Giustizia: la "grande riforma" se ne va in ferie di Livio Pepino Il Manifesto, 12 settembre 2014 "Riformeremo la giustizia dalle fondamenta senza guardare in faccia nessuno. Alla fine dei mille giorni l’Italia sarà con tempi certi di meno di un anno per il primo grado di giudizio nel processo civile e con il dimezzamento dell’arretrato": così il presidente del Consiglio Renzi nella conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri del 29 agosto. Le parole sono più o meno le stesse di quelle di tutti i capi di governo e ministri della giustizia che si sono alternati negli ultimi vent’anni (e che hanno lasciato l’incarico con la situazione inalterata quando non peggiorata). Cambia solo il tono, che in Renzi è assertivo e trionfalista. Ma non c’è bisogno di essere esperti per cogliere che, parafrasando il titolo di un vecchio film, sotto le promesse non c’è niente. Riassumiamo. Nel consiglio dei ministri del 29 agosto - quello, per intenderci, che avrebbe dovuto stupire il mondo per i cambiamenti introdotti nella scuola italiana - sono stati approvati, secondo il sito del Ministero della giustizia, sette provvedimenti presentati dal ministro Orlando. In realtà a tutt’oggi, dopo oltre dieci giorni, del contenuto di quei provvedimenti si conoscono solo indiscrezioni e non è stato diffuso alcun testo. Quel che si sa è che uno solo è un decreto legge, destinato per definizione ad entrare subito in vigore, mentre gli altri sono dei disegni di legge che seguiranno un iter parlamentare da definire e il cui contenuto sarà oggetto di modifiche e contrattazioni (come i partiti che sostengono, in modo palese o di fatto, il governo si affannano a precisare prima ancora che ne sia noto il testo…). Uscendo dal politichese: nessuno - neppure nella maggioranza di governo - sa come sarà modificato e velocizzato il processo civile, quale sarà l’assetto della magistratura onoraria (da cui dipende gran parte del futuro della giustizia civile), come si atteggerà la responsabilità civile dei magistrati, quali modifiche saranno introdotte nella giustizia penale (in tema di prescrizione, intercettazioni, falso in bilancio etc.). Non basta. Neppure dell’unico decreto legge approvato, contenente "misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile" è noto il testo. È stato diffuso uno schema non ufficiale, che viene continuamente aggiornato a dimostrazione che in consiglio dei ministri sono state approvate alcune indicazioni di massima e poco più. Anzi, lo slogan in cui maggiormente si esibisce il presidente del Consiglio nel salotto di Vespa (da lui scambiato per il Parlamento della repubblica) non è stato neppure discusso né, tantomeno, approvato. Nello schema (o forse sarebbe meglio dire nella "promessa" o "minaccia") di decreto legge, infatti, nulla si dice sulla riduzione delle ferie dei magistrati - vera chiave di volta del pensiero renziano - e viene preso in esame solo il diverso problema della sospensione dei processi nel periodo feriale (ridotto al periodo 6-31 agosto). Quanto poi al contenuto dello schema, gli accorgimenti adottati per "dimezzare l’arretrato" consistono essenzialmente nel trasferimento dei procedimenti pendenti, con alcune limitazioni e solo su richiesta delle parti, alla sede arbitrale e nella negoziazione assistita da un avvocato. Accorgimenti la cui effettiva consistenza e utilità potrà apprezzarsi solo una volta conosciuto il testo definitivo ma che certamente, anche a detta dei sostenitori del progetto, potranno portare alcuni significativi benefici ma non certo modificare in modo sostanziale la situazione attuale. Dunque, nella migliore delle ipotesi, la montagna ha partorito il classico topolino… Del resto, lo stesso presidente del consiglio sintetizza la sua riforma epocale nello slogan: "Diminuiremo le ferie dei magistrati". Decisione forse anche condivisibile ma idonea a risolvere i problemi della giustizia tanto quanto la revisione delle ferie degli impiegati delle imposte servirebbe ad azzerare l’evasione fiscale! Intanto il novello "governo del fare" si gonfia a tutti i livelli di magistrati sottratti al lavoro ordinario e non riesce neppure a trovare un accordo sul nuovo direttore dell’Amministrazione penitenziaria, vacante da mesi (e magari da individuare con nuovi criteri dato che l’ultimo vero conoscitore di carcerati e carcerieri è stato Sandro Margara, licenziato nel lontano 1999 per la sua scarsa duttilità politica). Evidentemente, anche per la giustizia, l’importante è dare spettacolo e vendere fumo. I risultati promessi non ci saranno ma gli italiani dimenticano facilmente le promesse. E, poi, si potrà sempre dire che la colpa dell’insuccesso è dei "gufi", degli intellettuali disfattisti, dei professoroni che "remano contro", per riprendere l’espressione del Berlusconi dei tempi d’oro (di cui l’ex sindaco di Firenze si mostra ogni giorno di più discepolo diligente anche nel metodo). Giustizia: Spigarelli (Ucpi); "per una vera riforma deve ancora cadere il fattore M" Intervista a cura di Eleonora Martini Il Manifesto, 12 settembre 2014 Magistrati. Il presidente dell’Unione delle Camere penali, Valerio Spigarelli: "Il Csm è intervenuto sulle ferie come fosse un sindacato". "Dietro la reazione dell’Anm, e soprattutto del Csm, c’è una concezione proprietaria della giustizia. Ogni volta che si tenta di riformare qualcosa, il sindacato dei magistrati - perché di questo si tratta, come ha evidenziato questa faccenda - si mette di traverso. Ma la cosa davvero stravagante è che con l’intervento del Csm c’è stata l’identificazione di un organo dello Stato con la rappresentanza sindacale". Seppur a malincuore, il presidente dell’Unione Camere penali Valerio Spigarelli, protagonista di tante battaglie garantiste, interviene sulla questione del taglio delle ferie dei giudici e sullo strappo tra le toghe e il governo che il ministro Orlando sta tentando di ricucire. "Mi sembra che sia caduto il fattore B, per cui adesso al riforma della giustizia si potrebbe anche fare, ma non quello M (come magistratura)", avverte. Il presidente dell’Anm, Sabelli, dice che il tema delle ferie "c’entra ben poco con la reale soluzione del problema efficienza del sistema giustizia"... Dobbiamo fare chiarezza: un conto sono i 46 giorni di ferie di un singolo magistrato, che pure il governo avrebbe il diritto di ridurre anche senza chiedere il loro permesso, solo per il motivo che si tratta di un periodo molto più lungo di quello di cui gode un qualsiasi altro alto funzionario dello Stato. Altra cosa però è la sospensione feriale dell’attività dei tribunali, che è arcaica perché segue l’organizzazione del lavoro di decenni fa, quando tutto il mondo della giustizia si fermava dall’1 agosto al 15 settembre. Questo periodo va obiettivamente ridotto, pur stando attenti a non incidere sul diritto dei cittadini di poter ricevere notifiche a studi aperti. Ma chi dovrebbe protestare di più sono gli avvocati dei piccoli studi che avranno maggiori difficoltà ad adeguarsi. Eppure non lo hanno fatto. D’altronde è un dato ormai accertato che il 60% delle prescrizioni maturano nell’armadio delle procure, e non a causa delle strategie dilatorie degli avvocati. L’Anm accusa il governo di aver "rovesciato il tavolo" della trattativa inserendo "senza preavviso" nel decreto il taglio delle ferie... È una battaglia sindacale. L’Anm è sindacato - e non tutta la magistratura - ed è giusto che si comporti come tale. Ma che il Csm si schieri al loro fianco perché il premier Renzi ha fatto una battuta che avrebbe potuto fare per qualsiasi altro sindacato, questo dimostra davvero una concezione proprietaria della giustizia da parte dei magistrati. Anche noi, seppure siamo solo liberi professionisti, lavoriamo nel periodo feriale. Non dimentichiamo però che sullo stipendio dei magistrati, il più alto nella pubblica amministrazione, si parametrava quello dei deputati. Una battaglia sindacale non può diventare una battaglia di principio, per lesa maestà. Sulla responsabilità civile. Il viceministro Costa ha dato le cifre: dalla legge Vassalli del 1988 ad oggi sono 410 i ricorsi contro i magistrati, di cui solo 35 sono stati ammessi al vaglio dei tribunali e solo 7 sono stati accolti... La responsabilità diretta delle toghe non la vuole nessuno, nemmeno noi. È stato solo uno spauracchio per accelerare quella indiretta. È un falso problema, e i magistrati lo sanno. Ma l’Anm parla a nuora perché suocera intenda. La legge che si delinea va bene anche a loro ma la tirano in ballo per tenere alta la contrattazione sul resto. Una cosa è certa: la responsabilità civile indiretta non ha nulla a che vedere con gli attentati alla libertà della magistratura. Ma a voi avvocati penalisti questa riforma, almeno come sembra si vada delineando, piace? Non è una riforma, solo ritocchi. Alcuni pessimi, altri buoni e altri di cui si deve discutere ancora. Oltre alla responsabilità civile, va bene la compressione dei poteri del Gup. Mentre ci piacerebbe che la norma che permette di dilazionare il contatto tra l’arrestato e l’avvocato (art. 104 cpp) venga cancellata non solo per i reati meno gravi ma per tutti. Ci batteremo contro questa legge ereditata dal fascismo, che ha senso solo in una logica inquisitoria. Fare una riforma significa invece riflettere per esempio sull’obbligatorietà dell’azione penale, o imporre la separazione delle carriere che ha raccolto col referendum del 2000 dieci milioni di consensi. Perché non discutiamo di questo? Il governo Renzi si oppone dicendo "sono temi divisivi". Ma anche la riforma del Parlamento era un tema divisivo, eppure è stato affrontato. Per fare una vera riforma, di cui il Paese ha bisogno, deve cadere anche il fattore M e non solo quello B. Giustizia: Consulta e Csm, il pasticcio dei veti che fa male di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 12 settembre 2014 Il Parlamento non è riuscito a completare l’organico dei componenti "laici": su sei nomi, solo un candidato ha raggiunto il quorum (Antonio Leone, Ncd). C’è già voglia di rivincita, nel Consiglio superiore della magistratura non ancora nato. Anche ieri il Parlamento non è riuscito a completare l’organico dei componenti "laici": solo un candidato ha raggiunto il quorum (Antonio Leone, Ncd), gli altri cinque nomi dell’accordo siglato da maggioranza e opposizione non ce l’hanno fatta. Così come, per la Corte costituzionale, non hanno raccolto i voti necessari né Luciano Violante, né Antonio Catricalà. Il risultato di questo stallo per l’organo di autogoverno dei giudici è che tra i sedici consiglieri togati eletti dai loro colleghi più di due mesi fa - o almeno nella maggioranza di loro - serpeggia un forte malumore. Ma si potrebbe dire anche disagio. O irritazione. Per il ritardo nella nomina dei "laici" che non consente di cominciare a lavorare, sintomo di scarso rispetto istituzionale; per l’invio a sorpresa di un vicepresidente designato preso direttamente dal governo (e dal ministero dell’Economia, materia di cui l’onorevole Giovanni Legnini s’è sempre occupato), che suona come un’imposizione, in barba ai precedenti sondaggi su altri nomi; per lo stillicidio degli eletti dal Parlamento scelti col contagocce, nonostante i ripetuti richiami del capo dello Stato, per cui siamo appena a tre su otto, e nuovi tentativi avverranno solo la prossima settimana. Chissà con quali esiti, vista l’aria che tira. Non c’è la pretesa che la politica concordi preventivamente con la magistratura le proprie nomine, ovviamente, né di ricevere preavvisi o valutazioni sul gradimento. Ma se prima si fanno circolare dei nomi per vedere l’effetto che fanno e poi all’improvviso ne spuntano altri, è altrettanto ovvio che questo provochi un certo disagio. E il sospetto di chissà quali intrighi, visto che siamo in clima di tensioni e manovre politiche, anche sulla giustizia. Come quasi sempre, verrebbe da dire. L’altro giorno, all’assemblea dei deputati e senatori democratici in cui i capigruppo hanno annunciato l’opzione Legnini per la vice-presidenza del Csm, a chi ha chiesto se qualcuno s’era preoccupato di sondare le reazioni dei togati è stato risposto di sì, e che non c’erano problemi. La realtà adesso sembra un’altra, e nessuno è in grado di fare previsioni su quel che accadrà. Tuttavia, proprio perché di tattica politica si discute anche tra i magistrati chiamati a gestire l’autogoverno per i prossimi quattro anni, gli stessi togati tentati dal raccogliere la sfida e lanciare un segnale di rivincita votando un "laico" diverso per la poltrona di vicario del presidente della Repubblica, sono consapevoli di ritrovarsi in un vicolo cieco. O quasi. L’alternativa sarebbe infatti Giorgio Fanfani, considerato molto più "renziano" di Legnini, che all’interno del Pd viene catalogato tra i "bersaniani"; col risultato di fare un favore al premier-leader di partito, anziché un dispetto. E la terza ipotesi, Renato Balduzzi di Scelta civica, è ancora di là da venire visto che l’ex ministro della Salute non è stato eletto nemmeno nella tornata di ieri. Insomma, dopo la vicenda del taglio delle ferie (poco o nulla influente sul funzionamento dei tribunali, ma molto spendibile con l’opinione pubblica da parte del premier) i magistrati si sentono di fronte a una nuova trappola. E stavolta vorrebbero evitare di caderci dentro, come invece è successo con la protesta per le vacanze accorciate per decreto-legge. Meglio allora rifugiarsi nel classico "sceglieremo in base ai contenuti, senza pregiudiziali nei confronti di alcuno". Ma la partita è aperta, e tutti sanno che la composizione del nuovo Csm sarà determinante per scadenze molto importanti nell’amministrazione del funzionamento della giustizia. Per la valanga di nomine ai vertici di molte Procure e altri importanti uffici giudiziari, determinata dalla regola della pensione a settant’anni senza deroga introdotta dall’esecutivo. E per i pareri tecnici, non vincolanti ma comunque di peso, che l’organo di autogoverno dovrà dare sui disegni di legge - quando si potranno leggere - di riforma della giustizia annunciata da Renzi come uno dei punti nodali della sua "rivoluzione". Con quale maggioranza interna arriverà il Csm a questi appuntamenti? La consultazione tra i giudici per i sedici togati ha premiato l’alleanza tra le correnti di centro e di sinistra, affidando una solida maggioranza all’asse Area-Unità per la costituzione, che attualmente guida l’Associazione nazionale magistrati. Una pattuglia "laica" filogovernativa e compatta (o quasi), senza personaggi di spicco interni al mondo della giustizia, insieme ad almeno tre dei quattro consiglieri di Magistratura indipendente (la corrente di destra di cui resta leader riconosciuto il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri), potrebbe puntare alla spaccatura di Unicost e cambiare maggioranza dentro il Csm. Si tratta di alchimie e congetture non tutte necessariamente fondate, ma di fronte alla confusione che sembra regnare in questa fase, tutti si sentono autorizzati a immaginare ogni tipo di operazione e retro pensiero. Tanto più in una situazione in cui anche il Parlamento si mostra incerto e teatro di micro-battaglie intestine. A parte la questione Corte costituzionale - dove si sta consumando uno scontro interno soprattutto a Forza Italia - i franchi tiratori che finora hanno impedito l’elezione di tutti i nomi scaturiti dall’accordo tra maggioranza e opposizione sono distribuiti tra i diversi partiti. Ancora in Forza Italia, ma anche nel Partito democratico, dove le indicazioni del premier-segretario e del suo entourage sono arrivate all’ultimo momento utile, vissute come un’imposizione; pure da chi da tempo e con continuità si occupa di giustizia. Dunque nei voti che mancano si riassume un può di protesta variegata: contro il metodo utilizzato, per il merito delle scelte e altro ancora, che magari ha poco a che fare col Csm e l’autogoverno dei giudici. Il risultato è che la giustizia malata, bisognosa di cure urgenti ma soprattutto efficaci, resta un terreno di scontro tra politica e magistratura. E all’interno della stessa politica. Giustizia: il ministro Orlando contro la moltiplicazione di uffici e dirigenti ministeriali di Francesco Grignetti La Stampa, 12 settembre 2014 Dal 2006 non si rispettano le norme della spending review. Il documento, che reca la firma del ministro Andrea Orlando, è esplicito: "È necessaria e non più procrastinabile la riorganizzazione degli uffici del ministero della Giustizia, allo scopo di rendere la sua struttura compatibile con le prescrizioni in materia di riduzione della spesa pubblica succedutesi dal 2006 ad oggi". Già, perché questo avviene nell’Italia di oggi. Che persino il ministero della Giustizia, emblema e motore delle leggi, le medesime leggi poi non le rispetta. Perlomeno quelle che non piacevano alla sua tradizionale struttura dirigenziale. Così, complice il girotondo di ministri degli ultimi anni, in via Arenula hanno fatto a lungo scivolare nel cestino tutte le disposizioni di spending review. Qualche esempio. Dopo una grassa riforma del 2001, sono nati ben 4 Dipartimenti: alla Organizzazione, agli Affari penali, alla Giustizia minorile, all’Amministrazione penitenziaria. In tutto sono 4 capi dipartimento e 6 vice. Nel frattempo è arrivata la tagliola sui mega stipendi, ma queste erano pur sempre cariche da 300 mila euro all’anno o giù di lì. Prima del 2001, il ministero della Giustizia contava 10 direzioni generali. Nel tempo sono divenute oltre 40. Ciò significa che s’è moltiplicato per quattro il numero dei dirigenti con indennità, segreteria, piantoni, autisti e quant’altro. Un caos. Ci sono ben tre direzioni generale al Personale: una ministeriale, una al Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, una terza alla Giustizia minorile. Stesso discorso per i centri di spesa: ci sono tre direzioni generale per l’acquisto di beni e servizi. Alla faccia dell’efficienza e del risparmio. E senza che sia stato rispettato il taglio alle posizioni dirigenziali previsti dalle leggi di stabilità succedutesi dal 2006. All’interno del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, poi, secondo una logica del tutto incongrua, sono incardinati due enti di diritto pubblico: la Cassa Ammende, istituita nel lontano 1932, e l’Ente assistenza del personale penitenziario (assistenza agli orfani, elargizione sussidi, erogazione contributi scolastici, sale convegno, spacci, colonie estive) nato nel 1990. Altre repubbliche separate. Il ministro Orlando, entrando a via Arenula, ha scoperto con stupore questi bizantinismi. E ora, nel suo Atto di indirizzo politico istituzionale, annuncia l’eliminazione di "duplicazioni di funzioni omogenee" perché sono palesi le "improprie logiche di separatezza gestionale". S’è impegnato a presentare a palazzo Chigi un nuovo assetto entro un mese. E ha già anticipato ai sindacati e alla dirigenza, che mugugna, "inevitabili conseguenze". Per la Cassa Ammende e per l’Ente assistenza del personale penitenziario si profilano "nuovi sistemi di governance" per ottenere "efficienza e trasparenza di gestione". Il centro di spese per beni e servizi sarà unico per tutti. Il ministro ha poi chiesto di spingere sull’informatizzazione. Non solo quella dei tribunali, che porterebbe enormi risparmi di tempo e di soldi, ma anche del ministero stesso. Orlando ha ricordato per iscritto ai suoi dirigenti che è appena entrata in vigore una legge che impone alla Pubblica amministrazione la fatturazione elettronica "in una ottica di maggiore trasparenza, efficace monitoraggio, ed affidabile rendicontazione della spesa pubblica". Ha indicato come prioritario l’obiettivo di procedere ad una decisa "semplificazione strutturale" quale premessa anche di una "maggiore efficienza operativa". Ma ce n’è di strada da fare, a via Arenula. Si pensi che fino a qualche mese fa la spesa per le auto blu era del tutto fuori controllo, al punto che i singoli dirigenti stipulavano autonomamente l’assicurazione per la propria vettura di servizio. Ora c’è almeno una convenzione unica del ministero con una società di assicurazioni e un costo standard per macchina. La riorganizzazione di via Arenula dovrebbe andare a regime nei prossimi anni, anche se i primi risultati sono attesi già nel bilancio del 2015. Intanto, non sarà da questo snellimento del dicastero che verranno i tagli del 3% al bilancio chiesti da Renzi nell’immediato. Giustizia: lo Sblocca-Italia chiude il Commissario carceri, fondi ai piani ordinari di Massimo Frontera e Giorgio Santilli Il Sole 24 Ore, 12 settembre 2014 Il provvedimento è arrivato ieri all’esame del Capo dello Stato che potrebbe firmarlo oggi, se non ci sono osservazioni al testo. Non mancano alcune modifiche dell’ultima ora al decreto legge sblocca-Italia che ieri ha avuto la "bollinatura" della Ragioneria generale ed è stato inviato da Palazzo Chigi al Quirinale. Se non ci saranno obiezioni al testo da parte degli uffici del Quirinale, il presidente della Repubblica potrebbe firmare oggi il provvedimento che andrebbe quindi in pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Quel che è certo è che il decreto arriva al Colle a 14 giorni dalla sua approvazione in Consiglio dei ministri. Le novità più rilevante dell’ultima ora sono due. La prima è l’eliminazione dell’articolo 31 sui limiti alla protezione accordata al diritto d’autore (su cui sì veda l’articolo a pagina 14). La seconda è l’inserimento di un comma 12 all’articolo 3 che conferma la fine della stagione del commissario straordinario per i piani di realizzazione delle nuove carceri, revocando i fondi assegnatigli in passato e riassegnandoli ai piani ordinari per l’edilizia carceraria gestiti dai ministeri delle Infrastrutture e della Giustizia. In un provvedimento fitto di procedure straordinarie, commissariamenti e deroghe, una norma che va nella direzione opposta e torna alle procedure ordinarie. Novità dell’ultimo minuto anche per le semplificazioni nel settore dell’edilizia privata. Il promotore dovrà trasmettere all’amministrazione competente la Cil "asseverata" in cui il tecnico attesta la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici, l’esclusione dell’intervento sulle parti strutturali e i dati dell’impresa cui si intende affidare i lavori. Un alleggerimento notevole rispetto all’attuale richiesta dì relazione tecnica (con "data certa") in cui peraltro il tecnico deve attestare anche che l’intervento non richiede titolo abilitativo ai sensi di norme statali e regionali. Cade anche la richiesta della conformità da parte dell’Agenzia per le imprese. Passo indietro invece sulle opere pubbliche private, in cui il testo evita la scontata censura di Bruxelles nel punto in cui si prevede che le opere possano essere affidate tout court ai privati. "Facendo salva" una norma del codice appalti, si ripristina l’obbligo di gara. Anche sui pagamenti c’è una novità dell’ultimo minuto. Con l’aggiunta di un comma all’articolo 4 si stabilisce la possibilità per gli enti locali di utilizzare lo spazio finanziario di un miliardo (850 milioni) per i Comuni e 150 (per le Province), concesso in deroga al patto dalla legge 183/2011, per effettuare pagamenti in conto capitale relativi a tutto il 2014, invece che ai soli primi sei mesi dell’anno. Nell’ultima versione del testo compare anche una modifica pesante al codice appalti: fra le possibilità di variante in corso d’opera viene ricompresa l’ipotesi di bonifica e messa in sicurezza dì siti contaminati. Giustizia: tra la generale indifferenza continua la mattanza silenziosa nelle carceri di Valter Vecellio Notizie Radicali, 12 settembre 2014 Nelle carceri italiane, silenziosa e tra la generale indifferenza, continua la mattanza. L’altro giorno, nella casa circondariale di Sassari "Bancali" un detenuto si è tolto la vita dopo il giro di controllo del poliziotto di turno. Lo ha reso noto Domenico Nicotra, segretario generale Aggiunto dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), uno dei sindacati della polizia penitenziaria. Nicotra racconta che il detenuto, un uomo di 34 anni, condannato per furto, dopo il normale e previsto giro di controllo ha ricavato un cappio dalle lenzuola in suo possesso e si è impiccato nel bagno della cella. C’è poi l’ancora più lunga lista dei suicidi sventati. Due nel solo carcere di Civitavecchia. Donato Capece leader del sindacato autonomo di polizia Sappe, spiega che il detenuto, originario della Campania "ha tentato di uccidersi nella sua cella realizzando un rudimentale cappio con le lenzuola della cella". Un suicidio sventato "Per Il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari, ma l’ennesimo episodio accaduto in carcere a Civitavecchia è sintomatico di quali e quanti disagi caratterizzano la quotidianità penitenziaria". Capece ricorda che qualche giorno prima un altro detenuto di Civitavecchia, italiano di 34 anni, ha tentato il suicidio cercando di impiccarsi, salvato anche in questo caso dagli agenti penitenziari: "Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". La situazione nelle carceri, insomma, resta allarmante. "Altro che emergenza superata", sospira Capece. "Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri laziali e del Paese tutto". Un altro suicidio è stato sventato a Torino, Anche in questo caso un detenuto di 48 anni ha tentato di farla finita con un cappio rudimentale ricavato da un lenzuolo, ma è stato fortunatamente salvato dall’intervento della polizia penitenziaria e portato in ospedale. Un episodio, osserva Leo Beneduci, leader dell’Osapp che dimostra "l’assoluta inadeguatezza dell’amministrazione penitenziaria rispetto alle esigenze e all’alta professionalità degli appartenenti alla polizia penitenziaria". Ci sono poi i casi di connazionali detenuti all’estero. Il caso più clamoroso è quello di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due militari italiani prigionieri in India da più di due anni, al centro di uno sconcertante caso giudiziario caratterizzato da rinvii e rimpalli di competenza che sembra non avere mai fine. Un’altra vicenda clamorosa è quella di Roberto Berardi un imprenditore detenuto in quello che si può ben definire un lager, in Guinea Equatoriale. Accusato di truffa Berardi denuncia di aver subito sevizie e torture. Secondo la ricostruzione dei familiari, Berardi aveva formato una società di costruzioni con il figlio del presidente della Guinea. Scopre strane operazioni sul conto corrente dell’impresa, chiede spiegazioni. Come risposta lo accusano di frode fiscale e lo sbattono in carcere. Meglio è andata a Giulio Brusadelli un ragazzo arrestato a Cuba perché in possesso di appena tre grammi e mezzo di marijuana, l’equivalente di qualche spinello. Oggi Giulio è libero, ma per cinque mesi lo hanno tenuto in galera, e per non fargli mancare nulla lo hanno anche internato in ospedale psichiatrico. Secondo l’Annuario statistico del ministero degli Esteri sono circa tremila gli italiani detenuti nel mondo. Poco meno di settecento i condannati per delitti gravi, spesso per delitti gravi, ma a volte vittime di montature e capri espiatori di vicende più grandi di loro. Il dato più allarmante è che sono 2400 gli italiani detenuti in attesa di giudizio, la maggior parte, circa 1800, nei paesi dell’Unione europea, Germania e Spagna in testa; quasi trecento nelle Americhe, concentrati negli Stati Uniti e in Venezuela. Altri 33 detenuti sono in attesa di essere estradati in Italia. Quale che sia il reato per cui sono imputati tutti i detenuti dovrebbero avere diritto ad un giusto processo. Non sempre è così. In diversi Paesi, infatti, sono negati anche i più elementari diritti sanciti dalle convenzioni internazionali come l’assistenza di un avvocato e la presenza di un interprete durante gli interrogatori. E in molti casi le notizie lasciate trapelare dalle autorità sono così poche e generiche che non ci si può neppure fare un’idea del processo. Giustizia: la denuncia "picchiato dagli agenti… così ho combattuto per vivere" di Damiano Aliprandi Il Garantista, 12 settembre 2014 La denuncia di Giuseppe Rotundo. La prossima udienza è a settembre. I fatti risalgono al 12 gennaio del 2011, nel carcere di Lucera. Dopo un alterco con un agente, fu pestato senza pietà. Delle foto testimoniano i colpi subiti. Denudato in cella di isolamento, in gergo "cella liscia". Torturato fino allo svenimento da una squadra di agenti penitenziari per punirlo a causa di un’offesa verbale nei confronti dell’agente preposto. E poi trascinato per i piedi, nudo e ancora sporco di sangue, in un’altra cella di isolamento con dentro soltanto un materasso sudicio. Accadeva il 12 gennaio del 2011, in pieno inverno. E la tragica storia di Giuseppe Rotundo, all’epoca dei fatti detenuto nel carcere di Lucera, nel foggiano. Il processo per ristabilire verità e giustizia, è ancora in corso. Il suo caso è unico nel suo genere perché, di solito, i corpi dei detenuti pieni di lividi ed ematomi vengono fotografati solo da morti. Giuseppe Rotundo invece è sopravvissuto alla tortura e ha potuto denunciare l’accaduto. Giuseppe, nella Casa circondariale di Lucera era in attesa di giudizio o aveva una condanna definitiva? Avevo una condanna definitiva. Un anno e dieci mesi per detenzione di dieci grammi di cocaina. Qual era il clima in carcere? Fin dall’inizio mi resi subito conto in quale clima autoritario mi trovassi. Già dal primo colloquio con la mia famiglia capii che la convivenza con gli agenti penitenziari non sarebbe stata facile. La mia famiglia, soprattutto mia figlia, andò via dal carcere sconvolta dall’arroganza e dalla prepotenza degli agenti. Perché? Cosa accadde? Durante il colloquio mia figlia fu rimproverata dall’agente perché voleva abbracciarmi. Io a quel punto ebbi un alterco con lui e il colloquio mi fu sospeso. Ero in regime normale, mica al 41bis dove è vietato qualsiasi contatto fisico con i famigliari. Non mi capivo perché me lo vietassero. Ma l’episodio che fece scattare il massacro fu un altro. Quale? Era il giorno in cui noi detenuti potevamo fare la telefonata ai nostri famigliari. Ero in sosta con altri detenuti sulla rampa di scale che conduce al corridoio dove si trovava la cabina telefonica. Considerando l’alto numero dei detenuti, l’attesa si prolungava e allora decisi di salire in sezione perché un mio compagno di cella aveva pronto il caffè. Il regolamento lo vieta, ma lo facevano tutti e a nessuno era mai stato contestato. Invece a me quel pomeriggio mi fu contestata l’infrazione del regolamento con toni violenti. L’agente mi intimò di posare il caffè, a quel punto preso dalla rabbia e lo insultai verbalmente. Ovviamente sapevo che avrei ricevuto una sanzione disciplinare, ma non mi sarei mai immaginato quello che mi è accaduto. Cosa? Appena conclusa la telefonata, stavo per raggiungere la mia sezione. Ma un agente mi bloccò e mi disse di seguirlo in ufficio per la contestazione del rapporto disciplinare. Entrai nell’ufficio e fui subito aggredito verbalmente dall’agente che avevo insultato. Chiesi scusa e gli dissi che aveva ragione e che quanto detto da me, non era un mio abituale comportamento. Non accettò le scuse e mi minacciò dì farmela pagare. Non capivo, io ero responsabile delle mie azioni e pronto ad accettare la sanzione disciplinare che ne scaturiva. Fui invitato a raggiungere l’ufficio di comando, ma prima dovetti passare in cella di isolamento per l’ispezione. Una volta entrato lì, compresi la loro intenzione. Ovvero? All’interno della cella era presente un gruppo consistente di agenti penitenziari con i guanti di lattice. Io li invitai alla calma, mi denudai spontaneamente per farmi perquisire. Ma una volta nudo fui colpito violentemente con un pugno alla nuca. A quel punto reagii di istinto e detti un pugno in viso all’agente che commise quel gesto, A quel punto fu il buio totale; ricevetti dagli agenti calci e pugni in tutto il corpo con una. violenza inaudita. Tanto da perdere quasi la coscienza e accovacciarmi per terra. Solo a quel punto smisero di picchiarmi. Ha subito ricevuto un soccorso medico? Assolutamente no. Mi presero per i piedi e mi trascinarono fin dentro la cella affianco e chiusero il blindato. Era una cella di isolamento, vuota e con un materasso lurido. Ero nudo e sporco di sangue. Rimasi la dentro in quelle condizioni per tutta la notte. Pensai alla mia famiglia, a mia figlia. Lottavo contro la morte perché non desideravo che venissero a trovarmi quando orami ero dentro una bara. La mattina seguente aprirono la cella perché in programma avevo un colloquio con la psicologa. Mi dettero degli indumenti, mi vestii da solo con fatica e poi, sorreggendomi in due, mi portarono fino all’ufficio della dottoressa. C’erano le dottoresse Natali e Vinciguerra, due psicologhe esterne del Ser.T.. La dottoressa Natali, alla vista delle mie condizioni, scoppiò a piangere: il giorno prima del massacro mi aveva visto in condizioni normali perché avevamo fatto un colloquio costruttivo di mezzora. Immediatamente gli agenti, vedendo che la Natali stava piangendo, sospesero il colloquio e mi condussero nuovamente in cella di isolamento. Fino a quanto tempo ci rimase? Se non fosse stato per l’interessamento della dottoressa Natali, forse sarei rimasto lì dentro per tantissimo tempo. La dottoressa, seppi dopo, subito si attivò chiamando la mia avvocata Elvia Beimonte. Ma non solo. Chiamò subito il comandante e lo minacciò di denunciarla per istigazione al suicidio se non avesse dato l’ordine di farmi uscire dall’isolamento e predisporre cure mediche, compresa ìa tac. Il comandante accolse la richiesta? Sì. Mi fece visitare e mi spostò in una sezione dove c’era una cella più confortevole con materasso. Soprattutto con il termosifone, considerando che stavamo in pieno inverno. Ebbi finalmente modo di riposare e avere contezza di quello che mi era accaduto. Gonfio come un pallone, completamente irriconoscibile. Un agente mi disse che il loro collega, da me colpito con il pugno, era finito in ospedale. Io, completamente all’oscuro della coraggiosa iniziativa della Natali, decisi di scrivere una lettera alla mia avvocata. Scrissi tutta la mia storia, soprattutto per il timore di passare per un aggressore, anziché per l’aggredito. Inoltre ebbi la lucidità di spedire la lettera tramite un compagno di sezione, poiché avevo il timore che, a mio nome, non sarebbe partita mai. Nel frattempo gli agenti mi denunciarono all’autorità giudiziaria. Quindi inizialmente il processo era esclusivamente a suo carico? Inizialmente sì. Poi il Pm De Luca, dopo la mia denuncia, ha ritenuto che ci fossero gli elementi necessari per un altro procedimento penale nei confronti degli agenti. Quindi i due procedimenti sono stati unificati. Il processo quindi è in corso e la prossima udienza ci sarà il due dicembre prossimo. Ma per concludere l’intervista mi faccia fare dei doverosi ringraziamenti. Prego... Innanzitutto ringrazio la dottoressa Natali per il suo coraggio. Senza di lei non so che fine avrei fatto. Ringrazio anche l’aiuto immenso di Antigone tramite Patrizio Gonnella e gli avvocati Simona Filippi e Alessandro De Federicis per essersi costituiti parte civile nel processo. Per concludere volevo dire che non provo odio nei confronti degli agenti. Ma tanta pena, rabbia e dolore. Emilia Romagna: presentata la Relazione annuale del Garante regionale dei detenuti Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2014 Al termine del suo secondo anno di mandato, Desi Bruno, Garante regionale delle persone private della libertà personale, fa il punto della situazione. Nella Relazione annuale delle attività svolte - presentata oggi nella biblioteca dell’Assemblea legislativa, a Bologna - si ripercorrono le tappe delle attività svolte nel corso del 2013, insieme ad alcune riflessioni scaturite dalle recenti modifiche legislative che stanno ridisegnando il panorama penitenziario. In primo luogo, viene segnalata l’introduzione (operata dal d.l. 146/2013 convertito nella legge 10/2014) della figura del Garante nazionale delle persone private della libertà personale. Questa figura rappresenta il naturale coronamento del percorso intrapreso dai Garanti territoriali nella loro "sempre più connotata funzione di vigilanza sui luoghi di detenzione", anche se le modalità previste per la sua nomina (effettuata dal Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri e sentite le competenti commissioni parlamentari) "non sembrano in grado di garantire a quest’organo la necessaria posizione di autonomia, terzietà e indipendenza". In ogni caso, l’istituzione di questa figura suggerisce una revisione delle competenze proprie dei Garanti territoriali. Innanzitutto, non dovrebbe più essere subordinato ad autorizzazione amministrativa (come ancora accade) l’ingresso dei Garanti nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), in relazione a quanto stabilito nel Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti del 2002, ratificato dalla legge 195/2012. Il Protocollo, tra le altre norme, prevede un sistema di visite periodiche in tutti i luoghi di privazione della libertà personale (quindi anche i Cie) effettuate da organismi indipendenti internazionali e nazionali, riconoscendo che a tal fine possono essere qualificati come "nazionali" anche quelli istituiti a livello locale, purché rispondano ai requisiti previsti dal Protocollo stesso. Inoltre, è la riflessione di Desi Bruno, non dovrebbe essere consentito l’accorpamento in un’unica figura di competenze e interventi in settori che possono entrare in contrasto tra di loro in ragione dei diversi interessi da tutelare, come a volte accade, per ragioni di riduzione di spese, in alcuni enti, che sovrappongono le figure del Difensore civico, del Garante dei detenuti e del Garante dell’infanzia. Perciò, secondo la Garante, "appare utile la revisione della legge istitutiva dell’Emilia-Romagna". Sarebbe, "altresì, opportuno modificare anche la disposizione che non equipara il Garante delle persone private della libertà personale (ma la stessa cosa vale per il Garante dell’infanzia) al Difensore civico: ciò non appare giustificabile, in considerazione dell’attività svolta, della delicatezza dei temi trattati, della visibilità della funzione e della avvertita necessità della stessa". Ancora, "appare opportuno segnalare la difficoltà ad operare senza autonomia di bilancio e senza la possibilità di utilizzare le risorse destinate all’ufficio a seconda delle necessità che l’ufficio stesso individua. Questo perché il carcere e i temi collaterali impongono tempi e ragioni di intervento che difficilmente possono essere interamente disciplinate con una programmazione annuale". La Garante chiede di superare la precarietà della composizione dell’ufficio: "L’Assemblea legislativa, la Regione, e soprattutto gli utenti, possono trarre beneficio dalla presenza di personale regionale dedicato ai temi del carcere e della pena. Sarebbe importante che tutto il lavoro di costruzione dell’ufficio e il patrimonio di conoscenze e di esperienze maturato negli anni potesse essere traghettato al futuro Garante, con risparmio di energie e risorse". Accanto a queste riflessioni, nella relazione annuale la Garante propone un’analitica descrizione delle attività realizzate. Le energie prevalenti sono state dedicate al tema della vigilanza, al fine di verificare in concreto gli effettivi interventi dell’Amministrazione penitenziaria per assicurare il miglioramento delle condizioni di vita delle persone ristrette negli istituti dell’Emilia-Romagna e per segnalare disservizi, violazioni dei diritti, problemi di ordine strutturale. A ciò si aggiunge la necessità di verificare e monitorare le misure via via adottate per ottemperare al dettato della cosiddetta "Sentenza Torreggiani", che nel gennaio del 2013 ha condannato il nostro Paese per violazione dell’art.3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, con riferimento al perdurare di trattamenti inumani e degradanti, dovuti principalmente (ma non solo) agli spazi di reclusione inferiori allo spazio minimo vitale, individuato in 3 metri quadri. L’attività di vigilanza e monitoraggio si è estesa anche alla verifica dell’attuazione delle disposizioni impartite con nota del Provveditore regionale alle carceri in tema di umanizzazione della pena, il che ha richiesto una costante interlocuzione con le varie articolazioni dell’Amministrazione penitenziaria e con i Magistrati di sorveglianza competenti per territorio. L’Ufficio ha costantemente verificato le condizioni igienico-sanitarie nei luoghi di detenzione, grazie anche all’ormai rodato scambio di informazioni tra Garante e Asl, che si concretizza con la trasmissione dei verbali delle visite ispettive effettuate con cadenza semestrale dalle Aziende sanitarie territoriali. In alcuni casi, il permanere di situazioni di degrado e di cattive condizioni igienico-sanitarie ha portato a segnalazioni e sollecitazioni da parte di questo Ufficio ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria. Sul tema della salute, spesso oggetto di richieste di intervento da parte dei detenuti (in particolare dal carcere di Parma e Castelfranco Emilia), viene riferita come importante e proficua l’interlocuzione con l’assessorato competente, nonché con i referenti medici presenti nelle strutture carcerarie e nei reparti detentivi nelle strutture ospedaliere pubbliche. Ancora, l’Ufficio ha lavorato per garantire il principio dell’effettiva territorializzazione della pena, garantendo un sostegno agli utenti detenuti che presentano domanda per potersi avvicinare alle proprie famiglie o per essere trasferiti in istituti con maggiori opportunità di studio o lavoro. Competente a decidere sulle domande di trasferimento a livello regionale è il Provveditore, mentre per quelle fuori regione la competenza spetta al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap). Se le risposte dal Provveditorato giungono in tempi accettabili, la stessa cosa non può dirsi per quelle provenienti dall’amministrazione centrale: da qui, la richiesta formulata dai Garanti al presidente del Dap di poter avere, per questo tema così delicato, un interlocutore dedicato. L’Ufficio si è anche occupato di favorire l’esplicazione dei diritti di cittadinanza, agevolando il diritto al voto e la raccolta di firme per la sottoscrizione dei referendum popolari. Tra i servizi resi alla popolazione detenuta (ma anche agli operatori), viene ricordata l’attività di distribuzione degli opuscoli informativi in più lingue - Carcere & Dintorni - in tutte le carceri della regione (e anche oltre), con gli aggiornamenti determinati dai continui mutamenti legislativi. È continuata la positiva interlocuzione con la Conferenza regionale del volontariato giustizia, e con le associazioni di riferimento e i singoli volontari: ciò sta consentendo un reciproco flusso di informazioni utili per intervenire nei casi critici e maggiormente complessi. Altrettanto proficuo è il raccordo e la collaborazione con gli altri Garanti territoriali, in particolare con quelli insediati dai Comuni di Piacenza e Ferrara e con il neo incaricato Garante di Parma, ai quali vengono inviate le istanze dei detenuti del carcere di riferimento, fermo restando l’intervento dell’Ufficio regionale quando richiesto o sulle problematiche di ordine generale. Infine, prosegue con reciproca soddisfazione il rapporto con l’Università di Bologna, avviato nel settembre 2012, quando il Garante regionale ha siglato un Accordo di collaborazione con il Dipartimento di Scienze giuridiche per lo svolgimento di attività di consulenza, ricerca e studio su tematiche riguardanti l’esecuzione delle pene e delle altre misure restrittive della libertà. Saluzzo (Cn): suicida agente di polizia penitenziaria è l’ottavo caso dall’inizio dell’anno Ansa, 12 settembre 2014 Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei cinque Corpi di Polizia dello Stato italiano. Il nuovo suicidio di un poliziotto, presso la sua abitazione questa mattina a Saluzzo, fa salire a otto il numero degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. "È una tragedia senza fine, l’ottava nelle file della Polizia Penitenziaria dall’inizio dell’anno. Una nuova immane tragedia Prima si erano tolti la vita appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio a Vibo Valentia, a Padova, Siena, Volterra, Novara, Roma e Padova. Bruno, 39 anni, Assistente Capo di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Saluzzo, questa mattina, nella propria abitazione, sembra dovesse partire con la moglie e i tre figli per una breve vacanza. Alla moglie, ai figli, ai familiari, agli amici e colleghi va il nostro pensiero e la nostra vicinanza", comunica un commosso ed affranto Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Capece sottolinea che "negli ultimi 3 anni si sono suicidati più di 30 poliziotti e dal 2000 ad oggi sono stati complessivamente più di 100, ai quali sono da aggiungere anche i suicidi di un direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e di un dirigente generale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Lo ripetiamo da tempo: bisogna intervenire con soluzioni concrete, con forme di aiuto e sostegno per quei colleghi che sono in difficoltà". Sinappe: ennesimo suicidio fra le fila della Polizia penitenziaria Giunge oggi dalla Casa Circondariale di Saluzzo l’ennesima tragica notizia dell’ennesimo lutto che ha colpito la polizia penitenziaria: un assistente capo ivi in servizio, che si è tolto la vita nella propria abitazione. Sconosciute le cause sottese all’estremo gesto. Non volendo assolutamente strumentalizzare la tragedia è doveroso tuttavia interrogarsi in occasioni come queste, in qualità di addetti ai lavori sulle conseguenze che un "mestiere" difficile come il nostro possono produrre sulle umane fragilità, troppe volte in assenza del sostegno di quello Stato che serviamo. Il Sinappe, nell’esprime tutto il proprio cordoglio, partecipa commosso al dolore dei familiari. Cagliari: Sdr; ancora ritardi nella conclusione dei lavori del Villaggio Penitenziario di Uta Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2014 "Ancora un ritardo nella conclusione dei lavori del Villaggio Penitenziario di Uta, la nuova Casa Circondariale di Cagliari, a causa di impegni non mantenuti da Opere Pubbliche. Il mondo politico isolano tuttavia sembra indifferente non considerando il lievitare dei costi, lo schiaffo agli operai e la totale assenza di rispetto verso la comunità locale". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento al nuovo sciopero delle maestranze per non aver ricevuto gli stipendi di luglio e agosto. "Non si riesce a comprendere perché - sottolinea - venga accettata una situazione palesemente fuori da qualunque logica di efficienza che, non solo moltiplica i costi, ma lede la dignità dei lavoratori e di chi attende di utilizzare i nuovi spazi per scontare la pena in un ambiente meno afflittivo di quello dello storico penitenziario del Colle di San Lorenzo". "Non si può dimenticare che a Cagliari, per fare fronte alle esigenze di sicurezza della mega struttura carceraria, è stato trasferito dalla Penisola un consistente numero di Agenti della Polizia Penitenziaria, attualmente dislocati in altre strutture non potendo operare a Uta. Non si può neanche ignorare che alcune delle opere ormai concluse mostrano segni evidenti di ruggine alle grate delle finestre con necessità di interventi di ripristino. Sono ancora irrisolti - ricorda ancora la presidente di Sdr - i nodi delle aree riservate agli amministrativi, costretti in stanze con finestre inadeguate, che il Centro Clinico non è stato ancora completato e che, nonostante da mesi una squadra di detenuti lavori costantemente per consentire il trasferimento dei ristretti, ci sono ancora opere inconcluse". "È assurdo pensare che i Ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture possano ritenere che dismettendo Macomer e Iglesias si recuperino i fondi necessari a finire i lavori a Uta. In questi anni sono stati fatti troppi errori prima nella progettazione, poi nelle modifiche in corso d’opera e ancora nella conclusione dei lavori. Senza un forte intervento dei Parlamentari sardi - conclude Caligaris -sarà difficile sapere con certezza quando Buoncammino potrà finalmente divenire un ricordo". Cagliari: Sdr; incontro con la neo-capo della Polizia penitenziaria, Alessandra Uscidda www.notizie.alguer.it, 12 settembre 2014 Il neo capo della Polizia Penitenziaria della struttura cagliaritana ha incontrato Maria Grazia Caligaris dell’associazione Socialismo Diritti Riforme. "La messa a punto del sistema di sicurezza, con particolare attenzione ai diritti dei detenuti, è l’impegno prioritario del nuovo Comandante della Polizia Penitenziaria di Buoncammino che ha assunto il comando del Reparto in attesa dell’apertura del Villaggio Penitenziario di Cagliari-Uta". Così Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", introduce l’esito dell’incontro con Alessandra Uscidda, Commissario Capo, alla quale ha evidenziato diverse criticità. "Uno degli aspetti organizzativi che la Comandante Uscidda intende conseguire, con la collaborazione delle aree Trattamentale e Sanitaria, è - sottolinea Caligaris - un sistema integrato della sicurezza con la responsabilizzazione di tutti gli operatori e dei cittadini privati della libertà. Nei programmi la volontà di costruire un carcere ricco di opportunità così come accade in altre realtà della Penisola dove l’integrazione con il territorio, comprese aziende e amministrazioni locali, contribuisce a trasformare il periodo di perdita della libertà in un’occasione per costruire una prospettiva nuova". "Tra le priorità anche quella di garantire ai detenuti un calmiere dei prezzi del sopravvitto. È stata infatti avviata la nuova rilevazione dei prezzi dei prodotti attuando - evidenzia la presidente di Sdr - un sistema di acquisto secondo la normativa vigente che prevede si faccia riferimento al supermercato più vicino all’Istituto Penitenziario. Nei giorni scorsi il blocco del sistema informatico per la gestione della spesa (Sico) ha provocato un forte malcontento tra i detenuti che non hanno potuto effettuare gli acquisti". "Le criticità di Buoncammino consistono ancora prevalentemente nelle caratteristiche strutturali della Casa Circondariale a cui finora si è sopperito, almeno in parte, con una forte umanizzazione dei rapporti tra Agenti e detenuti. L’auspicio è che il trasferimento a Uta e le conseguenti radicali novità logistiche, non ultima la distanza dal centro urbano, possano trovare un positivo equilibrio. La sicurezza non può prescindere dalla riabilitazione di coloro che hanno commesso reati per abbattere la recidiva richiede quindi il contributo significativo della società. Alla nuova Comandante - conclude Caligaris - vanno gli auguri di buon lavoro di Sdr". Alessandra Uscidda, 41 anni, laureata in Giurisprudenza, Commissario Capo, è stata Comandante di Reparto per 4 anni a Milano-Bollate e negli ultimi tre anni ha rivestito lo stesso incarico nell’Istituto Penitenziario di Aosta. Sarà affiancata dal Vice Comandante Barbara Caria che ha retto il settore sicurezza della Casa Circondariale di Cagliari dopo l’assegnazione del Commissario Michela Cangiano al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Attualmente Uscidda ha alle sue dipendenze circa 300 agenti che diverranno circa 400 non appena aprirà Uta. Resta invece alla Direzione della Casa Circondariale Gianfranco Pala. Viterbo: carcere inumano, corsa alle richieste di sconto di pena anche al Mammagialla www.viterbonews.it, 12 settembre 2014 Anche a Viterbo è corsa alle richieste di sconto di pena. Con il decreto carceri, diventato legge da fine agosto, i detenuti in condizioni inumane possono chiedere una riduzione della condanna o un risarcimento di 8 euro al giorno. È la risposta del governo Renzi alla condanna dell’Italia per aver violato la Convenzione sui diritti dell’uomo, in materia di sovraffollamento delle carceri, vivibilità delle celle e trattamento dei detenuti. Che non se lo sono fatto ripetere. Quelli di questi giorni sono i primi ricorsi che arrivano sul tavolo del giudice di sorveglianza. Le istanze-pilota partono anche da Viterbo. Ieri mattina erano una decina i detenuti comparsi davanti al tribunale di sorveglianza anche per questo motivo. In molti, a Viterbo come altrove, avrebbero già iniziato ad avanzare ricorsi per lo stato degradante di detenzione. I motivi, nella recentissima casistica nazionale, variano dalle celle di pochi metri quadrati, all’assenza di acqua calda o potabile. Fino ai servizi igienici della cella, tutt’altro che a prova di privacy. È il caso di un 26enne romano, già detenuto per rapina nel carcere di Rebibbia e recluso a Mammagialla da marzo. Ieri mattina, tramite il suo avvocato Giovanni Arona, ha presentato il conto della sua detenzione inumana alla dottoressa Carpitella, giudice del tribunale di sorveglianza di Viterbo. Con un’istanza cumulativa sia sul penitenziario di Viterbo che su quello romano. A Mammagialla, il giovane detenuto scrive di scontare la sua pena in una cella di 10 metri quadrati che dovrebbe ospitare solo un detenuto, invece la dividono in due. Il 26enne mette in conto anche la "mancanza di acqua potabile e ogni tot litri essa finisce e bisogna attendere alcune ore prima che torni". A Rebibbia, ancora peggio. In due anni di reclusione, prima di arrivare a Viterbo, il 26enne ha diviso con altri 6 detenuti una cella da 19-20 metri quadrati. La sua istanza racconta di un "bagno senza porta, solo suddiviso da due bandoni di metallo con apertura in alto di 20 centimetri, così da non avere momenti privati per svolgere i bisogni giornalieri". Al nuovo complesso, oltre ai problemi di metratura delle celle, "i riscaldamenti non funzionano, le finestre specialmente d’inverno non sono funzionanti e quindi chi ha la branda vicino, si riempie di aria gelida". Per finire con le docce della sezione, "disastrate" e senza acqua calda. A conti fatti, la nuova legge poteva permettergli di uscire due mesi prima, il 23 agosto invece del 23 ottobre, prevedendo un abbuono di pena di un giorno ogni dieci scontati in condizioni di degrado. Ma il 23 agosto è passato da un pezzo. L’udienza al tribunale di sorveglianza è stata aggiornata a metà ottobre, in attesa di ricevere documentazione dal carcere. Per il ragazzo, forse, arriverà prima il fine pena che i benefici della nuova legge. Ancona: Antigone; carcere senza bus, volontari fanno da taxi gratis ai parenti dei detenuti di Stefano Pagliarini www.anconatoday.it, 12 settembre 2014 I parenti avrebbero diritti di visitare i detenuti dal lunedì al sabato ma chi non ha macchina scende alla stazione di Ancona e non ha una linea di autobus che porti al carcere o comunque nei paraggi. Carcere di Barcaglione senza accesso per i mezzi pubblici e così i parenti, che hanno il diritto di visitare i detenuti tutti i giorni dal lunedì al sabato, devono pagarsi di tasca loro un taxi per arrivare alla casa circondariale alla periferia nord della città. È quanto emerso dall’ultima riunione dei soci dell’associazione Antigone (associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale). Propio a questo proposito, nel 2010, il presidente di Antigone Marche Samuele Animali aveva segnalato il fatto sia alla Regione che alla stessa Conerobus. La risposta? "Ci avevano detto che c’era un problema tecnico perché per arrivare al carcere il bus deve passare per un ponticello e lì il bus avrebbe avuto difficoltà a girare - dice Animali - Quindi chi non ha macchina, scende alla stazione di Ancona e non ha una linea di autobus che porti al carcere o comunque nei paraggi". Una questione di diritto che, oggi, diventa un vero e proprio problema se si pensa che mentre prima Barcaglione ospitava qualche manciata di detenuti in via di terminare lo sconto di pena, oggi il carcere ospita 120 persone. Per fortuna, a garantire il diritto del detenuto a riceve l’affetto e la vicinanza di parenti a amici, ci sono i volontari del carcere che adesso si improvvisano taxisti. A spese loro, fanno da navette per i parenti dei detenuti che, altrimenti, dovrebbero rinunciare alla consueta visita in carcere. E chissà quante persone hanno già ridotto i loro viaggi per eventuali visite. Le conseguenze? Non solo si toglie ai detenuti il diritto di sentire l’affetto e la vicinanza da parte di parenti e amici. Ma gli si nega la possibilità di ricevere qualsiasi cosa che, dall’esterno, possa essere utile per la vita di tutti i giorni in carcere, la cui dignità è oggi a rischio. Reggio Calabria: presentato un programma di formazione professionale per le carceri di Tatiana Muraca www.strettoweb.com, 12 settembre 2014 Ieri presso la sede della Provincia di Reggio Calabria, si è tenuta una conferenza di fondamentale importanza per il territorio, in particolare per una porzione del nostro territorio, quella delle carceri. All’incontro, non per niente, erano presenti i direttori delle carceri di Reggio, Palmi, Laureana di Borrello e Locri, insieme all’Assessore alla Formazione professionale, Giovanni Arruzzolo, il Vicepresidente del Consiglio Provinciale, Giuseppe Saletta e il Consigliere di Parità, Daniela De Blasio, tutti uniti nel presentare un programma di formazione professionale che interessa proprio le carceri del reggino. "Il Presidente Raffa - ha affermato Arruzzolo - ha voluto e creduto fortemente in questa iniziativa ed io, come Assessore al Lavoro non potevo esimermi nell’intervenire in un progetto attraverso cui si cerca di dare un’opportunità ai detenuti, in modo da aiutarli a non ricadere più negli errori passati. Prima di ora, si erano già snodati dei corsi di formazione, e ce ne saranno sicuramente altri in futuro: si parte - continua l’Assessore - da un’attività di informatica (ad oggi solo per il carcere di Reggio), o di conservazione e distribuzione dei cibi, mirate a garantire un inserimento lavorativo in società". Ed è proprio questo l’obiettivo che l’Ente Provincia si è posto attraverso il programma di formazione professionale nelle carceri, quello, come ha spiegato anche la De Blasio stamattina, di proporre dei corsi che possono avere una ricaduta professionale, "applicando in pieno - dice Daniela De Blasio - l’art. 27 della Costituzione, perché non si può pensare che il carcere sia una cosa a sé; c’è una ricaduta sociale dopo". "È anche un gioia e una soddisfazione personale - interviene il Dirigente del Settore Formazione e Lavoro, Dott. Macheda, anche lui presente alla conferenza - poter attuare simili iniziative creative e dinamiche, calate in un contesto statico, triste, come quello del carcere; in più - continua Macheda - una volta usciti, i detenuti, rientrano in società con competenze professionali, nella speranza di poterle sfruttare". C’è da specificare, però, che ai corsi, alcuni già iniziati, altri in fase di programmazione, potranno partecipare, previa selezione iniziale, fatta in base alle attitudini di ciascuno e a quanto tempo il singolo detenuto dovrà sostare in quella specifica struttura, coloro i quali stiano scontando una pena tale da consentire loro di aderire alle attività, che si vanno ad integrare ad altre già esistenti nelle carceri. La durata dei corsi, inoltre, va dalle 60 alle 400 ore, a seconda delle caratteristiche di ognuno, e si attesta a chi ne prende parte o la presenza (per quanto riguarda i corsi con minor numero di ore) o la qualifica (per di più quelli di 400 ore), da spendere poi anche una volta usciti dal carcere. I docenti, e questa è un’altra delle cose specificate stamane, sono quasi tutti interni alla Provincia, a parte quelli di alcuni corsi, come ad esempio quello da pizzaiolo, che richiedono una convenzione particolare con dei professionisti. Speranza, lavoro, futuro, legalità, sono questi i valori essenziali che i corsi di formazione nelle carceri del reggino vogliono diffondere, e uno per uno, i direttori di ogni istituto coinvolto si sono spesi per far sì che simili iniziative non si arrestino, ma vengano alimentate anche in futuro. "Per noi queste attività - dichiara il Direttore del carcere di Palmi, Dottore Pani - sono di fondamentale importanza. Il penitenziario ha bisogno del sostegno del territorio, degli enti che rappresentano il territorio. Consideriamolo - continua - un input per restituire persone nuove alla società, e per questo il lavoro, come la scuola, sono essenziali. Per quanto riguarda la realtà di Palmi, abbiamo pensato ad un corso per formare persone che si occuperanno di distribuzione dei cibi, e già abbiamo avuto un’adesione massiccia da parte dei detenuti, anche se ancora siamo in una fase di ‘preiscrizionè". "Voglio ringraziare la Provincia - ha continuato, poi, il direttore del carcere di Laureana di Borrello, Dottoressa Marcello - per aver sostenuto la riapertura dell’istituto, in cui si sta portando avanti con successo un progetto di falegnameria; puntiamo a sostenere, inoltre - continua la Dottoressa Marcello - attività di lavoro della vetroresina, oltre ad un’altra riguardante le serre, calata nell’ambito di un progetto in collaborazione con un nostro agronomo. Il carcere - conclude il direttore - è aperto da un anno, dobbiamo impegnarci a rilanciarlo". "Recuperare vale la pena - interviene il direttore del carcere di Reggio, Dottoressa Longo - citando una frase che l’ha particolarmente colpita - L’iniziativa di cui stiamo qui parlando - continua - ha un significato profondo: recuperare un territorio sempre ultimo in classifica, investire sulla formazione dei detenuti per fare ottenere loro un titolo qualificante, atto ad aiutarli ad inserirsi nel mondo del lavoro. Questo significa - ribadisce la Longo - offrire ai detenuti una scelta, che consentirà, una volta usciti, di non bussare alle porte sbagliate". "Ci sono detenuti - dichiara in riferimento a quanto detto sopra, il direttore del carcere di Locri, Dottoressa Patrizia Delfino - molti giovani (dai 19 ai 20 anni), che chiedono loro stessi di aderire a questi corsi, proprio per avere l’opportunità di lavorare, sia all’interno del carcere, che fuori. Speriamo che si possa continuare così anche in futuro". Una pagina positiva, quella aperta e illustrata quest’oggi alla Provincia, soprattutto per quella porzione di territorio, come dicevo, (il carcere) che conosce e ha vissuto momenti di difficoltà, di mancato rilancio di sane e buone iniziative. Proprio in riferimento a ciò, oggi si è anche parlato di alcune di queste difficoltà: a Reggio, ad esempio, come spiegato dalla Dottoressa Longo, da anni è fermo il laboratorio per la costruzione del marmo, "e questo a causa - parole della Longo - di un ostacolo tipico del territorio, quello di reperire un imprenditore, in quanto quasi tutte le ditte della provincia sono a conduzione familiare, quindi non si assumono una responsabilità di questa portata, né tanto meno sono in grado di assumere i detenuti. Inoltre - continua il direttore del carcere di Reggio - oggi il marmo non ha più mercato, ci si sarebbe dovuti muovere anni fa. D’altra parte, però, sono attivi svariati corsi di formazione, come quello per pizzaiolo, il corso di informatica e di sartoria (per le donne)". Per quel che riguarda, però, il carcere di Laureana di Borrello, e lo vuole evidenziare il suo direttore, la dottoressa Marcello, "i laboratori funzionano, tranne quello della ceramica, per motivi simili a quelli che hanno riguardato e che riguardano Reggio, anche se non è chiuso, e questo grazie all’intervento dei volontari". Speranza, è questa la parola chiave che richiama senza dubbio l’intento basilare dell’iniziativa promossa nelle carceri, una speranza che possa, come detto oggi, restituire "persone nuove" alla società e che offra loro un’occasione, quella del lavoro, da spendere sia in una ditta, che all’interno della proprio abitazione, ma pur sempre un’occasione. Palermo: Laura Boldrini, in visita in Sicilia, incontrerà i detenuti del carcere minorile www.blogsicilia.it, 12 settembre 2014 La presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, sarà in Sicilia il 13 e il 14 settembre. Tre le tappe previste: il carcere minorile di Palermo "Malaspina", la festa nazionale di Sel a Palermo e la visita a Sambuca di Sicilia (Ag), dove riceverà la cittadinanza onoraria da parte dell’amministrazione comunale. Sabato (ore 10) la presidente della Camera visiterà l’Istituto penale minorile di Palermo, in via Cilea 28, e incontrerà i ragazzi detenuti. Alle 12,30, presso la Sala Baviera del Tribunale per i minorenni, in via Principe di Palagonia, incontrerà le associazioni coinvolte nei progetti di recupero, le autorità e i giornalisti. Sempre sabato (ore 21) la presidente Boldrini sarà alla festa nazionale di Sel, "Adelante", che si tiene presso il Parco archeologico Castello a mare in via Filippo Patti, per partecipare ad un confronto pubblico con il giornalista Giovanni Maria Bellu sul tema "Dialoghi sul Mediterraneo". Ultimo appuntamento, domenica 14 settembre (ore 12), al teatro comunale di Sambuca di Sicilia per partecipare alla cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria da parte del comune agrigentino. Lucera (Fg): un "Atelier dell’Ausilio", per l’inclusione socio-lavorativa dei detenuti Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2014 Sperimentare un modello di inclusione socio-lavorativa per persone soggette a misure restrittive della libertà. In particolare, per tre detenuti della Casa Circondariale di Lucera e per sette utenti in esecuzione penale esterna in carico all’Uepe di Foggia. Perché l’obiettivo del progetto "Atelier dell’Ausilio" è quello di favorire un loro reale percorso di inserimento sociale ed occupazionale. In che modo? Attraverso la costituzione, lo start up e lo sviluppo di un’impresa sociale che gestirà una struttura produttiva nel settore dei servizi di ritiro, riparazione e manutenzione, ricondizionamento e sanificazione degli Ausili protesici per disabili. Queste, dunque, le finalità principali del progetto "Atelier dell’Ausilio" finanziato dalla Fondazione con il Sud nell’Iniziativa Carceri 2013 e promosso da un nutrito partenariato: Cooperativa Sociale L’Obiettivo, Escoop, Istituto Ortopedico Reha srl, Associazione di volontariato Lavori in Corso. Si tratta, fra l’altro, dell’unico progetto a valere su quel Bando finanziato in Puglia dalla Fondazione con il Sud. Le finalità, gli obiettivi e le modalità di intervento del progetto "Atelier dell’Ausilio" saranno presentati nel corso di una conferenza stampa in programma venerdì 12 settembre 2014, alle ore 10, nella Sala Consiliare Comune di Lucera, in Corso Garibaldi. Un’occasione, quella dell’iniziativa ai nastri di partenza, per promuovere anche attività di informazione e sensibilizzazione sui temi del carcere e della giustizia, sulla realtà della detenzione e sulle possibili alternative al carcere, in ragione dell’articolo 27 della Costituzione Italiana che ricorda che le pene "devono tendere alla rieducazione del condannato". Di rilievo, anche i partner pubblici associati al progetto: Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Puglia, Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia, Casa Circondariale di Lucera, Azienda Sanitaria Locale Provinciale Foggia – Asl-Fg, Ambito territoriale di Cerignola, Ambito territoriale Appennino Dauno Settentrionale (Lucera). Alla conferenza stampa di venerdì 12 settembre partecipano: Saluti Istituzionali: Antonio Tutolo - Sindaco del Comune di Lucera e Presidente del Coordinamento Istituzionale dell’Ambito Territoriale Appennino Dauno Settentrionale; Federica Elisabetta Triggiani - Assessore Servizi alla Persona del Comune di Lucera. Interventi: Nichi Vendola - Presidente della Regione Puglia; Paolo Tanese - Presidente Escoop - Cooperativa Sociale Europea; Umberto Di Gioia - Presidente Associazione di volontariato Lavori in Corso; Attilio Manfrini - Direttore Generale Asl Foggia; Davide Di Florio - Direttore della Casa Circondariale di Lucera; Angela Intini - Direttore Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia; Elena Gentile - Europarlamentare Regione Puglia. Conclusioni Piero Rossi - Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Puglia. Pavia: detenuto cerca di tagliarsi i testicoli per protestare contro la detenzione ingiusta La Provincia Pavese, 12 settembre 2014 S.L., un detenuto di 36 anni di origine tunisina, è stato salvato dagli agenti della Polizia penitenziaria che lo hanno trovato nella sua cella pieno di sangue e con le lamette da barba in mano. Ha rischiato di morire dissanguato. L’uomo è stato portato d’urgenza al pronto soccorso e poi ricoverato in ospedale. Gesti di autolesionismo tra i detenuti si sono già verificati, in passato, ma l’episodio di ieri, avvenuto al carcere di Torre del Gallo, non ha precedenti. Da quanto risulta, peraltro, il detenuto quattro giorni fa aveva cercato di attirare l’attenzione sulla sua condizione con un altro gesto eclatante: era stato fermato mentre cercava di cucirsi la bocca. L’allarme è di nuovo scattato ieri, poco dopo mezzogiorno. Il detenuto, che si trova in carcere dal 2008 per reati legati allo spaccio di stupefacenti e che sostiene di essere stato accusato ingiustamente, era appena rientrato dall’ora di socializzazione e in quel momento si trovava in cella da solo. Il suo compagno si era attardato. Tutto si è svolto in pochi istanti: l’uomo ha tolto le lamette dal rasoio che utilizza per farsi la barba e ha cominciato a tagliarsi i testicoli. Non è riuscito a portare a compimento la sua follia, proprio per l’intervento degli agenti, ma si è comunque procurato ferite gravi. L’emorragia è stata subito tamponata dai medici del carcere che a quell’ora erano in servizio, ma è stato necessario l’intervento dell’ambulanza. L’uomo, che era molto agitato, è stato portato in ospedale, al San Matteo: qui ha cercato di rifiutare le cure e sono serviti parecchi sforzi da parte del personale per riportarlo alla calma e medicarlo. Non è esclusa, a questo punto, una perizia psichiatrica. Torino: per protesta un detenuto si accampa per due giorni nel cortile dell’ora d’aria Comunicato Sappe, 12 settembre 2014 Clamorosa protesta di un detenuto nigeriano di 29 anni, ristretto per numerosi reati (tra i quali rapina, concorso in omicidio ed associazione a delinquere di stampo mafioso) nel carcere di Torino, si è accampato per due giorni nel cortile dove i ristretti trascorrono l’ora d’aria. A darne notizia è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. "È un episodio inquietante, che sembra essere scaturito dalla convinzione di essere innocente e di essere vittima di uno scambio di persona. Il detenuto ha dato inizio alla protesta il 10 settembre scorso e solo nella notte di ieri l’ha interrotta. La Polizia Penitenziaria ha gestito l’evento critico nel modo migliore, anche se la tensione era palpabile". Sempre ieri mattina, un altro detenuto, affetto da epatite, ha proditoriamente aggredito un poliziotto penitenziario, aggiunge il leader dei Baschi Azzurri del Sappe. "Il detenuto ha colpito l’Agente mentre questi gli porgeva un bicchiere d’acqua. Una violenza assurda e grave, rispetto alla quale esprimiamo solidarietà al collega coinvolto. Tali situazioni dovrebbero far riflettere la nostra Amministrazione circa la vulnerabilità del nostro sistema penitenziario: eppure, poco o nulla viene fatto dal Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, da diversi mesi senza neppure un Capo Dipartimento. Altro che vigilanza dinamica e autogestione delle carceri che sembra essere l’unica risposta sterile dei vertici del Dap all’emergenza penitenziaria" conclude Capece. "Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il personale di Polizia Penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza". L’auspicio del Sappe è quello che la situazione, a Torino, possa tornare alla normalità nei tempi più brevi. Torino: in perquisizione rinvenuti due panetti di hashish per complessivi 250 grammi Comunicato Sappe, 12 settembre 2014 Sembrano non avere fine gli eventi critici nel carcere di Torino. A poche ore dai gravi fatti che hanno visto prima l’eclatante protesta di un detenuto straniero, che per due giorni è rimasto per protesta nel cortile dell’orario d’aria rifiutandosi di entrare in cella, e successivamente l’aggressione a un poliziotto penitenziario da parte di un detenuto, questa mattina durante una perquisizione nei locali di ricreazione del Padiglione detentivo C, II Sezione, sono stati rinvenuti due panetti di hashish per complessivi 250 grammi. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri. "Questo rinvenimento, oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del Personale di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Torino, ci ricorda che il primo compito della Polizia Penitenziaria è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena e impongono oggi più che mai una seria riflessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento dei detenuti, ferma restando la necessità di adottare tutti gli accorgimenti utili a stroncare l’ingresso di stupefacente nei penitenziari", commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. "Tutti possono immaginare quali e quante conseguenze avrebbe potuto causare l’introduzione di droga in Istituto. Vi è la necessità di riformare il sistema di giustizia criminale nei confronti delle persone tossicodipendenti (e cioè affetti da una vera e propria malattia quale è la dipendenza da sostanze stupefacenti) che abbiamo commesso reati in relazione al loro stato di malattia. Questo per evitare la carcerazione attraverso interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima, di cura e riabilitazione "controllate e gestite" in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche. Ma con altrettanta fermezza va condannato a pene esemplari chi viene scoperto a introdurre droga in carcere". Ravenna: "La bellezza dentro", in mostra il viaggio fotografico nelle carceri femminili www.ravenna24ore.it, 12 settembre 2014 "Lo scopo del mio reportage è quello di portare alla luce una realtà invisibile", spiega l’autore, il fotoreporter Giampiero Corelli. "La bellezza dentro" è un lavoro fotografico svolto in tutta Italia e durato alcuni anni, durante i quali il fotoreporter Giampiero Corelli ha raccontato con immagini la vita delle donne e delle madri all’interno di diversi istituti penitenziari femminili: la mostra sarà inaugurata sabato 13 settembre alle 18 a Bagnacavallo nell’Antica galleria di Palazzo Vecchio, in via Trento Trieste 1; in occasione della Festa di San Michele (dal 25 al 29 settembre) sarà aperto anche l’ingresso in piazza della Libertà, 5. All’inaugurazione saranno presenti l’autore, l’assessore comunale alle Pari opportunità Ada Sangiorgi, la direttrice del carcere femminile di Rebibbia (Roma) Ida Del Grosso, la direttrice del carcere maschile e femminile della Dozza (Bologna) Claudia Clementi e la direttrice del carcere di Ravenna Carmela De Lorenzo. Le tre direttrici saranno intervistate dalla scrittrice ed ex giornalista del Tg2 Carla Baroncelli. "Donne non sono solo le detenute, coloro che costituiscono il soggetto caratterizzante della mostra e le principali protagoniste - spiega l’amministrazione comunale di Bagnacavallo - ma anche donne che si occupano della sorveglianza, amministrazione, volontariato e direzione dentro le carceri, donne che pur vivendo situazioni di vita distanti si trovano accomunate da uno stesso sentire. La mostra è costituita da una selezione di 30 immagini in stampa bianco e nero ai pigmenti al carbone applicate su alluminio sagomato". "Le emozioni che ho incontrato e trovato in questo reportage sono tante, forti e contrastanti - racconta Giampiero Corelli -. Sofferenza, dolore, tristezza, gioia e amore ti invadono nel vedere i volti di queste donne segnati dal tempo o da un genuino abbraccio di un figlio. Non basta chiudere gli occhi per dimenticare, dietro quelle mura c’è un’umanità in cammino. Questo è lo scopo del mio reportage: portare alla luce una realtà invisibile". All’inaugurazione seguirà un rinfresco offerto dall’associazione "Il lavoro dei contadini" e un dj set a cura di Valentina Stradaioli, a cui è affidata anche la selezione musicale proposta nei giorni di apertura della mostra. "La bellezza dentro", a ingresso libero, sarà visitabile nelle seguenti giornate: sabato 13 settembre dalle 18 alle 20; domenica 14 e domenica 21 settembre dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18.30; sabato 20 settembre dalle 15 alle 18.30; giovedì 25 e venerdì 26 settembre dalle 20 alle 23; sabato 27, domenica 28 e lunedì 29 settembre dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 23. L’esposizione è realizzata in collaborazione con il Comune di Bagnacavallo e con il contributo del Credito Cooperativo ravennate e imolese. Elenco degli istituti penitenziari fotografati in questo reportage: Casa circondariale Gazzi - Messina Casa circondariale Pagliarelli - Palermo Casa circondariale femminile Pozzuoli - Napoli Casa circondariale femminile Rebibbia - Roma Casa circondariale nuovo complesso - Perugia Casa circondariale Sollicciano - Scandicci Firenze Casa circondariale di Pesaro Casa circondariale di Forlì Casa circondariale della Dozza - Bologna Casa circondariale San Vittore - Milano Casa circondariale, casa di reclusione femminile Giudecca - Venezia Casa circondariale Pontedecimo - Genova Casa circondariale di Trento Casa di reclusione Bollate - Milano Istituto di custodia attenuata per detenute madri ICAM - Milano. Immigrazione: ultimi lavori nell’ex Cie di Milano, sarà la base per smistare i profughi di Zita Dazzi La Repubblica, 12 settembre 2014 Ultimi lavori in via Corelli, nell’ex Centro di identificazione ed espulsione di Milano, che dalla fine della prossima settimana diventerà un Centro di accoglienza per profughi. Lunedì c’è l’ultima riunione operativa fra Comune e funzionari della prefettura per definire esattamente la firma del contratto e l’apertura dei cancelli, prevista ragionevolmente entro, ma non prima di venerdì prossimo. "Avevamo detto che per la metà di settembre saremmo stati operativi e noi siamo pronti già da tempo ad inviare lì i profughi - spiega l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino - Stiamo solo aspettando il via libera da corso Monforte". Secondo gli accordi presi a luglio da Comune e ministero dell’Interno, per almeno sei mesi quello che era una sorta di carcere per immigrati clandestini aprirà le porte a siriani, eritrei ed altri rifugiati dall’Africa, 140 persone a notte per iniziare, con l’idea di arrivare a 200 ospiti quando la struttura sarà a regime. La data iniziale di apertura prevista per lunedì, slitta di pochi giorni perché i lavori di ristrutturazione hanno richiesto tempo ma soprattutto perché la burocrazia deve fare i suoi passaggi. Il centro era chiuso da gennaio dopo gli incendi appiccati per protesta dai migranti. Ad accogliere i profughi saranno gli operatori di una società francese che ha vinto la gara d’appalto indetta dalla prefettura, dopo la rinuncia della Croce Rossa, anche se molti lavoratori verranno reinseriti anche nella nuova gestione. Intanto il Comune fa i conti sul totale dei profughi accolti dal 18 ottobre 2013 - quando questa emergenza è cominciata - a ieri: sono 36.118 i migranti arrivati in città e accolti grazie alla convenzione con la prefettura. Di questi sono 24.190 i cittadini siriani, 11mila gli eritrei, 889 i palestinesi e altri 331 fra sudanesi, somali, iracheni e altre nazionalità dell’Africa centrale. Per far fronte a questi numeri, lo Stato ha stanziato 8,4 milioni destinati solo a coprire le spese sostenute dal Comune per l’accoglienza fino alla fine del 2014. Il consiglio regionale dal canto suo ieri ha respinto la mozione Pd per garantire l’assistenza sanitaria ai profughi siriani in Stazione, come da mesi chiede il Comune. "I milanesi e lombardi non possono sobbarcarsi queste spese - sostiene la coordinatrice Popolari per l’Italia Maria Teresa Baldini - non possiamo dare la priorità ai profughi quando la situazione occupazionale delle nostre famiglie è drammatica". Replica Lucia Castellano (Patto civico): "Il centrodestra ha perso l’unica occasione seria per dare buona prova di sé, nell’interesse della salute pubblica". India: caso marò; oggi la sentenza sul rimpatrio di Latorre, colpito da un’ischemia Secolo d’Italia, 12 settembre 2014 Occhi di nuovo puntati su Nuova Delhi. È attesa per oggi la decisione della Corte suprema indiana che dovrà pronunciarsi sull’istanza presentata dai legali dei fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori, per ottenere un rientro terapeutico in Italia del marò di Taranto, colpito il 31 agosto da un’ischemia da cui si è in gran parte ripreso. Salvo sorprese dell’ultima ora, i giudici indiani accoglieranno la proposta avanzata dai legali dei marò. Nei giorni scorsi, in una conferenza stampa, il ministro degli Esteri indiano Sushama Swaraj ha parlato di non voler ostacolare "una decisione della Corte presa su basi umanitarie". Parole che lasciano ben sperare. Lo scorso marzo, era già stato l’Alto commissario dell’Onu, Navi Pillay, dopo un incontro con il sottosegretario agli Affari Esteri italiano, Benedetto Della Vedova, a sollecitare le autorità indiane: "I marò italiani sono detenuti da troppo tempo. C’è preoccupazione sul rispetto dei diritti umani". Ma ieri a sorpresa è spuntata un’istanza presentata da un avvocato indiano a nome del proprietario del peschereccio St. Antony coinvolto nell’incidente, Freddy John Bosco, in cui si chiede al massimo tribunale indiano di nominare una commissione medica che verifichi le reali condizioni di salute di Latorre. Dopo il malore che ha colpito Latorre il 31 agosto scorso, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, era subito volata in India accompagnata da medici e legali italiani per constatare di persona le condizioni di Latorre. A causa delle sue condizioni di salute, il fuciliere di Marina, 47 anni, è stato esonerato dall’obbligo di firma presso il commissariato di polizia nella capitale indiana. Nei giorni scorsi il ministro Pinotti ha spiegato che "l’India è in grado dì curare Massimiliano Latorre ma quello che pesa molto è il fattore dello stress", ricordando che si tratta di due militari e quindi "deve valere l’immunità funzionale per la quale non possono essere giudicati all’estero". Sui rapporti tra Palazzo Chigi e il governo di Nuova Delhi, invece, ha detto: "Noi siamo tecnicamente pronti ad affrontare l’arbitrato, ma vediamo con favore il dialogo con il governo indiano che nel frattempo è cambiato". Una dichiarazione che lascia più di qualche perplessità. Intanto Vania Ardito, moglie di Salvatore Girone, ieri all’Adnkronos non ha nascosto le difficoltà: "È un momento delicato. Domani (oggi, ndr) ci aspettiamo che Massimiliano possa fare rientro in Italia". Anche Girone tornerà in Italia con Latorre? Myanmar: nonostante le promesse nel 2014 aumentato il numero dei prigionieri politici di Francis Khoo Thwe www.asianews.it, 12 settembre 2014 Il presidente Thein Sein aveva garantito la liberazione di tutti i detenuti per reati di coscienza entro la fine del 2013. In realtà, il numero è aumentato ed è destinato a salire anche in questi ultimi mesi dell’anno. Al momento vi sono 122 persone a processo per reati di natura "politica". Ad agosto 28 nuovi processi, cinque detenuti torturati in carcere.. A dispetto delle promesse del presidente Thein Sein, che aveva annunciato la liberazione di tutti i detenuti politici dalle carceri birmane entro la fine del 2013, il numero dei prigionieri per reati di pensiero, opinione o coscienza è "aumentato rispetto allo scorso anno". È quanto denunciano gli attivisti di Assistance Association for Political Prisoners (Aapp - Burma), fra i più importanti gruppi della dissidenza in Myanmar a operare in favore dei detenuti politici. In un resoconto mensile inviato ad Asia News, i leader del movimento riferiscono che al momento vi sono almeno 84 detenuti politici sparsi nelle carceri del Paese; al contempo, vi sono altri 122 attivisti a processo con accuse di natura "politica". Il rapporto, che si basa su dati raccolti sino alla fine di agosto, prevede inoltre che "il numero dei prigionieri politici è destinato a crescere nell’ultimo periodo di questo 2014". Fondatore e anima di Aapp è Tate Naing, attuale segretario, già leader della rivolta studentesca nel 1988 e condannato a tre anni di carcere nel ‘90 per attività politiche. Da ex detenuto politico, egli ha fondato l’associazione che ha base lungo il confine fra Tailandia e Myanmar e, in tutti questi anni, ha fornito un puntuale resoconto sulla situazione nelle carceri birmane. Il rapporto intende richiamare l’attenzione delle Cancellerie occidentali, convinte a torto che il problema dei prigionieri politici, dei diritti umani e della democrazia in Myanmar sia già risolto. La "pressione internazionale" sul governo birmano affinché mantenga le promesse e onori i propri impegni, avvertono i leader del movimento, è "essenziale" per "promuovere le libertà civili" e continuare il cammino di riforme. Anche e soprattutto, in vista delle elezioni generali e presidenziali del 2015. Secondo quanto riferiscono i leader di Aapp la crescita nel numero di arresti e condanne per reati di natura politica è in larga misura da attribuire all’uso della controversa Sezione 18, inserita nella Legge quadro sul diritto di assemblea e processione pacifica. Si tratta di una norma ad hoc per colpire l’attivismo politico e, a dispetto degli emendamenti approvati nel giugno scorso, essa "concede troppo margine di manovra alle autorità". Gli attivisti hanno documentato 28 casi di incriminazioni per reati di natura politica nel mese di agosto; a fronte della liberazione di un prigioniero politico, altri cinque hanno subito violenze e torture in carcere. "Il presidente Thein Sein ha promesso di liberarli tutti - attacca Khin Cho Myint, portavoce del gruppo, in un’intervista a Dvb - e ha detto anche che non ci sarebbero stati più prigionieri politici entro la fine del 2013. Sono trascorsi oltre otto mesi da che ha detto che sarebbero stati liberati tutti, ma in realtà in numero continua a crescere". E aggiunge: "Vorremmo vedere le promesse mantenute", mentre in realtà vi sono migliaia di altri cittadini birmani a rischio carcere - ad agosto le autorità hanno arrestato almeno 41 agricoltori - per aver dimostrato a difesa delle proprie terre. Argentina: parrucca, trucco e collana… così detenuto prova a evadere vestito da donna di Angela Geraci Corriere della Sera, 12 settembre 2014 L’idea di Pablo Morales Montenegro non ha funzionato: il 37enne, in cella per frode nel carcere di Mendoza, dopo aver superato un primo controllo è stato notato e fermato. Il piano era a suo modo ingegnoso: nessuna fatica fisica, niente notti passate a scavare tunnel o studiare planimetrie, nessuna violenza. Servivano solo dei trucchi da donna, una parrucca, qualche gioiello e un pò di fortuna. Così il detenuto Pablo Morales Montenegro ha deciso di tentare: si è tagliato i baffi e pizzetto, ha indossato una lunga chioma posticcia e dei vestiti femminili e si è armato di ombretto, rossetto e fard. La "trasformazione" è avvenuta durante l’orario delle visite al carcere San Felipe di Mendoza, in Argentina, domenica. Tramutato in donna, il 37enne si è mescolato alla folla di parenti e ha provato a uscire tranquillamente dal penitenziario. Puntando sul fatto che, in cella da soli 20 giorni per frode, probabilmente non sarebbe stato riconosciuto dal personale. E infatti Montenegro è riuscito a superare un primo controllo. Ma quella strana signora ha attirato l’attenzione di una guardia che, insospettita, ha messo in allarme i colleghi deputati al controllo successivo: il prigioniero non ha avuto scampo. Il direttore del carcere, Carlos Motos, ha dichiarato che questo è il primo tentativo di evasione di questo genere. Pablo Morales Montenegro, già scappato nell’ottobre del 2005 dalla colonia penale di Río Negro dove scontava una condanna a sette anni per tentata rapina, è stato riconosciuto anche da un neo sulla fronte, sopra l’occhio destro. Forse avrebbe dovuto usare più fondotinta. E proprio a partire dai trucchi le autorità sperano di risalire ai suoi complici: chi ha dato creme, parrucca e maquillage al detenuto? Una risposta verrà dalle telecamere di sorveglianza. "Montenegro aveva ricevuto due visite, una da parte di una donna - ha detto personale del San Felipe a Clarin.com -. È probabile che proprio la donna abbia portato in carcere il necessario per l’evasione, magari è entrata con addosso dei vestiti in più che poi ha scambiato in bagno con il prigioniero". Forse l’aspirante evaso ha tratto ispirazione da due suoi "colleghi". Per la scelta del momento della fuga potrebbe aver pensato a Víctor "Meteoro" Suárez, scappato con un documento falso il mese scorso da un carcere argentino (in cui era appena arrivato) anche lui durante le visite. Per la messa in scena potrebbe essersi ricordato invece di Giovanni Rebolledo, latitante colombiano che era addirittura diventato una trans per sfuggire alla giustizia e si prostituiva. A entrambi è andata male: "Meteroro" è stato riacciuffato a 15 giorni dall’evasione perché aveva ripreso a fare truffe con le auto; Giovanni- Rosalinda ha incontrato il suo destino in una retata anti-lucciole. Egitto: rissa tra detenuti nel carcere di Port Said provoca 70 feriti Nova, 12 settembre 2014 È di 70 feriti il bilancio di una rissa scoppiata ieri sera nel carcere di Port Said tra i detenuti del centro penitenziario. Secondo quanto riferiscono fonti locali all’emittente "al Jazeera", è stato necessario l’intervento delle guardie carcerarie che hanno lanciato i lacrimogeni per fermare le violenze. La rissa, secondo quanto si legge in una nota del ministero dell’Interno, è scoppiata durante un’attività sportiva dei detenuti ed ha visto affrontarsi i detenuti dei Fratelli musulmani da un lato con un gruppo di criminali comuni dall’altro.