di sostanza stupefacente, al quale recentemente sarebbe accaduto un grave lutto familiare. "Per fortuna l’insano gesto non è stato consumato per il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari, ma l’ennesimo episodio accaduto in carcere a Siracusa è sintomatico di quali e quanti disagi caratterizzano la quotidianità penitenziaria", denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che esprime ai poliziotti che hanno salvato la vita al detenuto "apprezzamento e l’auspicio che venga loro concessa una ricompensa ministeriale". Il sindacalista sottolinea che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". Il SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, informa che "alla data del 31 agosto scorso le carceri siciliane ospitavano complessivamente circa 6.100 detenuti, 470 dei quali a Siracusa. La situazione nelle carceri resta allarmante. Altro che emergenza superata!", aggiunge. "Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere - come a Siracusa - con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri siciliane e del Paese tutto". Roma: Fns-Cisl: non veritiera notizia evasione, in cella detenuto non rientrato permesso Ansa, 17 settembre 2014 Luciano Calisti, condannato per omicidio, tecnicamente non può essere accusato di evasione perché ha fatto rientro in carcere dopo 11 ore e 40 minuti. L’evasione sarebbe scattata solo se non avese avesse rientro oltre le 12 ore. È stata smentita la notizia circolata su diversi quotidiani locali, riguardo all’evasione di Luciano Calisti, condannato a 16 anni per omicidio e detenuto nel carcere romano di Rebibbia. Il segretario regionale Cisl Fns Massimo Costantino, ha dichiarato "Apprendiamo da alcuni quotidiani di una evasione avvenuta presso la 3 CC Rebibbia - Roma di un detenuto, Luciano Callisti, ma la notizia risulta non veritiera. Il detenuto in questione ha fatto rientro dopo 11 ore e 40 minuti, quindi non si tratta di evasione. Evasione che sarebbe scattata solo se il detenuto non faceva rientro oltre le 12 ore". Costantino ha poi spiegato che "Il suo ingresso era previsto alle 22 del giorno 13 settembre e l’evasione sarebbe scattata dopo le ore 10 del 14 settembre, ma è rientrato nei termini ore 9.40 circa. Il detenuto incorrerà solo in una sanzione disciplinare ed eventualmente alla revoca dei benefici di legge, decisione che potrà essere presa solo dal Magistrato di Sorveglianza". L’uomo nel marzo 2008 è stato condannato dalla Cassazione, confermando la pena a 16 anni e otto mesi per aver ucciso un imprenditore edile romano la sera del 5 novembre del 2005. Lodi: Sappe; detenuto sega le sbarre e tenta la fuga, ma cade dal muro di cinta Comunicato stampa, 17 settembre 2014 Ha tentato di evadere dal carcere, segando le sbarre di una finestra dalla palazzina dedicata alle attività trattamentali, e, una volta salito sul tetto, si è lanciato disperatamente sul muro di cinta tentando di fuggire, rimanendo ferito. Protagonista, lunedì, un detenuto di nazionalità serbo, 32 anni, ristretto per diversi reati, con posizione giuridica appellante-imputato, con fine pena 2020, del carcere di Lodi, subito fermato dal Personale di Polizia Penitenziaria in servizio. "Sono stati momenti di grande tensione e la possibile evasione è stata sventata dall’ottimo intervento degli agenti di Polizia Penitenziaria", spiega il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Il detenuto aveva segato le sbarre della finestra con una lima, favorito anche dal fatto che la vigilanza dinamica introdotta nel carcere di Lodi attenua i controlli di sicurezza. I poliziotti l’hanno catturato ma certo l’episodio deve fare riflettere sull’efficacia di questa nuova forma di vigilanza che noi abbiamo sempre contestato". "Questo accade - continua Capece - dopo la segnalazione del Sappe lo scorso 4 settembre, al Direttore di Lodi, che nel ritenere positivi diversi cambiamenti raggiunti, rispetto alla precedente gestione, aveva dato anche delle indicazioni ben precise in merito ai livelli di sicurezza dell’Istituto lodigiano. Non si dimentichi che a luglio, sempre a Lodi, i nostri poliziotti penitenziari, con grande professionalità, sagacia e attenzione, avevano scovato ben sei metri di lenzuola annodate (probabilmente da usarsi per una evasione) e da ultimo, pochi giorni fa, un telefono cellulare, sempre nella palazzina delle attività trattamentali". Capece punta il dito proprio contro il sistema della "vigilanza dinamica" che è in atto nel carcere di Lodi: "In pratica, si vuole cercare di tenere tutta la giornata aperti i detenuti per farli rientrare nelle loro stanze solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione". Il Sappe si batte da tempo contro questo sistema definito dal sindacato "assolutamente destabilizzante per le carceri italiane, come per altro proprio i gravi fatti accaduti a Lodi dimostrano": "È infatti nostra opinione - spiega Capece - che, lasciando le sezioni detentive all’autogestione dei detenuti, si potrebbero ricostituire quei rapporti di gerarchia tra detenuti per cui i più potenti e forti potrebbero spadroneggiare sui più deboli. In secondo luogo, sempre a nostro avviso, si sta ignorando l’articolo 387 del codice penale per il quale potrebbe essere comunque l’agente, anche se esiliato davanti a un monitor, a rispondere penalmente di qualsiasi cosa accada nelle sezioni detentive. Ancora più grave potrebbe essere l’accentuarsi in maniera drammatica di episodi di violenza all’interno delle stanze ove i detenuti non sono controllabili". Ha tentato di evadere dal carcere, segando le sbarre di una finestra dalla palazzina dedicata alle attività trattamentali, e, una volta salito sul tetto, si è lanciato disperatamente sul muro di cinta tentando di fuggire, rimanendo ferito. Protagonista, lunedì. un detenuto di nazionalità serbo, 32 anni, ristretto per diversi reati, con posizione giuridica appellante-imputato, con fine pena 2020, del carcere di Lodi, subito fermato dal Personale di Polizia Penitenziaria in servizio. "Sono stati momenti di grande tensione e la possibile evasione è stata sventata dall’ottimo intervento degli Agenti di Polizia Penitenziaria", spiega il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Il detenuto aveva segato le sbarre della finestra con una lima, favorito anche dal fatto che la vigilanza dinamica introdotta nel carcere di Lodi attenua i controlli di sicurezza. I poliziotti l’hanno catturato ma certo l’episodio deve fare riflettere sull’efficacia di questa nuova forma di vigilanza che noi abbiamo sempre contestato. Questo accade dopo la segnalazione del Sappe lo scorso 4 settembre, al Direttore di Lodi, che nel ritenere positivi diversi cambiamenti raggiunti, rispetto alla precedente gestione, aveva dato anche delle indicazioni ben precise in merito ai livelli di sicurezza dell’Istituto lodigiano. Non si dimentichi che a luglio, sempre a Lodi, i nostri poliziotti penitenziari, con grande professionalità, sagacia e attenzione, avevano scovato ben sei metri di lenzuola annodate (probabilmente da usarsi per una evasione) e da ultimo, pochi giorni fa, un telefono cellulare, sempre nella palazzina delle attività trattamentali". Capece punta il dito proprio contro il sistema della "vigilanza dinamica" che è in atto nel carcere di Lodi: "In pratica, si vuole cercare di tenere tutta la giornata aperti i detenuti per farli rientrare nelle loro stanze solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione. Il Sappe si batte da tempo contro questo improvvido che si ritiene assolutamente destabilizzante per le carceri italiane, come per altro proprio i gravi fatti accaduti a Lodi dimostrano. È infatti nostra opinione che, lasciando le sezioni detentive all’autogestione dei detenuti, si potrebbero ricostituire quei rapporti di gerarchia tra detenuti per cui i più potenti e forti potrebbero spadroneggiare sui più deboli. In secondo luogo, sempre a nostro avviso, si sta ignorando l’articolo 387 del codice penale per il quale potrebbe essere comunque l’agente, anche se esiliato davanti a un monitor, a rispondere penalmente di qualsiasi cosa accada nelle sezioni detentive. Ancora più grave potrebbe essere l’accentuarsi in maniera drammatica di episodi di violenza all’interno delle stanze ove i detenuti non sono controllabili". "Altro che vigilanza dinamica e autogestione delle carceri che sembra essere l’unica risposta sterile dei vertici del Dap all’emergenza penitenziaria" conclude Capece. "Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti, come avviene a Lodi, deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il personale di Polizia Penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza". Biella: Osapp; detenuto rompe una finestra e aggredisce tre agenti La Stampa, 17 settembre 2014 Un detenuto marocchino di 23 anni ha aggredito un gruppo di agenti di Polizia penitenziaria nel carcere di Biella. Il giovane, che deve scontare una pena per rapina e altri reati, prima ha divelto due finestre mentre era in attesa di un colloquio con il direttore, poi ne ha usata una come arma scagliandosi contro i poliziotti, aggredendoli e minacciandoli anche di morte. Tre di loro hanno riportato ferite guaribili tra i tre e i nove giorni, mentre altri sono rimasti contusi. "Nel carcere di Biella - dichiara il segretario generale dell’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Leo Beneduci - ci sono gravi problemi di gestione: molte sezioni sono aperte e i detenuti continuano a girare liberamente". Catania: il campo sportivo del carcere si trasforma in teatro all’aperto di Salvatore De Mauro La Sicilia, 17 settembre 2014 Chissà come avrebbe reagito Luigi Pirandello se gli avessero detto che un giorno una delle sue novelle sarebbe stata messa in scena in un carcere e che gli attori sarebbero stati proprio gli stessi detenuti? Eppure della compagnia teatrale, assolutamente sui generis, che lungo il corso degli anni si è venuta formando nella casa circondariale di piazza Lanza non ci si dovrebbe ormai sorprendere più di tanto. Dopo il "Barabba" del Premio Nobel svedese Lagerkvist questa volta è stato il turno de "La giara", commedia famosissima del premio nobel agrigentino. La tematica, apparentemente più "leggera" rispetto alle precedenti rappresentazioni, non deve però trarre in inganno, perché nella commedia emergono chiaramente alcuni temi fondamentali della poetica pirandelliana. Eppure nel cortile del carcere, adibito di solito a campetto sportivo ma trasformato per l’occasione in un teatro all’aperto, si ride delle disavventure del povero don Lolò Zirafa alle prese con Zì Dima Licasi e attorniato dagli altri personaggi della commedia: l’avvocato Scimè, ‘Mpari Pè, Tararà, Fillicò, ‘gnà Tana e il mulattiere. Dialoghi tutti rigorosamente in dialetto siciliano nei quali si colgono le varie sfumature - dagli accenti, però, inconfondibili - del catanese, del paternese o dell’adranita. Ciliegina sulla torta: il recluso straniero che per l’occasione ha imparato a recitare in dialetto! Il merito va sicuramente agli attori-detenuti che, in un lasso di tempo brevissimo, hanno imparato il copione e si sono calati perfettamente nelle parti loro assegnate, cimentandosi con un testo di non semplice resa scenica grazie anche alla sapiente regia del professore Alfio Pennisi, preside del Liceo Spedalieri, con la collaborazione del dott. Giuseppe Avelli, responsabile dell’area educativa del carcere. Ma grazie anche all’aiuto fattivo di tanti volontari che hanno contribuito alla realizzazione della scenografia e dei costumi. "Il laboratorio teatrale, giunto ormai al terzo anno, è - come sottolineato dal comandante Salvatore Tramontana - una delle attività che coinvolge maggiormente i carcerati". Emblematica proprio la rappresentazione della commedia pirandelliana alla quale hanno assistito contemporaneamente tutti i detenuti del carcere, oltre trecento persone, e che ha costituito una novità assoluta per piazza Lanza. "Il segno di un rapporto di fiducia - ha sottolineato la dottoressa Elisabetta Zito, direttore della struttura - che negli anni è andato via via rinforzandosi tra volontari, personale carcerario e detenuti". La messa in scena de "La giara" è coincisa anche con un avvenimento particolare: il cappellano del carcere, monsignor Francesco Ventorino, ha da poco compiuto sessant’anni di sacerdozio ed è a lui che i detenuti hanno voluto dedicare la piéce teatrale. "Fino a qualche anno fa - ha detto monsignor Ventorino, visibilmente commosso, ai detenuti che lo ascoltavano - mai avrei immaginato di festeggiare i miei 60 anni di sacerdozio in questo luogo così bello. Ed è bello perché qui l’inevitabile pena della detenzione, che vi priva della libertà, si accompagna ad una attenzione a non rendere ancora più gravosa questa pena a cui siete sottoposti. Questo è un luogo umanissimo dove la vostra umanità dolorante si incontra con l’umanità cristiana di chi vi sorveglia perché nel cristianesimo l’uomo non perde mai la sua dignità qualunque delitto commetta". Massa Marittima (Gr): "LiberaMente" spettacoli gospel e teatrale, protagonisti detenuti www.ilgiunco.net, 17 settembre 2014 Due eventi realizzati con la partecipazione dei detenuti del carcere, a Massa Marittima il 19 ed il 21 settembre. Si tratta di una rappresentazione teatrale ad ingresso libero dal titolo "LiberaMente" in programma per il 19 settembre alle 17 presso la Biblioteca Comunale "G. Badii", realizzata dall’associazione Sobborghi di Siena con la partecipazione dei detenuti del carcere di Massa Marittima e lo spettacolo "Leopold Gospel Choir", diretto da Rossano Gasperini, previsto per domenica 21 settembre alle 16 presso l’istituto penitenziario di viale Martiri della Niccioleta. Quest’ultima iniziativa è realizzata grazie al progetto PRO.M.A.R. (modello affettivo - rieducativo) per il sostegno e la cura dei legami familiari dei detenuti, curato dal carcere di Massa Marittima e dall’U.E.P.E di Siena. Il progetto ha lo scopo di evitare fenomeni di disgregazione nelle famiglie dei detenuti a causa del periodo di carcerazione, nella convinzione, data dall’esperienza, che proprio i legami familiari costituiscano la giusta spinta al cambiamento. Lo spettacolo "Leopold Gospel Choir" sarà arricchito da una mostra di arte pittorica realizzata dai detenuti e sarà aperto al pubblico, con una libera offerta tesa ad una raccolta fondi in aiuto del progetto e degli obiettivi che questo si pone: creazione di gruppi di sostegno psicologico per detenuti e famiglie, realizzazione di uno spazio dedicato agli incontri tra genitori e figli ed altro.Per partecipare al concerto è necessario prenotarsi entro il 18.09.2014 mediante inoltro dei dati anagrafici a cc.massamarittima@giustizia.it o al fax 0566.905691. Infine il 4 Ottobre 2014 alle 10, presso il carcere di Massa Marittima si terrà il concerto "I vecchi ricordi" con buffet realizzato dai detenuti con l’aiuto dell’Ufficio Pastorale Caritas Piombino - Massa Marittima e con attività animate dalla condotta Slow Food del Monteregio. Il buffet sarà riservato ai detenuti e ai loro familiari. Droghe: la "drug policy" che funziona di Giorgio Bignami Il Manifesto, 17 settembre 2014 Nel 2011 il rapporto della Global Commission on Drug Policy, denunciando i fallimenti della War on Drugs, analizzando i disastri di questa guerra, fece tremare i palazzi proibizionisti nazionali e planetari. Questo, sia per i suoi contenuti, sia per le firme di molti pezzi grossi dell’establishment internazionale, a partire dall’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, assistiti da una scelta schiera di esperti. Dopo il rapporto del 201, la Commissione ha seguitato a lavorare su specifici problemi, per esempio i costi dell’applicazione della legge penale e la riduzione del danno (vedi il rapporto fra droghe, Hiv/Aids ed epatite C). Finché il 9 settembre scorso è stato pubblicato il nuovo rapporto Taking Control: Pathways to Drug Politics that Work - "Prendere il controllo: percorsi verso politiche delle droghe che funzionino". Qui solo qualche rapido cenno ai contenuti del rapporto, a partire dalle raccomandazioni finali: spostare il più possibile risorse dalle azioni repressive e punitive agli interventi sanitari e sociali di provata efficacia; porre fine sia alla criminalizzazione dell’uso e del possesso di droghe per uso personale (l’italica depenalizzazione di uso e possesso è il più delle volte una tragica frode, almeno dalla Jervolino-Vassalli in poi e ancor più negli anni della Fini-Giovanardi), sia ai trattamenti obbligatori (quasi una allusione a certe nostre comunità terapeutiche); cogliere l’opportunità della prossima assemblea generale Onu sulle droghe (Ungass) del 2016 per cambiare le convenzioni internazionali, sinora ricalcate sul modello proibizionista varato a Vienna nel 1961; puntare sulle alternative al carcere per i "pesci piccoli" del narcotraffico (piccoli produttori, corrieri al dettaglio, piccoli spacciatori); permettere e incoraggiare i diversi esperimenti di legalizzazione controllata, a partire da (ma non fermandosi a) cannabis, foglie di coca e parte delle nuove sostanze psicoattive; puntare a una riduzione del potere delle organizzazioni criminali per ridurre la violenza e l’insicurezza alimentate dalle competizioni tra di loro e con lo Stato; assicurare l’equo accesso ai farmaci essenziali, in particolare gli oppiacei per il dolore (per inciso, l’ultima relazione ad hoc al Parlamento del nostro Ministero della salute mostra qualche progresso, ma anche quanto siamo ancora lontani dagli standard di altri paesi soprattutto del centro e nord-Europa e del nord-America). Poco spazio resta per le parti analitiche del rapporto. Il fallimento delle strategie di controllo è documentato dagli aumenti di produzioni e consumi di droghe pesanti; il danno alla salute pubblica e alla sicurezza dalla frequenza delle adulterazioni e delle morti da overdose, dalle restrizioni alle strategie di riduzione del danno (solo in Russia 1.800.000 iniettori sono infetti da virus Hiv); l’attacco ai diritti umani dagli oltre mille giustiziati all’anno per reati di droghe, dagli innumerevoli carcerati e reclusi in "centri speciali", dalle gravi discriminazioni a danno delle minoranze etniche e razziali; l’incentivazione della criminalità e dell’arricchimento dei criminali dai quasi quattrocento miliardi di dollari annui di vendite al dettaglio, dall’escalation della violenza e del finanziamento del terrorismo; sino ai dati sul dilagare della corruzione, sull’inquinamento dell’economia legale, e chi più ha più ne metta. Insomma, conclude la Commissione, vi supplichiamo, potenti della terra, facciamola finita; e per fortuna, aggiunge, qualcuno qua e là ha iniziato a capire l’antifona. Francia: italiano morì in carcere a Grasse; via al processo, forse già in serata la sentenza di Maria Vittoria Giannotti La Stampa, 17 settembre 2014 L’uomo fu colpito da infarto nel 2010. Medico e infermieri indagati per omicidio. Per Cira Antignano, oggi, potrebbe essere il giorno della verità. Da quattro anni questa donna viareggina, costretta suo malgrado a trasformarsi in una mamma coraggio, attende di sapere cosa è davvero accaduto a suo figlio, morto il 25 agosto del 2010 in una cella del carcere francese di Grasse. Daniele Franceschi aveva 36 anni ed era finito in prigione per aver utilizzato una carta di credito falsa in un casinò della Costa Azzurra. Questa mattina, nel tribunale correzionale di Grasse, si aprirà il processo per far luce sulle presunte responsabilità di quella morte: in calendario sono previste due udienze, ma non è escluso che il verdetto dei tre giudici arrivi già alla fine della prima giornata. Sul banco degli imputati, con l’accusa di "homicide involontarie" - l’equivalente dell’omicidio colposo previsto dal codice penale italiano - siederanno il medico del carcere Jean Paul Estrade e le due infermiere del penitenziario Francoise Boselli e Stephanie Colonna. Ma ad essere chiamato in causa è anche l’ospedale della città francese, di cui i tre operatori sanitari erano dipendenti: in caso di condanna, la struttura sarebbe chiamata a risarcire i familiari del giovane. I primi ad essere sentiti in tribunale saranno il cardiologo Meyer Elbaz e il medico legale Norbert Telmon, i due esperti chiamati a redigere la super perizia che ha messo in luce una drammatica catena di negligenze nell’assistenza al giovane. Secondo i periti, il trentunenne soffriva di una cardiopatia ischemica cronica e i sintomi che lui lamentava nelle ore precedenti al decesso - dolorose fitte al torace - non sarebbero stati presi in adeguata considerazione: l’infarto che gli fu fatale, insomma, non sarebbe stato riconosciuto né curato in tempo. Ma molto probabilmente la protagonista in aula sarà Cira Antignano, da sempre convinta che il figlio avrebbe potuto essere salvato. "Spero che ascolteranno la mia richiesta di verità e giustizia per Daniele. Quello che voglio sapere è che fine abbiano fatto i suoi organi". "Il corpo del giovane - spiega l’avvocato Aldo Lasagna, che ha seguito la vicenda fin dall’inizio - è tornato in Italia privo degli organi interni. Ci è stato detto che sono conservati in laboratori francesi, ma finora, nonostante ripetute istanze di dissequestro, non abbiamo mai avuto garanzie neppure sul loro stato di conservazione". Nei giorni scorsi, Cira Antignano ha scritto una lettera al premier Matteo Renzi, al ministro degli Esteri Federica Mogherini, al presidente della Regione Toscana Rossi e al presidente della Commissione giustizia del Senato. "Nessuno mi ha risposto. Mi avevano promesso che non mi avrebbero lasciata sola e ora provo una grande amarezza". India: udienza in Corte Suprema l’8 ottobre per i due italiani condannati all’ergastolo Ansa, 17 settembre 2014 La Corte Suprema indiana ha deciso oggi di fissare per il prossimo 8 ottobre una nuova udienza per il caso di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due italiani condannati in secondo grado all’ergastolo con l’accusa di avere ucciso a Varanasi il loro compagno di viaggio, Francesco Montis. Ieri il caso era nell’agenda dell’aula n.1 della stessa Corte Suprema, ma al momento della chiamata l’avvocato difensore, Haren Rawal, era impegnato in un’altra aula, per cui non era stato discusso. "Oggi - ha detto all’Ansa il regista Adriano Sforzi che prepara un film sulla vicenda - il legale ha spiegato la situazione è chiesto una ricalendarizzazione, che è stata accettata" dal giudice R.M. Lodha. "In aula - ha aggiunto - c’erano i famigliari dei due ragazzi ed anche l’ambasciatore d’Italia Daniele Mancini, per sottolineare l’appoggio che le istituzioni danno ad una positiva soluzione di questo caso". È probabile che dopo la calendarizzazione per l’8 ottobre, il caso torni effettivamente in discussione il successivo 14 ottobre. Genitori amareggiati per rinvio "Non ho parole per commentare la mia amarezza e il mio sgomento per lo stato della giustizia indiana". Lo ha detto Romano Boncompagni, il padre di Elisabetta, la donna condannata insieme a Tomaso Bruno all’ergastolo per omicidio, dopo il nuovo rinvio di oggi della Corte Suprema indiana. "Speravamo davvero che questa fosse la volta buona - ha aggiunto in dichiarazioni all’Ansa - e invece sono di fronte all’ennesimo rinvio dopo un lungo anno di attesa. Non so come dirlo a Elisabetta". Il genitore della torinese si trovava davanti ai cancelli del massimo organo giudiziario di New Delhi insieme a Euro Bruno, padre dell’albenghese Tomaso (la madre è rimasta a Varanasi dove i due sono detenuti). "Purtroppo non potrò rimanere anche domani mattina - ha ancora detto - quando gli avvocati tenteranno di chiedere ai giudici di esaminare il caso. Devo tornare in Italia perché mia moglie non sta bene". Anche Bruno ha espresso tutta la propria amarezza per il nuovo slittamento. "Nei prossimi mesi - ha detto - ci saranno importanti festività in India che potrebbero ancora ritardare il caso". Domani mattina, il legale dei due italiani, Haren Rawal, chiederà oralmente alla sezione numero uno della Corte Suprema, presieduta dal "chief justice" R.M. Lodha, di anticipare l’udienza che è stata fissata tra quattro settimane. Oggi la seduta, che aveva il numero d’ordine 12, è stata aggiornata dal giudice Lodha a causa dell’assenza dello stesso Rawal impegnato in un altro caso. Belgio: 15 detenuti chiedono eutanasia dopo via libera per stupratore Adnkronos, 17 settembre 2014 Ben 15 detenuti hanno chiesto alle autorità belghe di poter ricorrere all’eutanasia, dopo che ieri è stata accolta la richiesta di Frank Van Den Bleeken, uno stupratore seriale in carcere da 30 anni per lo stupro e l’omicidio di una diciannovenne. Lo rivela oggi il quotidiano De Standaard. In ognuno dei casi, secondo la legge, sarà un’equipe di tre medici a dover valutare se il richiedente soffre effettivamente di sofferenze fisiche o psichiche insopportabili e incurabili. Van Den Bleeken, il primo detenuto che ha ricevuto il via libera, aveva fatto una prima richiesta nel 2011. Ora verrà ricoverato in vista dell’eutanasia, legale in Belgio dal 2002. Belgio: morte di Stato a comando di Francesco Ognibene Avvenire, 17 settembre 2014 Chi ha detto che la pena di morte è stata bandita dall’Europa occidentale? Il Belgio ora si accinge a ripristinarla, nella forma edulcorata della decisione di un detenuto disperato che chiede e ottiene la morte dallo Stato. E lo Stato, anziché fermarlo come dovrebbe, lo accontenta. Anzi, gli procura luogo, strumenti e personale a spese dei contribuenti: vuoi morire? Ci pensiamo noi. Una vera esecuzione capitale, decisa da una Corte che accoglie l’istanza con la quale il detenuto chiede di morire anziché di vivere, ritenendo una condanna la sua stessa vita e non il carcere, una prigione la propria psiche ferita o malata assai più della cella. E il giudice, di fronte a un simile grido di solitudine e impotenza, deve prendere atto della richiesta e ordinare di dar la morte a un cittadino colpevole di essere malato di mente. A uccidere Frank Van Den Bleeken, 52 anni, violentatore seriale e omicida, in carcere da 30 anni, psichicamente disturbato, non sarà dunque un plotone d’esecuzione o la ghigliottina ma la mano di un infermiere. La brutalità della sua sorte non cambia se a causare la morte di quest’uomo che si dichiara incapace di uscire da turbe e tormenti sarà una banale iniezione, esattamente come accade negli Stati Uniti d’America, universalmente deprecati, dove si sdraia il detenuto su un lettino e s’infila un ago nel suo braccio sperando che la faccenda termini alla svelta. Quando il boia entra in azione in fondo a un braccio della morte ancora si alza una giusta e doverosa indignazione globale. Ma per Frank, condannato a morte da se stesso e ormai prossimo all’esecuzione per mano dello Stato che dovrebbe proteggerlo anche da pulsioni suicide, dubitiamo ci saranno associazioni per i diritti civili che leveranno la loro voce indignata. Temiamo infatti che la sua morte verrà rubricata come nuova forma di ‘autodeterminazionè, e l’esecuzione con siringa fornita dal governo di Bruxelles considerata non più un delitto ma un diritto. Paradosso raggelante di un’epoca nella quale la vita vale in base alla considerazione che ne abbiamo, e non più di per sé, a prescindere da ogni distinguo. L’Occidente orgoglioso di aver sradicato con la pena capitale una forma di umiliazione della dignità umana oggi tollera e, anzi, promuove e sbandiera l’eutanasia come forma suprema di libertà: la libertà di ottenere la propria morte dallo Stato, in ossequio a leggi che non la riconoscono come tragedia da scongiurare ma la annoverano tra i servizi da erogare al cittadino. Una pulsione nichilista che nel cuore dell’Europa ha trovato in Belgio un laboratorio della morte seriale, al ritmo di cinque eutanasie al giorno. Che all’elenco degli oltre 1.600 casi registrati ogni anno si aggiunga ora anche il detenuto Frank - vita di scarto al quadrato: perché detenuto e malato - è l’ammissione di una resa. Alla quale potrebbe succederne persino una più spaventosa: pensare di alleggerire la pressione nelle carceri proponendo la morte a chi non vuole marcire in galera da rifiuto reietto e abbandonato. Magari facendola passare come uno sconto di pena. Stati Uniti: i detenuti tornano ad aumentare nel 2013, nelle carceri 1.574.700 persone Tm News, 17 settembre 2014 Dopo tre anni di declino, la popolazione carceraria americana è tornata ad aumentare nel 2013. È quanto emerge da un rapporto del dipartimento di Giustizia statunitense. Il numero di detenuti l’anno scorso è ammontato infatti a 1.574.700 persone: in crescita di 4.300 unità rispetto al 2012. Secondo il New York Times negli ultimi anni c’erano stati segnali incoraggianti per un’inversione di tendenza circa il tradizionale affollamento delle prigioni statali e federali: molti Stati avevano infatti adottato legislazioni che ampliavano il ricorso alla libertà vigilata e pene alternative alla prigione per chi fa uso di droga senza commettere altri crimini. Al tempo stesso però, sottolineano gli esperti, si registrano più ergastoli e condanne per diversi decenni di reclusione che negli anni precedenti, e questo controbilancia gli effetti positivi di riforme come quella californiana, che permettevano la condanna a servizi in comunità anziché al carcere. Il Times riporta il parere di diversi studiosi secondo cui il sistema carcerario americano rappresenta un costo eccessivo per il Pil del Paese ed è discriminatorio soprattutto nei confronti degli afroamericani. Il "Smarter Sentencing Act", una legge che dovrebbe ridurre della metà le condanne obbligatorie per crimini legati al consumo di droga, è al momento sotto il vaglio del Congresso. Stati Uniti: viaggio dentro ad Angola, l’Alcatraz del Sud di Marzio G. Mian Corriere della Sera, 17 settembre 2014 Gli uomini, tutti neri, sono chini e muti. Indossano pantaloni blu, casacche bianche o celesti, usano guanti gialli. Calzano stivaloni di gomma, in capo quasi tutti hanno calati logori cappellacci di paglia o berretti da baseball, qualcuno non smette il poco raccomandabile cappuccio della felpa. Se non fossero tenuti sotto tiro dalle guardie a cavallo sembrerebbero immigrati arruolati nella raccolta dei pomodori in Puglia. Dalla strada sterrata, senti solo qualche colpo di tosse provenire dal profondo del campo o qualche prolungato mugolio o sbuffo prodotto dallo sforzo dei più corpulenti nel momento d’alzarsi e deporre le grosse rape nei secchi; a fare attenzione il vento caldo porta a folate le note d’un soffocato canto lontano, laggiù nel campo - ma forse sono solo i fantasmi di questa ex piantagione, una delle più infami del Sud e della Louisiana, coltivata da schiavi provenienti soprattutto dall’Angola, un nome che divenne una garanzia di maledizione sia per i neri condotti in catene a raccogliere il cotone sia per i detenuti tradotti in catene quando Angola, ai primi del Novecento, divenne il più grande carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, 7.300 ettari, 73 chilometri quadrati, più esteso di Manhattan. Un luogo dove la sofferenza imbratta ancora la terra: nel 1951 trentuno detenuti si tagliarono i tendini d’Achille per protestare contro le brutali condizioni. "Benvenuti nell’Alcatraz del Sud" dice con orgoglio Gary Young, ex secondino, la nostra guida in questa visita esclusiva nel carcere più raccontato del cinema americano, da "Dead Man Wolking" a "Monster’s Ball" al "Miglio Verde" a "Il mago della truffa" a "Jfk". Dei 6.300 detenuti 5120 non usciranno mai da qui: moriranno con un ago in vena nella stanza delle esecuzioni, oppure - condannati al carcere a vita - se ne andranno quando sarà la loro ora; ma non varcheranno lo stesso il cancello, perché la cassa d’abete palustre costruita dai compagni della sezione falegnameria, i quali da quattro anni hanno smesso di costruire comodini e assemblano solo bare, verrà deposta nella terra rossa di Angola. "I primi ad abbandonare il prigioniero sono i compagni della banda, poi la moglie, poi gli amici, poi i figli. Quando muore la madre non viene più nessuno. Dietro il feretro solo i compagni di cella e il pastore. è sempre molto commovente e intenso" dice Young. Chi è uscito con le sue gambe è Glenn Ford, 64 anni. Era nel braccio della morte da 30 anni, proprio come i fratelli McCollum rinchiusi in Nord Carolina e liberati il 2 settembre scorso grazie alla prova del Dna. Glenn in aprile è stato riconosciuto innocente dall’accusa di omicidio e vittima di discriminazione perché condannato a morte da una giuria di soli bianchi. "La giustizia degli uomini non è quella di Dio. Ma la cosa bella" assicura Young "è che qui con la nostra riabilitazione morale si muore comunque nella grazia di Dio. Poi ognuno andrà nel posto che gli spetta, Inferno o Paradiso, dipende, ovvio". Infatti Angola è, secondo una recente denuncia dell’Unione americana per le libertà civili, "un centro d’integralismo cristiano" perché il controverso direttore Burl Cain ha lasciato mano libera ai predicatori, ha imposto la costruzione di cappelle in ognuno dei cinque "padiglioni" recintati di Angola e lo studio della Bibbia, anzi un vero e proprio seminario obbligatorio che forma pastori e dj per la radio del carcere che spara a palla prediche e gospel 24 ore su 24 (prima di Cain la radio era segnalata anche da Rolling Stone magazine per la sua sofisticata e laicissima playing list, soprattutto per il rock). Sta di fatto che quello che era il carcere più violento d’America è diventato, dopo la sacra cura, un esempio di redenzione e convivenza: "Oggi è lunedì" dice Young "bene, per tutto il fine settimana non c’è stata nemmeno una zuffa. Da quando è arrivato mister Cain le violenze sono calate dell’85 per cento". Nel 1995 hanno registrato 799 aggressioni tra detenuti e 192 attacchi alle guardie, quest’anno solo 53 incidenti gravi tra galeotti e 15 ai danni dei carcerieri. Nelle carceri della Bible Belt, soprattutto qui in Louisiana - leader mondiale nei posti letto in galera, 13 volte più dell’Iran (un nero su 14 a New Orleans è dietro le sbarre) - e per la destra religiosa americana il potente Burl Cain è intoccabile almeno quanto la pena di morte. Difatti Burl Cain e la morte s’incontrano, accade quando è l’ora dell’iniezione: lui è lì puntuale che tiene la mano al condannato. Burl Cain è l’ultima visione del condannato prima di chiudere gli occhi. È stato dopo la prima esecuzione che Burl Cain ha deciso di dedicare la sua vita a Cristo, di "far rinascere i criminali in Cristo", in un certo senso di essere Cristo: "Ho sentito che quell’uomo stava andando all’Inferno e che avrei potuto evitarlo" ha detto a Time. Ha anche confessato che sua moglie intende lasciarlo perché "non vuole vivere con un killer". Il suo predecessore, Murray Henderson, è ancora ad Angola, ma come detenuto, perché ha ammazzato la moglie con cinque colpi. Gran Bretagna: stupri in carcere, l’ennesima crepa del sistema penitenziario britannico di Paola Battista www.west-info.eu, 17 settembre 2014 Centinaia di detenuti costretti a subire abusi sessuali dietro le sbarre. È questa la violenta fotografia scattata dall’Howard League for Penal Reform relativa alle carceri d’Inghilterra e Galles. Una stima sempre più vicina ai numeri registrati nei penitenziari americani, con risposte, tuttavia, dolorosamente diverse. Prese sul serio soltanto oltreoceano - denuncia l’associazione. Esempio schiacciante: la pressoché totale assenza di indagini approfondite sul tema. Avviate nel Regno dalla Commissione sul Sesso in Carcere, ma bloccate dal Ministero della Giustizia, affonda la Howard League. Prevedibili le conseguenze. Tra le quali la scarsa conoscenza delle dimensioni reali dell’odioso fenomeno, sempre meno denunciato dalle sue vittime. Stando ai risultati dell’ultimo sondaggio condotto dall’Hmip (Her Majesty’s Inspectorate of Prisons), le vittime si aggirerebbero intorno alle 850 e le 1.650 unità. Frequentemente vittime di episodi ripetuti di violenza. Bolivia: "Liberarte", un convegno internazionale sulla giustizia rieducativa giovanile www.justiciajuvenil.org, 17 settembre 2014 Il convegno intende favorire e stimolare il dibattito sulla Giustizia Penale Giovanile focalizzando sul principio della rieducazione. Progetto Mondo Mlal, Istituto Superior Ecuménico Andino de Teologìa, Proyecto Liber’Arte e il coordinamento del Ministerio de Justicia del Estado Plurinacional de Bolivia, che presiede il Tavolo sulla Giustizia Penale Giovanile, organizzano il II° Convegno Internazionale - Giustizia Restaurativa per Liberarte (II° Congreso Internacional - Justicia Restaurativa para Liberarte), dal 22 al 26 Settembre 2014. Nell’ambito del Convegno ci saranno numerose attività collaterali, conferenze specifiche, tavole rotonde, presentazione di indagini e ricerche, attività artistiche e culturali in luoghi pubblici e in Centri di Diagnosi - Terapia. Il Tavolo sulla Giustizia Penale Giovanile è riconosciuta dal Ministero della Giustizia (R.M. n° 178/2013 del 19 Febbraio), in supporto dello sforzo del governo per la riforma del sistema della Giustizia Penale per delineare una nuova politica giudiziaria e penitenziaria giovanile focalizzando sul principio della rieducazione. In questo senso il convegno intende stimolare il dibattito sull’adempimento della Giustizia Penale Giovanile focalizzando sul concetto della rieducazione, come anche a contribuire al reinserimento sociale degli adolescenti e dei giovani detenuti, con l’introduzione di programmi di libertà vigilata, diffusione di buone pratiche per la riabilitazione, programmi di educazione sulla cultura e le arti, sulla salute, sul reinserimento sociale dei detenuti. Al convegno è stato invitato Michalis Traitsis regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro e docente del modulo "Esperienze di teatro sociale" al Master di I° livello dell’Università di Ferrara "Tutela, diritti e protezione dei minori", per una relazione dal titolo: "L’esperienza del teatro in carcere in Italia come esempio di reinserimento sociale" e per presentare il progetto teatrale "Passi Sospesi" di Balamòs Teatro attivo dal 2006 negli Istituti Penitenziari di Venezia e il suo lavoro nell’ambito della pedagogia teatrale sui minori (scuole, minori non accompagnati). Bangladesh: pena morte tramutata in ergastolo per leader del partito anti-indipendenza La Presse, 17 settembre 2014 La Corte suprema del Bangladesh ha commutato nell’ergastolo la pena di morte inflitta a Delwar Hossain Sayedee, leader del partito Jamaat-e-Islami. L’uomo era stato condannato a febbraio dell’anno scorso per crimini commessi durante la guerra di indipendenza del 1971 contro il Pakistan. Il verdetto del tribunale scatenò all’epoca violente proteste dei sostenitori del partito islamico, in cui persero la vita decine di persone. Il giudice Muzammel Hossain della Corte suprema ha deciso oggi che Sayedee resterà in carcere "per il resto della sua vita naturale". Mauritania: detenuti salafiti annunciano sciopero della fame contro condizioni carcerarie Nova, 17 settembre 2014 Il capo dei detenuti salafiti jihadisti mauritani, Sidi Ould Moulai, ha annunciato l’avvio di uno sciopero della fame contro le condizioni di vita dei detenuti islamici nelle carceri mauritane. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa mauritana "Ani", Moulai ha minacciato "nuove iniziative di protesta dopo quella dello sciopero della fame contro il governo di Nouakchott non volendo le autorità mauritane processarmi pur essendo io innocente". Con questa protesta il leader salafita vuole sensibilizzare l’opinione pubblica locale rispetto al problema dei detenuti islamici in attesa di giudizio.