Primo giorno di scuola anche per il carcere con gli incontri fra gli studenti e i detenuti Il Mattino di Padova, 15 settembre 2014 L’inizio del nuovo anno scolastico nel carcere di Padova ha un valore particolare: significa veder aprirsi i cancelli della galera per far entrare intere classi, ragazzi inizialmente diffidenti, ma anche curiosi, interessati a conoscere una realtà ritenuta sempre così lontana ed estranea. E il confronto che avviene tra studenti e detenuti è straordinario: perché, come spiegano le testimonianze dei detenuti, aiuta a "spezzare la catena del male", spinge chi il male l’ha commesso ad assumersene la responsabilità, ma spinge anche i ragazzi a fare attenzione al male che può esserci dentro ognuno di noi, e a difendersene. Un detenuto con un fine pena 99/99/9999 Fra pochi giorni inizierà in tutte le scuole d’Italia il nuovo anno scolastico, e io mi sento felice, perché potrò nuovamente confrontarmi con molti studenti di Padova e di altre città del Veneto. Ogni anno nel carcere "Due Palazzi" incontriamo centinaia di studenti, con un progetto realizzato dalla redazione di Ristretti Orizzonti, di cui anch’io faccio parte dal 2012, e questo ha determinato un cambiamento nella mia vita, e di conseguenza in quella della mia famiglia. Sono un detenuto condannato al "fine pena mai", non pensavo di poter cambiare la mia vita violenta, nessuno poteva mettere in discussione le mie convinzioni e condizioni di vita, il mio desiderio di vendicarmi delle persone che avevano ucciso i miei famigliari, il mio unico pensiero era come potevo fare altrettanto male a quelle persone. Non volevo ascoltare nessuno, né i miei figli, né i genitori, e poi quando sono finito in carcere ero ancora più arrabbiato per il modo in cui ho trascorso la detenzione, con lunghi anni di isolamento, e regimi molto duri e disumani. Non vedevo più in me un cuore, una ragione per non vendicarmi di certe persone, e delle istituzioni, non ero mai consapevole del tipo di reato che avevo commesso, del fatto che ero partecipe di omicidi di mafia, la mia unica parola di vita era "vendetta". Nel 2012 arrivo nel carcere di Padova, e il mio pensiero è: "Adesso mi ripeteranno i soliti discorsi e provocazioni, e dovrò iniziare a fare i casini che ho fatto in altre carceri per venire rispettato". La prima cosa che mi dicono qui è: "Siamo nel carcere di Padova", come per ribadire che si tratta di un carcere più umano di altri, ma io, accecato dalla mia violenza, gli rispondo: "Perché, Padova mi mangia?". L’hanno capito subito, che non c’ero con la testa, e mi hanno lasciato stare. Dopo qualche giorno vengo chiamato dal direttore, e subito gli dico: "Lasciatemi perdere". Il direttore mi invita ad accomodarmi, e le sue prime parole sono: "Ripartiamo da zero, lei qui potrà avere la possibilità di fare determinati percorsi e quindi approfittarne per un cambiamento nella sua vita". In silenzio me ne vado e lascio dietro alle mie spalle un sorriso sarcastico, ma quelle parole ritornavano di continuo nel mio cervello. Dopo qualche giorno vengo a conoscenza dell’esistenza della redazione e del progetto scuola/carceri, e resto colpito da quello che mi raccontavano i miei compagni, dopo poco tempo vengo inserito nella redazione e conosco meglio questo progetto. All’inizio dico tra me e me: "Non avrò mai il coraggio di parlare davanti ai ragazzi". Mi presento però agli incontri, e sento dentro di me un cambiamento, percepisco per la prima volta una serenità che prima non avevo, ascolto quei ragazzi con tanta attenzione, mi lascio prendere dalle loro domande. Con le mie risposte ho anche modo di raccontare loro l’esperienza di un carcere diverso, quello del periodo del mio arresto in Belgio, dove il percorso interno avviene con una umanità che nelle carceri italiane non ho mai trovato, a parte questa esperienza a Padova nella redazione. Vedo che giorno dopo giorno qualcosa si modifica nel mio essere, nei miei atteggiamenti. Oggi racconto la mia storia a tutti gli studenti che incontro, posso dire che loro mi hanno portato a spezzare la catena del male, quella catena che prima nessuno al mondo poteva farmi interrompere. Oggi ci confrontiamo con tantissimi studenti, e loro spesso mi dicono "Grazie di questa tua esperienza che ci hai raccontato", alla fine ci ringraziamo l’uno con l’altro. Noi cerchiamo di fare prevenzione nei loro confronti, ma io devo tanto a questi ragazzi, hanno salvato un ex delinquente riportandolo verso un percorso di vita che non è più quello del cercare sempre la vendetta. Oggi i miei figli e i miei genitori mi dicono: "Mai nessuno ti poteva far cambiare, ma gli studenti che incontri ci sono riusciti". Grazie ragazzi. Biagio Campailla Dovremmo smetterla di ragionare come se il male non facesse parte di ognuno di noi Mi ricordo che quando era ragazzino e finivano le vacanze estive, la ripresa della scuola era veramente un incubo. Ritrovarmi seduto nuovamente nel mio banco, di fronte alle professoresse mi metteva una angoscia terribile, anche perché sapevo che avrebbero verificato i compiti estivi che avevano assegnato e che io non facevo mai. A breve riprenderà il progetto "Scuola/Carcere", che fa entrare migliaia di studenti l’anno nel carcere per confrontarsi con noi detenuti. Io ho sempre detto che questo progetto è molto faticoso e anche molto doloroso, ma è un dolore piacevole perché se dopo solo un anno e mezzo che partecipo ho raggiunto dei traguardi personali che mai avrei creduto di raggiungere, allora diventa tutto piacevole. A breve ricominceremo a incontrare gli studenti e riprenderò a raccontare il mio vissuto e, assieme ai miei compagni, a rispondere alle domande dei ragazzi. Certo le domande sono quasi sempre le stesse, perché per chi non conosce il carcere e insegue i luoghi comuni che invadono in maniera pesante la società, le curiosità sono sempre le stesse, ma il bello è quella sensazione che provi a trasmettere, portando alla loro attenzione il fatto che c’è molto altro dietro a questi imperiosi muri della galera. Noi non vogliamo convincere di nulla nessuno, vogliamo solamente che le persone si facciano delle domande. Ecco è un po’ quello che succede a me ogni volta che partecipo ad un incontro. Non c’è mai stato un incontro dove a fine giornata, dentro alla mia cella, non abbia ripensato a qualche domanda dei ragazzi o a qualche considerazione anche critica nei nostri confronti. A ricordarmi come ero circa due anni fa e vedermi oggi, rimango stupefatto del mio cambiamento. Ero una persona in lotta con tutto quello che mi circondava, nella società vedevo persone estranee e anche nemiche e il desiderio di farne parte non mi sfiorava neanche il pensiero. Invece oggi capisco che non esiste un "Loro" e un "Noi", anche noi facciamo parte del mondo che c’è al di là di queste barriere di cemento. Tanta gente è convinta che dentro al carcere ci siano dei "Mostri", ma dovremmo smetterla di ragionare come se il male non facesse parte di ognuno di noi. Qui ci sono soprattutto persone che non hanno saputo chiedere aiuto nei momenti di sconforto, oppure che hanno fatto scelte di vita sbagliate credendole le uniche possibili, e queste non vogliono essere attenuanti, assolutamente no, queste sono solo delle consapevolezze che grazie a questo progetto si raggiungono. A volte penso che se non avessi avuto la fortuna di far parte della redazione di Ristretti Orizzonti, in questo momento ero su una branda all’interno della mia cella a pensare alla prossima rapina che avrei compiuto una volta riacquistata la libertà. Capire l’immensità di questo progetto, dargli il giusto significato non è complicato, ovviamente non è complicato per chi crede nella prevenzione, perché solo mantenendo o instaurando un contatto con la società esterna all’interno di un carcere si può interrompere una catena fatta unicamente di male. La comunicazione, il confronto, mettersi in discussione, sono questi gli elementi che possono portare a una rieducazione, e questo è quello che fa il nostro progetto: mettiamo sul tavolo della discussione, di fronte a degli estranei, il peggio di noi rivedendo in modo severamente critico le nostre azioni passate. Comunque a breve mi ritroverò seduto in questa grande aula magna di fronte a centinaia di studenti e professori ancora per un altro anno. So cosa mi aspetterà, i momenti di sconforto non mancheranno, perché rincomincerò a ripercorrere il mio passato toccando eventi della mia vita dolorosi, ma sono certo che avrò delle consapevolezze in più oltre a quelle che già ho appreso, dunque il confronto sarà gratificante e mi darà modo di credere che nella mia vita potrò essere una persona diversa da quella del passato. Lorenzo Sciacca Giustizia: per trasformarla in "servizio pubblico" non basta riformare la magistratura di Francesco Grillo Il Messaggero, 15 settembre 2014 È come se stessimo uscendo da una guerra di trincea durata vent’anni. Una guerra senza fine sul fronte della giustizia che ha dato un contributo significativo a bloccare lo sviluppo civile e la crescita di un intero Paese. Una di quelle nelle quali si ha alla fine la sensazione che i due eserciti avessero l’uno bisogno degli eccessi dell’altro per motivare le truppe e sopravvivere. Da una parte alcuni magistrati arrivati a fondare partiti politici per proseguire la crociata personale con altri mezzi; dall’altro taluni avvocati diventati parlamentari per promuovere leggi finalizzate a garantire anche l’impunibilità di un proprio cliente. In mezzo il vuoto di una politica incapace di proporre una strategia equilibrata e ai margini cittadini e imprese che sprofondavano in quell’incertezza del diritto che, nelle classifiche internazionali, risulta essere il fattore che più di tutti spiega la bassa capacità dell’Italia di attrarre investimenti e produrre posti di lavoro. Eppure è proprio quella della giustizia la riforma strutturale sulla quale questo presidente del Consiglio deve fare la differenza. Del resto, la proposta politica di Matteo Renzi ha finora vinto tra la gente proprio perché dovrebbe rappresentare il superamento di quello scontro ideologico che ha impedito qualsiasi passo avanti. Quale dovrebbe essere allora un approccio alla riforma della giustizia che sia pragmatico, post ideologico, orientato ai risultati? Da dove comincerebbe un riformatore che volesse cambiare senza farsi bloccare dalle culture professionali che su questo fronte si contrappongono, provando a considerare la giustizia un servizio pubblico di cui migliorare la prestazione attraverso una sua riorganizzazione? In che misura l’atto di indirizzo politico istituzionale pubblicato dal ministro della Giustizia della settimana scorsa coglie l’opportunità? I dati del confronto internazionale sono chiarissimi: secondo il World Economic Forum e la Banca Mondiale a far scappare i pochi investitori internazionali che ancora considerano l’Italia come possibile destinazione, sono le questioni gemelle della complessità della legge fiscale, nonché dell’inadeguatezza della macchina della giustizia: sono questi due problemi ad aver quasi disintegrato - in un Paese nel quale per altri aspetti l’invadenza dello Stato è superiore a quella di un regime socialista - quella certezza del diritto che per lo stesso Adam Smith è il bene pubblico essenziale che non può mancare neppure nel regime più liberista del mondo. Siamo al 143° posto su 148 Paesi del mondo per capacità del sistema di far rispettare i contratti; ma il sistema riesce non solo a scontentare chi da sinistra si lamenta a ragione della scarsa possibilità che c’è di condannare chi lo merita; ma anche a rendere legittime le proteste di chi da destra contesta il rischio che vengano rovinate persone innocenti e, del resto, sempre secondo le classifiche internazionali lo stesso giudizio sulla indipendenza della magistratura ci colloca al 78° posto lontani dall’Europa, ma anche dall’India dei marò. In realtà, una riforma della giustizia non si fa cambiando solo la magistratura. Ci sono, infatti, almeno tre altre leve sulle quali agire: la società civile, incoraggiandola ad essere maggiormente tale creando l’aspettativa diffusa tra chi ha torto che non convenga usare i tribunali per ritardare il momento in cui si pagano i propri conti; gli avvocati, che - certamente molto più numerosi in Italia che altrove - hanno un interesse oggettivo ad alimentare il contenzioso; la qualità e la quantità delle leggi, perché il legislatore - come rimprovera lo stesso presidente della Repubblica - dimostra di essere sempre meno in grado di scriverle in maniera comprensibile. La risposta al problema è stata, però, finora intelligente come riescono ad essere certi tagli lineari della spesa pubblica: stanno diminuendo le liti -come testimonia l’ultimo rapporto della Commissione Europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) - ma lo si fa attraverso un aumento generalizzato delle tasse e, dunque, del costo preventivo di accesso ai tribunali: rischiamo di buttare il bambino con l’acqua sporca, creando una giustizia solo per i ricchi e restringendo la concorrenza tra gli avvocati. Viene - e questo è un bene - allargato il numero di casi - separazioni e divorzi, ad esempio - che i cittadini possono regolare senza rivolgersi al giudice. Si rafforza la responsabilità dei magistrati, ma viene limitata a casi estremamente gravi di colpa o dolo, mentre continua ad essere assente qualsiasi nozione di premi legati ai risultati che sono fisiologicamente assai diversi tra diversi tribunali (a Torino per risolvere una disputa occorrono meno di mille giorni, a Bari ne sono necessari più di duemila). Gli stessi provvedimenti con i quali si cerca di riformare, confermano la tendenza a creare ulteriori contenziosi che saranno certamente necessari per interpretare cosa il legislatore volesse dire. Nei provvedimenti annunciati dal governo c’è un importate consolidamento dell’idea che il problema della giustizia sia problema organizzativo e ciò è garanzia di un approccio alla questione più concreto; manca, però, ancora un progetto di cambiamento complessivo che faccia leva su quelli che - tra i magistrati bravi e gli avvocati più giovani - vi hanno interesse. Vanno modificati i comportamenti ma più con strumenti simili a quelli della "patente a punti" che con ulteriori processi. Utilizzando strumenti di monitoraggio che - in maniera laica, non drammatica - sanzionino con multe chi (cittadini, ma anche avvocati) prova ripetutamente a fare soldi promuovendo cause temerarie. Vanno eliminate le pastoie burocratiche che richiedono atti giudiziari, persino, per rendere esecutive le sentenze. Va completata la deregolamentazione - dopo il passo avanti da Bersani e quello indietro della legge del 2012 - di una professione forense che non può più trastullarsi nel difendere una presunta incompatibilità tra le logiche di mercato e la natura intellettuale del proprio lavoro. Vanno introdotti premi che riconoscano sistematicamente il merito di chi riesce a smaltire il contenzioso senza costi per lo Stato e neppure in termini di riduzione della qualità del servizio. Va incoraggiata una specializzazione di giudici e avvocati in maniera che siano più bravi e veloci. Impegnandosi, come governo e parlamento, a disboscare la giungla che è diventato il sistema delle fonti del diritto e approvare solo leggi che superino un test di comprensibilità da parte di un cittadino mediamente istruito o dell’amministratore delegato di un’impresa straniera. Certo da un governo pragmatico ci si aspetterebbe, poi, l’apertura su scala europea di un dibattito su questioni di profilo più alto: possiamo davvero considerare la magistratura una organizzazione - come è presupposto dallo stesso discorso che abbiamo sviluppato - in un contesto nel quale l’articolo 107 della Costituzione sembra negare questa possibilità? è ancora vero - come lo era nei giorni in cui Montesquieu immaginava le forme dello Stato - che la magistratura è un "potere"? Se essa dovesse tornare ad un ruolo di applicazione di leggi che diventano meno numerose e più chiare? E se è un potere che agisce in "nome del popolo" è giusto che i vertici del suo organo di autogoverno siano nominati, in parte, da un altro potere e non rispondano direttamente ai cittadini? Occorrerebbero visione e pragmatismo. Quello che si attende da un governo fatto di ministri cresciuti quando le guerre fredde erano già finite e le tecnologie rendevano certi riti non più sopportabili. Si potrebbe cominciare, oggi, cercando un’alleanza con chi tra gli avvocati e i magistrati accetta la sfida della modernità. Giustizia: pubblicato l’atto di indirizzo politico-istituzionale per il 2015 di Marzia Paolucci Italia Oggi, 15 settembre 2014 Non più solo controlli, occhio alle prassi per spingere le migliori. Cambierà l’architettura del Ministero della giustizia e con essa anche l’ispettorato generale in cui grazie alla tecnologia saranno diversi i tempi e i modi dell’attività ispettiva ordinaria ma soprattutto le funzioni: non più di solo controllo della regolarità dell’azione degli uffici ma di ricognizione delle prassi operative per promuoverne le esperienze migliori. Attivo, invece, già dal 10 giugno scorso, un Osservatorio per il monitoraggio degli effetti delle riforme e per la valutazione, indicatori internazionali alla mano, dell’efficacia delle riforme necessarie alla crescita del paese. Sono alcune delle novità del nuovo regolamento di riorganizzazione del ministero che insieme agli altri dicasteri, dovrà essere adottato con un decreto a firma del presidente del consiglio Matteo Renzi entro il 15 ottobre prossimo. Tra i desiderata dell’Atto di indirizzo politico istituzionale per il 2015 del ministro Orlando, la spinta riformatrice spazia dalla giustizia civile a quella penale, al sistema penitenziario fi no all’informatizzazione, alle rilevazioni statistiche e alla geografi a giudiziaria. Intanto, fa sapere il Guardasigilli, istituito il Servizio di programmazione delle politiche di innovazione e di controllo di gestione del ministero, servirà "una nuova politica di gestione del personale fondata su analisi aggiornate dei fabbisogni i competenze e specializzazioni e sulla qualificazione e valorizzazione degli addetti". Novità anche per le spese di giustizia dove con l’obbligo della fatturazione elettronica nei rapporti economici tra p.a. e fornitori, si lavora a stretto contatto con il Mef per introdurla presso avvocatura e magistratura onoraria. Tempi brevi anche per l’indizione di una gara unica nazionale per i servizi tecnici in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali mentre sta per concludersi il procedimento di quantificazione dei costi standard funzionali alla determinazione dei contributi ai comuni per le spese di gestione degli uffici giudiziari. Giustizia civile e penale In comune tra civile e penale, pur nella diversità dei numeri, c’è l’intento deflativo per l’abbattimento di un arretrato che al 31 dicembre 2013, ha registrato oltre 5 mila cause civili pendenti davanti ai tribunali di primo grado e oltre 3 mila cause penali pendenti. La spinta nel primo caso va alla negoziazione assistita complementare all’obbligatoria mediazione e all’ampliamento dell’arbitrato esteso anche alle cause civili pendenti di primo grado e appello. In ambito organizzativo, invece, la creazione del tribunale in materia di diritto di famiglia e l’ampliamento delle competenze di quello delle imprese, accentuerebbero le professionalità della funzione ed eviterebbero la dispersione delle conoscenze. Nel penale, invece, si punta a incidere sull’udienza preliminare limitandola ai reati più gravi, ristretto anche l’appello limitato al principio di tendenziale tassatività dei motivi, anche se richiesto dal pm. Carceri e geografia giudiziaria Potenziare le misure alternative al carcere per ridurre la cella a luogo di pernottamento o poco più. Va in questo senso l’azione intrapresa dal ministero a cominciare dal ripensamento del sistema dell’esecuzione penale esterna e del ruolo ricoperto dal magistrato di sorveglianza oltre ai 30 milioni di euro di sgravi fi scali e contributivi stanziati con un decreto tra ministri della Giustizia, dell’Economia e del lavoro per quelle imprese che assumano detenuti per un tempo non inferiore ai 30 giorni. Altrettanto urgenti sono gli interventi di edilizia e ristrutturazione carceraria in una situazione di cronica insufficienza di spazio negli istituti di pena. In materia di geografi a giudiziaria, invece, con la massiccia soppressione di tribunali e procure e il mantenimento dei gdp, si è provveduto a un monitoraggio dello stato di attuazione della riforma e di verifica dei problemi così da procedere alla razionalizzazione anche dei distretti di corte d’Appello finora non toccati dall’attuale riassetto organizzativo degli uffici. Informatizzazione e best practice Dopo il 30 giugno scorso quando è scattata l’obbligatorietà del pct in primo grado, dal 30 giugno 2015, l’obbligo scatterà anche per le corti d’appello e per i giudici di pace. Più indietro il penale ancora senza un sistema unico dei registri informatici e senza alcuna scelta univoca in materia di applicativi di digitalizzazione. Per le best practice, invece, la nuova programmazione 2014-2020 dovrà tenere conto delle nuove politiche di innovazione organizzativa del Ministero. Giustizia: le ferie delle toghe fanno litigare il premier Renzi e il ministro Orlando di Anna Maria Greco Il Giornale, 15 settembre 2014 Sul taglio delle ferie ai magistrati Matteo Renzi non vuol cedere alle pressioni dell’Anm e delle correnti delle toghe. Anche a costo di smentire il suo ministro della Giustizia, che ha aperto a possibili correzioni al decreto legge sulla giustizia civile all’esame del Quirinale, parlando di un emendamento che modificherebbe la riduzione da 45 a 30 i giorni di riposo e dimezzerebbe il periodo feriale in cui tribunali e procure lavorano a regime ridotto dal 1 agosto - 15 settembre al 3-31 agosto. Strano decreto, perché sarebbe in vigore dal 2015. S’incarica di correggere Andrea Orlando, il suo viceministro Ncd Enrico Costa. "Non c’è e non Ci sarà - dice - alcuna retromarcia sulle ferie dei magistrati. Si tratta di una norma, inserita in un provvedimento organico, finalizzata a rendere più rapida la risposta di giustizia e non c’è alcuna ragione per tornare indietro. Ne ho parlato con il ministro Orlando e questo è il suo pensiero". La colpa, al solito, è dei mass media che hanno dato "una lettura fuorviante delle parole del ministro". Ma dietro alle dichiarazioni ufficiali ci sono reali divergenze all’interno del governo e del palazzo di via Arenula su come affrontare il confronto con le toghe. Il Guardasigilli ha fatto un passo falso, altro che travisamento, e viene rimesso in riga. Lo dimostra anche il fatto che poco prima della sua dichiarazione il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri aveva già parlato dell’opportunità di emendare in parlamento il decreto legge, compensando il taglio delle ferie con la sospensione dei termini per scrivere le sentenze emesse prima delle vacanze. E anche tra i politici c’è chi vede nelle parole del Guardasigilli un cedimento inopportuno. Scrive su Twitter Fabrizio Cicchitto, dello stesso partito di Costa: "Orlando deludente: al primo accenno di avvisi di garanzia sta facendo marcia indietro sulle ferie dei magistrati". La verità è che il Guardasigilli appare in seria difficoltà, stretto in un ruolo a suo tempo impostogli da Renzi. Per qualcuno, già pensa ad un’alternativa. A creare tensioni contribuisce il braccio di ferro in parlamento per le elezioni dei due giudici costituzionali e dei restanti cinque membri laici (tre già eletti: Legnini e Fanfani per il Pd e Leone per il Ncd). Per le toghe è particolarmente importante chi va ora a Palazzo dei Marescialli, perché lì sperano di contenere con le circolari i danni delle norme più sgradite. Oggi pomeriggio riprendono le votazioni delle Camere, dopo un weekend di trattative. Al posto di Antonio Catricalà che ha rinunciato, Fi si avvierebbe ad indicare Donato Bruno, in tandem con Luciano Violante per il Pd. Per il Csm il M5S mette il veto sul candidato azzurro, Luigi Vitali. Il presidente del Senato Pietro Grasso lancia, intanto, un nuovo appello: "Spero che domani (oggi, ndr) si trovi una soluzione, altrimenti il problema diventa ancora più grave. Le aule non si possono fermare in attesa delle intese". E i togati di sinistra del Csm esprimono "disagio" per lo stallo. Ma Renato Brunetta di Fi respinge l’ultimatum di Grasso. Giustizia: trattativa ad oltranza su Csm e Consulta, si attende parola Berlusconi Adnkronos, 15 settembre 2014 Trattative ad oltranza su Csm e Consulta. Domani il Parlamento in seduta comune tornerà a votare, ma i partiti non avrebbero ancora trovato un accordo sui nomi che mancano all’appello (i due giudici costituzionali e i 5 membri del Csm) e si teme una nuova fumata nera in Aula. A rendere ancor più difficile la situazione è il veto M5S sul candidato di Fi, Luigi Vitali, all’organo di autogoverno della magistratura ("Renzi fa l’indiano, ha fatto credere agli italiani che avrebbe portato avanti il governo del rinnovamento e sta per battere Berlusconi in indecenza"). Secondo le ultime indiscrezioni, le quotazioni dell’ex sottosegretario alla Giustizia sarebbero scese. Quanto alla Consulta, dopo il ritiro di Antonio Catricalà, Forza Italia ancora non avrebbe deciso chi candidare ufficialmente al suo posto: allo stato, resta in campo Donato Bruno, ma in tanti tra le fila azzurre scommettono che all’ultimo momento possa spuntarla un ‘terzo’ outsider per due ragioni. La prima: Silvio Berlusconi non vorrebbe dare l’immagine di aver ceduto alla fronda interna, soprattutto al Senato, che continua a tifare per l’ex presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. La seconda: anche se il Pd ufficialmente conferma Luciano Violante, non tutti sarebbero entusiasti di questo nome (all’ultima votazione vari parlamentari Dem non avrebbero scritto sulla scheda il nome dell’ex presidente della Camera). Si parlava di Franco Coppi, come papabile azzurro alla Consulta, ma avrebbe rifiutato l’offerta. Nemmeno Niccolò Ghedini, raccontano, sarebbe disposto ad accettare una candidatura. In ogni caso, i 120 voti ottenuti in Aula da Bruno continuano a pesare. Tutti attendono segnali da Arcore, dove l’ultima parola spetterà a Silvio Berlusconi, che fino ad ora non avrebbe dato alcun input sul cavallo su cui puntare. Grasso: soluzione o situazione si aggrava "Spero che domani si trovi una soluzione altrimenti il problema diventa ancora più grave: abbiamo bisogno di riprendere gli altri lavori parlamentari perchè le aule non si possono fermare in attesa delle intese". Nuovo appello del presidente del Senato Pietro Grasso ai partiti per trovare subito una soluzione alle nomine di Csm e Consulta, in vista della seduta comune del Parlamento di domani. Grasso ha parlato a Isola Maggiore sul Trasimeno, dove ha presentato il suo libro "Lezioni di mafia". Giustizia: ddl-diffamazione in Aula al Senato; no a carcere ma multe salate per giornalisti Adnkronos, 15 settembre 2014 Obbligo di rettifica anche on line - Filippin (Pd), finestra su diritto all’oblio. I giornalisti condannati per diffamazione non rischieranno più il carcere ma incorreranno in sanzioni pecuniarie fino a 10mila euro, mentre l’obbligo di rettifica sarà molto più stringente di quello attuale e varrà anche per le testate registrate on line. Sono queste le linee portanti del ddl sulla diffamazione che approda in aula a palazzo Madama a partire da domani, secondo un calendario che dovrà fare i conti comunque con le sedute del Parlamento in seduta comune per l’elezione dei membri di Csm e Consulta. I senatori della commissione Giustizia che hanno votato il mandato al relatore Rosanna Filippin (Pd) hanno licenziato un testo che modifica in parte quello che era stato trasmesso dalla Camera. E che si inseriva a sua volta sulla scia delle questioni lasciate aperte nella legislatura precedente attorno al caso di Alessandro Sallusti, per un articolo apparso a suo tempo su Libero. I parlamentari hanno continuato a lavorarci: si tratta di interventi di riforma della legge sulla stampa dell’8 febbraio 1948 e successive modifiche (compresa la legge sull’editoria del 1981), e sui codici penale e di procedura penale. Come la stessa Filippin spiega all’Adnkronos, "in commissione abbiamo discusso molto sui limiti della rettifica e si è deciso di consentire al giornalista e al direttore una sorta di vaglio della richiesta di rettifica: quindi, non ci si potrà rifiutare di pubblicare la rettifica richiesta se non quando è chiaramente falsa. Questo significa che giornalista e direttore si assumono la responsabilità della decisione e rinunciano alla non punibilità". Inoltre, "abbiamo schiuso una finestra sul diritto all’oblio, recependo la cosiddetta Sentenza-Google della Cassazione. Abbiamo nel complesso cercato di contemperare libertà di espressione e diritto a non essere diffamato". La punibilità per i giornalisti, naturalmente, resta ma non comporta il rischio di finire dietro le sbarre: si pagherà una sanzione. Molto più severa la procedura per la rettifica: va pubblicata gratuitamente, senza commento senza risposte e senza titolo con un "format" preciso, che indica che si tratta, appunto, di "rettifica" di un dato articolo, con i riferimenti al titolo, alla data e all’autore. La rettifica viene pubblicata su richiesta dei soggetti "di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità". Purché, le dichiarazioni o le rettifiche "non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale o non siano documentalmente false". Il direttore è inoltre tenuto a informare l’autore del servizio firmato della richiesta di rettifica. La mancata o incompleta pubblicazione della rettifica comporta una sanzione da 8mila a 16mila euro. La diffamazione con il mezzo della stampa è punita con una multa fino a 10mila euro ma se l’offesa consiste nell’attribuzione dolosa di un fatto falso, la multa varia da 10mila a 50mila euro (i senatori hanno leggermente limato la pena inizialmente prevista dai deputati). Sarà il giudice comunque a quantificare il risarcimento del danno, da quantificare sulla base della diffusione della testata, della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione. L’autore dell’offesa non è punibile quando abbia chiesto la pubblicazione della smentita o della rettifica richiesta dalla parte offesa. Il direttore o il vice direttore responsabile della testata risponde, secondo il testo licenziato dalla commissione Giustizia e a differenza di quello della Camera, "a titolo di colpa" dei delitti commessi con il mezzo della stampa, radiotelevisivo o con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza dell’omesso controllo. Viene precisato, inoltre, che direttore e vice direttore responsabile rispondono di quanto pubblicato senza firma. Una prima ‘finestra’ normativa su quanto pubblicato in generale sul web è quella che recepisce la sentenza della Cassazione del 2012. E un primo passo per il diritto all’oblio quello che stabilisce che l’interessato può chiedere l’eliminazione "dai siti internet e dai motori di ricerca" dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della legge. In caso di rifiuto il cittadino può chiedere che un giudice disponga la rimozione di immagini e dati di quella natura. Non solo: in caso di morte dell’interessato, tali facoltà e diritti "possono essere esercitati dagli eredi o dal convivente". Non è detto, però, che in aula fili tutto liscio. Il Movimento Cinque Stelle, che ha votato contro in commissione, annuncia battaglia. Come dice il vice presidente M5S della commissione Giustizia, Michele Giarrusso: "Questo ddl è aberrante: con tutti i problemi che ha il Paese, la maggioranza Renzi-Berlusconi punta a intimidire i giornalisti e gli editori. Dietro la carota dell’eliminazione del carcere (che peraltro ormai non c’era per nessuno), si vede il bastone delle conseguenze economiche per chi volesse insistere a scrivere dei politici corrotti". Qualche mal di pancia anche nella maggioranza. Enrico Buemi, senatore socialista eletto nel Pd, non si capacita: "Come si fa a tenere fuori i temi legati alla diffamazione derivante dalla fuga di notizie dagli uffici giudiziari? O la pubblicazione di intercettazioni telefoniche in cui vengono coinvolte persone non interessate dall’inchiesta? In questo caso - conclude con una battuta - non è solo diffamazione è ricettazione a mezzo stampa". Giustizia: Daniele morì in carcere in Francia. La madre a Renzi "non lasciatemi sola" di Claudio Vecoli Il Tirreno, 15 settembre 2014 La madre di Daniele Franceschi, il giovane viareggino trovato morto in circostanze ancora tutte da chiarire il 25 agosto 2010 nel carcere francese di Grasse, ha scritto una lettera al presidente del consiglio, Matteo Renzi, al ministro degli esteri, Federica Mogherini, al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e al presidente della commissione giustizia del Senato, Luigi Manconi, per chiedere che lo Stato italiano sia al suo fianco durante il processo che inizierà il prossimo 17 settembre presso il Tribunale di Grasse, in Costa Azzurra. "Fra pochi giorni inizierà il processo a carico del medico del carcere e per due infermiere - scrive Cira Antignano, madre di Franceschi - ma ancora una volta, come in tutti questi anni, lo Stato e la Regione di cui Daniele era cittadino saranno assenti". La madre del giovane chiede quindi risposte concrete. L’occasione per avere giustizia è finalmente arrivata. Dopo più di quattro anni di battaglie per capire cosa è successo davvero all’interno del carcere di Grasse il 25 agosto 2010, mercoledì si aprirà in Francia il processo per la morte di Daniele Franceschi, l’operaio viareggino deceduto ad appena trentasei anni nel penitenziario della Costa Azzurra in circostanze ancora tutte da chiarire. Una vicenda piena di lati oscuri sulla quale la Francia ha sempre cercato di mantenere un velo di imbarazzato, complice silenzio. Arrivando anche a ostacolare la ricerca della verità da parte della famiglia - e in primo luogo di Cira Antignano, madre di Daniele - che non ha mai smesso di urlare la propria voglia di giustizia. Proprio mamma Cira, a poche ore dalla prima udienza, ha voluto riaccendere i riflettori intorno al caso del figlio. Ed ha scritto una lettera-denuncia al premier Renzi, al ministro degli esteri Mogherini, al presidente della commissione giustizia del Senato Manconi e al governatore della Toscana Rossi perché lo Stato si schieri finalmente al suo fianco nella battaglia per la ricerca della verità. "Io stessa, in gravi difficoltà economiche - ha spiegato Cira Antignano - potrò partecipare al processo solo grazie al sostegno di Acad, l’Associazione contro gli abusi in divisa, e il "Comitato delle vittime della strage di Viareggio e del 29 giugno". Mercoledì, in un’aula del Tribunale correzionale di Grasse, a pochi chilometri da Nizza, un pezzo di verità potrebbe venire finalmente alla luce. Alla sbarra, accusati di omicidio, il medico e due infermiere del carcere. Secondo quanto emerso dalle indagini della magistratura francese, non avrebbero fatto tutto il possibile per salvare la vita a Daniele, rinchiuso nel penitenziario della Costa Azzurra da sei mesi in attesa di processo per una storia di carte di credito clonate utilizzate in un casinò di Cannes e che da alcuni giorni accusava dolori. Ma al processo compariranno anche i vertici amministrativi dell’ospedale di Grasse, per i quali gli inquirenti transalpini hanno ipotizzato responsabilità nella vicenda per un’errata valutazione degli esami medici forniti dal carcere all’ospedale nelle fasi in cui lo stesso Franceschi, durante la detenzione, accusò malori e poi morì nel penitenziario". Io, abbandonata dallo Stato, voglio giustizia, di Cira Antignano Gentilissimi Presidenti e Ministri, Il mio nome è Cira Antignano e sono la madre di Daniele Franceschi, cittadino italiano, e toscano, che nel 2010 è stato arrestato in Francia per una carta di credito clonata. Mi figlio ha sbagliato, ed è stato arrestato, ma ha pagato con la Vita. Rinchiuso nel carcere di Grasse per mesi. Morto "senza una ragione", il suo corpo mi è stato restituito dalle autorità francesi in avanzato stato di decomposizione e senza gli organi interni. Soprattutto senza una risposta, una spiegazione, un perché di questa morte assurda, mentre Daniele era nelle mani dello Stato. Di uno Stato che si definisce moderno, libero e democratico. Non so se ricordate il caso di Daniele, ma penso che dovreste. Dovreste avere a cuore la sorte di un ragazzo di Viareggio, tornato morto da un carcere francese, e che ancora aspetta una parola di verità e giustizia da parte delle autorità. Dovreste avere a cuore il dolore disperato di una madre che da quel maledetto giorno non si dà pace. Trovereste pace voi nella totale negazione dei diritti? Esiste la pena di morte in Francia? E le Istituzioni Italiane cosa fanno? Giustificano tutto questo con complice silenzio? Io certo non mi rassegno e farò di tutto per ottenere quella verità e quella giustizia troppo a lungo negate, ma mi trovo, sola, a dover lottare contro una macchina inumana e troppo più forte di me. Il 13 ottobre 2010 sono andata a manifestare davanti al carcere di Grasse, per mio figlio, con un lenzuolo bianco con su scritto: "Carcere assassino, me lo avete ammazzato due volte. Voglio giustizia". La protesta non è però piaciuta ai vertici carcerari che hanno chiamato la polizia. Ho cercato di spiegare che volevo manifestare pacificamente ma loro mi hanno messo in ginocchio e mi hanno ammanettato. Uno con il tacco della scarpa me l’ha premuto contro il petto fino a rompermi tre costole. Vi pare questo il modo per soffocare il grido disperato di una madre che chiede giustizia per suo figlio? Il 17 e 18 settembre prossimi si terrà presso il Tribunale francese di Grasse il processo per omicidio colposo a carico del medico del carcere e per due infermiere, ma ancora una volta, come in tutti questi anni, lo Stato e la Regione di cui Daniele era cittadino saranno assenti. Chiedo a voi, uomini a capo di Istituzioni che si dichiarano democratiche, se ritenete accettabile tutto questo e in che modo potete rispondere a una madre che ha deciso di rivolgersi direttamente a voi dopo aver lottato da sola per un principio che dovrebbe essere acquisito, cioè per vedere affermate verità e giustizia per suo figlio. Giustizia: l’ex governatore veneto Galan resta in carcere, sta male e ha perso venti chili di Stefano Zurlo Il Giornale, 15 settembre 2014 L’ex governatore del Veneto è in cella per il Mose nonostante diabete e problemi cardiaci. Molte delle accuse sono cadute, ma resta detenuto. Il 22 ottobre scade la custodia cautelare. Un tempo lo chiamavano con poca fantasia il Doge. Ora ha festeggiato, si fa per dire, il compleanno nella solitudine del carcere di Opera. Giancarlo Galan, ex governatore della regione Veneto, ex ministro e volto televisivo di molti talk show, è una faccia dimenticata. Dal 22 luglio è in una cella singola del penitenziario alla periferia di Milano e lì l’ha sorpreso il 10 settembre scorso il cinquantottesimo compleanno. "Legge, legge molto - racconta l’avvocato Antonio Franchini - ha appena finito un poliziesco che gli avevo consigliato: Il Poeta di Michael Connelly, prelevato dalla ben fornita biblioteca della prigione, e poi scorre continuamente memorie, atti e carte dell’inchiesta". L’indagine della procura di Venezia che l’ha fatto finire dietro le sbarre con l’accusa pesantissima di corruzione. Ma più dei capi d’imputazione, che pure sono imponenti, quel che conta è l’atteggiamento del Pd. Il22luglioquandosi è votato alla Camera il partito di Renzi aveva ancora una sensibilità forcaiola. Così il Pd aveva spedito compatto il parlamentare Francantonio Genovese in galera e Renzi aveva riassunto la sua filosofia, un tantino cinica, con un tweet raggelante: "Adesso Grillo si asciughi la bava alla bocca". No, il partito non aveva ancora imboccato, sia pure a zigzag, la strada del garantismo, come si è visto poi per il candidato alle primarie in Emilia Stefano Bonaccini e per l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi. Per carità, la valutazione del fumus persecutionis è cosa diversa dalla riconferma di un amministratore indagato, ma certo qualcosa è scattato a sinistra nelle ultime settimane. Qualcosa che non c’era il 22 luglio, quando nel corso di una giornata rocambolesca e quasi incredibile, Galan fu dimesso dall’ospedale, passò da casa e da lì in ambulanza fu trasferito a Opera. Da allora solo silenzio e una coltre di oblio. Nessun interrogatorio perché i pm ritengono in questa fase una sua deposizione tempo perso. Galan incontra invece con cadenza bisettimanale gli avvocati Franchini e Ghedini, e poi la moglie Sandra Persegato. Ancora, a fargli compagnia ci sono i libri. E i faldoni che raccontano la Tangentopoli del Mose. Gli incartamenti che raccolgono le accuse formulate da Giovanni Mazzacurati, il dominus del Consorzio Venezia Nuova, da Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani, e dall’ex segretaria Claudia Minutillo. Galan, malconcio dopo una brutta caduta e con la gamba ingessata, aveva chiesto alla Camera di aspettare qualche giorno per dargli modo di difendersi in aula ma il Parlamento andava di fretta, con un passo giacobino, e liquidò quella richiesta come una manovra dilatoria. Ora l’ex deputato vive nel centro clinico: ha perso 20 chili, l’ingessatura è stata tolta, ma la gamba è sempre gonfia. Preoccupa il diabete, aggressivo, che deve essere tenuto sotto controllo, e non vanno sottovalutati gli scompensi cardiaci: "Galan - prosegue Franchini - soffre di aritmie notturne, il cuore non è regolare, il suo stato di salute non è per niente buono". Ma si va avanti così: ormai siamo al giro di boa dei due mesi di carcere ed è chiaro che il suo destino prossimo si giocherà in ottobre: ai primi del mese si discuterà il ricorso in Cassazione contro le manette, in ogni caso il 22 dovrà essere scarcerato per forza, per decorrenza dei termini. "Intanto l’80 per cento delle accuse - spiega Franchini - è caduto per prescrizione e la situazione si è molto alleggerita". Restano tre grappoli di contestazioni. Il presunto stipendio da 1 milione l’anno, deciso da Mazzacurati e relativo al triennio 2009-2011; la partecipazione come socio occulto ad Adria Infrastrutture, una società che avrebbe dovuto favorire Baita ma che in realtà fece poco o nulla per gli amici degli amici; forse, perché sul punto c’è incertezza, il pagamento da parte dei signori delle tangenti dei lavori di ristrutturazione della barchessa della villa di Cinto Euganeo. L’indagine che galoppa è un puntino fermo sul calendario di ottobre. E Galan aspetta in carcere. Lettere: condannato all’ergastolo… la fine della pena è nel 9999 di Carmelo Musumeci Il Mattino di Padova, 15 settembre 2014 Ergastolano denuncia il caso di burocrazia informatica a Padova: il suo certificato di detenzione riporta come data di fine pena il 31/12/9999. Il suo certificato di detenzione è quasi peggio di una condanna. Alla voce "Scadenza pena definitiva", recita infatti una data impossibile: 31/12/9999. Secondo il Ministero di Grazia e giustizia, praticamente, dovrebbe uscire di galera tra quasi ottomila anni. Una presa in giro, anche se la vittima dell’ennesimo caso di informatica burocrazia è un boss mafioso con qualche omicidio alle spalle: Carmelo Musumeci, 59enne boss mafioso condannato all’ergastolo per essersi fatto "giustizia da sé", sta scrivendo a mari e monti per denunciare la situazione degli ergastoli ostativi. Quelli, cioè, senza alcuna speranza perché esclusi da ogni sconto di pena a causa della gravità dei reati per cui sono stati condannati. "Ho sempre pensato - scrive dal carcere di Padova, dove si è laureato in Giurisprudenza e da dove gestisce il proprio sito internet e un frequentato blog - che in natura non c’è nessuna cosa che dura per sempre, se persino le stelle nell’universo alla fine muoiono e si spengono. E che solo gli uomini hanno creato una pena che non finisce mai inventandosi l’ergastolo ostativo. Tempo fa uno studente che aveva letto qualcosa di me in rete, mi ha chiesto se gli mandavo una copia del mio certificato di detenzione per una ricerca universitaria sulla pena dell’ergastolo in Italia. Erano anni che non richiedevo più il mio certificato di detenzione. E l’altra settimana ho fatto richiesta alla matricola della Casa di Reclusione di Padova. Oggi mi è arrivato quello nuovo e quasi svenivo quando mi sono accorto che non avevo più scritto in rosso "Fine Pena Mai" perché in questo ci hanno scritto che la mia pena scade il 31/12/9999. Una volta le persone erano più umane perché ti bruciavano o t’impiccavano. Adesso invece è tutto diverso e per farti soffrire di più ti murano vivo in una cella. Credo che una pena che dura migliaia di anni oltre che inutile e crudele sia anche stupida. Eppure la nostra Costituzione prevede che la pena abbia solo uno scopo e una funzione, che è quella rieducativa. Non credo che una pena che duri migliaia di anni riuscirà mai a rieducare il mio cuore e la mia anima, ma spero che ci riesca con il mio cadavere". Lettere: il rapporto politica e giustizia di Franco Monaco (deputato Pd) Corriere della Sera, 15 settembre 2014 Forse è sbrigativa la tesi secondo la quale il Pd sarebbe passato dal giustizialismo al garantismo. Anche perché quelle parole categorie di uso (e abuso) comune sono generiche e incerte. E tuttavia non si può negare il problema, sollevato da Polito e Verderami, di una qualche difformità di approccio del Pd a una vasta casistica recente. Come tacere l’impressione che il tenore delle parole renziane di oggi si discosti, che so, da quello adottato nel caso Cancellieri? Urge tematizzare, cioè discutere ed elaborare una visione del rapporto tra politica e giustizia ancorata a principi saldi e dichiarati. In breve, urge dotarsi di una bussola che valga "erga omnes" e che ci metta al riparo da oscillazioni ispirate a mera convenienza opportunistica e dettate dai mobili umori della pubblica opinione. Ovvero affidate a estemporanei tweet. Ha ragione Renzi quando sostiene che spetta alla politica la scelta dei candidati e, nel caso del Pd, ai cittadini-elettori emiliani o calabresi con le primarie. Ma spetta al partito nazionale di darsi la bussola di cui si diceva e di applicarla con rigore. Cavando dal cassetto il severo Codice etico che fu stilato all’atto della fondazione del Pd e rammentando che il popolo del Pd vanta una sensibilità singolarmente acuta in tema di trasparenza e legalità dei comportamenti degli uomini pubblici. Una sensibilità che è risorsa e non problema. Lettere: giustizia e malagiustizia, tra opinioni e fatti di Carlo Peis Notizie Radicali, 15 settembre 2014 Mentre le condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo sanciscono inaudite violazioni come il "trattamento inumano e degradante" inflitto ai detenuti nelle carceri italiane a causa del sovraffollamento, l’eccessiva lungaggine e quindi la violazione della "ragionevole durata" dei processi e in ragione di ciò infliggono al nostro Paese le conformi sanzioni, una recente nota ufficiale dell’Associazione Nazionale Magistrati ci informa, con un dato del 2010, che nel contempo la magistratura italiana detiene il merito di essere riuscita a definire "2 milioni 834mila procedimenti civili contenziosi e 1 milione 288mila cause penali" e che "con questi numeri […] la magistratura italiana si pone al primo posto per produttività in Europa nella materia penale e al secondo posto in quella civile". Ma se questi sono gli indubitabili numeri "eccezionali" verrebbe da chiedersi come sia possibile che tale ragguardevole e meritoria "produttività" che ci consegna il primato europeo possa convivere con un impietoso e perentorio giudizio verso lo stesso "sistema giudiziario italiano" che "da lungo tempo ormai" a detta della stessa associazione (ma oggettivamente condivisibile da tutti) "versa in una grave crisi di efficienza e di funzionalità, che si traduce in crisi di credibilità della Giustizia". La suddetta asserzione, nonostante possa apparire contraddittoria, a ben guardare, ha un’implicita logica ed una sua coerente ragione che ci porta necessariamente a comprendere ( se non si fosse ancora compreso)e a dedurre (se non si fosse già dedotto) che la produttività, l’efficienza e la qualità del sistema giudiziario italiano non sono né sinonimi né autosufficienti. E tuttavia dovrebbero coesistere per consentire una possibile somministrazione della giustizia in ossequio al "principio di legalità e di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge" ed evitare così la deleteria "crisi di credibilità della stessa Giustizia". Ed alcuni rimedi potrebbero essere senz'altro quelli di "forti investimenti in risorse di personale amministrativo e di mezzi ma anche in riforme coraggiose" rispetto alla normativa vigente. Per chi segue le problematiche inerenti al più generale tema della giustizia sa bene che sono e rimangono rimedi, benché qui esposti genericamente, condivisibili tanto sono intrinsecamente opportuni e necessari. Ma il problema della "giustizia" è complesso proprio perché esso risiede contestualmente e inscindibilmente non solo nella quantità di sentenze ma anche in una qualità più complessiva del sistema giustizia, certamente condizionata dal rapporto tra i mezzi, le risorse e il personale di cui si dispone. È complesso e vieppiù complicato, il problema della "giustizia" se si aggiunge l’aspetto della "sua credibilità", perché i casi di malagiustizia, come è pacificamente notorio, riguardano sia ciò che si fa (e/o non si dovrebbe fare) sia ciò che non si fa (e/o si dovrebbe fare) da parte di tutti e di ciascuno dei soggetti coinvolti nell’amministrazione della giustizia. Il "nodo gordiano", se non si vuole convivere con il degrado della giustizia italiana, volente o nolente, rimane sempre quello di quali, "ripeto" quali coraggiose riforme in quanto opportune rispetto ai casi di malagiustizia potrebbero intendersi, in un simile contesto di imprescindibile necessità. Ma proviamo ad ipotizzare: sarebbe o no una coraggiosa riforma quella che destina sostanziali maggiori risorse ed un aumento in pianta organica dei magistrati? Sarebbe o no una coraggiosa riforma quella che riconosce una responsabilità diretta al magistrato che compie un errore che si sarebbe potuto evitabile col semplice buon senso comune? Sarebbe o no una coraggiosa riforma quella che collega una "precisa responsabilità politica" in caso di inadempienza, inadeguatezza della stessa classe politica verso quel dovere legale e etico di ben amministrare? Sarebbe o no una coraggiosa riforma quella che comporta l’avversione a quel diffuso "mal costume italiota" del coltivar il proprio particolare a discapito del bene comune? Ipotesi, personali o meno, a parte, per ora un fatto indiscutibile, rispetto ai casi di malagiustizia, fra opinioni controverse e interessi contrapposti, da lungo tempo ormai, è quello che i pressoché soliti e solitari radicali hanno proposto e propongono alcune riforme che sistematicamente si ignorano o si fa finta di ignorare, nonostante l’emblematica ed ineludibile vicissitudine umana e giudiziaria di Enzo Tortora, per una giustizia giusta. Per ora, si potrebbe aggiungere, tra coraggio e viltà dell’umano sentire, da lungo tempo ormai, è un fatto che i pressoché soliti e solitari radicali denunciano innumerevoli e scomodi casi di malagiustizia che sistematicamente vengono ignorati da chi può e dovrebbe risolverli e/o evitarli, da chi può e dovrebbe informare l’opinione pubblica. Puglia: Cosp: mentre i politici salutano Renzi, i poliziotti penitenziari finiscono all’ospedale di Luca Gironi www.puglia24news.it, 15 settembre 2014 Due nuove denunce arrivano dal Cosp (Coordinamento Sindacale Penitenziario) che vedono le carceri pugliesi nuovamente al centro della scena. La prima arriva da Bari, dove un assistente capo della Polizia penitenziaria è stato "insultato, minacciato di morte e aggredito", come si legge nel comunicato firmato dal segretario del sindacato Mimmo Mastrulli. Le ferite dell’uomo sono guaribili in 20 giorni, ma la criticità della situazione delle carceri pugliesi resta un dato di fatto, a causa del "ridottissimo numero di personale nei diversi turni su una forza detenuta di 340 reclusi". L’altro caso si è invece registrato nel carcere di Trani, dove due Assistenti Capo della Polizia Penitenziaria sono rimasti feriti "nel tentativo di difendere il personale medico di turno vittima di aggressione da parte di uno dei reclusi del settore Italia". Nel comunicato, il Cosp sottolinea come "da tempo il sindacato per quello che accade nelle carceri Pugliesi ed in quello di Trani e Bari in particolare sta chiedendo ispezione ministeriale da parte del Dap". E, con un tono tra il critico e l’amareggiato, aggiunge: "Mentre politici e dirigenti vanno in Fiera a Bari a salutare Matteo Renzi, i poliziotti penitenziari vanno al pronto soccorso feriti dalle aggressione dei detenuti". Venezia: officina detenuti per le bici, inaugurata alla presenza delle direttrici delle carceri La Nuova Venezia, 15 settembre 2014 Ha aperto venerdì mattina, alla presenza delle direttrici rispettivamente della Casa di reclusione della Giudecca, Gabriella Straffi, e della Casa circondariale Santa Maria Maggiore, Immacolata Mannarella, la nuova ciclo officina della cooperativa sociale Il Cerchio, che vede carcerati ed ex impegnati nella riparazione di gomme, sostituzioni di parti meccaniche, regolazioni ma anche restauri di vecchie bici e assemblaggi di nuovi cicli. L’attività si trova in via Giustizia al civico 11/b davanti alla carrozzeria Moderna. Al taglio del nastro ieri mattina, era presente l’amministratore delegato di Avm, Giovanni Seno, Gianni Trevisan, presidente della cooperativa il Cerchio e Giorgio Mainoldi, ma anche il presidente di Mestre, Massimo Venturini, l’ex sindaco Massimo Cacciari invitato in quanto amico della bici e della mobilità su de ruote e il garante dei diritti dei carcerati. Presenti anche detenuti ed ex detenuti assieme ai volontari che si adoperano per aiutarli nel loro reinserimento sociale. La nuova officina collabora con il bici-park della stazione ed è arrivato anche un accordo con una ditta, la Foverbike di Padova per il servizio di assemblaggio di nuove biciclette da vendere. "Si tratta di un primo passo", ha spiegato Mainoldi del Cerchio, "per realizzare un progetto di percorribilità lenta attraverso la laguna, per andare da Mestre a Pellestrina e qui realizzare un secondo punto assistenza e ristoro". Da Caroman l’intento è collegarsi direttamente al progetto ciclabile da Torino a Venezia e poi ampliarsi verso la laguna Nord e le piste del Sile. La ciclo officina di via Giustizia sarà, infatti, la prima di una serie di servizi di assistenza pensati per il turismo ciclabile. Si pensa all’apertura di altre ciclo officine in luoghi di interscambio del centro storico e toccati dagli itinerari per le due ruote. "Si tratta di una bellissima iniziativa", ha commentato Cacciari, "da pensare completata e in sistema con la Laguna Nord e il collegamento verso Chioggia, da organizzare senza entrare in conflitto con il bike sharing. A Mestre la ciclabilità si è sviluppata molto in questi anni". I chilometri di piste non sono secondi neanche a quelli di Amsterdam, ha sottolineato Cacciari, che ha poi accentuato l’importanza del carcere quale luogo di rieducazione. "La ciclabilità è un segno di civiltà", ha precisato Seno, "ed è un indicatore di civiltà contribuire ad aiutare i detenuti. Ringrazio la cooperativa Il Cerchio, che da anni collabora con noi in maniera fattiva e mai assistenziale". Le due direttrici hanno approfondito l’importanza che il lavoro assume per i carcerati e per la loro autostima, ripercorrendo la genesi dell’idea di creare l’officina, nata in seno a Gianni Trevisan. Il presidente di Mestre, Massimo Venturini, ha poi lanciato un’idea: quella cioè di creare, visto il bisogno che c’è in città di un luogo dove poter parcheggiare le proprie bici, una sorta di nuovo stazionamento e deposito per le due ruote, che potrebbe sorgere nel giardino dell’ex scuola Vecellio proprio in collaborazione con l’officina dei detenuti e Avm. Vasto (Ch): visita in carcere del parlamentari M5S "qui più internati che lavoratori" Il Centro, 15 settembre 2014 Su 189 detenuti solo una minima parte, circa 50, viene impiegata per lavori interni all’Istituto, mentre altri svolgono saltuariamente attività agricole e di pulizia della spiaggia. È questo il dato che è balzato agli occhi del senatore Gianluca Castaldi e del consigliere regionale Pietro Smargiassi durante la visita alla Casa Lavoro di Torre Sinello. Un paradosso che i due esponenti del Movimento 5 stelle mettono in luce. "Casa Lavoro? Il solito gioco di parole all’italiana, una definizione edulcorata per quello che è semplicemente un carcere. Questo perché nella Casa Lavoro non c’è lavoro", attaccano Castaldi e Smargiassi, "altro paradosso è la condizione degli internati, diversa da quella dei detenuti e poco conosciuta: si tratta di persone che hanno già scontato la pena per i loro reati, ma vengono posti in misura di sicurezza detentiva in quanto giudicati soggetti socialmente pericolosi. Questa misura di sicurezza può essere prorogata più volte e gli internati vivono in questo limbo, da loro chiamato "ergastolo bianco", senza sapere quando e se potranno tornare liberi. Non seguendo nei fatti alcun percorso lavorativo, gli internati non offrono elementi per valutare il loro eventuale ravvedimento e restano così in carcere per anni e anni, nonostante abbiano già pagato il loro debito con la giustizia. Si capisce che con una vita del genere, senza lavoro, trattati come detenuti, tagliati fuori dal mondo, con la sensazione di essere un ostaggio dello Stato e di subire una gravissima ingiustizia, la possibilità di recupero per un internato è praticamente nulla: si ottiene piuttosto l’effetto contrario di quello dichiarato sulla carta". Castaldi e Smargiassi promettono il loro impegno per "accelerare la realizzazione di strutture di produzione nella Casa Lavoro di Vasto (è in corso d’opera l’allestimento di una sartoria) e di progetti per far lavorare anche fuori della struttura carceraria i soggetti giudicati idonei. In particolare, è interessante e fattibile la realizzazione di una pensione per cani, strumento che risulterebbe gradito anche ai nostri turisti". Durante la loro visita Castaldi e Smargiassi sono stati accompagnati dal direttore Massimo Di Rienzo, dal responsabile dell’area educativa, Lucio Di Blasio e dal comandante Nicola Pellicciaro. Bologna: mercoledì presentazione Relazione annuale Garante Comunale dei detenuti Ristretti Orizzonti, 15 settembre 2014 Mercoledì 17 Settembre alle ore 11,30, presso la Sala Imbeni della Residenza Municipale in Piazza Maggiore, 6, é convocata la seduta congiunta delle Commissioni consiliari "Affari Generali e Istituzionali", "Delle Elette" e "Sanità, Politiche Sociali, Sport, Politiche abitative", in cui verrà esposta la Relazione sull'attività svolta dal Garante per i diritti delle Persone private della Libertà personale nel Comune di Bologna Elisabetta Laganà per il periodo agosto 2013 - luglio 2014. Trani: nuova aggressione nel carcere, detenuto si scaglia contro medico e agenti Il Giornale di Trani, 15 settembre 2014 Sono stati aggrediti da uno dei detenuti mentre cercavano di difendere il personale medico di turno, aggredito dallo stesso recluse. È accaduto l’altra sera nell’infermeria del carcere di Trani e, a pagare le conseguenze dell’ira del detenuto violento (il 34enne Michele Mastrorillo, di Canosa di Puglia), sono stati due assistenti capo della Polizia penitenziaria: hanno rimediato lievi ferite ed escoriazioni, giudicate guaribili in pochi giorni. "È l’ennesima aggressione che evidenzia, ancora una volta, le condizioni di insicurezza in cui lavora personale dell’istituto penitenziario - denuncia Mimmo Mastrulli, segretario generale del Coordinamento sindacale penitenziario, nell’atavica carenza di organico esistente negli istituti di pena della Puglia". Mastrorillo è detenuto nella nuova sezione "Italia" della casa circondariale di Trani, dove vige la cosiddetta "vigilanza dinamica", vale a dire le celle rimangono aperte. "Il detenuto, con condanna definitiva - racconta Mastrulli, prima ha incendiato uno sgabello (le indagini interne accetteranno cosa abbia utilizzato per compiere questo gesto) poi ha minacciato il medico di guardia dell’infermeria e, quindi, aggredito due degli agenti di polizia penitenziaria accorsi in aiuto del medico". Dell’episodio, oltre che la direzione del carcere, è stata informata l’autorità giudiziaria. Gela (Ct): Osapp; serve Nucleo per tradurre detenuti ed evitare missioni da Caltagirone La Sicilia, 15 settembre 2014 Da Caltagirone a Gela per tradurre i detenuti dalla struttura di contrada Balate al Tribunale, o dal domicilio agli uffici di via Giovanni Falcone in occasione dei processi penali. Da tre anni la struttura carceraria è aperta, di detenuti ne sono ospitati alcune decine provenienti ogni parte dell’isola. Se da un lato ci sono molti detenuti che ormai stanno per finire di scontare la pena e stanno chiudendo i loro conti con la giustizia, dall’altro è anche vero che molti detenuti del comprensorio vengono condotti presso la casa circondariale in attesa dell’interrogatorio e poi vengono riportati a casa per gli arresti domiciliari. E per le traduzioni ogni qualvolta giungono gli agenti dal carcere di Caltagirone. Chilometri e chilometri, spese in più per l’amministrazione giudiziaria. Ora però si cerca di cambiare rotta e a fine mese si terrà un incontro tra sindacati e amministrazione penitenziaria per portare in città, presso la struttura di contrada Balate del nucleo traduzioni. "Una esigenza sempre maggiore - ha detto Domenico Nicotra, segretario dell’Osapp - una richiesta è già stata presentata e a fine mese ci sarà l’incontro decisivo anche perché la struttura gelese è una di quelle più operative nel territorio". Di problemi ce ne sono parecchi. La carenza di personale penitenziario è elevata, ma rispecchia l’andazzo che si vive anche nelle più grandi e complesse strutture carcerarie. E poi gli agenti della polizia penitenziaria all’interno della struttura vivono diversi disagi di cui il sindacato già si è fatto carico tant’è che ad agosto il segretario dell’organizzazione sindacale di categoria Osapp ha inviato una lettera al Ministero della Giustizia con la quale si chiede una maggiore dotazione di armadietti per il cambio. Così il Provveditore Regionale per la Sicilia Maurizio Nicosiano ha scritto alla direzione della struttura di contrada Balate per affrontare la problematica evidenziata dal sindacato per apportare migliorie e rendere l’operato e la permanenza degli agenti della Penitenziaria all’interno della struttura di qualità migliore. Roma: nasce l’Atletico Diritti; immigrati, detenuti e studenti assieme grazie a un pallone www.linkiesta.it, 15 settembre 2014 Cosa hanno in comune studenti universitari, immigrati e detenuti? Una squadra di calcio, per esempio. A Roma giocherà in Terza Categoria, ultimo gradino del calcio nella lunga corsa alla Serie A, l’Atletico Diritti. Un sodalizio che riunisce quei tre mondi di cui sopra. Con due obiettivi. L’integrazione, ma anche la voglia di non essere semplici comparse: "Se il Brasile ha perso 7 a 1 nella semifinale dei mondiali organizzati a casa sua, noi potremo mai far di peggio?". Non è la prima volta che in Italia si vede un progetto del genere. L’Atletico Diritti, diversamente da altre realtà, vede l’integrazione di mondi diversi in campo e fuori. Se a mettere gli scarpini sono ragazzi in difficoltà e coetanei pronti a condividere con loro un’esperienza tra un esame e l’altro, a livello organizzativo il club nasce dalla compartecipazione di associazioni di categoria e mondo accademico. A unire le forze sono l’Associazione Antigone, Progetto Diritti e Università di Roma Tre. Non solo. Hanno dato il proprio contributo Made in Jail - che ha disegnato le magliette della squadra - oltre alla Polisportiva Quadraro Cinecittà, che mette a propria disposizione il campo per le partite in casa dell’Atletico Diritti. "Certamente è una sfida che vale la pena raccogliere, perché l’integrazione si crea attraverso il confronto di esperienze differenti, come in questo caso. Sul campo, gli immigrati dei centri d’accoglienza avranno l’opportunità di conoscere gli studenti romani e viceversa", ha spiegato a Repubblica Carolina Antonucci, protagonista già alcuni anni fa di un altro "storico" progetto legato al calcio: quello dell’Ardita San Paolo, prima squadra nata in Italia dall’azionariato popolare. Una sfida che ha bisogno di un altro sostegno: quello economico. Al momento sono stati spesi 2.000 euro. Ma come ricorda il sito di Antigone, "l’iscrizione al campionato costa; il tesseramento dei giocatori costa; il magazzino, i palloni, le divise, i biglietti dell’autobus per le trasferte costano". Così è nato un progetto di crowd-funding sulla piattaforma indiegogo, accompagnato da un video realizzato dai ragazzi dell’Angelo Mai. Nono solo: è possibile sostenere l’Atletico Diritti attraverso il conto corrente bancario di Progetto Diritti onlus - Iban IT76V0569603200000006623 X37. Causale: Atletico Diritti. Un motivo in più per sostenerli? L’ironia. Se vedete bene il simbolo della squadra, troverete anche una banana, chiaro riferimento alla frase razzista del neopresidente della Figc Carlo Tavecchio su Optì Pobà. Augusta (Sr): concerto al Castello Svevo con i detenuti della Casa circondariale www.siracusanews.it, 15 settembre 2014 Grande successo di pubblico per l’evento "Ritorno al castello Svevo", organizzato dalla casa di reclusione di Augusta e dalla commissione comunale di Storia Patria (in collaborazione con Legambiente, Inner whell e altre realtà associative) che ha visto esibirsi i detenuti della Brucoli Swing Brother’s band , la corale del carcere di Augusta diretta da Maria Grazia Morello. L’inizio del concerto era previsto per le 19 ma già mezz’ora prima i 200 posti a sedere erano esauriti: 450 gli spettatori e oltre 1.200 euro raccolti dall'associazione Buon Samaritano per acquisto generi di prima necessità in favore di detenuti indigenti. L’antico cortile della Torre Bugnata, reso agibile dal lavoro dei detenuti protrattosi per una settimana pieno fino all’inverosimile. L’evento è stato l'occasione per riaprire dopo anni alla cittadinanza il bene monumentale, che nella sua storia millenaria è stato utilizzato anche per cento anni dal 1880 al 1978 come carcere, e l’afflusso è stata una testimonianza dell’attaccamento della cittadinanza al castello. Presenti fra gli spettatori anche gli onorevoli Amoddio e Gianni ed il Sovrintendente ad interim ai beni culturali Rizzutto, che ha promesso che la questione del castello Svevo costituirà una priorità per il suo mandato. Ad assistere al concerto anche il vice prefetto Cocciufa, uno dei tre amministratori straordinari che governano la città, e numerose autorità cittadine. Fra i brani più applauditi "La casa in riva al mare" di Lucio Dalla, le cui strofe (dalla sua cella lui vedeva solo il mare) sembravano scritte da un detenuto del vecchio reclusorio che si affaccia sul mare. Gran Bretagna: è record di suicidi nelle carceri... +64% tra il 2013 e il 2014 di Paola Battista www.west-info.eu, 15 settembre 2014 A rivelarlo è stato il Prisons and Probation Ombudsman in persona, Mr. Nigel Newcomen, nel suo ultimo rapporto annuale. Dove, oltre alle cifre, a preoccupare, come si legge nel dossier, è che "non è ancora possibile capire le ragioni di un simile aumento. Ad ogni modo, il numero riflette lo stato di salute delle nostre carceri e l’elevata disperazione dei condannati". L’unica certezza, ammette Newcomen, è che le attuali procedure di prevenzione dei gesti autolesionisti e suicidi nel servizio penitenziario funzionano poco e male. Segno evidente che è giunto il momento di adottare le necessarie contromisure. Due in particolare i principali imputati sul banco di accusa: 1) Il difficile clima lavorativo in cui versano gli stessi secondini, che non consente loro di rispondere adeguatamente alle difficoltà di ciascun detenuto. 2) L’inadeguatezza dei metodi di identificazione e monitoraggio della popolazione più a rischio di farla finita. Che spesso manifesta chiari segnali di disagio, rimanendo però inascoltata.