Giustizia: suicidi in carcere, una sconfitta per tutto il sistema giudiziario di Cecilia Sechi* La Nuova Sardegna, 14 settembre 2014 Solo oggi, superato lo shock per il suicidio di Saverio nel carcere di Bancali che ha profondamento addolorato quanti a lui si sono dedicati, sento di poter scrivere due righe: ho sentito spesso la mamma questa estate, ho controllato da Garante tra le mie cartelle e Saverio era in assoluto il detenuto con il quale avevo fatto più colloqui. Sono tanto vicino alla mamma che ha perso un figlio giovane nella maniera più brutale e sono vicina agli educatori, agli agenti, ai medici e alla direzione che a lui si sono maggiormente dedicati. Io vorrei sempre poter fare di più per i detenuti, ma sono sola e tanti sono i casi che vorrei seguire e che non riesco, e questo è il mio più grande rimorso. Non voglio parlare oltre di Saverio, per rispetto della sua dignità, per la mamma e perché c’è una inchiesta in corso. Indubbiamente possiamo chiamare questo drammatico fatto una "sconfitta per tutti noi", senza voler scaricare nessuna responsabilità, ma è la "sconfitta dell’intero sistema carcerario e giudiziario". Vogliamo rivelare a tutti che le ultime leggi e leggine per evitare la condanna di Strasburgo all’Italia per "trattamenti disumani e degradanti della dignità umana dei detenuti", che avrebbe messo in seria difficoltà le casse dello Stato, hanno riversato, in particolare sui tavoli dei magistrati di sorveglianza, una mole di lavoro inimmaginabile, che scoraggerebbe chiunque solo per capire come riordinare le scrivanie stracolme di fascicoli: a loro manca personale, strumenti di lavoro di ogni tipo per poter lavorare più celermente proprio in favore delle istanze dei detenuti. E loro sono i primi a vivere con estremo rammarico questa situazione non facile da capire da parte dei detenuti stessi. I detenuti dovrebbero sapere queste cose, dovrebbero sapere come in Italia è ridotta la politica giudiziaria e carceraria, basti la vicenda della Corte d’Appello di Sassari. Poco tempo fa convocai una conferenza stampa proprio per spiegare questi aspetti tecnici insieme all’avvocato Conti dell’ Unione camere penali italiane, l’avvocatessa Pinna e l’avvocato Satta della Camera Penale di Sassari "Enzo Tortora" e per divulgare notizie e dati ai giornalisti su questa disastrosa situazione e informare detenuti e opinione pubblica. Più giornalisti con collaborativa sincerità ci hanno spiegato che il carcere non fa notizia se non per fatti eclatanti. Ma chiedo vivamente ancora un aiuto a alla stampa, affinché possa aiutarci a spiegare che tali drammi nascono anche da queste distorsioni. Ricordo che il carcere è un argomento che va trattato con la massima delicatezza, i detenuti leggono il giornale e basta una sola virgola per scaldare gli animi. In ultimo, proprio per importanza, vorrei parlare della mancanza di organico negli uffici giudiziari, che accumulano pratiche su pratiche nelle loro scrivanie, pratiche che devono essere lette, aggiornate dai documenti, vagliate rispetto a diversi aspetti e leggi e poi istruite, azioni che non possono essere compiute in 15 minuti, ovviamente il ritardo si riversa sugli avvocati e infine sui più deboli detenuti che non capiscono le lungaggini e si sentono spesso abbandonati. In carcere non ci sono detenuti ricchi o colletti bianchi, ma solo la marginalità della nostra società. Finché, il carcere e il sistema giudiziario non verranno visti come segmento delle auspicate riforme, i suicidi in carcere non finiranno. Chiediamo alle autorità preposte, tecnici e politici con viva urgenza, che il pianeta carcere venga inserito a pieno titolo nella riforma del sistema giudiziario, creando un sistema di "ruote dentate" che si muove in sintonia per raggiungere risultati che abbiano sempre come stella polare la nostra Costituzione. *Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Sassari Giustizia: Laura Boldrini (Camera) visita l’Ipm di Palermo "questo un esempio positivo" di Daniele Ditta La Sicilia, 14 settembre 2014 Palermo. Ha elogiato il sistema della giustizia minorile e ha promesso il sostegno delle istituzioni nel percorso di riabilitazione dei giovani detenuti. Giovani preoccupati per un "domani" fuori dal carcere. A loro la presidente della Camera, Laura Boldrini, ieri in visita all’istituto penale minorile "Malaspina" di Palermo, ha dedicato un’intera mattinata. È stata nei luoghi che i 25 "ospiti" della struttura frequentano ogni giorno: tra i banchi della scuola, nel laboratorio teatrale, nelle cucine, nelle stanze. Ma soprattutto ha ascoltato i timori, messi nero su bianco in una lettera (che pubblichiamo integralmente in questa pagina) sincera e al tempo stesso piena di speranze. "I ragazzi che sono detenuti qui - ha detto la presidente della Camera - sanno di aver sbagliato, ma hanno paura che la società non dia loro la seconda chance che, invece, meritano. Come rappresentante delle istituzioni dico che faremo di tutto affinché possano continuare un percorso di integrazione e mi auguro che anche chi può dare loro una possibilità lo faccia, perché è nell’interesse di tutti che questi giovani abbiamo un ruolo attivo nella società". Boldrini ha poi definito il carcere minorile di Palermo "un fiore all’occhiello. Mi sono trovata davanti a una struttura che funziona, in cui i giovani hanno la consapevolezza di non sprecare il proprio tempo, ma fare cose utili. In Italia il sistema carcerario ha ancora tanti problemi, mentre per quanto riguarda la giustizia minorile stiamo dando esempio di buone pratiche". Durante la sua visita la presidente della Camera ha parlato, tra gli altri, con i giovani detenuti che hanno partecipato ad un laboratorio teatrale del "Malaspina", ricevendo in dono il copione di un’opera intitolata "Kimada u Blek" (l’uomo nero che ama), della regista e autrice Fosca Medizza. "Un viaggio ideale di "evasione" non dal carcere ma dalla realtà di ogni giorno", ha detto il direttore del penitenziario Michelangelo Capitano. Tante le attività presentate alla Boldrini: dalle arti grafiche alla cucina, passando per il giardinaggio ed altri lavori manuali. Come il progetto "Lisca bianca", il restauro dell’imbarcazione di due coniugi palermitani che ha fatto il giro del mondo e che sta coinvolgendo - oltre ad ex tossicodipendenti della comunità terapeutica S. Onofrio di Trabia - anche due giovani detenuti. "Qui i ragazzi imparano mestieri e valori", ha sottolineato Boldrini, che nella cucina del carcere ha anche trovato un menu siciliano a base di cassata e arancine preparato dai detenuti. "Se il compito del carcere è quello di educare - ha aggiunto rivolgendosi agli operatori dell’area penale minorile - lascio questa struttura con la consapevolezza che voi lo state facendo con senso di responsabilità e passione". Un lavoro delicato che va anche al di là del carcere, come hanno spiegato Annamaria Palma Guarnier, del dipartimento per gli Affari di giustizia, e Concetta Sole, presidente del Tribunale per i minorenni di Palermo. Perché, è in sintesi la loro riflessione, "in Sicilia è forte il potere d’attrazione della mafia e, se si vuole ridurre la delinquenza minorile, bisogna dare la possibilità ai ragazzi di conoscere un altro tipo di vita". La visita della presidente della Camera è stata anche l’occasione per tornare sull’argomento migranti, proprio all’indomani dell’ennesima strage nel Canale di Sicilia. Per Boldrini, "la comunità internazionale e l’Ue devono fare molto di più". "Mare nostrum - ha proseguito - è un’operazione importantissima, perché ha salvato migliaia di vite umane. Ma da sola non basta. Occorre dare ai richiedenti asilo un’alternativa ai viaggi sulle carrette del mare. Serve un accordo a livello europeo affinché si possa fare lo screening delle domande d’asilo nei Paesi di transito, con l’impegno di ogni Stato europeo di prendersi una quota di persone che sono state riconosciute bisognose di protezione. Questo programma esiste, si chiama reinsediamento e va pienamente attuato, soprattutto dai Paesi europei che non brillano per disponibilità". E ancora: "L’Italia, che ha consolidato una buona esperienza nella prima accoglienza dei migranti, deve valorizzare ciò che funziona e non reagire sempre come davanti ad emergenze". La vicenda dei marò e la riforma della giustizia sono stati gli altri temi toccati da Boldrini. "Il ritorno di Massimiliano Latorre non è né una vittoria né una sconfitta per l’Italia. Di certo è una notizia positiva. Servono tempi certi sulla definizione del caso: indipendentemente dal fatto che siano o meno colpevoli non si capisce perché non c’è stata una presa di posizione chiara delle autorità indiane e perché ci sono stati tutti questi rinvii". Sulla giustizia, infine, Boldrini ha auspicato che "la riforma renda il sistema più efficace e veloce, perché sui tempi dei processi siamo stati a volte richiamati dall’Europa. Il sovraffollamento carcerario, inoltre, è un ostacolo alla riabilitazione dei detenuti. Il Parlamento si è occupato di questa materia ed ha fatto proprio il monito del capo dello Stato". Sull’ipotesi di un indulto, però, Boldrini ha dichiarato che "non rientra tra le priorità del Parlamento. Ci occuperemo delle misure alternative al carcere". Giustizia: Sappe; incontro Grecia-Italia per fronteggiare l’emergenza penitenziaria Comunicato Sappe, 14 settembre 2014 Una visita alle carceri della Grecia e una conferenza di servizio con esponenti del Sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria greca Osye (Omospondia Sofronistikon Ypallilon Elladas) per concretizzare una sinergica azione di intervento presso le Istituzioni europee sui temi penitenziari. È l’iniziativa che ha visto coinvolto nei giorni scorsi i componenti del Consiglio Nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che dal 9 all’11 settembre scorsi ha partecipato ad Atene ad una conferenza di servizio con i colleghi greci. Spiega Donato Capece, segretario generale Sappe: "Nella tre giorni greca, a cui hanno partecipato i componenti la Segreteria Generale e i Segretari Nazionali e Regionali del Sappe, abbiamo trattato l’analisi dei dati e l’attualità della situazione penitenziaria italiana e greca con gli amici dell’Osye, accompagnati dal Presidente Spyros Karakitsos. Si è trattato di un importante momento di confronto e analisi del sistema penitenziario nazionale ed europeo nonchè di studio delle iniziative di strategia sindacale che saranno svolte dalla Segreteria Generale e dai responsabili regionali nei prossimi mesi, anche in sede di Parlamento europeo". Italia e Grecia hanno entrambe più detenuti dei posti disponibili nelle carceri: circa 54mila e 500 in Italia (dove i posti regolari effettivamente disponibili sono circa 40mila) e 12mila in Grecia (capienza regolamentare 8mila posti. I sindacalisti italiani del Sappe, insieme a una delegazione dell’Osye (Omospondia Sofronistikon Ypallilon Elladas), hanno visitato il carcere di Korydallos e quello psichiatrico di Atene, incontrando e scambiando opinioni con il personale in servizio. "Si è trattato di un confronto davvero costruttivo: ora aspettiamo gli amici greci dell’OSye in Italia per fare loro conoscere la nostra realtà penitenziaria", conclude Capece, che relazionerà sulla visita anche il Consiglio di Giustizia della Confederazione Europea dei Sindacati autonomo Indipendenti Cesi che si riunirà nei prossimi giorni a Bruxelles. "Porremo le criticità della situazione penitenziaria greca all’attenzione del Consiglio di Giustizia, auspicando l’adozione di concreti provvedimenti a tutela dei poliziotti", conclude il leader dei poliziotti penitenziari italiani aderenti al Sappe. Giustizia: Orlando; il Dl per abbattere l’arretrato civile potrà essere riscritto di Silvia Barocci Il Messaggero, 14 settembre 2014 Un segnale di apertura ai magistrati per modificare in sede di conversione alle Camere il decreto che ha tagliato le loro ferie da 45 a 30 giorni (più sei di festività soppresse); un’assicurazione per fugare il sospetto che sulla giustizia ci possa essere un altro patto del Nazareno. Il Guardasigilli Andrea Orlando parla alla Festa dell’Unità, a Firenze. E tenta di smorzare i toni che si sono fatti via via sempre più accesi tra il premier Renzi e l’Anm: il primo convinto che l’aver diminuito le ferie garantirà una giustizia più veloce e che anche il magistrato debba rispondere al principio del "chi sbaglia paga"; il sindacato delle toghe, invece, deluso da "slogan e slide" che "servono a mascherare la sostanza di una riforma debole e insufficiente". "Ho dato la disponibilità a riconoscere una specificità che riguarda la magistratura e da questo confronto potrà venire fuori qualcosa che si può anche tradurre in un emendamento". Orlando fa così intendere che l’art. 16 del decreto legge per abbattere l’arretrato civile potrà essere riscritto diversamente in sede di conversione. Un ammorbidimento di posizione che, però, esclude una marcia indietro del governo sul taglio alle ferie delle toghe: "chiediamo uno sforzo ai magistrati di comprensione dell’esigenza di compiere tutti un sacrificio in questo momento", chiarisce Orlando. E con lui è d’accordo anche il renziano Davide Ermini, presente al dibattito. Una possibile soluzione - che incomincia a circolare in ambienti della maggioranza - potrebbe essere la sospensione dei termini di deposito di motivazioni assunte dai giudici che stanno per andare in ferie. In questo modo si renderebbe quel periodo di vacanza effettivo e non, come accade per gli attuali 45 giorni, impiegato in parte a scrivere sentenze da depositare entro termini prestabiliti. Il decreto legge, pubblicato in gazzetta ufficiale, entra in vigore oggi, ma la norma sulle ferie dei magistrati e sulla la riduzione della sospensione feriale dei tribunali dal 6 al 31 agosto (anziché dal primo agosto al 15 settembre) partirà dal 2015. I veti incrociati sulle nomine per Csm e Consulta fanno presagire un’altra settimana difficile. Il Guardasigilli Andrea Orlando ce la mette tutta per sgombrare il campo dal sospetto che, stando così le cose, sulla riforma della giustizia si possa profilare un altro patto del Nazareno. "Lo abbiamo già detto molte volte, i patti sono stati realizzati con attenzione e anche qualche difficoltà che non abbiamo nascosto all’interno della maggioranza e poi in un rapporto alla luce del sole con tutte le opposizioni che intendono discutere. Noi - assicura - siamo ancora convinti che questa sia la strada e proseguiremo su questa via realizzando il confronto con tutte le forze politiche presenti in Parlamento che ritengono di poter e dover dare un contributo". In vista dell’iter parlamentare che partirà dal Senato, sia per il decreto legge sul civile sia per il ddl sulla responsabilità civile dei magistrati, il Guardasigilli smorza i toni: "Io non credo che si debbano fare svolte anti nessuno: noi dobbiamo fare una riforma della giustizia, dobbiamo farla nell’interesse dei cittadini confrontandoci con tutti i soggetti della giurisdizione". Giustizia: rivolta dei magistrati sulla riduzione delle ferie, Orlando apre a modifiche di Giovanni Bianconi Il Corriere della Sera, 14 settembre 2014 La sfida continua, pungente e diretta. Sul sito Internet di Palazzo Chigi, intitolato "Passo dopo passo" per accompagnare il cammino delle riforme nei "mille giorni per cambiare l’Italia", campeggia uno slogan perentorio: "Meno ferie ai magistrati, giustizia più veloce". Poi l’annuncio sulla riduzione da 45 a 30 giorni l’anno, introdotta con l’articolo 16 del decreto legge in vigore da ieri. E subito è scattata la reazione delle toghe. Un miscuglio di stupore, indignazione e rabbia affidato ai messaggi di posta elettronica. Un dialogo a distanza sulle mailing list da cui emerge la voglia di rispondere per le rime a quella che viene considerata una provocazione bella e buona. Dalle Marche un pubblico ministero denuncia "l’esplicito additarci come fannulloni che lavorano poco e a cui addebitare le disfunzioni della giustizia (che verranno risolte anche e specie grazie alla riduzione ferie magistrati), nell’ambito di roboanti riforme di facciata e slogan privi di reale efficacia e serietà". E accusa: "Quale altra categoria è così umiliata e derisa? Cos’altro per reagire, ma davvero e senza timidezze e senza calcoli ragioniereschi per la riduzione del danno? Avrà ragione il premier quando ci irride col suo "brrr che paura?". Quella battuta di Renzi in risposta alla protesta dell’Associazione nazionale magistrati, ha lasciato il segno. Anche in chi replica che, ad esempio, nei 45 giorni era compreso un periodo necessario a smaltire provvedimenti per cui non è prevista la sospensione dei termini di deposito; in pratica, se un giudice pronuncia una sentenza alla vigilia delle ferie, deve comunque motivarla e consegnarla alla scadenza prevista. "Non vogliamo far paura a chicchessia - spiega una magistrata che lavora in Sardegna -, ma sarebbe educato l’ascolto prima di ogni decisione". Le rivendicazioni dell’immediato sono riassunte nella richiesta di un giudice pugliese: "Di fronte alla demagogia dell’attuale classe politica, non credo ci sia molto da fare. A questo punto, però, al nostro interno dobbiamo pretendere che, almeno a fini disciplinari, i termini per il deposito dei provvedimenti siano considerati sospesi durante le ferie". Il sottosegretario alla Giustizia Ferri - leader della corrente Magistratura indipendente "prestato" al governo - annuncia una correzione per sospendere quei termini. Ipotesi confermata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, ma è probabile che sul punto debba intervenire il nuovo Consiglio superiore della magistratura. Ma l’organo di autogoverno non riesce a entrare in funzione perché il Parlamento continua a non completare l’elezione dei componenti "laici". Perciò il coordinamento di Area, cartello che riunisce le due correnti di sinistra dell’Anm, ribadisce che "sarebbero auspicabili una votazione rapida e nomi di alto profilo intellettuale e competenza giuridica"; un modo per dire, senza dirlo, che quelli scelti finora non hanno queste caratteristiche. Al di là dei suoi effetti concreti, il taglio delle ferie abbinato alla velocizzazione dei tempi della giustizia fa nascere il sospetto di altre manovre. "Gli interventi sul nostro status giuridico ed economico servono anche a stroncare in radice le critiche sugli altri aspetti della riforma - avverte un giudice lombardo, come peraltro il premier ha già dimostrato asserendo che il duro comunicato dell’Anm muove da ragioni di interesse personale; dal punto di vista comunicativo la strategia è geniale". Per trovarne una altrettanto efficace molti invocano "un’assemblea generale straordinaria" dell’Associazione. E per un pm romano che invita a "tenere i nervi saldi" poiché bisognerà "abituarsi all’idea di avere qualche dispiacere al nuovo corso", c’è una giudice della Toscana che considera la battaglia ormai persa: "Di che dovremmo parlare, di progetti di riforma che sono già riforma? Un lavoro inutile, vado a scrivere sentenze". Dopo l’annuncio governativo, un magistrato veneto ironizza sul "prevedibile passo successivo: giustizia penale più veloce, il governo aumenta le ferie ai pubblici ministeri; oggi 45 giorni, domani minimo 60". E sembra irridere il Guardasigilli: "Chi l’avrebbe detto che a risolvere i problemi della giustizia bastasse davvero la maturità scientifica?". Su un piano diverso dallo sberleffo la mette Claudio Castelli, presidente aggiunto dei giudici per le indagini preliminari a Milano, già ai vertici dell’Anm ed ex componente del Csm: "Ridurre le ferie, adombrando che sia una soluzione ai problemi della giustizia, significa insinuare una falsità, riproporre una visione del magistrato impiegatizia e burocratica, e porta a ulteriori conseguenze dagli effetti estremamente negativi proprio sul versante del recupero di efficienza. Non basta la volontà di cambiare le cose, occorre anche conoscerle ed approfondirle tecnicamente, altrimenti le conseguenze possono essere disastrose". Giustizia: consigli non richiesti al premier da un ex magistrato con 40 anni di carriera di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2014 Renzi, tu di giustizia non capisci niente. Non è colpa tua perché è un mestiere che non hai mai fatto. Però è colpa tua perché non ti informi o ti informi dalle persone sbagliate. Siccome io ne capisco perché ci ho lavorato per 40 anni, ti spiego in breve cosa non va e cosa si deve fare. Se vuoi approfondire, scrivimi: ci vediamo e io ti chiarisco bene come stanno le cose. Il processo civile non funziona perché è troppo lungo. Ed è troppo lungo perché il codice di procedura è sbagliato e perché la gente litiga molto. In realtà litiga molto proprio perché la procedura è sbagliata: chiunque preferisce pagare tra 8 anni anziché oggi. Quindi si deve cambiare il codice di procedura. Non dare retta agli avvocati che su questo codice ci campano: più cose scrivono, più il processo è lungo, più guadagnano. E inoltre più processi ci sono e più guadagnano. Per un processo breve ed efficiente servono: 1) un atto di citazione in cui si spiega tutto e si chiedono tutte le prove. 2) Un atto di risposta in cui si confuta e si chiedono le prove. 3) Il potere del giudice di escludere le prove che non sono necessarie. 4) Una memoria conclusiva per ognuna delle due parti. 5) Una concisa sentenza. 6) L’abolizione dell’appello. Non serve a niente, non è garanzia di decisione più giusta, moltiplica le possibilità di errore. I giudici di Appello non sono migliori, più intelligenti, più preparati di quelli di Tribunale. Non si può sapere se la sentenza "giusta" è quella di primo o di secondo grado. Tempo, soldi e giudici buttati dalla finestra. In Usa, Gran Bretagna e in tanti altri Paesi (se vuoi approfondire ti faccio una lista) non c’è. 7) Ricorso in Cassazione per motivi di diritto. In questo modo il numero dei processi si dimezzerà, il numero dei magistrati che li tratteranno si raddoppierà, i tempi del processo potranno diminuire fino a 2 anni. Inoltre non si sarà speso nemmeno un euro. Se poi ti avanzano un po’ di soldi, assumi cancellieri: le attività amministrative sono una maledizione, cubano un tempo infinito e farle svolgere ai giudici è uno spreco di risorse. Il processo penale non funziona perché il codice di procedura è sbagliato. Ci sono troppi gradi di giudizio: indagini, Tribunale della libertà (che può essere replicato N volte), udienza preliminare, Tribunale, Appello e Cassazione. Anche qui, non dare retta agli avvocati: più gradi di giudizio, più lavoro, più soldi. Il tribunale della libertà è inutile; c’è già un giudice che ha controllato le richieste e l’operato del Pm: è il Gip. E l’Appello è inutile per le stesse ragioni già viste trattando del processo civile. Se si controlla quello che è già stato controllato, lo capisci anche tu che poi è inutile lamentarsi dei processi lunghi. Un altro motivo per cui il processo penale non funziona è che ci sono troppi reati. Per esempio, tutto il codice della strada (non l’omicidio commesso in violazione delle norme del codice, sia chiaro) deve essere sanzionato in via amministrativa. E così le violazioni ambientali ed edilizie; qui la pena sta nei sequestri, non nella condanna penale che tanto non si sconta perché il reato si prescrive. E tanti altri reati di cui di nuovo ti posso fare l’elenco, se vuoi approfondire. Lo sai che costituisce reato la mancata apposizione nei pubblici esercizi della tabella dei giochi leciti? E lo sai che questo genere di processi si fa con lo stesso codice di procedura che si usa per un processo di omicidio? Infine il processo penale non funziona perché si fa un uso demenziale delle notifiche (gli avvisi che si devono dare all’avvocato e all’imputato). Costano un sacco di soldi, non vanno mai a buon fine e sono la causa principale dei rinvii delle udienze, dunque della durata del processo penale, dunque della prescrizione dei reati. Anche qui lascia perdere gli avvocati; loro sulle notifiche andate a male ci campano: servono per la prescrizione. Basta prevedere che, alla prima occasione in cui un cittadino è informato di essere perseguito penalmente (arresto, primo interrogatorio, perquisizione, sequestro etc.) gli si deve dire che ha il diritto di nominare un avvocato, che se non lo fa ne avrà uno d’ufficio e che tutte le notifiche saranno fatte a questo avvocato; si informi. Infine lascia perdere questa storia dei Tribunali che chiudono e delle ferie troppo lunghe dei magistrati. I Tribunali non chiudono, quella che è sospesa per le ferie (dal 1 agosto al 15 settembre) è qualsiasi attività che richiede l’intervento di un avvocato, così lui può andarsene in ferie senza essere angosciato dalle scadenze degli appelli o dagli interrogatori del suo cliente. Invece i termini entro cui depositare le sentenze non sono sospesi: una sentenza emessa il 15 luglio deve essere depositata il 15 agosto, ferie o non ferie; se non lo è, scatta il procedimento disciplinare. Siccome le sentenze continuano a essere emesse fino all’ultimo giorno prima di andare in ferie, i giudici se ne vanno con la valigia piena di fascicoli e, nei primi 15 giorni, spesso anche dopo se non ce la fanno, scrivono sentenze. Capito perché queste intemerate sulla chiusura dei Tribunali e sulle ferie dei magistrati sono una stupidaggine? Ti resta da capire ancora una cosa: il Vice Presidente del Csm è una figura di garanzia. Per questo deve essere eletto dal Plenum. Se tu paracaduti un tuo sodale di Governo e lo imponi al Csm, la Costituzione te la metti nel taschino. Non sta bene. Giustizia: caso Mose; lettera di Chisso dal carcere "sono innocente… lo proverò" di Roberta De Rossi La Nuova Venezia, 14 settembre 2014 L’assessore in cella da 102 giorni attende la decisione del gip di Venezia Pavone: grave considerare la corruzione una furbizia come evadere le tasse. "Caro Luigi, io sono estraneo a tutto quanto mi viene addebitato. Io sono innocente e prima o poi, con i tempi della giustizia avrò modo di dimostrarlo". Cosi scrive Renato Chisso dal carcere di Pisa, all’amico luigi Gandi: "Quello che però mi preoccupa è il tempo e la salute. Sono ormai passati altri tre mesi e ancora non so niente, nel frattempo ho il cuore che fa le bizze, con una pressione che va su e giù e una piccola ischemia che mi hanno riscontrato in questi giorni... da un punto di vista psicologico ce la faccio, spero ugualmente da quello fisico, lo spero proprio". La lettera è datata 7 settembre 2014, "96° giorno di prigione". Gandi ha diffuso la missiva alla vigilia dell’udienza sull’istanza di scarcerazione di Chisso per motivi di salute: l’ex assessore regionale è accusato dalla Procura di Venezia di essere stato a libro paga dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, In casa c’è una terza persona che assiste, senza spiaccicare parola. Ad un certo punto Zigiotto lo interpella: "Scusi lei chi è?". "Sono un invitato a cena", risponde quello, "sto aspettando che ve ne andiate, perché siete anche un po’ noiosi". Zigiotto fiuta il vento infido, gira i tacchi e se ne va. Ha ragione. Questo signore è un ex generale della Guardia di Finanza in pensione, che si è ritirato sull’Appennino. L’uomo che al tempo del sequestro e dell’ex presidente di Mantovani, Piergiorgio Baita, per pilotare autorizzazioni regionali al Mose e project financing, in cambio di uno "stipendio" an-Soffiatitini coordinò le indagini sul generale dei carabinieri Francesco Delfino. Non uno qualunque. Quando si dice la sfortuna. Ma fino al 4 giugno i nostri non temevano l’opinione pubblica. Potevano ingaggiare un muratore per ristrutturare i fabbricati di Frassineto e rinviare alle calende greche i pagamenti. Il muratore telefona per sollecitare, risponde la Sandra intimandogli di non disturbare perché sono in vacanza in barca. Figurarsi la replica del muratore. La storia gira in paese, con il commento che più ricchi sono, più fatica fanno a tirar fuori i soldi. Cosa che non stupisce, perché vale sotto tutte le latitudini. Ad ogni buon conto Paolo Venuti può certificare che la pendenza, benché in ritardo, è stata liquidata. I pm Ancilotto, Buccini, Tonini e il procuratore Nordio hanno dato parete negativo alla scarcerazione: le condizioni di ex infartuato di Chisso sarebbero del tutto compatibili con la detenzione, tanto più che a Pisa c’è un centro cardiologico di eccellenza, come stabilito dai consulenti Cirnelli, Sossio e Perrone. Conclusioni diametralmente opposte a quelle dei consulenti della difesa Marzilli, Pietrini e Di Paolo dell’Università di Pisa. A questo punto, è possibile che la presidente dei gip Giuliana Galasso - chiamata a decidere - propenda per incaricare un proprio medico legale, per un parere terzo. Udienze che s’incrociano: il 25 settembre, la Cassazione tratterà il ricorso presentato dall’avvocato Forza contro la sentenza del Tribunale della libertà che ha confermato la custodia in carcere, accogliendo l’impianto probatorio della Procura. Quella della Cassazione sarà una valutazione sulla legittimità delle procedure, non di "merito". Così come per il ricorso che gli avvocati Franchini e Ghedini hanno presentato per l’ex governatore Giancarlo Galan, in carcere luglio. Per Chisso, il suo segretario Enzo Casarin, l’imprenditore Alessandro Mazzi, il commercialista padovano di Galan Paolo Venuti, i termini di custodia scadono il 3 dicembre; per Galan il 25 ottobre: ma se la Procura chiederà un processo con rito immediato - come pare intenzionata - saranno automaticamente rinnovati. Intanto - intervenendo a un incontro organizzato dal Pd, a Caorle - il procuratore della Repubblica di Belluno, Francesco Saverio Pavone, ha sottolineato come "nel contrasto alla corruzione occorre che il Parlamento inasprisca le pene, perché le armi a disposizione della magistratura sono purtroppo spuntate. Finora non l’ha fatto e temo non lo farà". Per Pavone, l’inchiesta Tangenti Mose ha fatto "emergere l’illegalità di una società che ha perso la percezione di ciò che costituisce reato grave, per cui la corruzione, come l’evasione fiscale, è ritenuta una furbizia. C’è allora un grande sforzo culturale da fare". Lettere: le ragioni dei giudici e quelle della politica di Giuseppe Maria Berruti (presidente di sezione della Cassazione) La Repubblica, 14 settembre 2014 Caro direttore, siamo alle prime mosse di un cambiamento costituzionale che ridimensionerà il potere della giurisdizione. Cioè di tutto l’apparato di controllo giudiziario. Civile, amministrativo e penale. È una circostanza oggettiva. Giudicarla nelle sue cause o nelle sue ragioni è operazione suggestiva, ma al momento inutile. Il cambiamento è in corsa. E non lo rallenteranno le strumentalizzazioni ed i pretesti contingenti. Tutta la politica vuole cambiare la relazione con la giustizia di forza che oggi vive nell’assetto costituzionale. E rendere prevedibile non solo l’esito di una vicenda giudiziaria, ma addirittura il suo sorgere. Io credo si debba partire da questa constatazione. Il disastro nazionale, assai più grande di quello europeo, sta nella enorme difficoltà di far concentrare i governi che si seguono da tre anni sulle cose da fare con la necessaria accettazione sociale ma senza che questa sostituisca la ragionevolezza giuridica. L’esigenza più grande è fare in modo che non salti il sistema di principi costituzionali, sostituito da un consenso mediatico fragile quanto provvisorio. Occorre grande pazienza da parte di chi governa, ma anche delle élite professionali, come quella dei magistrati. Che possono restare tale, élite di specialisti dei diritti, se non sprecano la loro energia. La manovra sulle ferie è certamente dimentica delle specificità della professione giuridica. Ma in nome di questa specificità sono stati commessi anche errori e create sacche di inefficienza. Il processo civile è la dimostrazione di questa esperienza. Perché esso oggi riesce a far vivere gli addetti ai lavori e un enorme apparato nonostante che non produca l’effetto di risolvere in tempo attendibile una lite. Le soluzioni debbono arrivare velocemente. Il governo ha bisogno di esibirle. In mancanza dovrà mettere almeno un cadavere sul terreno, quello di una magistratura onnipotente che non può dire altri no. Perché è la credibilità politica degli impegni da prendere che deve essere rafforzata e nessun governante è credibile se dentro il proprio Paese deve attendere una indagine o un giudizio per sapere chi candidare, o chi incaricare di gestire un gruppo industriale strategico. Il sistema è avvitato perché è regola, determinata anzitutto dalla corruzione, che la variabile giudiziaria determini le contingenze politiche. Un carattere della nostra democrazia che non convive con il mondo, il quale ci impone di mettere ogni decisione, anche quella giudiziaria, dentro la trama storica di cui si è parte. I magistrati oggi hanno il dovere della pazienza. E della riflessione sul modo di aiutare il Paese a conservare la difesa dei diritti e della legalità, piuttosto che scegliere tra questa difesa e l’efficienza economica. Liguria: l’Assessore Montaldo; migliorate le condizioni dei detenuti del carcere di Savona www.primocanale.it, 14 settembre 2014 "Le condizioni dei detenuti nel carcere di Savona sono migliorate e in questo senso si vedono gli effetti positivi della politica del Ministro Orlando che agendo sulle misure alternative ha già ottenuto una rilevante riduzione del numero dei detenuti". Lo ha detto il vice presidente della Regione Liguria e assessore alla salute e alla sicurezza urbana Claudio Montaldo al termine della visita al carcere di Savona, il primo di un giro che nelle prossime settimane lo vedrà anche in altri istituti penitenziari della regione. "Il carcere di Savona - ha scritto Montaldo in una nota - rappresenta la realtà ligure sicuramente più difficile a causa delle oggettive condizioni strutturali, un convento del 1600, che ne rendono complesso qualsiasi intervento di ristrutturazione. Pertanto il Ministero della Giustizia deve prevedere, nella programmazione dei nuovi istituti di pena, la realizzazione di un nuova struttura in provincia di Savona". Il vicepresidente della Regione Liguria nel corso della visita ha apprezzato i "miglioramenti avvenuti nel carcere, come testimoniato dagli stesse detenuti, attraverso la dotazione di nuovi servizi igienici e di docce, così come il prolungamento dei tempi fuori cella, con la possibilità di utilizzo di spazi dedicati a differenti attività, anche sportive e la presenza di una palestra dotata di molte attrezzature". "Si tratta di azioni non certo risolutive di una condizione carceraria anacronistica - ha sottolineato Montaldo nella nota - che deve diventare una sfida per l’Italia, non solo perché sollecitati dalle possibili sanzioni europee, ma sotto lo stimolo di una coscienza civile nazionale". "In Liguria - ha continuato Montaldo - i detenuti oggi ammontano a 1300, circa 400 in meno rispetto ad alcuni mesi fa e nessun carcere è più nelle paurose condizioni del passato". Un miglioramento che secondo Montaldo è da ascrivere anche ai risultati generati dall’accordo dello scorso maggio tra Regione Liguria e il Ministero della Giustizia per favorire l’adozione di misure alternative". Nonostante i passi avanti in Liguria Montaldo si augura che il Parlamento adotti "ulteriori misure per pene alternative alla detenzione, consentendo di passare ad ulteriori obiettivi di vivibilità, in primis la riduzione del numero di persone per cella e nuove opportunità di lavoro esterno". Giudizio positivo è stato espresso dall’assessore regionale alla salute sull’assistenza sanitaria che i servizi delle Asl stanno svolgendo in carcere da quando la competenza è integralmente passata al sistema sanitario. Al termine della visita Montaldo ha rivolto un invito al ministro Orlando affinché in Liguria "sia conservata una struttura di interlocuzione con le istituzioni locali e col mondo del volontariato che si occupa di carcere, perché entrambi possano continuare a progettare ulteriori relazioni col territorio nel segno dell’umanizzazione e del ruolo rieducativo della pena". Pistoia: due detenuti della Casa circondariale lavoreranno ai cantieri comunali www.gonews.it, 14 settembre 2014 A partire da lunedì 15 settembre due detenuti della Casa circondariale Santa Caterina in Brana a Pistoia inizieranno a svolgere l’attività di pubblica utilità presso i cantieri comunali. L’iniziativa è possibile grazie ad una convenzione firmata nei mesi scorsi tra il sindaco Samuele Bertinelli e il direttore della Casa Circondariale Santa Caterina in Brana Tazio Bianchi. Le prime due persone, individuate dal Magistrato di sorveglianza, dal direttore e dall’ equipe trattamentale del carcere sulla base della loro condotta durante il periodo di detenzione, stanno scontando la parte finale della pena e pertanto, come previsto dalla legge, potranno svolgere attività fuori dalla struttura carceraria. I due detenuti hanno già lavorato durante il periodo di detenzione alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e hanno seguito anche corsi di specializzazione. In Comune svolgeranno mansioni di pubblica utilità a favore della comunità locale svolgendo lo stesso orario degli operai comunali e cioè da lunedì a venerdì dalle 7 alle 13 per 25 giorni lavorativi. I detenuti saranno inseriti nel gruppo dei colleghi del cantiere comunale con le stesse modalità organizzative. Una volta finito il turno di lavoro pranzeranno alla mensa comunale e poi rientreranno nella Casa circondariale. I lavori che svolgeranno riguardano il taglio dell’erba, interventi di manutenzione negli edifici pubblici. Come previsto nella convenzione, riceveranno una retribuzione attraverso buoni lavoro in base all’impegno e al rispetto di quanto concordato nel provvedimento di ammissione al percorso. Il progetto prevede per ogni detenuto la possibilità di lavorare un mese. Fino al 31 dicembre il Comune impiegherà dunque ai cantieri comunali sei detenuti in tre diversi turni mensili. L’accordo firmato tra Comune e Casa circondariale ha un duplice obiettivo: da una parte agevolare i contatti della persona detenuta con la comunità esterna al carcere, in modo da riscattare in maniera costruttiva i propri comportamenti giudicati lesivi dall’organo giudiziario. Dall’altra parte questo contatto positivo che si viene a stabilire tra la persona in condizione di detenzione e la comunità si ritiene possa favorire la reciproca conoscenza. Il percorso di reinserimento sociale all’esterno del carcere rende più semplice e meno traumatico il ritorno della persona detenuta alla libertà ma non solo. Vi è anche l’aspetto più legato alla sicurezza perché il detenuto che si sente accettato dalla comunità avrà un’alternativa di vita rispetto al carcere e pertanto il reinserimento svolge anche l’importante funzione di deterrente e prevenzione a tornare a delinquere. L’accordo tra Comune e carcere, valido per il 2014 e il 2015, potrà successivamente essere rinnovato per altri due anni, dopo la verifica sugli obbiettivi raggiunti e previo accordo tra le parti. Vasto (Ch): Senatori M5S visitano carcere; perché nella "Casa di Lavoro" non c’è lavoro? www.zonalocale.it, 14 settembre 2014 Il senatore Gianluca Castaldi e il consigliere regionale Pietro Smargiassi hanno visitato nei giorni scorsi la Casa di Lavoro di Vasto, in località Torre Sinello. I due esponenti del Movimento 5 Stelle hanno raccontato la loro esperienza, evidenziato alcune problematiche presenti nella struttura vastese. Nel raccontare la nostra visita alla casa di lavoro di Vasto, ci rendiamo subito conto di quanto sia difficile far capire cosa succede lì dentro. Non c’è altro modo che vederlo con i propri occhi. Appena arrivati ci siamo scontrati con paradossi enormi, a partire dallo stesso nome dell’istituto. "Casa di lavoro"? Il solito gioco di parole all’italiana, una definizione edulcorata per quello che è semplicemente un carcere. Questo perché nella "casa di lavoro" non c’è lavoro. Dei 189 detenuti e internati presenti attualmente (numero oltre il limite della capacità), nessuno è produttivo in modo regolare: una cinquantina sono impiegati per lavori domestici interni alla Casa di Lavoro, altri saltuariamente svolgono attività agricole, di pulizia delle spiagge, ecc. Ma per lo più si ozia. Altro paradosso è la condizione degli internati, diversa da quella dei detenuti e poco conosciuta: si tratta di persone che hanno già scontato la pena per i loro reati, ma vengono posti in misura di sicurezza detentiva in quanto giudicati soggetti socialmente pericolosi. Questa misura di sicurezza può essere prorogata più volte e gli internati vivono in questo limbo, da loro chiamato "ergastolo bianco", senza sapere quando e se potranno tornare liberi. Non seguendo nei fatti alcun percorso lavorativo, gli internati non offrono elementi per valutare il loro eventuale ravvedimento e restano così in carcere per anni e anni, nonostante abbiano già pagato il loro debito con la giustizia. Si capisce che con una vita del genere, senza lavoro, trattati come detenuti, tagliati fuori dal mondo, con la sensazione di essere un ostaggio dello Stato e di subire una gravissima ingiustizia, la possibilità di recupero per un internato è praticamente nulla: si ottiene piuttosto l’effetto contrario di quello dichiarato sulla carta. Basta poco per documentarsi sul Web e scoprire che la situazione appena descritta non è un’esclusiva della casa di lavoro di Vasto, ma è annosa e generalizzata (fra alti e bassi) nelle strutture analoghe presenti in Italia. Sarebbe stupido e presuntuoso pensare di poter risolvere il problema solo con i nostri mezzi di forza politica di opposizione. Ma si può fare informazione, si può far sapere ai cittadini cosa c’è dentro le sedicenti "case di lavoro", come ci hanno pregato di fare gli internati con cui abbiamo discusso. Tenteremo poi di accelerare la realizzazione di strutture di produzione nella casa di lavoro di Vasto (è in corso d’opera l’allestimento di una sartoria) e di progetti per far lavorare anche fuori della struttura carceraria i soggetti giudicati idonei. In particolare, è interessante e fattibile la realizzazione di una pensione per cani, strumento che risulterebbe gradito anche ai nostri turisti. L’idea è del funzionario giuridico pedagogico Lucio Di Blasio, persona di cui abbiamo apprezzato la grande sensibilità umana. Una sensibilità che abbiamo riscontrato in tutta la gestione della casa di lavoro: nelle tre ore di visita in tre sezioni della struttura, entrando in contatto diretto con gli internati e parlando faccia a faccia con loro, non abbiamo percepito una sensazione di pericolo ed è stato possibile dialogare in modo sereno. Merito evidentemente del buon rapporto umano fra internati e agenti penitenziari. Ringraziamo per la loro estrema gentilezza il direttore Massimo Di Rienzo, il Comandante Nicola Pellicciaro e i membri del personale della casa di lavoro di Vasto che ci hanno accolto e guidato nella nostra visita. Lecce: scioperano le detenute di 'ndrangheta "Niente Messa… il Papa ci ha scomunicate" di Francesco Sorgiovanni Il Quotidiano di Calabria, 14 settembre 2014 La protesta è stata attuata a Lecce, dove sono detenute una trentina di donne calabresi per reati mafiosi. L’iniziativa è stata interrotta solo dopo che Papa Francesco ha inviato loro una lettera di risposta: "La scomunica è per chi vuole continuare a compiere il male". A non fare rimanere isolato, occasionale e, quindi, sterile, l’anatema sulla scomunica ai mafiosi, lanciato dal Papa dal palco della spianata di Sibari, ci pensano i detenuti. La protesta, ora, è scoppiata al Borgo San Nicola di Lecce, nella casa circondariale della cittadina pugliese. Circa una trentina di donne, detenute nel braccio femminile di alta sorveglianza perché accusate di fare parte della criminalità organizzata e di avere commesso gravi reati, per circa un mese hanno deciso di non partecipare alla messa della domenica. Le detenute in sciopero, per lo più giovani, alcune già condannate e altre in attesa di giudizio, sono prevalentemente calabresi. Una protesta analoga era andata in scena, a luglio, nel carcere di Larino, in provincia di Campobasso, dove si trovano diversi calabresi detenuti. "Se siamo state scomunicate, a messa non vale la pena andarci" - hanno detto in faccia, in maniera agguerrita le donne detenute al cappellano del carcere di Lecce, don Sandro D’Elia. E da quel momento non hanno voluto nemmeno varcare la porta della cappella carceraria. Identica decisione hanno preso, in contemporanea, altri carcerati della sezione maschile, "ma con minore grinta e in modo decisamente più pacato della protesta messa in atto dalle donne" - rivela il giovane cappellano. Era successo più o meno la stessa cosa nel carcere molisano di Larino, nei giorni successivi all’anatema di Papa Francesco, lo scorso 21 giugno. In quel caso, circa duecento ristretti della sezione di alta sicurezza, avevano disertato per qualche settimana le funzioni religiose, per lo stesso identico motivo. Una forma di ribellione "fra la ritorsione e lo smarrimento". I mafiosi non hanno certo mandato giù le parole forti del Papa: "Quando non si adora il Signore - aveva detto Papa Bergoglio, a conclusione della sua visita in Calabria - si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza, la vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Quelli che non sono in questa strada di bene, come i mafiosi, questi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati". D’altronde, i temi della conversione e della forte condanna della criminalità organizzata tornano spesso dopo le parole del Pontefice, come accaduto anche sabato mattina a Reggio Calabria, nell’omelia dell’arcivescovo mons. Morosini che ha chiesto ai fedeli di denunciare il male. Il cappellano del carcere di Lecce dapprima le ha tentate tutte per cercare di convincere le detenute a ragionare e a fare rientrare la singolare protesta, spiegando loro che il riferimento era a coloro che continuano a delinquere, sottraendosi alla giustizia, a cominciare da quella terrena. Non convinte delle parole del sacerdote cappellano, le detenute calabresi, assieme ad altre donne ristrette nella stessa sezione e accusate di appartenere ad altre organizzazioni criminali, oltre la ‘ndrangheta, hanno deciso di scrivere direttamente al Papa. Circa una settimana dopo la risposta del Pontefice alle detenute, tramite don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "La scomunica è per chi vuole continuare a compiere il male, mentre il perdono è disponibile nella comunità cristiana per chiunque. Il santo Padre saluta e, con affetto, rivolge a loro ed alle loro famiglie, la sua Santa Benedizione". Il messaggio del Papa ha subito convinto le detenute, che hanno deciso di sospendere all’istante lo "sciopero delle messe". L’ombra della scomunica si è dissolta. Palermo: la Boldrini in visita al Malaspina "sarò portavoce di questi ragazzi" La Sicilia, 14 settembre 2014 Il presidente della camera ha fatto visita alla struttura carceraria del capoluogo. Sovraffollamento delle carceri e lentezza della giustizia sono i principali temi affrontati. "Questo carcere minorile è un fiore all’occhiello", sono queste le parole del presidente della camera, Laura Boldrini, che dopo la tappa al porto di Palermo per l’arrivo dei 442 migranti, ha fatto visita alla struttura carceraria sita in via Malaspina. "Le autorità hanno lavorato in sinergia e dato risposte concrete. Qui ho incontrato 25 giovani che mi hanno espresso i loro timori di non farcela, di essere considerati sempre un pericolo per la società", ha aggiunto la Boldrini facendo riferimento all’incontro. Ha poi aggiunto: "In questa struttura i ragazzi hanno la consapevolezza di non sprecare il proprio tempo, avendo la possibilità di ricostruirsi, riabilitarsi e rieducarsi, di fare una cosa utile per se stessi, per le loro famiglie e per la società". Il presidente della camera ha altresì proseguito: "Quella delle carceri in Italia è ancora una questione all’ordine del giorno. Il sistema ha ancora tanti problemi, mentre per quanto riguarda la giustizia minorile il nostro Paese sta dando esempio di buone pratiche su come si possono recuperare i giovani". Sebbene i toni siano propositivi, la Boldrini sottolinea un importante problema, ovvero quello del sovraffollamento delle carceri che di fatto rappresenta un ostacolo alla riabilitazione dei detenuti. In merito alla giustizia italiana ha sottolineato che "i tempi sono troppo lunghi e che serve un sistema processuale in grado di dare risposte ai cittadini in tempi utili. Il Parlamento - ha concluso - si è occupato di questa materia ed ha cercato di dare delle risposte, facendo proprio il richiamo del Capo dello Stato". Cagliari: detenuto del Buoncammino tenta il suicidio, salvato dagli agenti Ansa, 14 settembre 2014 Ha litigato con un altro detenuto e poi ha tentato di togliersi la vita un detenuto che è stato soccorso dagli agenti di polizia penitenziaria. Nuovo tentativo di suicidio all’interno del carcere Buoncammino di Cagliari. Solo il tempestivo intervento degli agenti della polizia penitenziaria ha evitato la tragedia. L’episodio è avvenuto ieri sera. A renderlo noto è il coordinatore regionale della Uil-Pa Penitenziari, Michele Cireddu, che ha spiegato: "Purtroppo sono episodi che nell’istituto cagliaritano sono diventati frequenti, ogni piccola dinamica viene vissuta in maniera amplificata rispetto all’esterno, il tentativo di suicidio messo in atto dopo un diverbio per motivi futili non fa altro che confermare questa tesi". Cireddu poi si è soffermato sulle aggressioni agli agenti. "Di recente con il cambio al vertice del Comando dell’Istituto si è alzata la guardia per prevenire gesti violenti e contro i tentativi di intrusione di sostanze stupefacenti - ha evidenziato - con una recente nota indirizzata al Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria la Uil ha chiesto supporto e partecipazione da parte della struttura regionale. Ci sono detenuti che reiterano gli stessi comportamenti aggressivi nei confronti degli agenti senza nessun intervento dei vertici regionali, crediamo che questo determini una grave responsabilità che mette in serio pericolo la sicurezza dei lavoratori". Santa Maria Capua Vetere (Ce): il film "Nisida" proiettato nel carcere sammaritano www.pupia.tv, 14 settembre 2014 Riprendono gli appuntamenti con l’arte, la cultura e la musica nelle carceri campane. Un lungo "viaggio" di solidarietà che fa tappa nei diversi luoghi del dolore e della sofferenza della nostra regione. Un modo per tendere la mano e non far spegnere la fiamma della speranza nel cuore di quelle persone alle quali la vita ha riservato un destino angosciante. Si mette dunque di nuovo in moto la "carovana" di spettacoli e serate varie "guidata" con la passione di sempre dall’Associazione Casmu, presieduta da Mario Guida, e dalla Rassegna Nazionale di Teatro Scuola PulciNellaMente, rappresentata dal direttore Elpidio Iorio. La prima tappa del dopo vacanze è fissata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dove martedì prossimo, 16 settembre, alle ore 15.30, si terrà la proiezione del docufilm "Nisida. Storie maledette di ragazzi a rischio" e a seguire si terrà un incontro - dibattito con il regista e gli attori del film. Oltre a Casmu e PulciNellaMente per l’organizzazione dell’iniziativa hanno fortemente collaborato Antonio Letizia autore e regista teatrale (vincitore dei premi teatrale "Fuori dall’ombra", "Leopardi" 2013 e "Libero Bovio" - giuria romanzi brevi) e naturalmente i vertici della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, diretta da Carlotta Giaquinto, con il comandante commissario Gaetano Manganelli e il dottor Bruno Baccuni responsabile del progetto per i detenuti. La pellicola, di cui è regista Enzo Acri, girata a Napoli tra Porta Capuana, Forcella e Borgo Orefici, annovera attori poco più che ventenni e provenienti da "zone difficili". Il carcere di Nisida è stato ricreato invece in una masseria di San Pietro a Patierno per i due mesi di ciak. La trama verte sulla vita quotidiana della prigione di Nisida ed i tentativi di riscatto dei ragazzi. Tra questi, spiccano due amici, arrestati non ancora maggiorenni per una rapina terminata con l’omicidio di un ragazzo, descritta in flashback. La madre del giovane ucciso, Maria Cacciapuoti (interpretata da Marinella Ferrandino), piuttosto che inveire contro gli assassini del figlio, dedica la sua vita al recupero di adolescenti a rischio, proprio nel carcere di Nisida. Una madre coraggio che lancia un messaggio di amore e perdono. Mario Guida, da sempre impegnato con i suoi spettacoli per sostenere persone in difficoltà, emarginate, sofferenti e che vivono dolori particolari tra cui i detenuti specialmente quelli dell’Opg di Aversa, in questo film coglie molte tematiche a lui care e per questi motivi ha voluto che fosse proiettato un luogo dolorosissimo qual è appunto il Carcere di Santa Maria Capua Vetere. A tal proposito sottolinea: "Ritengo doveroso esprimere il mio sincero plauso per l’uscita di questo straordinario film, arrivato già oltreoceano e premiato dalla San Francisco University. Conosco molti attori impegnati in questo lavoro cinematografico tra cui l’attore, autore, regista teatrale Antonio Letizia che interpreta il Sacerdote guida spirituale del carcere minorile di Nisida. Questi attori sono persone che con me girano tutto l’anno le carceri della Campania per portare attraverso l’arte un messaggio di speranza. E questo racconto vuole proprio sostenere l’impegno di noi tutti, ovvero quelli che credono nella possibilità di una Campania che sogna un futuro migliore. Anche se è descritta una storia violenta, nel film c’è un messaggio centrale molto cristiano. Una madre che accompagna al dolore il senso cristiano del perdono e del mettersi al servizio del recupero di questi ragazzi. Un messaggio alto per l’intera società che da un lato premia il lavoro del terzo settore, dall’altro lancia un monito a chi ci governa affinchè consideri che dal basso c’è una vivacità che non sempre viene colta da chi ha il dovere di farlo. Dunque con queste premesse organizziamo la proiezione per i detenuti nel penitenziario di Santa Maria Cv affinchè si crei un momento di riflessione e approfondimento su queste tematiche delicate e complesse ma anche di grande profondità spirituale". Napoli: "Picture of Life", in mostra le opere dei giovani detenuti In evidenza di Ettore Di Bartolomeo La Discussione, 14 settembre 2014 La fotografia come forma di riscatto sociale. Dal 13 settembre apre ad Ischia, presso Villa "La Colombaia", la mostra fotografica "Picture of Life: La professione del fotografo come arte e riscatto sociale". Manfrotto Imagine More e l’Associazione Jonathan Onlus esporranno i lavori dei ragazzi che hanno partecipato al progetto "Picture of Life", realizzato in collaborazione con il ministero della Giustizia - dipartimento della Giustizia Minorile. La mostra sarà inaugurata in occasione della prima edizione del premio sulla responsabilità sociale "Amato Lamberti". Madrina della iniziativa il magistrato Lucia Borsellino, figlia del giudice Paolo ucciso dalla mafia nel 1992. Curata da Denis Curti, direttore dell’Agenzia Contrasto, la rassegna rappresenta il primo traguardo del cammino di rieducazione professionale intrapreso dai giovani delle comunità Jonathan, Oliver e Col Mena, situate nella provincia di Napoli. Giuseppe, Antimo, Gennaro, Luigi, Daniele, Antonio - coordinati dal tutor Salvatore Esposito, dell’agenzia Contrasto, hanno affrontato un percorso formativo di tre mesi articolato in sette sessioni, sia teoriche che pratiche. Aosta: "Azione teatrale rinchiusa", al criptoportico l’esordio con gli attori detenuti La Stampa, 14 settembre 2014 Al criptoportico di Aosta lo spettacolo "Azione teatrale rinchiusa" per l’avvio della rassegna. Apertura in uno scenario emblematico del cuore di Aosta con uno spettacolo a dir poco sorprendente. I 9 giorni di "Plaisirs de culture en Vallée d’Aoste" saranno inaugurati al Criptoportico Forense dove la sera di venerdì 19 settembre verrà messo in scena lo spettacolo "Nessuno - azione teatrale rinchiusa per riconsiderare "il viaggio" con i detenuti della Casa Circondariale di Brissogne e la regia di Andrea Damarco di Replicante Teatro. L’evento si svolge dalle 19 (con prenotazione obbligatoria al numero verde gratuito 800110051 a partire dal 16 settembre) e precede la serie di appuntamenti e offerte culturali che fino al 28 settembre l’assessorato regionale all’Istruzione cultura metterà a disposizione di cittadini e turisti su tutto il territorio. "Rispettando il budget di 9 mila euro uguale a quello dell’anno scorso - dice l’assessore Emily Rini - abbiamo implementato l’iniziativa che, essendo arrivata alla seconda edizione, direi che si conferma un format: lo considero un successo per cui ringraziare tutta la mia struttura e i partner". In collaborazione con 19 tra enti e associazioni valdostane, il programma è totalmente nuovo rispetto all’anno precedente per quanto riguarda conferenze e iniziative e ricco di proposte gratuite o a prezzi agevolati sulle visite a esposizioni e musei. "Le novità da segnalare - dice Ercole Balliana della promozione per i beni e le attività culturali della sovrintendenza regionale - sono due: la prima conferenza mai fatta nel Criptoportico che sarà il 20 settembre alle 18 con l’archeologa Stella Bertarione sul tema dei "Simboli del potere" e la riapertura, per nulla scontata, delle visite al Pont d’Ael". "Su questo monumento - sottolinea Rini - voglio far sapere che ne garantiremo la riapertura costante, ovviamente dalla primavera prossima, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Aymavilles". Plaisirs de culture, che sostituisce, come l’anno scorso, la Settimana della Cultura, apre anche in coincidenza con le Giornate Europee del Patrimonio, promosse il 20 e 21 settembre, su invito del Consiglio d’Europa, dal Ministero per le Attività e per i Beni Culturali. Cuneo: mostra entomologica al Cerialdo, visite solo per detenuti e personale del carcere di Lorenzo Boratto La Stampa, 14 settembre 2014 L’esposizione era già stata ospitata nelle Case circondariali di Novara e Alba. La possono visitare solo detenuti e personale dell’istituto. Una mostra entomologica particolare, perché riservata ai detenuti del carcere Cerialdo di Cuneo. È ospitata in questi giorni nella casa circondariale del capoluogo, soltanto per detenuti e personale dell’istituto. Un’iniziativa che era già stata ospitata nelle carceri di Novara ed Alba, uniche in Piemonte. La curatrice Marinella Garzena, referente della sezione entomologica del Museo di scienza naturali di Torino, spiega: "Un anno fa c’è stato un incendio nella nostra storica sede in via Giolitti, a Torino. Con i locali chiusi e noi ospiti in altri uffici della Regione, abbiamo scelto di "portare fuori" una parte del museo, per farlo vedere a chi altrimenti non avrebbe potuto". La raccolta è quella donata da un amatore torinese, Pietro Castellano, morto nel 2010 a 86 anni. Comprende, nelle teche originali Anni 50, decine di coleotteri (come scarabei e maggiolini da tutto il mondo), lepidotteri (con spettacoli farfalle multicolori da Brasile e sud est asiatico) e ancora ortotteori (cavallette e grilli), emitteri (cimici), imenotteri (api), oltre ai palmatidi mimetici (come gli insetti-stecco e gli insetti-foglia: alcuni esemplari vivi sono stati portati per essere osservati dai visitatori). Ci sono poi pannelli illustrativi e un microscopio, per vedere le ali colorate delle farfalle, analizzare il bozzolo del baco da seta o il corpo delle api. Il direttore del carcere cuneese, Claudio Mazzeo: "Un’iniziativa che è piaciuta ai detenuti: alcuni di loro erano veramente informati sul mondo degli insetti. Si tratta di un modo per cercare di unire la realtà esterna con quella del carcere". Sempre al Cerialdo, dalla prossima settimana, inizieranno i corsi della scuola alberghiera per i detenuti (ormai al terzo anno) ed è anche pronto un laboratorio per la produzione di pane dove saranno assunti due detenuti. Immigrazione: richiedenti asilo che affogano prima di arrivare e minori… dietro le sbarre di Stefano Pasta La Repubblica, 14 settembre 2014 Gli standard di accoglienza sono diversi da un paese all’altro. In alcuni Stati, i richiedenti protezione umanitaria finiscono reclusi dietro le sbarre, talvolta anche i minori. In altri, si scontrano con forme di trattamento perennemente inadeguate. Per quasi tutti, mettersi nelle mani dei trafficanti illegali è l’unico modo per poter fare domanda. Lo denuncia un rapporto del Consiglio Europeo sui Rifugiati e gli Esuli. Nonostante esista un Sistema comune d’asilo europeo, gli standard sono diversi da un paese all’altro. In alcuni Stati, i richiedenti protezione umanitaria finiscono reclusi dietro le sbarre, talvolta anche minori. In altri, si scontrano con un’accoglienza perennemente inadeguata. Per quasi tutti, mettersi nelle mani dei trafficanti illegali è l’unico modo per poter fare domanda. Lo denuncia un rapporto del Consiglio Europeo sui Rifugiati e gli Esuli (Ecre). Diritto all’asilo in Europa. C’è un accesso limitato al territorio Ue, i richiedenti asilo finiscono in centri di detenzione e accoglienza, spesso inadeguata per capacità e condizioni. È questa la sintesi di "Mind the gap: una prospettiva delle Ong sulle sfide dell’accesso alla protezione nel Sistema comune d’asilo". Il rapporto, presentato a Bruxelles il 9 settembre dal Consiglio Europeo sui Rifugiati e gli Esuli, illustra il persistente divario tra la teoria del Sistema d’asilo europeo (Ceas) e la stridente realtà che affrontano i richiedenti asilo nei 15 membri dell’Unione analizzati (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Germania, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Malta, Olanda, Polonia, Svezia e Regno Unito). Mediterraneo, il cimitero di potenziali richiedenti asilo. Mentre alle porte del Vecchio Continente si moltiplicano i conflitti, chi cerca protezione spesso trova la morte in viaggi sempre più rischiosi per raggiungere l’Europa. Solo quest’anno sono scomparse nel Mediterraneo almeno 2.000 persone, nonostante l’operazione "Mare Nostrum" che ne ha salvato finora 117.693 (il dato è aggiornato al 4 settembre). E pare che con la nuova missione europea Frontex Plus le navi pattuglieranno solamente nelle acque territoriali europee, cioè ad un massimo di 12 miglia dalla costa italiana. Non si spingeranno più in quelle internazionali, come invece fa Mare Nostrum dall’ottobre 2013, operando fino a 170 miglia dalle nostre spiagge. Una scelta obbligata. Questi viaggi sono la conseguenza della quasi totale impossibilità di entrare legalmente in Europa e poter fare domanda di protezione umanitaria. Nada, madre di due bambine di 3 e 5 anni, un fratello morto ad Aleppo, è sbarcata in Italia a fine agosto. Racconta: "La mia casa in Siria è un cumulo di macerie; in Giordania ho fatto domanda di asilo a tante ambasciate europee ma non mi hanno neanche risposto. Non volevo prendere la barca, una mia cugina è morta affogata due mesi fa, ma non mi erano rimaste altre strade". Si fa il gioco dei trafficanti. Michael Diedring, segretario generale dell’Ecre, spiega: "Creare più ostacoli per raggiungere il territorio Ue è di solo beneficio per i trafficanti. È assurdo che i rifugiati siano costretti a pagare migliaia di euro per raggiungere l’Europa. Se sopravvivono al viaggio, allora per molti di loro, come i siriani e gli eritrei, verrà garantita la protezione umanitaria. Per quanto tempo ancora la non volontà di creare canali di accesso protetto e legale per i rifugiati all’Ue obbligheranno le persone a mettere in pericolo le loro vite e arricchiranno i trafficanti?". Peraltro, mentre secondo l’Unhcr (www.unhcr.it) per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale rifugiati e sfollati hanno superato i 50 milioni, i 28 membri Ue accolgono comunque meno della metà dei profughi al momento ospitati nel solo Libano, un paese di appena 4 milioni di abitanti. Richiedenti asilo, anche i minori dietro le sbarre. Quando mettono piede sul suolo europeo, i richiedenti asilo continuano a dover affrontare ulteriori ostacoli: la detenzione amministrativa durante l’esame della domanda e l’accesso all’accoglienza. Secondo il rapporto, in Ungheria il 26% di tutti i richiedenti e quasi la metà degli uomini singoli (42%) sono detenuti (aprile 2014); anche i minori non accompagnati sono trattenuti insieme agli adulti per lunghi periodi, nonostante la legge lo vieti. A Cipro, dove la detenzione riguarda un numero minore di casi, le condizioni sono simili a quelle di una vera e propria prigione: le persone sono recluse in celle sotto uno stretto sistema di sorveglianza, possono trascorrere in luoghi comuni solo poche ore al giorno e vengono ammanettate per trasferimenti all’interno o fuori del centro. Mentre in alcuni paesi, come il Belgio e l’Olanda, le famiglie di richiedenti asilo con bambini non vengono più detenute alle frontiere, lo sono ancora in paesi quali Malta, Grecia e Bulgaria. In Francia, nel 2013 un richiedente asilo aspettava in media 12 mesi per ottenere un posto in accoglienza. Al 31 dicembre, la lista prioritaria per le persone vulnerabili in attesa d’accoglienza contava 15.000 persone. Senza accesso all’accoglienza, i richiedenti, che per legge non possono lavorare, sono obbligati a cavarsela come possono per guadagnarsi da vivere. Italia, Centri al collasso e terra di transito. In Italia, non è prevista detenzione per richiedenti asilo, che hanno invece libertà di entrare ed uscire dai centri d’accoglienza e di muoversi sul territorio. Nel 2014 sono già state presentate oltre 36.000 domande d’asilo, un numero, da un lato elevato rispetto al totale delle richieste ricevute nell’intero anno precedente (27.930), dall’altro notevolmente basso comparato con le 117mila persone arrivate via mare. Il motivo? La maggior parte dei profughi non vuole rimanere in Italia, ma andare verso il Nord Europa. Secondo il Cir, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, che ha curato la parte sull’Italia del rapporto, "sul territorio nazionale gli standard ricettivi non sono omogenei e i centri sono pressoché al collasso. Il Sud Italia sta ospitando il 55% dei richiedenti, solo la regione Sicilia più del 25%". Per il Cir, tuttavia, la mancanza del sistema italiano è soprattutto verso le persone a cui viene riconosciuta la protezione umanitaria: "I rifugiati che non riescono ad accedere all’accoglienza si ritrovano di fatto senza alcun supporto e molti cercano di raggiungere altri Paesi europei alla ricerca di migliori condizioni di vita e prospettive di integrazione". Iran: ragazze arrestate per aver provato ad assistere a un incontro di pallavolo maschile di Cecilia Zecchinelli Corriere della Sera, 14 settembre 2014 Arrestata con un gruppo di ragazze per aver provato ad assistere a un incontro di pallavolo maschile, sfidando il divieto per le donne. È successo a Teheran, il 20 giugno. Ghoncheh Ghavami, 25 anni, è cittadina britannica: ora la sua famiglia ha rotto il silenzio. Questa volta non sono migliaia come il 29 novembre 1997, quando l’Iran impazzì di gioia per le qualificazioni ai Mondiali di calcio, e un fiume di donne sfidò i divieti ed entrò nello stadio di Teheran, mischiandosi agli uomini per festeggiare gli atleti. Questa volta sono solo una dozzina, e a loro non è andata bene come alle protagoniste dell’ormai mitica (e mai eguagliata) "Rivoluzione del calcio". Il 20 giugno scorso un gruppetto di donne aveva cercato di entrare allo stadio Azadi (che significa libertà), dove la fortissima nazionale maschile di volley giocava contro l’Italia una partita della World League (poi vinta dai padroni di casa: 3-0). Qualcuno sostiene che le ragazze stessero partecipando all’ennesima protesta organizzata contro la proibizione di entrare negli stadi imposta alle donne dopo la vittoria di Khomeini, nel 1979,un divieto solo occasionalmente annullato dalle autorità. La passione per gli sport nazionali contagia da sempre entrambi in sessi in Iran e a quella femminile, che si unisce ormai alla battaglia per i diritti, il regista "dissidente" Jafar Panahi ha perfino dedicato un film, Offside. Ma non cambia molto come siano andate davvero le cose. Il risultato è che il 20 giugno le ragazze sono state fermate. La notizia è circolata nella Repubblica Islamica, dove arresti come questi sono però frequenti se non quotidiani. Il mondo l’ha invece quasi ignorata, per lo stesso motivo e perché la sua attenzione è rivolta ora al conflitto in Siria e Iraq, in cui Teheran ha per altro un suo ruolo. Fino a ieri: una delle ragazze arrestate, Ghoncheh Ghavami, è anche cittadina britannica e la famiglia, dopo aver mantenuto il silenzio sperando in un suo imminente rilascio, ha deciso di uscire allo scoperto, di far scoppiare il caso. "Aiutatemi a riportare a casa mia sorella", è l’appello che ha lanciato Amin Ghavami, 28 anni, sui social media e tramite le organizzazioni per i diritti umani, mentre Amnesty International annunciava che Ghoncheh va considerata una prigioniera di coscienza. "Ha 25 anni e studia legge all’Università di Londra, si trovava in Iran da due mesi per insegnare a leggere ai bambini di strada. Pensava che le donne potessero entrare allo stadio per le partite di volley, il Paese aderisce alla Federazione internazionale e sui giornali si diceva per volere del presidente le donne erano ammesse, mia madre e mia padre le avevano dato il permesso. Invece l’hanno arrestata e tenuta in isolamento per 41 giorni durante i quali il suo avvocato non ha potuto incontrarla nè avere accesso al suo dossier. Siamo disperati, e non solo io e i nostri genitori, ma i nonni, gli zii, tutti quanti". "Carissima Ghoncheh, i giorni senza di te sono intollerabili e sono già 74 da quando siamo stati privati del tuo viso radioso, per un crimine che non riusciamo a capire - ha scritto su Facebook in una lettera aperta la madre Soosan. Tuo padre è invecchiato di colpo. Io, ogni mattina arrivo ai cancelli del carcere di Evin e mi cacciano via, senza darmi risposte. Se ancora resisto è per la speranza di udire presto le tue risate squillanti. Possibile che nessuno debba rendere conto del dolore di una madre?". Ghoncheh, ha raccontato la famiglia, era stata in un primo tempo rilasciata. Ma il 30 giugno agenti in borghese avevano fatto irruzione nel suo appartamento, sequestrato gli abiti e il computer, trascinandola quindi a Evin, il più tristemente noto carcere della capitale dove tantissimi "dissidenti" sono stati detenuti, e tanti giustiziati. Poi il lungo isolamento, i continui interrogatori. Ora la giovane è in cella con altre carcerate e il suo arresto è stato prolungato di 60 giorni. La madre e la zia hanno potuto incontrarla brevemente una volta, ma nessuno ha capito esattamente il reato che le viene imputato. "Propaganda contro lo Stato" è il vago termine usato per giustificare la detenzione. Nord Corea: detenuto cittadino statunitense, condannato a sei anni di lavori forzati Adnkronos, 14 settembre 2014 Il 24enne Matthew Miller era stato arrestato in aprile Pyongyang. La Corte suprema nordcoreana ha condannato il cittadino statunitense Matthew Miller a sei anni di lavori forzati. Lo riporta il Wall Street Journal. Miller, 24 anni, arrestato ad aprile, è uno dei tre cittadini Usa detenuti in Corea del Nord e accusati di "crimini" contro lo stato.