Giustizia: le carceri sono ancora sovraffollate, dietro le sbarre quasi 5mila detenuti in più di Valentina Maglione Il Sole 24 Ore, 13 settembre 2014 Hanno raggiunto il minimo storico, 54.200 al 31 agosto scorso. Ma ancora non basta. Perché le carceri italiane dovrebbero ospitare meno di 50mila detenuti. Per azzerare il sovraffollamento, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato una strategia articolata: che riunisce il potenziamento delle misure alternative al carcere e il rafforzamento degli interventi di edilizia penitenziaria. Scendono i "non definitivi" Nell’ultimo anno i detenuti nelle carceri italiane sono diminuiti di quasi il 20%: dai 64.835 registrati al 31 agosto 2013 ai 54.252 del 31 agosto 2014. A scendere sono soprattutto i condannati "non definitivi", che hanno cioè presentato appello o ricorso contro le pronunce a loro sfavorevoli: oggi sono 7.917, il 35% in meno di un anno fa. I condannati con sentenza definitivi sono passati invece da 39.571 a 35.938. Mentre le persone in custodia cautelare sono passate da 11.785 a 9.252. In parallelo, è lievemente aumentata la "capienza regolamentare" dei penitenziari: dai 47.703 posti di un anno fa ai 49.397 attuali. Si tratta di risultati sollecitati dal Consiglio d’Europa. Infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Torreggiani del 2013, aveva imposto all’Italia di trovare, entro un anno, una soluzione al sovraffollamento carcerario e risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Lo scorso giugno, Roma ha superato l’esame del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che però tornerà a verificare la situazione tra un anno. Gli interventi Nel corso dell’ultimo anno, sono state numerose le misure approvate per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Dalla liberazione anticipata speciale, che permette di detrarre 75 giorni, anziché 45, ogni sei mesi di carcere ai condannati che partecipano all’opera di rieducazione, alla "messa alla prova", che consente di sospendere il processo per gli imputati di reati puniti al massimo con il carcere fino a quattro anni, fino ai risarcimenti per chi è ristretto (o lo è stato) in condizioni inumane o degradanti, in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per l’anno prossimo, il ministro Orlando, nell’atto di indirizzo politico-istituzionale diffuso il 5 settembre, ha assicurato di voler puntare sulle sanzioni diverse dalla detenzione e di rendere più efficiente il sistema extracarcerario con funzioni di rieducazione e reinserimento sociale. Per questo - si legge nel documento - dovrà essere ripensato il sistema complessivo dell’esecuzione penale esterna, dove ha un ruolo centrale la magistratura di sorveglianza. Inoltre, Orlando ha annunciato che saranno rafforzati gli interventi di edilizia penitenziaria; e il primo passo sarà la verifica del "piano carceri" alla luce del "cambiamento del modello detentivo", che potrebbe portare a rimodulare i progetti di nuova edificazione e di ristrutturazione già elaborati. Giustizia: Napolitano firma il decreto sul Civile. Palazzo Chigi: meno ferie, processi veloci di Silvia Barocci Il Messaggero, 13 settembre 2014 Ferie di tutti i magistrati - ordinari, contabili, amministrativi, militari, procuratori e avvocati dello Stato - tagliate da 45 a 30 giorni (più sei di festività soppresse) a partire dal 2015; sospensione feriale dei tribunali dal 6 al 31 agosto, anziché dal 1 agosto al 15 settembre. È il sedicesimo articolo del decreto legge per abbattere l’arretrato civile, fortemente voluto dal premier Renzi e firmato ieri dal Capo dello Stato, che rischia di offuscare le novità del provvedimento (divorzi e separazioni senza più mettere piede in tribunale, ad esempio). Un articolo che sta avvelenando un clima che la magistratura avverte come punitivo nei propri riguardi. Perché, contemporaneamente al via libera del Quirinale al decreto, sul sito del governo, nella rubrica "passo dopo passo", una nuova slide compare nella sezione dedicata alla riforma della giustizia. Cosi’ recita: "meno ferie ai magistrati, giustizia più veloce". L’Anm va su tutte le furie: "Slogan propagandistici e frasi ad effetto servono solo a mascherare una riforma che nella sostanza non porta a nulla - afferma il segretario generale Maurizio Carbone - I treni dei processi vanno lenti? Anziché cambiare il sistema ferroviario ci si limita a ridurre le ferie del capostazione". Anche gli avvocati storcono il naso, più che altro sulla riduzione della sospensione feriale nei tribunali. Se per Nicola Marino, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, "è assolutamente comprensibile la riduzione delle ferie dei magistrati" perché "45 giorni sono francamente un ingiustificato privilegio in un Paese in piena crisi di competitività", il periodo di chiusura estiva dei tribunali non dovrebbe scendere sotto i 30 giorni. Anche gli avvocati, così come i magistrati, si dicono certi che "questa misura non inciderà sul recupero di efficienza della nostra macchina giudiziaria né sulla situazione dei lunghi tempi di durata del processo civile". Ma gli slogan di Renzi, come quello sulla responsabilità dei magistrati ("chi sbaglia paga"), stanno facendo partire in salita pacchetto di riforma sulla giustizia di cui, ad ora, si conoscono soltanto il dl civile (che verrà incardinato al Senato) e il ddl sulla responsabilità civile. Sulla questione ferie il ministro della Giustizia Orlando, l’altro giorno, ha garantito all’Anm che in sede di conversione si terrà conto della "specificità dell’attività dei magistrati". Probabilmente con un emendamento che sospenda i termini di deposito delle sentenze dei giudici che stanno per andare in ferie. I 23 articoli contengono in ogni caso ben altre novità. Per le cause pendenti in primo grado e in appello, ad eccezione di quelle in materia di lavoro e sui diritti indisponibili, al momento dell’entrata in vigore del decreto le parti potranno chiedere di promuovere un arbitrato. Il lodo avrà valore di sentenza e gli arbitri saranno scelti tra avvocati iscritti all’albo da almeno tre anni. Per disincentivare i ricorsi dilatori viene introdotto il principio generale del "chi perde paga". Il decreto affida un ruolo fondamentale agli avvocati per dimezzare la mole di 5,2 milioni di cause pendenti. Per richieste di pagamento fino a 50mila euro e in caso di risarcimento danni da incidente stradale, prima di rivolgersi al giudice sarà obbligatorio tentare di ricomporre la controversia con la mediazione di un avvocato. La negoziazione assistita varrà anche per separazioni e divorzi, purché non ci siano di mezzo figli minori né figli maggiorenni portatori di handicap. Una rivoluzione. Al momento offuscata dalla "querelle" sulle ferie dei magistrati. Giustizia: la "linea garantista" che agita il Partito democratico di Francesco Verderami Corriere della Sera, 13 settembre 2014 Tenere una linea sulla giustizia può essere difficile per Renzi quanto tenere a posto i conti pubblici. Prima da leader del Pd e poi anche da presidente del Consiglio, Renzi ha vissuto finora pericolosamente la sua stagione, oscillando sulle questioni da codice penale tra gesti intransigenti ed enunciati garantisti. Il modo in cui ieri ha difeso l’ad di Eni - accusato di una presunta tangente per una concessione petrolifera in Nigeria - è parsa una svolta, perché è stata insieme la rivendicazione della scelta fatta cinque mesi fa con la nomina di Descalzi, e la difesa di un principio costituzionale: "Rispetto le indagini e aspetto le sentenze". Insomma, è una posizione coraggiosa, che rompe con gli atteggiamenti a volta farisei del passato e tende a restituire alla politica i suoi spazi e il suo primato. Il fatto è che Renzi non si è sempre mosso così da quando è balzato sulla scena. È vero che c’è una differenza tra un manager e un rappresentante del popolo. È vero che nel mondo del business internazionale il confine tra lobbismo e "stecca" è assai labile. Ed è vero infine che certe inchieste si portano appresso il rischio di quei "danni collaterali" - come li definisce il Giornale - a causa dei quali famose aziende di Stato italiane Cancellieri si sarebbe dovuta dimettere per via di quella telefonata con i familiari degli arrestati, durante la quale il ministro della Giustizia aveva criticato la decisione dei magistrati: "Indipendentemente se abbia ricevuto o meno un avviso di garanzia, sono per le sue dimissioni. Non è un problema giudiziario, questo. È un problema di opportunità politica". L’opportunità politica fu lo scudo dietro cui Renzi protesse il suo garantismo e iniziò a picconare #enricostaisereno. Fu infatti per "ragioni di opportunità politica" - fresco vincitore delle primarie nazionali - che risolse con una telefonata il "caso Barracciu", la dirigente democratica vincitrice delle primarie in Sardegna e finita nell’inchiesta sulle spese pazze del Consiglio regionale. Lei era solo indagata, lui allora era solo segretario del Pd. Lei fece un passo indietro nella corsa da governatore, lui - appena diventato premier - le diede un posto nel governo. Fu un cambio di rotta tanto brusco quanto incomprensibile. Accusata di peculato, la Barracciu fu difesa dalla Boschi: "Non è nostra intenzione chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia". Una posizione garantista, non c’è dubbio: ma perché non venne adottata prima? Sarà stato per ragioni di "opportunità politica", le stesse che indussero Renzi ad avallare il voto a scrutinio palese della Camera sulla richiesta d’arresto - avanzata dalla procura di Messina - del deputato pd Genovese, che era solo indagato e non condannato. Fu una scena raccapricciante agli occhi di molti dei parlamentari dem. E la scelta iper-giustizialista - non contrastata dal premier - più che una ragione di opportunità politica si rivelò un caso di opportunismo elettorale, visto l’approssimarsi delle Europee e la battaglia con il Movimento 5 Stelle. Lo si capì dal tweet di Renzi, qualche minuto dopo il voto (favorevole all’arresto) di Montecitorio: "Ora Grillo si asciughi la bava alla bocca". Tenere parametri garantisti è complicato quanto restare dentro i parametri europei. Eppure il premier sembra stavolta intenzionato a non deflettere, e così come si è mosso a difesa di Descalzi, non si è mosso - almeno così pare - per invitare al passo indietro il compagno Bonaccini, in corsa per le primarie del Pd in Emilia Romagna e accusato dalla Procura bolognese dello stesso reato che impedì alla Barracciu la candidatura in Sardegna. Una svolta che sconta le contraddizioni del passato, perché mentre Renzi non intervenne a difesa di Genovese per risparmiargli la galera preventiva, si è esposto con l’ormai ex governatore emiliano Errani, che pure era stato condannato in secondo grado e al quale però aveva chiesto di restare al suo posto. L’applauso per "Vasco", strappato domenica scorsa a Bologna dal segretario del Pd al popolo della festa dell’Unità, ha coinciso con l’offensiva riformista del premier sulla giustizia, con il tweet sulla responsabilità civile dei magistrati ("chi sbaglia paga"), con il taglio delle ferie ai togati, con quel "brrrr che paura" con cui ha risposto agli attacchi dell’Anm. Renzi, che dismesso il vecchio Cda della "ditta", sembra volerne dismettere anche la linea politica. A questo punto resta da capire se si tratta solo di un caso di "annuncite", o se davvero il premier vorrà rottamare il giustizialismo insieme allo Statuto dei lavoratori. E se così fosse, bisognerà vedere se reggerà il Pd. A meno dell’ennesima correzione di rotta per ragioni di "opportunità politica". Giustizia: il garantismo nel Pd ci sarebbe pure… è che mancano i garantisti di Guido Vitiello Il Foglio, 13 settembre 2014 Con un acquario si può fare una zuppa di pesce, più difficile è trasformare una zuppa di pesce in un acquario. La battuta che circolava ai tempi del crollo del Muro, a sottolineare l’irreversibilità dei disastri fatti dal comunismo, si presta bene anche ai danni di un ventennio di intossicazione forcaiola. Da più parti si è detto, in questi giorni, che il nuovo gruppo dirigente renziano deve dotarsi di una cultura garantista, e che tra le intemperanze corporative dell’Anm e le inchieste sul Pd emiliano tutti i nodi del rapporto politica-giustizia stanno venendo al pettine. Era ora, verrebbe da dire; se non fosse che, per citare Sciascia, manca il pettine. E se il pettine manca, è perché c’è chi si è messo d’impegno a staccarne uno dopo l’altro tutti i denti. La metafora che ricorre più spesso è un’altra, quella della "mutazione genetica": la sinistra avrebbe smarrito l’ispirazione garantista trasformandosi in una cinghia di trasmissione della magistratura associata, o in una tifoseria dei pubblici ministeri; dal che si deduce che per tornare dal signor Hyde al dottor Jekyll basta aspettare che la pozione magica cessi il suo effetto. Ma è una metafora inesatta, compiacente e segretamente revisionista. Quel che è accaduto è che il partito dominante nel campo della sinistra, nel quale il garantismo era pressoché estinto già dai tempi di Berlinguer, ha fatto del suo meglio per liberarsi di chi ancora lo teneva in vita. Prima, regnante Occhetto, ha applaudito alla distruzione del Psi, e con i cascami del compromesso storico ha continuato a nutrire per vent’anni un tenace pregiudizio antisocialista. Poi è arrivato il capolavoro di Veltroni, che in nome della vocazione maggioritaria ha buttato a mare l’estrema sinistra, che aveva molti difetti ma non quello di idolatrare le procure, salvo poi imbarcare il partitino fascio-qualunquista di Di Pietro. Infine, Bersani ha pensato bene di sbarazzarsi di quel che restava dei Radicali. E così, staccati a uno a uno tutti i dentelli garantisti, il Pd è arrivato allo storico appuntamento con i nodi della giustizia avendo a disposizione un pettine sdentato, buono per far la scriminatura a un calvo. Di questo non si può accusare Renzi, perché le colpe dei padri non ricadono sui figli e men che mai sui figli parricidi. Ma una cultura garantista non la s’improvvisa. E il premier, che di giustizia non sì è mai curato granché, sembra procedere a tentoni con un misto dì buone intenzioni, innocua spacconeria, demagogia e scelte schizofreniche (candida meritoriamente Fiandaca alle europee, ma s’inventa lo sproposito istituzionale di suggerire un pm, Gratteri, come ministro della Giustizia; parla di primato della politica, ma preme per far votare gli arresti in tempo record; dice che è a favore dell’amnistia, poi dice che è contro l’amnistia) fino a questa "riforma" che fa un po’ di parruccheria ma lascia in testa tutti i nodi e le vertigini. L’ottimo Roberto Giachetti, renziano di scuola radicale, diceva, l’altro ieri al Foglio che la presunzione di colpevolezza fa parte ormai del Dna del suo partito, che sotto questo aspetto bisogna rifare tutto daccapo. Ed è sconsolante, ma è bene non illudersi sulle cause, o saranno illusori anche i rimedi. Perché non si tratta soltanto di un’ispirazione ideale che è andata perduta. Alla sinistra non manca astrattamente una "cultura garantista". Mancano i garantisti. I socialisti, i radicali, i libertari. La zuppa è fatta, ormai; che almeno scelgano pesci buoni per il nuovo acquario. Giustizia: caso Magherini, "l’asfissia come concausa del decesso" Il Manifesto, 13 settembre 2014 La perizia dei medici legali della procura. Tra le altre cause anche lo stress e la cocaina assunta. A sei mesi di distanza dai fatti si cominciano a scrivere le prime parole definitive sulle cause che portarono alla morte di Riccardo Magherini, l’ex calciatore della Fiorentina deceduto la notte del 2 marzo scorso dopo essere stata fermato a Firenze dai carabinieri. E a mettere alcuni punti fermi sono i periti nominati dalla procura di Firenze, secondo i quali Magherini morì in seguito agli effetti della cocaina che aveva assunto, dello stress provato nei momenti precedenti e durante il fermo e a causa dell’asfissia provocata dalle azioni di contenimento messe in atto dai carabinieri al momento dell’arresto. Conclusioni che confermano quelle raggiunte a maggio da tutti i periti, che indicarono come la morte dell’ex calciatore fosse "legata a un meccanismo complesso di tipo tossico, disfunzionale, cardiaco e asfittico". "Questi ultimi risultato confermano quanto sapevano e confermano in pieno la tesi sulla responsabilità dei carabinieri. È ora che si vada a processo", commenta l’avvocato Fabio Anselmo, che assiste la famiglia Magherini. Sono undici le persone indagate finora per la morte di Magherini. Oltre ai quattro carabinieri, accusati di omicidio preterintenzionale, figurano anche cinque volontari, tra medici e infermieri intervenuti sul posto e due operatori del 118. La sera in cui è morto Magherini l’aveva trascorsa in un locale insieme a degli amici. Prima di rientrare a casa, però, in preda a una crisi di panico aveva girato per le strade di Borgo San Frediano chiedendo aiuto e urlando di sentirsi minacciato. Grida sentite da molti abitanti del quartiere, alcuni dei quali hanno chiamato il 112. Secondo la famiglia, ci sarebbe stato un uso eccessivo di forza da parte dei carabinieri nel momento del fermo, e molti testimonianze parlano di calci sferrati a Magherini dai militari dopo che erano riusciti a fermarlo ammanettandolo e tenendolo steso a terra col peso del proprio corpo. "L’intossicazione acuta da cocaina sotto l’effetto della quale era il Magherini - scrivono i medici legali Gian Aristide Norelli e Martina Focardi - la immobilizzazione da parte delle forze dell’ordine nel tentativo di contenere il soggetto quale fonte di ulteriore stress catecolaminergico nonché nei tentativi di liberarsi fatti dal soggetto medesimo sia prima della immobilizzazione che dopo, una volta a terra, e la posizione in cui è stato tenuto, almeno da quanto emerge dalle testimonianze riportate agli atti, sono tutti fattori che hanno contribuito, sinergicamente, al decesso del soggetto". Uno dei punti più delicati riguarda i momenti successivi al fermo dell’ex calciatore, quando i carabinieri - nonostante non ce ne fosse più bisogno visto che Magherini era ormai ammanettato, continuarono a tenere l’uomo a terra. "Si può ritenere che i carabinieri intervenuti - scrivono ancora i due periti - una volta operata la immobilizzazione del Magherini, mantennero il soggetto in posizione prona con immobilizzazione posteriore degli arti superiori e, forse, con ulteriori sistemi di contenimento coattivi. Tale stato si protrasse dalle 1,20-1,25 alle ore 1,44 e cioè per 20-25 minuti ed in tale periodo si determinò la componente asfittica sopra discussa. In tale condotta - proseguono ancora i periti - non può che ravvisarsi il mancato rispetto di norme cautelari, produttivo del meccanismo asfittico che, con ogni probabilità, ove si fosse ottemperato a facilitare l’attività respiratoria facendo assumere al soggetto, quanto meno, la posizione supina (o meglio seduta o eretta essendo applicate le manette) non si sarebbe determinato". In altre parole, se dopo essere stato ammanettato, e quindi reso inoffensivo, a Magherini fosse stata data la possibilità di alzarsi in piedi o di sedersi, probabilmente oggi sarebbe ancora vivo. Giustizia: caso Magherini, le tecniche asfissianti delle forze dell’ordine di Luigi Manconi Il Manifesto, 13 settembre 2014 Caso Magherini. Si immobilizza la persona, la si rovescia prona a terra, si portano le braccia dietro la schiena e si bloccano i polsi con manette. Quindi, un numero variabile di agenti, anche quattro, gravano sulla sua schiena per impedirne qualsiasi movimento. Si determina qualcosa che possiamo chiamare compressione toracica e che porta all’infarto o all’asfissia Quanto emerge dalla perizia sul corpo di Riccardo Magherini è l’ennesima conferma, e non ce n’era bisogno, che esiste un enorme problema di formazione, intesa nei suoi termini più concreti e operativi. Ovvero che esiste un modus operandi, utilizzato dagli appartenenti alle forze dell’ordine per effettuare i fermi, decisamente pericoloso per l’incolumità del fermato. Lo si è visto nelle vicende della morte del tunisino Bohli Kayes a San Remo e di Aldrovandi, Rasman e Ferrulli; e in chissà quanti altri casi che non hanno portato alla morte del fermato o che, pur causandone il decesso, non sono diventati noti. La tecnica è la seguente: si immobilizza la persona, la si rovescia prona a terra, si portano le braccia dietro la schiena e si bloccano i polsi con manette. Quindi, un numero variabile di agenti, anche quattro, gravano sulla sua schiena per impedirne qualsiasi movimento. Si determina qualcosa che possiamo chiamare compressione toracica e che porta all’infarto o all’asfissia. Com’è possibile che dopo una serie di decessi in simili circostante, una modalità del genere venga ancora utilizzata? Sì, è possibile, perché è quella che risulta più facile e più immediata. Ma che denuncia, appunto, un incredibile deficit di competenza. Quando ho chiesto al generale Leonardo Gallitelli, comandante dell’Arma dei Carabinieri, e al prefetto Alessandro Pansa, capo della Polizia di Stato, se esistano protocolli precisi su ciò che è possibile fare e ciò che va assolutamente evitato, al fine di bloccare un individuo che si ritiene pericoloso, mi è stato risposto che questo tipo di tecniche e di regole sono tuttora in corso di definizione. A me sembra terribilmente tardi. O meglio, ogni giorno che passa, a seguire le cronache, è sempre più tardi. Senza affrontare il complicato capitolo della morte di Davide Bifolco a Napoli, anche da lì emerge una domanda non troppo diversa: com’è possibile che per affrontare due giovani, palesemente privi di armi da fuoco o da taglio, almeno fino a prova contraria, un carabiniere spiani una pistola con il colpo in canna e senza sicura? È pensabile che qualcuno gli abbia insegnato che quella fosse la tecnica più opportuna? O, al contrario, non dovevano spiegargli che era proprio la modalità più inutile e più pericolosa? Come si vede, il problema della formazione è enorme. E della formazione culturale (quali sono i diritti e le garanzie dei cittadini) e della preparazione tecnica: come si affronta una manifestazione, come si ferma un individuo armato e come uno disarmato, come si opera un inseguimento. Mi sembra che, su tutto ciò, il ritardo sia addirittura di molti decenni. Ed è un’autentica tragedia. Emilia Romagna: la Garante; sul diritto al risarcimento serve una maggiore informazione Ristretti Orizzonti, 13 settembre 2014 Desi Bruno, Garante delle persone private della libertà personale della Regione, segnala due problemi per rendere esigibili i diritti di soggetti detenuti o internati sanciti dalla nuova legislazione, quella prevista nel Dl 92/2014 convertito dalla Legge 117/2014, che introduce la possibilità di chiedere un risarcimento a chi ha subito un trattamento "inumano e degradante". "Se si vuole prendere seriamente in considerazione la condizione di chi ha subito trattamenti inumani e degradanti, la tutela non può essere prevista solo sulla carta, ma deve essere circondata dalle adeguate garanzie di effettività". La Corte Edu chiedeva interventi strutturali e oggi i penitenziari italiani registrano una presenza di quasi 11.500 persone in meno di quelle presenti alla fine del 2012. E chiedeva un sistema di rimedi preventivi e compensativi che coesistano in modo complementare. Il diritto al risarcimento sorge quando l’inosservanza delle regole stabilite dall’Ordinamento Penitenziario e dal relativo Regolamento determinano un pregiudizio all’esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati tale da costituire "trattamento inumano e degradante" ai sensi dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per ottenere il risarcimento del danno subito, la persona che si ritiene danneggiata può presentare apposita istanza. Se è ancora detenuta, l’istanza deve essere proposta al Magistrato di Sorveglianza: in questo caso, se la violazione lamentata si è protratta per un periodo di tempo non inferiore a 15 giorni, viene disposta una riduzione della pena detentiva ancora da espiare nella misura di 1 giorno ogni 10 di pregiudizio subito. Se invece la violazione è durata meno di 15 giorni, viene disposto un risarcimento economico, pari a 8 euro per ogni giorno. Quanto alle persone danneggiate che non si trovano più in stato di detenzione, l’istanza va proposta al Tribunale civile. La decisione del giudice civile non è soggetta a reclamo, mentre nulla è detto per quelle rese dal Magistrato di Sorveglianza. È opinione della Garante che questo "spacchettamento" delle cause risarcitorie tra giudici diversi andasse evitato, affidando completamente l’incarico al giudice civile. Desi Bruno sottolinea come alcune associazioni del volontariato penitenziario abbiano già predisposto dei formulari di sussidio ai detenuti per la stesura delle istanze risarcitorie. Ciò al fine di evitare (come si è già verificato nella prassi, ad esempio a Bologna) che i ricorsi vengano presentati in termini troppo generici, non sufficientemente motivati e come tali destinati a essere dichiarati inammissibili. "La circolazione di questo materiale è estremamente importante ai fini di una corretta informazione della popolazione detenuta e l’Ufficio del Garante regionale si rende disponibile a collaborare in questo senso". Inoltre, la nuova normativa non risolve una questione che potrebbe disincentivare le persone che non si trovano più in stato di detenzione dal proporre la domanda di risarcimento. Infatti, la proposizione dell’azione davanti al Tribunale comporta il pagamento del cosiddetto "contributo unificato" (il cui valore cambia a seconda del valore della causa: 43 euro per procedimenti fino a 1.100 euro, 98 per procedimenti fino a 5.200 euro e così via) e di una marca da bollo di 27 euro. Questa circostanza finisce per discriminare la posizione di chi si trova ancora in condizioni di detenzione. Anche una spesa di 70 euro può rappresentare una cifra di cui gli ex detenuti faticano a poter disporre e che l’ammissione al gratuito patrocinio richiede comunque un aggravio procedurale. Dalla Garante viene, pertanto, l’auspicio che il legislatore provveda a risolvere la questione, inserendo il procedimento in esame tra quelli esenti dal contributo unificato. Velletri: un detenuto di cinquanta anni muore a causa di problemi cardiocircolatori www.romatoday.it, 13 settembre 2014 Lo comunica in una nota il segretario del sindacato Fns Cisl Lazio: "Il decesso a causa di problemi cardiocircolatori". Un detenuto è morto nel carcere di Velletri. Lo comunica in una nota Massimo Costantino, segretario della Fns Cisl Lazio (Federazione Nazionale Sicurezza): "Si tratta di un italiano di 50 anni, deceduto a causa di problemi cardiocircolatori". La nota del sindacato che sottolinea: "Nel carcere di Velletri attualmente vi sono un totale di detenuti reclusi pari a 554 rispetto ai 408 previsti regolarmente. Purtroppo anche se in detenuti in ambito regionale continuano a calare dette criticità si ripetono. L’intervento del personale del Corpo della Polizia Penitenziaria è stato immediato e professionale ma risultato invano". Reggio Emilia: botte in cella, rinvio a giudizio per 9 agenti della Polizia penitenziaria di Tiziano Soresina La Gazzetta di Reggio, 13 settembre 2014 Per il pm Maria Rita Pantani uno dei ladri georgiani (il 21enne Guram Shatirishvilli) rimasto coinvolto - nel luglio 2012 - nel tentato omicidio di un poliziotto, fu al centro di un vero e proprio pestaggio all’interno del carcere della Pulce nei momenti subito successivi all’arresto. E il magistrato inquirente ha chiesto il rinvio a giudizio per 9 agenti di polizia penitenziaria, mentre è stata archiviata la posizione di altri due colleghi finiti inizialmente nella delicata inchiesta. Fra poco più di un mese l’udienza preliminare davanti al gip Giovanni Ghini che s’annuncia a dir poco battagliata, perché "gli agenti di polizia penitenziaria - hanno sempre sostenuto gli avvocati difensori Liborio Cataliotti, Federico De Belvis e Donata Cappelluto - negano totalmente e fermamente la fondatezza delle accuse, totale estraneità ai fatti". Il pm Pantani - che ha coordinato le indagini della questura - ritiene, invece, che almeno in tre occasioni il giovane arrestato (ai tempi 19enne) venne fatto uscire dalla cella per poi colpirlo con calci e pugni in più parti del corpo, causandogli fratture costali giudicate guaribili in 40 giorni. Un pestaggio che gli inquirenti interpretano come una ritorsione nei confronti di chi tentò di uccidere un agente. Un "quadro" che ha portato il magistrato ad accusare i 9 agenti di polizia penitenziaria di lesioni pluriaggravate in concorso, con l’aggiunta di tutta una serie di aggravanti: l’aver agito per futili motivi, l’aver commesso il reato con abuso di autorità, ma anche approfittando dello stato di inferiorità della vittima che è incarcerata. Le indagini erano partite quando, in carcere, venne intercettato un colloquio fra il giovane georgiano e la madre: la Mobile cercava di "captare" i nomi dei complici sfuggiti alla cattura nel condominio residenziale di via Montagna preso di mira dalla banda di ladri georgiani, invece sentirono la donna chiedere al figlio: "Ma ti picchiano ancora?". Nel giugno dell’anno scorso vennero effettuati i riconoscimenti tramite il passaggio tecnico dell’incidente probatorio (per "cristallizzare" le prove in vista del processo). Indagati e persone che non c’entrano erano sfilati davanti al georgiano e alla madre (a cui il figlio aveva indicato due dei suoi picchiatori). Riconoscimenti che hanno portato all’archiviazione di due posizioni. Shatirishvili, in Appello, è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione per quel raid nel palazzo. Savona: Sappe; dispiaciuti per la mancata presenza del Ministro a Cairo Montenotte… Comunicato Stampa, 13 settembre 2014 Anche se il Ministro Andrea Orlando non sarà presente a Cairo Montenotte il prossimo 15 settembre in occasione del 60esimo anniversario della scuola Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte, manterremo comunque il nostro sit-in di protesta, perché riteniamo le nostre rivendicazioni legittime e necessarie di risoluzione - questo è quanto afferma la segreteria regionale del Sappe il maggior sindacato di categoria della Polizia Penitenziaria. Confermo quindi la protesta degli uomini in divisa per il giorno 15 settembre afferma il segretario Lorenzo - ribadendo che la nostra protesta verte principalmente per l’assenza di stanziamenti economici per il comparto sicurezza, chiediamo lo sblocco del tetto salariale ed il riconoscimento economico dei benefici già da anni acquisiti ed ancora senza copertura economica. Abbiamo la necessità di incontrare il Vice-Ministro On. Costa, presente a Cairo Montenotte in sostituzione del Ministro, anche per comprendere le intenzioni del Ministero sulle annose problematiche della Liguria, già rappresentate ai vertici del Ministero ed ancora prive di risposta. Sicuramente - continua Lorenzo - vi è la priorità di costruire un nuovo carcere per Savona che sostituisca quello attuale ormai fatiscente e, chiederemo - conclude Lorenzo - l’impegno del Ministero per il mantenimento delle attività istituzionali della Scuola di Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte. Sono tante le rivendicazioni del Sappe, che sono state raccolte in un volantino che sarà distribuito ai cittadini ed agli invitati al convegno nella Scuola di Polizia di Cairo. Anche la consulta sicurezza ligure (Sap polizia di Stato - Sappe polizia Penitenziaria - Sapaf Forestale e Conapo vigili del fuoco) aderirà al sit-in di protesta, per ricordare che il comparto sicurezza è da 5 anni senza contratto e senza adeguamenti stipendiali. Anche se vi è un debole segnale di attenzione da parte del Governo verso il comparto sicurezza, la consulta Sap-Sappe-Sapaf e Conapo mantiene alta l’attenzione in attesa di certezze e non delle solite promesse poi svanite nel nulla. Vicenza: il Comune cerca Garante dei detenuti, candidature entro il 19 settembre www.laprimapagina.it, 13 settembre 2014 Entro il 19 settembre è possibile inviare le candidature per ricoprire il ruolo di garante per i diritti delle persone private della libertà personale. Possono presentare la propria candidatura persone di comprovata esperienza o formazione culturale nel campo della tutela dei diritti umani, delle scienze giuridiche, economiche e sociali, delle attività sociali presso istituti di detenzione, con conoscenza della realtà carceraria locale e con massima garanzia di probità, indipendenza, competenza e capacità di esercitare efficacemente le proprie funzioni. La domanda, completa della documentazione richiesta nell’avviso, va presentata entro le 12 di venerdì 19 settembre 2014 a mano o attraverso raccomandata a "Comune di Vicenza, Ufficio protocollo generale, corso Palladio 98, Vicenza" oppure va spedita all’indirizzo di posta elettronica certificata vicenza@cert.comune.vicenza.it Il garante viene eletto dal consiglio comunale e resta in carica fino alla scadenza di quest’ultimo, con una proroga massima di sei mesi fino a successive elezioni. L’incarico non è compatibile con l’esercizio di attività professionali nei settori della giustizia, della sicurezza pubblica e della professione forense, nonché con ogni carica elettiva o di amministratore in enti, aziende o società partecipate del Comune di Vicenza. Non possono essere nominati parenti di amministratori comunali, né persone che si trovino in situazioni di incandidabilità e ineleggibilità per la carica di consigliere comunale. Il garante ha il compito di proporre interventi ed azioni per promuovere la reale garanzia dei diritti fondamentali dei detenuti; promuove la partecipazione di questi ultimi alla vita civile, l’accesso ai servizi comunali e agli atti amministrativi, formula pareri a seguito di richiesta degli organi comunali, si appella alle autorità competenti per informazioni relative a violazioni dei diritti dei detenuti, promuove iniziative di sensibilizzazione e formazione, organizza visite ai luoghi di detenzione, visita i detenuti ed è a disposizione delle loro famiglie. La carica è gratuita. Venezia: detenuti riparano le bici, apre ciclo-officina della Cooperativa sociale Il Cerchio La Nuova Venezia, 13 settembre 2014 Riparazioni di gomme, sostituzioni di parti meccaniche, regolazioni ma anche restauri di vecchie bici e assemblaggi di nuovi cicli. In via Giustizia al civico 11/b davanti alla carrozzeria Moderna apre i battenti la ciclo officina della cooperativa sociale Il Cerchio. Ci lavorano ex detenuti e detenuti assieme ai volontari che si adoperano per aiutarli nel loro reinserimento sociale. All’apertura della officina in via Giustizia ha collaborato anche Giovanni Seno, amministratore delegato di Avm spa per una collaborazione con il bici-park della stazione ed è arrivato anche un accordo con una ditta, la Foverbike di Padova per il servizio di assemblea di nuove biciclette da vendere. La ciclo officina di via Giustizia sarà poi la prima di una serie di servizi di assistenza pensati per il turismo ciclabile, che sta prendendo piede in città per i collegamenti con Venezia. Si pensa all’apertura di altre ciclo officine in luoghi di interscambio anche del centro storico, dal Tronchetto al Lido a Pellestrina e in altri luoghi toccati dagli itinerari per le due ruote. La cooperativa Il Cerchio inaugura l’officina di Mestre, già aperta al pubblico, domani 10 e per l’occasione ha invitato all’evento anche un amico delle biciclette, l’ex sindaco Massimo Cacciari. Rimini: detenuto tunisino tenta suicidio per protesta contro provvedimento carcerazione Ansa, 13 settembre 2014 Un detenuto tunisino, per protesta contro il provvedimento di carcerazione che lo riguardava, ha inscenato un tentativo di suicidio nel carcere di Rimini. Lo riferisce il sindacato della Polizia penitenziaria Sappe. Prima si è ferito alle braccia, poi è salito sul tavolino della cella e, dopo aver legato una corda alle inferriate della finestra, ha infilato la testa nel cappio e lo ha stretto attorno al collo, mentre continuava a tenere la lametta vicino alla giugulare minacciando di tagliarsi o di impiccarsi, se non fossero arrivati immediatamente avvocato e magistrato. "Questa situazione è andata avanti per oltre due ore - riferisce il Sappe - e solo grazie alla professionalità della polizia penitenziaria e alla capacità di mediazione della stessa si è riusciti ad evitare il peggio e ad accompagnare il detenuto nella locale infermeria per le cure mediche". Tutto ciò, ricorda il sindacato, a distanza di pochi giorni dall’aggressione di un agente della penitenziaria da parte di un detenuto e dal tentativo di suicidio di altri due. "Tali situazioni - rileva il Sappe - sono ormai all’ordine del giorno da parte dei detenuti e la polizia penitenziaria è lasciata sola a se stessa, con una carenza organica di circa 30 unità. Mancano da tempo un direttore ed un comandante in pianta stabile". Porto Azzurro (Li): operazione antidroga di Polizia penitenziaria, rinvenuti 10 gr hascisc www.firenzetoday.it, 13 settembre 2014 In seguito all’attività di prevenzione all’introduzione del traffico di sostanza stupefacente la polizia penitenziaria ha provveduto a perquisire la camera detentiva di un ristretto rientrato da permesso premio. I poliziotti operanti, con professionalità ed accortezza, hanno notato strani comportamenti e movimenti del detenuto prima di procedere alla perquisizione ordinaria che facevano indurre che lo stesso avesse occultato qualcosa all’interno del proprio corpo. Gli operatori di Polizia penitenziaria si sono prodigati ad effettuare i controlli necessari a verificare la reale esistenza di oggetti estranei occultati all’interno del corpo detenuto di origini italiane al fine di tutelare l’incolumità del detenuto stesso e di sequestrare la sostanza occultata. Successivamente il detenuto, dopo essere sottoposto ad una costante osservazione, ha espulso tale involucro contenente circa 10 grammi di sostanza stupefacente tipo hashish. "Angelo Montuori e Francesco Mazzei - Vice Segretari Generali del Sindacato Polizia Penitenziaria - SIPPE, chiedono pubblicamente al Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria di Firenze, una nota di compiacimento nei confronti del personale intervenuti ed esprimono soddisfazione per l’operazione, coordinata dal comandante del reparto Commissario, dr.ssa Alessia Assante e dal vice comandante Commissario Dott. Davide Militello che hanno evitato ripercussioni negative all’ordine e alla sicurezza dell’istituto". Monza: agenti aggrediti da detenuto con problemi psichiatrici in circuito media sicurezza Ansa, 13 settembre 2014 Un’aggressione ad alcuni agenti in servizio presso il carcere di Monza è stata denunciata oggi dal sindacato della Polizia penitenziaria Osapp. "L’episodio è accaduto stamani presso la sezione infermeria dell’istituto. Un detenuto di 38 anni, appartenente al circuito media sicurezza, con problemi psichiatrici, mentre si recava ai locali passeggi per l’ora d’aria all’improvviso ha sferrato un pugno al volto all’agente in servizio. Anche un altro agente ha riportato lesioni alla mano giudicate guaribili in 10 giorni". L’Osapp sottolinea il clima di grande difficoltà in cui lavorano quotidianamente gli agenti. Cremona: Comitato Provinciale Uisp; premiati i giocatori del torneo di scacchi in carcere La Provincia di Cremona, 13 settembre 2014 Si sono svolte giovedì 11 settembre presso la sala della biblioteca della Casa circondariale di Cremona le premiazioni del torneo di scacchi svoltosi nei mesi estivi per i detenuti della sezione maschile organizzato dal comitato provinciale Uisp grazie all’impegno del volontario Fabio Pellacchin. Sono stati premiati i detenuti Angelo Mazzarella, Oleg Turkan e Miroslav Popescu, classificatisi rispettivamente primo, secondo e terzo nel torneo interno che ha visto la partecipazione di ben quattordici detenuti. L’attività sociale riprenderà nel mese di ottobre con un corso di scacchi rivolto a tutti gli altri ospiti della Casa Circondariale. Roma: la Compagnia del carcere di Rebibbia in Viaggio all’isola di Sakhalin Il Velino, 13 settembre 2014 La Stagione di Progetti 14-15 firmata dal direttore Antonio Calbi continua nel segno dei Teatri di Comunità. Dopo aver accolto il Garofano Verde, la rassegna di Rodolfo di Giammarco dedicata alla scena omosessuale, è la volta della Compagnia del carcere romano di Rebibbia. I detenuti-attori lasciano il teatro del penitenziario per debuttare sul palcoscenico del Teatro Argentina con Viaggio all’isola di Sakhalin, la pièce liberamente ispirata a Anton Cechov e Oliver Sacks, in scena venerdì 19 e sabato 20 settembre (ore 21). Lo spettacolo si inserisce all’interno del progetto Teatri di Comunità, un programma di attività che il Teatro di Roma promuove per coniugare l’arte al territorio e alle realtà che vi operano. Un percorso culturale per un teatro come agorà della polis che, ancor prima che sulla scena, si declina e si riverbera sulla città per favorire l’inclusione delle diverse generazioni e comunità che la costituiscono. "Con il progetto Teatri di Comunità - dichiara il direttore Antonio Calbi - il Teatro Argentina si apre ancor più alla città intera, e alle diverse anime e realtà che la compongono e la abitano. Il Teatro realizza il proprio senso e la propria missione, quando accoglie e si fa inclusivo. Sono particolarmente fiero di proseguire nella partnership tra il Teatro di Roma e l’esperienza realizzata dall’Associazione La Ribalta presso il carcere di Rebibbia. Con gli amici e colleghi, Laura Salerno e Fabio Cavalli, stiamo continuando a riflettere su come sviluppare ulteriormente questa collaborazione affinché diventi ancora più forte e consolidata". Ad interpretare Viaggio all’isola di Sakhalin - spettacolo ideato e diretto da Laura Andreini Salerno e dalla drammaturga Valentina Esposito - il cast di trenta detenuti-attori della Compagnia del Reparto G8 del carcere di Rebibbia che scontano pene di lunga durata, alcuni l’ergastolo. Sulla scena il racconto di viaggio dell’esperienza che Anton Cechov - nell’esercizio della sua professione di medico - fece alla fine dell’Ottocento visitando l’isola-prigione Sakhalin, la colonia penale per gli ergastolani posta all’estremo oriente della Russia. Allo sconvolgente reportage cechoviano sulle condizioni di detenzione, si intreccia una delle più sorprendenti esperienze dello scienziato cognitivo Oliver Sacks. Nell’ "isola dei senza colore" Sacks incontra uomini e donne che l’isolamento ha reso ciechi ai colori - "acromatopsia" è il nome scientifico della malattia diffusa da un gene misterioso. Lo spettacolo intreccia dramma e commedia, seguendo la traccia del medico che prova a sconfiggere, con la passione dello scienziato-missionario, quel male terribile che è la "cecità degli affetti": il male che colpisce in ogni tempo, luogo e condizione, coloro che vivono reclusi e privati delle fondamentali relazioni umane e affettive. In una lettera dalla Siberia, del 1890, Cechov scriveva: "Io sono profondamente convinto che tra cinquanta o cento anni si guarderà alla pena dell’ergastolo con la stessa perplessità e imbarazzo con cui oggi guardiamo all’applicazione della tortura. Per cambiare questa eterna prigionia con qualcosa di più razionale e rispondente a giustizia, ci mancano ancora le conoscenze, l’esperienza, il coraggio". I detenuti-attori di Rebibbia varcano le soglie del Carcere per ritornare sul palcoscenico del Teatro Argentina e rivivere un’esperienza di straordinaria rilevanza etica, culturale, sociale, che si rinnova dopo la messinscena dell’anno precedente dello spettacolo La Festa di Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito, con giovani attori e detenuti attori riuniti in un’unica grande compagnia di oltre 40 elementi Lo spettacolo è una produzione del Centro Studi Enrico Maria Salerno in collaborazione con Teatro di Roma e Direzione della C.C. Roma Rebibbia N.C. - Main Sponsor Fondazione Roma-Arte-Musei. Da un decennio il Carcere di Rebibbia Nuovo Complesso ha "aperto" le porte alla Città con un Festival di spettacolo che trasforma la "Città Dolente" in un luogo di promozione culturale per artisti, attori, musicisti, autori, cittadini reclusi e cittadini liberi. La Ribalta - Centro Studi Enrico Maria Salerno coordina il progetto sotto la direzione di Laura Andreini Salerno e Fabio Cavalli, con la collaborazione artistica di Valentina Esposito. In accordo con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Direzione della C.C. Roma Rebibbia N.C., si offrono ai cittadini reclusi laboratori di formazione e corsi di specializzazione ai mestieri dello spettacolo. Al pubblico si propone un ricco Cartellone fra teatro, musica, cinema che ha trasformato Rebibbia N.C. in uno dei principali teatri della Capitale per qualità della proposta artistica ed affluenza di pubblico (oltre 10.000 spettatori ogni anno). Nel 2012 i detenuti-attori della Compagnia, guidati da Fabio Cavalli, hanno accettato la sfida lanciata dai fratelli Taviani: portare al cinema il Giulio Cesare di Shakespeare. Così è nato il film Cesare deve morire, co-prodotto dal Centro Studi Enrico Maria Salerno, vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale, che ha proiettato l’esperienza di Rebibbia a livello internazionale. India: caso marò; sì al rientro di Latorre per 4 mesi, chiesta garanzia scritta per il ritorno Ansa, 13 settembre 2014 Sì della Corte Indiana al rientro del marò Massimiliano Latorre per 4 mesi. I giudici hanno posto come condizione la garanzia scritta del rientro. L’udienza si è svolta nella sala n.1 della Corte Suprema indiana che ha esaminato l’istanza presentata dal team dei legali della difesa del fuciliere di Marina Latorre, in cui si chiedeva un’autorizzazione a rientrare in Italia per rimettersi completamente dall’ischemia da cui il marò è stato colpito il 31 agosto. "Abbiamo ottenuto quanto volevamo", ha dichiarato Soli Sarabjee, l’avvocato di Massimiliano Latorre, che ha illustrato alla Corte Suprema l’istanza di rientro a fini terapeutici del marò. "Collaborazione con la Giustizia indiana e stima per il premier Modi e il suo Governo. Lavoreremo insieme su tanti fronti". Lo ha scritto su twitter il premier Matteo Renzi subito dopo la notizia del via libera al rietro in Italia di Latorre. "Abbiamo ottenuto quanto volevamo", ha dichiarato Soli Sarabjee, l’avvocato di Massimiliano Latorre, che ha illustrato alla Corte Suprema l’istanza di rientro a fini terapeutici in Italia del fuciliere. Massimiliano Latorre rientrerà in Italia quanto prima: lo ha assicurato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, esprimendo viva soddisfazione per la decisione della Corte Suprema indiana. "È un risultato confortante", si legge in una nota, "ma non ci distoglie certo dalla volontà di trovare una soluzione rapida della vertenza con l’India, attraverso le iniziative che abbiamo da tempo intrapreso e che perseguiamo con determinazione. Il Governo lavora -assicura il ministro- con estrema determinazione a una rapida e definitiva soluzione di questa disputa". Il presidente della corte R.M. Lodha, accompagnato dai giudici Kurian Joseph e Rohinton Fali Nariman, ha ascoltato in particolare il rappresentante del governo Narasimha, a cui in un’udienza iniziale lunedì era stato chiesto di presentare la posizione al riguardo. "Si tratta di un caso di malattia e di problemi di condizioni fisiche - aveva detto detto Lodha rivolto a Narashima - e se esistono serie obiezioni alla richiesta dovete dircelo". Lo stesso giorno in una conferenza stampa il ministro indiano degli Esteri Sushma Swaraj aveva anticipato che "se la Corte concedesse il rimpatrio su un terreno umanitario, noi non ci opporremmo". A cercare di intralciare la decisione era giunta nelle ultime ore una istanza di Freddy John Bosco, proprietario del peschereccio coinvolto nell’incidente del 15 febbraio 2012 in cui morirono due pescatori, in cui si chiedono per Latorre ulteriori accertamenti medici. Salvatore Girone è invece ancora in attesa di una sentenza e resta dunque in India. Iran: i detenuti dervisci in sciopero della fame chiedono giustizia da Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana www.ncr-iran.org, 13 settembre 2014 Con un comunicato intitolato "Il Testamento", i dervisci Gonabadi detenuti in Iran, che continuano il loro sciopero della fame iniziato il 31 Agosto, chiedono alla gente amante della libertà di assicurare alla giustizia le autorità del regime iraniano responsabili delle torture ai prigionieri. Alcuni membri di questo gruppo di nove dervisci Gonabadi in sciopero della fame, detenuti nella prigione di Evin a Tehran e in una prigione della città di Shiraz, nelle ultime settimane si sono rifiutati di prendere le medicine. Nel loro "Testamento" hanno detto: "I nemici della religione e della legge ci stanno torturando a morte con la scusa della religione e dell’applicazione della legge. Noi non moriremo a causa di questo sciopero della fame, ma piuttosto ne verremo uccisi. È nostra volontà che tutta la gente amante della libertà del mondo, in particolare i nostri fratelli Nematollahi Gonabadi, facciano sì che i responsabili di questa tortura affrontino pienamente la giustizia". I detenuti dervisci hanno subito gravissime pressioni da parte degli aguzzini del regime iraniano negli ultimi anni. Oltre alla tortura fisica, molte volte sono stati trasferiti in isolamento o in prigioni nelle quali sono detenuti soggetti pericolosi. I loro aguzzini gli hanno anche rasato i baffi con la forza per punirli ed umiliarli. I prigionieri in sciopero della fame Hamidreza Moradi Sarvestani, Afshin Karampour, Farshid Yadollahi, Reza Entesari, Amir Eslami, Omid Behrouzi, Mostafa Daneshjou, Mostafa Abdi e Kasra Nouri chiedono il rilascio di tutti i membri della comunità derviscia e che le autorità del regime vengano perseguite per aver violato i loro diritti per anni. La Resistenza Iraniana chiede a tutti gli organismi internazionali e alle organizzazioni per i diritti umani di adottare misure efficaci per salvare le vite dei dervisci in sciopero della fame e per rispondere alle loro richieste. Cile: svolta della presidente Bachelet "annulleremo l’amnistia voluta da Pinochet…" Corriere della Sera, 13 settembre 2014 "Basta con il silenzio sui desaparecidos". La norma del dittatore impedisce i processi per i crimini commessi dal regime tra il 1973 e il 1978. Basta con il silenzio sugli anni della dittatura di Augusto Pinochet. La presidente del Cile, Michelle Bachlet, annuncia la svolta e spiega di voler cancellare in parlamento la legge di amnistia voluta dal dittatore per coprire i crimini compiuti durante il colpo di Stato che lo portò al potere e negli anni successivi, quando ci fu un dura repressione. Una norma che protegge dalla giustizia sia i militari sia i civili accusati di crimini di lesa umanità tra il 1973 e il 1978. E l’annuncio di Bachelet è arrivato proprio in coincidenza con il 41esimo anniversario del golpe di Pinochet, avvenuto l’11 settembre del 1973. La cancellazione di quella legge voluta è un vecchia richiesta dei familiari dei "desaparecidos" alla quale ora il governo di Santiago vuole dare una risposta. Con questa decisione il Cile "adeguerà la legislazione cilena a quella internazionale" nelle materie riguardanti i diritti umani, ha spiegato il ministro della giustizia José Antonio Gomez. "Il Cile non ha perso la memoria, non ha dimenticato i figli di chi è stato perseguito e dei detenuti desaparecidos, i sopravvissuti, le vittime che sono riuscite a salvarsi, oltre agli stessi aguzzini e complici. Molti sono morti attendendo giustizia, molti restando il silenzio: basta attese dolorose e silenzi ingiustificati" ha detto Bachelet durante una cerimonia nella capitale. La presidente ha poi lanciato una sorta di appello per i "desaparecidos" invitando "chi ha informazioni - siano essi civili o militari - di consegnarle" alle autorità. Il progetto di annullamento della legge è stato accolto molto positivamente da diversi organismi di diritti umani. Quella norma impediva infatti la condanna da parte dei tribunali dei responsabili delle violazioni perpetrate nei primi cinque anni del regime di Pinochet dopo il golpe che rovesciò il presidente Salvador Allende. Il governo cileno ha inoltre reso noto la creazione di un sottosegretariato per i diritti umani dipendente dal ministero della giustizia. Le vittime del regime di Pinochet nei quasi 17 anni di dittatura, dal 1973 e il 1990, sono state circa 3.000, secondo quanto ha stabilito il rapporto sulla "verità e la riconciliazione" approvato da Santiago nel 1991. Di queste un migliaio circa sono i "desaparecidos". Nel 2005 un documento ufficiale del governo ha invece raccolto le testimonianze di 30 mila sopravvissuti che sono stati detenuti nelle prigioni segrete del regime, a Santiago e in altre città del paese. Stati Uniti: la strana evasione del killer degli studenti dal carcere di Lima Ansa, 13 settembre 2014 Evaso dal carcere di Lima, nell’Ohio, e rapidamente ri-catturato il diciannovenne autore di una sparatoria in un liceo nei pressi di Cleveland, nel 2012. Condannato a tre ergastoli per i tre ragazzi morti nella Chardon High School, e a trentasette anni per il ferimento di altri, T.J. Lane era riuscito a fuggire insieme ad altri due detenuti. Ma si è poi lasciato ricatturare ore dopo, ad appena cinquanta metri dal luogo dell’evasione. "Non so cosa stesse facendo, ma posso dirvi che è stato catturato ad appena cinquanta metri dal recinto principale del carcere". Uno degli altri evasi è stato catturato poco dopo, del terzo si sono perse le tracce ed è stata lanciata una ricerca estesa, con l’ausilio di cani ed elicotteri dotati di equipaggiamenti agli infrarossi. Resta da capire perché Lane sia evaso per poi farsi ritrovare sul posto.